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RIASSUNTI DIRITTO AMMINISTRATIVO LIBRO MARCELLO CLARICH, Dispense di Diritto Amministrativo

Una panoramica sul diritto amministrativo, la sua definizione, le sue fonti e il suo sviluppo storico. Inoltre, vengono analizzati i rapporti tra il diritto amministrativo e le scienze non giuridiche, il diritto costituzionale e il diritto europeo.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 05/10/2023

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Scarica RIASSUNTI DIRITTO AMMINISTRATIVO LIBRO MARCELLO CLARICH e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! DIRITTO AMMINISTRATIVO PT. 1 IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI CAP. 1 INTRODUZIONE 1. Premessa Il diritto amministrativo è la branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione, riguarda i rapporti che questa instaura con i soggetti privati nell’esercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura di interessi della collettività; è il sistema di quei principi giuridici che regolano l’attività dello Stato. Lo sviluppo storico dal XIX secolo ad oggi è stato caratterizzato da due fenomeni: un andamento ciclico nell’espansione e nella contrazione del campo di intervento dei pubblici poteri; il consolidarsi degli apparati amministrativi e l’emergere di un diritto speciale per le PA. Il diritto amministrativo cerca di risolvere un problema presente in ogni ordinamento ispirato al principio dello Stato di diritto, e cioè conciliare l’esigenza di curare i molteplici interessi della collettività (interessi pubblici) con quella di garantire la libertà dei singoli. 3. Diritto amministrativo e scienze non giuridiche a) Sociologia Analizza le relazioni di potere interne ed esterne agli apparati burocratici e la varietà dei bisogni e degli interessi della collettività di cui essi si fanno carico, inoltre studia anche le caratteristiche degli apparati burocratici e del personale che in essi opera. b) Scienze politiche ed economiche Le scienze politiche analizzano il ruolo degli apparati burocratici all’interno del circuito politico rappresentativo, cioè come strumenti per realizzare le politiche pubbliche decise dal parlamento, e per inquadrare i rapporti tra classe politica, burocrazia e potere economico; esse mettono in evidenza come la burocrazia non sia in realtà un attore neutrale nei processi decisionali, di mera esecuzione degli indirizzi politici, ma assume un ruolo attivo di elaborazione e di condizionamento delle politiche governative. Le scienze politiche ed economiche individuano le situazioni nelle quali è giustificato l’intervento dei pubblici poteri; la “teoria della regolazione pubblica” (regulation) studia le ragioni e le modalità di intervento dei poteri pubblici in campo sociale ed economico; due modelli: - social regulation: promuove scopi sociali (es. tutela della salute); - economic regulation: massimizza l’efficienza economica e il benessere dei consumatori, mira a correggere i “fallimenti del mercato” con misure di tipo autoritativo, cioè situazioni nelle quali il mercato deregolamentato non è in grado di tutelare in modo adeguato gli interessi della collettività. I principali fallimenti del mercato sono: 1. I monopoli naturali: pongono chi li gestisce in una situazione di potere di mercato che impedisce o altera lo sviluppo della concorrenza (es. porti e ferrovie). 2. I beni pubblici: ne beneficia l’intera collettività, il mercato non è incentivato a produrli spontaneamente nella misura adeguata (es. difesa). 3. Le esternalità negative: i cui benefici vanno a vantaggio dell’impresa ma i cui costi gravano sull’intera collettività (es. produzioni industriali inquinanti). 4. Le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni e servizi circa le caratteristiche qualitative essenziali di questi. 5. Le esigenze di coordinamento (es. regole di comportamento standard per il traffico stradale). c) Scienze storiche La storia delle istituzioni si concentra sulle strutture di organizzazione del potere tipiche nelle diverse esperienze giuridiche, approfondisce lo sviluppo delle PA correlato al progressivo 2 ampliamento delle funzioni assunte come proprie dagli Stati; si occupa della nascita e dello sviluppo del diritto amministrativo indagandone i profili di specialità rispetto al diritto comune, la tutela giurisdizionale e l’evoluzione della scienza del diritto amministrativo. d) Scienza del diritto amministrativo I fenomeni devono essere colti nella loro dimensione giuridica, cioè inquadrati nel contesto delle norme vigenti, è compito del giurista operare una ricognizione delle fonti normative che disciplinano una determinata materia, il materiale normativo deve essere poi riordinato e organizzato in modo sistematico tramite l’elaborazione di categorie e concetti giuridici. Il diritto amministrativo resta pur sempre il diritto dell’autorità del potere pubblico per la cura degli interessi della collettività, ma sta perdendo progressivamente i connotati di un diritto autoritario, mentre sempre più è soggetto agli influssi europei. 4. Il diritto amministrativo e i suoi rapporti con le altre branche del diritto a) Diritto costituzionale Il diritto costituzionale riguarda i “rami alti” dell’ordinamento (corpo elettorale, parlamento, governo, Corte cost., magistratura, regioni e poteri locali), i diritti dei privati (libertà personale, proprietà, ecc.) e le fonti del diritto, trova fondamento e disciplina positiva nella Costituzione; mentre il diritto amministrativo riguarda i “rami bassi” (gli apparati pubblici) ed è regolato in prevalenza da fonti normative subcostituzionali (leggi, regolamenti, statuti) e dai principi di elaborazione giurisprudenziale. Il diritto amministrativo non è altro che il diritto costituzionale reso concreto, cioè colto nella sua effettiva realizzazione nella legislazione e nella vita dell’ordinamento. b) Diritto europeo Il diritto amministrativo ha acquisto una dimensione europea sotto cinque profili principali: 1. La legislazione amministrativa: l’art. 117, c.1, C. stabilisce che la potestà legislativa dello Stato e delle regioni deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario; questo vincolo condiziona la legislazione amministrativa statale e regionale che in molte materie è ormai nient’altro che la trasposizione delle direttive europee. 2. L’attività: l’art. 1, c.1, l. 241/1990 include tra i principi generali dell’attività amministrativa anche i principi generali dell’ordinamento comunitario ricavabili dai Trattati, dalle altre fonti del diritto europeo e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. 3. L’organizzazione: il diritto europeo condiziona l’assetto organizzativo degli apparati pubblici, così numerose agenzie e autorità indipendenti sono state istituite in attuazione di direttive europee. 4. La finanza: il diritto europeo impone agli Stati membri vincoli stringenti alla finanza pubblica che condizionano l’operatività delle pubbliche amministrazioni e l’attuazione dei loro programmi di intervento. 5. La tutela giurisdizionale: il diritto europeo esercita un’influenza sul diritto processuale amministrativo, il codice del processo amministrativo stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo, includendo anche i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte EDU. c) Diritto privato 1. L’autonomia del diritto amministrativo: il d.a. e il d.p. non si pongono in una relazione di regola- eccezione, nel senso che in assenza di una regola speciale di d.a. vale automaticamente la regola del diritto comune, ma si collocano in una relazione di giustapposizione e di autonomia reciproca, in quanto ciascun diritto è in sé completo e autosufficiente, poiché eventuali lacune devono essere colmate facendo applicazione analogica anzitutto di istituti e principi propri di ciascuna disciplina; la specialità del d.a. si giustifica per la necessità di curare l’interesse generale attraverso un opportuno bilanciamento degli interessi in gioco. 2. I moduli privatistici dell’attività e dell’organizzazione delle PA: l’attività delle PA è regolata in parte da leggi amministrative e in parte dal diritto privato; le PA sono dotate di soggettività piena nell’ordinamento giuridico, godono di una “capacità giuridica generale” intesa come attitudine ad 5 CAP. 2 LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO 1. Premessa Le PA prima ancora che soggetti regolatori sono soggetti regolati sottoposti a un corpo esteso di norme, distinzione tra: - “fonti sull’amministrazione”: hanno come destinatarie le PA che diventano così soggetti eteroregolati sottoposti al principio dello Stato di diritto, esse disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri di queste e fungono da parametro per sindacare la legittimità dei provvedimenti da esse emanati; sono costituite (in base al principio di riserva di legge relativa di cui all’art. 97 C.) da fonti normative di rango primario e da fonti normative di rango secondario (es. regolamenti governativi); - “fonti dell’amministrazione”: sono strumenti a disposizione delle PA sia per regolare comportamenti dei privati sia (nei limiti in cui la legge gli riconosca un ambito di autonomia organizzativa) per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento. 2. La Costituzione La Costituzione delinea l’assetto generale dello Stato-ordinamento: individua un’ampia serie di compiti dei quali lo Stato, e per esso la PA, deve farsi carico nell’interesse della collettività; enuncia i principi essenziali in tema di organizzazione (art. 97), di raccordi tra politica e amministrazione (art. 95) e di assetto della giustizia amministrativa (artt. 103, 113, 125); pone l’accento sul principio autonomistico (art. 5), poi sviluppato nell’articolazione ascendente dei livelli di governo (art. 114) ed enuncia il principio di sussidiarietà (art. 118); pone il principio del pareggio di bilancio (art. 81); ridefinisce (con la l.cost. 3/2001) i rapporti tra fonti statali e regionali (art. 117). 3. Fonti dell’Unione Europea In base all’art. 117, c.1, C. le fonti UE si pongono su un livello gerarchicamente più elevato rispetto alle fonti primarie, vige il principio secondo il quale le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate e questo principio vale anche per le PA quando esercitano un potere amministrativo ed emanano un provvedimento; il primato del diritto europeo si spinge fino al punto di vietare alle PA di dare esecuzione a un provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sentenza passata in giudicato allorché esso sia stato ritenuto contrario al diritto europeo dalla Corte di giustizia. Le fonti europee sono: il TUE e il TFUE, i cui principi generali in essi contenuti, insieme a quelli che la Corte di giustizia ha ricavato dai principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, sono di diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la CEDU (richiamate espressamente dall’art. 6 TUE); i regolamenti, le direttive e le decisioni. 4. Fonti normative statali, riserva di legge, principio di legalità Fonti statali di rango primario: legge, decreti legge, decreti legislativi. a) Le riserve di legge Concorrono a definire i rapporti tra parlamento e potere esecutivo; determinate materie devano essere disciplinate con legge escludendo o limitando il ricorso a fonti secondarie; storicamente sono state previste in funzione di garanzia dei diritti di libertà dei cittadini contro gli abusi del potere esecutivo. Le riserve di legge sono di tre tipi: - assoluta: richiede che la legge ponga una disciplina completa ed esaustiva della materia ed esclude l’intervento di fonti sublegislative, ammette solo i regolamenti di stretta esecuzione (es. art. 25, c.2, C. in materia penale); - rinforzata: aggiunge al carattere dell’assolutezza il fatto che la Cost. pone direttamente taluni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario (es. in relazione ai diritti di libertà); - relativa: richiede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l’emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di dettaglio che completano la disciplina della materia (es. in materia di organizzazione dei pubblici uffici ex art. 97 C.); concorre a definire i rapporti interni al sistema delle fonti normative, stabilisce condizioni e limiti al potere regolamentare del governo ed esige che la legge disciplini almeno in parte la materia. La qualificazione come assoluta o relativa dipende nei singoli casi da un’interpretazione letterale e sistematica delle disposizioni costituzionali che pongono la riserva. 6 b) Il principio di legalità Costituisce uno dei principi fondamenti del diritto amministrativo, secondo il quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge (art. 1, l. 241/1990); assolve a una duplice funzione: - di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità-garanzia); - di ancoraggio dell’azione amministrativa al principio democratico e agli ordinamenti che emergono all’interno del circuito politico-rappresentativo (legalità-indirizzo). Il principio di legalità può essere inteso in due accezioni: - come preferenza della legge: gli atti emanati dalla PA non possono porsi in contrasto con la legge; - richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge, la quale questa costituisce il fondamento esclusivo dei poteri dell’amministrazione e deve attribuire in modo espresso alla PA la titolarità del potere disciplinandone modalità e contenuti; la PA non ha dunque una legittimazione propria, ma i poteri da essa esercitati devono trovare un ancoraggio nella legge, che diventa il fondamento e la misura del potere, in assenza può far uso soltanto della propria capacità di diritto privato e il potere esercitato (in assenza di una norma di conferimento) comporta la nullità dell’atto emanato per difetto assoluto di attribuzione. Inteso nella sua seconda accezione il principio di legalità ha a sua volta una duplice dimensione: - la legalità formale: per soddisfarla è sufficiente la semplice indicazione nella legge dell’apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo secondario o amministrativo che risulta indeterminato nei suoi contenuti; - la legalità sostanziale: esige che la legge ponga una disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i presupposti per l’esercizio, le modalità procedurali e le altre sue caratteristiche essenziali. 5. Le leggi provvedimento Si tratta di leggi prive della generalità e astrattezza che regolano situazioni concrete e talora un’unica fattispecie (es. leggi che rilasciano una concessione amministrativa o erogano finanziamenti); scardina le garanzie offerte al privato dal regime dell’atto e del procedimento e sono censurabili solo dalla Corte cost. che può dichiararle incostituzionali solo nei casi di arbitrarietà e manifesta irragionevolezza. 6. I regolamenti governativi Principio del parallelismo tra competenza legislativa e regolamentare: lo Stato è titolare di potere regolamentare esclusivamente nelle materie che l’art. 117 C. attribuisce alla sua competenza legislativa esclusiva (tale potere può essere delegato alle regioni), nelle altre materie la potestà regolamentare spetta alle regioni; lo Stato può emanare regolamenti nelle materie devolute alla potestà legislativa concorrente o residuale solo nelle more dell’approvazione da parte delle regioni delle norme di loro competenza e in caso di inerzia di queste. Tipologia di regolamenti governativi: - esecutivi: pongono norme di dettaglio necessarie per l’applicazione concreta di una legge (se materie coperte da riserva di legge assoluta, sono ammessi solo regolamenti di stretta esecuzione), possono essere emanati per dare esecuzione a regolamenti e direttive europee; - attuativi-integrativi: emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti a individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio; - indipendenti: intervengono nelle materie non soggette a riserva di legge là dove manchi una disciplina di rango primario; - di organizzazione: disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle PA secondo le disposizioni dettate dalla legge; - delegati o autorizzati: previsti nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta e attuano la “delegificazione”, sostituiscono cioè la disciplina posta da una fonte primaria con una disciplina posta da una fronte secondaria, la loro entrata in vigore determina l’abrogazione delle norme vigenti contenute in fonti anche di rango primario; condizioni: occorre una legge che autorizzi il governo a emanarli e che contenga le norme generali regolatrici della materia, e deve altresì 7 disporre l’abrogazione delle norme vigenti rinviando il prodursi dell’effetto abrogativo al momento dell’entrata in vigore del regolamento; - ministeriali e interministeriali: previsti nelle materie attribuite alla competenza di uno o più ministri, possono essere emanati solo nei casi espressamente previsti dalla legge e sono gerarchicamente sottordinati ai regolamenti governativi; sono adottati previo il parere del Consiglio di Stato e sono sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti; - regolamenti emanati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri: assunti previa delibera del Consiglio dei ministri e senza seguire l’iter procedurale previsto per gli altri tipi di regolamenti. Regime giuridico dei regolamenti: in parte quello proprio dei provvedimenti amministrativi e in parte quello proprio delle fonti del diritto; in quanto atti formalmente amministrativi, ove contengano disposizioni contrarie alla legge, possono essere impugnati e annullati dinnanzi al giudice amministrativo; inoltre, in base al principio della preferenza della legge, sono suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario e anche del giudice amministrativo, il quale quest’ultimo può disapplicare una norma regolamentare quando il provvedimento impugnato viola un regolamento a sua volta difforme dalla legge oppure quando è conforme a un regolamento che però contrasta con la legge; infine, i regolamenti non possono essere oggetto di sindacato di costituzionalità innanzi alla Corte cost. 7. I testi unici e i codici I testi unici si dividono in: - innovativi: emanati sulla base di un’autorizzazione legislativa che stabilisce il criterio del riordino della legislazione; sono fonti del diritto in senso proprio (di rango primario o secondario a seconda del tipo di autorizzazione legislativa) in quanto atti a innovare il diritto oggettivo e determinano l’abrogazione delle fonti legislative precedenti; - di mera compilazione: emanati su iniziativa autonoma del governo ed hanno soltanto la funzione pratica di unificare in unico testo le varie disposizioni vigenti per renderne più semplice il reperimento (rari nella prassi). Il codice, come modalità ordinaria di riassetto, si differenzia dal TU per essere concepito, oltre che per coordinare i testi normativi, anche per innovare in modo più esteso la disciplina usualmente sulla base di una legge di delega. 8. Fonti normative regionali, degli enti locali e di altri enti pubblici Fonti normative regionali: - statuti: determinano la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento; - leggi: promulgate nelle materie attribuite dall’art. 117 C. alla competenza regionale concorrente e residuale; - regolamenti: emanati secondo il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari nelle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni. Fonti normative comunali: - statuti: contengono le norme fondamentali sull’organizzazione dell’ente, le forme di garanzia e di partecipazioni delle minoranze, le forme di partecipazione popolare, di decentramento e l’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi; ha un rango subprimario poiché si pone al di sotto delle leggi statali di principio; - regolamenti: emanati nelle materie di competenze degli enti locali nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto e disciplinano l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e l’esercizio delle funzioni (in base alle leggi vigenti intervengono in materie importanti come l’urbanistica e l’edilizia). Altri enti pubblici: hanno acquisito una maggiore autonomia organizzativa e funzionale (es. università) che include la potestà di dotarsi di un proprio statuto nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge e di regolamenti di organizzazione e di disciplina delle funzioni. 10 da un sistema di sanzioni interne; istituzione di origani giustiziali speciali (es. ordinamento sportivo e CONI). Gli obblighi di pubblicazione rendono conoscibili le norme interne al di là della cerchia dei titolari e degli addetti agli uffici interni a un apparato amministrativo e contribuiscono a far assumere a queste una rilevanza esterna; inoltre fanno sorgere nella generalità degli amministratori l’aspettativa che esse costituiscano una guida dell’azione amministrativa finalizzata all’adozione di atti che producono effetti diretti nei loro confronti. Le norme interne possono assumere la forma di regolamenti interni, istruzioni o ordini di servizio, direttive generali e (solitamente) circolari, che sono lo strumento di orientamento e guida degli uffici. Una specie sui generis di norme interne è costituita dalla “prassi amministrativa”, per cui il principio di coerenza che presiede all’esercizio dell’attività degli uffici fa sì che i precedenti, una volta consolidatesi, acquistino una forza normativa. Le circolari costituiscono degli atti tipici aventi efficacia esclusivamente interna, il cui contenuto può essere vario, possono riguardare ordini, direttive, interpretazioni di leggi e altri atti normativi, informazioni di ogni genere e tipo; nella prassi sono emersi tre tipi di circolari: - interpretative: mirano a rendere omogenea l’applicazione di nuove normative da parte delle PA, hanno un maggior grado di vincolatività allorché emanate nell’ambito di apparati strutturati in modo gerarchico; - normative: funzione di orientare l’esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi, non hanno per oggetto l’interpretazione delle norme da applicare, bensì gli spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all’autorità amministrativa; attraverso queste l’organo sovraordinato indirizza l’attività degli organi subordinati, specificando le finalità, indicando le priorità e fornendo i criteri; il destinatario può anche disattenderle; - informative: emanate per diffondere all’interno dell’organizzazione notizie, informazioni e messaggi di varia natura. Individuato anche il modello delle “circolari-regolamento”, che sono atti tipici volti a porre regole generali e astratte aventi per destinatari soggetti esterni all’amministrazione. Quindi, le circolari non danno origine a un fenomeno unitario, ma i contenuti, il grado di cogenza e l’attitudine a produrre effetti giuridici nei rapporti interni ed esterni all’amministrazione, vanno verificati caso per caso in relazione al contesto organizzativo in cui ciascuna di esse si inserisce. 16. Soft law e raccomandazioni Soft law: insieme di strumenti, spesso informali (comunicazioni, segnalazioni, ecc.), volti a influenzare i comportamenti delle autorità amministrative e dei soggetti amministrati; mette in discussione il principio di tipicità delle fonti e degli atti normativi con valenza regolatoria, nonché la nozione di vincolatività; il grado di effettività della soft law dipende dall’autorevolezza dell’organo da cui essa promana. Raccomandazioni non vincolanti: previste dal par. 5, art. 288 TFUE come strumento extra ordinem per esprimere orientamenti in campi nei quali l’Unione non è titolare di poteri normativi formali. 17. La better regulation e altri modelli di regolazione Molti stati si sono dotati di strumenti che promuovono la qualità della regolazione (better regulation) e che perseguono una pluralità di obiettivi: contenere l’iperregolazione, ridurre gli oneri che gravano sulle PA e sui privati, evitare che un’eccessiva quantità di regole comprometta la competitività del sistema economico, differenziare le regole prevedendo adempimenti semplificati; uno degli strumenti è l’analisi di impatto della regolazione, che obbliga le PA, prima di adottare un atto di regolazione, ad individuare tutte le soluzioni possibili valutando costi/benefici di ciascuna di esse esplicandoli in una proposta di atto normativo, inoltre, una volta emanate, le norme sono sottoposte anche a una verifica ex post con possibilità di correzione qualora i risultati conseguiti non siano in linea con quelli attesi. Paternalismo libertario: (mette a frutto i risultati delle scienze comportamentali) lo Stato anziché obbligare i soggetti privati a tenere determinati comportamenti, anche con la minaccia di sanzioni, individua l’opzione che ritiene preferibile per tutelare i reali interessi degli stessi soggetti, senza 11 però eliminare la loro libertà di scelta, l’opzione proposta si applica di default, cioè in mancanza di una diversa manifestazione di volontà esplicita del soggetto interessato. Regolazione cogestita dal regolatore pubblico e da soggetti privati: serie di fattispecie nelle quali gli elementi di unilateralità (autoritarietà) sono temperati da elementi di consensualità (o di coregolazione); forme di partecipazione al procedimento dei soggetti interessati, ai quali è attribuito il potere di presentare osservazioni sugli schemi di atti normativi predisposti. Alcuni modelli di regolazione attenuano la distinzione tra provvedimenti di tipo individuale e atti normativi, così, es. l’autorizzazione definita come atto amministrativo che consente l’esercizio di un’attività rimuovendo un limite all’esercizio di un diritto e che è emendata su istanza della parte interessata, acquista dimensione regolatoria nei casi in cui la legge preveda l’emanazione da parte dell’autorità amministrativa delle “autorizzazioni generali”. Quindi, la soft law e gli altri modelli di regolazione emersi di recente, finiscono per sfumare i contorni di nozioni tradizionali come fonte del diritto, eteroregolazione pubblica e provvedimento individuale. 12 PT. 2 PROFILI ISTITUZIONALI CAP. 3 IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO 1. Gli interessi pubblici, le funzioni e l’attività amministrativa Amministrazione attiva: funzione che consiste nell’esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico al fine di curare, nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati, l’interesse pubblico. a) Gli interessi pubblici Gli interessi pubblici presuppongono un riconoscimento formale da parte di una legge dello Stato (o della Costituzione) che li individui, ponga regole e istituisca apparati che si facciano istituzionalmente carico della loro cura; variano nel tempo in funzione dell’evoluzione della consapevolezza sociale e politica (es. ambiente e privacy); possono porsi in contrasto e necessitare di un bilanciamento (es. realizzazione opere pubbliche in contrasto con il paesaggio); alla loro cura possono concorrere i soggetti privati in attuazione del principio di sussidiarietà verticale. b) Le funzioni Per funzioni amministrative si intendono i compiti che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo, il quale è tenuto ad esercitare per la cura in concreto dell’interesse pubblico, a tal fine la legge conferisce agli apparati amministrativi le risorse e i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità di questi tra gli organi che compongono l’apparato (competenze). I fini pubblici concorrono a definire la missione affidata a un soggetto politico che consiste nella cura di un determinato interesse pubblico individuato dalla legge. c) L’attività amministrativa Consiste nell’insieme delle azioni e delle decisioni riconducibili a una PA in relazione alle funzioni affidate ad essa da una legge, è rivolta a uno scopo o fine pubblico, cioè alla cura di un interesse pubblico ed è dotata del carattere della doverosità, il mancato esercizio può essere fonte di responsabilità; sotto il profilo giuridico coincide con quella di atto o provvedimento; si riferisce all’operato complessivo delle singole amministrazioni, valutato in termini di legalità, efficienza, efficacia ed economicità, con valutazione effettuata dalla Corte dei conti. L’atto amministrativo costituisce invece un singolo episodio o frammento dell’attività posta in essere da un apparato e si presta ad essere valutato sotto i profili della conformità all’ordinamento (legittimità) e dell’attitudine a soddisfare nel caso concreto l’interesse pubblico (merito amministrativo). La giurisprudenza tende a ritenere che un apparto pubblico svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando (nei limiti) persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. 2. Il potere, il provvedimento, il procedimento a) Il potere I poteri amministrativi conferiscono, agli apparati che ne assumono la titolarità, una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si esprime nella possibilità di produrre, con una manifestazione di volontà unilaterale, effetti giuridici nella sfera dei destinatari, la quale si aggiunge, integrandola, alla capacita giuridica generale di diritto comune, intesa questa come attitudine ad assumere la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive previste dall’ordinamento; il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovraordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. Occorre distinguere tra potere in astratto e in concreto: - il potere in astratto ha il carattere dell’inesauribilità: fin tanto resta in vigore la norma attributiva si presta a essere esercitato in una serie indeterminata di situazioni concrete; 15 - normativi o di valore: contengono un elemento di soggettività, involgono giudizi di valore e coprono l’area della discrezionalità amministrativa; è la stessa interpretazione del parametro normativo a presentare margini di opinabilità elevati essendo legata ai valori e alla sensibilità soggettiva dell’interprete (es. un film adatto ai minori). La difficoltà sta nell’individuare con precisione dove i limiti vadano tracciati, sorge così il problema di fino a che punto le valutazioni compiute dall’amministrazione in sede di interpretazione e applicazione dei concetti giuridici indeterminati possano essere sindacati dal giudice. 