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Riassunto capitoli 1,2,5 del libro "Animale Politico" di Damiano Palano, Dispense di Comunicazione Politica

Riassunto dettagliato dei capitoli 1,2,5 del libro "Animale Politico" necessari per il primo parziale di Politica e Comunicazione (COMeS) anno 2023/2024

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 05/01/2024

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valeria-tondulli 🇮🇹

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Scarica Riassunto capitoli 1,2,5 del libro "Animale Politico" di Damiano Palano e più Dispense in PDF di Comunicazione Politica solo su Docsity! CAPITOLO PRIMO: LA METAMOFROSI DELLA POLITICA Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, lo scrittore britannico William Gerald Golding insegnò per diversi anni in una scuola elementare di Salisbury Fu avviato un esperimento che prevedeva che gli studenti di quarta elementare fossero suddivisi in due gruppi per dibattere su una questione sotto la supervisione di un insegnante Golding decise di mettere alla prova alcune ipotesi che aveva formulato durante la guerra, quando aveva preso parte a molte operazioni militari e anche allo sbarco in Normandia – Durante l’esperimento decise di uscire dall’aula, lasciandoli senza supervisione la sua ipotesi venne confermata: il dialogo si trasformò in una rissa tra due fazioni (trovò la conferma delle sue ipotesi più pessimistiche sulle tendenze degli esseri umani) Decise di tradurre le sue conclusioni in un romanzo, e non in un saggio, per raggiungere un pubblico più vasto Il manoscritto di Golding entusiasmò il poeta Thomas S. Eliot: nel 1954 decise di pubblicarlo con il titolo Il signore delle mosche (The Lord of the Flies) – Si tratta di un romanzo distopico: immaginava la vita di un gruppo di giovani studenti britannici abbandonati su un'isola tropicale durante una guerra mondiale – Dopo i primi tentativi di dar vita a un'organizzazione democratica, il gruppo cominciava a essere lacerato dalle gelosie, dai dissidi e da rivalità sempre più esplicite tra gli aspiranti alla leadership, ognuno dei quali era sostenuto da una schiera di seguaci – Il gruppo assumeva così i tratti di una tribù di selvaggi, le divise scolastiche venivano gettate via e i giovani si abbandonavano a danze rituali, compiendo violenze contro coloro che erano considerati devianti rispetto all'ordine della piccola comunità Il punto di partenza di Golding era il suo marcato dissenso rispetto a una concezione distorta dell'essere umano (secondo lui era diventata prevalente nel XX sec.) Tra la fine 800 e inizio 900 si erano consolidate delle dottrine che consideravano come "anomalie" dei tratti che, secondo Golding, erano componenti originarie dell'esperienza umana – Si riteneva che aspetti come la crudeltà e la lussuria non facessero parte dell'essere umano, tanto che si costruirono sistemi sociali e politici estranei alla reale natura dell'uomo Nel suo romanzo aveva cercato di mostrare che la forma di società creata dai giovani naufraghi sarebbe stata condizionata dalla loro natura malata, decaduta La raffigurazione della “natura dell'uomo” alla base del romanzo si avvicina a quella proposta dagli esponenti del realismo politico: ritengono che gli esseri umani siano necessariamente lacerati da una spinta a ricercare sicurezza, potere e gloria e che, per questo motivo, tra i gruppi umani ci siano sempre conflitti Il romanzo si avvicina ance al pensiero di grandi filosofi politici della prima età moderna: Golding si proietta con la fantasia in una sorta di "stato di natura" in una condizione in cui, in assenza di qualsiasi istituzione/governo, si poteva riconoscere davvero il fondo più oscuro dell'essere umano (quella "natura" primordiale che il processo di civilizzazione cerca di controllare in una serie di norme culturali e giuridiche) 1.1 L’AVVENTURA DELLA PAROLA “POLITICA” Nella Politica (uno dei testi più importanti della filosofia occidentale, del IV sec. a.C.), Aristotele definisce l'uomo come “animale politico” (zōon politikon) – Gli esseri umani, a differenza degli altri animali, possono vivere in ampie comunità politiche e sono in grado di utilizzare la parola per esprimere il giusto e l'ingiusto – Aristotele punta anche a mostrare come solo nella polis si possa davvero realizzare l’"umanità" degli esseri umani: solo facendo ingresso nella polis (e