Scarica Riassunto ACOCELLA N. Politica economica e strategie aziendali. Carocci e più Sintesi del corso in PDF di Politica Economica solo su Docsity! Riassunto libro Nicola Acocella Politica economica e strategie aziendali Sesta edizione Capitolo 1 Introduzione La politica economica è, in senso stretto, la disciplina che studia l’azione economica pubblica; essa indaga sul processo di formazione delle preferenze della collettività (scelte sociali), sulla scelta delle istituzioni e sulle scelte correnti dell’ente pubblico. Più in generale, la politica economica include ogni trattazione che sfrutti le conoscenze dell’Analisi economica e di altre discipline come guida all’azione di qualsivoglia operatore. La questione ricorrente a livelli di indagine è quella dei fondamenti di un punto di vista sociale (o collettivo) distinto dal punto di vista dei singoli individui. Tali fondamenti si ritrovano nell’Economia politica (e in altre discipline sociali), nonché nelle valutazioni personali dello scienziato sociale circa le capacità del mercato di soddisfare le esigenze delle persone. Capitolo 2 I fallimenti microeconomici del mercato Il genere dei problemi è come diverse istituzioni economiche (procedure di interazione fra individui sul piano economico; stato e mercato) consentono di meglio soddisfare i principi e gli obiettivi verso i quali dovrebbe tendere la società. Come e in quali condizioni i risultati economici che possono essere conseguiti attraverso l’azione del mercato o dello stato garantiscano il rispetto dei principi di efficienza e di equità. Efficienza ed equità Se analizziamo gli aspetti costituzionali delle istituzioni economiche, due sono le norme di interazione sociale: il Mercato e lo Stato Le istituzioni sociali possono essere valutate sulla base del criterio di efficienza e di equità. Adam Smith convinto assertore delle virtù del mercato (concorrenziale). Il concetto della “mano invisibile” esprime la capacità del mercato di garantire che scelte economiche compiute da ognuno in vista del perseguimento di interessi e soddisfazioni personali avessero esiti benefici dal punto di vista dell’intera società (l’uomo mira soltanto al guadagno proprio ed è guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non rappresentava alcuna parte delle sue intenzioni). Smith non precisa né il significato di “bene pubblico” né il particolare tipo di mercato che assicurerebbe il perseguimento del “bene pubblico” stesso. I concetti di efficienza sono molti ma si distinguono: 1. Efficienza allocativa (paretiana). Efficienza statica (considerata in un dato momento) 2. Efficienza X. Efficienza statica (considerata in un dato momento) 3. Efficienza dinamica. Efficienza allocativa (paretiana). (giudizio di valore; carattere soggettivo su ciò che dovrebbe essere Giudizi di merito: sono affermazioni su ciò che è.) un insieme di persone migliora la propria soddisfazione passando dalla situazione A a quella B, se alcuni stanno meglio in B che in A e nessuno sta peggio in B che in A. È un giudizio di valore poiché prima di accettarla qualcuno potrebbe chiedersi chi sono le persone avvantaggiate (coloro che inizialmente erano ricchi o poveri?) e di quanto si sono avvantaggiati gli uni (ad es. i poveri) e quanto gli altri (ad es. i ricchi) ma è comunque molto importante nella scienza economica perché corrisponde a un concetto di efficienza: la possibilità di ottenere più di qualcosa senza dover meno di qualcos’altro con disponibilità date (in termini di soddisfazione degli individui). Dal concetto paretiano può derivarsi quello di ottimo paretiano (efficienza allocativa): una situazione A è ottima in senso paretiano se comunque ci si sposti da essa non è possibile migliorare la soddisfazione di qualcuno senza peggiorare la soddisfazione di almeno un altro membro della collettività. L’ottimo paretiano richiede: 1. Efficiente allocazione nel consumo dei beni, quando gli SMS per ogni coppia di beni, fra i vari consumatori, sono uguali. 2. Efficiente allocazione degli inputs produttivi, quando i SMST per ogni coppia di inputs, fra le varie produzioni, sono uguali. 3. Efficienza generale, quando il saggio marginale di sostituzione fra ogni coppia di beni per tutti i soggetti è uguale al saggio marginale di trasformazione (SMT). S.M.S. = quantità di bene a cui si è disposti a rinunciare per ottenere una unità aggiuntiva di un altro bene mantenendo costante l'utilità S.M.T.= quantità di bene a cui si è disposti a rinunciare per ottenere una unità aggiuntiva di un altro bene mantenendo costante l'utilità data la frontiera delle possibilità produttive Efficienza X è la capacità di scegliere i programmi di produzione tecnicamente efficienti: scelte le tecniche produttive efficienti (combinazione capitale – lavoro dati i prezzi del capitale e del lavoro) si tratta di organizzare la produzione in modo da rendere massima la qualità dell’output; richiede specificazione degli obiettivi dell’impresa per evitare collusione da parte dei lavoratori che potrebbero perseguire obiettivi propri. Efficienza dinamica Concetto di efficienza adattiva ed è la capacità di apprendimento graduale dei problemi e delle risposte corrette ai problemi stessi (conoscere curva di domanda o capacità di abbassare nel tempo il costo di produzione) Capacità innovativa che consiste nella capacità di introdurre innovazioni di processo (tese alla riduzione dei costi) o di prodotto (volte all’introduzione di nuovi prodotti) I concetti di equità sono invece numerosi (vari economisti e filosofi come Aristotele hanno introdotto il concetto) ma in linea generale una distribuzione del reddito o della ricchezza viene considerata equa se essa assicura uguaglianza delle opportunità (o punti di partenza) o delle posizioni finali (risultato del processo economico) per i membri di una collettività. Equità: la si può distinguere secondo il criterio delle capacità (uguaglianza dei punti di partenza o delle opportunità appoggiata dalla dottrina liberale) e criterio del bisogno (uguaglianza di certi risultati aldilà delle abilità; appoggiata dalla dottrina socialista). La distribuzione del reddito è un indicatore dell’equità Il problema del free riding potrebbe essere evitato se l’impresa potesse praticare una discriminazione dei prezzi il che richiede: a) La disponibilità delle informazioni necessarie a far pagare ad ogni consumatore il suo prezzo di riserva determinato dall’elasticità della domanda rispetto al prezzo per ogni singolo sulla base di preferenza, reddito ecc. b) L’impossibilità per i consumatori di rivendere la merce sui mercati secondari In conclusione al monopolista naturale non è possibile praticare un prezzo pari al costo marginale. (fallirebbe!) L’esistenza di costi decrescenti porta al “fallimento” del mercato, impedendo di soddisfare le condizioni che assicurano l’ottimo paretiano. Se le economie di scala non sono tanto estese da portare al monopolio può esserci l’oligopolio. Gli operatori fisseranno i loro prezzi o le quantità prodotte tenendo conto delle reazioni degli altri operatori alle proprie decisioni e assumeranno comportamenti di tipo strategico (si prendono in considerazione le alternative altrui tendendo anche ad influenzarle) con la conseguenza che non tutti i possibili equilibri saranno efficienti in senso paretiano. L’intervento pubblico può alleviare il fallimento del mercato essenzialmente attraverso forme di regolamentazione (legislazione antimonopolistica, controllo dei prezzi) o la costituzione di imprese pubbliche. L’esistenza di economie di scala è la più importante causa di fallimento del mercato ma ci sono risultati analoghi a quelli di concorrenza perfetta anche in situazione di monopolio (Baumol,Panzer) Il risultato è vincolato alla contendibilità dei mercati, alla possibilità che nuove imprese entrino liberamente e senza costi sul mercato e ne fuoriescano sempre liberamente e senza costi (mercati contendibili). La tattica dell’hit and run è resa possibile dalla completa libertà di entrata e uscita. (Le imprese entrano portano ad abbassare il prezzo alle concorrenti e potranno per evitare una possibile guerra dei prezzi uscire liberamente e senza costi dopo aver realizzato un extra-profitto netto) Quindi la contendibilità deriva dall’assenza assoluta di costi di entrata e uscita, (tra l’altro l’impresa presente sul mercato dovrebbe reagire con notevole ritardo cosa irrealistica nella realtà) mentre nella realtà tali costi esistono (costi di addestramento, progettazione etc. cd sunk costs). L’efficienza che è possibile conseguire nei mercati contendibili è diversa da quella paretiana: in regime di costi decrescenti il prezzo applicato da un’impresa privata che non voglia subire perdite dovrebbe essere pari al costo medio e non al costo marginale creando così distorsioni nell’allocazione delle risorse. (il prezzo sarò comunque sempre > del cm) Anche se la contendibilità dei mercati non assicura efficienza in senso paretiano è opportuno che l’ente pubblico si proponga l’obiettivo di ridurre gli ostacoli all’entrata e all’uscita dal mercato particolarmente quelli di carattere legale come le norme che prevedono la concessione di licenza autorizzazioni ecc. per l’esercizio di un’attività. Il 1° teorema dell’economia del benessere postula l’esistenza di mercati completi, ma nella realtà può esservi incompletezza dei mercati in relazione: 1. All’esistenza di esternalità. 2. All’esistenza di beni pubblici. 3. All’assenza di taluni mercati a pronti o a termine, a causa di costi di transizione ed asimmetria informativa in ambiente incerto. L’Esternalità è l’inesistenza di un corrispettivo a fronte del vantaggio o del danno procurati da un operatore ad altri e ciò configura proprio l’assenza di un mercato (vantaggi o danni prodotti dall’azione di un operatore su un altro operatore per i quali il primo non riceve o paga un compenso al secondo.) Le esternalità sono relazioni fra operatori non mediate da un rapporto di scambio e per le quali, non esiste un mercato. Ciò è dovuto: 1. Inesistenza di diritti di proprietà individuali su alcuni beni che risultano di proprietà comune (sfruttamento dei beni in maniera eccessiva acqua aria ecc.). 2. Esistenza di attività di produzione o consumo congiunto: nel momento in cui un operatore compie un’attività di produzione o di consumo, egli determina il sorgere di un bene (o di un male) per altri operatori (es. inquinamento acustico se tengo alta la radio o atmosferico con il gas delle automobili). Considerando il caso delle esternalità di consumo ogni operatore dovrebbe tener conto di tutti gli effetti delle sue scelte, sia degli effetti sul suo livello di soddisfazione sia di quelli sul livello di soddisfazione degli altri e nella scelta del suo paniere di consumo A dovrebbe considerare anche l’esternalità causata a B. Un efficiente allocazione del consumo in presenza di esternalità negative richiede per il soggetto che causa esternalità negative l’SMS fra i beni sia superiore al rapporto fra i prezzi e il SMT. Considerando le esternalità di produzione, queste sono causa di divergenza fra costi privati e costi sociali, ovvero fra prodotto marginale privato e prodotto marginale sociale. In presenza di economie esterne il costo marginale privato è maggiore di quello sociale. Le industrie che causano esternalità negative producono più di quanto sia socialmente ottimale. L’intervento pubblico può rimuovere la divergenza fra costo privato e sociale, rendendo interno il costo o il vantaggio procurato dall’operatore al resto della collettività. Si può far ricorso a imposte pigouviane a carico dei creatori di diseconomie esterne; o introduzione di una regolamentazione che ne vieti la creazione. Beni pubblici Nei mercati concorrenziali i beni scambiati mostrano rivalità nell’uso (per il produttore e per il consumatore) nel senso che l’uso di un bene da parte di un operatore ne riduce la disponibilità per altri operatori. Nella realtà vi sono beni non rivali, tale che l’aumento del consumo da parte di un soggetto non riduce la disponibilità per il consumo di un altro, essi sono detti beni pubblici (difesa nazionale, illuminazione strade etc.) in più chi li produce causa un vantaggio non soltanto a sé stesso ma anche agli altri che possono usufruirne liberamente (il costo non varia per l’utilizzo da parte di un individuo addizionale il costo marginale è 0. (es. armatore che costruisce un faro per proteggere le sue navi). N.B. Ogni bene economico causa esternalità è che a volte la misura di essa è infinitesima e quindi trascurabile (es. il colore dell’auto del mio vicino mi crea ammirazione o invidia) Un bene pubblico è un bene per il quale i costi di produzione sono soltanto fissi (es. del faro i costi di costruzione e di esercizio rimangono invariati al variare della quantità prodotta (inteso come servizio recato ai naviganti caso di economie di scala). L’esistenza di costi fissi e la decrescenza dei costi medi portano al fallimento del mercato creando un incentivo per una soluzione cooperativa: se A sostenesse il costo fisso per la produzione di un bene pubblico, ne trarrebbero vantaggio sia A che B e a B non si potrebbe far pagare se non il costo marginale pari a zero così A realizzerebbe una perdita ovvero si farebbe carico di tutto il costo riducendo la convenienza a produrlo in linea generale quindi ognuno tenderà a fare il parassita in attesa che altri decida di produrre il bene pubblico. Per alcuni beni pubblici non è possibile escludere dal consumo nessun operatore (es. difesa pubblica o il faro) per altri (es. segnali televisivi) ciò è possibile ma comporta il sostenimento di costi addizionali; Poiché la decisione di produrre un bene da parte di un operatore privato dipende dall’esistenza di un profitto atteso non negativo la non escludibilità riducendolo rende meno conveniente la produzione da parte dell’operatore privato anzi ognuno agirà da parassita tentando di utilizzare il bene che altri abbiano interesse a produrre. Le due proprietà dei beni pubblici (non rivalità e non escludibilità) forniscono perciò la ragion d’essere dell’intervento da parte di enti pubblici, per produrli o per stimolarne la produzione da parte di altri o per regolamentarne l’uso al fine di evitare la cosiddetta tragedia delle proprietà comuni(commons). (ovvero eccessivo sfruttamento di proprietà comuni come l’aria l’acqua ecc.) La condizione di efficienza generale nell’allocazione delle risorse in presenza di beni pubblici è che la somma degli SMS dei vari soggetti sia uguale al SMT. Guardando il dilemma del prigioniero (dilemma del prigioniero esemplifica la situazione in cui due o più imprese, pur avendo convenienza ad accordarsi, per incrementare o mantenere la propria quota di mercato non lo fanno in quanto non sono in grado di controllare il rispetto dell'accordo da parte dell'altro contraente. In tale ipotesi, però, tutte le imprese subiranno un danno maggiore di quello che sarebbe loro derivato dall'apprestare misure idonee al controllo degli accordi stipulati.) quindi essendo l’atteggiamento cooperativo paretianamente efficiente ma difficilmente applicabile si arriva quindi alla giustificazione che la produzione di beni pubblici debba essere effettuata dagli enti pubblici attraverso proventi fiscali. Rimane comunque il problema dell’entità ottimale del bene da produrre di difficile rilevazione per: Complessità dei meccanismi di rilevazione delle preferenze (impossibilità di conoscere il valore attribuito dai singoli al bene pubblico attraverso il prezzo che essi dichiarano essere disposti a pagare e meccanismi alternativi sono complessi e portano a manipolazioni da parte di terzi) Problemi di congestione (si hanno quando il godimento da parte di alcuni non impedisce l’uso da parte di altri ma soltanto fino ad un certo punto a causa di uno scadimento della qualità es. troppe persone nella piscina pubblica è così che può convenire decentrare la produzione tramite enti locali o circoli (cd beni da club) ognuno potrà scegliere recandosi presso la comunità che fornisca le condizioni migliori votando con i propri piedi voting with one’s feet (n.b. l’esistenza di problemi di congestione è uno dei fondamenti del federalismo) Costi di transizione e asimmetria informativa I costi di transazione interessano sia i mercati a pronti (il bene è scambiato contro il prezzo nel periodo considerato) sia i mercati a termine (il bene viene scambiato contro il prezzo ad una prestabilita scadenza futura ma il prezzo è fissato al momento presente) e sono molto alti dato il grado di incertezza egli eventi futuri. I costi di transazione sono più elevati in presenza di informazione asimmetrica. Cioè alla diversa informazione disponibile per le due parti interessate ad una transazione, chiamate “delegante” (non completa) e “delegato” (completa). I problemi di asimmetria informativa sono noti anche come problemi di delega o di agenzia poiché una delle parti quella che non ha perfetta informazione di fatto si affida all’altra per il compimento di transazioni che presentano aspetti non osservabili. L’informazione asimmetrica dà luogo a 2 situazioni: 1. Selezione avversa 2. Rischio morale La selezione avversa (opportunismo precontrattuale) si ha quando una delle parti (delegante) non può osservare importanti caratteristiche esogene (preesistenti) del delegato o del bene oggetto della transazione o delle situazioni nelle quali possa trovarsi il delegato stesso. Ad esempio, George Akerlof ha sviluppato il modello del mercato delle auto usate. Gli acquirenti di auto usate non sanno se stanno acquistando un "bidone" o un'auto buona, quindi saranno disposti a pagare un prezzo compreso tra quello dei bidoni e quello delle auto buone, basato sulla probabilità che l'auto messa in vendita sia un bidone. Se gli acquirenti disponessero di informazione perfetta conoscerebbero con certezza il valore dell'auto, e pagherebbero semplicemente una somma eguale a tale valore. I venditori (che conoscono la qualità delle auto) saranno meno disposti a vendere auto buone, poiché il prezzo è troppo basso, ma venderanno più bidoni, perché su questi fanno un ottimo aare. Gli acquirenti si accorgono di questa tendenza, e non sono più disposti a pagare il prezzo di prima. Il prezzo scende sempre di più e sempre più b) sono fallimenti macroeconomici in quanto la teoria che meglio li spiega è quella macroeconomica. La disoccupazione La Disoccupazione involontaria = sorge quando vi sono lavoratori – potenziali – disposti ad occuparsi al saggio di salario – reale – vigente o anche a uno leggermente inferiore, ma la domanda di lavoro è insufficiente per occuparli (Keynes) Disoccupazione volontaria = il lavoratore non accetta un salario pari alla produttività marginale del suo lavoro. Disoccupazione frizionale = dovuta ad attriti, errori di calcolo, mutamenti imprevisti che causano squilibri temporanei tra domanda e offerta di lavoro. (breve periodo) ricerca tra un lavoro e l’altro n.b. le statistiche attuali non sono in grado di distinguere i vari tipi di disoccupazione La perdita di efficienza nella disoccupazione involontaria è statica e dinamica. Dal punto di vista statico, in quanto sarebbe possibile migliorare la posizione di alcuni individui (i disoccupati stessi) senza peggiorare quella di altri; dal punto di vista dinamico la condizione di disoccupato comporta generalmente il depauperamento delle qualità professionali, che incide, a livello personale, sulle possibilità di reimpiego e, in generale, sul valore del capitale umano della collettività; Oltre a causare una perdita di efficienza, la disoccupazione accresce l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. Le conseguenze economiche e sociali della disoccupazione possono essere temperate sul piano personale da interventi pubblici di redistribuzione del reddito che consentano: il pagamento di indennità di disoccupazione, l’integrazione dei guadagni o la garanzia di pagamento di un salario minimo. L’indennità di disoccupazione è di misura e durata variabili. La misura è minore in Italia, più consistente in altri paesi (ad es. in Danimarca il 90% dell’ultima retribuzione per un periodo massimo di 5 anni). In nessun paese è stato introdotto finora un sistema di reddito minimo o dividendo sociale. In Italia esiste peraltro l’Istituto della Cassa Integrazione Guadagni introdotto nel 1945 per integrare il salario dei lavoratori che vengono occupati a orario ridotto per effetto di una flessione della domanda o per ristrutturazioni e riorganizzazioni. L’esistenza di indennità di disoccupazione o integrazione dei guadagni ove esse siano di misura consistente facilita i licenziamenti o le sospensioni dal lavoro riducendo il costo per i lavoratori interessati e per le stesse imprese che, pur sostenendo parte del costo stesso, si trovano però di fronte a ridotte resistenze da parte dei lavoratori. Alcuni economisti sono contrari all’indennità di disoccupazione per il disincentivo all’offerta di lavoro che ne scaturirebbe, tuttavia è la durata massima dell’indennità e non il suo importo relativo ad avere effetto