4. Modalità di esercizio del potere e requisiti di forma La norma attributiva del potere prescrive anche i requisiti formali degli atti e le modalità di esercizio del potere, indicando la sequenza degli atti e degli adempimenti necessari per l’emanazione del provvedimento finale che danno origine al procedimento amministrativo, la cui struttura è individuata nelle singole leggi amministrative di settore e nelle norme attuative. La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l’elemento temporale dell’esercizio del potere: può individuare un termine per l’avvio dei procedimenti d’ufficio; deve specificare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il procedimento, l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo; le leggi amministrative scandiscono talora anche i tempi per l’adozione degli atti endoprocedimentali. 6. Effetti giuridici Infine la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti giuridici prodotti dall’atto amministrativo emanato all’esito del procedimento; i provvedimenti in quanto manifestazione del potere hanno l’attitudine a produrre effetti costituivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. 5. Il potere discrezionale a) La discrezionalità È l’essenza dell’amministrazione. Emerge tensione con il principio di legalità sostanziale. Le situazioni concrete nelle quali l’amministrazione deve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza ed imprevedibilità tale da richiedere nel decisore un qualche spazio di adattabilità della misura da disporre. Ci sono due esigenze da conciliare: attribuire all’amministrazione quel tanto di discrezionalità che consenta la flessibilità necessaria per gestire i problemi della collettività, e evitare che la discrezionalità si traduca in arbitrio; l’amministrazione titolare di un potere deve operare la scelta tra una pluralità di soluzioni, non solo nel rispetto dei limiti esterni posti dalla norma di conferimento del potere e dei principi generali dell’azione amministrativa, ma anche nel rispetto di un vincolo interno consistente nel dovere di perseguire il fine pubblico. La discrezionalità amministrativa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico; la scelta avviene all’esito di una valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale, tra questi vi è l’interesse pubblico primario (il fine pubblico) individuato dalla norma di conferimento del potere e affidato alla cura dell’amministrazione titolare del potere, compito di questa è massimizzare la realizzazione dell’interesse primario; tuttavia deve essere messo a confronto e valutato alla luce degli interessi secondari rilevanti, individuati direttamente dalle norme che disciplinano il tipo di procedimento o che emergono nel corso dell’istruttoria, tra questi si annoverano non soltanto gli altri interessi pubblici incisi dal provvedimento, ma anche gli interessi dei privati, i quali possono partecipare al procedimento con la presentazione di memorie e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare (es. per approvare il progetto di un’autostrada oltre che della viabilità deve tener conto della tutela ambientale e la salvaguardia di attività di privati già insediate). Quindi, deve contemperare l’esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minor sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento, e deve darne conto nella motivazione di questo al fine di garantire la trasparenza del processo decisionale. La discrezionalità amministrativa incide su quattro elementi: - sull’an: sul se esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento; - sul quid: sul contenuto del provvedimento; 16 - sul quomodo: sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento; - sul quando: sul momento più opportuno per esercitare il potere d’ufficio avviando il procedimento e per emanare il relativo provvedimento tenendo conto dei termini massimi. In base alla norma di conferimento, un potere può essere discrezionale o vincolato in relazione a uno o più di questi elementi. Vincolatezza in concreto: quando, all’esito dell’attività istruttoria e all’esito della ponderazione degli interessi, residui un’unica scelta legittima tra quelle consentite in astratto dalla legge, la discrezionalità cioè si riduce fino ad annullarsi; ciò si contrappone alla “vincolatezza in astratto”, la quale si verifica quando la norma già predefinisce in modo puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Autovincolo alla discrezionalità: quando, tra la norma di conferimento del potere che concede all’amministrazione spazi di discrezionalità e il provvedimento emanato, si interpone la predeterminazione da parte della stessa amministrazione di criteri e parametri che vincolano l’esercizio della discrezionalità. b) Il merito amministrativo Il merito si riferisce all’eventuale ambito di valutazione e di scelta spettante all’amministrazione che si pone al di là dei limiti coperti dall’area della legalità; è nullo se il potere è integralmente vincolato. Il merito connota l’attività dell’amministrazione da considerare essenzialmente libera, la scelta tra una pluralità di soluzioni tutte legittime può essere apprezzata cioè solo in termini di opportunità o inopportunità, è insindacabile nell’ambito del giudizio di legittimità. La distinzione tra legittimità e merito rileva in più contesti: - quello dei controlli amministrativi, che si articolano in controlli di legittimità e di merito: i primi finalizzati eventualmente ad annullare gli atti amministrativi illegittimi, i secondi a modificare o sostituire l’atto oggetto del controllo; - il Codice del processo amministrativo distingue la giurisdizione di legittimità, che è quella di cui è investito in via ordinaria il giudice amministrativo, dalla giurisdizione “con cognizione estesa di merito”, nell’esercizio della quale il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione, può cioè rivalutare le scelte discrezionali e sostituire la propria valutazione (è in deroga al principio della separazione dei poteri, pertanto è limitata a pochi casi tassativi); - in materia di responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici in relazione al danno erariale provocato dall’amministrazione. c) Le valutazioni tecniche Si riferiscono al caso in cui la norma attributiva del potere, nell’utilizzare concetti giuridici indeterminati di tipo empirico, rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità; sono espresse da organi appositi chiamati a rendere il loro giudizio nell’ambito del procedimento (es. rientrano le valutazioni ingegneristiche volte ad appurare la statica di edifici lesionati in occasione di un terremoto). Mentre la discrezionalità amministrativa attiene al piano della valutazione e comparazione degli interessi, le valutazioni tecniche attengono al piano dell’accertamento e della qualificazione di fatti alla luce di criteri tecnico-scientifici. Valutazioni tecniche ed esercizio della discrezionalità amministrativa, proprio perché riguardano momenti logici diversi (la prima attiene al momento dell’accertamento del fatto, la seconda alla valutazione degli interessi), possono coesistere in una stessa fattispecie, detta “discrezionalità mista” (es. l’accertamento del carattere epidemico di una malattia e la successiva scelta dei rimedi alternativi per contenere i rischi di propagazione). Le valutazioni tecniche vanno distinte dai meri accertamenti tecnici, che riguardano fatti la cui sussistenza o inesistenza è verificabile in modo univoco, e che, a differenza delle valutazioni tecniche, possono essere sindacati in modo pieno dal giudice amministrativo nell’ambito del giudizio di legittimità. 6. L’interesse legittimo È il termine passivo del rapporto giuridico amministrativo. Questa situazione giuridica soggettiva costituisce una delle principali specificità del nostro sistema giuridico. Al pari del diritto soggettivo trova riconoscimento costituzionale nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale. 17 La distinzione tra le due categorie di situazioni giuridiche ha assunto rilievo sotto il profilo di criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo, il primo investito della giurisdizione sui diritti soggettivi, il secondo della giurisdizione sugli interessi legittimi (e dei diritti soggettivi quando specificamente previsto). Ricostruzioni nel tempo dell’interesse legittimo: a) Il diritto fatto valere come interesse Criterio per incardinare la competenza della IV sezione fu quello del “petitum”, ovvero della richiesta formulata dal ricorrente di annullamento del provvedimento emanato piuttosto che la richiesta del mero risarcimento del danno, riservata al giudice ordinario; era così rimessa alla libera scelta del privato, in funzione del tipo di tutela che intendeva ottenere, la via giurisdizionale da perseguire, senza necessità di costruire una nova situazione giuridica soggettiva distinta dal diritto soggettivo; tuttavia concezione disattesa dalla giurisprudenza che ancorò il riparto giurisdizionale al criterio della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio. b) L’interesse legittimo come interesse di mero fatto Venne negata all’interesse legittimo la consistenza di vera e propria situazione giuridica avente natura sostanziale, ma di solo significato processuale, cioè veniva considerato come un interesse di mero fatto, collegato alla norma d’azione volta a tutelare in modo esclusivo l’interesse pubblico, ma che fa sorgere in capo al privato un interesse processuale ad attivare la tutela innanzi al giudice amministrativo nel momentino in cui l’amministrazione emana un atto amministrativo illegittimo. c) Il diritto alla legittimità degli atti Interesse legittimo qualificato come un diritto alla legittimità degli atti della funzione governativa, cioè un diritto soggettivo avente per oggetto esclusivamente la pretesa formale a che l’azione amministrativa sia conforme alle norme che regolano il potere esercitato; tuttavia, in realtà la legittimità dell’azione amministrativa non costituisce di per sé un bene della vita suscettibile di essere oggetto di una situazione giuridica di diritto soggettivo. d) Il diritto affievolito Interesse legittimo come la risalutante dell’atto di esercizio del potere amministrativo che incide su un diritto soggettivo: il provvedimento autoritativo ancorché illegittimo, è inidoneo a intaccare il diritto soggettivo trasformandolo in interesse legittimo; tale categoria fa coppia con i diritti soggettivi “in attesa di espansione”, cioè diritti, già attribuiti in astratto alla titolarità di un soggetto privato, il cui esercizio è condizionato all’esercizio di un potere dell’amministrazione, nei confronti del quale il titolare del diritto vanta un interesse legittimo. e) L’interesse occasionalmente protetto L’interesse privato è posto in una posizione subalterna e ancillare rispetto all’interesse pubblico, solo in presenza di un diritto soggettivo l’interesse del privato correlato a un bene della vita è oggetto di una tutela diretta e immediata da parte dell’ordinamento; quindi interesse legittimo come interesse occasionalmente (e indirettamente) protetto da una norma (la norma d’azione) volta a tutelare in modo diretto e immediato l’interesse pubblico; l’interesse legittimo si distingue dal diritto soggettivo proprio per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma (che tutela direttamente solo l’interesse pubblico), ma passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo, senza che sussista alcuna garanzia in ordine alla sua acquisizione o conservazione; dunque fonda in capo al suo titolare soltanto la pretesa a che l’amministrazione eserciti il potere in modo legittimo, cioè in conformità con la norma d’azione. f) Le ricostruzioni più recenti dell’interesse legittimo Nella ricostruzione dell’interesse legittimo, il baricentro si sposta dal collegamento con l’interesse pubblico a quello con l’utilità finale o “bene della vita” che il soggetto titolare dell’interesse legittimo mira a conservare o ad acquisire, ha dunque una connotazione sostanziale. La norma di conferimento del potere ha lo scopo di tutelare, sia l’interesse pubblico curato dalla PA, sia l’interesse del privato che mira a conservare o ad acquisire un’utilità finale o un bene della vita, l’interesse pubblico non assorbe quello privato né viceversa; nella dinamica del rapporto 20 10. Interessi di fatto, diffusi e collettivi Le norme che disciplinano la PA possono imporre ad essa doveri di comportamento finalizzati alla tutela degli interessi pubblici, senza che da tali doveri corrisponda alcuna situazione giuridica in capo a soggetti esterni all’amministrazione; i soggetti privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio indiretto da siffatte attività sono portatori di un interesse di mero fatto a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio giurisdizionale. Occorre distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi, attraverso due criteri giurisprudenziali: - la differenziazione: perché possa configurarsi un interesse legittimo occorre che la posizione in cui si trova il soggetto privato rispetto all’amministrazione gravata da un dovere di agire sia diversa da quella della generalità dei soggetti dell’ordinamento; - la qualificazione: appurato il carattere differenziato di un interesse rispetto a quello della generalità dei soggetto, occorre accertare se tale interesse rientri in qualche modo nel perimetro della tutela offerta dalle norme attributive del potere (criterio della qualificazione giuridica dell’interesse). I due criteri appaiono collegati, nel senso che quanto più differenziato in base a criteri materiali risulta un interesse, tanto è più probabile che esso venga ritenuto anche oggetto di una tutela giuridica da parte dell’ordinamento. Gli interessi di fatto possono avere una dimensione individuale o superindividuale. Interessi diffusi: definiti come interessi non personalizzati, senza struttura, riferibili in modo indistinto alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti (consumatori, utenti, ecc.); il carattere diffuso dell’interesse deriva dalla caratteristica del bene materiale o immateriale ad esso correlato che non è suscettibile di appropriazioni e di godimento esclusivo (ambiente, paesaggio, ecc.), cioè beni “non rivali” e “non escludibili”; costituiscono una categoria dai confini incerti, in quanto superano la dimensione individuale perché riferibili agli individui non in sé, ma in relazione al loro status, finendo per sovrapporsi almeno in parte alla nozione di interesse pubblico. L’ordinamento giuridico ha iniziato a prenderli in considerazione attribuendo ad essi rilevanza sia in sede procedimentale sia in sede processuale: - in sede procedimentale: è attribuita la facoltà di intervenire nel procedimento (oltre che a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati) ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento; il diritto di partecipazione consente di immettere nel procedimento interessi riferibili alla collettività che non coincidono necessariamente con quello curato in via istituzionale dall’amministrazione titolare del potere; - in sede processuale, i criteri elaborati per aprire la strada alla tutela giurisdizionale sono tre: 1. Il collegamento con la partecipazione procedimentale: individuare nella partecipazione al procedimento un elemento di differenziazione e qualificazione tale da consentire l’impugnazione innanzi al giudice amministrativo del provvedimento conclusivo del procedimento; tuttavia partecipazione al procedimento e legittimazione processuale hanno funzioni diverse: la prima assolve non soltanto alla funzione di tutela preventiva degli interessi dei soggetti suscettibili di essere incisi dal provvedimento, ma anche a quella di fornire all’amministrazione una gamma più ampia di informazioni utili per esercitare meglio il potere; mentre la seconda può essere riconosciuta soltanto al titolare di una situazione giuridica soggettiva in senso proprio che ha subito una lesione alla quale occorre porre un rimedio. 2. L’elaborazione della nozione di interesse collettivo quale specie particolare di interesse legittimo: ampliare le maglie dell’interesse legittimo fino a includervi alcune situazioni nelle quali il ricorrente agisce in giudizio per tutelare in realtà un interesse superindividuale; è stata pertanto posta la distinzione tra interessi diffusi e collettivi, quest’ultimi riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati (associazioni sindacali, ordini professionali, ecc.), e a questi organismi rappresentativi è stata riconosciuta una legittimazione processuale autonoma, collegata a una situazione di interesse legittimo, allo scopo di tutelare gli interessi non già dei singoli appartenenti alla categoria ma della categoria in quanto tale. 3. La legittimazione ex lege: legittimazione speciale attribuita, in settori particolari, dal legislatore a determinati soggetti istituiti per la cura di interessi diffusi; queste previsioni legislative non trasformano gli interessi diffusi in situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo o di diritto soggettivo, ma hanno una rilevanza prettamente processuale. 21 Interessi individuali “omogenei”: vanno distinti dagli interessi diffusi e collettivi che hanno una dimensione superindividuale in senso proprio, mentre questi mantengono il carattere di situazioni giuridiche soggettive individuali e acquistano una dimensione collettiva solo per il fatto di essere comuni a una pluralità di soggetti; l’interesse leso resta un interesse individuale e l’elemento di omogeneità e comunanza consiste nel fatto che la lesione deriva da un’attività illecita o illegittima plurioffensiva. 11. I principi generali Analisi dei soli principi relativi alle funzioni e al rapporto giuridico-amministrativo a) Principi sulle funzioni Principio di sussidiarietà: principio fondamentale che presiede all’allocazione delle funzioni; si distingue in: - verticale: con riferimento all’art. 5 TUE, enuncia il rapporto tra Unione e Stati membri, e cioè che l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze assegnate e non devono eccedere quelle necessarie per conseguire gli scopi dell’Unione che non possono essere meglio curati dagli Stati membri singolarmente; con riferimento all’art. 118 C., prevede che la generalità delle funzioni sia attribuita al livello di governo più vicino al cittadino e cioè al comune, solo le funzioni delle quali è necessario assicurare un esercizio unitario che supera la dimensione territoriale comunale, possono essere attribuite ai livelli di governo via via più elevati; dunque le funzioni amministrative vanno allocate tra gli enti territoriali secondo il criterio della dimensione degli interessi; - orizzontale: l’art. 118, c.4, C. definisce i rapporti tra poteri pubblici e società civile; lo Stato e gli enti territoriali favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, ciò ha il valore di escludere che i poteri pubblici detengano il monopolio nella cura degli interessi della collettività e di valorizzare le forme di autorganizzazione della società civile (precede quella verticale). Principio di proporzionalità: con riferimento all’art. 5 TUE si riferisce al fatto che il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione non devono eccedere quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati; nel diritto nazionale è un criterio per la disciplina delle funzioni e dei poteri, per cui l’obiettivo perseguito deve essere conseguito tramite la misura meno restrittiva. Principi di adeguatezza e differenziazione: il primo attiene all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente le funzioni, il secondo mira a tener conto delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali, e strutturali degli enti riceventi; entrambi sono volti in particolare a salvaguardare le specificità di oltre 8000 comuni e a sollecitare l’attivazione di forme di collaborazione tra enti territoriali per l’esercizio in forma associata di talune funzioni. b) Principi sull’attività Indicati nell’art. 1 l. 241/1990, consentono di formulare un giudizio sull’amministrazione che verte sulla coerenza complessiva dell’attività rispetto alla missione affidata dal legislatore e sulla sua conformità, e sul buon andamento, cioè sui risultati più o meno positivi effettivamente conseguiti mediante l’uso efficiente delle risorse disponibili. Principio dell’amministrazione di risultato: richiama la performance degli apparati amministrativi regolata secondo il “ciclo della performance”, le cui fasi sono: definizione di obbiettivi, allocazione delle risorse, monitoraggio in corso di esercizio, misurazione e valutazione della performance organizzativa e dei singoli dipendenti, utilizzo di sistemi premianti; la performance organizzativa si riferisce in particolare al grado di soddisfazione dei cittadini e degli utenti, all’efficienza nell’impiego delle risorse, alla quantità e qualità dei servizi erogati. Principio di efficienza: attraverso il riferimento all’economicità, mette in rapporto la quantità di risorse impiegate con il risultato dell’azione amministrativa e focalizza l’attenzione sull’uso ottimale dei fattori produttivi; è efficiente l’attività amministrativa che raggiunge un certo livello di performance utilizzando in maniera oculata le risorse disponibili e scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impiego di mezzi. 22 Principio di efficacia: misura i risultati effettivamente ottenuti rispetto agli obiettivi prefissati in un piano o un programma. Principio di economicità: capacità di lungo periodo di un’organizzazione di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi. Principio di pubblicità e trasparenza: rileva principalmente in due ambiti: si riferisce all’organizzazione e all’attività della PA che è tenuta a mettere a disposizione della generalità degli interessati un’ampia serie di informazioni; si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi che è principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire partecipazione e assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Quindi, così intese promuovono la verificabilità dell’attività e dunque l’imparzialità, anche in funzione di prevenzione della corruzione; inoltre, poiché consentono un controllo diffuso, fungono anche da fattore di legittimazione degli apparati amministrativi. c) Principi sull’esercizio del potere discrezionale Principio di imparzialità: consiste nel divieto di favoritismi, l’amministrazione non può essere influenzata nelle sue decisioni da interessi politici, lobby o singoli individui o imprese favoriti per ragione di amicizia o parentela; è posto a garanzia della parità di trattamento e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione; impone alle amministrazioni un vincolo giuridico che permea l’attività e l’organizzazione della PA. Principio di proporzionalità: richiede all’amministrazione di applicare in sequenza tre criteri: - idoneità: mette in relazione il mezzo adoperato con l’obiettivo da perseguire, pertanto vanno scartate tutte le misure che non sono in grado di raggiungere il fine; - necessità: mette a confronto le misure ritenute idonee e orienta la scelta su quella che comporta il minor sacrificio possibile degli interessi incisi dal provvedimento; - adeguatezza: valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario del provvedimento, gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti. Principio di ragionevolezza: è illogico, prima ancora che sproporzionato, l’impiego di un mezzo che eccede per dimensione o intensità quello strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo; assume rilievo generale nell’ambito del sindacato di legittimità dei provvedimenti amministrativi come figura sintomatica dell’eccesso di potere. Principio del legittimo affidamento: mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla PA con un suo atto o comportamento. Principio della certezza del diritto: mira a garantire un quadro giuridico stabile e chiaro, l’aggressione dell’amministrazione deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. Principio di precauzione: comporta che, quando sussistono incertezza in ordine all’esistenza o al livello di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. d) Principi sul provvedimento Principio della motivazione: l’obbligo di motivazione è il presupposto, il fondamento e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo e pertanto presidio di legalità sostanziale, poiché attraverso la motivazione il destinatario del provvedimento e il giudice amministrativo sono messi in grado di ricostruire le ragioni poste a fondamento della sua decisione. Principio di sindacabilità degli atti: gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice amministrativo. e) Principi sul procedimento Principio del contraddittorio: ogni individuo ha diritto di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio. 25 L’esecutorietà presuppone che il provvedimento emanato sia: - efficace: il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario e ha dunque natura di atto ricettizio (art. 21 bis l. 241/1990); - esecutivo: all’efficacia del provvedimento consegue la necessità che esso venga portato subito a esecuzione. d) L’inoppugnabilità Si ha allorché decorrono i termini previsti per l’esperimento dei rimedi giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo; in particolare: - l’azione di annullamento va proposta nel termine di decadenza di 60 giorni; - l’azione di nullità è soggetta a un termine di 180 giorni; - l’azione risarcitoria nel termine di 120 giorni. Esigenze di certezza e stabilità dell’assetto dei rapporti giuridici conseguenti all’emanazione di un provvedimento giustificano la previsione di termini decadenziali brevi per l’esperimento dei mezzi di tutela giurisdizionale. L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in seguito ad “acquiescenza” da parte del destinatario, che consiste in una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento. 6. Gli elementi strutturali dell’atto amministrativo. L’obbligo di motivazione 1. Soggetto: si individua in base alle norme sulla competenza, di regola si tratta di PA, ma in casi particolari anche soggetti privati titolari di poteri amministrativi i cui atti sono qualificabili come amministrativi (es. impresa privata concessionaria di un pubblico servizio che è tenuta a esprime procedure a evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi. 2. Volontà: il provvedimento è manifestazione della volontà dell’amministrazione, intesa in senso oggettivato (volontà procedimentale); i vizi della volontà non determinano in via diretta l’annullabilità del provvedimento, bensì rilevano tutt’al più in via indiretta come figura sintomatica dell’eccesso di potere. 3. Oggetto: si tratta della cosa, attività o situazione soggettiva cui il provvedimento si riferisce; l’oggetto deve essere determinato o determinabile. 4. Contenuto: si ricava dalla parte dispositiva dell’atto e consiste in ciò che con esso l’autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare; rileva soprattutto la distinzione tra contenuto vincolato e discrezionale del provvedimento; il contenuto può essere integrato con clausole accessorie che fissano prescrizioni e condizioni particolari, le quali non possono snaturare il contenuto tipico del provvedimento e devono essere coerenti con il fine publico previsto dalla legge attributiva del potere; tra gli elementi dell’atto non assume rilievo autonomo la causa, intesa come funzione economico-sociale del negozio, in quanto i poteri amministrativi sono tutti riconducibili a schemi tipici individuati per legge, ricorrono invece i “motivi”, cioè le ragioni di interesse pubblico poste alla base del provvedimento che si deducono dalla motivazione. 5. Motivazione: è la parte del provvedimento che enuncia i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisone dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria; l’obbligo di motivazione, la cui violazione può essere una causa di annullabilità, costituisce uno dei principi generali degli atti amministrativi (compensa un deficit di legittimazione democratica e promuove l’accettabilità dell’attività amministrativa); adempie a tre funzioni principali: promuove la trasparenza dell’azione amministrativa, perché rende palesi le ragioni sottostanti le scelte amministrative; agevola l’interpretazione del provvedimento; costituisce una garanzia per il soggetto privato che subisce dal provvedimento un pregiudizio, perché consente un controllo giurisdizionale più incisivo sull’operato dell’amministrazione. La motivazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale, che hanno indotto l’amministrazione a operare una determinata scelta, e deve essere possibile ricostruire in modo puntuale l’iter logico seguito dall’amministrazione per pervenire a una certa determinazione; assume importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, in quanto è lo strumento principale 26 per sindacare la legittimità, in termini di ragionevolezza e proporzionalità, delle scelte operate dall’amministrazione, mentre in quelli vincolati può essere limitata all’enunciazione dei presupposti di fatto che giustificano l’esercizio del potere. 