sottoponendo sé stessi ai fini della comunità politica), si può davvero abbandonare la condizione barbara, animale, di chi vive privo di leggi Per Aristotele, ogni tipo di comunità è finalizzato a perseguire un determinato bene, ma la comunità politica persegue il più elevato tra gli obiettivi possibili: per questo è la comunità più alta – Il motivo della superiorità è strettamente connesso alla convinzione secondo cui solo partecipando alla vita della polis gli individui possono sviluppare interamente la loro personalità Aristotele dice che l’uomo ha bisogno della polis per vivere un'esistenza veramente umana, per questo la polis mira al bene supremo dell'uomo La definizione aristotelica consente di riconoscere come solo per gli esseri umani si possa propriamente parlare di organizzazioni "politiche" e di comportamenti "politici" Quando definisce l'uomo come animale politico, Aristotele si riferisce a una specifica idea di politica: una concezione radicata nell'esperienza della polis e nella visione della vita che gli antichi greci avevano sviluppato a partire dalla centralità della dimensione politica L'idea dell'animale politico e tutti i principali termini greci connessi alla dimensione politica, quando escono dal contesto culturale e istituzionale delle poleis, assumono ora significati che non hanno quasi nulla in comune con la concezione originaria quei termini resistono per più di due millenni e giungono a noi, ma indicano qualcosa di diverso rispetto al passato Per sbrogliare l’intreccio dei significati di "politica", è inevitabile prendere le mosse dall'etimologia e dal lungo percorso di un termine-concetto (le cui evoluzioni sono segnate da profondi mutamenti)  Cos'è un termine "termine-concetto"? – Il termine viene utilizzato per sottolineare la necessità di considerare la connessione tra parole e idee come storicamente mutevole e legata ai cambiamenti politici, economici e culturali – Secondo lo storico tedesco Reinhart Koselleck, è necessario distinguere nettamente tra le parole e i concetti utilizzati nei discorsi attinenti alla politica solo alcuni termini hanno una dimensione concettuale e si riferiscono a una determinata rappresentazione della realtà (come il termine-concetto "politica") – Le connessioni tra specifici termini e determinati concetti si modificano nel corso del tempo, registrando l'esito dei mutamenti storico-politici, dei conflitti, delle transizioni culturali – Al fine di evitare di interpretare un termine in modo anacronistico (associandogli un significato diverso da quello del contesto in cui viene utilizzato), è indispensabile ricostruire attentamente come i concetti mutano storicamente (analisi semasiologica) e come, in una specifica epoca, l'esperienza storica si deposita e si "condensa" in un determinato concetto (analisi onomasiologica) Il vocabolo italiano “politica” deriva dalla lingua greca e dall'espressione tà politiká: indica le cose che riguardano la città e che, per questo, viene utilizzata come titolo da Aristotele per indicare l'organizzazione della polis, la natura della comunità politica, le sue forme di governo, le sue suddivisioni  L'aggettivo sostantivato tà politiká è connesso all'esperienza della polis (la città-stato) – L'emergere dei centri urbani si delinea già durante i secoli dell'“età oscura” – Dopo la caduta dei vecchi centri di potere (dove i grandi palazzi erano stati il simbolo del potere e della regalità), le comunità locali guidate da sovrani (i basileis) diventano progressivamente centri di attrazione per flussi di popolazione, per la presenza di santuari e per lo svolgimento di rituali religiosi – Per alcuni, già nei poemi omerici la parola polis sarebbe presente nel suo significato di “città politicamente autonoma” – Originariamente il termine indicava forse solo una "fortezza": secondo un'ipotesi l'etimologia di polis paleserebbe un legame originario tra la città fortificata e la guerra Il termine polis assume il significato di “comunità politica” in seguito al processo di sinecismo (VII-VIII sec.): in diverse aree della Grecia, una serie di villaggi e di circoscrizioni territoriali si aggregano attorno a un centro – Lo spazio urbano è connotato da un ruolo religioso e al tempo stesso politico: è la sede dei templi, degli altri luoghi di culto, dell'agorà (il luogo del mercato e degli incontri pubblici) e degli edifici pubblici La polis è concepita dai