sull’offerta di lavoro. Comunque indennità di disoccupazione e integrazione di guadagni, come qualsiasi trasferimento costituiscono sempre un costo economico per la società nel suo complesso, questo costo si aggiunge ai costi non economici della disoccupazione che possono essere ricondotti alla frustrazione, l’emarginazione l’aumento della criminalità nonché la maggior soggezione e ricattabilità dei lavoratori rispetto al datore di lavoro. L’esistenza di tutti questi costi può spiegare l’impegno a perseguire la piena occupazione che fu assunto nel dopoguerra dai governi di molti paesi ad economia di mercato anche sotto l’influsso delle soluzioni suggerite dalla teoria keynesiana. È raggiungibile e desiderabile la piena occupazione? a) Non è realistico pensare di occupare il 100% della Popolazione (una disoccupazione frizionale è normale data l’imperfezione nel funzionamento dei mercati) b) La piena occupazione ha effetti negativi sulla produttività (la disoccupazione è fattore di disciplina per i lavoratori: la concorrenza dei disoccupati sui lavoratori fa aumentare l’impegno nell’attività produttiva) L’inflazione Questo termine indica di norma un aumento sostenuto del livello generale dei prezzi e quindi la perdita di valore della moneta (assenza di stabilità monetaria interna). Le tipologie di inflazione sono numerose e si distinguono: Dal punto di vista delle cause immediate: inflazione da domanda: deriva dalla pressione della domanda che tende ad espandersi al di là dell’offerta disponibile in prossimità della piena occupazione delle risorse fisiche e umane (la domanda globale supera le capacità del sistema) es. periodi bellici l’intera produzione è indirizzata agli armamenti più che all’offerta di normale impiego e c’è piena occupazione per il richiamo alle armi. inflazione da offerta: si verifica per effetto di shock di varia natura (calamità guerre che riducono la capacità produttiva quindi l’offerta) inflazione da costi: consiste nel trasferimento sui prezzi dell’aumento dei costi dell’impresa (i prezzi dei fattori produttivi aumentano e si ripercuotono sui prezzi dei beni) inflazione da profitti: connessa con l’aumento del margine di profitto reso possibile dall’esistenza di forme di mercato diverse dalla concorrenza perfetta. Un buon modo di analizzare gli effetti sui prezzi è offerto dal principio del costo pieno [Principio del costo pieno: tale principio suggerisce che il processo di formazione del prezzo avvenga aggiungendo ai costi variabili o diretti una percentuale di ricarico sui costi o margine di profitto (mark-up) lordo tale da coprire l’incidenza media unitaria dei costi fissi e assicurare un margine netto di profitto] inflazione finanziaria e creditizia: sono forme di inflazione da domanda, innescate rispettivamente da crescita della spesa pubblica finanziata in deficit in condizioni di prossimità al pieno impiego o da eccessiva creazione di credito da parte del sistema bancario inflazione importata: pressione della domanda da parte di un paese estero: ciò causa un aumento delle esportazioni che porta perciò ad un cospicuo afflusso di capitali dall’estero che fa aumentare la base monetaria stimolando così la domanda interna. oppure in presenza di un aumento dei prezzi di merci (es. materie prime) importate La distinzione tra i vari tipi di inflazione, non va enfatizzata, in quanto possono presentarsi con frequenza situazioni nelle quali le varie cause si combinano. Dal punto di vista del ritmo di aumento dei prezzi: inflazione strisciante: quando risulta molto contenuta (2-3% annuo) moderata: se la crescita è minore del 10% annuo galoppante: quando i prezzi aumentano a tassi annui di due o persino 3 cifre iperinflazione: se il tasso è almeno dell’ordine di grandezza del 300% annuo (La moneta cessa di essere un intermediario non è più possibile attribuirle un valore) La misurazione dell’inflazione può avvenire utilizzando i vari indici di prezzo disponibili che differiscono per il contenuto del paniere di riferimento: deflatore implicito del PIL o soltanto dei consumi e/o degli investimenti, prezzi all’ingrosso, prezzi alla produzione, prezzi al consumo, ecc. Inflazione repressa o nascosta = Non sempre le tensioni inflazionistiche si scaricano sui prezzi; ad esempio, squilibri della domanda possono tradursi in un aumento delle importazioni o in meccanismi alternativi di razionamento, quali code, ritardi nella consegna, ecc.: Stagflazione: (combinazione dei termini stagnazione ed inflazione) si intende indicare la situazione nella quale sono contemporaneamente presenti - su un determinato mercato - sia un aumento generale dei prezzi (inflazione) che una mancanza di crescita dell'economia in termini reali (stagnazione economica). Una pressione inflazionistica sorge ogni volta che i percettori dei vari redditi monetari cerchino ciascuno di accrescere la propria quota nella distribuzione del reddito reale prodotto a scapito degli altri ovvero i consumatori (è chiaro che ogni precettore di reddito è anche consumatore ma egli può trovarsi in una posizione di free rider se il vantaggio procuratogli da un aumento di reddito sia maggiore dello svantaggio che ha come consumatore) Effetti dell’Inflazione: Incertezza e sfiducia (pregiudica l’offerta di risparmio, i consumatori per il timore degli aumenti dei prezzi acquisteranno quei beni di cui avranno bisogno solo in seguito e aumenteranno i tassi di interesse per la poca offerta di moneta. Ciò concerne anche l’equità nella distribuzione del reddito che colpirà i precettori di redditi fissi che vedono abbassarsi il loro salario in termini reali. Aumento delle esportazioni (merci interne più costose) Tutto ciò ha effetto sull’occupazione; la caduta degli investimenti diminuisce la capacità produttiva del sistema inducendo ad una minor utilizzazione della forza lavoro Effetti redistributivi dell’Inflazione: - Redistribuzione del reddito se l’aumento dei prezzi causa solo una modica dei prezzi relativi - Redistribuzione della ricchezza in quanto tende a ridurre il valore reale di obbligazioni con valore prefissato in termini nominali, avvantaggiando i debitori (imprese e enti pubblici) e danneggiando i creditori (famiglie); La misura della redistribuzione del reddito e della ricchezza dipende da numerose circostanze, tra le quali il grado in cui l’inflazione sia stata prevista dai singoli operatori, la capacità che ognuno di essi ha di adeguare il prezzo del bene offerto. (qualcuno mantiene fermo il prezzo del bene da lui offerto qualcun altro riesce a spuntare incrementi superiori ai costi medi.) Al fine di essere tutelati nei confronti di imprevisti aumenti del livello generale dei prezzi, alcuni operatori riescono ad introdurre meccanismi di indicizzazione che legano il loro compenso alle variazioni del livello generale dei prezzi. Il caso più noto in Italia era quello della scala mobile: con essa periodicamente il salario monetario veniva parzialmente adeguato alle variazioni dei prezzi di un predeterminato paniere di beni di consumo. Alcuni economisti affermano che una moderata inflazione può essere benefica per l’intero sistema grazie allo stimolo all’Investimento che ne deriverebbe L’inflazione ha costi netti per la società nel suo complesso in quanto fa sorgere oneri specifici per l’adeguamento dei listini o delle apparecchiature automatiche per il pagamento o costi per i più frequenti prelievi dai conti correnti. La riduzione dell’inflazione può diventare un obiettivo di politica economica per due motivi essenziali: l’affievolimento dei conflitti sociali ad essa legati il timore che possa innescarsi un fenomeno incontrollabile di iperinflazione. (in particolare mutamenti continui e significativi del livello assoluto dei prezzi fanno mutare continuamente i prezzi relativi rendendo così difficili i calcoli di convenienza necessari per l’efficiente allocazione delle risorse) Considerare la moneta come una delle possibili forme di attività patrimoniale Considerare nelle scelte del consumatore non il reddito attuale ma quello permanente (quello che si prevede conseguire nel corso della vita) Equazione del mark up p= (w/π) (1+g) p prezzo w costo unitario del lavoro π produttività media del lavoro g margine lordo di prodotto La disoccupazione naturale e le limitazioni dell’intervento pubblico secondo Friedman A differenza di Keynes Friedman e i monetaristi concepiscono il mercato come intrinsecamente stabile essi non negano l’instabilità ma l’attribuiscono all’azione pubblica piuttosto che al comportamento del settore privato. (ad es. spiegano la depressione del 29 come imputabile alla preoccupazione della federal reserve per la speculazione di borsa che ha portato ad una stretta monetaria). Friedman sostiene che le variazioni dell’offerta di moneta sono le principali determinanti della crescita del reddito nominale: gli effetti della politica monetaria sul reddito sono di norma temporanei e associati ad inflazione più precisamente Friedman sostiene che la politica monetaria non può controllare né il tasso di interesse del mercato né il tasso di disoccupazione corrente mantenendoli al di sotto dei valori del tasso di interesse naturale e del saggio di disoccupazione naturale. Tasso di interesse naturale= prezzo di equilibrio tra domanda di capitale (investimenti) e offerta di capitale (risparmio). Tasso di disoccupazione naturale= il numero di posti disponibili di lavoro è in relazione di equilibrio con il numero di lavoratori disoccupati (essendovi equilibrio il salario rimane costante). Quindi un aumento di moneta porta a una riduzione del tasso di interesse ad un aumento della domanda di beni quindi ad un aumento della produzione e al tempo stesso un aumento dell’occupazione reso possibile da un accrescimento della domanda e offerta di lavoro, ma come è possibile se un aumento di domanda lavoro avviene solo se si riduce il salario reale e l’offerta di lavoro si ha solo se si aumenta il salario reale? Due sono i motivi: a) Le aspettative degli individui sono adattive (ovvero riviste in ciascun periodo in proporzione allo scarto del periodo precedente e ai valori attesi) b) I vari operatori hanno diversi tempi di reazione alle informazioni scaturenti dalla realtà (le imprese sono più consapevoli dei lavoratori dell’aumento dei prezzi se si attendono una flessione del salario reale aumenteranno gli investimenti e la domanda di lavoro); i lavoratori al contrario vedendosi aumentare il salario nominale e non potendo valutare bene l’andamento dei prezzi offriranno lavoro. Quest’ “illusione” è temporanea e nel lungo periodo il tasso di disoccupazione aumenterà fino a raggiungere il livello naturale corrispondentemente il tasso di interesse di mercato aumenterà per effetto dell’aumento dei prezzi fino a coincidere di nuovo con il tasso di interesse naturale Esaminiamo in particolare l’andamento del tasso di disoccupazione di mercato utilizzando il concetto di curva di Phillips “aumentata delle aspettative” Secondo Friedman la curva di Phillips può difficilmente rimanere stabile nel tempo. Le ragioni per cui la curva tende a spostarsi secondo Friedman stanno nel fatto che i lavoratori non sono interessati al salario nominale ma a quello reale (ovvero se vogliono un aumento del 5% del salario reale si accontenteranno di un aumento del salario nominale solo se prevedono un aumento dei prezzi nullo) e la curva di Phillips non incorpora che l’aumento atteso dei prezzi sia nullo. Curva di Phillips derivata: La spiegazione si basava sull’esistenza di aspettative da parte degli agenti economici (in questo caso non solo le persone ma anche le imprese) e sulla distinzione tra breve periodo e lungo periodo. Nel breve periodo la curva di Phillips descritta da Phelps e Friedman era simile a quella individuata dall’economista inglese; il contributo principale è l’inserimento delle aspettative degli individui nella sua descrizione. Se ci si aspetta un’inflazione al 2% ma la politica monetaria fa crescere il livello dei prezzi in misura maggiore (aumentando la base monetaria), l’effetto immediato è una diminuzione del tasso di interesse reale e dei salari reali che spingeranno le imprese ad assumere e investire in misura maggiore causando un boom per l’economia. La disoccupazione così diminuirà. Il periodo successivo gli individui, avendo osservato quello che è successo, si aspetteranno una inflazione maggiore. A questo punto le autorità di politica monetaria possono aumentare la base monetaria in misura ancora maggiore e “imbrogliare” nuovamente gli individui, garantendo un nuovo boom (e facendo aumentare l’inflazione attuale e l’inflazione attesa per il periodo successivo) oppure riflettere nelle loro scelte le aspettative degli individui. In questo secondo caso gli effetti espansionistici della misura del periodo precedente vengono completamente riassorbiti: i salari reali, il tasso di interesse reale e la disoccupazione tornano ai livelli pre-aumento della base monetaria e l’unico effetto rimasto sarà un livello dei prezzi più alto. Le autorità di politica economica non possono pensare di “imbrogliare” gli agenti economici per sempre. Il messaggio più importante dell’analisi di Phelps e Friedman è che nel lungo periodo la politica monetaria non ha alcun effetto sulle variabili reali (ovvero tasso di interesse, i salari reali e la disoccupazione) ma si traduce solamente in un aumento dei prezzi. Nel lungo periodo l’inflazione reale è uguale a quella attesa e la disoccupazione è determinata dalle condizioni del mercato del lavoro e non dalla politica monetaria. Dal paradigma keynesiano a quello neoclassico Phelps e Friedman non ebbero vita facile nel convincere i loro colleghi economisti delle loro conclusioni. In questo ambito si inserisce la famosa polemica tra monetaristi, di cui Friedman e Phelps facevano parte, e keynesiani, tra i quali ricordiamo Tobin e il nostro Modigliani. Le conclusioni di Phelps e Friedman raccolsero lentamente il consenso della maggioranza degli economisti e, quello che più conta, dei policy makers contribuendo alla sconfitta dell’inflazione nelle economie occidentali. Non fu il solo risultato. L’idea di Phelps circa l’adattamento degli individui alle scelte di politica economica in parte anticipa la fondamentale rivoluzione della teoria macroeconomica che stava per nascere dalle parti dell’Università di Chicago, guidata da alcuni allievi di Friedman. Considerazioni finali secondo i monetaristi: 1) La politica monetaria è efficace solo nel breve periodo nel lungo periodo genera un’inflazione inizialmente inattesa dai lavoratori e quindi la possibilità di un tasso di disoccupazione minore di quello naturale quindi solo una crescente inflazione può garantire un tasso di disoccupazione minore di quello naturale. 2) Nel lungo periodo la curva di Phillips è verticale ossia per qualunque tasso di inflazione la disoccupazione resta al tasso naturale non vi è un trade-of (ossia sostituibilità) tra disoccupazione e inflazione se non nel breve periodo. Da qui nasce la regola semplice di Friedman la variazione della quantità di moneta deve essere pari alla variazione media della sua domanda Regola semplice di Friedman Un semplice rimedio a questo tipo di inflazione consiste nell'aumentare la quantità di moneta in circolazione ad un tasso equivalente a quello dell'aumento del reddito reale del sistema economico se si suppone che il ritmo di crescita del prodotto nazionale sia del 3%, anche l'aumento dell'offerta di moneta dovrà essere del 3%. I monetaristi affermano, inoltre, che ogni aumento dell'offerta di moneta deve essere comunicato agli operatori evitando, in tal modo, che questi ultimi formulino aspettative negative sul futuro dell'economia. Il controllo dell'inflazione attraverso l'applicazione di questa regola semplice (aumento dell'offerta di moneta equivalente all'aumento del prodotto nazionale) presuppone che il sistema economico, lasciato a sé stesso, possa raggiungere il suo equilibrio naturale. In tale ipotesi, le politiche keynesiane (aumento della pressione fiscale o aumento della spesa pubblica) possono avere essere soltanto nel breve periodo, ma provocheranno un aumento dell'inflazione, senza alcun beneficio per il sistema economico, nel lungo periodo. Nei confronti della politica fiscale Friedman manifesta scetticismo la variazione della spesa pubblica può rivelarsi inefficace se percepita come transitoria (in questo caso non influirebbe sui consumi) e anche se fosse efficace un aumento della spesa pubblica finanziato in deficit senza emissione di moneta provocherebbe uno spiazzamento finanziario della spesa privata sensibile al tasso di interesse ossia all’investimento questo perché un aumento della spesa pubblica spostando la IS farebbe inizialmente aumentare il reddito ma determinerebbe: a) Un aumento del tasso di interesse b) Un aumento dei prezzi e dell’infazione per le ragioni viste a proposito della curva di Phillips aumentata delle aspettative La duplice idea dei monetaristi è quindi: a) Il sistema economico privato è sostanzialmente stabile obbedendo a forze capaci di riportarlo su un sentiero di piena occupazione (ovvero al tasso naturale di disoccupazione) b) L’azione pubblica è inefficace se non nel breve periodo N.B. I monetaristi di seconda generazione appartengono alla nuova macroeconomia classica (NMC) L’inefficacia dell’intervento pubblico nella nuova macroeconomia classica La NMC rafforza il punto di vista dei monetaristi concludendo ancora più negativamente sull’efficacia dell’intervento pubblico due sono le ipotesi: 1. Gli operatori formano le loro aspettative in modo razionale Ovvero essi sfruttano tutte le informazioni disponibili che non sempre sono complete le aspettative razionali (AR) fanno sì che gli operatori si comportino come se conoscessero la teoria sottostante il modello. Una previsione razionale sul prezzo praticato da un concorrente risulterà corretta in media se vi saranno degli errori essi avranno natura casuale e non sistematica. 