6. Forma: l’atto amministrativo richiede di regola la forma scritta; in giurisprudenza emerge anche la nozione di provvedimento implicito, il quale si configura allorché la volontà in esso espressa sia desumibile da un comportamento concludente dell’organo o da un precedente atto del quale l’atto implicito si imponga quale unica conseguenza possibile. Per i provvedimenti amministrativi valgono le regole sull’interpretazione previste in via generale dal codice civile per l’interpretazione dei contratti, salvo alcune eccezioni come ad es. gli artt. 1370 e 1371. 7. I provvedimenti ablatori reali, i provvedimenti ordinatori e le sanzioni amministrative Le principali subcategorie dei provvedimenti aventi effetti limitativi della sfera giuridica del destinatario sono: i provvedimenti ablatori, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori. a) I provvedimenti ablatori reali Principale è l’espropriazione per pubblica utilità, in cui si manifesta il massimo grado di conflitto tra l’interesse pubblico e gli interessi privati, punto di composizione nel consentire alla PA, all’esito di un procedimento in contraddittorio, di trasferire coattivamente il diritto di proprietà dal privato all’amministrazione o al soggetto beneficiario e di attribuire al privato il diritto a un indennizzo, il quale non coincide necessariamente con il valore di mercato ma che non deve essere neppure irrisorio e, per la Corte cost., occorre far riferimento al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso secondo la legge. Altri provvedimenti sono: - l’occupazione temporanea preordinata all’espropriazione di opere dichiarate indifferibili e urgente, che consente così la presa in possesso e l’avvio immediato dei lavori nelle more della conclusione del procedimento espropriativo; - la requisizione in uso di beni mobili e immobili per periodi di tempo limitati disposta per gravi e urgenti necessità publiche, militari o civili; - le servitù pubbliche (es. di acquedotto). b) I provvedimenti ordinatori Vi rientrano gli ordini amministrativi e i provvedimenti che impongono obblighi di fare o di non fare puntuali. Ordine: l’ordine è un provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione determinata; nelle organizzazioni improntate al principio gerarchico, è lo strumento con il quale il titolare dell’organo o dell’ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida l’attività dell’organo o dell’ufficio sottordinato. Gli ordini amministrativi possono riguardare i rapporti non solo interorganici ma anche intersoggettivi tra l’amministrazione e soggetti privati; gli ordini di polizia sono emanati dalle autorità di pubblica sicurezza; altri tipi di atti hanno contenuto prescrittivo ordinatario e sono previsti in numerose leggi, specie nell’ambito di rapporti con autorità preposte alla vigilanza di categorie di imprese o a controlli su attività private. Diffida: ordine di cessare da un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, talora anche con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione, inoltre può comportare, in caso di inottemperanza, l’applicazione di sanzioni di tipo amministrativo (es. il potere attribuito in materia antitrust all’Autorità garante della concorrenza e dello mercato ove accerti una fattispecie di intesa restrittiva della concorrenza o di abuso di posizione dominante). c) Sanzioni amministrative Sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva, esse garantiscono l’effettività e l’autosufficienza degli ordinamenti speciali rispetto all’ordinamento generale, fungendo da elemento di chiusura dell’ordinamento sezionale; sono previste dalle leggi amministrative sia in caso di violazione dei precetti in esse contenuti (es. 27 sanzioni disciplinate nel Codice della strada), sia nel caso di violazione dei provvedimenti prescrittivi emanati sulla base di tali leggi (es. sanzioni previste dal Testo unico degli enti locali nel caso di violazione di regolamenti degli enti locali). Fungibilità tra sanzioni amministrative e penali: in molti casi la deterrenza delle sanzioni amministrative è accresciuta dalla previsione in parallelo, per gli stessi comportamenti, di sanzioni di tipo penale; la distinzione si basa su criteri formali, con piena libertà di scegliere il tipo di sanzione da applicare a seconda dei mutevoli indirizzi della politica legislativa volti a criminalizzare o a depenalizzare gli illeciti. Tipi di sanzioni: - pecuniarie: consistono nell’obbligo di pagare una somma di denaro determinata entro un minimo e un massimo stabiliti dalla norma; l’obbligazione pecuniaria grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito e può essere estinta tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (oblazione) entro 60 giorni dalla contestazione della violazione; - interdittive: incidono sull’attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento; - disciplinari: si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le PA (dipendenti pubblici, professionisti iscritti all’albo) e sono volte a colpire comportamenti posti in violazioni di obblighi speciali collegati allo status particolare (doveri di servizio, codici deontologici); consistono, a seconda della gravità dell’illecito: nell’’ammonizione, nella sospensione dal servizio o dall’albo per un periodo di tempo determinato, nella radiazione da un albo o nella destituzione; - accessorie: ad es. la confisca amministrativa di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o alienazione costituisca un illecito amministrativo; - ripristinatorie: sono distinte dalle sanzioni in senso proprio che hanno valenza essenzialmente repressiva e punitiva del colpevole, e hanno invece come scopo principale quello di reintegrare l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito (non vanno considerate come sanzioni amministrative in senso stretto). Le sanzioni amministrative sono applicate, di regola, soltanto nei confronti del trasgressore, in coerenza con il carattere personale delle responsabilità. La responsabilità amministrativa delle imprese e degli enti: è prevista per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, sorge direttamente in capo all’ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dagli amministratori e dipendenti, tra questi reati figurano ad es. la truffa in danno dello Stato, la concussione o il riciclaggio; comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive, alla cui applicazione provvede il giudice penale; l’ente può sottrarsi alla responsabilità solo se dimostra di aver adottato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la commissione da parte di amministratori e dipendenti dei reati, introducendo regole e procedure interne adeguate (es. organi ai quali è affidata la funzione di vigilare sull’osservanza dei modelli). 8. Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva. La SCIA (art. 19 l. 241/1990) I provvedimenti con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono essenzialmente quelli di tipo autorizzatorio. L’attività dei privati, in linea di principio, è libera, cioè è sottoposta esclusivamente al diritto comune e vale la regola che è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato, salvi i limiti generali dell’ordinamento; tuttavia, nei casi in cui l’attività dei privati può interferire o mettere a rischio un interesse della collettività, si giustificano prescrizioni e vincoli particolari. Attività libere sottoposte a vigilanza: sono quelle sottoposte ad un semplice regime di vigilanza, che può portare all’esercizio di poteri repressivi e sanzionatori nei casi in cui vengono accertate violazioni; l’attività non richiede alcuna interlocuzione preventiva con una PA e può essere considerata libera anche se è condizionata e conformata da norme di tipo amministrativo. Attività con obbligo di comunicazione preventiva: quelle per cui la legge, per agevolare i controlli effettuati dall’amministrazione, grava i privati di un obbligo di comunicare a una PA l’intenzione di intraprendere un’attività, con una comunicazione che talvolta è contestale all’avvio dell’attività mentre altre volte tra queste è previsto un termine minimo (es. promotori di una riunione in luogo pubblico devono darne avviso al questore almeno tre giorni prima). 30 indispensabile per il funzionamento di un ordinamento sociale evoluto, quella cioè di certezza pubblica; la funzione di certezza pubblica si realizza con due modalità: la tenuta e l’aggiornamento di registri, albi, elenchi pubblici nei quali certe categorie di soggetti o di beni possono essere iscritti in base a procedimenti tipizzati e in relazione al possesso di determinati requisiti; la messa a disposizione ai soggetti interessati dei dati in essi contenuti per mezzo di attestazioni e certificazioni volte a dimostrare il possesso di presupposti e requisiti richiesti ai privati per poter svolgere molte attività. In realtà sarebbero previste due modalità alternative che andrebbero preferite alle certificazioni, che sono: lo scambio d’ufficio delle informazioni rilevanti da parte delle PA senza gravare i privati dell’onere di ottenere il rilascio dei certificati, e le autocertificazioni. Atti paritetici: atti meramente ricognitivi di un assetto già definito in tutti i suoi elementi dalla norma attributiva di un diritto soggettivo. Verbalizzazioni: narrazione storico-giuridica da parte di un ufficio pubblico di atti, fatti e operazioni avvenute in sua presenza; assumono particolare rilievo in relazione alle attività deliberative degli organi collegiali; ove redatto da un p.u. il verbale fa fede delle operazioni compiute e delle dichiarazioni ricevute. Pareri e valutazioni tecniche: rientrano tra gli atti non provvedimentali, sono manifestazioni di giudizio da parte di organi o enti pubblici contenenti valutazioni e apprezzamenti in ordine a interessi pubblici secondari o a elementi di carattere tecnico che l’amministrazione titolare del potere amministrativo deve tenere in considerazione. 11. Altre classificazioni: atti collegiali, atti collettivi, atti plurimi, atti di alta amministrazione 1. Criterio della provenienza soggettiva del provvedimento: - atti semplici: casi nei quali è emanato da un organo monocratico (es. decreto del ministro); - atti complessi: casi nei quali è riconducibile alla volontà di più organi o soggetti (es. decreto interministeriale); - atti collegiali: emanati da organi formati da una pluralità di componenti designati con vari criteri (elezione, nomina), le delibere assunte dagli organi collegiali avvengono con modalità procedurali definite negli statuti o nei regolamenti dei singoli enti e amministrazioni. 2. Criterio dei destinatari del provvedimento: - atti generali: si rivolgono a classi omogenee più o meno ampie di soggetti; - atti collettivi: si indirizzano a categorie, generalmente ristrette, di soggetti considerati in modo unitario, i quali però (a differenza degli atti generali) sono già individuati singolarmente con precisione (es. scioglimento di un consiglio comunale che produce effetto nei confronti dei singoli componenti l’organo collegiale); - atti plurimi: sono rivolti a una pluralità di soggetti, ma i loro effetti (a differenza di quanto accade per gli atti collettivi) sonno scindibili in relazione a ciascun destinatario (es. decreto che dispone nei confronti di una pluralità di proprietari l’espropriazione di una serie di terreni). La distinzione tra gli ultimi due rileva in sede di tutela giurisdizionale, poiché l’impugnazione proposta da uno dei destinatari dell’atto plurimo non può andare a beneficio né intaccare la situazione giuridica soggettiva degli altri destinatari. 3. Criterio della natura della funzione esercitata e dell’ampiezza della discrezionalità: - atti politici: atti liberi nel fine e emanati da un organo costituzionale nell’esercizio di una funzione di governo (es. deliberazioni del Consiglio dei ministri che approvano un decreto legge); - atti di alta amministrazione: atti del governo che hanno natura amministrativa anche se caratterizzati da un’amplissima discrezionalità (es. i provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei ministeri); operano un raccordo tra la funzione di indirizzo politico e la funzione amministrativa, devono essere motivati e sono impugnabili dinnanzi al giudice amministrativo, il quale però esercita un sindacato debole, limitato a rilevare le violazioni macroscopiche dei principi che presiedono all’esercizio del potere discrezionale. 31 12. L’invalidità dell’atto amministrativo Si ha invalidità allorché la difformità tra atto e norme determina una lesione di interessi tutelati da queste ultime e incide sull’efficacia del primo in modo più o meno radicale, sotto forma di nullità o di annullabilità (disciplina contenuta nella l. 241/1990). Distinzione tra: - norme che regolano una condotta: impongono obblighi comportamentali o attribuiscono diritti; i comportamenti in violazione sono qualificabili come illeciti e contro di essi l’ordinamento reagisce in vario modo (sanzioni penali, risarcimento, ecc.); - norme che conferiscono poteri: conferiscono poteri (es. fare testamento) e regolano le procedure, i presupposti e i limiti all’esercizio di poteri volti alla produzione di effetti giuridici; gli atti posti in essere in violazione sono qualificabili come invalidi e contro di essi l’ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L’invalidità può essere definita come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale, può essere sanzionata, in funzione della gravita della violazione, secondo due modalità: - nullità: l’inidoneità dell’atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell’ordinamento; è prevista solo in poche ipotesi tassative; - annullamento: l’inidoneità a produrre gli effetti giuridici tipici in via precaria, cioè finché non intervenga un giudice che, accertata l’invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti; regime ordinario riguardo la violazione delle norme attributive del potere. L’annullabilità come regime ordinario (al contrario del diritto privato) si spiega in coerenza con la logica nel diritto amministrativo della legalità e della tipicità, in quanto le norme attributive del potere, in quanto finalizzate a tutelare un interesse pubblico e a garantire i soggetti destinatari del provvedimento, hanno di regola carattere cogente, non possono cioè essere derogate o disapplicate dall’amministrazione, pertanto sanzionare con la nullità ogni difformità tra provvedimento e norma attributiva del potere costituirebbe una reazione spropositata da parte dell’ordinamento. L’invalidità può essere: - totale: investe l’intero atto; - parziale: investe solo una parte dell’atto, lasciando inalterata la validità e l’efficacia della parte non affetta dal vizio. Di regola si ritiene applicabile al provvedimento il principio enunciato dall’art. 159 c.p.c., secondo il quale l’invalidità di una parte dell’atto si estende alle altre parti solo ove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. L’invalidità di un provvedimento può essere: - propria o derivata: nel primo caso assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto, nel secondo l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto presupposto (es. l’illegittimità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di aggiudicazione). L’invalidità derivata può essere di due tipi: a effetto caducante, quando travolge in modo automatico l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; a effetto invalidante, quando l’atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato. L’effetto caducante si verifica in presenza di un rapporto di stretta causalità tra i due atti, in cui il secondo costituisce una mera esecuzione del primo; se invece l’atto successivo non costituisce una mera conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori apprezzamenti che segnano una discontinuità fra due atti, l’invalidità derivata ha soltanto un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve essere fatta valere attraverso l’impugnazione autonoma di quest’ultimo. - originaria o sopravvenuta: è sopravventa nei casi di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Altre considerazioni generali sull’invalidità del provvedimento: - la giurisprudenza interpreta la formula “eccesso di potere” come “sviamento di potere”, cioè casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere; - nel silenzio della legge la giurisprudenza ha individuato ipotesi nelle quali il provvedimento è affetto da deviazioni abnormi dalla norma attributiva del potere o è emanato in assenza di una 32 base legislativa, in presenza di tali vizi il provvedimento perde il carattere imperativo e non è in grado di travolgere i diritti soggettivi. La teoria dei vizi del provvedimento nel nostro ordinamento è stata condizionata dalla questione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo fondato sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, pertanto la prospettiva in cui ci si è posti è stata quella dell’incidenza del provvedimento invalido fondato sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, ed in questo contesto è stata elaborata la distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell’amministrazione: - i “meri comportamenti”: assunti in violazione di una norma di relazione, cioè lesivi di un diritto soggettivo e ascrivibili alla categoria della illiceità; - i “comportamenti senza potere”: nei quali il collegamento funzionale tra provvedimento invalido e l’attività materiale esecutiva posta in essere dall’amministrazione integra una violazione della norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo confluire l’intera fattispecie nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. 13. L’annullabilità L’atto amministrativo affetto da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge è qualificato come illegittimo e pertanto suscettibile di annullamento; le conseguenze dell’annullamento, cioè il venir meno degli effetti del provvedimento con efficacia retroattiva (ex tunc) non cambiano in relazione al tipo di vizio accertato; l’annullamento elimina l’atto e i suoi effetti in modo retroattivo e l’amministrazione ha l’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato il destinatario dell’atto ove questo non fosse stato emanato. Ciò che varia in funzione del tipo di vizio è l’effetto conformativo dell’annullamento, cioè il vincolo che sorge in capo all’amministrazione nel momento in cui essa emana un nuovo provvedimento sostituivo di quello annullato; da questo punto di vista la distinzione più rilevante è tra “vizi formali” e “vizi sostanziali”: - se il vizio accertato ha natura formale o procedurale, non è da escludere che l’amministrazione possa emanare un nuovo atto dal contenuto identico rispetto a quello dell’atto annullato; - se il vizio ha natura sostanziale (come la mancanza di un presupposto o di un requisito posto dalla norma attributiva del potere o un eccesso di potere per travisamento dei fatti) l’amministrazione non potrà reiterare l’atto annullato. Sul versante processuale, conto il provvedimento (affetto dai tre vizi) può essere proposta l’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo nel termine di decadenza di 60 giorni; l’annullabilità non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma può essere pronunciata solo in seguito alla domanda proposta nel ricorso. a) L’incompetenza È un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un soggetto diverso da quello indicato dalla norma attributiva del potere, è dunque un vizio che attiene all’elemento soggettivo dell’atto. Si distingue tra incompetenza: - relativa: quando l’atto è emanato da un organo che appartiene alla stessa branca, settore o plesso organizzativo dell’organo titolare del potere; - assoluta: quando sussiste un’assoluta estraneità sotto il profilo soggettivo e funzionale tra l’organo che ha emanato l’atto e quello competente; determina nullità o carenza di potere (difetto di attribuzione). Sul piano descrittivo il vizio di incompetenza può essere: - per materia: attiene alla titolarità della funzione (es. materie urbanistica e commerciale hanno ambiti di disciplina contigui); - per grado: attiene all’articolazione interna degli organi negli apparati organizzati secondo il criterio gerarchico (es. organizzazioni di polizia); - per territorio: attiene agli ambiti nei quali gli enti territoriali o le articolazioni periferiche degli apparati statali possono operare (es. le prefetture di due province contigue). 35 a) L’annullamento d’ufficio Annullamento doveroso: può essere pronunciato dal giudice amministrativo, dalla stessa amministrazione in sede di riesame dei ricorsi amministrativi e dagli organi amministrativi preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti, è doveroso e deve essere necessariamente pronunciato ove sia accertato un vizio. L’annullamento d’ufficio ha invece carattere discrezionale e costituisce una delle manifestazioni del potere di autotutela della PA, il potere può essere esercitato dallo stesso organo che ha emanato l’atto o da altro organo al quale sia attribuito per legge; può essere esercitato in quattro presupposti esplicitati dall’art. 21 nonies l. 241/1990: 1. che il procedimento sia illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies, dunque affetto da un vizio di violazione di legge, di incompetenza o eccesso di potrete, non deve però ricadere in una delle ipotesi di vizi formali di cui al c.2; 2. devono sussistere delle ragioni di interesse pubblico, rimesse alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell’atto e dei suoi effetti piuttosto che la loro conservazione, pur in presenza di un’illegittimità accertata; l’interesse astratto al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l’amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento in cui è disposto l’annullamento dell’ufficio; 3. è richiesta una ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione; devono essere valutati, oltre all’interesse pubblico all’annullamento, quello del destinatario del provvedimento e quello degli eventuali controinteressati; 4. deve tener conto del fattore temporale, per cui l’annullamento può essere disposto entro un termine ragionevole rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione, in quanto se è trascorso troppo tempo dall’emanazione del provvedimento illegittimo, prevale l’interesse a mantenere inalterato lo status quo e a tutelare l’affidamento creato. b) La convalida È in alternativa all’annullamento d’ufficio, la PA vi può procedere sempre in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole; è espressione del principio generale della conservazione dei valori giuridici, attraverso l’eliminazione del vizio dal quale è affetto il provvedimento, ed è disposta dalla stessa amministrazione cui è imputabile il vizio rilevato e opera retroattivamente. c) La sanatoria Casi in cui l’atto emanato in carenza di un presupposto e quest’ultimo si materializza in un momento successivo, oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo. d) La conferma e l’atto confermativo All’esito di un procedimento di riesame aperto su sollecitazione di un privato o d’ufficio e dell’istruttoria, l’amministrazione può convincersi che il provvedimento non è affetto da alcun vizio, in questi casi emana un provvedimento di conferma; si distingue tra: conferma, che costituisce un provvedimento autonomo dal contenuto identico rispetto a quello oggetto del riesame; atto meramente confermativo, con il quale l’amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non vi sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova istruttoria. e) La conversione Ai provvedimenti nulli e annullabili si ritiene applicabile la conversione sulla falsariga del modello civilistico. f) La revoca Anche i provvedimenti validi sono passibili di un riesame che ha invece per oggetto il merito, cioè la loro conformità all’interesse pubblico; la revoca è una manifestazione del potere di autotutela della PA, tale potere è discrezionale ed è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provvedimento, esigenza che è ritenuta prevalente rispetto a quella di tutela degli affidamenti creati. 36 L’art. 21 quinquies, l. 241/1990, pone una disciplina generale precisandone presupposti ed effetti; la disposizione distingue due fattispecie: - revoca per sopravvenienza: si ha in due ipotesi tipizzate: la prima è “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, che interviene allorché l’amministrazione opera una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di fattori ed esigenze sopravvenuti, cioè assenti nel momento in cui l’atto era stato emanato; la seconda è “per mutamento della situazione di fatto” non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, ipotesi sovrapponibile all’altra in quanto l’esigenza di rivalutare l’interesse pubblico dipende spesso da mutamenti della situazione di fatto; - revoca jus poenitendi: riguarda l’ipotesi di una nuova valutazione dell’interesse pubblico, nei casi in cui l’amministrazione si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi nel momento in cui ha emanato il provvedimento. La revoca può essere disposta dallo stesso organo che ha emanato l’atto ovvero da altro organo previsto dalla legge e determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti (ex nunc); di regola ha per oggetto provvedimenti a efficacia durevole, ma può riguardare anche atti aventi efficacia istantanea nei casi in cui incidano su rapporti negoziali; non sono suscettibili di revoca: i provvedimenti che hanno già esaurito gli effetti o siano stati interamente eseguiti, gli atti vincolati, le certificazioni e le valutazioni tecniche, ed è previsto un obbligo di indennizzo nei casi in cui la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati. La revoca va distinta da: - revoca sanzionatoria: può essere disposta dall’amministrazione nel caso in cui il privato, destinatario di un provvedimento favorevole, non rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti oppure non intraprenda l’attività oggetto del provvedimento entro il termine previsto; - mero ritiro: ha per oggetto atti amministrativi non ancora efficaci, può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica dell’interesse pubblico e degli interessi dei destinatari del provvedimento, ciò perché non ha ancora inciso in modo diretto su situazioni giuridiche soggettive di soggetti terzi. g) Il recesso dai contratti È ammesso solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto, riguarda l’attività negoziale di diritto privato della PA. 37 CAP. 5 IL PROCEDIMENTO 1. Nozione e funzione del procedimento Il procedimento amministrativo è dato dalla sequenza di atti e operazioni posti in essere in vista dell’emanazione di un provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica di un soggetto privato. Le principali ricostruzioni offerte dalla dottrina: 1. Opera un’analisi formale e strutturale degli atti e delle operazioni della sequenza procedimentale e delle fasi in cui questa è articolata (preparatoria, costituiva, integrativa dell’efficacia). 2. Colloca il procedimento all’interno della dinamica del potere, cioè come momento della concretizzazione del potere in un atto, ovvero della trasformazione del potere (in astratto) in un atto produttivo di effetti nella sfera giuridica di un determinato soggetto (potere in concreto). 3. Ricostruzione volta a mettere in luce la connessione con la discrezionalità amministrativa che emerge come sviluppo e integrazione dell’approccio formale e strutturale: per poter operare una scelta corretta, tutti i fatti e gli interessi rilevanti devono essere, prima ancora che valutati e ponderati, acquisiti all’interno del procedimento dall’organo decidente; la sequenza delle operazioni e degli atti previsti dalle singole leggi serve, quindi, soprattutto a immettere in modo strutturato nel processo decisionale gli interessi più rilevanti. Il procedimento assolve a una pluralità di funzioni: 1. Consentire un controllo sull’esercizio del potere attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e delle operazioni normativamente predefinita; la legalità assume così una dimensione procedimentale, oltre che sostanziale. 2. Far emergere e dar voce agli interessi incisi dal provvedimento, sia nell’interesse dell’amministrazione che può così colmare le asimmetrie informative, sia nell’interesse dei soggetti privati che hanno la possibilità di rappresentare il proprio punto di vista; la partecipazione acquista così una dimensione collaborativa. 3. Garanzia del contraddittorio, il quale connota in senso giustiziale il procedimento e può assumere una dimensione verticale o orizzontale: la prima si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l’amministrazione titolare del potere e il destinatario diretto dell’effetto giuridico restrittivo; nella seconda l’amministrazione deve essere parte imparziale, deve cioè curare l’interesse pubblico di cui essa è portatrice e garantire la posizione della parte privata portatrice di un interesse contrapposto. 