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Riassunti delle sentenze proposte nel materiale didattico per l'esame di diritto processuale penale II, prof. Lavarini, Appunti di Diritto Processuale Penale

Riassunti delle sentenze proposte nel materiale didattico. Le sentenze sono obbligatorie per l'esame di diritto processuale penale II, prof. Lavarini.

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 13/06/2017

jacopogino
jacopogino 🇮🇹

4.3

(41)

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Scarica Riassunti delle sentenze proposte nel materiale didattico per l'esame di diritto processuale penale II, prof. Lavarini e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! MODULO 1 - GIUDIZIO ABBREVIATO CONDIZIONATO Sentenza corte cost. 2003: Domanda di rito abbreviato condizionato al gup, rigettata, e riproposta al giudice di primo grado prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Il giudice del dibattimento accoglie la richiesta, ma il PM fa ricorso in cassazione per violazione di legge, perché non c’è una legge che prevede la sindacabilità della decisione del gup di rigettare la richiesta di rito abbreviato condizionato. La questione arriva alla Corte costituzionale. Corte costituzionale sancisce l’illegittimità degli artt. 438, 458 e 464 c.p.p. nella parte in cui non prevedono, in caso di richiesta di giudizio abbreviato condizionato, che si possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di inizio del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre giudizio abbreviato. Corte di cassazione penale sezioni unite (sentenza 2004): le SSUU affermano intanto che per poter accettare il giudizio abbreviato condizionato è necessario che l’integrazione probatoria sia necessaria ai fini della decisione e che sia compatibile con i criteri di economia processuale tipici di questo istituto. Quindi il giudice non è tenuto ad accettare sempre la richiesta, ma solo ove questi requisiti siano rispettati. Il criterio della necessità della prova integrativa ai fini della decisione deve essere visto non come prova sostitutiva ma come prova integrativa: questa prova sarà ammissibile solo quando essa è idonea a rispondere a possibili dubbi in merito alla punibilità. Deve essere una prova senza la quale non sarebbe possibile un accertamento completo di uno degli aspetti della res iudicanda. In realtà la corte costituzionale con una sentenza del 2001 ha pressoché annullato il requisito dell’economia processuale, affermando che esso deve essere valutato con riguardo al giudizio di dibattimento e non con riguardo al giudizio abbreviato: pertanto il giudizio abbreviato condizionato ad una prova anche molto complessa deve essere accettata, visto che comunque l’iter sarà più breve rispetto al giudizio ordinario. Il giudice del dibattimento può quindi valutare la rinnovata richiesta dell’imputato e, se la ritiene fondata, deve instaurare il giudizio alternativo. L’imputato può inoltre appellare anche l’ulteriore rigetto del giudice del dibattimento, ma solo per recuperare lo sconto sanzionatorio che gli è stato negato. Anche il giudice del dibattimento, all’esito dello stesso, ha il potere/dovere di valutare se la richiesta era congrua e nel caso applicare lo sconto sanzionatorio. Incompetenza per territorio e invalidità del giudizio abbreviato (sentenza marzo 2012): la cassazione penale SSUU afferma che c’è un contrasto giurisprudenziale sull’ammissibilità dell’incidente di competenza nel giudizio abbreviato: un orientamento afferma che, una vola richiesto il giudizio abbreviato, non si possa più far valere l’incompetenza per territorio; l’altro orientamento, seguito dalla sentenza in esame, afferma invece che l’eccezione si possa far valere per vari motivi: 1) il diritto di optare per il rito abbreviato non può comportare effetti discriminatori sulla possibilità di contestare la competenza del giudice; 2) non c’è nessun riferimento normativo che giustifichi l’impossibilità di sollevare l’eccezione di incompatibilità territoriale a seguito dell’instaurazione del giudizio abbreviato; 3) togliere all’imputato la possibilità di richiedere un controllo sul giudice naturale è una