2. I mercati sono continuamente riportati in equilibrio dal movimento dei prezzi che sono perfettamente flessibili Ovvero un aumento imprevisto del livello generale dei prezzi avvertito dalle sole imprese e non dai lavoratori fa sì che i prezzi dei beni aumentano accrescendo l’offerta di beni e la domanda di lavoro. La domanda di lavoro fa crescere i salari monetari e i salari reali attesi in quanto il lavoratore non è a Il conto corrente rileva i movimenti di beni (merci e servizi), oltre che i trasferimenti unilaterali (ad es. doni ai PVS); le transazioni di sole merci danno luogo alla bilancia commerciale le altre sono le “partite” invisibili. Il conto capitale comprende le operazioni commerciali e i trasferimenti relativi ad attività di investimento (ad es. cessioni ed acquisizioni di attività intangibili quali i brevetti e i diritti d’autore) Il saldo del cc e del cp è detto Saldo dei movimenti di beni Il conto finanziario comprende i movimenti di capitale a breve, medio e lungo termine possono essere distinti in: investimenti diretti; investimenti di portafoglio; derivati; altri investimenti; variazione delle riserve ufficiali; I conti con l'estero di un paese vengono esposti in un documento denominato bilancia dei pagamenti. Questa consiste in un prospetto contabile nel quale sono registrate sistematicamente tutte le transazioni economiche intercorse durante un certo periodo di tempo (un mese, un anno) tra i residenti di un paese (persone fisiche e giuridiche) e i residenti (analoghe controparti) del resto del mondo. Le registrazioni sono tenute secondo il metodo della partita doppia: le entrate devono eguagliare le uscite. Il saldo rappresenta il risultato attivo o passivo della bilancia dei pagamenti. Le parti o conti che compongono la bilancia dei pagamenti sono tre: Partite correnti In questo conto sono innanzitutto registrate, all'attivo, le esportazioni di merci e, al passivo, le importazioni: queste voci costituiscono la bilancia commerciale . Questa viene di solito distinta dalla cosiddetta bilancia delle partite invisibili, che comprende le transazioni relative ai servizi e ai trasferimenti unilaterali. Tra i servizi vanno annoverati i noli e le assicurazioni concernenti il trasporto delle merci, le spese dei turisti stranieri in Italia (attivo) e dei turisti italiani all'estero (passivo); i redditi derivanti dall'impiego di fattori produttivi italiani all'estero e stranieri in Italia. Tra i trasferimenti unilaterali ricordiamo le rimesse degli emigrati e i trasferimenti pubblici (quali contributi, doni e pagamenti di danni di guerra). Movimenti di capitale In questo conto sono registrate in attivo le entrate di capitale nel paese (investimenti esteri diretti, investimenti di portafoglio relativi all'acquisto di titoli, prestiti dell'estero all'Italia); nel passivo le uscite di capitale dal paese, tra le quali vanno comprese oltre alle voci indicate nell'attivo anche le rimesse di banconote italiane dall'estero che possono riguardare fughe clandestine di capitali. Si tratta di movimenti di capitali che riguardano attività finanziarie autonome nei rapporti con l'estero, le quali avvengono spontaneamente senza l'intervento delle autorità monetarie centrali. Movimenti monetari Questo conto ha essenzialmente il significato di saldo contabile della bilancia dei pagamenti. In particolare vengono iscritti i cosiddetti prestiti o movimenti compensativi che sono decisi dalle autorità monetarie al fine di compensare eventuali squilibri delle transazioni e di neutralizzare le conseguenze sul tasso di cambio della moneta nazionale. Queste operazioni, che danno luogo al saldo dei regolamenti ufficiali, comportano un aumento delle riserve valutarie (se la bilancia è in attivo) oppure diminuzione delle riserve ufficiali (se la bilancia è in deficit). Si faccia attenzione a non confondere la bilancia commerciale, che si riferisce solamente alle importazioni e alle esportazioni, con la bilancia globale dei pagamenti che comprende tutte le operazioni con l'estero aventi natura economica. Qualche chiarimento è indispensabile per quanto riguarda la voce errori ed omissioni che interessa tutti i conti della bilancia dei pagamenti e serve a farla quadrare. L'inserimento di questa voce si giustifica con il fatto che è improbabile che il totale delle registrazioni in attivo (che determinano incassi di valuta estera) sia perfettamente uguale al totale delle registrazioni al passivo (che invece danno luogo ad uscita di valuta). Anche se concettualmente attivo e passivo dovrebbero bilanciare, può verificarsi che le banche incorrano in errori e imprecisioni in ordine alla data delle operazioni, ai tassi di cambio, alla natura delle partite considerate. Alcune omissioni generalmente si riferiscono alla fuga clandestina di capitali all'estero. Saldo ed equilibrio della bilancia dei pagamenti Quando si prende in considerazione, sempre dal punto di vista economico, l'andamento della bilancia dei pagamenti si fa di solito riferimento ai saldi ritenuti più significativi. Ad esempio, quello della bilancia commerciale, in quanto i movimenti di merci costituiscono spesso la voce più importante della bilancia dei pagamenti. L'importanza del concetto di equilibrio (e di squilibrio) della bilancia dei pagamenti dipende ovviamente da quale saldo viene preso in considerazione. Se si vuole colmare un disavanzo della bilancia commerciale bisognerà ricorrere a misure che limitino le importazioni mediante contingentamenti, dazi o altre barriere all'entrata. Se si vuole invece frenare l'uscita di capitali bisognerà fare ricorso a misure di carattere valutario e a un severo controllo del mercato dei cambi. Il saldo globale della bilancia dei pagamenti è uguale al saldo dei movimenti monetari. Si intendono per movimenti monetari le variazioni dei crediti e dei debiti verso l'estero delle aziende di credito ( banche ordinarie ) e della Banca d'Italia. In generale, si può affermare che viene considerato un obiettivo importante di politica economica il fatto che un paese abbia un saldo della bilancia dei pagamenti il più possibile vicino al pareggio. Le conseguenze negative di un deficit notevole e cronico sono: un crescente indebitamento verso l'estero o la perdita continua di riserve valutarie. Le conseguenze di un avanzo prolungato sono: un aumento delle riserve o dei crediti verso l'estero, ma anche (dal punto di vista degli influssi sul livello del reddito nazionale) che il paese produce più di quanto necessiti e cioè che la spesa globale è inferiore al reddito potenziale. Il reddito potenziale è "quel livello del reddito che un’economia è in grado di raggiungere in caso di piena occupazione dei fattori produttivi e/o nell’ipotesi che prezzi e salari si muovano in modo efficiente a equilibrare i mercati Es. ho 100 prodotti che posso vendere a 100 euro il reddito potenziale è 10.000 euro se per ragioni di mercato vendo ad un prezzo inferiore o vendo solo una parte dei prodotti il ricavato rappresenta il reddito effettivo Riserve ufficiali: Le riserve ufficiali, parte delle quali sono conferite alla Banca Centrale Europea, comprendono l’oro monetario; le attività in valuta diverse dall’euro verso i non residenti nell’area, “liquide, commerciabili e di qualità elevata”; Errori ed omissioni Nasce perché le informazioni sulle varie poste sono tratte da fonti diverse, con tempi di registrazione e criteri di valutazione non omogenei. Contribuiscono anche transazioni le cui contropartite sfuggono alle registrazioni ufficiali, quali il contrabbando e le fughe di capitali. Per equilibrio della bilancia dei pagamenti si intende una situazione nella quale la somma dei saldi dei movimenti di beni e dei movimenti di capitale è nulla; Si ha avanzo (disavanzo) quando le riserve ufficiali aumentano (si riducono); Fornisca, infine, l’esempio, di almeno un obiettivo che può essere in contraddizione con quello del miglioramento del saldo della bilancia dei pagamenti. Con riferimento alla BC, una manovra restrittiva per riequilibrare la BP attraverso una contrazione della domanda interna e, quindi, delle importazioni può avere effetti negativi sull’occupazione, mentre una manovra, come la svalutazione, può agevolare il riequilibrio della BP con effetti negativi sull’inflazione. Per quanto riguarda i movimenti di capitale, una politica monetaria restrittiva, attivata per provocare un afflusso di capitali dall’estero, può incidere negativamente sugli investimenti interni e, quindi, sul reddito (e sull’occupazione). S = I + (G – T) + (X –M) cioè il risparmio privato è uguale a: investimenti + disavanzo pubblico + esportazioni nette Questa equazione rappresenta una importante identità macroeconomica chiamata identità degli impieghi de risparmio privato. Tale identità ci dice che il risparmio privato può avere tre impieghi alternativi: 1) Gli investimenti. Le imprese prendono a prestito presso i risparmiatori privati per finanziare l’acquisto di nuovo capitale. 2) Il disavanzo di bilancio pubblico. Quando le pubbliche amministrazioni sono in disavanzo, devono prendere a prestito dai risparmiatori privati per coprire la differenza fra uscite e entrate. 3) Le esportazioni nette. Quando le esportazioni nette di un paese (prendiamo come esempio l’Italia) sono positive (le esportazioni eccedono le importazioni, la bilancia commerciale è quindi in attivo) i ricavi del resto del mondo dalla vendita di beni e servizi all’Italia non sono sufficienti per coprire i costi delle esportazioni italiane. Per coprire tale disavanzo il settore estero prende prestito dai risparmiatori privati. Perciò il finanziamento delle esportazioni nette costituisce un impiego del risparmio privato italiano. La posizione di avanzo è migliore rispetto a quella di disavanzo ma non può essere considerata conveniente perché comporta disavanzi per altri paesi e pressioni inflazionistiche all’interno (avanzo nella BP è fonte di creazione di base monetaria). L’obiettivo dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti si pone nel lungo periodo (pareggio); nel breve può variare a seconda delle contingenze. L’unificazione monetaria di due o più paesi elimina il problema formale della bdp per le relazioni economiche fra residenti dei vari paesi membri nonché quello della gestione delle riserve ufficiali ma lascia intatto il problema dell’andamento dell’economia reale in ognuno. Capitolo 4 La teoria normativa della politica economica La teoria normativa della politica economica riguarda ciò che i responsabili della politica economica dovrebbero fare agendo razionalmente, al fine di supplire alle carenze del mercato; Ricordiamo in questo contesto l’indice di malessere di Okun a=b=1 ovvero il “malessere” è la somma del tasso di disoccupazione e di Inflazione Secondo Okun se l’inflazione era al 10% e la disoccupazione era al 6%, non si guadagnava molto aumentando l’inflazione all’11% e facendo scendere il tasso di disoccupazione al 5%; le due quantità, sommate nel suo “tasso della miseria “erano comunque al 16%. La veridicità dell’ipotesi di Okun è posta in dubbio in quanto l’uguaglianza dei pesi attribuiti ai due mali può non avere rilevanza in quanto diverse sono le preferenze e le condotte dei Policy Makers anche se questo indice è tutt’oggi utilizzato per comparare nel tempo e nello spazio l’evoluzione della situazione economica di un paese Questo indicatore è stato oggetto di varie critiche: 1. l’indice di malessere indica preferenze che possono non essere condivise in quanto disoccupazione e inflazione vengono messe sullo stesso piano dando loro lo stesso peso (ovvero un punto percentuale in più di disoccupazione vale come l’incremento dell’1% dei prezzi) 2. una conseguenza dell’osservazione precedente è che la diminuzione del benessere causata da un punto in più di disoccupazione è sempre compensata da una diminuzione di un punto dell’inflazione e viceversa, qualunque sia la situazione di partenza. Ciò può essere espresso appunto dicendo che il S.M.S. è costante (uguale a 1) ma questo è difficilmente accettabile (es. se la disoccupazione è del 3% e l’inflazione del 20% si può essere disposti ad accettare un 1% in più di disoccupazione per ridurre l’inflazione ma se la disoccupazione è all’8% e l’inflazione al 6% si è disposti ad accettare un punto percentuale in più di disoccupazione soltanto se l’inflazione cade in misura più drastica poniamo 4 punti percentuali) Gli strumenti di politica economica Una variabile può essere definita come variabile strumentale, ossia come strumento di politica se sono soddisfatte le seguenti tre condizioni: 1. I policy makers possono controllarla ovvero decidere quale valore essa debba assumere – controllabilità dello strumento 2. La variabile così fissata ha influenza su altre variabili che assumono il ruolo di obiettivi – efficienza dello strumento 3. La variabile deve poter essere distinta da altri strumenti in termini di diverso grado di controllabilità e soprattutto di efficacia: due strumenti che abbiano la stessa efficacia su tutti gli obiettivi non sono in realtà due strumenti separati, ma costituiscono un unico strumento – separabilità o indipendenza degli strumenti. Ad esempio la spesa pubblica è una variabile strumentale in quanto influenza il livello di numerosi obiettivi il reddito l’occupazione la BP ecc. Lo strumento appare come una variabile che ha l’unico compito di influenzarne un’altra che è quella rilevante per le preferenze del policy maker. Difficoltà possono sorgere dall’esistenza di vincoli all’uso di uno strumento, ovvero quando la costituzione le norme o la consuetudine regolano il comportamento del governo e della banca centrale di un paese prevedendo l’impossibilità di far ricorso ad alcuni strumenti o combinazioni di strumenti. (es. imposizione del pareggio di bilancio o il divieto del finanziamento in deficit) I vari tipi di strumenti La distinzione degli strumenti, proposta da Tinbergen è: politiche quantitative, che riguardano la modifica del valore di uno strumento esistente (ad es., variazione della spesa pubblica); politiche qualitative, associate all’introduzione di un nuovo strumento o alla cancellazione di uno strumento esistente (ad es., introduzione o cancellazione di un’imposta), che non dia luogo a mutamenti sostanziali del sistema economico; politiche di riforma (o riforme), consistono nell’introduzione di un nuovo strumento o nell’eliminazione di uno strumento esistente, con modifiche sostanziali nei caratteri e nel funzionamento di un sistema economico (ad es. nazionalizzazione o privatizzazione di un’impresa; legislazione antimonopolistica, ecc.); Un’altra classificazione delle politiche: politiche di controllo diretto: mirano al raggiungimento di certi obiettivi imponendo un dato comportamento ad alcune categorie di operatori (Es. imposizione di un contingentamento delle importazioni. politiche di controllo indiretto: tendono a conseguire gli obiettivi non imponendo dati comportamenti, bensì inducendo gli operatori a comportarsi nel modo desiderato, con l’influire sulle variabili dalle quali le loro decisioni dipendono (Es. introduzione di un dazio alle importazioni) Le tre principali misure di controllo indiretto sono: la politica fiscale o manovra del bilancio concerne i livelli della spesa pubblica e/o della tassazione la politica monetaria opera sulla liquidità del sistema attraverso variazioni della base monetaria e/o della percentuale delle riserve obbligatorie la politica del cambio tende ad influenzare il tasso di cambio ossia le quantità di una moneta necessaria per acquistare una unità di un’altra moneta. Un’altra distinzione importante è tra: le misure discrezionali che sono strumenti di politica che vengono manovrati a discrezione ossia a seguito di valutazione specifica caso per caso le regole automatiche sono strumenti di politica economica che entrano in funzione senza che vi sia bisogno di osservare e decidere caso per caso. (Un esempio è la regola semplice di Friedman) Un insieme di regole automatiche può assurgere al ruolo di costituzione monetaria o fiscale se per ampiezza e portata delle misure proposte tende a stabilire i principi fondamentali dell’intervento pubblico nei campi esaminati. Una classe specifica di regole automatiche è data dagli stabilizzatori automatici che tendono a ridurre le oscillazioni cicliche dell’economia. (es. i sussidi di disoccupazione e l’imposizione progressiva) Un vantaggio degli stabilizzatori automatici è quello di rendere più celere l’intervento pubblico in quanto verrebbero a cadere il ritardo di osservazione e quello amministrativo mentre permarrebbe il ritardo negli effetti. Il ritardo di osservazione è l’intervallo temporale che intercorre tra il momento in cui si verifica l’evento che richiede l’intervento pubblico e quello in cui si riconosce la necessità dell’azione. Il ritardo amministrativo va dal momento in cui i pubblici poteri riconoscono l’opportunità di un intervento al momento in cui viene adottata la decisione Il ritardo negli effetti è l’intervallo che separa l’adozione del provvedimento dal manifestarsi degli effetti. Il modello – Il modello in forma strutturale Un modello è un insieme di relazioni normalmente espresse in termini matematici che rappresentano in modo astratto e semplificato il processo economico Un modello in forma strutturale è quello che rappresenta le connessioni tra le grandezze così come esse vengono suggerite dall’analisi economica. È essenziale che il modello sia specificato o venga modificato in modo da poter essere utilizzato come modello di decisione ovvero devono poter essere individuate variabili alle quali sia possibile attribuire la natura di obiettivi fissi o flessibili e altre che possano svolgere il ruolo di strumenti Un modello di decisione è la rappresentazione schematica di un sistema economico, mediante equazioni matematiche, elaborata per agevolare le scelte dei responsabili della politica economica di un paese; Le variabili che compaiono in un modello si possono suddividere in variabili endogene (obiettivi e variabili irrilevanti) e variabili esogene (dati e strumenti). Le equazioni che compongono un modello in forma strutturale sono: a) equazioni di definizione; b) equazioni di comportamento; c) equazioni tecniche; d) equazioni di equilibrio; e) equazioni istituzionali; Es. di Modello in forma strutturale: Y= πN Y = C+A C= cY Equazioni del modello: Y= πN è un’equazione tecnica perché rappresenta un caso particolare della funzione di produzione Y=f (K, N) quando K sia dato (K= complesso dei mezzi di produzione, N= quantità di lavoro) Y = C+A è un’equazione di equilibrio tra il prodotto Y e i componenti della domanda C Consumi e A spesa autonoma (la spesa autonoma è la componente della domanda di beni che non dipende dal livello del reddito o dal livello di produzione) può anche considerarsi un’equazione di definizione della domanda aggregata C= cY è un’equazione di comportamento in quanto indica come i consumatori assumono le loro decisioni Nel modello mancano le equazioni di tipo istituzionale che esprimono relazioni e vincoli derivanti dalla necessità di rispettare norme o consuetudini; facciamo l’esempio del divieto di finanziamento monetario della spesa pubblica previsto dagli accordi di Maastricht: Es. ∆G = ∆T + ∆B G= Spesa pubblica T = tributario B= debito pubblico L’equazione esprime appunto che l’incremento della spesa può essere finanziato con le imposte o con titoli di debito pubblico e non con base monetaria N.B. La funzione di preferenza dei politici può essere considerata facente parte delle equazioni di comportamento. Essa può includere numerosi obiettivi, tra i quali possiamo scegliere i tradizionali obiettivi macroeconomici: 1) livello del reddito, espresso, ad esempio, dal suo valore in termini monetari, Y, o dal tasso di aumento rispetto all'anno precedente, ΔY/Y; 2) situazione dell'occupazione, misurata, ad esempio, in termini del tasso di disoccupazione u ; 3) andamento dei prezzi, quale può risultare dal tasso di variazione rispetto all'anno precedente, ΔP/P; 4) situazione della bilancia dei pagamenti, indicata dal tasso di variazione delle riserve valutarie nel periodo considerato, ΔA/A (in genere, un anno). Variabili esogene e variabili endogene Le variabili incluse nel modello in forma strutturale si distinguono: Ogni gruppo può desiderare di indirizzare l’azione dell’ente pubblico in numerose circostanze: 1. Negli atteggiamenti più generali (politiche espansive o restrittive etc.) 2. Negli atteggiamenti più specifici che prevedono l’uso di interventi direttamente selettivi (diverse aliquote fiscali etc.). I modi attraverso i quali i gruppi esercitano la loro influenza sui pubblici poteri sono anch’essi numerosi e includono: il voto, le relazioni personali, le campagne d’opinione, promessa a politici di lucrose future occupazioni. I problemi di delega: gli obiettivi delle autorità di politica economica e il ciclo politico economico. L’identità dei policy makers è completamente trascurata nella teoria classica della politica economica. Essi non hanno identità e non viene riconosciuta la loro natura di agenti degli individui che essi dovrebbero rappresentare. Per sottolineare il carattere anonimo delle persone alle quali nella teoria classica viene attribuito il compito di formulare i traguardi e di compiere i passi concreti dell’azione pubblica si è parlato finora genericamente di responsabili dell’azione pubblica o di policy makers o di pubblici poteri. Questo indistinto soggetto pubblico è costituito da due categorie di persone, i politici e i burocrati. I politici hanno origine elettiva, definiscono gli obiettivi dell’azione pubblica I burocrati veri e propri lavoratori dipendenti traducono in realtà le linee di azione individuate dai primi. Per entrambi sorge un problema di delega e quindi di incentivi. La prima formulazione di una teoria del ciclo politico-economico è quella dovuta a Kalecky il quale sosteneva l’impossibilità per un sistema capitalistico di perseguire il pieno impiego nel lungo periodo: l’eliminazione del ciclo economico attraverso politiche espansive Keynesiane e l’istituzione di uno stato del benessere (welfare state) avrebbero ridotto la disciplina dei lavoratori non più sottoposti alla minaccia della disoccupazione. Il ciclo politico-economico di Nordhaus invece asserisce che le decisioni dei politici siano espressione di loro preferenze proprie. L’ipotesi base di Nordhaus è che l’obiettivo preminente dei politici in carica è quello di essere rieletti. La seconda ipotesi di Nordhaus è che i risultati elettorali siano influenzati in modo significativo dall’andamento economico. Gli elettori attribuiscono peso predominante alla performance del periodo più vicino alla scena elettorale e che d’altro canto siano miopi o ignari delle conseguenze negative di lungo termine delle manovre economiche poste in atto in periodo elettorale. La terza ipotesi di Nordhaus concerne la capacità del governo di espandere nel breve periodo l’economia attraverso strumenti monetari e fiscali anche se l’espansione non è sostenibile nel lungo periodo se non al costo di un’inflazione elevata questo perché le conseguenze inflattive sono ritardate nel tempo e consentono ai politici di godere di posizioni di popolarità nel periodo delle elezioni. Alcune delle ipotesi utilizzate da Nordhaus appaiono senz’altro verosimili: 1. l’idea che i politici attribuiscono notevole importanza alla propria rielezione 2. la dipendenza degli umori elettorali dall’andamento corrente dell’economia. Meno fondata è la convinzione che i politici riescano sempre a condizionare in breve tempo l’andamento dell’economia nel senso desiderato. Invece l’ipotesi (implicita) di Nordhaus di un politico “indistinto” che cerca di orientare operatori “indistinti” è stata superata dalla Teoria partigiana del ciclo economico-politico Secondo questa teoria ogni partito politico assegna pesi diversi ai vari obiettivi economici per ragioni di carattere ideologico e o in quanto assume la rappresentanza di differenti interessi e gruppi sociali: ove la situazione obblighi a scelte nel perseguimento dell’uno o dell’altro obiettivo, anche in presenza della stessa informazione i diversi partiti proporranno soluzioni differenti. Come detto sopra non si manifestano nella realtà sensibili effetti pre-elettorali sulle variabili economiche (contrariamente all’ipotesi di Nordhaus) questo può derivare da: a) l’incapacità di influire concretamente sulle variabili economiche, il cui andamento potrebbe dipendere da altri impulsi e circostanze esterne (ciclo economico internazionale) b) I politici non tentino di orientare attraverso politiche espansive il favore degli elettori. Le indagini empiriche mostrano l’inesattezza della seconda ipotesi in quanto vi è l’evidenza di un ciclo politico di bilancio, ovvero di politiche fiscali e monetarie espansive in periodo pre-elettorale. I problemi di delega: la burocrazia La burocrazia è costituita dall’insieme delle persone – non elette – che attuano le misure decise dai politici. Anche in questo caso vi è una delega di compiti e si pone un problema di agenzia così come si poneva nel rapporto fra cittadini – elettori e politici. La burocrazia pubblica tende a produrre a costi elevati per l’inefficienza operativa attribuibile in larga misura non solo alla peculiarità del lavoro amministrativo rispetto alle normali attività produttive ma anche alle difficoltà di misurare i risultati, all’ambiguità delle tecnologie, e alla molteplicità degli obiettivi inoltre essa privilegia la qualità in modo esagerato per il prevalere delle decisioni dei tecnici poco interessati al costo di produzione dei beni e servizi. I problemi fondamentali relativi all’attività dei burocrati pubblici sono: 1. Specificare i compiti individuali in modi coerenti con le capacità di elaborazione dell’informazione di ogni burocrate. 