4. Fungere da fattore di legittimazione del potere amministrativo e di promuovere la democraticità dell’ordinamento amministrativo: il procedimento, aperto alla partecipazione di tutti i soggetti interessati, diviene la sede nella quale si individua la regola per il caso concreto dettata dal provvedimento. 5. Promuovere il coordinamento tra più amministrazioni nei casi in cui un provvedimento vada ad incidere su una pluralità di interessi pubblici curati da ciascuna di esse; questa funzione ha assunto un peso crescente in un modello di organizzazione dei pubblici poteri improntato al pluralismo (amministrazioni statali, regionali, locali, ecc.); sono previsti sia modelli di coordinamento debole (es. parere obbligatorio non vincolante) sia modelli di coordinamento forte (es. parere vincolante, concerto, ecc.). Il procedimento assolve dunque a più funzioni, spesso compresenti nella singola fattispecie e, di volta in volta, a seconda del tipo di procedimento, può prevalere l’una o l’altra funzione. 2. Le leggi generali sul procedimento e la l. 241/1990 La l. 241/1990 è una legge soprattutto di principi (molti dei quali già affermati dalla giurisprudenza amministrativa) senza la pretesa di porre una disciplina esaustiva di tutti gli istituti, infatti non contiene né una definizione di procedimento, né una disciplina organica delle singole fasi in cui esso si articola, ma disciplina alcuni istituti fondamentali e fornisce una cornice generale che integra tutte le leggi amministrative settoriali che disciplinano, anche con norme derogatorie o speciali, i singoli procedimenti. Il campo di applicazione è individuato sulla base di un criterio soggettivo e oggettivo: - soggettivo: si applica alle amministrazioni statali, agli enti pubblici nazionali e alle società con prevalente capitale pubblico limitatamente alle attività che si sostanziano nell’esercizio delle 40 In caso di annullamento del provvedimento negativo, l’amministrazione in sede di emanazione di un nuovo atto sostituivo di quello annullato, non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato, ciò come incentivo a riversare nel provvedimento tutte le risultanze istruttorie, a garanzia del privato di fronte al rischio di dinieghi ripetuti di provvedimenti favorevoli fondati su ragioni ostative non esplicitate in precedenza. Esiti dell’istruttoria: di norma il responsabile del procedimento non adotta il provvedimento finale, ma trasmette tutti gli atti corredati di relazione all’organo competente a emanare il provvedimento finale, il quale deve attenersi alle risultanze dell’istruttoria e può discostarsene solo indicando le ragioni. c) La conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi Conclusa l’istruttoria, l’organo competente a emanare il provvedimento assume la decisione sulla base del materiale acquisito al procedimento e, se il potere ha natura discrezionale, della ponderazione degli interessi. Termine: il provvedimento deve essere emanato entro il termine stabilito per lo specifico procedimento; l’art. 2: pone una disciplina generale e completa, in quanto si applica là dove manchino disposizioni legislative speciali in tema di termini di conclusione del procedimento e perché l’applicazione della medesima vale per tutte le fattispecie di procedimenti; rimette a ciascuna PA, nei casi in cui i termini non siano già stabili per legge, l’obbligo di individuarli per ciascun tipo di procedimento con propri atti di regolazione e di renderli pubblici, e di regola la durata massima non deve superare i 90 giorni, inoltre pone un termine generale residuale (breve) di 30 giorni; dà corpo al “principio della certezza del tempo dell’agire amministrativo”, il quale risponde sia all’esigenza dell’amministrazione alla cura sollecita dell’interesse pubblico di cui è portatrice, sia a quella dei soggetti privati che dovrebbero poter programmare le proprie attività facendo affidamento sulla tempestività nell’adozione degli atti amministrativi necessari per intraprenderla. Il termine può essere sospeso per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di necessità di acquisire informazioni o certificazioni; accanto ai termini relativi alla conclusione del procedimento individuati dalla l. 241/1990 (termini finali), le leggi e i regolamenti che disciplinano i singoli procedimenti prevedono talora termini endoprocedimentali relativi ad adempimenti posti a carico dei soggetti privati o relativi ad atti attribuiti alla competenza di altre amministrazioni; i termini hanno di regola natura “ordinatoria”, perché la loro scadenza non fa venir meno il potere di provvedere, né rende illegittimo il provvedimento finale emanato in ritardo, ma solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come “perentorio” e a pena di decadenza, il provvedimento tardivo è considerato viziato. Oltre all’inefficacia, il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può provocare anche altre conseguenze come la responsabilità del funzionario e la responsabilità dirigenziale (fino anche a quella penale); inoltre può costituire anche motivo per l’esercizio del potere sostituivo da parte del dirigente sovraordinato. L’inosservanza del termine può anche far sorgere l’obbligo di risarcire il danno cagionato al privato, definito come comportamento che genera incertezza che prescinde del tutto dalla spettanza o meno del bene della vita sotteso all’interesse legittimo, così, il tempo dell’agire amministrativo costituisce dunque un bene della vita autonomo da quello correlato all’esercizio del potere. Silenzio: il problema si pone quando l’amministrazione non conclude il procedimento entro il termine previsto e la situazione di inerzia si protragga nel tempo, per risolverlo la l. 241/1990 pone due regimi del silenzio significativo: - silenzio-diniego: il decorso del termine di conclusione del procedimento produce un effetto giuridico ex lege di diniego dell’istanza; le fattispecie aventi valore di diniego sono previste tassativamente dalla legge; - silenzio-assenso: il decorso del termine di conclusione del procedimento produce un effetto giuridico ex lege di accoglimento; le fattispecie avanti valore di assenso sono più numerose e il loro campo di applicazione è definito dall’art. 20, cc. 1 e 3; il silenzio-assenso ha valore provvedimentale, ciò determina due conseguenze: il silenzio può essere oggetto di provvedimenti di autotutela sotto forma di revoca e di annullamento d’ufficio, e può essere impugnato davanti al giudice amministrativo. Tale regime ha dei difetti: poiché esso può 41 applicarsi anche a provvedimenti discrezionali, la valutazione di interessi pubblici nei casi di inerzia assoluta non viene operata; inoltre, dal punto di vista del soggetto privato che ha presentato l’istanza, il silenzio-assenso non soddisfa l’esigenza di certezza in relazione allo svolgimento di attività sottoposte a controllo pubblico; infine, il silenzio-assenso non si forma se non sono presenti tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge. Accordi: modalità alternativa di conclusione del procedimento che la legge tende a favorire, infatti prevede che laddove occorra valutare e ponderare più interessi, di regola, è preferibile la composizione negoziata a quella imposta; l’accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è finalizzato a ricercare un miglior contemperamento tra l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione procedente e l’interesse del privato; può essere promosso dal privato, il quale può prestare osservazioni e proposte in sede di partecipazione al procedimento, facendo comunque salvi i diritti dei terzi che potrebbero contestare i contenuti proponendo un’azione di annullamento, tuttavia l’amministrazione non è obbligata a concludere accordi integrativi o sostituivi con i privati e può sempre optare per il provvedimento unilaterale non negoziato. Gli accordi possono essere integrativi o sostituivi del provvedimento: - integrativi: servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale che viene emanato in attuazione dell’accordo, il provvedimento mantiene la sua configurazione di atto unilaterale produttivo di effetti (e pongono la questione se il mancato o parziale recepimento dei suoi contenuti nel provvedimento finale renda quest’ultimo illegittimo); - sostituitivi: gli effetti giuridici si producono in via diretta con conclusione dell’accordo, senza necessità di un atto formale di recepimento, tuttavia devono essere preceduti da una determinazione dell’organo competente per l’adozione del provvedimento la quale autorizza e stabilisce i limiti della negoziazione. L’amministrazione, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può recedere dall’accordo, anche se non espressamente previsto in questo (il recesso ha cioè fonte legale). 7. Procedimenti semplici, complessi, collegati. Il subprocedimento I procedimenti possono avere una struttura semplice o complessa a seconda del loro oggetto, del numero e della natura degli interessi pubblici e privati incisi e dalla necessità di coinvolgere una pluralità di amministrazioni; si spazia tra due estremi: - procedimenti autorizzatori semplici: nei quali la sequenza procedimentale consiste soltanto in una domanda o istanza, in un’istruttoria limitata a poche verifiche documentali e in una decisione affidata a un’unica autorità; - procedimenti complessi: i quali richiedono accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali e locali. Molto spesso sono articolati al loro interno in “subprocedimenti” sequenziali, ciascuno avente un’unità funzionale autonoma; talvolta si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche soggettive, producono cioè effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all’effetto giuridico primario riferibile al provvedimento assunto a conclusione del procedimento. Anche per i procedimenti (come per i provvedimenti) sono state elaborate varie classificazioni: 1. di primo grado: finalizzati all’emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti esterni alla cura di un interesse pubblico; 2. di secondo grado: hanno per oggetto provvedimenti già emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l’interesse pubblico; - finali: funzionali alla cura immediata di interessi pubblici nei rapporti esterni con i soggetti privati; - strumentali: hanno una funzione prevalentemente organizzatoria e riguardano principalmente la gestione del personale e delle risorse finanziarie; • in senso proprio: si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina nella legge o in una fonte normativa in senso proprio; • interni all’amministrazione: riguardano invece atti e adempimenti interni all’amministrazione che sono previsti da regole di tipo organizzativo. 42 8. La conferenza di servizi e altre forme di coordinamento La conferenza dei servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta interessate che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il loro punto di vista e, nel caso di conferenza decisoria, anche a deliberare; i rappresentanti delle amministrazioni sono chiamati a un confronto e ad operare una valutazione dell’interesse pubblico affidato alla cura di ciascuna di esse in connessione con gli altri interessi pubblici curati dalle altre amministrazioni che partecipano alla conferenza. La l. 241/1990 distingue tre tipi di conferenza di servizi: 1. Istruttoria: è sempre facoltativa e ha la funzione di promuovere un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento singolo o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti medesime attività o risultati; nel caso di procedimento attribuito alla competenza di una sola amministrazione, la conferenza di servizi istruttoria serve a raccogliere in un unico contesto, e con il confronto di tutti gli uffici interni interessati, gli elementi istruttori utili che sapranno posti poi alla base della decisione finale adottata dall’organo competente a emanare il provvedimento finale; nel caso di conferenza di servizi interprocedimentale la convocazione è operata di regola dall’amministrazione che cura l’interesse pubblico prevalente. Le posizioni espresse in sede di conferenza non possono poi essere disattese, in base a un principio di coerenza, in sede di emanazione dei singoli atti. 2. Decisoria: modulo procedimentale volto a sostituire i singoli atti volitivi e valutativi delle amministrazioni competenti a emanare intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati, che devono essere acquisiti per legge da parte dell’amministrazione procedente; è convocata dall’amministrazione procedente nei casi in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo autorizzatorio che condizionano l’avvio di un’attività; si conclude con un verbale nel quale sono riportate le posizioni espresse da ciascuna amministrazione partecipante e, sulla base del verbale, l’amministrazione procedente assume una determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti. La conferenza non può essere qualificata come un organo collegiale competente a emanare una determinazione unitaria, ma ogni atto di assenso mantiene la propria autonomia quanto a imputazione all’amministrazione di riferimento, e non è inquadrabile neppure nella figura dell’accordo tra le PA. Di regola si svolge in forma semplificata, cioè in modalità asincrona, in cui l’amministrazione procedente acquisisce entro termini stabiliti (pena il silenzio-assenso) le determinazioni motivate di competenza delle altre amministrazioni e la conferenza si conclude con una determinazione motivata; nel caso di determinazioni di particolare complessità è convocata in forma simultanea e con modalità sincrona, cioè convocando una riunione alla quale sono invitate tutte le amministrazioni interessate. La conferenza deve concludersi entro 45 giorni e gli aspetti più rilevanti sono due: la partecipazione obbligatoria di tutte le amministrazioni invitate i cui rappresentanti devono essere muniti dei poteri necessari per assumere determinazioni vincolanti, la quale assenza determina un effetto di silenzio-assenso in relazione all’atto attribuito alla competenza dell’amministrazione non partecipante; la determinazione finale motivata adottata dall’amministrazione procedente è formulata sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti, espressione intesa in senso qualitativo di voto e non quantitativo, e in caso di approvazione unanime la determinazione è immediatamente efficace. 3. Preliminare: può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi; il privato sottopone uno studio di fattibilità alle amministrazioni competenti a rilasciare gli atti autorizzativi, i pareri e le intese ancor prima di presentare formalmente le istanze necessarie. Accanto alla conferenza di servizi, l’ordinamento prevede altre forme di coordinamento: - accordo di programma: disciplinato dal TU sull’ordinamento degli enti locali, è finalizzato alla definizione e attuazione di opere, interventi o programmi di intervento che coinvolgono una pluralità di amministrazioni; - accordi tra PA: previsti dalla l. 241/1990 come strumenti per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, l’oggetto è definito in modo generico e consente dunque di coprire un’amplissima gamma di situazioni nelle quali le amministrazioni si trovino a interagire; - autorizzazione unica: nella quale confluiscono una pluralità di atti di assenso attribuiti alla competenza di più amministrazioni; 45 Permesso a costruire (art. 20 d.p.r. 380/2001 “TU in materia di edilizia”): il procedimento si apre con la presentazione allo sportello unico per l’edilizia del comune di una domanda sottoscritta dal proprietario, corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali e da altra documentazione tecnica; entro 10 giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento, il quale questo cura l’istruttoria acquisendo pareri ed eventuali altri atti di assenso; all’esito dell’istruttoria, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento, valutata la conformità del progetto alla normativa applicabile, formula una proposta al dirigente del servizio, il quale nei successivi 30 giorni rilascia il permesso a costruire (trascorso il termine silenzio-assenso). Valutazione di impatto ambientale (artt. 19 e ss. d.lgs. 152/2006): la VIA deve essere avviata da chi intende realizzare progetti con impatto elevato sul territorio; il procedimento si articola in una pluralità di fasi: si apre con una prima istanza all’autorità competente a valutare uno studio preliminare ambientale, la quale viene pubblicata cosicché tutti gli interessati possano presentare osservazioni e di tale pubblicazione devano essere informate tutte le amministrazioni e gli enti territoriali potenzialmente interessati; all’esito di questa prima fase (di screening) l’autorità stabilisce se il progetto debba essere o meno assoggettato alla VIA, a questo punto il proponente presenta un’altra istanza corredata di tutta la documentazione necessaria; entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza chiunque può prendere visione della documentazione e presentare osservazioni e l’autorità competente può anche indire una consultazione pubblica; entro 60 giorni dalla conclusione della fase di consultazione, nel caso di provvedimenti di competenza statale, l’autorità competente propone al ministero per l’Ambiente e della Tutela del territorio l’adozione del provvedimento di VIA, il quale questo deve essere motivato e può prevedere misure e condizioni volte a mitigare e compensare gli impatti ambientali. d) I procedimenti concorsuali Nei procedimenti di tipo competitivo o concorsuale valgono alcuni principi generali: la pubblicità, che consente a tutti i potenziali interessati di avere notizia della procedura; la parità di trattamento, che mira a porre sullo stesso piano tutti gli aspiranti; la trasparenza della procedura, che consente un controllo sulla corretta applicazione dei criteri di selezione; l’oggettività dei criteri, che richiede parametri e criteri che limitano la discrezionalità. e) L’accesso ai documenti amministrativi La richiesta di accesso va presentata a una PA e può riferirsi soltanto a documenti “individuati” e già “formati”; due modalità di accesso: - informale: si può avere quando non vi siano soggetti controinteressati per i quali si ponga un problema di riservatezza, la richiesta può essere anche verbale ed è accolta semplicemente mediante l’esibizione del documento o l’estrazione di una copia; - formale: necessari nei casi in cui l’amministrazione riscontri l’esigenza di potenziali controinteressati o quando sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente sotto il profilo dell’interesse o sull’accessibilità di un documento in relazione alle norme sull’esclusione; la richiesta va presentata anche in via telematica e deve indicare gli estremi del documento, inoltre deve essere motivata sotto il profilo dell’interesse diretto, concreto e attuale connesso all’oggetto della richiesta; il procedimento prevede una fase di contraddittorio con i soggetti controinteressati ai quali l’amministrazione deve dare comunicazione della richiesta presentata con l’assegnazione di un termine di 10 giorni per l’eventuale presentazione di un’opposizione motivata; l’accesso è gratuito e consiste nell’esame dei documenti, di prenderne appunti, trascrizione o copia; il provvedimento che rifiuta, limita o differisce l’accesso deve essere motivato, l’atto di accoglimento indica l’ufficio e il periodo di tempo (almeno 15 giorni) concesso per prendere visione o per ottenere copia dei documenti; contro il diniego può essere proposto un ricorso giurisdizionale entro 30 giorni innanzi al giudice amministrativo. Il differimento dell’accesso: si giustifica nei casi in cui l’accesso possa compromettere, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, il buon andamento dell’azione amministrativa, fermo restando che una volta concluso il procedimento non vi è alcuna ragione per non rendere disponibile agli interessati l’intera documentazione. L’accesso civico: si caratterizza per il fatto di non richiedere la titolarità di una situazione giuridica soggettiva in capo al richiedente; la richiesta non riguardante documenti la cui pubblicazione è 46 obbligatoria deve essere comunicata a eventuali controinteressati che possono presentare un’opposizione motivata; il procedimento deve concludersi nel termine di 30 giorni. 47 CAP. 6 I CONTROLLI 1. Premessa Il controllo è definito come un giudizio di conformità a regole che comporta, in caso di difformità, una misura repressiva o preventiva o rettificativa; i principali criteri per inquadrare le tipologie dei controlli sono: - il soggetto titolare del potere di controllo: è principio generale che esso sia posto in una posizione di indipendenza e terzietà rispetto al destinatario del controllo; talvolta il soggetto titolare del potere di controllo è posto in una posizione di sovraordinazione rispetto al destinatario del controllo, ma di regola l’organo titolare della funzione di controllo si colloca al di fuori della catena di comando in senso proprio ed è considerato titolare di una funzione di supporto ausiliaria all’organo decisionale; (la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, fa parte degli organi ausiliari del governo ed è composta da magistrati assunti in massima parte per concorso); - i destinatari dei controlli: possono far parte della medesima organizzazione nella quale è incardinato l’organo di controllo (controllo interno), oppure possono appartenere a un soggetto diverso (controllo esterno); destinatari dei controlli esterni di tipo amministrativo possono essere sia soggetti pubblici sia soggetti privati che svolgono determinate attività, si parla in proposito di funzione di vigilanza attribuita a organi appositamente costituti, e tale funzione include una serie più o meno ampia di poteri istruttori e decisori; - l’oggetto del controllo: può essere costituito da singoli atti emanati dall’amministrazione (controllo sugli atti), oppure dal complesso dell’attività posta in essere da un apparato e dai risultati conseguiti (controlli di legittimità); nel diritto amministrativo la distinzione più rilevante è quella fra “controllo di legittimità” e “controllo di merito”: il primo ha come riferimento norme e principi giuridici che presiedono all’attività delle PA; il secondo involge un apprezzamento diretto del grado di soddisfazione dell’interesse pubblico; - le misure che possono essere adottate all’esito del controllo: ordini di adeguamento o di ripristino dello standard violato, annullamento o riforma di atti, sanzioni, esercizio del potere sostitutivo, scioglimento dell’organo. 2. I controlli sugli atti e sull’attività Il controllo sugli atti rappresenta una forma di verifica che limita l’autonomia dell’ente o dell’organo competente; può essere preventivo o successivo a seconda che venga esercitato prima o dopo che l’atto abbia prodotto i suoi effetti; può essere di legittimità o di merito a seconda che l’organo di controllo faccia riferimento a parametri normativi e principi giuridici, oppure a canoni più generali di opportunità e convenienza. In caso di esito negativo il controllo di legittimità preclude all’atto di produrre i suoi effetti, se si tratta di controllo preventivo, mentre determina l’annullamento dell’atto con la rimozione degli effetti ex tunc, se si tratta di controllo successivo; se il controllo è di merito l’autorità che lo esercita può riformare direttamente l’atto oppure indirizzare all’autorità emanante una richiesta di riesame. Il controllo sull’attività ha per oggetto la gestione di un apparato considerata nel suo complesso e mira a valutarne i risultati globali, si tratta di un controllo di tipo successivo che riguarda la regolarità contabile e finanziaria della gestione e l’efficienza, l’efficacia e l’economicità. A livello centrale, in attuazione dell’art. 100, c.2, C., la Corte dei conti esercita il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle PA, verifica cioè la legittimazione e la regolarità delle gestioni, accertando la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge e valuta comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’attività amministra; inoltre verifica anche il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione, creando un legame tra controlli interni ed esterni. 3. I controlli gestionali Costituiscono la specie principale di controlli interni alle PA; il d.lgs. 286/1999 individua quattro tipi di controllo interno obbligatori per tutte le PA statali e non statali: 1. Di regolarità amministrativa e contabile: è volto a garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa; è affidato, a seconda del tipo di amministrazione, agli uffici di ragioneria (ministeri), agli organi di revisione (enti locali), ai servizi ispettivi di finanza; 50 senza l’esercizio delle funzioni o poteri attribuitegli, deve trattarsi cioè di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente da parte dell’amministrazione, rientrando nella normalità statistica che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali. Il potere discrezionale incontra un limite, non soltanto nelle disposizioni di legge e di regolamento che prescrivono determinate modalità di comportamento, ma anche nelle comuni regole di diligenza e prudenza, cioè l’amministrazione nell’operare le scelte discrezionali è tenuta al rispetto del principio generale del neminem laedere. 4. La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi La sent. 500/1999 prevede, per l’applicazione dell’art. 2043 c.c., che non ha più rilievo la qualifica formale della situazione giuridica del danneggiato in termini di diritto soggettivo, ma è sufficiente che sia riscontrabile la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, e tale è un danno ingiusto, indipendentemente dalla qualifica di questo in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo; diventa importante stabilire in quali casi l’interesse è giuridicamente rilevante, operando una valutazione e comparazione tra gli interessi in conflitto alla stregua del diritto positivo e accertando con quale consistenza e intensità l’ordinamento tutela l’interesse del danneggiato; pertanto non tutti gli interessi legittimi sono risarcibili, ma bisogna appurare se per effetto del procedimento illegittimo risulti leso l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla: - nel caso degli interessi legittimi oppositivi, la connessione con un bene della vita, cioè la conservazione del bene o della situazione di vantaggio di fronte a un provvedimento che mira a sacrificarlo o a limitarlo, è in re ipsa; - nel caso degli interessi legittimi pretensivi, la cui lesione può derivare sia del diniego illegittimo del provvedimento favorevole richiesto, sia dal ritardo ingiustificato nell’adozione di questo, il collegamento con il bene della vita richiede un giudizio prognostico da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno dell’istanza onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa (non tutelabile), bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva, cioè di una situazione che era destinata ad un esito favorevole e quindi giuridicamente protetta; il risarcimento è commisurato alla perdita di chance nei casi in cui non sia possibile accertare in termini di certezza assoluta, ma soltanto di probabilità, l’acquisizione o la conservazione del bene della vita in capo al titolare dell’interesse legittimo ove il potere fosse stato esercitato in modo legittimo. Quindi, la linea di confine tra risarcibilità e irrisarcibilità non è più tracciata dalla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, ma è costituita dell’esistenza o meno della lesione di un bene della vita accertata attraverso il giudizio prognostico. Altri criteri per stabilire se un provvedimento illegittimo è riconducibile allo schema dell’art. 2043 c.c.: - l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento non integra in modo automatico il requisito della colpa, ma è richiesta la verifica che l’illegittimità riscontrata derivi dalla violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che si impongono come limiti esterni alla discrezionalità, il giudice deve cioè valutare le ragioni che hanno determinato l’illegittimità; - la colpa va riferita non già al funzionario agente, ma all’apparato nel suo complesso, andando a sindacare se vi sia stata una disfunzione che ha determinato l’illegittimità. Natura della responsabilità: la giurisprudenza amministrativa prevalente inquadra la responsabilità per danno da lesione di interessi legittimi all’interno della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.; tuttavia sono emerse ricostruzioni che adottano gli schemi della responsabilità contrattuale e precontrattuale, in quanto il privato danneggiato non può essere equiparato al “chiunque” con il quale il danneggiante non ha alcuna relazione preesistente, ma il contatto procedimentale tra il privato e la PA si presta ad essere inquadrato nello schema del rapporto obbligatorio (di fonte non contrattuale ma da “contatto sociale”), perché si tratta di un rapporto che impone alle parti obblighi comportamentali di correttezza e buona fede. Danno da ritardo: ipotesi particolare di responsabilità si ha nei casi nei quali l’amministrazione non conclude il procedimento entro il termine previsto; ciò rafforza il principio della certezza del tempo nell’agire amministrativo, che costituisce un bene della vita autonomo suscettibile di risarcimento a prescindere dalla legittimità o illegittimità del provvedimento emanato. 51 Azione risarcitoria: l’azione per il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e può essere proposta insieme all’azione di annullamento o in modo autonomo. 