violazione degli artt. 24 e 25 Cost.; 4) non c’è nessun riferimento normativo che afferma che per poter essere giudicato dal giudice naturalmente competente l’imputato debba rinunciare ai riti speciali. La scelta di accedere al rito abbreviato comporta la rinuncia ad eccepire le nullità intermedie, le nullità degli atti a contenuto probatorio e gli atti propulsivi dell’azione penale, ma non comporta la rinuncia delle nullità assolute, relative e le inutilizzabilità patologiche. Si deve quindi presumere l’ammissibilità dell’incidente di competenza territoriale nel giudizio abbreviato: essa deve essere rilevata ed eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare; in caso di assenza di udienza preliminare (g. abbreviato atipico) si può proporre l’eccezione di competenza nella fase dibattimentale dedicata alla trattazione delle questioni preliminari. Giudizio abbreviato e impossibilità di acquisizione della prova integrativa (sentenza luglio 2012): rito abbreviato condizionato all’accettazione delle dichiarazioni rese da un testimone, divenuto poi irreperibile. La questione è se il giudizio deve tornare ad essere ordinario, vista l’impossibilità di acquisire la prova a cui era condizionata la richiesta di giudizio semplificato, o se si debba continuare con il rito abbreviato. La corte di cassazione penale SSUU viene investita della questione in quanto il giudice affermava da un lato di non avere il potere di annullare l’ordinanza di instaurazione del giudizio abbreviato solo perché l’integrazione probatoria richiesta non è possibile, dall’altro lato di non poter condividere il principio di irrevocabilità del giudizio abbreviato qualora esso sia stato instaurato in forma condizionata e sia impossibile soddisfare la condizione richiesta. La subordinazione della volontà di accettare un giudizio semplificato all’integrazione probatoria assume una natura essenziale e la mancanza di tale integrazione impedirebbe la prosecuzione del giudizio abbreviato per mancanza del consenso dell’imputato. Le SSUU affermano che l’impossibilità sopravvenuta di assumere l’integrazione probatoria non incide sulla corretta instaurazione e sulla celebrazione del rito abbreviato, in quanto non sussiste un diritto in capo all’imputato ad ottenere la retrocessione del giudizio e non sussiste un potere del giudice a disporla. 1 Il giudizio abbreviato condizionato è formato da due richieste, richiesta principale (accesso al rito premiale) e richiesta accessoria (integrazione probatoria): l’accoglimento della richiesta principale è subordinato all’accettazione delle richiesta accessoria il giudice o accetta la richiesta accessoria o rifiuta tutto. Si tratta quindi di stabilire se fatti imprevedibili e sopravvenuti abbiano una qualche influenza sui presupposti costituenti il rito abbreviato (se, a seguito dell’accettazione del g. abb. condizionato, la prova diventa impossibile, ci siano ripercussioni sull’instaurazione del rito): il collegio risponde negativamente l’instaurazione del rito resta valida. L’unica ipotesi che consente la revoca del giudizio abbreviato è, su richiesta dell’imputato, in presenza di nuove contestazioni. La retrocessione al rito ordinario non comporterebbe peraltro il recupero della prova richiesta dall’imputato, pertanto non ci sono ragioni per disporla. L’imputato, nel momento in cui formula la domanda condizionata, accetta l’eventualità che l’integrazione probatoria possa non essere assunta per cause imprevedibili e sopravvenute. Anche la Corte costituzionale si è pronunciata a favore dell’irrilevanza della sopravvenuta impossibilità soggettiva di assunzione della prova richiesta come condizione per l’accettazione del rito semplificato. Sia per la Corte costituzionale che per la Corte europea dei diritti dell’uomo, la scelta di accedere al rito abbreviato comporta l’accettazione della riduzione delle garanzie processuali in cambio ad una riduzione della pena. dottrina su problema dell’impossibilità sopravvenuta di acquisizione dell’integrazione probatoria richiesta per l’accettazione del giudizio abbreviato: si contesta la decisione della corte di considerare impossibile il ritorno al rito ordinario a