Greci come una comunità dei cittadini: nell'iconografia della polis viene infatti privilegiata largamente la raffigurazione dell'esperienza umana nella città a quella del paesaggio urbano Il concetto di polis come comunità dei cittadini fa riferimento alla riforma oplitica: una trasformazione resa possibile dai progressi nella metallurgia, che comportarono la sostituzione dell'esercito di cavalleria con un nuovo tipo di esercito, formato da fanti armati pesantemente (gli "opliti”) – L'equipaggiamento degli opliti è accessibile anche al ceto medio e ai piccoli proprietari contadini – Le operazioni belliche incominciano così a essere affidate principalmente a masse di uomini armati, guidate da un comandante: non dipendono più dall'esito dei duelli tra cavalieri – QUINDI: il ceto medio diventa il principale gruppo sociale cui è affidata la sicurezza della comunità il peso politico del ceto medio cresce rapidamente, alimentando una serie di rivendicazioni economiche e politiche – Si inizia quindi a registrare la progressiva integrazione sociale e politica proprio della classe media – Ad accomunare le diverse città sono soprattutto i valori di autonomia e libertà, che diventano i tratti che distinguono le poleis dall’impero persiano Le città-Stato sono infatti autonome e libere, in quanto sono in grado di darsi autonomamente delle leggi e di decidere liberamente la loro politica estera Ma anche il singolo cittadino della polis è autonomo: ha la facoltà di accettare o meno gli obblighi delle leggi e culti religiosi, è sottratto a rapporti di sudditanza e svincolato dai condizionamenti esercitati da altri individui Il significato di "politico" viene strettamente collegato con la “polis dei liberi e degli uguali” e rappresenta inoltre anche il contrario di dispotico, di tutte le forme di dominio dei pochi sui molti IN GENERALE: nel mondo greco tà politiká indica il complesso delle questioni che riguardano la città, e dunque tanto i rapporti tra cittadini (polita) quanto le relazioni tra le città (poleis) La polis è prima di tutto una comunità politica autonoma, in grado di auto-governarsi e di darsi autonomamente delle leggi, è inoltre una dimensione specifica del vivere associato, che si distingue dall'oikos (la casa e dove si svolgono le attività economiche necessarie per il sostentamento) Vi fu realmente un tempo in cui era corretto identificare i concetti di "statale" e di "politico". C. Schmitt, Il concetto di politico' (1927-1932) Terminata l’avventura con le poleis greche, le due espressioni tà politikà e politeìa verranno usate con diverse concezioni nel tempo sotto il nome “politica”. Per Hannah Arendt, la decadenza dalla concezione di polis (intesa come azione politica) inizia quando Socrate viene condannato a morte poiché accusato di aver introdotto nuove divinità in città e averne diffuso il culto tra i giovani. Da quel momento in poi, la gerarchia delle attività umane iniziò a cambiare, dando maggior importanza alla VITA CONTEMPLATIVA. A seguito della morte di Socrate, infatti, lo stesso Platone indicò come la piazza della città fosse incompatibile con la ricerca della verità, poiché quest’ultima richiede introspezione e riflessione personale, mentre la piazza è il centro della riflessione pubblica. Da questo momento in poi, la vita contemplativa prese il posto privilegiato che fino a quel momento era stato occupato dalla vita activa. QUINDI: secondo la Arendt, dopo il decadimento delle poleis, la storia occidentale è stata caratterizzata da una continua espansione di decadimento della politica. La vita contemplativa identifica quindi una dimensione in cui gli esseri umani (cercando la verità dentro sé stessi), possono mostrare pienamente la loro umanità, ovvero ciò che li differenzia dagli animali. Questa inversione delle relazioni gerarchiche sarà favorita anche dall’avvento del Cristianesimo, il quale svaluta la dimensione dell’azione. L’avvento della modernità segna il trionfo dell’homo faber; con la rivoluzione industriale invece, diverranno protagonisti l’homo laborans e la massa in cui egli si smarrisce. Con la nascita delle organizzazioni burocratiche, l’azione diverrà impraticabile e quindi, per la Arendt, la politica svanirà quasi completamente per riapparire solo in circostanze eccezionali, come nel caso di una rivoluzione. Oltre la visione fornita dalla Arendt però, bisogna notare che il decadimento dell’idea