2. Fare in modo che il burocrate esegua i compiti affidatigli. L’obiettivo dei politici è di evitare l’elusione dei compiti, la corruzione dei funzionari da parte di individui che potrebbero trarre vantaggio da un loro specifico comportamento e la formazione di oligarchie burocratiche tali da sostituire le peculiari preferenze dei pubblici dipendenti a quelle espresse attraverso il processo democratico. Questo obiettivo lo si può conseguire in due modi: 1. Fissazione di procedure amministrative rigide: individuati gli interessi, si indirizzano le decisioni dell’esecutivo verso il loro soddisfacimento, specificando le procedure da seguire. 2. Introduzione di incentivi espliciti e positivi, come quelli legati alla produzione, svolgimento di compiti specifici ecc... Quale modo per ottenere il comportamento dei burocrati dipende da numerose circostanze; in linea generale è riconosciuto che il controllo della burocrazia rientra nell’ambito più vasto dei problemi di delega e non esistono soluzioni ottime di primo ordine. L’azione dei politici riflette quella delle classi e dei gruppi sociali più numerosi e/o potenti, quindi va rivista l’idea del governo come di una rappresentanza indistinta della volontà del popolo. Si accetta allora l’idea che ogni azione pubblica abbia effetti diversificati sui vari gruppi sociali, ad esempio che una politica per l’occupazione abbia effetti diversi da una politica antinflazionistica su obiettivi come la distribuzione del reddito nei suoi molteplici aspetti. In definitiva, il governo è una istituzione di una società e tende a sancirne la conservazione o plasmarne il mutamento. Ciò avviene con la spinta delle forze sociali e con la possibilità di indirizzare il processo di formazione e esecuzione delle scelte pubbliche attraverso un sistema di controlli e incentivi ai politici e ai burocrati. In quasi tutto il mondo si sono manifestati movimenti di opinione contrai all’intervento pubblico secondo questa scuola di pensiero gli obiettivi di efficienza e di equità possono essere meglio perseguiti attraverso l’opera di istituzioni private che pubbliche; questo perché dal mutato funzionamento dell’economia scaturiscono problemi che risulta difficile gestire in termini delle esistenti istituzioni e che danno origine a interventi pubblici poco efficaci. Ci sono inoltre contributi dottrinali quali quello di Coase, di Simon (mercato istituzione più adatta) o della Public choice che evidenzia le inefficienze ed iniquità che si associano all’azione pubblica come conseguenza di questa ipotesi di comportamento. Sprechi, calcoli errati, difficoltà a reagire a problemi nuovi si sono verificati e giustificano se non la riduzione dell’intervento pubblico almeno una sua riforma Sono così emersi fallimenti dello stato ossia fallimenti del non mercato sorge il problema se possano essere valutati alla stregua di fallimenti del mercato e se essi siano superabili o meno. La letteratura economica individua 3 punti rilevanti per l’analisi dell’importanza relativa del rischio morale nelle istituzioni pubbliche e private: 1. Misurabilità degli obiettivi. Non è vero che il controllo degli organi esecutivi nell’organizzazione privata sia più agevole perché il risultato (profitto) è più facilmente rilevabile; gli indicatori di successo dell’azione pubblica sono variegati, (grado di alfabetizzazione, durata della vita media ecc.) Inoltre la molteplicità degli obiettivi pubblici implica difficoltà di controllo anche se tutti gli obiettivi fossero misurabili. 2. Estensione e natura delle situazioni nelle quali si presentano problemi di agenzia. Nel caso pubblico sono normali situazioni nelle quali si presentano molteplici rapporti di agenzia (fra elettorato, politici e burocrati ecc.) e spesso vi sono rapporti di delega e simultanei, come quando i politici sono sensibili a molteplici gruppi di interesse. 3. Effetto delle istituzioni complementari nella soluzione dei problemi di agenzia. Si asserisce che i problemi di incentivo con i managers privati possono essere risolti più agevolmente in quanto sottoposti al controllo dei proprietari e alla disciplina del mercato che può portare l’impresa al fallimento o alla sostituzione dei manager stessi. Ma un efficace controllo dei managers privati dipende dalle istituzioni concepite a livello pubblico. (es in materia di diritto delle società e dei gruppi). In sintesi il rischio morale è un problema comune alle strutture di governo pubbliche e private. L’esistenza di regole (istituzioni) può certamente limitare l’arbitrio dei politici e dei burocrati (es. norme di costituzione fiscale possono porre limiti al deficit di bilancio pubblico). Lo stato federale L’attribuzione a separati soggetti di alcune funzioni di politica economica può avere giustificazioni in termini di efficienza. L’efficienza allocativa richiede che il governo centrale fornisca i primi tipi di beni (difesa, ricerca) e che le strutture di governo territorialmente decentrate forniscano gli altri beni (es. istruzione o sanità). A questa forma di Stato si dà il nome di Stato federale e il federalismo fiscale è la sua giustificazione economica. L’efficienza economica della forma di stato federalista (Tiebout) argomenta che se le persone possono liberamente muoversi sul territorio dello Stato, esse possono decidere di risiedere nella circoscrizione che 2. regolamentazione di elementi strutturali del mercato o della condotta delle imprese – legislazione antimonopolistica. 3. regolamentazione tariffaria e di prezzo con finalità di efficienza statica o dinamica e/o con finalità redistributive. Vi è il rischio che la regolamentazione venga adottata per perseguire non le finalità di natura collettiva ma gli interessi di gruppi ben definiti della collettività che intervengano presso le autorità per ottenere provvedimenti di regolamentazione a loro favorevoli (questa è l’essenza della teoria della cattura). Es. l’imposizione di filtri anti-inquinanti può avere uno scarso effetto ma sicuramente aumenterà i profitti della ditta produttrice; l’autorizzazione all’esercizio di una professione può avere scarso contenuto di qualificazione producendo esclusivamente ostacoli all’ingresso di nuovi soggetti ed extra-profitti a quelli già operanti nel settore considerato. 1. regolamentazione dell’entrata e della concorrenza effettiva La regolamentazione dell’entrata in un determinato mercato può essere introdotta con varie finalità (sostegno al reddito degli operatori già in essere cd incumbents, garanzia di uno standard di qualità, protezione della sicurezza dei consumatori ecc.) Sotto il profilo dell’efficienza statica i policy makers possono essere indotti invece a favorire al massimo la possibilità di ingresso in una certa attività riducendo o eliminando le barriere all’entrata naturali, quelle create dall’attività strategiche degli incumbents (cd barriere strategiche all’entrata ovvero azioni intraprese dalle aziende presenti sul mercato al fine di scoraggiare l’ingresso di nuovi concorrenti come ad es. fissazione di prezzi anormalmente bassi proliferazione delle localizzazioni e dei mercati dove si è presenti ecc.) La regolamentazione può anche proporsi il compito di accrescere la concorrenza effettiva Nel caso in cui nel mercato, in assenza di intervento pubblico, opera una sola impresa che produce al costo unitario minimo C; Se viene introdotta una regolamentazione che obblighi al monopolista di suddividersi in molteplici imprese indipendenti, si determina una concorrenza tra le stesse riducendo lo sfruttamento del mercato e accrescendo l’efficienza interna di ognuna. Introduzione di un diritto di accesso al mercato da assegnare sulla base di un’asta – concorrenza per il mercato o per il monopolio – In questo caso si accrescerebbe la concorrenza effettiva non nella fase produzione ma in quella precedente dell’attribuzione del diritto di produrre il bene. Con il ricorso a questo meccanismo non si impedisce al monopolista naturale di praticare un prezzo superiore al costo marginale e pertanto non sono soddisfatte le condizioni di efficienza allocativa si ha l’unica finalità di evitare che il monopolista goda di extra-profitti. Il vantaggio dei meccanismi Si può obbligare l’impresa a praticare un prezzo pari al costo marginale ne scaturirebbe una perdita che può essere ripianata dallo stato attraverso la concessione di un sussidio e per garantire che quest’ultimo non sia eccessivo si può ricorrere al meccanismo d’asta il diritto di produrre in condizioni di monopolio naturale sarà attribuito a chi richieda il più basso livello di sussidio. Il vantaggio dei meccanismi d’asta risiede nella capacità di realizzare l’efficienza senza che le autorità regolamentatici siano caricate di oneri eccessivi. Tuttavia la concorrenza per il monopolio non può operare con successo per numerose ragioni: a) Pericolo di collusione tra i partecipanti b) Possibilità che un partecipante all’asta abbia dei vantaggi strategici sugli altri ad es. per aver già svolto l’attività sottoposta all’asta Per concludere esistono soluzioni tecniche per accrescere la contendibilità o la concorrenza effettiva ma se non si vuole rinunciare al godimento di economie di scala va accettata l’esistenza di ineliminabili barriere all’entrata e all’uscita. 2. La legislazione antimonopolistica legislazione antimonopolistica tende a modificare la struttura e il funzionamento dei mercati allo scopo di conseguire le seguenti finalità: i) tutelare la libertà economica, consentendo il dispiegamento della libera iniziativa, anche attraverso l’attività di piccole imprese; ii) limitare il potere economico e politico derivante dalle forti concentrazioni economiche, pregiudizievole al buon esercizio della democrazia in tutti i suoi aspetti; iii) accrescere l’efficienza allocativa; L’inefficienza allocativa dipenda da: accordi e attese restrittive della concorrenza abuso di posizione dominante concentrazione delle risorse economiche in poche imprese per effetto di una loro crescita esterna tale da avere effetto negativo sulla concorrenza effettiva e/o potenziale. Quindi la legislazione antimonopolistica prescrive regole di comportamento per le imprese e/o sanziona i comportamenti e le situazioni che realizzano condizioni monopolistiche oppure ne rappresentino lo sfruttamento. L’elemento rilevante ai fini della normativa antimonopolistica è l’illiceità dello strumento con il quale si ottiene la posizione dominante cd abuso di posizione dominante (ovvero capacità di praticare prezzi superiori al cm) per es. l’erezione di barriere all’entrata o l’illiceità dell’uso quando si è acquisita tal posizione es. l’imposizione di contratti vincolati che sono quei contratti che vincolano la vendita di un prodotto alla vendita di un altro. Talvolta si obietta che le imprese monopolistiche sono in grado di ottenere miglioramenti nell’efficienza innovativa ma devono essere tali da superare la perdita di efficienza allocativa; l’argomento non è sufficiente ad escludere la necessità di una legislazione antimonopolistica ma può rafforzare la tesi dell’opportunità di una valutazione caso per caso Normalmente l’individuazione in concreto dei casi di violazione della legislazione antimonopolistica è affidata ad organi quasi-giurisdizionali organizzati in autorità indipendenti dal potere esecutivo. Il controllo dei prezzi Il controllo dei prezzi è una forma di regolamentazione (e quindi una misura di controllo diretto) con essa si fissano livelli di prezzo massimi o minimi a seconda delle finalità. Se l’obiettivo è garantire un reddito a chi offra un bene o un servizio si applicherà un prezzo minimo (si utilizza particolarmente in campo agricolo) Per obiettivi di politica antimonopolistica si fisserà invece un prezzo massimo (ciò può avere anche finalità antiinflazionistiche) il controllo dei prezzi è una forma di regolamentazione (e, quindi, una misura di controllo diretto) con la quale si fissano i livelli di prezzo massimo e minimo, a seconda delle finalità. Il controllo diretto dei prezzi può attuarsi attraverso la fissazione di un: a) margine di profitto massimo b) tasso di rendimento massimo sul capitale c) prezzo massimo a. La determinazione di una percentuale massima di profitti sui costi unitari dovrebbe imporre un limite al prezzo e quindi, allo sfruttamento del potere di mercato. Tuttavia l’autorità che sovrintende alla regolamentazione, non controllando il costo unitario, non può controllare in realtà il prezzo. b. Con la fissazione di un limite al tasso di rendimento sul capitale investito, si tende ad assicurare l’efficienza allocativa anche se l’impresa tenderà a scegliere attività ad alta intensità di capitale che le consentiranno un maggior volume di profitti invece di adottare le tecniche che assicurano l’efficienza produttiva. c. La fissazione di un prezzo massimo; Con una simile forma di fissazione dei prezzi si vuole indurre l’impresa a rispettare l’efficienza allocativa anche se l’impresa può sempre alterare i costi per indurre l’autorità di regolamentazione a ridurre il tetto stabilito al prezzo massimo La regolamentazione dei prezzi, in quanto misura di controllo diretto, è potenzialmente molto efficace. Lo è senz’altro nel breve periodo in situazioni di emergenza, se esiste un apparato amministrativo efficiente capace di garantirne l’applicazione. Nel più lungo periodo la sua efficacia è strettamente legata alla possibilità di risolvere alcuni problemi di informazione. ovvero il comportamento dell’impresa deve essere limitato dal controllo dei prezzi ma essa deve anche poter rimanere sul mercato nel lungo periodo; l’impresa deve coprire tutti i costi e assicurarsi un tasso di profitto minimo sufficiente a garantire la permanenza e lo sviluppo; quindi vi è la trappola del rischio che le imprese godano di profitti eccessivi dotandosi di eccessivo capitale dall’altro il pericolo che un basso tasso di rendimento futuro scoraggi l’investimento; per questi rischi l’istituto regolatore dovrebbe essere a conoscenza dei costi di produzione ma recepire quest’informazione non sempre è agevole poiché anche se l’autorità ha accesso alla contabilità dell’impresa essa potrebbe alterarne i contenuti. Se più imprese operano sul mercato potranno essere confrontati i costi di ognuna da qui nasce l’espressione concorrenza per comparazione (yardstick competition), tale espressione si riferisce alla politica di controllo dei prezzi, posta di fronte alla difficoltà costituita dalla presenza di asimmetrie informative fra ente regolatore e imprese operanti sul mercato. Nel caso della presenza di due imprese A e B, ad esempio, le informazioni ottenute sull’andamento dei costi delle due imprese possono essere utilizzate per adottare in modo efficiente il primo metodo, con la fissazione del profitto massimo dell’impresa A, partendo dei costi dell’impresa B e viceversa per l’impresa B con i costi dell’impresa A. L’impresa pubblica L’impresa pubblica è uno strumento di controllo diretto tradizionalmente considerato efficace per una molteplicità di obiettivi specifici (occupazione generale, sviluppo ecc.) e per una maggior coerenza delle scelte aziendali con gli obiettivi pubblici (es. impegno a promuovere le esportazioni, contenimento dell’inflazione, comportamenti aziendali non imitativi di quelli delle imprese private). In primis bisogna sgombrare il campo da un equivoco ovvero quello di giudicare inefficiente l’impresa pubblica per il solo fatto che sostenga delle perdite, si pensa che l’esistenza di perdite crei distorsioni nell’allocazione delle risorse; in realtà l’intervento pubblico sostenendo le perdite rende possibile l’allocazione delle risorse che il mercato non riesce a garantire (i privati disertano i campi meno redditizi). Varie inefficienze imputate all’impresa pubblica: a) Carenza manageriale (I dirigenti hanno scarsi incentivi) b) Non vi è garanzia di sana gestione per la dipendenza dal potere politico c) L’appesantimento dei costi dovuti ai punti precedenti si riversa sulla fiscalità generale e quindi sui cittadini d) Non essendo sottoposta al vincolo di bilancio ciò mina la sua efficienza interna Questa soluzione è stata introdotta nel corso degli anni Ottanta in relazione ai problemi di inquinamento e prevede che si predetermini il livello della diseconomia esterna “ottimale” che siano assegnati, attraverso vendite all’asta, diritti o permessi a inquinare fino al limite indicato. Un effetto della creazione dei diritti ad inquinare può essere quello di incentivare le innovazioni tecnologiche tendenti a ridurre le diseconomie esterne in quanto la creazione di quest’ultime risulta onerosa. La negoziazione ha migliori effetti sul livello dell’inquinamento in quanto esso viene prefissato (ovvero viene prefissata la quantità da produrre poi il mercato fisserà il prezzo) mentre nel caso della tassazione le imprese hanno invece libertà sulla scelta delle quantità da produrre. Vantaggio comune ai diritti negoziali e alla tassazione e non ai sussidi è quello di rappresentare una fonte di entrata per l’ente pubblico 3. La regolamentazione Una soluzione alternativa all’introduzione di imposte sarebbe data dalla regolamentazione, con la quale si impone uno standard di produzione massima di diseconomie esterne o minima di economie esterne. Un vantaggio delle imposte e dell’emissione dei diritti è che le imprese saranno incentivate a ridurre l’inquinamento per abbattere i costi mentre nel caso della regolamentazione essa verte solo su coloro che non rispettano gli standard previsti. Per le imprese la regolamentazione è meno onerosa dell’imposta in quanto quest’ultima colpisce anche coloro che adottino materiali e dispositivi poco inquinanti. Nel nostro paese si è fatto largamente uso della regolamentazione ai fini della tutela dell’ambiente. Sono peraltro in uso anche varie forme di incentivi per abbattere l’inquinamento. Il Protocollo di Kyoto è un trattato adottato dalla comunità internazionale nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005 L'obiettivo è quello di rallentare il riscaldamento globale. Prevedendo un sistema di diritti negoziabili all’inquinamento per il contenimento delle emissioni inquinanti. Prende il nome dalla località giapponese, Kyoto, dove si è tenuto questo storico incontro. Il finanziamento e la produzione di beni pubblici a) Il problema della fornitura di un bene pubblico è triplice e concerne: La determinazione del livello del bene pubblico socialmente efficiente I metodi utilizzati ricorrono a dati sia di mercato (es. aria pulita e spese per viaggi in cui si respiri aria meno inquinata) che non tramite interviste ed esperimenti; ovviamente questi metodi non sono dotati di precisione scientifica ma possono essere ragionevolmente approssimative dell’esigenza di scegliere il livello ottimale del bene pubblico. b) Il suo finanziamento I privati sono restii a finanziare un bene pubblico optando per un comportamento da free-rider c) La produzione effettiva del bene in questione Che potrebbe anche essere ad opera di privati magari perché più efficiente Capitolo 8 La politica microeconomica in azione: le politiche industriali e regionali. Le politiche redistributive. Le politiche redistributive e lo Stato sociale La numerosità delle vie attraverso le quali è possibile incidere sulla distribuzione del reddito e il fatto che spesso le finalità redistributive appaiono dissimulate rendono