seguito dell’impossibilità imprevedibile e sopravvenuta di acquisire l’integrazione probatoria. L’impossibilità di acquisire la prova non è a causa dell’imputato, che anzi aveva subordinato l’accettazione alla possibilità di vedere acquisita quell’integrazione. La mancanza di quella prova crea una mancanza di consenso e quindi l’unica soluzione possibile deve essere consentire all’imputato di tornare al rito ordinario. Secondo questo commento l’unico modo per salvare il procedimento è quello di vedere se si può ravvisare la volontà dell’imputato nel ricostruire un altro tipo di accordo, rimodulando l’integrazione probatoria, oppure accettando il giudizio abbreviato semplice. Il presupposto per il giudizio abbreviato condizionato non è l’accettazione della prova, ma la sua effettiva acquisizione: l’acquisizione della prova è condizione necessaria e presupposto senza il quale viene meno l’efficacia del rito condizionato. Se il meccanismo si è interrotto per fatti non imputabili al soggetto perché lui dovrebbe subire le conseguenze di una situazione di cui non è causa? MODULO 2 – PATTEGGIAMENTO Sentenza cassazione 2005, sospensione condizionale della pena: soggetto patteggia pena per spaccio di hashish. Il tribunale inoltre dispone la revoca della sospensione condizionale della pena concessa in due sentenze precedenti. Il difensore dell’imputato propone ricorso in quanto la revoca della sospensione condizionale delle due pene inflitte in precedenza non faceva parte del patteggiamento effettuato e non si può dedurre dalla sentenza attuale perché il patteggiamento non può essere assimilato ad una sentenza di condanna patteggiamento non è idoneo per la revoca della sospensione condizionale. Questione rimessa alle SSUU, che deve decidere sulla base del rapporto tra i profili negoziali dell’accordo tra PM e imputato e il potere del giudice nella valutazione di questo accordo. La corte costituzionale aveva da un lato riconosciuto il potere del giudice di sindacare la congruità della pena (sentenza 1990), ma dall’altro aveva valorizzato il profilo negoziale dell’accordo, sottolineando come il patteggiamento sia contrassegnato dall’accertamento pieno e completo della responsabilità dell’imputato. Negli ultimi anni 90 è emerso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice deve limitarsi ad un controllo ti tipo negativo sull’accordo tra le parti, per evitare l’applicazione di pene incongrue. Le SSUU sono intervenute con tre decisioni (1996-1997-2000) affermando che la sentenza di patteggiamento, in quanto priva dei caratteri di condanna, non può costituire titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena. Questo orientamento è stato però elaborato prima dell’introduzione del sistema del c.d. patteggiamento allargato (2003): con questo istituto si rende possibile la condanna al pagamento delle spese processuali, l’applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza, l’esclusione dell’estinzione del reato. Queste introduzioni hanno posto dei dubbi in giurisprudenza e dottrina in merito all’affermazione che la sentenza di patteggiamento non abbia i caratteri di una condanna. La sezione afferma che non si può fare un distinguo tra due rami dello stesso istituto (patteggiamento allargato-patteggiamento ordinario) e riconoscere la natura di condanna ad uno solo di essi. Le SSUU chiamate a decidere nel 2003 non possono omettere di constatare che ben 3 sentenze precedenti delle stesse SSUU hanno risolto il problema in senso negativo. Presupposto per la revoca della sospensione condizionale è l’accertamento della responsabilità, che si può avere solo a conclusione di un giudizio con piena cognizione del reato e della pena. La sentenza di patteggiamento non è preceduta da un accertamento pieno e completo della sussistenza del fatto e sulla riconducibilità di esso all’imputato, quindi essa non può giustificare la revoca della sospensione condizionale. 2 sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti, idonea a consentire il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l'illustrazione delle proprie discolpe. 