5. La responsabilità nel diritto europeo Va analizzata sotto due profili: 1. La responsabilità degli organi dell’UE in relazione all’attività giuridica posta in essere dai propri agenti in contrasto con il diritto europeo: trova regolamentazione nel TFUE, nel quale l’art. 340, al c.1, disciplina la responsabilità contrattuale della Comunità e si limita ad operare un rinvio alla legge nazionale applicabile al contratto in causa; al c.2 regola la responsabilità extracontrattuale della Comunità e prevede che l’Unione deve risarcire i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni; l’art. 268 attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a conoscere le controversie relative alla responsabilità extracontrattuale della Comunità. I presupposti sostanziali della responsabilità delle istituzioni europee sono tre: - un comportamento contra jus: vi rientra sia il comportamento o fatto materiale (omissivo o commissivo), sia l’atto giuridico, normativo o amministrativo; la violazione deve avere un carattere grave e manifesto che può essere ricavato in via sintomatica da alcuni indici; - l’esistenza di un danno: il danno risarcibile deve essere effettivo, cioè certo e attuale, può trattarsi di danni presenti e futuri ma non meramente ipotetici, il danno risarcibile è sia il danno emergente sia il lucro cessante; - il nesso di causalità: affinché sorga la responsabilità extracontrattuale non è richiesto che la violazione della norma derivi da una condotta dolosa o colposa. 2. La responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto europeo: ha origine giurisprudenziale e la sentenza capostipite è la sent. Francovich (C-6 e 9/90), la quale enuncia tre presupposti in presenza dei quali può sorgere la responsabilità: che la direttiva attribuisca diritti a favore dei singoli; che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base della direttiva stessa; che esista un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi; inoltre la sent. Lomas (C-5/94) sancisce il principio secondo il quale la responsabilità dello Stato può sorgere non solo in relazione a un atto normativo, ma anche in relazione a un atto amministrativo adottato in violazione del diritto europeo. 6. La responsabilità erariale (amministrativa) Trova fondamento nel TU degli impiegati civili dello Stato (art. 18 d.p.r 3/1957), secondo il quale l’impiegato è tenuto a risarcire l’amministrazione e i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio (danno erariale diretto), mentre caso particolare è quello dell’amministrazione condannata a risarcire il danno provocato a terzi da un proprio dipendente e che agisce in via di regresso nei confronti di questo (danno erariale indiretto); il regime della responsabilità erariale si distacca dal diritto comune e si caratterizza per avere un carattere ibrido, a metà tra la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, ed ha una finalità essenzialmente risarcitoria. Campo di applicazione: - sotto il profilo soggettivo: questo tipo di responsabilità vale per funzionari, impiegati, agenti pubblici e amministratori delle amministrazioni pubbliche statali e non statali e di enti pubblici (aziende sanitarie locali, enti parastatali, ecc.), agli amministratori di enti pubblici economici e anche a soggetti esterni all’amministrazione legati ad essa da un rapporto di servizio di tipo funzionale; la responsabilità ha natura personale; inoltre, nelle deliberazioni degli organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso il voto favorevole; - sotto il profilo oggettivo: la responsabilità sorge in relazione ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave; se il danno deriva da un provvedimento, resta ferma comunque l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, ciò significa che se il provvedimento è legittimo, la Corte dei conti non può sostituire le proprie valutazioni in ordine all’opportunità e convenienza di una determinata scelta amministrativa; il sindacato della Corte può riguardare tutti i profili di legittimità, incluso l’eccesso di potere. 52 Il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni dalla data in cui il fatto si è verificato, ovvero dalla data della sua scoperta; ai fini della quantificazione del danno, vanno valutati il decremento patrimoniale o la mancata entrata da parte dell’amministrazione, cui si può aggiungere il danno all’immagine; una particolarità consiste nel potere riduttivo in base al quale la Corte può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto, ciò consente di modulare la somma a carico delle finanze personali del dipendente rispetto all’enormità dei danni potenziali all’amministrazione. 55 - in base al tipo di funzioni: attivi, allorché emanano gli atti amministrativi correlati alle funzioni dell’ente o svolgono le attività materiali; consultivi, allorché esprimono pareri tecnici o giudici; di controllo. 3. Le amministrazioni pubbliche Nel nostro ordinamento manca una definizione legislativa di PA alla quale si ricolleghi l’applicazione di un corpo di regole e principi omogeneo, molte leggi amministrative settoriali individuano il proprio campo di applicazione attraverso un elenco tassativo di enti, alcune leggi invece prevedono che esse si applichino alle PA senza darne una definizione precisa; essa può essere desunta induttivamente dalle leggi amministrative settoriali: l’insieme degli enti che sono inclusi in tutti i regimi speciali in base alle definizioni previste dalle singole leggi amministrative di settore costituiscono la PA in senso stretto (amministrazioni statali, regioni, enti locali, enti pubblici non economici, autorità indipendenti); l’insieme degli enti che sono inclusi in uno solo o in pochi regimi speciali pubblicistici vanno considerati invece casi eccezionali di espansione del diritto amministrativo a soggetti privati (o PA in senso lato). I principali regimi speciali da considerare sono quelli relativi al pubblico impiego, al procedimento amministrativo, ai contratti pubblici, alla finanza pubblica. Nozione di PA: si collocano al di fuori del mercato, non producono beni e servizi resi sulla base di prezzi che consentano di realizzare ricavi atti a coprire costi e a produrre utili, ma (soprattutto) la caratteristica propria delle PA è quella di produrre beni pubblici materiali o immateriali, quelli cioè che il mercato non è in grado di garantire in modo adeguato (sicurezza, salute, pubblica istruzione, difesa, giustizia, ecc.) con finalità anche redistributive; il finanziamento di tali attività è posto in prevalenza a carico della collettività attraverso il ricorso alla tassazione; tali attività possono consistere sia nell’emanazione di atti o provvedimenti amministrativi, sia in attività materiali, sia in erogazione di denaro. 4. Lo Stato La struttura amministrativa portante dello Stato è costituita dai ministeri; in base all’art. 95, c.4, C., spetta alla legge determinarne il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri, la cui disciplina generale è contenuta nel d.lgs. 300/1999, il quale ha anche devoluto molte funzioni amministrative statali alle regioni e agli enti locali; il d.lgs. contiene l’elenco completo dei ministeri, pone una disciplina generale della loro organizzazione centrale e periferica, specifica le attribuzioni e le principali aree funzionali dei singoli ministeri, e ciascun ministero è poi disciplinato da un regolamento governativo che ne specifica l’organizzazione, prevede la dotazione organica, individua gli uffici di livello dirigenziale generale. Accanto ai ministeri indicati dal d.lgs. 300/1999, possono essere proposti a singoli uffici o dipartimenti della presidenza del Consiglio dei ministri, i “ministri senza portafoglio”, che non sono a capo di un dicastero ma di dipartimenti e che esercitano solo funzioni delegate dal presidente del Consiglio dei ministri; inoltre, a livello di governo, sono istituiti, con funzioni di coordinamento, i Comitati interministeriali. L’organizzazione dei ministeri è di due tipi, a seconda che le strutture di primo livello siano formate da dipartimenti o da direzioni generali: - il modello dipartimentale: è previsto per i ministeri preposti a una pluralità di ambiti di intervento (es. ministero dell’Economia e delle Finanze), i dipartimenti assicurano l’esercizio organico e integrato di funzioni e compiti finali riguardanti grandi aree di materie omogenee, ad essi è preposto un capo di dipartimento che, in attuazione degli indirizzi del ministero, coordina gli uffici di livello dirigenziale generale afferenti al singolo dipartimento; - il modello per direzioni generali: riguarda ministeri con competenze più omogenee e circoscritte, possono prevedere come figura di coordinamento un segretario generale che funge da raccordo tra ministro e dirigenti preposti alle direzioni generali. In aggiunta a quelle centrali, fanno parte dell’organizzazione di alcuni ministeri anche strutture periferiche, di regola a livello provinciale, che realizzano il decentramento burocratico; la principale struttura periferica è la Prefettura, ufficio che ha il compito di assicurare l’esercizio coordinato dell’attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato e la leale collaborazione con gli enti locali. A livello regionale, il raccordo con lo Stato è assicurato dal commissario del governo, con sede in ciascun capoluogo regionale, che dipende funzionalmente dalla presidenza del Consiglio dei ministri. 56 Rispetto allo Stato, dotato di personalità giuridica, i singoli ministeri possono essere definiti come organi, anche se ad essi è riconosciuta legittimazione sostanziale e processuale autonoma, inoltre ciascun ministero ha una propria pianta organica, è titolare di fondi propri nell’ambito del bilancio dello Stato, gode di autonomia di spesa ed è assegnatario di una dotazione di beni. Afferiscono all’organizzazione dei ministeri le “agenzie”, cioè strutture preposte allo svolgimento di attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale e che godono di autonomia operativa, ma che sono sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza di un ministro; i rapporti tra direttore dell’agenzia e ministro sono regolati da una convenzione che specifica gli obiettivi dell’agenzia, i risultati attesi, ne stabilisce l’entità dei finanziamenti e individua le modalità di verifica dei risultati di gestione; una specie particolare di agenzia è costituita dalle “agenzie fiscali” (es. Agenzia delle Entrate), le quali a differenza delle altre hanno personalità giuridica di diritto pubblico autonoma. Presidenza del Consiglio dei ministri: ad essa afferiscono una serie di dipartimenti e uffici posti alle dipendenze di un segretario generale preposto alla gestione delle risorse umane e strumentali, le quali curano i rapporti con il parlamento, con gli organi costituzionali, con le istituzioni europee e con il sistema delle autonomie, e il coordinamento dell’attività amministrativa del governo; presso di essa opera anche la Conferenza Stato-regioni con ruolo consultivo e di coordinamento. Avvocatura dello Stato: afferisce alla presidenza del Consiglio dei ministri, si stratta di un organo ausiliario di rango non costituzionale che ha una duplice funzione: di consulenza generale, in taluni casi obbligatoria; di rappresentanza legale in giudizio delle amministrazioni statali. 5. Gli enti territoriali: comuni, province, regioni Lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in tema di legislazione elettorale, di organi di governo e di funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane; inoltre la Costituzione individua gli organi fondamentali delle regioni e ne definisce le funzioni principali. I principi fondamentali per l’allocazione delle funzioni tra i vari livelli di governo sono: la sussidiarietà, la differenziazione e l’adeguatezza; inoltre è garantita autonomia finanziaria di entrata e spesa, inclusa l’applicazione di tributi propri. L’assetto ordinamentale dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali non segue il modello a cascata, cioè lo Stato si relaziona esclusivamente con le regioni e queste con gli enti locali, ma il modello triangolare, in quanto i comuni intrattengono rapporti istituzionali diretti con lo Stato, non mediati dalle regioni. Gli enti locali e le regioni costituiscono una particolare categoria di enti pubblici: si tratta di enti necessari, essendo istituiti obbligatoriamente in tutto il territorio nazionale; sono enti ad appartenenza necessaria, poiché ogni cittadino trova un riferimento stabile in ciascuno di essi (ad es. per l’esercizio del diritto di voto); sono enti a competenza generale, perché possono curare gli interessi della popolazione di riferimento con una certa libertà, in base agli indirizzi politici espressi dal corpo elettorale locale e agli indirizzi politico-amministrativi dell’organo consiliare, hanno cioè il potere di individuare le proprie priorità nell’ambito delle funzioni ad essi assegnate e di mettere in opera gli strumenti necessari per il raggiungimento dei propri fini; sono enti inseriti integralmente nell’ordinamento amministrativo, poiché tutti i loro atti normativi e non normativi sono sempre e necessariamente atti formalmente amministrativi. Comuni: il comune è l’ente che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo; spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico; le funzioni dei comuni sono conferite nelle varie materie con legge statale o regionale ed esercitano anche alcune funzioni propriamente statali (ad es. anagrafe, stato civile, servizi elettorali) ed in relazione ad esse al sindaco è attribuita la qualifica di ufficiale di governo. L’autonomia dei comuni si esprime nella potestà statutaria, lo statuto, approvato dal consiglio comunale, stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e specifica le attribuzioni degli organi, le forme di collaborazione tra comuni e province, la partecipazione popolare, l’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi; ai comuni è riconosciuta anche ampia autonomia regolamentare nelle materie di propria competenza e per ciò che riguarda l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni; tra le funzioni dei comuni rientrano: i servizi alla persona e alla comunità, la polizia locale, l’assetto e l’utilizzazione del territorio, le 57 infrastrutture, l’ambiente, lo sviluppo economico e i servizi pubblici locali. Gli organi di governo sono: il consiglio, le cui competenze sono limitate ad un elenco tassativo di atti fondamentali contenuti nell’art. 42 TU (ad es. statuto, atti di programmazione); sindaco, il quale è il responsabile dell’amministrazione comunale, rappresenta l’ente, nomina e revoca gli assessori che compongono la giunta e la convoca e preside, ecc.; la giunta, composta da sindaco e assessori, è titolare di una serie di competenze individuate dalla legge (ad es. l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi), dallo statuto o dai regolamenti nonché dalla competenza generale residuale. In tutti i comuni è istituita la figura del “segretario comunale”, con compiti di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il “direttore generale” è previsto per i comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, è nominato con delibera della giunta ed è assunto a tempo determinato, esso funge da raccordo tra gli organi di governo dell’ente e della dirigenza, attivando gli indirizzi di questa, sovrintendendo la gestione del comune perseguendo l’obiettivo di migliorarne efficenza ed efficacia, inoltre predispone il piano esecutivo di gestione dell’ente sulla base del bilancio annuale di previsione deliberato dal consiglio comunale ed elabora il piano degli obiettivi ai fini del controllo di gestione. I “dirigenti” degli enti locali sono preposti agli uffici e ai servizi e sono responsabili della gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, con autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, e adottano tutti gli atti e i provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, esclusi quelli riservati ad altri organi. Infine, la “Corte dei conti” svolge un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio volto a verificare la legittimità e la regolarità delle gestioni, il funzionamento corretto dei controlli interni e la rispondenza dei risultati all’attività amministrativa rispetto agli obiettivi. Province: enti intermedi tra comuni e regioni, titolari di funzioni amministrative sopratutto di programmazione, in particolare esercitano le funzioni: di pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché di tutela e valorizzazione dell’ambiente; di pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale e di regolazione della circolazione nell’ambito delle strade provinciali; di programmazione provinciale della rete scolastica; si attengono alla programmazione di livello superiore di livello regionale. Gli organi di governo sono costituiti: dall’assemblea dei sindaci, che ha poteri propositivi, consultivi e di controllo; dal consiglio provinciale, che è l’organo di indirizzo politico-amministrativo; dal presidente della provincia. Città metropolitane: assorbono le funzioni della provincia in aree caratterizzate dalla presenza dei comuni italiani più popolosi uniti a contiguità territoriale e con rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali e alle relazioni sociali e culturali; inoltre esercitano ulteriori funzioni stabilite direttamente dalla legge e necessarie per gestire le grandi conurbazioni anche al fine di promuovere lo sviluppo economico. Sono organi: il sindaco metropolitano, organo di indirizzo e controllo; la conferenza metropolitana, che ha poteri propositivi, consultivi e di approvare lo statuto. Regioni: l’organizzazione ricalca essenzialmente quella degli enti locali; gli organi di governo sono il consiglio regionale, la giunta e il presidente, questo eletto direttamente dalla popolazione; le regioni possono disciplinare con legge regionale il sistema di elezione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge statale, e individuare nello statuto la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento; un controllo sugli organi di governo è previsto direttamente dalla Costituzione (artt. 120, c.2 e 126, c.1). 6. Gli enti pubblici Distinzioni e classificazioni: - enti pubblici disciplinati da leggi generali ed enti pubblici di tipo singolare: tra i primi rientrano ad es. le camere di commercio, le aziende sanitarie locali e le università, la legge generale assicura omogeneità di struttura ad enti che insistono su tutto il territorio nazionale; i secondi sono istituiti con una legge ad hoc, e vi rientrano ad es. il CONI e l’ISTAT, le leggi istitutive dei singoli enti ne configurano le funzioni e l’organizzazione; - enti pubblici nazionali e regionali: a seconda che si tratti di enti istituiti a livello statale o inseriti nell’ambito dell’ordinamento regionale; - enti di tipo associativo e non associativo: i primi sono enti esponenziali di categorie o di gruppi, in molti di essi sono previsti organi di tipo rappresentativo; i secondi hanno natura patrimoniale 60 anziché organizzare al proprio interno alcune attività strumentali all’esercizio delle funzioni amministrative, esternalizzarle, cioè affidarle a società da esse costituite che svolgono la propria attività in prevalenza per conto delle amministrazioni e degli enti pubblici di riferimento. Un riordino di disciplina è stato operato dal d.lgs. 175/2016, il quale elenca in modo tassativo le attività che possono essere svolte dalle società a partecipazione pubblica: servizi di interesse generale, progettazione o realizzazione di un’opera pubblica, autoproduzione di beni o servizi strumentali agli enti partecipanti, servizi di committenza, ecc.; da questa impostazione derivano due conseguenze: l’obbligo per le amministrazioni di approvare piani di riassetto annuali delle proprie partecipazioni azionarie per verificare il rispetto di una serie di parametri normativi e per procedere a liquidazioni, cessioni o accorpamenti; l’obbligo di motivazione analitica delle delibere relative alla costituzione e all’acquisto di partecipazioni societarie. Quindi, il d.lgs. pone una disciplina dello Stato-azionista, cioè dei principi e delle modalità procedimentali che le PA devono rispettare per acquisire, mantenere e alienare le partecipazioni societarie. Tipi di società pubbliche: - “società quotate”: si applica il d.lgs. nei soli casi sporadici espressamente previsti; - “società meramente partecipate”: nelle quali le PA detengono solo pacchetti azionari di minoranza, sottoposte in massima parte al diritto comune; - “società in controllo pubblico”: nelle quali le PA detengono direttamente o indirettamente la maggioranza delle azioni, si applicano gran parte dei vincoli pubblicistici; - “società in-house”: regime equiparato in gran parte a quello delle PA; - “società a partecipazione pubblica di diritto singolare”: trovano applicazione sia il d.lgs. sia le disposizioni speciali. Obbligo di motivazione analitica: le amministrazioni pubbliche che intendano costituire o acquisire partecipazioni societarie devono adottare un atto deliberativo che espliciti le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, considerando anche la possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impiegate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato e dar conto della compatibilità con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa e con la disciplina degli aiuti di Stato. Società in-house: sono intimamente legate sul piano organizzativo e operativo ad una PA, tanto da poter essere equiparate a un ufficio interno della medesima; per poter essere destinatarie di affidamenti diretti devono possedere due requisiti: - il “controllo analogo”: tende ad assicurare che tra amministrazione pubblica titolare delle partecipazioni nella società in-house e questa intercorra un rapporto così stretto da assimilarla ad un organo interno della PA, questa compenetrazione esclude che gli atti o i contratti con cui l’amministrazione affida alla società il compito di realizzare un’opera o di fornire un bene un servizio siano dei veri contratti, per ottemperare al requisito la partecipazione deve essere totalitaria, la presenza nel capitale sociale di soggetti privati deve essere prevista dalla legge e non deve esercitare un’influenza dominante, inoltre lo statuto deve garantire al socio pubblico un potere di influire sulle strategie e decisioni fondamentali della società e di controllarne l’attività; il controllo analogo può essere congiunto e indiretto: è congiunto nel caso in cui più amministrazioni affidino a un’unica società partecipata la gestione unitaria di un servizio pubblico, è indiretto nel caso in cui un’amministrazione detenga la partecipazione totalitaria in una società che a sua volta detenga, a cascata, una partecipazione societaria totalitaria in un’altra società; - lo svolgimento della parte più rilevante della loro attività a favore delle amministrazioni pubbliche: tende a escludere che la società in-house operi sul mercato e alteri la concorrenza sfruttando il vantaggio di aver ricevuto un affidamento diretto da parte di una PA. 9. Cenni all’integrazione europea L’influenza del diritto europeo sull’organizzazione amministrativa nazionale si manifesta in varie forme: 1. Poiché molte politiche pubbliche sono ormai decise a livello europeo, le amministrazioni nazionali si sono attrezzate per svolgere un ruolo attivo nell’ambito dei processi di emanazione degli atti giuridici europei; inoltre funzionari di amministrazioni nazionali contribuiscono alla 61 preparazione degli atti comunitari attraverso la partecipazione a comitati tecnici composti da rappresentanti di amministrazioni nazionali e da esponenti della Commissione UE. 2. In base a numerosi atti normativi europei, le amministrazioni nazionali e regionali sono talora coinvolte nello svolgimento di attività amministrative delle quali esse sono contitolari con la Commissione europea, e a questo fine organismi nazionali sono incaricati di svolgere attività che costituiscono segmenti di procedimenti comunitari (es. AGEA). 3. Le autorità amministrative indipendenti sono inserite in modo sempre più stretto in una rete di regolatori che fa capo ad agenzie e autorità europee istituite per promuovere l’elaborazione e l’applicazione uniforme delle regole europee, pertanto nel gestire i propri poteri le singole autorità nazionali devono spesso tenere conto delle osservazioni e dei rilievi dell’Agenzia europea e delle autorità di altri Stati membri. 4. Le normative europee settoriali impongono agli Stati membri di istituire apparati, come ad es. le autorità nazionali di regolazione. 10. Le relazioni interorganiche e intersoggettive Le relazioni interne o interorganiche ed esterne o intersoggettive, sono: - il rapporto di gerarchia: connota sia il rapporto tra persone incardinate nella medesima struttura sia il rapporto tra uffici; presuppone che le competenze dell’organo o ufficio sottordinato siano tutte incluse dall’organo o ufficio sovraordinato (modello ad applicazione limitata); - il rapporto di direzione: meno intenso di quello di gerarchia, è stato trattato nella distinzione tra direttive che si inseriscono in rapporti interorganici e direttive che attengono a rapporti intersoggettivi (vedi 2.10d); - il rapporto di controllo: può avere natura interorganica (controlli interni) o intersoggettiva (controlli esterni) e dà origine a un rapporto di sovraordinazione tra l’organo o l’ufficio titolare del potere di controllo e il destinatario di questo, al titolare del potere di controllo è riconosciuta una posizione di indipendenza all’interno dell’organizzazione in considerazione della neutralità della funzione; - il coordinamento: esigenza primaria in un sistema amministrativo che ha acquisito una dimensione multilivello e di specializzazione delle funzioni, si discute se debba essere ricondotto a una figura di sovraordinazione o se abbracci una pluralità di situazioni e di strumenti non riconducibili a unità; è utile distinguere tra “coordinamento politico- amministrativo” e “coordinamento amministrativo in senso stretto”: il primo attiene al livello costituzionale, il quale involge i rapporti interni al governo e quelli tra lo Stato, le regioni e il sistema delle autonomie locali, nel primo ambito spetta al Consiglio dei ministri dirigere la politica generale e mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo coordinando l’attività dei ministri, nel secondo ambito il coordinamento è garantito da strutture di raccordo quali la Conferenza Stato-regioni; nel secondo numerosi strumenti mirano a coordinare le attività relative ai procedimenti, quindi le intese, i pareri, le conferenze di servizi, gli accordi tra amministrazioni, l’autorizzazione unica, gli sportelli unici, ecc. Delega di funzioni: si ha quando un ente o ufficio si mette a disposizione di un altro ente o ufficio per lo svolgimento di compiti e funzioni propri di quest’ultimo, che le svolge in proprio nome ma per conto e nell’interesse dell’ente delegante. Avvilimento: figura organizzativa in base alla quale un ente o un ufficio di un ente mette a disposizione la propria organizzazione a supporto dell’esercizio di funzioni o attività proprie di un altro ente che esercita poteri di direzione e controllo nei confronti dell’ente o ufficio in relazione alle attività svolte a titolo ausiliario. 11. Il disegno organizzativo degli enti pubblici e lo spazio regolatorio Disegno organizzativo: consiste in una griglia di parametri e indicatori che consentono di inquadrare comparativamente qualsiasi tipo di apparto pubblico; principali indicatori: - le fonti che disciplinano l’apparato: alcuni enti trovano nelle legge istitutiva o in fonti di tipo regolamentare la fonte principale, mentre per altri è lo statuto; - gli organi previsti per ciascun ente, le modalità di nomina dei titolari dei medesimi e la ripartizione tra essi delle competenze; - le funzioni e i poteri attribuiti all’ente dalla legge: si spazia da apparati preposti all’esercizio delle funzioni propriamente amministrative che agiscono attraverso l’emanazione di atti autoritativi, ad apparati preposti all’erogazione di servizi che operano prevalentemente con strumenti contrattuali o attraverso l’erogazione di prestazioni; 62 - i controlli e la vigilanza ai quali è sottoposto l’ente: la casistica include enti sottoposti a poteri penetranti di controllo e di ingerenza da parte del soggetto vigilante alle autorità indipendenti; - le risorse finanziarie sulle quali può fare affidamento l’ente: alcuni apparati dipendendo totalmente da fondi trasferiti dall’erario, altri sono autosufficienti, attraverso il controllo dei volumi delle risorse messe a disposizione l’autorità centrale è in grado di condizionare l’operatività concreta degli enti. Spazio regolatorio: tende a cogliere l’aspetto dinamico all’interno di un in sistema di relazioni in qualche misura mobili tra apparati pubblici, in molti casi le competenze di ciascun apparato si sovrappongono e talora entrano in conflitto con quelle di altri apparati, inoltre gli attori pubblici operano in contesti nei quali interessi privati contrapposti cercano di influenzare i processi decisionali; lo spazio regolatorio richiede una mappatura delle relazioni formali e informali di ciascun apparato con gli altri apparati e attori istituzionali in modo da coglierne legami e influenze reciproche. 