opportuno esplicitare il più possibile le conseguenze distributive di quella misura, in modo che anche i cittadini non esperti di economia ne siano consapevoli. Portare “alla luce del sole” ogni attività redistributiva è condizione necessaria affinché si possono distinguere quelle desiderabili da quelle che non lo sono. Infine rende possibile adottare quelle misure redistributive che hanno minori effetti distorsivi dell’efficienza. Pur essendo numerose le misure redistributive è principalmente la politica del bilancio pubblico che viene impiegata per realizzare gli obiettivi di equità. Ai fini redistributivi non è rilevante tanto l’ammontare dei tributi quanto la loro composizione (es. le imposte dirette e indirette hanno un diverso carattere di progressività ovvero la capacità di variare più o meno proporzionalmente in confronto al reddito) e la loro articolazione (ad es. è importante conoscere la curva delle aliquote previste per ogni livello di reddito). La redistribuzione attraverso il bilancio pubblico può avvenire oltre che mediante imposte, anche con trasferimenti monetari e in natura. I trasferimenti monetari consistono nell’assegnazione da parte dello stato di somme di denaro o di buoni spendibili liberamente dal cittadino. Con i trasferimenti in natura vengono attribuiti direttamente quei beni o quei servizi che lo Stato vorrebbe fossero disponibili agli individui meno abbienti. (es servizi sanitari, mense) La scelta dell’uno o dell’altro concerne l’ammontare del consumo e la sua composizione: consumerà di più chi è più abbiente in più per le distorsioni esistenti nelle economie di mercato non si è sicuri che verranno consumati proprio quei beni che soddisfano bisogni essenziali (in un’economia in cui vi sono redditi al di sopra del livello di sussistenza si diffonde anche tra i meno abbienti per effetti emulativi la richiesta di beni voluttuari). Il complesso dell’attività di trasferimento attuata dallo Stato, in particolare nel campo dell’educazione della sanità della previdenza e dell’assistenza prende il nome di stato sociale o stato del benessere. Per stato sociale o stato del benessere (welfare state) si intende l’attività di trasferimento attuata dallo stato, in particolare nel campo dell’educazione, della sanità, della previdenza e dell’assistenza, secondo le linee ispiratrici contenute inizialmente nel piano Beveridge, pubblicato in Gran Bretagna nel 1942; le sue finalità rispondono, in primo luogo, al principio dell’equità e sono, quindi, redistributive. Non vanno, tuttavia, trascurati i risultati ottenibili nei riguardi del principio di efficienza: a) per l’attenuazione o l’eliminazione di alcuni fallimenti del mercato in presenza di rischi non assicurabili (malattie croniche, disoccupazione) ed informazione asimmetrica (assicurazione per malattia, invalidità e vecchiaia). In questi casi l’operatore pubblico può garantire uno standard minimo ad un prezzo ragionevole; b) per il contributo alla crescita che può derivare dal superamento di vincoli di bilancio, imperfezioni del mercato dei capitali, situazioni di stratificazione e segregazione sociale; Le critiche allo stato sociale si sono concentrate sui possibili effetti disincentivanti delle misure dello stato sociale sull’offerta sia di lavoro sia di risparmio; Le differenziazioni nella realizzazione dello stato sociale sono riconducibili ai diversi valori che lo hanno ispirato; individuiamo 4 modelli di welfare state: - Conservatore corporativo - Liberale - Socialdemocratico - Cattolico Il modello conservatore-corporativo tradizionale in Italia attribuisce il diritto a beneficiare dello stato sociale a chi abbia lo status di lavoratore occupato: il ruolo sostanziale a fini redistributivi è lasciato alla solidarietà familiare e privata attraverso la carità. Nel modello liberale si assicurano le prestazioni di mera sussistenza tramite sussidi. Il regime socialdemocratico promuove l’uguaglianza non solo dei lavoratori ma di tutti i cittadini, il mercato e la famiglia occupano un ruolo marginale. Nel regime cattolico lo stato interviene solo se l’individuo e la comunità locale (chiesa, associazioni no profit) abbiano fallito il loro compito. L’attività redistributiva dello stato è stata oggetto di critiche in relazione all’opinabilità dei giudizi di valore che la sostengano e l’effettiva realizzazione dell’equità. Secondo alcuni calcoli la distribuzione finale del reddito che si ottiene al netto di imposte e trasferimenti non è cambiata in alcuni periodi e paesi ed è addirittura peggiorata in altri (opinione di Padoa Schioppa è che la spesa pubblica abbia un carattere tendenzialmente regressivo in Italia) però un giudizio ponderato richiederebbe di valutare sulla base di uno stato in assenza di manovre redistributive cosa che non è mai avvenuta. Aldilà di questo un compito di studio importante sarebbe quello di individuare le condizioni minime che devono essere soddisfatte attraverso l’azione pubblica per garantire agli individui la possibilità di godere di uno standard di vita ragionevole. Negli ultimi anni le critiche allo stato sociale si sono rafforzate per il maturare di avverse situazioni demografiche (invecchiamento della popolazione) ed economiche (crisi dei bilanci pubblici) portando alla luce il bisogno di una ristrutturazione dello stato sociale ad esempio: - Riduzione della durata del sussidio di disoccupazione e successiva trasformazione in sussidio all’occupazione - Ampliamento dell’accertamento dell’effettivo stato di bisogno limitando l’erogazione delle spese sociali ai soli casi di bisogno - Possibilità per il cittadino di rinunciare ad uno o più benefici offerti dallo stato sociale in cambio del rimborso di un’aliquota con il proposito di indurre una concorrenza fra lo stato sociale e i privati fornitori degli stessi servizi. - La destinazione specifica a certe voci di spesa di fondi ottenuti con alcune imposte o contributi (secondo Franzini e Pizzuti porterebbe a superare quella “sfiducia nella politica” da parte dei cittadini) cd earmarking Si badi bene che la riduzione dello stato sociale non implica una contrazione della spesa che la collettività sostiene per procurarsi le prestazioni anzi essa tende ad accrescersi se fornita in forma privatistica poiché lo stato sociale è nettamente più efficiente del mercato di provvedere a determinati bisogni (es. giustizia). L’unica opportunità per ridurre la spesa della collettività in presenza di produzione privata è che una parte dei cittadini (verosimilmente i meno abbienti) in difetto di potere d’acquisto verranno scacciati dal mercato e ridurranno i loro consumi sociali. Capitolo 9 Le politiche commerciali: liberalismo e protezionismo Trattandosi di imposte sono fonte di entrate fiscali ma raramente viene loro attribuita questa finalità (dazi fiscali) più spesso essi hanno finalità protettive (dazi protettivi). Insieme dei dazi = Tariffa doganale non tariffaria contingenti: Restrizioni quantitative stabilite da un paese all'importazione di un determinato bene. I contingentamenti si esercitano soprattutto attraverso la concessione, da parte dello Stato che li ha decisi, di licenze di importazione fino al raggiungimento del quantitativo stabilito. Le limitazioni volontarie alle esportazioni, che sono contingentamenti introdotti direttamente dal paese esportatore, in genere come risultato di una trattativa complessiva con il paese importatore. L'adozione dei contingentamenti all'importazione è vietata tra i paesi della CE - limitazioni varie (ad. Es. imposizione di un deposito previo all’importazione in un conto infruttifero presso la banca centrale di una somma pari al valore della merce importata è stato adottato negli anni 70 in Italia per un periodo limitato.) - regolamentazioni in apparenza dirette ad altre finalità (igiene, difesa ambientale) ma che si risolvono in intralci ritardi ecc. - limitazioni in materia di appalti - Sussidi alle esportazioni Il dazio all’importazione colpisce il prezzo il contingentamento colpisce la quantità Un'altra forma di politica economica commerciale è il requisito di contenuto nazionale minimo della produzione esso prevede che un bene possa essere venduto nel paese solo se ha un contenuto minimo in termini fisici o di valore di produzione locale. Si tratta di una limitazione spesso introdotta dai paesi in via di sviluppo per accrescere la quota di valore aggiunto locale anziché importare le componenti destinate al solo assemblaggio (cd fabbriche cacciavite) si stimola la produzione locale di qualche componente Effetti della protezione tariffaria e non tariffaria Dazio all’importazione = Provoca un aumento del prezzo che riduce il consumo interno (lato consumo) e aumenta l’offerta interna (lato produzione) ciò farà diminuire le importazioni; le imposte aumenteranno in misura pari al dazio moltiplicato per la quantità prodotta e i consumatori pagheranno un maggior prezzo ai produttori nazionali e il dazio allo stato Contingentamento = Gli effetti economici di un contingentamento sono del tutto simili a quelli di un dazio all'importazione (aumento del prezzo interno del bene) con la differenza che, mentre il dazio viene incassato dallo Stato, il contingentamento va a beneficio dei detentori della licenza di importazione. Ciò non è strano se si pensa che lo Stato può con la vendita all'asta delle licenze introita un ammontare di moneta pari a quello prodotto da un dazio. Sussidi = Possono essere di varia natura (es. riduzioni del tasso di interesse, copertura assicurativa gratuita, condizioni di favore contro i rischi di cambio ecc.) si traducono in un’integrazione dei profitti (in quanto vi è l’incremento dato dal sussidio) gli effetti sui prezzi sono simmetrici a quelli dei dazi in quanto i produttori non saranno disposti a vendere internamente ad un prezzo minore del ricavato ottenuto esternamente aumentato del sussidio quindi cadrà la domanda interna. In più se il paese che introduce il sussidio è grande il prezzo mondiale del bene sussidiato si ridurrà per effetto dell’aumentata offerta sul mercato internazionale; Argomentazioni a favore del proibizionismo Come prima argomentazione a favore del protezionismo (Mill) vi è la protezione dell’industria nascente ovvero la superiorità di un paese rispetto ad un altro in un ramo di produzione può anche nascere esclusivamente dal fatto di aver cominciato per primo perciò il paese che protegga può con il tempo acquisire quella stessa capacità ed esperienza per poter così competere con il paese che ha iniziato prima la produzione. Questo è il caso nel quale esistono economie di scala dinamiche derivanti da processo di apprendimento. La loro esistenza dà luogo alla curva di apprendimento ovvero la riduzione regolari e prevedibili dei costi unitari del prodotto, quando avvengono col procedere della produzione l'imprenditore può conoscere di quale entità sia il vantaggio, in termini di costi, di un suo concorrente presente da più tempo sul mercato e con più elevati volumi di produzione. LA curva pone in ascissa il volume di produzione cumulata (che rappresenta l'apprendimento) e in ordinata i costi unitari di produzione, allo scopo di prevedere il plausibile comportamento dei soggetti economici. La protezione risulta conveniente se la presenza dell’industria considerata ha effetti esterni (spillover) positivi sul sistema produttivo del paese (es. diffusione delle conoscenze, stimolo alle innovazioni ecc.) Nel caso non vi siano spillover i liberisti più tenaci asseriscono che la progressiva diminuzione dei costi unitari dovrebbe indurre da sola l’entrata sul mercato di nuove imprese senza bisogno della protezione, in più le imprese sono scoraggiate proprio dall’entrare in determinate branche di produzione per la prospettiva di guadagni comunque rinviati nel tempo e per il costo del capitale che è solitamente più alto per le attività più rischiose e che non siano immediatamente redditizie. La difficoltà di individuare industrie nascenti capaci di produrre spillover positivi e la possibilità che le imprese si adagino sulla protezione va tenuto in considerazione anche se nulla toglie all’importanza dell’argomentazione soprattutto se riferita ai paesi in via di sviluppo. Una seconda argomentazione a favore del protezionismo il cui autore fu Mill si riferisce alla possibilità che un paese ha di migliorare le ragioni di scambio (rapporti tra prezzi all’esportazione e prezzi all’importazione) ovvero un paese abbastanza grande da avere un potere di monopolio per una certa produzione può migliorare le sue ragioni di scambio attraverso l’imposizione di una tassa sulle esportazioni o di un dazio sulle importazioni: l’efficacia di tali scelte dipende dall’elasticità della domanda di beni colpiti dalla tassa o dal dazio. Ovvero gli effetti del dazio nell'economia che lo impone sono una riduzione di domanda e un aumento di offerta (uniti ad un aumento del prezzo nazionale) poiché' il prezzo internazionale è determinato dalla somma delle domande di tutti i paesi e dalla somma di tutte le offerte, il fatto che nel paese che impone il dazio si riduca la domanda ed aumenti l'offerta implica che, a parità di condizioni, si riduca anche la domanda internazionale ed aumenti l'offerta internazionale. Se si riduce la domanda (nessuno lo vuole) ed aumenta l'offerta (tutti lo vendono) sul mercato internazionale il prezzo si riduce. Elasticità della domanda: Reazione della domanda alle variazioni di prezzo Elastica -> anche un piccolo aumento di prezzo fa cadere la domanda (es. Beni voluttuari) >1 Rigida -> ad un aumento del prezzo la domanda resta invariata < 1 Una terza argomentazione a favore del protezionismo è la salvaguarda dell’industria nazionale minacciata dal basso costo del lavoro esistente all’estero (la differenza di salario tra un lavoratore in Germania e uno in Kenya è di 1 a 7): in realtà questa tesi non tiene conto che al più basso costo del lavoro corrisponde una più bassa produttività. Una quarta argomentazione è data dal fatto che una politica tendente ad accrescere l’occupazione e il reddito fa aumentare le importazioni oltre misura in tal caso la bp costituisce un vincolo alle politiche espansive, questo vincolo può essere alleviato tramite il protezionismo. La maggior parte degli economisti è a sfavore di pratiche protezionistiche per la perdita di benessere subita dai consumatori e favorisce la creazione di una struttura inefficiente e con alti costi in più si rischia di sfociare in un meccanismo di sanzioni reciproche perché i paesi danneggiati dal protezionismo ricorreranno a misure analoghe. Politiche industriali Le politiche commerciali tendono ad incidere direttamente sui flussi di importazione ed esportazione le politiche industriali invece influenzano i fattori da cui scaturiscono le funzioni di offerta (tecniche produttive, tipologie di prodotti ecc.) Le politiche tendenti a modificare la struttura produttiva e ad accrescere l’efficienza allocativa e quella dinamica sono dette politiche industriali esse contribuiscono a creare le condizioni di successo commerciale di un paese. La politica industriale può tendere a migliorare la posizione competitiva di un paese attraverso: - Posizionamento della struttura nei settori nel quale la domanda mondiale cresce più velocemente - Potenziamento dei settori strategici (per creare economie esterne dinamiche) - Un rafforzamento delle condizioni dalle quali dipende una riduzione dell’elasticità della domanda estera al prezzo (Innovazione di prodotto) - Appropriate relazioni tra imprese in particolare opportune operazioni di investimento diretto all’estero. Capitolo 10 I calcoli di convenienza sociale e l’analisi benefici-costi I calcoli di convenienza nei progetti di intervento privati e pubblici Un progetto pubblico può essere definito come una variazione dell’offerta netta di beni e servizi determinata dall’attività pubblica. Il soggetto pubblico preposto all’attività in questione, nello scegliere fra soluzioni alternative, terrà conto dei benefici e dei costi di ognuna e scarterà quelle meno convenienti, per certi versi in modo simile a un soggetto privato. L’imprenditore privato che voglia scegliere il progetto investimento per lui più conveniente prepara un preventivo economico che gli servirà di base per la scelta. Le fasi sono: - individuazione precisa delle alternative - precisazione delle conseguenze di ogni alternativa - omogeneizzazione dei costi e ricavi temporale - valutazione dei costi e dei ricavi - attualizzazione dei suddetti costi e ricavi - somma algebrica dei costi e dei ricavi attualizzati e determinazione del tasso di rendimento atteso. Lo Stato può procedere in modo simile per valutare la convenienza dei vari progetti alternativi di spesa e di azione. Il calcolo economico pubblico si differenzia dal calcolo finanziario privatistico. Ciò in quanto, mentre un’impresa privata considera soltanto le conseguenze in termini monetari - analisi finanziaria – lo Stato in aggiunta considera anche tutte le conseguenze dirette e indirette del progetto – analisi economica – includendo in particolare tra le conseguenze indirette le esternalità generate dal progetto stesso. Per sottolineare la diversità invece che di costi e ricavi si parlerà di benefici e costi e alla valutazione di convenienza pubblica si attribuisce la denominazione di analisi benefici-costi (ABC) che possono intervenire sia acquistando che vendendo valuta estera in modo che il tasso di cambio della propria valuta sia quanto più possibile vicino al tasso di equilibrio (regime di cambi fissi) Ne scaturisce un mercato di valuta estera, detto mercato dei cambi, che esprime un prezzo detto Tasso di cambio nominale bilaterale. Il cambio nominale bilaterale è dunque il prezzo di una moneta in termini di un'altra moneta Da non confondere con il Tasso di cambio reale. che considera anche il diverso livello generale dei prezzi che viene misurato in termine di indici all’ingrosso o di prezzi alla produzione. Esempio: Tasso di cambio nominale bilaterale euro/dollaro 1,15 [per 1 € mi danno 1,15 $ quindi ad esempio 1000$ mi costano 869€ (1000/1,15 = 869)] Supponiamo che debba acquistare arance che cosno ognuna 1€ in Italia e 2$ in America; con 869 € comprerei 869 arance in Italia mentre con i miei 1000$ (che ho pagato 869€) in America prenderei solo 500 arance. La conclusione è che il cambio nominale sembra favorevole a chi vive in Italia, ma il cambio reale (quello che veramente interessa all'agente economico) risulta sfavorevole. Vi sono due modi per esprimere questo prezzo: si ha la quotazione incerto per certo quando la piazza quotatrice esprime i prezzi della moneta locale riferendoli ad un ammontare fisso di valuta estera che viene tenuto sottointeso (certo il dollaro e incerto l’euro) “L’euro è scambiato a 1,15” si ha la quotazione certo per incerto quando la piazza quotatrice esprime le quantità delle valute estere riferendole ad un ammontare fisso di moneta locale che viene tenuto sottointeso. Questa è la quotazione adottata per l’euro (certo l’euro e incerto il dollaro) “Il dollaro è scambiato a 1,15” Per esempio se si afferma che sono necessari 1.2300 usd per avere un euro o se si afferma che sono necessari 0.8130 euro per avere un usd si sta dicendo la stessa cosa. (1/1.2300=0.8130). La moneta al numeratore sarà la moneta certa, quella al denominatore, la cui quantità varia al variare del prezzo, sarà la moneta incerta. La scelta di esprimere il rapporto di cambio in un modo o nell’altro è solo convenzionale. Calcolo tasso di cambio reale Il prezzo dei beni nazionali espresso nella moneta nazionale (euro) p moltiplicato per il tasso di cambio e (ovvero il prezzo dei beni nazionali espresso in $) il prezzo della merce estera pw espresso in $. A tale indicatore si dà il nome di tasso di cambio reale bilaterale er : er = (p * e) / pw La variazione del tasso di cambio reale bilaterale è: Er = e + (p - pw) il termine tra parentesi è detto inflazione relativa Un aumento del tasso di cambio indicherà un aumento del valore dell’euro rispetto a quello del dollaro – apprezzamento – (Se mi davano 1,15$ se davo un euro ora mi danno 1,20$) Una diminuzione del cambio indica un - deprezzamento - dell’euro (Se mi davano 1,15$ se davo un euro ora mi danno 1,10$) LA DINAMICA DEI CAMBI PERO’ SI RIFLETTE SULLA COMPETITIVITA’: Deprezzamento del cambio: Nei casi di svalutazione o deprezzamento, l'effetto immediato è che per i cittadini del nostro Paese diventerà più costoso acquistare un'unità di valuta estera, mentre per i cittadini di Paesi stranieri risulterà più a buon mercato acquistare la moneta del nostro Paese. I prodotti interni diventano quindi meno costosi, rispetto alla produzione straniera. Concludendo, il prodotto interno di un Paese la cui moneta si svaluta (o si deprezza) diviene maggiormente competitivo, in termini di prezzo, sui mercati internazionali. Apprezzamento del cambio Al contrario, il prodotto di un Paese la cui moneta si rivaluta (o apprezza) risulterà, sui mercati internazionali meno competitivo. Il cambio si determina sul mercato delle valute il quale riflette