fresca della polis era comunque destinato a svanire. Già con la prese del potere da parte di Roma, si potè notare come le due culture fossero così diverse da non potervi trovare analogie. Infatti, nel mondo romano non vi erano città intese come in Grecia in cui nella piazza della città si discuteva della vita politica; l’unica città vera e propria era la Urbs , ovvero Roma. Il termine politicus esiste nella lingua latina, ma fu sempre poco usato. A riprendere i concetti greci possiamo ricordare Cicerone, il quale dovette tradurre in latino le espressioni greche, usando termini ad esempio come res publica, latinizzando quindi la formula greca tà politikà. Con la fine dell’età repubblicana (nota per la concezione del sacrificio della vita individuale per il bene della società), nel mondo latino si fa spazio un’idea più concentrata sulla dimensione privata e individuale e meno concentrata sulla politica. A seguito della disgregazione dell’Impero di Roma, i termini greci furono riscoperti con lo studio di Aristotele. In realtà, la parola politicus fu già adoperata da Giovanni di Salisbury nel suo trattato Policraticus (1159), dove si parla di «iustizia politica», «constitutio politica», «politica res». Si tratta però solo di un'eccezione, perché sarà grazie alla ripresa delle opere aristoteliche - in un primo momento resa possibile dalla mediazione degli autori arabi- favorisce un più sistematico recupero degli antichi vocaboli. La traduzione della Politica, svolta intorno al 1260 dal domenicano fiammingo Guglielmo di Moerbeke, fornisce il materiale su cui Alberto Magno e Tommaso d'Aquino stendono i loro commenti e dunque innesca una ricomparsa dei vecchi termini che procede in tre direzioni diverse: 1. «alla volgarizzazione dei vecchi grecismi latinizzati che erano già stati utilizzati nell'antichità»; 2. favorisce l'emergere di «nuove formazioni di grecismi» (per esempio politizare o politica scientia); 3. introduce o reintroduce «nel linguaggio politico per la prima volta tutta una serie di parole latine che costituivano la traduzione di termini greci». Alcune incertezze sono state trovate per la traduzione di zoon politikon (formula aristotelica), di cui Tommaso propone diverse traduzioni come: - Animal sociale - Animal politicum - Animal civile QUINDI: il nuovo significato di politica viene ad associarsi all'esercizio di un potere "verticale": un potere che viene esercitato "dall'alto" verso il "basso", e che per questo è in contrasto con l'idea greca della polis come sfera in cui i cittadini si trovano in una condizione di eguaglianza. Una trasformazione analoga è stata subita anche dal termine politeìa. Per quattro secoli, fino al Seicento, politeìa risulta adoperato molto frequentemente nella forma latinizzata di politia e policia, che poi compare nelle lingue volgari, per esempio come police in francese, o come Polizia, Policy, Policei, Polizo. Per Tommaso, la politia è: - sia l'ordinamento complessivo della vita terrena che supera il dualismo esistente tra la sfera mondana e quella religiosa - sia la giusta forma di governo Forse provenendo dalle cancellerie della Borgogna, il termine giunge in Germania, e già alla fine del Quattrocento ricorre in documenti di città e territori, anche se il suo significato mostra un progressivo slittamento: - originariamente il termine polizia si riferisce infatti alla forma di governo (ossia, la forma dell'ordinamento politico di una comunità); - in seguito, esso passa a indicare una condizione di buon ordine, un insieme di norme prescrittive; - infine, viene a qualificare un ambito specifico dell'azione di governo. Per effetto di questa graduale transizione, la polizia perde la propria connotazione più generale, per legarsi soltanto a un aspetto sempre più specializzato dell'azione dello Stato. - In Francia, già nel Cinquecento, la police si cristallizza «in una somma di interventi prefissati su materie ormai consolidate e tendenzialmente riducibili alla sicurezza e alla tranquillità dei sudditi (e del principe)». - Nei territori tedeschi, la Polizey - che giunge a comprendere un insieme di operazioni che vanno dal controllo su pesi e misure, sulle bevande e i generi alimentari, sulla sicurezza della vita nelle città, fino alla creazione di un esercito stabile, alla tassazione, alla formazione di un'amministrazione moderna - è lo strumento con cui il sovrano legittima il proprio