65 società mista; il partenariato di tipo contrattuale, che si riferisce ai casi in cui un’amministrazione stipula con un’impresa un contratto per acquisire un bene o un servizio, operando così un’esternalizzazione completa; e) la concessione del servizio a soggetti terzi selezionati sulla base di procedure competitive nei casi in cui, per ragioni tecniche o economiche, il servizio si presta a essere erogato da un solo gestore (concorrenza per il mercato), è un caso di partenariato di tipo contrattuale; f) semplice autorizzazione: rilasciata a più gestori che erogano il servizio in concorrenza tra loro, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico stabiliti dal regolatore (concorrenza nel mercato). L’erogazione del servizio da parte del concessionario agli utenti deve avvenire nel rispetto dei: - contratto di servizio: regola i rapporti tra la PA titolare del servizio e il gestore, disciplina i rapporti economici e finanziari ed individua gli investimenti da effettuare, i controlli esercitabili dall’amministrazione e le sanzioni in caso di inadempimento; - carte dei servizi: i gestori del servizio specificano i livelli quantitativi e qualitativi dei servizi, prevedendo sistemi di indennizzo a favore dell’utente nel caso di inadempimento da parte del gestore; - contratti di utenza: disciplina i rapporti tra il gestore e gli utenti e le tariffe a questi applicate come definite in base ai parametri stabiliti dall’autorità di regolazione. 4. Le autorità di regolazione In un contesto di liberalizzazione dei mercati, l’architettura della regolazione è più complessa e ha per oggetto più ambiti: - i rapporti tra gestori dei servizi e autorità di regolazione: i regolatori devono predisporre una cornice di regole tali da consentire, sia lo sviluppo di un mercato concorrenziale in un ambiente caratterizzato da elementi di monopolio naturale, sia il raggiungimento degli obiettivi propri del servizio pubblico; la regolazione è volta a creare in modo artificiale i presupposti del mercato concorrenziale, cui si aggiunge l’applicazione dei principi generali in materia di concorrenza, derogabili solo per quanto strettamente necessario all’adempimento dei compiti loro affidati; le autorità di regolazione devono assicurare l’osservanza delle norme da parte dei gestori del servizio, esercitando poteri di vigilanza e sanzionatori; - i rapporti reciproci tra gestori in concorrenza: obblighi reciproci, le relazioni tra di essi sono rimesse in prima battuta a strumenti negoziali e in caso di impossibilità di accordo a provvedimenti unilaterali dell’autorità di settore; - i rapporti tra gestori e utenti: disciplinati da un complesso di regole poste dalle autorità di settore e dalle carte dei servizi. Un nucleo minimo di disposizioni comuni è contenuto nella l. 481/1995, la quale delinea in termini generali le funzioni e i poteri delle autorità, specificati poi nella disciplina di settore (art. 2, c.12). Le principali autorità di regolazione sono: 1. L’autorità di regolazione per energia, reti e ambienti (ARERA): preposta alla regolazione dei settori dell’energia elettrica, del gas, del servizio idrico e dei rifiuti. 2. L’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM): preposta sia al settore delle comunicazioni elettroniche, sia al settore dei media (operando anche allo scopo di garantire il pluralismo dell’informazione, la tutela dei minori e la par condicio nelle campagne elettorali), sia al settore postale. 3. L’autorità di regolazione dei trasporti (ART): preposta ai settori ferroviario, portuale, aeroportuale e autostradale, con il potere di stabilire i criteri per la fissazione delle tariffe, dei pedaggi e dei canoni applicati agli utenti, di regolare l’accesso alle infrastrutture di rete da parte dei gestori del servizio in concorrenza, di definire i diritti degli utenti e gli schemi dei bandi delle gare per l’assegnazione dei servizi di trasporto. 5. I servizi pubblici locali Le forme di gestione sono essenzialmente tre: le società di capitali individuate mediante una procedura a evidenza pubblica; le società a capitale misto pubblico-privato con selezione del socio privato attraverso procedure a evidenza pubblica; le società in-house. 6. Il Servizio sanitario nazionale, il servizio scolastico, i servizi sociali, la protezione civile Sono servizi pubblici privi di rilevanza economica che incarnano il modello dello Stato sociale, si tratta di servizi erogati in gran parte attraverso moduli organizzativi pubblicistici. 66 a) Il Servizio sanitario nazionale Istituito con la l. 833/1978, in attuazione dell’art. 32 C. e devoluto dall’art. 117, c.3, C. alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle regioni, trae ispirazione da una concezione universalistica, ugualitaria e onnicomprensiva del servizio sanitario nazionale, definito come il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’uguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio; le prestazioni offerte includono sia servizi di tipo erogativo, come l’assistenza medico generica, l’assistenza specialistica, l’assistenza ospedaliera, l’assistenza farmaceutica e l’assistenza infermieristica, sia attività amministrative in materia di igiene, sicurezza sul lavoro e ambientale; il finanziamento è posto a carico della collettività e della fiscalità generale. L’organizzazione del servizio dà origine a un’amministrazione composita, ad essa concorrono: - lo Stato: al quale compete la definizione dei livelli essenziali di assistenza volti a garantire un minimo di omogeneità su tutto il territorio nazionale in tre aree fondamentali: prevenzione collettiva, assistenza distrettuale tramite presidi sanitari e sociosanitari diffusi, assistenza ospedaliera; sono attribuite anche funzioni programmatorie, che si concretizzano nell’adozione di un piano sanitario nazionale, alla cui formazione partecipano le regioni, che fa da cornice ai piani sanitari regionali; - le regioni: le quali hanno la responsabilità primaria di organizzazione del servizio e alle quali sono attribuite tutte le funzioni e i compiti amministrativi in tema di salute umana e sanità veterinaria, salvo quelli espressamente mantenuti dallo Stato; in particolare determinano l’articolazione del territorio regionale in unità sanitarie locali, vigilandole e finanziandole; - gli enti locali: i quali hanno un ruolo più limitato. Le aziende sanitarie locali (ASL): sono definite aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, assicurano l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e lavoro, l’assistenza distrettuale e l’assistenza ospedaliera (erogazione delle prestazioni sanitarie affidate anche alle aziende ospedaliere universitarie e gli istituti di cura scientifici, inoltre le strutture private possono concorrere a erogare le prestazioni per conto del servizio pubblico soltanto sulla base di un sistema di autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali). b) Il servizio scolastico È un servizio pubblico sociale a fruizione individuale coattiva e a erogazione gratuita; anch’esso dà origine ad un’organizzazione a rete, alla quale concorrono il livello amministrativo statale, regionale e locale, nonché, in base al principio di sussidiarietà orizzontale, le istituzioni private. I principi sono fissati nella Cost. che tutela la libertà di insegnamento (art. 33, c.1) e garantisce il diritto all’istruzione (art. 34, c.1), prevedendo anche una durata obbligatoria (e gratuita). L’istruzione è definita sia come diritto soggettivo riconosciuto a tutti, sia come dovere sociale; inoltre i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi e di questo fine deve farsene carico lo Stato (art. 34, cc. 3 e 4). Il servizio scolastico costituisce un compito obbligatorio per lo Stato che deve organizzarlo e gestirlo con proprie strutture, istituendo scuole statali per tutti gli ordini e i gradi, ed è previsto un esame di Stato per il completamento di questi e per le abilitazioni agli esercizi professionali (art. 33, c.5); alle regioni spetta la programmazione della rete scolastica, inclusa la distribuzione del personale tra le scuole, mentre gli enti locali svolgono attività di supporto alle istituzioni scolastiche; le istituzioni scolastiche pubbliche, articolate in cicli d’istruzione, hanno personalità giuridica e autonomia organizzativa, didattica e finanziaria, ciascuna scuola elabora un piano per l’offerta formativa. Per le scuole private è previsto un sistema di riconoscimento, cioè di accertamento dell’idoneità, sulla base di requisiti di qualità ed efficacia, nonché di corrispondenza agli ordinamenti generali dell’istruzione e di coerenza con la domanda formativa delle famiglie. c) I servizi sociali Riguardano tutte le attività relative alla predisposizione e all’erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinati a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e difficoltà che la persona incontra nel corso della vita; tuttavia non includono le prestazioni garantite dal sistema previdenziale che prevede il diritto dei lavoratori a vedersi assicurati mezzi adeguati in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. 67 Sono attribuiti alla competenza residuale esclusiva delle regioni, mentre alla legge statale compete soltanto la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni; il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali coinvolge tutti i livelli di governo locale, in base al principio di sussidiarietà verticale, in particolare: le regioni esercitano funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo; le province svolgono principalmente attività di raccolta dati e di analisi o dell’offerta dei servizi; i comuni sono titolari delle funzioni amministrative in materia e provvedono all’erogazione dei servizi e su di essi grava l’onere economico. I servizi sociali sono un settore nel quale trova applicazione anche il principio di sussidiarietà orizzontale, tra i soggetti privati del terzo settore che operano nel settore dei servizi sociali rientrano: le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, le associazioni e le fondazioni, che esortano l’attività per il perseguimento, senza scopro di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. d) La protezione civile È costituita dalle attività volte a tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo; a livello nazionale è istituito il dipartimento della protezione civile presso la presidenza del Consiglio dei ministri e del sistema fanno parte anche i presidenti delle regioni e i sindaci; il dipartimento è titolare del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti per far fronte alle emergenze a seguito della deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri; sono strutture operative del servizio: il corpo nazionale dei vigili del fuoco, le forze armate e di polizia, le strutture del servizio sanitario nazionale e le organizzazioni di volontariato organizzato. 70 eccedenza di personale, avviene attraverso un procedimento che prevede un’informazione preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali e favorisce il reimpiego presso altre amministrazioni; il personale in eccedenza per il quale non sia possibile un diverso impiego viene collocato in disponibilità, cioè in uno stato in cui resta sospeso il rapporto di lavoro con riconoscimento al lavoratore di un’indennità pari all’80% della retribuzione per la durata massima di due anni. Sanzioni disciplinari: l’individuazione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni (censura verbale, sospensione dal servizio, licenziamento disciplinare) è rimessa alla contrattazione collettiva, tuttavia la legge individua direttamente molte fattispecie che fanno sorgere la responsabilità disciplinare e regola il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni (d.lgs. 165/2001); inoltre, in aggiunta alle responsabilità disciplinare, civile e penale, i dipendenti pubblici sono sottoposti anche a un tipo di responsabilità sconosciuta nell’ambito del lavoro privato, cioè la responsabilità per danno erariale (responsabilità amministrativa). La tutela giurisdizionale relativa alle controversie nei rapporti di lavoro dei dipendenti publici che ricadono nel regime di privatizzazione sono devolute al giudice ordinario, restano tuttavia devolute al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti pubblici, perché involgono esclusivamente situazioni giuridiche qualificabili come interessi legittimi. 4. La dirigenza pubblica La riforma volta a privatizzare il rapporto di lavoro aveva tra i suoi capisaldi la valorizzazione della dirigenza, nella duplice prospettiva di accrescere l’efficienza della PA istituendo figure assimilabili ai manager privati e di garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa limitando le ingerenze dei politici sulle decisioni dei dirigenti; il nuovo modello si fonda sul principio della separazione tra politica e amministrazione e cerca di conciliare due principi in tensione tra loro: il principio democratico, in base al quale nessun potere pubblico può essere sottratto al circuito rappresentativo e che esclude che la burocrazia possa essere autoreferenziale, cioè che si possono autolegittimare; il principio di imparzialità di cui all’art. 97 C., che spinge invece nella direzione di istituire limiti all’ingerenza della politica nell’amministrazione, isolandola e rendendola il più possibile oggettiva e neutrale. Nel d.lgs. 165/2001 il punto di equilibrio tra i due principi involge due questioni principali: 1. La ripartizione delle competenze: sono attribuite ai vertici politici delle amministrazioni soltanto funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo ex post, in particolare esercitano l’indirizzo definendo gli obiettivi e i programmi da attuare e verificando la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi politici; spettano così agli organi di governo: le deliberazioni in materia di atti normativi e di indirizzo, la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali e l’individuazione delle risorse umane, materiali ed economiche da destinare ai diversi uffici; ai dirigenti compete l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, l’organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, ed hanno in via esclusiva la responsabilità dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati. Il vertice politico non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti (ciò esclude che possa qualificarsi come un rapporto gerarchico), può soltanto, in caso di inerzia, ritardo o grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente, nominare un commissario ad acta che si sostituisce a questo. Le funzioni della dirigenza si differenziano a seconda che si tratti di “dirigenti di uffici dirigenziali generali” e “dirigenti preposti a unità organizzative di livello inferiore”: i primi hanno funzioni di impulso generale degli uffici, di coordinamento e controllo dei dirigenti, e hanno anche il compito di formulare proposte e di esprimere pareri al vertice politico; i secondi curano l’attuazione dei progetti e degli obiettivi assegnati dai dirigenti generali, svolgono i compiti da questi delegati, dirigono, coordinano e controllano l’attività degli uffici, adottano i provvedimenti amministrativi, esercitando poteri di spesa e provvedono alla gestione del personale. 2. Il conferimento degli incarichi dirigenziali: avviene tenendo conto delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti negli incarichi precedenti, delle specifiche competenze organizzative e di altre esperienze di direzione; gli incarichi di livello più elevato sono conferiti con d.p.r., previa delibera del c.d.m., su proposta del ministro competente; gli incarichi di dirigete generale sono conferiti con d.p.c.m., su proposta del 71 ministro competente, di regola ai dirigenti di prima fascia; gli altri incarichi dirigenziali sono attribuiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale. L’atto di incarico individua l’oggetto del medesimo, gli obiettivi da conseguire e la durata. Durata: costituisce un aspetto critico, perché se troppo breve rende i dirigenti maggiormente influenzabili dai vertici politici dai quali dipende la conferma dell’incarico, se troppo lunga può consentire comportamenti ostruzionistici nei confronti degli indirizzi del vertice politico (sono rinnovabili). Responsabilità dirigenziale: particolare forma speciale, aggiuntiva alla responsabilità disciplinare, che opera in caso di: mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanza delle direttive impartite dal vertice politico, e violazione del dovere di vigilanza sul rispetto da parte del personale sottoposto degli standard quantitativi e qualitativi di performance fissati dall’amministrazione; può comportare: il mancato rinnovo dell’incarico dirigenziale, la decurtazione della retribuzione di risultato, la revoca dell’incarico, e il recesso dal rapporto di lavoro. 72 CAP. 11 I BENI 1. La disciplina pubblicistica dei beni Per svolgere le loro attività, le organizzazioni hanno necessità, oltre che di personale, di beni strumentali, le PA, per realizzare i propri scopi, devono procurarsi beni immobili e beni mobili, che possono possedere a titolo di proprietà privata o ad altro titolo civilistico e che devono acquisire seguendo le procedure a evidenza pubblica; in aggiunta sono titolari e gestiscono alcuni tipi di beni, non già per necessità funzionali proprie, bensì per metterli a disposizione della collettività (es. strade, musei, lidi, foreste). Rispetto ai beni i pubblici poteri possono assumere una duplice veste di “Stato proprietario” e di “Stato regolatore”: la prima si riferisce ai beni dei quali le amministrazioni hanno la titolarità sulla base delle norme di diritto pubblico (beni demaniali) e del diritto privato (beni patrimoniali); la seconda si riferisce ai poteri di conformazione del diritto di proprietà ai privati che sono attribuiti dalla legge a varie PA al fine di tutelare interessi publici, ed in questa veste lo Stato, nel porre una disciplina dei beni, finisce talvolta per regolare anche indirettamente l’attività di chi li utilizza a fini privati. Classificazione dei beni: in base al criterio della minore o maggiore specialità del regime, i beni di proprietà privata e pubblica si prestano ad essere collocati lungo una linea che pone a un estremo i beni privati sottoposti a un regime essenzialmente di diritto comune e all’estremo opposto i beni pubblici sottoposti a un regime essenzialmente pubblicistico (demanio necessario), tra i due estremi si collocano i beni privati di interesse pubblico e i beni patrimoniali indisponibili; il criterio che deve ispirare il legislatore nel dettare il regime pubblicistico dei beni è quello del principio di proporzionalità, cioè limitando le deroghe al diritto comune soltanto se indispensabili al conseguimento delle finalità di interesse pubblico, più in aggiunta il principio della sussidiarietà verticale attraverso il federalismo demaniale, cioè di devoluzione della titolarità di molti beni dello Stato alle regioni e agli enti locali, e orizzontale mediante il coinvolgimento di soggetti privati nella gestione di taluni tipi di beni (su tutti i beni comuni). La classificazione operata dalla scienza economica li suddivide in: beni privati, beni pubblici, beni di club e beni collettivi (commons); le quattro categorie sono individuate in base a due criteri: - “escludibilità”: i beni sono escludibili (un terreno recintabile) o non escludibili (l’atmosfera) a seconda che, una volta prodotti, sia o non sia possibile escludere alcuni soggetti dal loro uso o consumo; - “rivalità”: i beni possono essere rivali (una bibita) o non rivali (una strada) a seconda che l’uso o il consumo di essi da parte di un soggetto limiti o escluda la possibilità di uso o consumo da parte di altri. Analisi delle categorie: 1. I beni privati sono sia escludibili che rivali (es. alimenti). 2. I beni pubblici puri (ai quali seguono i fallimenti del mercato) non sono né escludibili né rivali (es. illuminazione pubblica); i privati non hanno incentivo a produrli e il mercato non è quindi in grado di fornirli in quantità e qualità sufficienti, dunque è richiesto l’intervento dei pubblici poteri e il finanziamento avviene a carico dell’intera collettività attraverso la fiscalità generale. 3. I beni di club hanno natura non rivale ma sono escludibili; si prestano dunque ad essere prodotti e gestiti anche dal mercato, cioè da soggetti privati che li producono dietro il pagamento di una tariffa o di un canone (es. tv via cavo, autostrade a pedaggio). 4. I beni comuni non sono escludibili e hanno natura rivale (es. fiumi, foreste); per essi si pone il problema del sovraconsumo e per evitarlo si possono introdurre regole pubblicistiche volte a limitarne l’uso. 2. I beni di interesse privato e i beni di interesse pubblico Distinzione di tipo oggettivo tra “beni di interesse privato” e “beni di interesse pubblico”: 1. Sono disciplinati integralmente dal c.c., i proprietari hanno diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico ed anche a questi beni possono essere applicati regimi pubblicistici che attribuiscono poteri conformativo ad apparati pubblici; nella categoria rientrano anche alcuni beni che possono essere definiti come beni pubblici in senso soggettivo, cioè i beni patrimoniali disponibili appartenenti allo Stato e agli enti territoriali regolati dal diritto comune (art. 826 c.c.), i quali sono sottoposti al diritto privato e pertanto sono commerciabili, alienabili, 75 CAP. 12 I CONTRATTI 1. Premessa Le amministrazioni pubbliche godono di una capacità generale di diritto privato, in particolare possono stipulare contratti per l’acquisto di beni e servizi e per l’esecuzione di lavori strumentali alle loro attività e necessari per il perseguimento delle finalità di interesse pubblico (i contratti pubblici rappresentano una delle voci principali della spesa pubblica); allorché stipulano un contratto, le amministrazioni sono soggette a regole di natura pubblicistica volte a tutelare gli interessi delle stesse amministrazioni e a garantire la par condicio tra i potenziali contraenti, contenute nel Codice dei contratti pubblici; pertanto la formazione della volontà negoziale dell’amministrazione e la scelta del contraente avvengono attraverso un procedimento amministrativo a evidenza pubblica di tipo competitivo che va ad integrare le regole del diritto privato relative allo schema proposta-accettazione di cui all’art. 1326 c.c.; più precisamente, la fase di formazione del vincolo contrattuale è retta da regole di diritto pubblico e si sviluppa in una sequenza procedimentale che culmina nell’emanazione di un provvedimento di aggiudicazione, mentre la fase di esecuzione del contratto è retta essenzialmente dalle regole privatistiche. Il Codice dei contratti pubblici pone due criteri di integrazione della disciplina: stabilisce che (per quanto non espressamente previsto dal Codice) alle procedure di affidamento dei contratti pubblici si applicano le disposizioni sul procedimento amministrativo, e che alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizione del codice civile. Fonti normative: i contratti a evidenza pubblica sono regolati dal Codice dei contratti pubblici, inoltre tra le fonti di disciplina rientrano i “capitolati” generali e speciali, i primi hanno natura propriamente normativa, i secondi contrattuale, i quali possono contenere la disciplina di dettaglio e tecnica della generalità dei contratti o di specifici contratti stipulati dalle amministrazioni. Fonti esterne al Codice: - legge anticorruzione: obbliga le stazioni appaltanti a pubblicare una serie di informazioni relative ai bandi pubblicati, agli operatori invitati a presentare l’offerta, all’aggiudicatario, all’importo dell’aggiudicazione e a trasmetterle all’ANAC; - codice penale: contiene disposizioni che individuano alcune figure specifiche di reato; - normativa antimafia: assoggetta le imprese partecipanti alle gare pubbliche ad obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti dalle commesse pubbliche anche nei rapporti con i subappaltatori e i subcontraenti; - Codice del processo amministrativo: dedica alcuni articoli alle controversie in materia di contratti pubblici, che configurano un filtro speciale accelerato volto a rendere più rapida ed effettiva la tutela delle imprese che partecipano alle gare. Autorità nazionale anticorruzione (ANAC): è preposta al mercato dei contratti pubblici con funzioni di vigilanza, controllo e regolazione dei contratti pubblici, attraverso l’emanazione di linee-guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo e altri strumenti di regolazione flessibile; inoltre è anche titolare di poteri ispettivi, può richiedere informazioni e documenti, può supportare le stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti e nella gestione delle procedure di particolare importanza e può irrogare sanzioni amministrative. 2. I principi generali e il campo di applicazione del Codice dei contratti pubblici Principi del Codice: l’art. 30, c.1 stabilisce che l’affidamento dei contratti publici deve garantire la qualità delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza e dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. Campo di applicazione: il Codice modula le procedure di affidamento dei contratti in funzione del livello di rischio di distorsione della concorrenza dal lato della domanda di beni, servizi e lavori; così: quanto più i soggetti committenti operano in contesti non concorrenziali e possono essere dunque influenzati nel loro agire da ragioni extra-economiche, tanto più elevato è il rischio che la scelta dei propri fornitori tenda a favorire determinate imprese, pertanto il Codice impone procedure rigorose per la scelta del contraente; quanto più forte è la pressione concorrenziale nei mercati in cui operano i committenti, tanto minore è il rischio che la scelta dei propri fornitori sia 76 dettata da ragioni extra-economiche e che venga alterata la concorrenza, pertanto il Codice prevede procedure meno formalizzate. Ambiti di applicazione delle norme del Codice: - soggettivo: alcuni soggetti operano fuori dal mercato, sono le PA di tipo tradizionale incluse nella definizione di “amministrazioni aggiudicatrici”, la quale include le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici ai quali si applica il regime più garantista e formalizzato previsto per le procedure di scelta del contraente, in quanto questi soggetti agiscono per il perseguimento di interessi pubblici senza subire alcuna pressione concorrenziale; la definizione include anche gli “organismi di diritto pubblico” (o.d.p.), cioè soggetti pubblici o privati che, in ragione della loro missione e dei collegamenti organizzativi con le PA, possono essere condizionati nella politica degli acquisti da ragioni extra- economiche, i quali vengono individuati sulla base di tre parametri che devono essere compresenti: deve trattarsi di un soggetto con personalità giuridica, deve essere istituito specificamente per esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, deve trattarsi di un soggetto sottoposto a un’influenza dominante da parte di una PA o di un ente pubblico; il Codice menziona inoltre le “imprese pubbliche”, sottoposte però a regole meno stringenti in quanto ispirano la loro azione a una logica essenzialmente economica, e sono quelle sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante; infine alcune disposizioni si applicano alle imprese private che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi per legge o sulla base di un provvedimento di una PA e che sono incluse nella categoria di “enti aggiudicatori”; - oggettivo: il Codice individua in un elenco alcune tipologie di contratti esclusi in tutto o in parte dalla disciplina generale, tra cui figurano ad es. i contratti di acquisito e vendita di strumenti finanziari, i contratti di acquisito o locazione di beni immobili e i contratti per l’acquisto di acqua o di energia elettrica; l’affidamento dei contratti esclusi, pur non dovendo rispettare le regole procedurali poste dal Codice, deve comunque avvenire nel rispetto dei principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, e pubblicità. In aggiunta il Codice indica altri criteri per individuare la disciplina di volta in volta applicabile: - l’importo: il Codice delinea un regime diversificato per i contratti “sopra soglia”, cioè quelli di rilevanza europea, per i quali si applicano integralmente le procedure stabilite dalle direttive europee e trasfuse nel Codice, e per quelli “sotto soglia”, cioè che non superano l’importo minimo stabilito dalle direttive europee per i contratti aventi per oggetto forniture, servizi o lavori, per i quali il diritto europeo ritiene sufficiente l’applicazione dei principi gergali desumibili dai trattati; - l’oggetto: i contratti pubblici possono avere per oggetto la realizzazione di lavori, la fornitura di beni, la prestazione di servizi; il codice li sottopone ad una disciplina tendenzialmente unitaria con una specialità in tendenza dei lavori, in particolare la “concessione di lavori o di servizi” è un contratto avente per oggetto non soltanto la realizzazione dei lavori ma anche la gestione dell’opera o del servizio, da questa derivano i ricavi che mettono in condizione il concessionario di recuperare nel tempo i costi e di realizzare un utile d’impresa (es. costruzione di un’autostrada a pedaggio). 