l’andamento della bilancia dei pagamenti La contabilità della bilancia dei pagamenti si basa sulla semplice regola secondo cui ogni transazione che comporta un pagamento da parte del paese è una voce in uscita. Le importazioni di automobili, l'uso di mezzi di navigazione stranieri, l'acquisto di terra in Spagna, o l'apertura di un deposito in una banca di Ginevra sono, perciò, tutte voci in uscita. Voci in entrata sarebbero, invece, vendite all'estero di beni da parte del paese, pagamenti per la concessione da parte del paese di licenze per l'uso di tecnologia, pensioni ricevute dall'estero da parte di residenti, oppure acquisti esteri di azioni di imprese nazionali. La bilancia dei pagamenti è in disavanzo, quando la somma dei conti corrente e capitale è negativa, gli italiani devono pagare un ammontare di valuta estera maggiore di quella che ricevono. La bilancia dei pagamenti è in avanzo, i residenti all'estero hanno bisogno di euro con cui pagare l'eccesso dei pagamenti all'Italia sulle entrate derivanti da vendite all'Italia. enunci le condizioni che devono essere soddisfatte affinché una svalutazione del cambio migliori il saldo delle partite correnti Condizione di Marshall-Lerner: affinché una svalutazione (o deprezzamento) del tasso di cambio migliori l'esito delle Partite Correnti (esportazioni nette), le importazioni e le esportazioni devono essere sufficientemente reattive al tasso di cambio. In particolare, se si parte da una situazione di pareggio dei conti con l'estero, una svalutazione conduce ad un miglioramento dell'esito delle Partite Correnti se e solo se la somma delle elasticità in valore assoluto delle importazioni e delle esportazioni è maggiore di 1: εm+εx >1; Condizione di Marshall-Lerner Condizione secondo la quale affinché una svalutazione della moneta nazionale determini un miglioramento della bilancia dei pagamenti e altresì del tasso di copertura degli scambi, è necessario e sufficiente che le esportazioni e le importazioni siano sensibili al tasso di cambio spieghi che cosa si intende per efficacia della manovra del cambio L’efficacia implica che le variazioni del cambio (indotta dall’azione pubblica) abbiano effetto su qualche variabile, specificamente sul livello del reddito e/o sulle grandezze incluse nella bilancia dei pagamenti, principalmente sulle partite correnti; Si distinguono due principali regimi di cambio: il sistema a cambi fissi, con il quale il riaggiustamento della bilancia dei pagamenti è effettuato a carico delle riserve valutarie, cioè quando il saldo tra entrata e uscita di valuta altera il corso dei cambi, la banca centrale interviene spendendo le sue riserve valutarie e riportando il tasso di cambio al livello desiderato ovvero intorno ad un valore detto tasso centrale. Quando parità o tasso centrale aumentano si parla di rivalutazione della moneta nazionale. Quando parità o tasso centrale diminuiscono si parla di svalutazione della moneta nazionale. Riserve (valutarie o auree) Sono gli stock, o quantità in deposito, di valute e di titoli di stato in valute diverse dalla propria detenuta da una banca centrale per poter operare sui mercati internazionali, a protezione del valore della propria moneta il sistema a cambi fluttuanti, che prevede il riaggiustamento della bilancia dei pagamenti a carico del corso dei cambi che può variare liberamente. In un regime di cambi flessibili l’intervento delle autorità monetarie può contenere le fluttuazioni del cambio – fluttuazione sporca o amministrata ovvero le banche centrali acquistano e vendono valute estere nel tentativo di influenzare i tassi di cambio. L’obiettivo è un regime intermedio, Il tasso di cambio viene lasciato fluttuare liberamente all’interno di una banda costruita attorno ad una parità centrale (che in genere è fissa). L’intervento delle autorità monetarie avviene solamente ai margini della banda; tanto maggiore (minore) à l’ampiezza della banda tanto più questo regime di cambio si avvicina ad un regime di perfetta flessibilità (fissità). La parità centrale della banda può essere un tasso di cambio fisso (in questo caso il regime viene chiamato target zone) o può seguire un tasso di svalutazione detto crawl (in questo caso il regime prende il nome di crawling band). Sui mercati valutari sono presenti: Le imprese (come esportatori e importatori o come soggetti che effettuano investimenti) I consumatori (per esportazioni e importazioni di beni) Le banche e gli altri intermediari finanziari (per i movimenti di capitale o come soggetti che operano in contropartita per l’acquisto o la vendita di valuta) Le banche centrali sia per gli acquisti e le vendite di valuta effettuati con le banche sia per gli interventi diretti che spesso esse effettuano per regolare l’andamento dei tassi di cambio. Il progresso tecnico dei mezzi di comunicazione ha fatto sì che i vari mercati siano interdipendenti e che non possano quindi esprimersi cambi diversi per la stessa valuta nello stesso momento poiché ciò porterebbe ad operazioni di arbitraggio ovvero un soggetto trarrebbe guadagno acquistando valuta estera dove essa ha un prezzo minore e rivendendola dove ha un prezzo maggiore e viceversa. I mercati dei cambi possono essere: Mercati a pronti Vengono contrattate disponibilità di valute da scambiarsi immediatamente al prezzo (cambio) che si forma sui mercati stessi. Mercati a termine Si negozia oggi il prezzo di una valuta che sarà disponibile in futuro (es. acquisto 1000 $ che saranno disponibili e verranno pagati tra un mese il cui importo però è stabilito oggi). Queste operazioni servono per la provvista di valuta ad un prezzo prefissato (vengono così eliminati i rischi di cambio) oltre che a fini speculativi. Swap = Convenienza a stipulare contratti contemporaneamente sul mercato a pronti e su quello a termine. Al fine di comprendere ragioni e natura dell’instabilità di un sistema capitalistico è assolutamente necessario introdurre i caratteri di un’economia monetaria. Questa è una economia nella quale le transazioni sono regolate con lo scambio di un particolare bene, denominato moneta e non di tutti gli altri beni – economia di baratto. La moneta assolve al ruolo di mezzo di pagamento o intermediario degli scambi, unità di conto (o numerario o misura dei valori) e riserva di valore. Uno stesso bene può essere unità di conto e non mezzo di pagamento (es. contabilità tenuta in dollari e mezzo di pagamento l’euro). La moneta ha un carattere essenzialmente fiduciario (ovvero una volta che su un determinato strumento si sia accentrata la fiducia degli operatori esso viene accettato ed è ad esso cui si fa riferimento per stipulare i contratti). Vi è stata un’evoluzione nel tempo dei mezzi che hanno assolto al ruolo di moneta a partire dalla moneta merce (bestiame, conchiglie, ecc.) passando per la moneta metallica fino alla moneta cartacea (banconote) e quella bancaria. I “partecipanti alla produzione” ricevono una quantità di moneta che conferisce loro un potere di acquisto dei beni prodotti, le unità produttive che realizzano surplus di risparmio sull’investimento – tipicamente le famiglie – possono prestare quest’eccedenza alle unità in deficit – tipicamente le imprese e gli enti pubblici. Ciò può avvenire attraverso crediti diretti: prestiti, obbligazioni; realizzati per il tramite di intermediari finanziari. I crediti diretti sono scambiati sui mercati finanziari: - mercati primari: mercati dei titoli all’emissione - mercati secondari: mercati dei titoli già in essere - derivati: mercati il cui valore è legato da precise relazioni a quello di altri titoli I sistemi finanziari nei quali prevalgono i crediti diretti, sono detti mercatocentrici. Quelli nei quali prevalgono gli intermediari finanziari sono detti creditocentrici. Solitamente vi è divergenza nella scadenza desiderata del prestito, il creditore tende ad abbreviarla per ridurre il rischio di insolvenza che aumenta al crescere della scadenza, al debitore di contro conviene allungarla fino a renderla pari al tempo nel quale l’investimento darà i frutti sperati. Questa divergenza può risolversi con un aumento del tasso di interesse che incorpora un premio per il rischio connesso con la scadenza più lunga (soluzione molto onerosa) o con l’impiego di intermediari finanziari che consentono di abbassare il costo del credito per tre motivi: a) Esistenza di economie di scala (riduzione dei costi di gestione derivanti dalla specializzazione e dall’esistenza di informazioni sul rischio ex ante delle imprese in relazione ai loro progetti di investimento nonché al rischio ex post connesso con l’utilizzo effettivo dei prestiti concessi) b) Possibilità di trasformazione qualitativa (poiché non tutti i datori di fondi ne richiedono la restituzione alla scadenza prefissata gli intermediari potranno prestarli a una scadenza più lunga mantenendo una riserva precauzionale) c) Diversificazione dei rischi (per ragioni connesse alla dimensione le unità in surplus potrebbero prestare che a pochi prenditori, ciò accresce il rischio di insolvenza ciò le indurrebbe a domandare un più elevato tasso di interesse. L’esistenza degli if consente di formare un pool di disponibilità individuali anche limitate e di diversificare così gli impieghi, riducendo il rischio complessivo e il tasso di interesse) L’insieme degli intermediari finanziari, delle attività(passività) e dei relativi mercati costituisce la struttura finanziaria di un’economia, n. b. Dal ’36 in Italia vi è la separazione fra crediti a breve a medio e lungo termine caratteristica delle banche di tipo inglese. Si possono individuare due tipi di moneta e corrispondentemente due tipi di intermediari finanziari capaci di crearli: - biglietti di banca: creati dagli istituti di emissione costituiscono la moneta avente corso legale. - depositi: creati dalle banche In aggiunta ai depositi negli anni più recenti sono state create dalle banche o dal tesoro, nuove passività che hanno assunto anch’esse rilievo per il loro elevato grado di liquidità e che si possono far rientrare nel concetto di moneta (certificati di deposito bancari, buoni del tesoro ecc.) Attualmente si distinguono nell’unione monetaria europea tre aggregati monetari: - M1 o moneta in senso stretto, che include circolante e depositi a vista - M2 aggregato monetario intermedio che comprende oltre M1 depositi con scadenza fino a 2 anni o con preavviso fino a 3 mesi - M3 o moneta in senso ampio che include oltre M2 operazioni pronti contro termine (vendita di titoli a pronti e riacquisto a termine degli stessi) e titoli di debito fino a 2 anni emessi da istituzioni finanziarie monetarie (banca centrale europea) La banca centrale e la base monetaria Tra le funzioni della Banca Centrale figurano la prestazione di ultima istanza (caso in cui le banche non possano far fronte al ritiro improvviso dei depositi) la regolamentazione della condotta stessa delle banche nonché l’introduzione di controlli tendenti ad assicurarne il rispetto delle regole sempre al fine di garantire la stabilità del sistema finanziario. (molto importante questa funzione in quanto le banche ritenendosi “protette” dalla banca centrale potrebbero compiere operazioni eccessivamente rischiose) N.B. La funzione di regolamentazione dell’attività delle banche include, la fissazione di un obbligo, di mantenere a fronte dei depositi una riserva obbligatoria in aggiunta a quella di carattere libero. Base monetaria = Moneta legale e altre attività finanziarie trasformabili rapidamente e senza costi in moneta legale. Alternativamente, la B.M. può essere definita come l’insieme delle attività finanziarie che il sistema bancario può costituire come riserva presso la Banca Centrale a fronte dei propri depositi La base monetaria, com’è noto, è data dalla moneta legale o circolante, più le riserve delle banche presso la banca centrale L'offerta di moneta, intesa come quantità di moneta esistente in un determinato momento nel sistema economico, è pari alla moneta legale in circolazione (il circolante) più i depositi nelle banche, mentre la base monetaria, come si è detto, è pari al circolante più le riserve depositate dalle banche presso la banca centrale (ed altri eventuali depositi presso la stessa); il rapporto tra offerta di moneta e base monetaria prende il nome di moltiplicatore monetario Nell'ipotesi, puramente teorica, che il pubblico depositi tutta la moneta presso le banche e queste impieghino interamente le somme così raccolte per effettuare prestiti, tolto il necessario per costituire le riserve obbligatorie presso la banca centrale, il moltiplicatore monetario è pari all'inverso del coefficiente di riserva obbligatoria, ossia della quota della raccolta che le banche sono obbligate a depositare presso la banca centrale. Poiché però il pubblico non deposita tutto il circolante presso le banche che non impiegano tutta la raccolta, l'ammontare effettivo dei depositi è inferiore al valore massimo teorico, calcolato in base al moltiplicatore teorico e sarà tanto più inferiore ad esso quanto più basso è il costo-opportunità di detenere liquidità da parte del pubblico e delle banche, a sua volta correlato ai tassi d'interesse. Si possono distinguere dei canali di creazione di base monetaria, che definiscono una funzione di “offerta” da parte delle autorità monetarie, e dei canali di assorbimento della stessa da parte del sistema economico (“domanda” di base monetaria). Contabilmente, poiché la base monetaria costituisce una passività per la banca centrale, si può immaginare che essa rifletta le poste nella sezione “avere” (al netto del capitale) del suo stato patrimoniale. A fronte di queste passività, esisteranno delle attività nella sezione opposta, costituite principalmente dai crediti della banca centrale verso il settore privato e verso il resto del mondo. STATO PATRIMONIALE DELLA BANCA CENTRALE Attività Passività Oro e Riserve in valuta Circolante Titoli di Stato Riserve delle aziende di credito Finanziamenti alle aziende di credito Capitale proprio L’offerta di base monetaria avviene quindi a fronte dell’acquisizione d’attività sull’interno e sull’estero Fonti della domanda di base monetaria sono: La base monetaria viene impiegata (e, dunque, domandata) come riserva, libera o obbligatoria, dalle banche e come scorta di circolante dagli operatori privati Fonti dell’offerta di base monetaria sono: La moneta emessa dalla Banca centrale è messa a disposizione del pubblico per effetto di prestiti concessi dalla Banca centrale stessa ad alcuni operatori (generalmente il settore estero, il Tesoro e le banche commerciali). Il Tesoro - Attraverso il finanziamento del fabbisogno pubblico la B.C. acquista direttamente titoli di Stato ovvero la base monetaria viene creata acquistando sul mercato primario i titoli del debito pubblico in cambio di moneta (che viene appositamente creata). L’eccedenza delle spese pubbliche sulle entrate fiscali può essere finanziata, in generale, attraverso l’emissione di titoli di stato collocati sul mercato o attraverso l’emissione di nuova moneta (N.B. questa operazione non è più consentita in ambito UE questo canale è precluso essendo vietata dagli accordi di Maastricht la c.d. monetizzazione del debito pubblico. Tale divieto corrisponde alla logica di separare la responsabilità di bilancio e di gestione del debito pubblico, da quella di controllo dell’inflazione. L’estero - Attraverso il cambio di valute estere in moneta nazionale conseguente ad un surplus della Bilancia dei Pagamenti OVVERO Se un operatore si rivolge (direttamente o indirettamente, per mezzo di altre istituzioni finanziarie, quali le banche) alla banca centrale per cambiare valuta estera in valuta nazionale, la banca centrale aumenta le sue riserve ufficiali in misura pari alla valuta estera che riceve e, nel contempo, aumenta la base monetaria in misura pari alla valuta nazionale che dà in cambio; In cambi fissi l'effetto è automatico, nel senso che l'aggiustamento non può avvenire attraverso una variazione del tasso di cambio e quindi della competitività reale (cosa che è¨ invece possibile in cambi flessibili). La BC allora può "sterilizzare" la creazione di moneta avvenuta attraverso questo canale distruggendola attraverso altri (ad es. attraverso operazioni di mercato aperto). In conclusione, il canale estero non è controllabile in regime di cambi fissi (perché in regime di cambi fissi quando la BP è in avanzo (disavanzo) assolve alla funzione di mantenere fisso il cambio offrendo o diminuendo valuta estera in modo da eliminare l’eccesso di offerta o di domanda che è alla base delle variazioni del cambio) Il sistema bancario - Quando si pone come banca delle banche, la banca centrale crea base monetaria attraverso il canale banche, rifinanziando il sistema creditizio mediante operazioni di risconto di cambiali o di anticipazione sui titoli. La banca centrale può regolare l’accesso al credito di ultima istanza attraverso la modifica delle condizioni poste al credito stesso, con la manovra del tasso ufficiale di sconto e del tasso sulle anticipazioni. corrisponde perciò alla quantità di base monetaria fornita dalle autorità monetarie al sistema creditizio attraverso le operazioni di apertura di credito alle banche. Operazioni di mercato aperto - la base monetaria viene creata dalla BC per poter acquistare titoli sul mercato secondario e distrutta nel momento in cui si trova a vendere titoli in cambio di moneta ovvero per la BC le attività sono i titoli le passività la moneta L’acquisto di titoli comporta la cessione di un pari importo di moneta finanziare il tesoro (la soppressione di tale obbligo è il cosiddetto divorzio tra banca centrale e tesoro, avvenuto in Italia nel 1981); Il canale delle operazioni di mercato aperto è agevolmente controllabile in quanto frutto di autonome decisioni rappresenta uno strumento molto flessibile di politica economica, ampiamente utilizzato dalle banche centrali (ovviamente si procederà in modo da evitare crisi di fiducia tali da intaccare la solidità della struttura finanziaria). Il canale del rifinanziamento alle banche è solo in parte controllabile, attraverso i tassi richiesti quando si colloca come prestatore di ultima istanza e quando concede anticipazioni e risconti ( il tasso ufficiale di sconto), poiché gli effetti che si possono in tal modo ottenere dipendono anche dalle reazioni delle banche (anche se le autorità abbassano i tassi le banche possono non far ricorso alla BC se già dispongono di liquidità a causa di una contenuta domanda di credito mentre al contrario il suo operato ha sempre un potere espansivo in quanto può sempre decidere di aumentare i tassi in modo da ridurre la creazione di BM quindi difficilmente controllabile se si vuole imprimere un impulso espansivo. Tasso ufficiale di sconto Tasso che la banca centrale applica alle operazioni di rifinanziamento (risconto) delle banche. Di regola è il tasso più basso del mercato del credito e serve come punto d'orientamento per tutti gli altri tassi. La variazione del TUS comporta una variazione nella convenienza a ricorrere al rifinanziamento presso la Banca centrale e di conseguenza incide sulla quantità di denaro di cui le banche possono disporre per concedere a loro volta credito alla clientela. Anche se la sua importanza, ai fini del controllo del credito, si è ridotta, la manovra del TUS resta pur sempre rilevante, in quanto segnala le tendenze di politica monetaria delle autorità preposte alla sua variazione. Un suo aumento, infatti, comporta un aumento del costo del denaro e frena il credito; una sua diminuzione riduce, invece, il costo del denaro e favorisce l'espansione del credito. La controllabilità di almeno un canale di formazione dovrebbe assicurare la controllabilità complessiva questo non è assicurato se i canali non controllati sono soggetti a troppi disturbi. N.B. La domanda di moneta è data dalla somma della domanda di moneta per scopi transattivi precauzionali (dipendenti dal reddito) e speculativi (dipendenti dal saggio di interesse) le prime due non variano nel breve periodo perché influenzate dal reddito che è di norma costante quindi ogni aumento dell’offerta di moneta dovrà essere assorbito dal movente speculativo cosa possibile solo se l’interesse è basso (perché i speculatori si attendono un aumento del saggio di interesse e quindi preferiscono detenere moneta.) -> Influenza delle aspettative. La moneta tenuta a tale scopo costituisce una riserva di valore come quella tenuta per motivo precauzionale. Ma è una riserva destinata a servire ad uno scopo diverso: si tratta infatti di moneta liquida che il detentore intende usare per realizzare guadagni di carattere speculativo. Il meccanismo della speculazione consiste in generale nell'acquistare qualcosa ad un dato prezzo per rivenderla ad un prezzo maggiore. La speculazione sarà effettuata sui titoli che verranno acquistati quando il loro prezzo è basso e rivenduti quando il prezzo è più alto. Il prezzo o quotazione dei titoli è tuttavia collegato al loro rendimento e cioè al tasso di interesse che assicurano. Prezzo dei