2) Il termine stabilito dalla legge per l'instaurazione del c.d. giudizio immediato ordinario (pari a novanta giorni) segna il raccordo tra l'evidenza della prova e la non complessità dell'indagine. Considerazioni analoghe valgono per il giudizio immediato c.d. custodiale, in cui il consolidamento del quadro di gravità indiziaria può costituire soltanto un tassello della più ampia categoria dell'evidenza della prova, intesa come substrato probatorio idoneo, in presenza di indagini complete e concludenti, a rendere superflua la celebrazione dell'udienza preliminare, ad escludere che il contraddittorio fra le parti in tale sede possa portare ad una sentenza di non luogo a procedere e, infine, a consentire il passaggio alla fase dibattimentale. Il giudizio di gravità indiziaria è, infatti, una prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza allo stato degli atti basato sugli elementi selezionati e presentati al giudice dal pubblico ministero, funzionali all'adozione della misura cautelare, e su di un materiale fluido, perché non sottoposto ancora a tutte le necessarie verifiche. Poiché la misura limitativa della libertà personale è finalizzata a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto, esula dalla sua struttura e dalla sua funzione la valutazione circa l'utilità del dibattimento. Di conseguenza l'applicazione di una misura cautelare non esclude di per sé il vaglio preventivo circa la sostenibilità dell'accusa in dibattimento. Quindi nel c.d. giudizio immediato custodiate l'adozione della misura cautelare non esaurisce il doveroso apprezzamento dell'evidenza probatoria, intesa come sostenibilità dell'accusa in giudizio e come inutilità della celebrazione dell'udienza preliminare. Per valutare se i termini siano perentori o meno, le SSUU individuano due distinte situazioni che devono essere esaminate partitamente per ricostruire in maniera compiuta i diversi indirizzi: a. la tardività della sola richiesta di giudizio immediato, avanzata dal pubblico ministero dopo il compimento delle indagini entro i termini indicati: qualora la prova evidente sia stata ottenuta nel rispetto dei termini di legge e il ritardo riguardi unicamente la presentazione della richiesta di giudizio immediato, si è in presenza di una mera irregolarità che non si riflette sugli atti successivi. Il termine per la richiesta di giudizio immediato non deve, infatti, essere considerato perentorio in assenza di un'espressa previsione di legge in tale senso. b. la prosecuzione delle indagini oltre i suddetti termini e la conseguente tardiva formulazione della domanda di instaurazione del rito da parte del pubblico ministero: la prosecuzione delle attività investigative oltre i periodi indicati, oltre a costituire una violazione del disposto normativo, contrasta con la ratio del rito prescelto, che presuppone una particolare celerità. Il protrarsi delle investigazioni oltre il periodo di tempo assegnato dalla legge per l'esercizio in tale forma dell'azione penale rileva, però, soltanto quando l'evidenza probatoria che giustifica l'impulso processuale scaturisca dall'esito delle investigazioni concluse oltre i periodi di tempo indicati dalla legge. Il termine di novanta giorni per la richiesta di giudizio immediato da parte del pubblico ministero ha carattere tassativo solo per quanto attiene al compimento delle indagini da cui emerge l'evidenza della prova e non per quanto riguarda gli ulteriori accertamenti ad esse complementari, non utilizzabili ai fini della decisione sulla richiesta di giudizio immediato, ma acquisibili nel dibattimento; ha invece, natura di termine ordinatorio quanto alla richiesta del rito che può legittimamente essere presentata oltre il termine stabilito dalla legge, mancando un'espressa comminatoria normativa ed essendo tassativa la previsione contenuta nell'art. 173 in ordine ai termini soggetti a tale sanzione. In caso di richiesta tardiva del pubblico ministero, occorre distinguere l'ipotesi in cui essa si riferisca ad attività d'indagine svolte e completate nel lasso di tempo prescritto dalla norma dal caso in cui, invece, l'evidenza della prova sia stata raggiunta mediante accertamenti conclusi oltre il lasso di tempo previsto. Soltanto in quest'ultimo caso