3. Le procedure di affidamento L’affidamento dei contratti pubblici avviene tramite un procedimento articolato in più fasi: 1. Avvio del procedimento: è disposto dalle amministrazioni aggiudicatrici tramite la delibera a contrarre, che consiste in un atto interno dell’amministrazione che individua gli elementi essenziali del contratto e i sistemi di selezione dei contraenti; segue la predisposizione e pubblicazione di un bando di gara, che deve contenere le informazioni relative allo svolgimento della procedura e all’oggetto del contratto, nella redazione l’amministrazione gode di ampia discrezionalità circa l’individuazione dell’oggetto del contratto, dei requisiti minimi di partecipazione e dei criteri di valutazione delle offerte, tuttavia deve essere esercitata secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in modo da garantire la par condicio e la concorrenza effettiva; per consentire la partecipazione alle gare anche di imprese di dimensioni inferiori o prive di tutti i requisiti richiesti dal bando, intervengo alcuni istituti: - i consorzi stabili: devono essere formati da almeno tre imprese che si impegnino a operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per almeno cinque anni; - i raggruppamenti temporanei d’imprese: sono istituiti con riferimento a una singola procedura di gara e non richiedono la costituzione di un’entità giuridica separata, ma è sufficiente una 77 regolamentazione pattizia con l’attribuzione di un mandato all’impresa capofila che assume la rappresentanza delle altre e la responsabilità principale nei confronti della stazione appaltante; - l’avvalimento: istituto che consente a un’impresa che partecipa alla procedura di usufruire dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico o organizzativo richiesti dal bando e che essa non possiede, rivolgendosi a un’impresa che si impegna contrattualmente a metterli a disposizione dell’impresa che presenta l’offerta. 2. Selezione dei partecipanti: il Codice individua tre tipi di procedure: - aperte: sono quelle nelle quali ciascun operatore economico interessato può presentare un’offerta; - ristrette: sono quelle alle quali ogni operatore economico può chiedere di partecipare, ma possono presentare un’offerta soltanto coloro che vengono invitati dalle stazioni appaltanti; - negoziate: ammesse in via eccezionale nei casi tassativamente indicati, sono quelle nelle quali l’amministrazione consulta, con modalità meno formalizzate, gli operatori economici da essa prescelti e negozia con uno o più di essi le condizioni del contratto. Nelle procedure ristrette e negoziate, la fase delle offerte è preceduta da una fase di “prequalifica”, nella quale le stazioni appaltanti selezionano le imprese da invitare a presentare l’offerta che siano in possesso di requisiti minimi predeterminati, tali da garantire la serietà del potenziale contraente; i criteri sono indicati nel bando e devono essere oggettivi, non discriminatori e proporzionati, inoltre il Codice prevede un numero minimo di candidati da invitare così da assicurare una concorrenza effettiva. 3. Valutazione delle offerte: serve a individuare, tra i partecipanti alla procedura, l’impresa con la quale l’amministrazione stipulerà il contratto; l’offerta economicamente più vantaggiosa viene individuata attraverso due criteri: il prezzo più basso, che assicura la massima oggettività nella valutazione con esclusione di ogni discrezionalità (previsto solo in casi tassativi); il miglior rapporto qualità/prezzo, che richiede una valutazione discrezionale degli elementi di tipo qualitativo. 4. Aggiudicazione: a conclusione dei lavori, la commissione giudicatrice formula una graduatoria e viene dichiarata l’aggiudicazione a favore del miglior offerente; prima dell’aggiudicazione viene espletato un controllo sulla regolarità delle operazioni di gara; l’aggiudicazione non equivale ancora ad accettazione dell’offerta risultata prima nella graduatoria, ma diventa efficace a seguito di un ulteriore controllo, avente per oggetto il possesso effettivo da parte dell’impresa selezionata dei requisiti di partecipazione autodichiarati; divenuta efficace, l’amministrazione procede alla stipula del contratto. Procedure flessibili previste dal Codice: - dialogo competitivo: procedura che può essere utilizzata in caso di appalti nei quali la stazione appaltante non ha le conoscenze necessarie per individuare le soluzioni tecniche, giuridiche o finanziarie di un progetto e ha dunque necessità di un confronto preliminare con le imprese per individuare le soluzioni migliori da mettere poi a gara; specificità: il bando di gara si limita a individuare in modo generico le necessità e gli obiettivi che si propone la stazione appaltante e i criteri di valutazione delle offerte, successivamente invita le imprese ammesse alla procedura a un dialogo nel quale ciascuna singolarmente discute con la stazione appaltante di tutti gli aspetti dell’appalto e le soluzioni individuate; conclusa la fase del dialogo, la stazione appaltante invita le imprese a presentare le offerte finali in base alle soluzioni individuate nel corso della procedura, le quali sono poi valutate sulla base dei criteri fissati nel bando e, all’esito della valutazione, procede all’aggiudicazione; - aste elettroniche: sono previste per i casi in cui l’aggiudicazione può avvenire sulla base di elementi espressi in valori numerici precisi tali da poter essere computati e raffrontati in modo automatico con mezzi informatici; il bando deve contenere le informazioni riguardati lo svolgimento dell’asta elettronica, tra le quali le condizioni per poter effettuare i rilanci ed eventuali limiti; l’asta si conclude alla data e ora preventivamente comunicata e l’aggiudicazione avviene a favore dell’offerta migliore; - accordi quadro: sono contratti il cui scopo è quello di stabilire le condizioni e le clausole relative a singoli appalti da aggiudicare in un determinato periodo di tempo; l’accordo quadro è aggiudicato all’esito di una procedura che si svolge con le modalità ordinarie, a seguito della quale vengono individuate una o più imprese: se una sola, a valle dell’accordo quadro la stazione appaltante può poi stipulare i singoli contratti direttamente con questa; se più di una, i singoli contratti a valle sono conclusi tra queste senza ulteriore confronto competitivo, in base a un ordine di priorità stabilito nel bando; sono stipulati dalle centrali di committenza, cioè delle amministrazioni aggiudicatrici che acquistano forniture o servizi, aggiudicando appalti di lavori 80 CAP. 13 LA FINANZA 1. Premessa Le PA hanno bisogno di risorse finanziarie in relazione a due compiti: esercitare nell’interesse della collettività le funzioni pubbliche ed erogare servizi (finanza funzionale); garantire il funzionamento dei propri apparati (finanza strumentale). Gli esborsi possono avvenire in forma diretta attraverso sovvenzioni, incentivi, premi e contributi ai singoli aventi diritto, oppure in forma indiretta attraverso la realizzazione di opere e l’erogazione di servizi in natura. Le entrate delle PA sono in gran parte di natura tributaria e solo in minima parte derivano da proventi patrimoniali; il prelievo fiscale è sottoposto alla riserva di legge, espressione del principio del “no taxation without representation”, in base alla quale solo il parlamento può istituire e disciplinare i tributi; la Cost.: prevede una riserva di legge relativa; impone un obbligo di contribuire alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva; prevede che il sistema tributario sia informato a criteri di progressività; attribuisce alle regioni e agli enti territoriali la potestà di istituire, entro certi limiti, tributi propri. Al parlamento spetta determinare l’ammontare e la destinazione dei flussi di spesa, stabilire le priorità tra i bisogni della collettività da soddisfare attraverso la messa a disposizione di risorse; all’allocazione delle risorse ai vari ministeri ed enti e al sistema delle autonomie territoriali provvede ogni anno il parlamento approvando il bilancio di previsione. Bilancio di previsione delle PA: serve sia ad allocare le risorse tra le diverse destinazioni, sia a stabilire i tetti di spesa, nel senso che le amministrazioni possono impiegare le somme solo entro i limiti e gli importi stanziati, ciò al fine di garantire il pareggio di bilancio, se le pese previste per un determinato anno sono maggiori delle entrate, il governo può proporre di coprire la differenza attraverso accensione di un prestito (es. emissioni di buoni del Tesoro); l’approvazione annuale del bilancio rende possibile l’erogazione di spesa, senza di essa non possono essere pagati gli stipendi, le pensioni o altre spese. Le due dimensioni della finanza pubblica: - macro: tratta delle entrate e delle uscite dello Stato in un’ottica di equilibro generale economico e finanziario; - micro: riguarda la gestione delle risorse e i procedimenti di spesa da parte delle singole PA. Le due dimensioni sono strettamente correlate: - da un lato i vincoli macroeconomici incidono sull’operatività concreta delle singole amministrazioni, sottoposte a riduzione degli stanziamenti e misure di contenimento delle spese; - dall’altro l’equilibrio finanziario complessivo dipende dalla sommatoria dei comportamenti delle singole PA, da qui l’esigenza di riportare all’interno di un quadro ricognitivo e decisionale unitario i rivoli della spesa pubblica. 2. I principi costituzionali Il principio del pareggio di bilancio va collegato a un vincolo di sostenibilità del debito pubblico nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo, l’art. 81, c.1 contiene dunque l’impegno dello Stato ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico, mentre il c.2 fissa limiti all’indebitamento pubblico, consentendolo al solo fine di considerare gli effetti del ciclo economico, cioè in fase anticiclica per periodi di tempo limitati e ove si verifichino eventi eccezionali; il c.6 rinvia a una legge quadro di contabilità volta a stabilire i criteri per assicurare l’equilibrio tra le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle PA (ed è la l. 243/2012); inoltre l’art. 97, c.1 prevede che le PA, in coerenza con l’ordinamento dell’UE, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico; infine l’art. 117 attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, l’armonizzazione dei bilanci pubblici. 3. I vincoli di derivazione europea Sebbene formalmente gli Stati mantengano intatta la loro sovranità nell’ambito delle politiche economiche e di bilancio, la disciplina sovranazionale contenuta nei Trattati e nel diritto derivato limita notevolmente la potestà decisionale degli ordinamenti nazionali in materia; gli Stati sono tenuti a raggiungere condizioni finanziare stabili al fine di evitare che eventuali squilibri dei conti pubblici distorcano l’allocazione delle risorse all’interno del mercato comune, tali condizioni derivano dal conseguimento di una situazione di bilancio caratterizzata da un disavanzo e da un 81 debito non eccessivi rispetto al prodotto interno lordo; al fine di misurare l’entità del debito e qualificare il disavanzo come eccessivo, il rapporto tra l’entità complessiva del disavanzo annuale, cioè il deficit degli Stati, e il PIL non deve superare il 3%, mentre quello tra il debito pubblico e il PIL non deve superare il 60%; ogni Stato membro è tenuto a fornire, alla Commissione e al Consiglio, il “Programma di stabilità” relativo all’anno in corso e ai tre successivi, contenente le informazioni necessarie e gli interventi programmati per conseguire un saldo di bilancio prossimo al pareggio; è previsto inoltre il “Fiscal compact”, il quale mira a rafforzare la disciplina di bilancio in pareggio o in avanzo e l’attivazione di meccanismi automatici di correzione nel caso di deviazioni significative degli obiettivi di medio termine concordati a livello europeo; in più, gli Stati che lo ratificano possono beneficiare del fondo salva-Stati previsto dal Trattato istituivo del meccanismo europeo di stabilità (MES), un fondo di 780 miliardi di euro, istituito a favore degli Stati membri dell’Unione che si ritrovino in stato di grave crisi finanziaria. 4. Il Documento di economia e finanza, la legge di bilancio La disciplina della finanza pubblica introduce due strumenti principali di programmazione finanziaria e di bilancio: 1. Il Documento di economia e finanza (DEF): presentato dal governo alle Camere entro il 10 aprile di ogni anno; si compone di tre sezioni: - la prima è costituita dallo schema del Programma di stabilità, che contiene le informazioni richieste dalla normativa europea in attuazione del Patto di stabilità e crescita, in particolare con riferimento agli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica per il trienni successivo; - la seconda contiene l’analisi del conto economico e di cassa delle PA nell’anno precedente, con l’indicazione degli eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi programmatici, nonché le previsioni tendenziali per il triennio successivo; - la terza è costituita dallo schema del Programma nazionale di riforma, anch’esso contenente le informazioni richieste dalla normativa europea, in particolare riguardanti lo stato di avanzamento delle riforme avviate, i fattori macroeconomici nazionali che incidono sulla competitività e i prevedibili effetti delle riforme in termini di crescita dell’economia e di aumento dell’occupazione. Il DEF individua anche gli obiettivi programmatrici che le regioni e gli enti locali devono tenere in considerazione, allorché determinano gli obiettivi dei propri bilanci annuali e pluriennali. La legge di stabilità e la lege di bilancio compongono la manovra triennale di finanza pubblica che, per il triennio di riferimento, indica le misure qualitative e quantitative necessarie per realizzare gli obiettivi programmatici indicati nel DEF. 2. Il disegno di legge del bilancio annuale di previsione: presentato alle Camere entro il 20 ottobre, è redatto sia in termini di competenza sia in termini di cassa; si compone di due sezioni: - la prima dispone annualmente il quadro di riferimento finanziario e provvede alla regolazione annuale delle grandezze previste dalla legislazione vigente al fine di adeguare gli effetti finanziari agli obiettivi, contiene inoltre le misure quantitative necessarie a realizzare gli obiettivi programmatici da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico; - la seconda è costituita dallo stato di previsione dell’entrata, dallo stato di previsione della spesa distinta per ministeri e dal quadro generale riassuntivo con riferimento al triennio; gli “stati di previsione relativi ai singoli ministeri” in particolare, sono accompagnati da una nota integrativa e da una scheda illustrativa: la prima contiene i criteri per la previsione relativa alle principali imposte e tasse, gli obiettivi, le priorità e gli indicatori di risultato correlati a ciascun programma di spesa, mentre la seconda riporta una serie di informazioni relative a ogni programma di spesa e alle leggi che lo finanziano; le entrate sono ripartite in titoli, a seconda che abbiano natura tributaria, extra-tributaria o che derivino da altre fonti, mentre le spese sono ripartite in missioni, programmi e unità elementari di bilancio, le quali quest’ultime sono costituite dai capitoli nei quali le spese dello Stato sono ripartite secondo l’oggetto della spesa e sono ripartite secondo il contenuto economico e funzionale delle spese ivi scritte. Principi in materia di bilancio: i principi generali sono l’integrità (che richiede che tutte le entrate e le spese siano iscritte nel bilancio nella loro esatta entità), l’universalità e l’unità del bilancio (che vietano alle amministrazioni di gestire fondi al di fuori del bilancio), la pubblicità; le amministrazioni possono impegnare i fondi stanziati e ordinare le spese nei limiti delle risorse assegnate in bilancio. 82 Rendiconto generale: presentato entro il mese di giugno di ogni anno dal ministro dell’Economia e delle Finanze alle Camere, riguarda l’esercizio dell’anno precedente con allegata una nota integrativa; il rendiconto si compone di due parti: il conto del bilancio, che espone le entrate e le uscite di competenza dell’anno precedente; e il conto generale del patrimonio, che dà una rappresentazione della composizione e della variazione delle consistenze patrimoniali nell’anno precedente; la nota integrativa ha due sezioni: la prima illustra i risultati, analizzando il grado di realizzazione degli obiettivi; la seconda illustra i risultati finanziari ed espone i principali fatti di gestione motivando gli eventuali scostamenti tra le previsioni iniziali di spesa e quelle finali. La finanza regionale e degli enti locali: il modello delineato dall’art. 119 C. è quello del passaggio da un sistema di finanza derivata, cioè impostato sul trasferimento di risorse finanziarie dallo Stato agli enti territoriali nel quadro della manovra di bilancio, a un sistema nel quale le entrate proprie degli enti territoriali garantiscono la copertura delle funzioni e nel quale sono previste comunque forme di perequazione a favore dei territori con minor capacità fiscale; in ogni caso, anche la finanza degli enti territoriali è condizionata dai vincoli europei che si traducono nel Patto di stabilità interno, al fine di sottoporre a controllo l’indebitamento netto degli stessi; inoltre, alla Corte dei conti sono stati attribuiti poteri di verifica dei bilanci preventivi e consuntivi degli enti locali ai fini del rispetto degli obiettivi del Patto, nonché dei limiti e della sostenibilità dell’indebitamento. Clausola di salvaguardia: è prevista per le situazioni di grave recessione economica e consente agli Stati membri di allontanarsi temporaneamente dagli obiettivi di sostenibilità del bilancio a medio termine, permettendo di aumentare i livelli di spesa e del debito pubblico allo scopo di erogare finanziamenti e sussidi alle imprese e di mettere in opera altri interventi a sostegno della cittadinanza. 5. La gestione delle risorse e il procedimento di spesa Le risorse assegnate a un determinato apparato amministrativo vengono ripartite dall’organo di indirizzo politico-amministrativo tra gli uffici di livello dirigenziale generale, i quali a loro volta le attribuiscono ai propri dirigenti che esercitano i poteri di spesa in modo autonomo. Le obbligazioni assunte dalle PA che comportano spese a carico del bilancio derivano talvolta direttamente dalle leggi o da sentenze, oppure da provvedimenti amministrativi e da contratti stipulati all’esito di una procedura a evidenza pubblica. Procedimento di spesa: è articolato in quattro fasi: - l’impegno: è volto a imprimere alle somme iscritte a bilancio una destinazione specifica, cioè quella di soddisfare l’obbligazione validamente assunta dall’amministrazione nei confronti di un creditore; l’atto stabilisce l’importo da pagare su un determinato capitolo di bilancio, il soggetto creditore e la ragione, inoltre costituisce un vincolo sulle previsioni del bilancio, in quanto alle somme in questione non può essere data altra destinazione; - la liquidazione: è un atto interno che verifica i titoli e i documenti comprovanti i diritti dei creditori e determina così la somma certa e liquida da pagare; - l’ordinazione: è l’atto con il quale l’amministrazione impartisce al tesoriere (ufficio o soggetto distinto dall’ufficio dell’amministrazione che ordina il pagamento) la disposizione di provvedere al pagamento delle somme liquidate mediante il mandato o l’ordinativo di pagamento; - il pagamento: è l’erogazione materiale della somma, che può avvenire in varie forme ed è effettuato dal tesoriere in seguito alla ricezione del mandato di pagamento e previo riscontro della regolarità formale. 85 8. Le azioni nel processo di cognizione, le azioni cautelare ed esecutiva Nel processo di cognizione possono essere proposte più tipi di azioni: - di annullamento: ha natura costituiva ed è l’azione principale per la tutela degli interessi legittimi lesi da un provvedimento amministrativo illegittimo, va proposta entro 60 giorni e ha lo scopo di verificare se l’atto amministrativo impugnato sia viziato per violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere, se azione accolta il giudice annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato; la sentenza di annullamento produce tre tipi di effetto: a) di annullamento: rimuove l’atto impugnato e i suoi effetti retroattivamente, cioè ripristina la situazione di diritto preesistente all’emanazione dell’atto (esprime pertanto il carattere propriamente costitutivo della sentenza); b) ripristinatorio: mira a ricostruire per quanto possibile la situazione di fatto e di diritto nella quale si sarebbe trovato il ricorrente al momento dell’emanazione della sentenza in assenza dell’atto amministrativo illegittimo, va ad integrare quello di annullamento e tende quindi a elidere il pregiudizio subito dal soggetto privato nel periodo in cui l’atto ha prodotto i suoi effetti e, ove non sia possibile, trova spazio la tutela risarcitoria; c) conformativo: crea un vincolo in capo all’amministrazione nel momento in cui essa emana un nuovo provvedimento in sostituzione di quello annullato; - di condanna al risarcimento del danno: provocato da un atto amministrativo illegittimo che lede un interesse legittimo, è proposta di regola in collegamento con l’azione di annullamento, è vista come un’azione complementare di questa, cioè riguardante solo i danni ai quali l’annullamento del provvedimento non può porre rimedio; - di adempimento: è l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto, deve essere proposta contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio, ed è ammessa solo in presenza di poteri vincolanti; - avverso il silenzio: può essere esperita fintanto che perdura l’inerzia dell’amministrazione e comunque entro il termine di un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, l’azione è volta ad accertare l’inadempimento dell’obbligo di provvedere, ove richiesto il giudice può anche pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, cioè verificare se il provvedimento oggetto dell’istanza debba essere rilasciato dall’amministrazione, ma ciò solo quando si tratti di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di discrezionalità; - di nullità: può essere proposta entro 180 giorni in relazioni ai vizi di cui all’art. 21 septies l. 241/1990, scaduto il termine il giudice può comunque dichiarare la nullità dell’atto ex officio; - di accertamento: esperibile ove corrisponda al bisogno di tutela correlato a una situazione giuridica soggettiva, in ogni caso, ove sia proposta un’azione di annullamento, ma nel corso del giudizio l’annullamento non risulti più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori; - per l’efficienza della PA: esperibile nel caso di violazione di livelli e standard di qualità previsti per le prestazioni agli utenti, mira a costringere l’amministrazione a raggiungere o a ripristinare i livelli delle prestazioni stabiliti in atti amministrativi generali. Oggetto del processo amministrativo: può essere individuato nell’affermazione della titolarità di un interesse legittimo, volto a conservare o ad acquisire un bene della vita che è stato leso da un atto o un comportamento della PA non conformi alla norma attributiva del potere. Altri due tipi di azione: - cautelare: dà origine a una fase autonoma del processo di cognizione, consente di richiedere al giudice provvedimenti interinali nei casi in cui vi è la necessità di evitare danni gravi e irreparabili che potrebbero prodursi nelle more della sentenza definitiva, le misure cautelari possono essere richieste già nel ricorso principale o in qualsiasi momento successivo all’instaurazione del giudizio; l’accoglimento della domanda è legato all’accertamento di due presupposti: il “fumus boni juris”, interpretato talora come probabilità di accoglimento del ricorso, talvolta come minimo di attendibilità o non manifesta infondatezza del ricorso; il “periculum in mora”, cioè il pregiudizio grave e irreparabile che deriverebbe in capo al ricorrente nella more della conclusione del grado di giudizio, danno che va valutato bilanciandolo anche con l’interesse dell’amministrazione; in caso di inottemperanza dell’amministrazione alle misure cautelari disposte, la parte interessata può chiedere al giudice le opportune disposizioni attuative; - esecutiva: dà origine al giudizio di ottemperanza e può essere proposta a valle del processo di cognizione nei casi in cui l’amministrazione non esegua una sentenza del giudice 86 amministrativo; oggetto del giudizio è la verifica se la PA abbia o meno adempiuto all’obbligo nascente dal giudicato, l’inadempimento può consistere nell’inerzia totale o parziale o nell’adozione di atti amministrativi elusivi del giudicato (affetti da nullità); tale giudizio consente al giudice di sostituirsi all’amministrazione e può anche condannarla al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione della sentenza e al pagamento di una penalità di mora. 9. Lo svolgimento del processo amministrativo. I principi informatori Concezione soggettiva della tutela giurisdizionale: il processo serve ad assicurare al ricorrente una tutela piena ed effettiva delle situazioni giuridiche soggettive. 1. Principio della domanda: in caso di accoglimento del ricorso il giudice emana la sentenza, tra quelle elencate nella disposizione, nei limiti della domanda; rientra tra le prerogative del ricorrente, non solo l’impulso processuale, ma anche l’individuazione dell’oggetto della domanda attraverso l’indicazione del provvedimento eventualmente impugnato, l’esposizione sommaria dei fatti, la formulazione dei motivi, l’indicazione dei mezzi di prova e dei provvedimenti chiesti al giudice; i motivi sono i profili di illegittimità dedotti nel ricorso e devono essere enunciati in modo specifico, cioè con il riferimento preciso alla norma o al principio violato e al tipo di vizio (se generici sono inammissibili); il giudice non può pronunciarsi d’ufficio su motivi non specificamente dedotti e ha il dovere di pronunciarsi su tutti i motivi formulati nel ricorso; scaduto il termine per la presentazione del ricorso, il ricorrente può proporre soltanto i motivi aggiuntivi, cioè nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. 2. Principio della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo: all’interno del processo alle parti sono riconosciute le medesime garanzie, indipendentemente dal rapporto che intercorre tra queste; si dividono in: - parti necessarie: sono a) il ricorrente: per presentare ricorso il titolare della situazione giuridica soggettiva deve dimostrare la legittimazione e l’interesse a ricorrere: la prima individua il soggetto legittimato a far valere in giudizio una determinata situazione giuridica soggettiva; la seconda consiste nel beneficio o utilità effettiva che il ricorrente potrebbe conseguire ove il ricorso fosse accolto e deve avere i requisiti della personalità, della concretezza e dell’attualità e deve inoltre permanere per tutta la durata della processo; b) l’amministrazione resistente: è la PA che ha emanato il provvedimento o nei cui confronti viene avanzata la pretesa; c) il controinteressato: è il soggetto la cui posizione giuridica soggettiva sarebbe intaccata dall’accoglimento del ricorso; può proporre un ricorso incidentale impugnando lo stesso provvedimento e proponendo motivi che, ove accolti, farebbero venir meno l’interesse del ricorrente a ottenere una pronuncia sul ricorso principale; - parti eventuali: sono gli intervenienti volontari “ad adiuvandum” e ad “opponendum”: i primi affiancano il ricorrente e possono integrare le difese di questo, ma non proporre motivi di ricorso ulteriori tali da ampliare l’oggetto del processo; i secondi affiancano l’amministrazione resistente. 3. Principio dispositivo: regge l’istruzione probatoria che però subisce nel processo amministrativo alcune attenuazioni, vige infatti la regola propria del processo civile secondo la quale le parti devono individuare e allegare i fatti rilevanti e fornire la prova dei medesimi, tuttavia il giudice può anche disporre d’ufficio i mezzi istruttori ritenuti necessari ma occorre che il ricorrente fornisca almeno un elemento di prova; quanto ai mezzi istruttori, il giudice può chiedere alle parti chiarimenti o documenti, può disporre ispezioni, può ammettere la prova testimoniale e può assumere tutti i mezzi di prova previsti dal c.p.c. (salvo l’interrogatorio formale e il giuramento), inoltre può disporre una consulenza tecnica; quindi, il giudice amministrativo ha un accesso autonomo e diretto al fatto e può sindacare se esso sia stato ricostruito in modo corretto nel provvedimento. 