titoli basso (interesse alto) -> si comprano titoli non si conserva moneta (si spera aumentino) Prezzo dei titoli alto (interesse basso) -> si vendono titoli si conserva moneta (ho speculato l’avevo comprato ad un prezzo basso) Per i monetaristi = Una politica monetaria crea solo un aumento dei prezzi poiché il sistema economico è sempre in equilibrio Per Keynes = Più moneta, più offerta di titoli, il tasso si abbassa, si stimolano gli investimenti, e grazie al moltiplicatore si avrà un reddito più alto. Se si cade nella trappola della liquidità (livelli n cui il tasso di interesse è talmente basso che la domanda a scopi speculativi diventa illimitata) si ricorrerà alla politica fiscale (aumento della spesa pubblica). Il controllo della base monetaria non garantisce il controllo dell’offerta di moneta; quest’ultimo si avrebbe soltanto se il moltiplicatore dei depositi fosse costante, ossia se j (rapporto tra la base monetaria posseduta dalle banche per costituire le riserve obbligatorie e libere e i depositi raccolti) e h (rapporto del pubblico tra il circolante che detiene e i depositi in suo possesso) fossero dati, ma sono variabili per 2 ragioni: Sia j che h sono sensibili ai tassi di interesse sui crediti e sui depositi, che rappresentano il costo - opportunità, per la banca e per il pubblico, della detenzione di base monetaria. Sono influenzati anche dalle aspettative sui tassi di interesse futuri e risulteranno più elevati in presenza di attese di maggiori tassi di interesse futuri che inducono il pubblico e le banche ad aumentare la liquidità. Il tasso praticato dalle banche centrali per il risconto delle cambiali o per le anticipazioni è molto importante in funzione del ricorso o meno al credito di ultima istanza in quanto più è alto il tasso per le banche più lo sarà per i clienti delle banche! La manovra del tasso di sconto può non servire perché non sempre le banche ricorrono alla BC molto più importante è la funzione di “annuncio” in quanto orienta gli operatori del settore. j è determinato anche dalla domanda di credito, visto che il meccanismo di moltiplicazione dei depositi richiede che all’offerta di credito della banca corrisponda una pari domanda da parte del pubblico. se la domanda di credito fa difetto, il meccanismo di creazione dei depositi funziona solo in parte e la banca si ritrova con un j effettivo superiore a quello desiderato. Il controllo tramite il coefficiente di riserva obbligatoria Il coefficiente della riserva obbligatoria è una grandezza controllabile in quanto oggetto di apposita regolamentazione. L’efficacia appare maggiore in fase restrittiva che in fase espansiva: nel primo caso il moltiplicatore effettivo dei depositi si avvicina molto probabilmente a quello potenziale mentre nel secondo caso tende a essere più basso in presenza di insufficiente domanda di crediti. Aumentando il coefficiente di riserva obbligatoria e con un volume di depositi dato, la base monetaria delle banche aumenta sotto forma di riserva obbligatoria. In poche parole più aumenta la riserva obbligatoria più basso è il moltiplicatore dei depositi! Se non si dispone di riserve libere, le banche non possono ridurre il volume dei crediti e lo stesso volume dei depositi. Da ciò deriva una contrazione della massa di base monetaria da depositare a riserva obbligatoria che compenserà l’effetto dell’aumento del coefficiente (manovra restrittiva efficace). Le banche possono però decidere di rinunciare a profitti di breve periodo pur di non abbassare il volume dei crediti verso la loro clientela “migliore” a questo punto a regolazione dei depositi può essere conseguita solo con strumenti di controllo diretto, quali il massimale degli impieghi, con questo provvedimento le banche sono obbligate a mantenere la crescita della consistenza dei crediti entro certi valori La politica monetaria condivide con gli altri strumenti di politica gli stessi possibili obiettivi: stabilità monetaria interna ed esterna, occupazione e sviluppo. Almeno nel breve periodo si possono creare problemi di sostituibilità fra obiettivi: ovvero la stabilità monetaria interna (contenimento della crescita dei prezzi) e stabilità monetaria esterna (pareggio della BP e stabilità del cambio) il perseguimento di uno di essi preclude la possibilità di raggiungerne un altro o rende più difficile il suo ottenimento. La sostituibilità implica la necessità di scegliere e ogni scelta comporta qualche sacrificio. Una scelta razionale richiede che siano precisati la funzione di preferenza dei policy makers e il valore dei pesi assegnati a ogni obiettivo o il loro ordine di priorità. Sono pochi i casi in cui l’organo che sovraintende alla politica fiscale ha anche la responsabilità della politica monetaria dando direttive alla Banca centrale, più di frequente alle Banche centrali viene affidata una completa e autonoma responsabilità di decidere le linee di politica monetaria, scegliendo l’obiettivo da perseguire (indipendenza politica) o gli strumenti necessari per conseguirlo (indipendenza economica). In Italia la Banca d’Italia gode di un’assoluta autonomia dagli organi di Stato e dal Tesoro per assicurarne la democraticità il governatore è nominato e revocato dal Presidente del Consiglio previa delibera del consiglio dei Ministri e sentito il parere del Consiglio superiore della Banca D’Italia dura in carica sei anni e il mandato può essere rinnovato una sola volta. Con il governo della moneta si può raggiungere lo sviluppo di lungo periodo: assicurando la stabilità monetaria e incentivando il risparmio finanziario. usando l’instabilità monetaria in modo tale da stimolare l’investimento e la crescita In regime di cambi fissi la Banca centrale ha l’obbligo di acquistare l’eccesso di offerta di valute che si verifica quando la bilancia dei pagamenti è in avanzo. Così facendo essa accumula riserve ed immette in circolazione base monetaria. Le riserve accumulate consentono alla Banca centrale di finanziare la Bilancia dei pagamenti quando essa presenti un passivo. In tal caso la domanda di valute sarà maggiore dell’offerta di valute e la Banca centrale colmerà l’eccesso di domanda sull’offerta. In regime di cambi flessibili la Banca centrale non ha obblighi di intervento sul mercato dei cambi: può farlo, ma in questo caso il controllo del cambio diventa un obiettivo/strumento della politica economica. L’efficacia della politica monetaria ha una dimensione quantitativa e una temporale. Riguardo a quella temporale condivide con gli strumenti discrezionali il ritardo di osservazione ma ha un diverso ritardo amministrativo e negli effetti. Il ritardo amministrativo è molto più breve di quello di altre misure che richiedono mediazione politica (es. politica fiscale); Il ritardo negli effetti della politica monetaria può essere lungo e variabile (complessità dei processi di sostituzione e di riaggiustamento dei portafogli delle banche e degli altri operatori.) In ogni caso la politica monetaria si presta male a un dosaggio raffinato (fine tuning) e richiede interventi consistenti per essere efficace particolarmente ove i mercati finanziari manchino di spessore e ampiezza. Politica monetaria espansiva È attuata quando si vuole rilanciare l’economia. I passaggi sono i seguenti: 1) acquisto di titoli in borsa; 2) aumento della BM; 3) aumento dello stock di Moneta nel sistema, per effetto del moltiplicatore monetario; 4) diminuzione del tasso d’interesse; 5) conseguente aumento degli investimenti delle imprese in beni capitali; 6) aumento del reddito, dell’occupazione, ma forse anche dei prezzi (inflazione). Politica monetaria restrittiva È attuata in genere quando si vuole raffreddare l’economia per paura di spinte inflazionistiche. Le fasi sono le seguenti: 1) vendita di titoli nel mercato aperto; 2) diminuzione della BM; aumentate di quelle derivanti da accensione di prestiti) e del saldo netto da finanziare (fabbisogno netto, ossia totale delle spese al netto del rimborso dei prestiti diminuito delle entrate al netto dell’accensione dei crediti). Le quote di spese pluriennali destinate a gravare su ogni anno. Le variazioni alle imposte e alle tariffe esistenti. La legge finanziaria non può disporre l’istituzione di nuovi tributi compito che viene affidato al cosiddetto “collegato” alla manovra di finanza pubblica che è l’insieme dei provvedimenti presentati dal governo allo scopo di assicurare gli obiettivi del DPEF e i limiti dei saldi. Gli effetti sul reddito e sull’occupazione con la manovra delle imposte; la tassazione influisce solo indirettamente il reddito potendo influire sul consumo e/o sull’investimento: C =f (Y, T) I =g (i, T). Si distinguono i casi di imposta: 1. In Somma fissa. Influisce solo sul consumo e si avrà: Il moltiplicatore della tassazione è minore di quello della spesa pubblica (G); cioè l’incremento di 1 euro di tassazione provoca un decremento di reddito minore dell’incremento di reddito prodotto dall’aumento di 1 euro di spesa pubblica. Il minor effetto è dovuto al fatto che la tassazione di 1 euro non entra direttamente nel circuito del reddito. Essa si traduce in minore domanda solo nella misura in cui influenza il consumo che è componente diretta della domanda globale 2. Proporzionale Se si suppone inoltre che T=t Y, (con t costante) cioè se si ipotizza imposizione proporzionale si ha: L’effetto sul reddito di un aumento dell'aliquota di imposta è sempre negativo in quanto esso comporta un aumento del denominatore del moltiplicatore. 3. Progressiva Se l’imposta è progressiva l’aliquota MEDIA non è più costante ma è funzione crescente del reddito del contribuente. Se vi sono mutamenti della spesa autonoma (è la componente della domanda di beni che non dipende dal livello del reddito) che tendono a variare solo il numero dei percettori di reddito, rimanendo invariato il reddito pro capite, l’aliquota media non varierà. Al contrario, variazioni della spesa autonoma che si riflettono anche in variazioni del reddito pro capite tendono a far variare l’aliquota media t; quindi il moltiplicatore aumenterà o si ridurrà al ridursi o all’aumentare della spesa autonoma. Ne discende che l’imposizione progressiva costituisce un caso di stabilizzatore automatico: gli effetti sul reddito reale di oscillazioni nei valori delle componenti autonome della domanda aggregata vengono “smorzati” da variazioni in senso contrario del moltiplicatore dovute a variazioni dell’aliquota media, in presenza di imposizione progressiva. LE ALIQUOTE PROGRESSIVE FUNGONO DA STABILIZZATORE AUTOMATICO. QUANDO L’ECONOMIA SI ESPANDE, CRESCE L’ALIQUOTA MEDIA, CADE IL MOLTIPLICATORE, L’ECONOMIA SI STABILIZZA (E VICEVERSA) L’effetto stabilizzatore è amplificato con la considerazione dei movimenti di prezzo; l’aumento dell’imposizione in termini reali che deriva dalla compresenza di aumento dei prezzi e progressività delle aliquote viene detto drenaggio fiscale Drenaggio fiscale Aumento della pressione tributaria sui redditi monetari per effetto dell'inflazione pur in assenza di incremento di aliquote. Esempio di drenaggio fiscale Supponiamo che a seguito di un'inflazione del 5%, il reddito di un lavoratore dipendente aumenti anch'esso del 5%, passando da 2 milioni al mese a 2 milioni e 100.000 lire; sul piano pratico, l'aumento del reddito compensa quello dei prezzi e quindi il reddito effettivo è rimasto costante; ma se il passaggio da 2 milioni a 2 milioni e 100.000 fa scalare l'aliquota, a motivo del passaggio di scaglione, questo individuo dovrà pagare più tributi pur non avendo in effetti accresciuto la propria capacità contributiva. Dal fatto che le imposte dirette siano spesso progressive (lo è l’Irpef) potrebbe desumersi che al loro aumento corrisponda un’incisiva azione perequativa (alias rendere uguale, pareggiare, distribuire equamente) della distribuzione personale del reddito. In realtà questo non è avvenuto per il manifestarsi di: Erosione = Corrisponde all’esenzione totale o parziale di taluni redditi dall’imposta essa mira a finalità di politica industriale, regionale o sociale (sviluppo di determinati rami produttivi, sostegno di redditi nei confronti di ceti sociali poco abbienti ecc.) Elusione = Possibilità di organizzare e gestire i propri affari nell’ambito delle norme tributarie esistenti (senza contravvenire ad esse come nel caso dell’evasione) in modo da rendere minimo o evitare del tutto il carico fiscale (es. attraverso le bare fiscali consistenti nell’acquisizione di comodo di imprese in perdita o attraverso la manovra dei prezzi di trasferimento (se la casa madre di un gruppo vende un semilavorato ad una sua consociata estera localizzata in un paese dove l’imposta è più bassa tenderà ad applicare un prezzo basso al trasferimento in questione in modo da ridurre i suoi profitti (tassati con un aliquota più alta) e aumentare quelli della consociata (tassati con un aliquota più bassa) minimizzando così il carico fiscale.) La spesa può essere finanziata attraverso tributi (pareggio del bilancio) o in deficit (emissione di titoli del debito pubblico a parità di BM, o creazione di base monetaria). Pareggio del Bilancio Se la spesa è totalmente finanziata da tributi, allora il bilancio è in pareggio Se il finanziamento avviene attraverso le imposte, l’aumento della spesa pubblica ha comunque effetti espansivi, in quanto agisce direttamente sul reddito nazionale; l’aumento di 1 euro della spesa pubblica comporta un pari aumento del reddito, l’aumento di 1 euro di imposte comporta una riduzione di c. Poiché c è minore di 1 vi è un aumento netto del reddito. Quindi il moltiplicatore della spesa è maggiore di quello dei tributi: Se si ipotizza una variazione della spesa pubblica e dell’imposizione ne deriva ∆Y ∆G =1 Dunque un aumento di spesa pubblica pari a 1 euro finanziato da un pari incremento delle imposte accresce il reddito di 1 euro (teorema del bilancio in pareggio o di Haavelmo); indica la possibilità di conseguire un qualsivoglia obiettivo di reddito con un livello di spesa pubblica pari a quello del reddito e con la pubblicizzazione dell’intera economia (l’aumento di domanda viene tutto dal settore pubblico) (n.b vi sono giudizi di valore contrari) Finanziamento in deficit Se le entrate tributarie non coprono interamente la spesa, allora il bilancio è in deficit e sorge il problema del finanziamento del deficit I meccanismi di finanziamento del deficit sono essenzialmente due (e possono essere usati disgiuntamente o congiuntamente: 1. Finanziamento del deficit attraverso l’emissione di nuova base monetaria attraverso il canale del tesoro (politica monetaria accomodante); 2. Finanziamento del deficit attraverso l’emissione di titoli negoziabili da collocare nel mercato finanziario primario (indebitamento) Le modalità di finanziamento in deficit hanno effetti diversi: Finanziamento con Base Monetaria Il finanziamento con BM ha indubbi vantaggi Un costo praticamente nullo (i semplici costi di stampa); è a “costo zero” se il Tesoro ha potere di emissione monetaria (l’unica spesa è quella per la stampa dei biglietti); cd signoraggio lo stato gode di una sorta di entrata occulta pari alla differenza tra onere del finanziamento con base monetaria e tasso di interesse che dovrebbe sborsare se ricorresse al mercato finanziario. Tale differenziale è noto come signoraggio.) ed è a costi particolarmente bassi se vige l’obbligo per la BC di consentire scoperti illimitati sul c/c di Tesoreria, com’era in Italia fino al 1981 Nel lungo periodo però il finanziamento con base monetaria ha deleteri effetti inflazionistici Una politica monetaria che assicuri l’invarianza del tasso di interesse è detta accomodante. Se l’aumento della base monetaria genera inflazione, allora lo stato genera anche una sorta di tassa da inflazione che si realizza nel caso in cui l’inflazione non essendo prevista non si trasformi in aumento del tasso di interesse. Se la politica monetaria “accompagna” la politica fiscale essa è detta accomodante. In presenza di una politica monetaria accomodante la politica fiscale esplica appieno i suoi effetti. I policy makers dovranno scegliere fra più elevati livelli di reddito e di occupazione associati a inflazione o a livelli di reddito e di occupazioni minori ai quali corrisponderebbe maggior stabilità monetaria. Comunque possono far abbassare la curva di trasformazione (u e π) con politiche di qualificazione professionale; politiche di mobilità e politiche di sviluppo della produttività e della produzione in alcuni settori. Finanziamento con Indebitamento Ovvero con l’emissione di titoli pubblici Secondo Keynes la spesa pubblica finanziata mediante l'emissione di carta moneta aveva solo l'effetto di generare effetti inflazionistici. L'economista era invece convinto che la spesa pubblica finanziata attraverso prestiti pubblici (deficit spending) avrebbe generato reddito senza distruggere risorse, semplicemente convertendo i risparmi in investimenti. In alternativa, la spesa pubblica avrebbe potuto essere finanziata facendo ricorso al sistema della tassazione: un'imposta progressiva sui redditi avrebbe potuto, per esempio, ridistribuire risorse a favore delle classi più disagiate, caratterizzate da una più alta propensione al consumo. In termini dello schema IS-LM Nel modello IS-LM, l'aumento della spesa pubblica non è efficace quanto si potrebbe pensare in base al solo moltiplicatore, a causa della presenza del tasso d'interesse e della moneta. Infatti, man mano che il reddito cresce, per adeguarsi alla domanda aggregata e portare in equilibrio il mercato della moneta aumenta il tasso d'interesse. Ma se cresce il tasso d'interesse, la domanda aggregata diminuisce, perché calano gli investimenti; quindi, l'aumento di domanda aggregata creato dall'aumento Per ciò che concerne il saldo primario, va ricordato che esso è definito come la differenza tra spesa pubblica (senza considerare gli interessi) ed entrate fiscali e, pertanto, se la spesa pubblica eccede le entrate fiscali, allora si avrà un disavanzo primario, mentre nel caso opposto si avrà un avanzo primario. Se il disavanzo primario aumenta, allora possono esistere problemi di crescita e insostenibilità del debito contratto dallo Stato. In tal caso, solo se il sistema economico cresce a un ritmo superiore al tasso di interesse reale, allora il paese può essere in grado di creare risorse sufficienti a ripagare gli interessi sul debito, senza che si verifichi alcuna esplosione. La contemporanea presenza di un disavanzo primario e di un tasso d'interesse reale maggiore del tasso di crescita del PIL comporta che l'economia del paese non è in grado di creare le risorse necessarie per ripagare neanche i soli interessi sul debito che lo Stato ha contratto: il debito è destinato ad esplodere e, pertanto, non è sostenibile. Si tratta della situazione creatasi in Italia alla fine degli anni Ottanta. Tra gli anni 80 e 90 il tasso di interesse reale è stato superiore al tasso di crescita del reddito per varie ragioni: I CCT fruttavano un saggio di interesse reale in media al 7% mentre il PIL era al 2,5%, questo per: la stretta monetaria iniziata alla fine degli anni 70 in USA ha fatto aumentare i tassi di interesse mondiali. Divorzio Banca centrale e Tesoro che portò l’adozione di politiche monetarie restrittive portando un aumento del tasso di interesse reale a livelli superiori. P.S. La diminuzione del finanziamento monetario del Tesoro ha comportato una crescita ulteriore del debito. La riduzione del rapporto fra debito e PIL (rientro) si ottiene con l’uso di strumenti capaci di influenzarne i fattori dai quali dipende la dinamica del rapporto. 1. Politiche di sviluppo del reddito. Lo stimolo del reddito va affidato a un riorientamento della spesa pubblica e dei tributi che accentui l’efficienza della spesa pubblica e abbia effetti di stimolo per l’attività economica privata. Inoltre si può usare una politica monetaria espansiva, una politica di deprezzamento del cambio, una politica di moderazione salariale. 2. Politiche riguardanti il saldo primario. L’accrescimento del saldo primario (T- Cg - Trc - Ig – Trk è B senza INT) è un obiettivo della manovra che porta alla riduzione del rapporto B/PIL, si agisce dal lato della spesa primaria Cg +Ig+ Trc + Trk e delle entrate. La riduzione della spesa è una azione possibile ma si rischia di non avere miglioramenti sostanziali nella qualità dei servizi pubblici che si traduce in una perdita del benessere dei cittadini. Una riorganizzazione del sistema tributario e un migliore funzionamento dell’apparato amministrativo, che hanno portato più di recente ad una riduzione dell’elusione e dell’evasione. La privatizzazione di imprese pubbliche contribuisce a ridurre il fabbisogno finanziario netto. 