intervento in ambiti prima di competenza di forze concorrenti (superiori o inferiori) - Proprio lungo questa via, la polizia arriva perciò a coincidere, sul finire del Seicento, con «l'intero ordinamento interno dello Stato», e di conseguenza con l'«apparato di potere destinato a garantire quest'ultimo». In tal modo, politia si riduce sempre più al significato prevalente nel linguaggio contemporaneo: la "polizia" intesa come branca dell'amministrazione statale specializzata nella tutela della pubblica sicurezza. Torna invece ad estendersi in modo sempre più pervasivo il ricorso tanto all'aggettivo politico, quanto al sostantivo politica, derivato dall'antico sintagma tà politiká. - Già al principio del XVII secolo la parola politica compare per esempio nel titolo del trattato “Politica methodice digesta” (1603) di Johannes Althusius, nel quale i diversi aspetti della vita delle comunità politiche sono affrontati e discussi, a partire dall’Antico Testamento. - Althusius definisce la politica come “simbiotikè”: l’arte di CON-SOCIARE gli uomini. Assai più frequente è comunque il ricorso all'aggettivo politico, che compare già - seppur occasionalmente e non in modo sistematico- in Machiavelli. Che all'aggettivo si ricorra con sempre maggiore frequenza a partire già dal XVI secolo è inoltre testimoniato dal fatto che, ai tempi della notte di San Bartolomeo (1572), vengono per esempio definiti politiques gli avversari del gruppo raccoltosi attorno a Michel de l'Hôpital, il quale tenta di collocare il sovrano di Francia al di sopra delle contese tra cattolici e protestanti, o anche dal fatto che nel 1615 l'ugonotto Antoyne de Monchrétien qualifichi l'economia come «politica». - Nel corso del Settecento, il ricorso a politica sembra ormai prevalente rispetto all'uso di politia e dei suoi derivati, anche se, come si è visto, termini come polizia e Polizey non scompaiono, ma risultano destinati a un campo sempre più "specializzato" e dunque a indicare ambiti via via più circoscritti dell'azione di governo". - Nell'età della Rivoluzione francese giunge poi per molti versi a conclusione il lungo processo che vede politica conquistare una posizione egemonica, mentre, contestualmente, gli eredi volgari di politeía vengono di fatto "depoliticizzati" (nel senso che escono dal lessico strettamente politico). Dopo l'Ottantanove, l'avanzata di politica e politico si fa infatti «tumultuosa e diventa inarrestabile»", e così anche gli antichi significati di politeía vengono di fatto riassorbiti da politica: quest'ultimo viene così a identificare tanto l'ambito istituzionale quanto la sfera dei conflitti che si svolgono dentro la comunità. Con la fuoriuscita del vocabolo politia dal lessico propriamente politico (o, meglio, con la sua progressiva "depoliticizzazione"), i piani dell'istituzione e dell'azione finiscono invece col confondersi, proprio perché vengono entrambi indicati, senza distinzione, col sostantivo politica e con l'aggettivo politico. In altre parole, la politica viene a comprendere: - tanto gli assetti normativi all'interno dei quali si svolgono le contrapposizioni, - quanto i conflitti e lo stesso processo decisionale". Una parziale eccezione è rappresentata solo dal contesto linguistico inglese, dove una maggiore ricchezza terminologica consente di distinguere la polity (che identifica le caratteristiche generali di uno Stato e la sua articolazione interna), la politics (l'insieme dei processi decisionali ma anche i conflitti tra forze politiche) e la policy (che coincide con il contenuto delle decisioni adottate dallo Stato e dunque con l'esteso ambito delle politiche pubbliche, oltre che delle decisioni di altre organizzazioni). Nel contesto dall’Europa continentale: la politica viene a ricomprendere invece tutti questi piani, con la conseguenza di un'inevitabile inflazione, perché, per esempio, il vocabolo può essere utilizzato a proposito della forma di un regime politico, a Proposito della lotta ideologica tra partiti, o a proposito delle politiche fiscali, sanitarie e tributarie. E, insieme all’inflazione del termine, non può che registrarsi una sorta di crisi di identità della politica stessa, perché, se per un verso la politica sembra diventare "ubiqua", per l’altro, la sua specificità tende a diventare inafferrabile. 