4. Principi della concentrazione, della collegialità e dall’oralità: l’articolazione del processo è più semplice di quello civile e consiste generalmente in una fase cautelare e in una fase di merito, quest’ultima incentrata sull’udienza collegiale pubblica di discussione orale in vista della quale possono essere depositate memorie e repliche scritte, e può essere preceduta da un’udienza in camera di consiglio nel caso in cui il ricorrente proponga anche l’istanza cautelare; non è prevista una fase istruttoria necessaria, in quanto in molti casi il deposito del provvedimento impugnato unitamente agli atti procedimentali a cura dell’amministrazione, è sufficiente per poter appurare l’esistenza dei vizi dedotti nel ricorso; la massima concentrazione si ha allorché 87 il giudice ritenga di procedere alla definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata assunta all’esito della fase cautelare; la collegialità vale sia per la fase di merito sia per la fase cautelare; 5. Principio del doppio grado del giudizio: l’appello può essere proposto senza alcuna limitazione di motivi e il Consiglio di Stato, se accoglie il ricorso, decide della controversia nel merito senza rimettere la questione al TAR competente; la parte appellante individua nel ricorso in appello i capi di sentenza oggetto di impugnazione e con riferimento ad essi deve dedurre espressamente le domande e le eccezioni assorbite o non esaminate, altrimenti si intendono rinunciate; nel giudizio d’appello non possono essere proposte nuove domande né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio e non sono ammessi nuovi mezzi di prova o nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili o la parte dimostri di non averli potuti proporre o produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile. 10. I ricorsi amministrativi I ricorsi amministrativi possono essere annoverati tra i procedimenti di secondo grado, cioè che hanno a oggetto altri procedimenti, hanno natura di procedimenti di riesame a iniziativa di parte con funzione giustiziale, la disciplina è contenta nel d.p.r. 1199/1971 e individua tre tipi di ricorso: - in opposizione: è presentato allo stesso organo che ha emanato l’atto, l’art. 7 pone il principio di tassatività e rinvia alle disposizioni che disciplinano il ricorso gerarchico; - gerarchico “improprio”: ha carattere tassativo e può essere proposto al di fuori di un rapporto di gerarchia avverso gli atti di organi collegiali; - gerarchico “proprio”: ha carattere generale ed è esperibile nei confronti degli atti non definitivi, va proposto entro 30 giorni innanzi al superiore gerarchico, il quale cura l’istruttoria e assume la decisione, inoltre può annullare o riformare l’atto impugnato e la sua decisone deve essere motivata; - straordinario al Presidente della Repubblica: ha carattere generale ed è esperibile nei confronti degli atti definitivi, va presentato entro 120 giorni ed è un rimedio parallelo e alternativo rispetto al ricorso giurisdizionale, in quanto offre una tutela simile a quella giurisdizionale e perché al ricorrente, una volta proposto il ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario e viceversa; può essere proposto solo per motivi di legittimità, il ministro competente cura l’istruttoria e trasmette tutti gli atti al Consiglio di Stato, il quale esprime il suo parere vincolante e la decisione finale è adottata con d.p.r. su proposta del ministro competente. 11. Cenni alle giurisdizioni amministrative speciali 1. La Corte dei conti: accanto alle funzioni di controllo (art. 100, c.2, C.) esercita funzioni giurisdizionali nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (art. 103 C.); la giurisdizione della Corte dei conti riguarda i settori: della responsabilità erariale e contabile dei pubblici funzionari; il contenzioso in materia pensionistica; i giudizi di conto; i giudizi a istanza di parte in materia contabile. 2. Le commissioni tributare: sono provinciali e regionali e sono disciplinate dal d.lgs. 546/1992, sono composte da magistrati e da altre figure professionali, le controversie devolute alla loro cognizione sono individuate in modo tassativo dall’art. 2. 3. Il Tribunale superiore delle acque pubbliche: è composto da magistrati amministrativi e ordinari e da tecnici ed è titolare di una competenza generale sui ricorsi giurisdizionali contro i provvedimenti amministrativi in materia di acque pubbliche e di competenza speciale di merito in materia di contravvenzioni e di altri provvedimenti di polizia demaniale. 90 seguono un ordine d’imputazione di diritto speciale, per cui è l’ordinamento (e non l’organo) a voler riferire direttamente gli atti degli amministratori alla persona giuridica; il criterio per imputare la riferibilità di una fattispecie all’amministrazione è quello della “occasionalità necessaria”, per cui il comportamento, il fatto o l’atto è imputato all’organizzazione collettiva, qualora viene occasionato nell’interesse dell’amministrazione e da un soggetto che è incaricato di operare per questa (se invece è occasionato per fini personali dell’agente, si avrà la frattura del rapporto d’imputazione). Quindi, dal punto di vista dell’efficacia degli atti, questi sono rilevanti ed imputabili alle amministrazioni a prescindere dal fatto che siano adottati da un organo, ma è sotto il versante della validità di questi e delle forme di responsabilità che si coglie la rilevanza giuridica della figura dell’organo della PA. 7. La rappresentanza legale Nelle PA non tutti gli organi sono abilitati a concludere contratti con i terzi o a rappresentare in giudizio la propria persona giuridica, ma tale qualità è conferita solo a specifici organi rappresentanti legali dell’ente; l’organo dotato di legale rappresentanza è un particolare tipo di organo esterno, cioè quello che esprime la volontà dell’ente nei rapporti contrattuali con i terzi e che, avendo la capacità processuale, conferisce la procura alle liti per agire o resistere in giudizio; con l’introduzione del principio di distinzione tra politica e amministrazione, il potere di rappresentanza legale è stato trasferito ai dirigenti. 8. L’organo con legittimazione separata Talora gli ordinamenti generali attribuiscono la soggettività giuridica agli organi, che diventano così centri di riferimento di interesse, questa scelta dipende dalla necessità di attribuire ad alcuni organi autonomia giuridico-finanziaria al fine di rendere più celere, semplice ed efficace la cura degli interessi pubblici, mentre in altri casi si preferisce attribuire separata soggettività giuridica a degli organi straordinari, chiamati a provvedere con urgenza a situazioni di particolare gravità (gestioni commissariali) oppure a degli organi chiamati a liquidare le gestioni di enti disciolti (gestioni liquidatorie); gli organi dotati di propria soggettività giuridica sono definiti come “organi con legittimazione separata”, e si connotano per il fatto di imputare le fattispecie giuridiche da loro prodotte a se stessi anziché alla persona giuridica di riferimento. 9. L’organo-ente Talvolta l’ordinamento giuridico non si accontenta della legittimazione separata ed attribuisce all’organo la personalità giuridica, nasce così l’ente-organo (o persona giuridica-organo); ha carattere eccezionale e vi rientrano tra le altre le istituzioni scolastiche e l’Agenzia delle entrate; il ricorso a tale figura consente di attribuire all’organo con personalità giuridica un significativo grado di autonomia e di sottoporlo ad un potere di controllo di carattere gerarchico più penetrante da parte dell’ente cui fa parte. 10. Gli organi dello Stato Gli organi dello Stato, facendo parte di una persona giuridica, dovrebbero imputare l’intera fattispecie da loro prodotta allo Stato-ente, tuttavia questo accade solo per una parte degli organi statuali, in particolare dagli organi di rango costituzionale: le leggi per quanto riguarda il Parlamento, gli atti normativi per quanto concerne il Presidente della Repubblica e le sentenze per quanto attiene alla Consulta, vengono imputate, secondo le regole organiche, all’ente di riferimento, cioè allo Stato; mentre il Ministero è un organo avente una propria soggettività autonoma rispetto a quella dello Stato, avente la legittimazione ad essere parte dei rapporti sostanziali e processuali; il Ministero è assimilabile agli enti-organo, in quanto l’ordine di imputazione della fattispecie segue lo schema del doppio grado: gli organi del Ministero imputano a questo le fattispecie prodotte e il Ministero imputa allo Stato (di cui è organo) le fattispecie ricevute nel campo della polizia e gestione demaniale, come pure i risultati; tuttavia, il Ministero, pur essendo un ente-organo, non ha personalità giuridica, non è riconosciuto come tale, essendo invece un centro soggettivo di riferimento di interessi, che a sua volta imputa fattispecie ad altro centro di riferimento, lo Stato. 91 11. L’organo indiretto Indica la posizione dei concessionari di servizi pubblici e pubbliche funzioni, i quali, pur non facendo parte di un’amministrazione in senso proprio, sono investiti di poteri pubblici o sottoposti agli obblighi di evidenza pubblica previsti dalla disciplina europea o nazionale (“equiparazione”). Sez. II: Ufficio e relativi titolari 1. Ufficio e organo Ufficio: è un centro di lavoro che, nell’ambito delle organizzazioni complesse, svolge le attività sulla base del principio di divisione del lavoro organizzato sulla distribuzione dello stesso in vari centri tra loro coordinati; non avendo poteri non è in grado di incidere sul processo decisionale e volitivo dell’organo. Organo: è un ufficio particolarmente qualificato a svolgere competenze, ponendo in essere fattispecie giuridiche, costitutive, modificative o estintive, in via mediata o immediata, di situazioni giuridiche soggettive. La l. 241/1990 codifica (all’art. 4, c.1) il principio che nell’ambito delle PA occorre individuare un ufficio (unità organizzativa) cui attribuire un ruolo nella gestione delle pratiche amministrative, che può essere di carattere istruttorio, esecutivo o ausiliario, inoltre prevede anche che le PA devono individuare tra queste varie unità organizzative, quella avente la competenza nell’adozione del provvedimento finale (art. 6, c.1, lett. e); quindi è il diritto positivo a creare il tratto distintivo tra ufficio e organo, pertanto si ha una mera unità organizzativa (ufficio) quando a questa è attribuito solamente un ruolo (endo)procedimentale; mentre si ha un organo se alla medesima viene attribuita anche la competenza all’adozione del provvedimento finale (cioè produttivo di effetti giuridici incidenti su situazioni soggettive). 2. Specie di uffici Distinzione tra: - uffici “in staff”: sono al diretto servizio degli organi politici, sono gli “uffici di diretta collaborazione”, aventi il compito di supportare gli organi politici nello svolgimento delle loro attività d’indirizzo; - uffici “in line”: sono serventi agli organi dirigenziali, titolari del potere di amministrazione attiva, rappresentano l’articolazione organizzativa classica delle PA, di carattere burocratico e gerarchico, in cui al vertice delle macchina amministrativa viene posto un organo dirigenziale, cui sono sottoposti, in scala gerarchica, vari uffici tra loro posti in rapporti di sovraordinazione e subordinazione, siamo pertanto nel campo degli “uffici compositi” (cioè uffici di uffici) e, anche se con diverse denominazioni, tutte le PA seguono questo disegno organizzativo; sempre nell’ambito “in line” è importante la distinzione tra uffici “front-office” e “back-office”: i primi sono caratterizzati per avere un contatto diretto con il pubblico, mentre i secondi svolgono funzioni endo-organizzative. Gli uffici, sotto il profilo della “contabilità” possono godere di varie autonomie: - contabile e di bilancio: se prevedono da sé alla propria contabilità e alla stesura di un bilancio proprio; - finanziaria: se percepiscono direttamente i proventi derivanti dalla propria attività; - di gestione: se gestiscono i propri beni in autonomia o concludono direttamente i contratti di propria competenza. 3. Uffici e disegno organizzativo Dotazione organica: atto con cui si individua il fabbisogno di personale di ciascuna amministrazione, individuando le figure professionali necessarie all’ente, senza ancorarlo preventivamente ad uno specifico ufficio. Disegno organizzativo: indica il sistema degli uffici, comprendendo non solo il numero e la dimensione degli uffici, ma anche il ruolo a ciascuno assegnato e la rete della relazione tra gli uffici (è presente in ogni PA); non tutti gli uffici sono oggetto del disegno organizzativo, ma solo quelli di maggior rilevanza, cioè gli organi, mentre l’individuazione dei meri uffici è demandata alle 92 scelte manageriali degli organi dirigenziali, i quali assumono le determinazioni per l’organizzazione degli uffici con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro. L’organizzazione complessiva di ciascuna amministrazione è ripartita in: - atti di macrorganizzazione: diretti a predisporre le linee generali di organizzazione dell’ente, quindi hanno natura pubblicistica; - atti di microrganizzazione: con cui si provvede a dotare concretamente la PA dei propri centri di lavoro e della loro provvista di mezzi e personale, quindi hanno natura privata. 4. Titolari e addetti all’ufficio Lo schema astratto di distribuzione degli uffici derivante dal ricorso organizzativo necessita di concretizzazione tramite l’assegnazione della provvista di mezzi, risorse e personale, a questa esigenza provvedono gli atti organizzatori quali la programmazione triennale del bilancio e del personale, cui seguiranno gli stanziamenti derivanti dal bilancio annuale; assegnate le risorse, spetterà agli organi dirigenziali provvedere (con la capacità del datore di lavoro di diritto privato) alla provvista di mezzi, risorse e personale; i lavoratori che prestano la propria opera negli uffici della PA sono chiamati “addetti” e vengono assegnati ad un ufficio, mentre il “titolare dell’ufficio” è quel soggetto che viene preposto a capo dell’ufficio con funzioni di coordinamento e direzione dei vari addetti; il “titolare dell’organo” è invece la figura soggettiva particolarmente qualificata che è chiamata a rivestire la titolarità di un ufficio-organo. 5. Persona fisica titolare di un organo a) Funzionario professionale o onorario Il criterio distintivo poggia sulla funzione esercitata: i primi svolgono una funzione di amministrazione attiva, mentre i secondi svolgono funzioni di indirizzo politico e, in via residuale, tutte le funzioni diverse da quelle di amministrazione attiva (amministrazione attiva: funzionario professionale; alta amministrazione: funzionario onorario); mentre nell’ipotesi di organi collegiali poggia sulla gratuità o meno dell’incarico. La differenziazione ha valore nel riparto di giurisdizione: - nel caso del funzionario onorario: il giudice della lite viene individuato sulla base del criterio generale fondato sulla dicotomia diritti soggettivi/interessi legittimi, per cui le questioni relative alla nomina, vertendo in materia di interessi legittimi, rientrano nella giurisdizione del giuridico amministrativo, mentre le liti sul rapporto riguardano diritti ed obblighi, e quindi devolute al giudice ordinario; - nel caso del funzionario professionale: la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario del lavoro pubblico (salvo le controversie in materia di concorsi). b) Numera professionali Gli uffici pubblici possono essere esternalizzati, conferendo cariche pubbliche a soggetti estranei alla PA; l’esercizio privato di una pubblica funzione è riconducibile alla figura nel “munus publicum”: il “munus” consiste nell’attribuzione di un incarico di svolgere un’attività nell’interesse altrui, cioè nell’incarico di amministrare interessi di altri soggetti, in questo senso il munus è quindi un ufficio soggettivo, essendo centro di lavoro cui è affidato il compito di curare interessi altrui; le figure evidenziate (ad es. il notaio quando roga un atto publico non cura un proprio interesse, ma l’interesse pubblico (dello Stato) alla tutela della fede pubblica) curando interessi pubblici sono definibili come “munera pubblici” o “professionali”, il titolare di questi vari munera (ad es. il notaio) amministrando, curando un interesse pubblico, diventa un ausiliario della PA. c) Il responsabile del procedimento È la persona fisica cui viene conferito la titolarità dell’unità organizzativa responsabile del procedimento, tale figura serve a rendere la PA più trasparente e collaborativa, in quanto il responsabile diviene il referente unico dell’amministrato nel corso del procedimento; il responsabile è titolare dei poteri istruttori, pertanto è tenuto ad acquisire fatti e interessi da ponderare nel procedimento, valutando le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento; il responsabile del procedimento assume la veste di titolare di un ufficio particolarmente qualificato (ufficio istruttore) ma non di un organo, in quanto, di norma, all’unità organizzativa responsabile non è attribuito il potere di 95 CAP. 3 REGOLE DELLA COLLEGIALITÀ 1. Organi collegiali di diritto pubblico La natura collegiale consiste in una modalità di essere dell’organo amministrativo, tale per cui la titolarità è assunta da una pluralità di persone fisiche, le quali agiscono come un insieme inscindibile e costituiscono, attraverso la partecipazione uguale e contemporanea, un ufficio unico, pertanto la collegialità è una caratteristica riferita sia alla titolarità sia alla composizione dell’organo; due sono le finalità che inducono a conferire la titolarità di un organo ad un collegio piuttosto che ad un singolo: la pluralità degli interessi coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa e l’intento di far partecipare al momento decisionale tutti i soggetti portatori di conoscenze. Due notazioni di fondo: - distinzione, nell’ambito dei collegi di diritto pubblico, tra quelli politici e amministrativi: le collegialità politiche (o onorarie) sono caratterizzate dal fatto che i loro membri non sono titolari di un ufficio e non vanato né uno status professionale né un rapporto di servizio, ma solo eletti in via diretta e non nominati; - rapporto di collegialità e fonti che regolano il funzionamento dell’organo: ciascun collegio è libero di determinare le regole del proprio funzionamento ove non vi provveda la legge; a questo proposito importante è l’ulteriore distinzione, nell’ambito del diritto pubblico, tra collegi costituzionali e amministrativi: i primi hanno un fondamento espresso nella Costituzione, il che conferisce loro un elevato grado di autonomia organizzativa; i secondi non vantano il medesimo grado di autonomia, in quanto sono soggetti alla legge ordinaria, perché da essa traggono la propria fonte istituiva e l’attribuzione della competenza. 2-3. La collegialità, i collegi perfetti ed imperfetti e ulteriori distinzioni Collegialità apparente: si ha quando ciascuno dei componenti, mantenendo la propria identità, non conferisce al collegio la titolarità diretta di una funzione, ma lo rende una mera sede di svolgimento simultaneo di funzioni autonome, le quali rimangono individualmente facenti capo a soggetti distinti. Collegi perfetti e imperfetti: la distinzione è da ricondursi alla necessità o meno della partecipazione di tutti i componenti dell’organo per la validità della decisione; il criterio per individuare un collegio perfetto è costituito dalla previsione, oltre ai componenti effettivi, di componenti supplenti, potendo così dedurre la volontà univoca del legislatore che il valido funzionamento dell’organo richieda la presenza di tutti i membri; secondo la giurisprudenza invece la tipologia di funzioni demandate all’organo, di volta in volta, rileva al fine di distinguere se sia necessaria la presenza di tutti i componenti dell’organo ai fini della validità dell’attività medesima, questo approdo tende a bilanciare i due valori che caratterizzano le regole della collegialità: da un lato la governabilità e capacità funzionale dell’organo che l’onere assoluto di unanime presenza rischierebbe di minare; dall’altro la necessaria garanzia, certezza e trasparenza dell’attività e dell’esercizio della funzione, le quali rischiano di essere travolte qualora uno degli interessi rappresentati sia trascurato per l’assenza del soggetto competente. Ulteriori distinzioni: - collegi “reali e virtuali”: i primi sono quelli ispirati alla migliore ponderazione di un unico interesse predeterminato; i secondi sono quelli rivolti alla composizione di interessi differenti; - collegi “formali e sommersi”: i primi sono istituiti con legge o con atto avente forza di legge; i secondi con fonti subordinate; - collegi “giudiziali e amministrativi”: distinzione fondata sul tipo di funzione svolta; - collegi “di ponderazione e di composizione”: la ragione istituiva dei primi nasce dall’intento di riunire in un unico corpo più capacità professionali; mentre per i secondi origina dall’idea di rappresentare in collegio più interessi diversi. 4. Precisazioni sulla formazione della volontà collegiale L’atto diviene effettivamente del collegio “alla votazione”, prima di questa non vi è volontà formata del collegio, ma atti del procedimento che sono di paternità di uno o più componenti, è la votazione a costituire il momento di sintesi delle volontà delle componenti individuali in quella collegiale. 96 5. La votazione Esame dei problemi posti dalle votazioni nei collegi ricorrendo ai tre ambiti fondamentali di analisi: a) Modalità per effettuare il voto Le modalità possono essere distinte in base: - all’oggetto del voto: può essere sulle persone o sugli atti; - alla tecnica di manifestazione del voto: si distingue in: voto per alzata di mano, voto per schede, voto mediante apparati meccanici o elettronici di varia specie; le modalità di espressione del voto tendono a seguire l’oggetto della votazione (ad es. le deliberazioni sulle persone sono regolate dal principio di segretezza); - alla pubblicità. b) Computo dei componenti del collegio Quorum strutturale: è quello necessario per la validità delle adunanze. Quorum funzionale: è quello necessario per la validità delle deliberazioni. c) Validità del voto L’invalidità di una votazione si determina al ricorrere di due evenienze: l’errore nella votazione in quanto tale, o l’interpretazione scorretta di una disposizione che regola il procedimento di voto. 6. Imputazione della decisione al collegio e conseguenze applicative Titolare dell’ufficio è il collegio e non i suoi componenti, la titolarità della decisione è in capo al collegio e non ai soli componenti della maggioranza che si forma con il voto; conseguentemente, i profili di responsabilità del singolo componente il collegio vanno esaminati con riferimento alla posizione che ciascuno ricopre verso gli altri membri e verso l’esterno. a) Legittimazione all’impugnativa dell’atto collegiale da parte dei componenti Due orientamenti giurisprudenziali definiti e contrapposti: - secondo il primo, la posizione del componente è tale per cui questo può impugnare l’atto viziato solo qualora esso attinga direttamente all’interesse di cui questi è portatore; a sostegno di ciò due argomenti: il primo è che l’interesse a ricorrere averso la delibera collegiale deve essere qualificato e deve investire la personalità del ricorrente; il secondo è che a fronte della decisione collegiale giunta a perfezione, essa vincola tutti i componenti, qualunque sia stato il loro contributo volitivo sulla decisione, così che l’interesse del singolo componente diviene impalpabile in quanto assorbito dalla decisione di collegio; - il secondo, tende a valorizzare la posizione del componente in quanto parte del collegio e non quale mero portatore del singolo interesse ivi rappresentato, privilegiando così l’elemento oggettivo dell’interesse al buon andamento dell’organo e alla legittimità degli atti adottati in quanto tali, e sviluppando favore per l’attivazione da parte dell’intraneus di ogni rimedio giurisdizionale avverso l’atto viziato. b) Partecipazione ai lavori del componente sprovvisto di titolarità piena Ciò può avvenire o perché sine titulo in assoluto, o perché scaduto e non prorogato, o perché si atteggi a funzionario di fatto; si distingue sulla base della natura del collegio: gli atti adottati dai collegi perfetti sono soltanto viziati; per gli atti adottati dai collegi imperfetti è necessaria la prova di resistenza, cioè verificare se, ove il componente privo di legittimazione si fosse astenuto dal partecipare al voto, sarebbe venuta a mancare la maggioranza necessaria; tuttavia, si tede a considerare la collegialità non già solo nel momento decisivo della votazione, ma prendendo in considerazione ogni apporto fornito dai componenti al di là del voto espresso. 7. Il verbale Il verbale è volto a riprodurre l’attività dell’organo e non è necessariamente esso stesso atto collegiale, ma costituisce solo il documento che attesta il contenuto di una volontà del collegio; le conseguenze sono che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio non è requisito essenziale per la sua esistenza, né condizione di validità delle operazioni collegiali attestate dal verbale medesimo; inoltre, l’esistenza giuridica della deliberazione collegiale è riconducibile alla sola manifestazione di volontà dell’organo ed è indipendente dalla sua verbalizzazione, la manifestazione di volontà e la verbalizzazione che ne riproduce e documenta la manifestazione, rimangono distinti, cosicché la documentazione costituita dal verbale, sebbene necessaria, non è da considerarsi sempre determinante per la formazione della volontà dell’organo; quindi, 97 l’esistenza e la validità del verbale non si riflettono sempre sulla sorte degli atti del collegio, dovendosi sempre tenere ferma la distinzione tra atto e sua do documentazione, pertanto necessaria una valutazione caso per caso. 8. Astensione obbligatoria del componente Le discipline che stabiliscono i presupposti di necessaria astensione, traducono in un preciso obbligo legislativo il principio costituzionale di imparzialità (art. 97 C.), tendendo a garantire la posizione di terzietà dei membri dei collegi e ad evitare ogni coinvolgimento personale dei componenti i collegi; le cause di incompatibilità dei componenti dei collegi amministrativi attengono a rapporti, posizioni o situazioni che potrebbero influire sulla regolarità dell’esercizio delle pubbliche funzioni per un potenziale o effettivo conflitto di interessi fra due uffici o tra l’interesse personale e l’interesse pubblico, ovvero per il pericolo di coincidenza di interessi tra persone unite da vincoli di parentela o affinità. I soggetti gravati dall’obbligo di astensione devono evitare di partecipare anche alla discussione, potendo in questa condizionare la formazione della volontà collegiale a prescindere dalla partecipazione al voto; l’atto assunto in violazione dell’obbligo di astensione è annullabile in toto, così che l’effetto invalidante sull’atto amministrativo del collegio si produce sulla base di un mero giudizio in astratto ed ex ante circa gli effetti distorsivi derivanti dal difetto di imparzialità ricollegato alla situazione specifica e dai principi generali cristallizzati dall’art. 97 C., e dunque non assume rilievo il quesito risolvibile ex post circa l’esito inquinante in concreto sortito. 9. Opinione (e voto) dissenziente Il dissenso nel voto è sempre ammesso, mentre l’opinione dissenziente, che si concretizza in una sorta di motivazione contraria all’esito del voto su cui è coagulata la maggioranza dei consensi, è ammissibile soltanto in determinati casi, è talvolta esclusa per ragioni logiche quando ad es. la modalità di votazione sia segreta; l’opinione dissenziente può costituire il presupposto per la legittimazione ad impugnare l’atto di collegio su cui il componente ha espresso il dissenso, infatti è una dichiarazione di volontà privata non negoziale, a carattere necessariamente ricettizio, riferibile in via esclusiva al funzionario in quanto persona fisica, ne consegue che tende a precostituire una prova a futura memoria in ordine all’estraneità del soggetto dichiarante rispetto alla decisione del collegio; riguardo la forma, la regola generale è che il componente dissenziente ha diritto che siano scritti a verbale i motivi del proprio dissenso. 10. Presidenza del collegio Analisi del ruolo presidenziale sotto tre profili: - il problema del modo in cui individuarlo, essendovi una pluralità di tecniche e regole previste dalla legge o nei singoli statuti collegiali; - la peculiare posizione in cui si pone quanto alle specifiche funzioni e alle cruciali prerogative funzionali ad essa demandate; - i peculiari profili di responsabilità amministrativa, civile e penale che può assumere su di sé. a) Investitura, nomina o elezione del presidente del collegio La distinzione tra i casi in cui il presidente è accomunato agli altri membri del collegio da quelli in cui ha una fonte di investitura autonoma e diversa, ha conseguenza sul regime delle incompatibilità, sui requisiti per ricoprire la carica e sui imiti di durata del mandato; qualora il presidente sia eletto tra i membri del collegio, tutti eletti contestualmente con il medesimo sistema, si ha un’investitura di secondo grado, derivata dal fatto che l’assunzione della carica ha come prerequisito quello di far parte del collegio, per cui risente dei vizi e dei limiti di quella di primo grado, mentre così non è quando il presidente viene individuato “ab initio” con designazione autonoma, così che anche se prende parte ai lavori del collegio e, in senso lato, ne fa parte, ha tuttavia uno statuto suo proprio. b) Attribuzioni del presidente del collegio Al presidente spetta: il potere disciplinare, talora esercitato avverso i singoli componenti, talvolta all’intero collegio; i poteri di direzione; la potestà di convocazione, in particolare: le convocazioni possono essere partecipate anche in luogo diverso dal domicilio dei componenti, ma è essenziale che in esse sia definito l’ordine del giorno, il quale è questo contenuto minimo dell’atto di convocazione; inoltre, la mancata convocazione di tutti i membri del collegio determina l’illegittimità della seduta e di ogni decisione ivi eventualmente adottata.
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