è possibile ravvisare una violazione della ratio del giudizio immediato. Principi analoghi sono stati affermati in materia di giudizio immediato "custodiale" con riferimento al quale si è osservato che il termine di centottanta giorni dall'esecuzione della misura ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato. La giurisprudenza prevalente afferma che la valutazione circa la sussistenza dell'evidenza della prova è riservata in via esclusiva al giudice per le indagini preliminari. Di conseguenza l'ammissione del giudizio immediato è sempre insindacabile da parte del giudice del dibattimento. Le tre condizioni per instaurare il giudizio immediato sono: l’evidenza probatoria (risultato di indagini complete tali da rendere superflua la fase dell’udienza preliminare); il previo interrogatorio della persona soggetta alle indagini (o almeno la contestazione dell’accusa con l’invito a comparire); il rispetto dei termini predeterminati per lo svolgimento delle indagini e per la richiesta di instaurazione del rito. Il fatto che il pubblico ministero sia tenuto a trasmettere la richiesta di giudizio immediato entro i termini indicati evoca la configurazione di un siffatto incombente in termini di rigorosa "doverosità", nel senso di riconnettere in capo al PM di uno specifico e indilazionabile obbligo giuridico di assumere le proprie determinazioni nei limiti cronologici stabiliti dalla legge. Non è, quindi, condivisibile l'orientamento che, pur in assenza di qualsiasi espressa previsione normativa, distingue ai fini della verifica della tempestività del rito le attività d'indagine essenziali ai fini dell'evidenza della prova rispetto alle altre oppure differenzia il profilo 5 attinente allo svolgimento delle indagini, che deve avvenire nel rispetto dei limiti cronologici perentori fissati dalla legge dal termine, da quello meramente ordinatorio, della presentazione della richiesta. Il decreto che dispone il giudizio immediato (sia esso tipico che c.d. custodiale) chiude, invero, una fase di carattere endoprocessuale assolutamente priva di conseguenze rilevanti ai fini dell'eventuale condanna dell'imputato, i cui diritti di difesa non sono in alcun modo lesi dalla sua eventuale erronea adozione che può assumere semmai rilievo in ambiti diversi da quello processuale. Pertanto la decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato. MODULO 5 – PROCEDIMENTI PER DECRETO PENALE Sentenza corte costituzionale 2015: Gip di Avezzano, su richiesta del PM, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 c.p.p., in relazione agli artt. 3, 111, 112 Cost., nella parte in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento con emissione di decreto penale di condanna. Il PM rileva il contrasto della norma con l’art. 3 Cost., in quanto la norma citata attribuisce un potere al querelante, il quale non ha alcun interesse giuridicamente rilevante (essa non è parte del processo): la persona offesa dal reato dovrebbe aver interesse a veder dichiarata la responsabilità penale dell’autore del reato, cosa che si realizza con qualsiasi rito, anche il decreto penale di condanna, che si conclude con una sentenza. Inoltre il querelante non vede leso alcun diritto al risarcimento, in quanto con il decreto penale di condanna la pretesa risarcitoria deve essere affrontata a parte in sede civile. La possibilità concessa al querelante di opporsi al decreto penale di condanna sarebbe pertanto irragionevole. Essa sarebbe inoltre una violazione dell’art. 111 Cost. (ragionevole durata del processo), in quanto giocoforza il rito ordinario dilaterebbe i tempi processuali. Il Gip ha ritenuto condivisibile l’assunto del PM in tutte le sue parti, sollevando pertanto la questione di legittimità costituzionale. La corte costituzionale ha affermato che la questione è fondata con riferimento agli artt. 3 e 111 Cost. Il querelante ha solo il diritto di supportare e controllare l’esercizio dell’azione penale del PM: può partecipare al procedimento penale, a prescindere dalla costituzione di parte civile, e può in ogni stato e grado del processo (non in cassazione) presentare memorie e elementi di prova. Sentenza corte costituzionale 