3. Politiche del saggio di interesse. L’abbassamento del tasso di interesse reale sul debito pubblico può contribuire a ridurre il rapporto fra debito e PIL. Si agisce con una politica di gestione del debito pubblico che si proponga di ridurre il costo reale del debito agendo sulle condizioni alle quali viene emesso il debito stesso o sul funzionamento del mercato secondario dei titoli di Stato. Sono state adottate soluzioni tendenti a facilitare l’assorbimento di forme di obbligazioni, con le introduzioni di strumenti di controllo diretto: obbligo di destinare una quota dell’incremento dei depositi all’acquisto di obbligazioni (vincolo di portafoglio) o prestito forzoso che garantisce l’assorbimento di quantità del debito pubblico. Altre soluzioni per abbassare il tasso di interesse reale sono connesse con i mercati finanziari mondiali per risolvere questa questione due sono le possibilità: A. Ridurre la mobilità dei capitali, ad esempio, con l’introduzione di vincoli ai movimenti di capitale o di un’imposta sugli impieghi di capitale come suggerito da Tobin (Tassa di Tobin) B. Rafforzare la stabilità del cambio rispetto agli altri maggiori paesi europei e di indurre negli operatori aspettative conformi Capitolo 14 La politica dei redditi e dei prezzi L’obiettivo della politica dei redditi è di evitare l’aumento del livello generale dei prezzi, attraverso qualche genere di controllo delle variabili distributive, essenzialmente del salario e/o del margine di profitto. Consideriamo, ad esempio, il salario: esso costituisce un reddito per i lavoratori e un costo per le imprese. La politica dei redditi può proporsi in concreto di contenere l’aumento del salario, in modo da tenere basso il costo del lavoro – più in generale i costi - e ridurre, così, la possibilità di un aumento dei prezzi. Distribuzione del reddito, costo pieno e politica dei redditi Consideriamo per semplicità un sistema economico chiuso nel quale venga prodotto un solo bene, non esista capitale fisso e vi siano soltanto due categorie di percettori di reddito, i lavoratori e i capitalisti. Il valore complessivo del prodotto sarà: pY=W+R dove p = prezzo e Y = quantità, W = massa salariale e R = la massa dei profitti (W ed R sono espresse in termini monetari). W= wN Y W =salario unitario nominale e N = numero di occupati Dividiamo entrambi i membri dell’equazione precedente per Y p= wN Y + R Y La massa dei profitti può essere espressa come prodotto del saggio di profitto (profitto in rapporto al capitale investito); ovvero come il prodotto di un margine percentuale di profitto (mark-up) sul costo di produzione moltiplicato per il costo stesso. Poiché il costo è rappresentato dai soli salari, g = margine di profitto R≡wNg p= wN Y + wNg Y = wN Y (1+g ) Equazione di mark-up che esprime il principio del costo pieno Considerando che la produttività media del lavoro è π= Y N p= w π (1+g) Derivando questa relazione dall’identità fra reddito prodotto e reddito distribuito ricordiamo il legame tra fissazione dei prezzi e distribuzione funzionale del reddito. Le variazioni del prezzo possono essere espresse: p'≅w '−π '+(1+g ) Condizione sufficiente affinché non ci sia inflazione (ovvero p’ = 0) è che w '=π ' e che (1+g) = 0. Non vi è aumento del prezzo se il saggio di salario nominale varia nella stessa misura della produttività e il margine di profitto non muta. Ove fossero verificate entrambe le condizioni sufficienti prima menzionate per l’invarianza del prezzo, si avrebbe costanza delle quote distributive. La quota di reddito da lavoro è pari a W/pY = wN/Y = w/pπ; essa non varia se, w’ = π’ e p’ = 0, questa condizione è soddisfatta e il rapporto costante. L’invarianza del prezzo richiede determinati comportamenti da entrambe le classi di percettori di reddito; se i salari crescono nella stessa misura della produttività e il margine di profitto rimane invariato si ha invarianza delle quote distributive. Va da sé che la costanza dei prezzi non è incoerente con la variazione delle quote distributive. Si è detto, infatti che, w '=π 'e (1+g )=0sono soltanto condizioni sufficienti: vi può essere lo stesso invarianza dei prezzi se, i salari crescono in misura diversa da quella della produttività (consentendo, quindi, variazioni delle quote distributive), e immagine di profitto vari nella stessa misura della differenza fra crescita dei salari e crescita della produttività e in senso opposto. Punto di vista secondo cui l'inflazione è una gara competitiva per accrescere la quota del reddito sociale. L'inflazione viene meno se questa gara cessa e le varie classi di percettori di reddito mantengono (o sonno indotte o costrette a mantenere) invariate le loro quote di reddito ovvero se esse si accordano sul modo in cui le quote devono variare facendo corrispondere all'aumento dell'una pari riduzione nell'altra. Si è ipotizzata un'economia con solo un bene (ovvero una sola industria) e senza capitale fisso. In concreto l'andamento della produttività è differenziato nelle varie industrie; ciò fa sorgere il problema di quale debba essere la variazione della produttività utilizzata come termine di riferimento per la variazione del salario nominale. Inoltre, la molteplicità di beni induce a considerare nella formula del mark-up anche altri costi (come quelli delle materie prime) fra quelli variabili. La presenza nella realtà di capitale fisso induce a interpretare il margine di profitto, g, come un margine lordo, ossia tale da assicurare anche la copertura dei costi di ammortamento del capitale fisso stesso. Variazioni del margine lordo di profitto non saranno indicative di pari variazioni del margine netto; ovvero, l'invarianza del primo non implica invarianza del margine netto, né, pertanto, invarianza della quota dei profitti sul reddito. Nella realtà esiste almeno un'altra categoria di percettori di reddito, oltre ai lavoratori e ai capitalisti: si tratta dei percettori di rendite; queste assumono una forma e rilievo diversi nel tempo, tali da poter comportare variazioni di prezzo anche quando le quote dei salari e dei profitti si mantengano invariate. Parte del reddito prodotto (PIL ai prezzi di mercato) viene prelevata, poi, dallo Stato, sotto forma di imposte indirette (al netto dei sussidi). Anche la variazione del prelievo indiretto netto dà luogo, quindi, a variazioni del prezzo dei beni. Meccanismi automatici di riequilibrio In regime di gold standard erano la convertibilità delle monete ed i movimenti internazionali di oro ad assicurare il riequilibrio delle BP. In regime di cambi flessibili il riequilibrio dei conti con l'estero dovrebbe essere assicurato, nel lungo periodo, dalle libere fluttuazioni dei tassi che incide sulla competitività. Anche in regime di cambi fissi operano comunque meccanismi automatici di riequilibrio: il movimento dei prezzi, secondo i classici ed il movimento dei redditi secondo i keynesiani assicurano automaticamente l'equilibrio del conto corrente ovvero: 1. Variazione dei prezzi : l'afflusso dovuto ad un avanzo commerciale, provocando un aumento della quantità di moneta nel paese, determina anche una tendenza all'aumento dei prezzi dei prodotti del paese stesso, secondo la teoria quantitativa della moneta (IL POTERE DI ACQUISTO DIPENDE DALLA QUANTITA' DI MONETA IN CIRCOLAZIONE, NEL SENSO CHE È IN RELAZIONE INVERSA ALLA SUA QUANTITA'. In base a questa affermazione capiamo che un aumento della quantità di moneta in circolazione determina un aumento dei prezzi) ciò causa una riduzione della loro capacità concorrenziale e, quindi, una diminuzione delle esportazioni e un aumento delle importazioni, che ripristinavano l'equilibrio 2. Variazione dei redditi : La soluzione a cui giunsero gli economisti di ispirazione keynesiana fu quella di tener conto dei movimenti nel livello del reddito nazionale causati dal commercio con l'estero. Un avanzo delle esportazioni di un paese che abbia una situazione diversa dal pieno impiego provoca, infatti, un aumento della domanda esterna che determinerà un accrescimento dell'occupazione e dei redditi corrisposti ai fattori produttivi nelle industrie esportatrici. L'aumento del reddito in questo settore creerà una maggiore domanda globale del paese che sarà rivolta anche verso i prodotti esteri e, di conseguenza, si accresceranno le importazioni. Così, l'espandersi del reddito nazionale, provocato originariamente da un esubero delle esportazioni, comporterà un incremento di importazioni ed assumerà una funzione spontaneamente riequilibrartice della bilancia dei pagamenti. Viceversa, in un paese nel quale sia sorta un'eccedenza delle importazioni sulle esportazioni ha luogo una diminuzione del reddito nazionale con una conseguente minore domanda globale del paese considerato. La diminuzione della domanda provocherà una riduzione delle importazioni e, quindi, anche in questo caso il movimento del reddito assumerà una funzione riequilibratrice. Le politiche per il riequilibrio e le cause di squilibrio La debolezza dei meccanismi automatici rende necessarie politiche di riequilibrio Il riequilibrio può avvenire anche agendo su fattori diversi da quelli che hanno causato lo squilibrio (esempio: sui movimenti di capitale quando la causa e’ il commercio di beni e servizi). In generale conviene intervenire sulle cause dello squilibrio. Riequilibrio dei movimenti di capitale i iw e -> PARITA’ SCOPERTA Per riequilibrare i movimenti di capitale il tasso di interesse interno deve essere uguale a quello internazionale meno le aspettative di variazione del cambio (certo per incerto) strumento: politica monetaria (variazioni bm) Dato il tasso di interesse estero essendo in deficit si porta in pareggio, riducendo la base monetaria e l’offerta di moneta per ottenere un innalzamento del tasso di interesse interno fino a quello estero e viceversa. Riequilibrio attraverso la domanda Il saldo delle partite correnti è funzione diretta della domanda estera (non controllabile dai policy makers) ed è funzione inversa della domanda interna, controllabile con la politica fiscale e con la politica monetaria. Ma il controllo della domanda interna è un obiettivo primario di PE e ciò genera conflittualità tra obiettivi alternativi (aumento domanda interna o riequilibrio BP?). Da qui la necessità di arricchire l’insieme degli strumenti di PE Politiche per la competitività Gli squilibri nei movimenti dei beni possono derivare anche da eccessi o difetti di competitività. L’arbitraggio implicherebbe p. e = pw. Lo squilibrio dei movimenti di beni dovuto a difetto di competitività può essere sanato ristabilendo l’uguaglianza se si agisce su ognuna delle 3 grandezze che vi compaiono o sui fattori collegati. Si può operare su p su fattori come salari, produttività e margini di profitto; su pw attraverso politiche protezionistiche; su e svalutando o rivalutando in caso di difetto o eccesso di competitività. Controllabilità del cambio e l’efficacia della manovra Il controllo del cambio si esercita essenzialmente sulla variabile alla quale il cambio è legato, ossia sulla parità o tasso centrale: si varierà il cambio mutando la parità (la fascia nella quale il cambio oscilla). Riguardo al cambio flessibile la controllabilità implica che il cambio rifletta anche gli interventi pubblici e non solo le forze di mercato. Come agisce la svalutazione? 1) Aumenta il prezzo della valuta estera per chi vuole acquistare merci estere. Tende così a frenare le importazioni. 2) Rende più convenienti le merci nazionali per gli acquirenti esteri. In questo modo favorisce le esportazioni. Tuttavia, dopo la svalutazione i flussi commerciali non si modificano di colpo. Nel periodo immediatamente successivo alla svalutazione, la quantità di merci esportate dal Paese che ha svalutato sale lentamente, e la quantità di merci importate scende lentamente. Efficacia della svalutazione: Effetto J: come primo impatto di una svalutazione si ha un peggioramento del saldo della bilancia commerciale misurato in valuta estera. Un calo modesto delle importazioni e un aumento modesto delle esportazioni non sono sufficienti a compensare i minori incassi di valuta estera ottenuti dalle esportazioni. Occorre un po’ di tempo perché l’effetto iniziale venga superato e la bilancia commerciale migliori. È facile comprendere intuitivamente il significato delle condizioni Marshall-Lerner. La svalutazione migliora i conti con l’estero se, e solo se, la variazione delle quantità di beni importati ed esportati compensa la riduzione degli incassi di valuta estera che si verifica se le quantità esportate ed importate restano invariate. Affinché le manovre sul cambio siano efficaci è necessario (ma non basta!) che esse abbiano effetti sulle grandezze iscritte nella BP, con particolare riferimento alle PC. Esprimiamo in termini monetari ed in valuta estera il saldo delle PC: PCm pxeqx pm*qm Pcm = Saldo dei movimenti di beni espresso in moneta estera Px = prezzo dei beni esportati in moneta del paese di provenienza (moneta nazionale) e qx quantità Pm= prezzo dei beni importati in moneta del paese di provenienza (moneta estera) e qm quantità Considerando una situazione iniziale di pareggio (PCm=0) si arriva a px e/pm X qx/qm =1. Una riduzione di e farà aumentare qx e contrarre qm (effetto reale) ma ridurrà il prezzo delle merci del paese considerato relativamente a quello delle merci del Resto del mondo, ossia peggiorerà la ragione dello scambio, RS=px e/pm, in quanto è diminuito e mentre per ipotesi px e pm sono rimasti costanti. Se le quantità non reagissero al deprezzamento (elasticità della domanda estera rispetto al prezzo delle merci del paese considerato fosse pari a 0) l’onere del miglioramento dei movimenti di beni ricadrebbe sul denominatore e qm dovrebbe ridursi in misura superiore alla riduzione di e, ossia l’elasticità delle importazioni dovrebbe essere superiore all’unità (εm>1) affinché migliori il saldo dei movimenti di beni. Se le quantità importate fossero rigide rispetto a variazioni del cambio ( m=0), l’onere da bilanciare la riduzione di e ricadrebbe tutto su qx che dovrebbe crescere in misura superiore (εx>1 ). Se si ammette l’elasticità positiva sia delle esportazioni che delle importazioni la condizione per il miglioramento del saldo dei movimenti di beni a seguito di svalutazione è εm+εx>1 (condizione di Marshall- Learner per effic. deprezz.). Si è supposto: 1. px e pm siano dati. 2. inesistenza di limiti all’offerta dei beni da esportare. 3. adeguamento istantaneo delle quantità. 4. assenza di effetti sulle attese di variazione future del cambio. 1. l’ipotesi che px e pm siano dati esprime l’idea che i prezzi dei beni commerciati siano costanti nelle monete nazionali e che al variare del cambio varino corrispondentemente i prezzi sui mercati esteri. Una riduzione del cambio abbasserebbe i prezzi in dollari delle merci europee nella stessa misura del cambio e aumenterebbe il prezzo in euro delle merci estere. La svalutazione dell’euro sarà trasferita sui prezzi in moneta estera delle merci esportate e sui prezzi in euro delle merci importate. È possibile che il trasferimento (pass-through) non sia completo. Se un bene costasse 80€ (100$) e l’euro si svalutasse, l’impresa deve decidere in che misura la svalutazione dovrà trasferirsi sul prezzo in $. Se mantenesse 100$ non si trasferisce niente su tale prezzo e accrescerebbe solo il prezzo in euro. L’impresa è guidata dagli obiettivi aziendali. Tanto è maggiore il trasferimento tanto minore sarà il ricavo unitario in euro e tanto minore sarà il profitto unitario, ma un più elevato trasferimento farà aumentare la domanda estera tanto più quanto maggiore ne è l’elasticità (con economie di scala e trasferimento completo è possibile avere profitti). La misura del trasferimento è tanto più elevata quanto maggiori sono le economie di scala e quanto minori sono l’elasticità della domanda estera e il livello della domanda interna ed estera, in singoli settori e nell’intera economia. 2. affinché possa essere soddisfatta la maggiore domanda derivante dalla svalutazione, l’offerta deve essere elastica in tutti i settori rilevanti. Un’elevata elasticità dell’offerta, a livello globale e non in singoli mercati, presuppone il non pieno impiego delle risorse fisiche e di lavoro. Se l’offerta può non adeguarsi in modo sufficiente all’incremento della domanda rende inefficace la svalutazione. Una riduzione del tasso di cambio comporta un incremento di domanda che si traduce nella crescita di tutti i prezzi. In condizioni di inflazione di domanda la manovra del tasso di cambio sarà inefficace. Svalutare la moneta non rimedia il deficit dei Per difendere il tasso di cambio rispetto al dollaro, ogni Paese doveva intervenire sul mercato con l'acquisto o la vendita di valuta estera per impedire che il cambio varcasse i limiti prefissati. Vende dollari (attingendo alle proprie riserve valutarie) se il tasso di cambio del dollaro rispetto alla valuta nazionale è aumentato; Acquista dollari se il tasso di cambio del dollaro rispetto alla valuta nazionale è diminuito. Ma se il paese esauriva le proprie riserve valutarie, come si doveva comportare? Il Fondo Monetario Internazionale metteva a disposizione del Paese che si trovava in momentanea difficoltà le proprie riserve. Come? Ogni paese si impegnava a versare al Fondo Monetario Internazionale dei contributi proporzionali alla sua quota di commercio estero rispetto al commercio mondiale. Queste quote dovevano essere versate in parte in oro in parte in moneta nazionale. In questo modo si costituiva un fondo, al quale i paesi aderenti potevano attingere in prestito per far fronte a squilibri temporanei della propria bilancia dei pagamenti. Il prestito allo Stato doveva avvenire rispettando determinate condizioni. Il paese, inoltre, si impegnava a sottoscrivere una lettera d'intenti con cui si impegnava nei confronti del Fondo Monetario a riequilibrare i propri conti con l'estero, indicando le principali misure di politica economica da adottare per risolvere i propri problemi economici sia interni che internazionali. A questa lettera d'intenti facevano poi seguito le visite degli esperti del Fondo che davano consigli su come migliorare i rapporti valutari con l'estero. Ma il sistema opera alquanto contraddittoriamente. Infatti, per rifornirsi, il sistema ha bisogno del deficit di conto corrente del paese più importante (o comunque di uscita di capitali da questo paese). Alla lunga, sia i debiti privati – soprattutto a breve scadenza – che possono essere ritirati e convertiti in altre valute, sia i debiti ufficiali (le riserve in dollari degli altri paesi che sono debiti ufficiali degli USA) finiscono per indebolire la fiducia nella stabilità della valuta chiave. Ciò è noto come dilemma di Triffin: nella misura in cui il sistema internazionale opera con una valuta nazionale mina la stabilità di quella valuta, perché non possono che accumularsi averi di non residenti e riserve denominate in essa che sono debiti del paese che la emette. Alla fine degli anni Sessanta, quindi i paesi che partecipavano all'accordo cominciarono a presentare livelli di inflazione molto diversi: i prezzi statunitensi salivano determinando una perdita di competitività, mentre paesi come il Giappone e soprattutto la Germania, al contrario, registravano un attivo dai loro scambi con l'estero accumulando dollari. La speculazione a favore del marco e contro il dollaro contribuì ad aumentare il flusso di capitali in uscita dagli Stati Uniti il che, insieme alle spese sostenute dal governo americano per finanziare la guerra in Vietnam e agli investimenti in Europa da parte delle imprese americane, determinò deficit di bilancio pubblico e della bilancia dei pagamenti sempre più grandi. Ciò diffuse una profonda sfiducia nel dollaro cosicché molte banche centrali cercarono a più riprese di convertire i dollari in loro possesso in oro. Di fronte a questa situazione insostenibile per la moneta americana, nell'agosto 1971 l'allora Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, dichiarò l'inconvertibilità del dollaro in oro, decretando ufficialmente la fine del sistema a cambi fissi, di fatto già avvenuta negli anni immediatamente precedenti. l regime a cambi fluttuanti Come per qualsiasi prezzo, le variazioni del cambio dovrebbero essere in grado di assicurare il riequilibrio del mercato delle valute estere: se la domanda di valute estere eccede l’offerta, il cambio sale (prezzo del $ in euro), contenendo la domanda ed espandendo l’offerta (inconvenienti: fluttuazione sporca). Una ragione positiva dei cambi fluttuanti è che la fissità dei cambi favorisce l’attività degli speculatori. Infatti, quando la modifica della parità è probabile la fissità del cambio si traduce in premio agli speculatori che possono procurarsi la valuta desiderata a un prezzo fisso e indipendente dagli acquisti fatti. Solo la libera fluttuazione consente all’euro di deprezzarsi parallelamente all’operare della speculazione, in misura sufficiente a non rendere la speculazione stessa profittevole. Ma mentre il cambio si deprezza per effetto degli acquisti speculativi, la previsione iniziale del cambio futuro varia, il cambio previsto a una certa data futura è influenzato dal cambio attuale e dai suoi movimenti. La flessibilità ha svantaggi in termini di incertezza sul prezzo delle valute estere, il che può ostacolare gli scambi di merci e i movimenti di capitale a medio e lungo termine.