2016: il tribunale ordinario di Savona, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 460 c.p.p., nella parte in cui non si prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all’atto di opposizione. Secondo il giudice ci sarebbe violazione dell’art. 24 Cost. in quanto il mancato avviso comporterebbe una lesione del diritto di difesa dell’imputato; ci sarebbe inoltre violazione dell’art. 3 Cost., in quanto ci sarebbe disparità di trattamento rispetto a situazioni considerabili analoghe: l’imputato ha facoltà di chiedere tutti gli altri riti speciali ma non la sospensione per messa alla prova e questo non è giustificato. La Corte costituzionale afferma che la questione è fondata: l’omissione dell’avviso della possibilità di scegliere la sospensione per messa alla prova può comportare un pregiudizio irreparabile, una lesione del diritto di difesa e pertanto incompatibile con l’art. 24 Cost. MODULO 6 – MESSA ALLA PROVA Sentenza cassazione 2016, impugnazione dell’ordinanza di rigetto: imputato chiede sospensione della pena per messa alla prova, ma il tribunale di Firenze dichiara inammissibile la richiesta. L’imputato allora propone ricorso per cassazione. La sesta sezione penale rimette la questione alle SSUU, rilevando una contrasto giurisprudenziale sulla possibilità o meno di proporre ricorso immediato per cassazione contro l’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione per messa alla prova emessa dal giudice del dibattimento. Il dubbio è se l’ordinanza di rigetto può essere impugnata autonomamente o se deve essere impugnata unitamente alla sentenza. La Corte aveva espresso due orientamenti diversi: il primo sostenendo che l’ordinanza fosse immediatamente impugnabile, il secondo che afferma che, in base al principio di tassatività delle impugnazioni, che afferma che le ordinanze sono impugnabili solo con l’impugnazione della sentenza. Le SSUU propendono per questo secondo orientamento, respingendo quindi l’impugnazione. La norma sull’istituto della messa alla prova consente l’ordinanza del giudice che ACCOGLIE la richiesta (che non sarebbe altrimenti impugnabile, in quanto con l’accoglimento si ha la sospensione del processo e non si arriva a sentenza). Non avrebbe invece senso la possibilità di impugnare immediatamente la sentenza di rigetto, in quanto l’art. 464 quater comma 7 specifica che l’impugnazione non sospende il procedimento: non sospendendosi il procedimento, l’impugnazione dell’ordinanza per cassazione non avrebbe comunque il potere di fermare il giudice da emettere sentenza, quindi tanto vale aspettare la sentenza del giudice e poi impugnarla per chiedere la messa alla prova. 6 La previsione di un ricorso immediato per cassazione sarebbe inoltre limitante per la difesa dell’imputato, in quanto egli non potrebbe contestare nel merito la decisione del giudice del dibattimento (idoneità al programma ecc): il rimedio migliore per rimuovere il contenuto decisorio è l’appello, nel quale si potrà attuare un nuovo esame del merito. Sentenza di cassazione 2016, presupposti per la messa alla prova: Gup di Ancona rigetta richiesta di sospensione per messa alla prova sostenendo che la fattispecie (truffa aggravata) non è compresa tra i reati ammessi al rito speciale, in quanto il limite massimo della pena edittale detentiva consentita è di 4 anni, comprese circostanze aggravanti/attenuanti. La questione arriva alle SSUU nello stesso giorno della sentenza precedentemente trattata. Le SSUU affermano pertanto che in un diverso procedimento già deciso in quella data il Collegio ha stabilito che le ordinanze di rigetto della richiesta di messa alla prova, comprese quelle emesse dal giudice dell'udienza preliminare, non sono autonomamente impugnabili per cassazione, ma solo appellabili unitamente alla sentenza di primo grado. Nella specie, l'imputata ha proposto ricorso contro l'ordinanza con cui il giudice dell'udienza preliminare ha rigettato la richiesta di messa alla prova, sicché il ricorso, in base al principio affermato, deve essere dichiarato inammissibile. Tenendo ferma la decisione di dichiarare inammissibile l’impugnazione, in virtù del principio enunciato nella sentenza precedente, si può comunque trattare il tema in modo da chiarire un principio di diritto che possa dirimere contrasti giurisprudenziali. La questione risiede nella determinazione del limite edittale per accedere all’istituto della messa alla prova e se questo limite debba essere comprensivo di circostanze aggravanti/ attenuanti o meno. Secondo il criterio quantitativo le circostanze aggravanti devono essere conteggiate nel computo del limite massimo edittale previsto per l’ammissione; al contrario secondo il criterio qualitativo, il legislatore ha indicato normativamente i delitti per i quali è ammesso l’istituto della messa alla prova e pertanto, se il delitto in questione rientra nell’elenco fatto dal legislatore ad esso deve essere applicato l’istituto. Il parametro quantitativo sarebbe quindi riferibile unicamente alla pena massima prevista per la fattispecie base, non tenendo conto delle possibili aggravanti/attenuanti. Le SSUU condividono questo secondo orientamento. MODULO 8 – PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE Sentenza corte costituzionale 04/102005: giudice di pace di Chioggia solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 d.lgs. 274/2000 nella parte in cui non prevede che, in caso di ricorso immediato della persona offesa, il PM anche se esprime parere contrario alla citazione a giudizio, debba comunque formulare l’imputazione. Nel caso concreto il PM aveva ritenuto il ricorso della persona offesa inammissibile per la mancanza delle generalità complete dell’autore del reato, e quindi ha dato parere contrario alla citazione. Il giudice sostiene che, se si riscontra che la causa di inammissibilità è insussistente, dovrebbe poter compiere le proprie prerogative. Il giudice di pace ritiene che questa norma contrasti con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.: il giudice di pace afferma infatti di ritenere il ricorso ammissibile nonostante il parere contrario del PM, ma di non avere la possibilità di obbligare il PM a formulare l’imputazione. La corte costituzionale afferma che il giudice rimettente non ha compiuto il necessario sforzo ermeneutico per individuare una soluzione alternativa che consenta un effettivo controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale; inoltre la disposizione che è prevista per la formulazione coatta dell’imputazione potrebbe trovare applicazione anche nel caso in cui il giudice, una volta rimessi gli atti al PM, ritenga di non condividere la sua eventuale richiesta di archiviazione. Per questi motivi la corte dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Sentenza cassazione penale 2015: il giudice di pace di Chiusa ritiene sussistenti i presupposti per dichiarare l’estinzione del reato perché il fatto è da considerarsi di particolare tenuità, dal momento che la persona offesa non era comparsa e pertanto egli aveva ricavato da questo fatto la sua mancanza di interesse al procedimento e l’inesistenza di una richiesta di risarcimento e di condanna dell’imputato. Il procuratore generale ha proposto riscorso per cassazione affermando che la mancata comparizione della persona offesa non corrispondeva a una mancanza di interesse. Secondo il procuratore generale l’estinzione per particolare tenuità del fatto può essere dichiarata solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono e quindi solo se presentano il loro consenso all’estinzione del reato. Al contrario, le SSUU hanno interpretato la norme con un’accezione positiva, intendendo la non opposizione come consenso alla dichiarazione di improcedibilità per tenuità del fatto. Esse dunque affermano che la volontà di opposizione deve essere necessariamente espressa e non si può desumere da atti o comportamenti: la mancata partecipazione al dibattimento della persona offesa è irrilevante ai fini della decisione del giudice, non potendosi desumere dalla sua assenza alcuna volontà. Pertanto le SSUU hanno rigettato il ricorso affermando che è necessaria una volontà di opposizione espressa all’estinzione del reato da parte della persona offesa, che non si è potuta ottenere a causa della sua assenza. 7
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