1.4. LA CRISI DI IDENTITÀ DELLA POLITICA «Ma ci sarà un concetto, insieme alla parola» «Va bene! Ma che questi concetti non ci tormentino troppo! / Dove i concetti mancano / ecco che al punto giusto compare una parola». G.W. Goethe, Faust (1808-1832) Max Weber in una celebre conferenza del 1919, osservò come il termine “politica”fosse adottato per ricomprendere «ogni genere di attività direttiva autonoma». L’inflazione del termine piloti a segnalata da Weber un secolo fa è oggi stesso uno dei principali problemi per cui si cerca di capire “cosa” sia davvero la politica, “quale” sia la sua essenza e dove vada ricercata, e se la stessa “essenza” esista davvero. Un’altra difficoltà è causata dalla trasformazione che negli anni ha coinvolto l’idea stessa della politica. Questa trasformazione può essere concepita, ricordiamo, in una transizione da una dimensione orizzontale a una prettamente verticale. Per questo, nel XVI e XVII secolo, la politica va a coincidere con l’azione del nascente stato e con i potere che sono detenuti del suo apparato burocratico e coercitivo. QUINDI: il nome ”politica” è lo stesso usato dai greci MA: - I Greci lo usavano per qualificare l’insieme di questioni che riguardavano la polis; - I moderni lo usano per indicare una “cosa” diversa dai greci Il passaggio da una concezione orizzontale a una verticale della politica ha a che vedere col fatto che: - Il mondo greco pensava alla politica come partecipazione - La modernità la concludere come potere o governo Il passaggio da una concezione orizzontale a una verticale della politica implica il passaggio da: - una visione relazionale della politica - A una concezione per cui la politica è percepita e rappresentata come una “cosa”—> apparati che servono a: o Governare o Amministrare una popolazione o Esercitare il potere su un gruppo di individui Quindi la politica non è più una RELAZIONE (“quello spazio della polis in cui i cittadini possono entrare in un rapporto "orizzontale" con i loro simili e dunque mostrare pienamente la loro "umanità"), ma diventa un INSIEME DI MEZZI (“l'apparato mediante il quale è possibile esercitare un potere "dall'alto" sulla società, sui seguaci, sui sudditi.”). Quando Aristotele definisce l'essere umano come un «animale politico», intende soprattutto qualificare una specifica modalità di vita, che l'individuo può sperimentare nello spazio della polis. Per Aristotele, il fatto stesso di vivere all’interno di una comunità in grado di consentire a ogni cittadino di sviluppare appieno le proprie facoltà e di conseguire il fine di una "buona vita”, contrassegna la vita che l’animale politico può sperimentare. Questa idea politica però al di fuori del contesto greco è intraducibile se non si ricorre a nozioni depoliticizzate come “animal sociale” o “civile”. La rottura diventa più radicale con il passaggio alla modernità (Cinquecento e Seicento), rappresentato soprattutto dall’uso che i “ragionatori dello stato” fanno dell’aggettivo politico e del termine politica. A partire dal XVI secolo invece, la politica diventa una sfera autonoma dalla morale e dalla religione, essa viene anche a identificarsi sempre più nettamente con il potere del principe e dunque dello Stato: proprio in questo senso, si smarrisce del tutto l'orizzontalità del paradigma greco, mentre la concezione della politica si "verticalizza". Dal momento che la politica viene "racchiusa" dentro i confini dell'apparato dello Stato, anche la vecchia identificazione tra politico e sociale - quella identificazione che aveva indotto Tommaso a rendere gõon politikon con la formula animal sociale et politicum - perde qualsiasi consistenza. Visione ottimistica della natura umana= gli individui tendono a essere socievoli, pacifici e cooperativi perché è la loro stessa natura a spenderli verso la ricerca del bene e verso forme di convincente moralmente rette. —>Non può essere creato un filone unitario di questa vision perché i presupposti delle diverse letture sono tre a loro troppo differenti Unico elemento di continuità nelle antropologie ottimiste-> la RIFLESSIONE POLITICA Antropologie ottimiste criticate dagli esponenti del realismo politico che definiscono le visioni delle antropologie ottimiste: IDEALISTE o MORALISTE INFATTI le visioni ottimiste sono accumunate dal fatto che: - Non sono realistiche - Prescrivono un modello che nella realtà dei comportamenti umani (e quindi della realtà della politica quotidiana) viene costantemente contraddetto QUINDI: non vi è una matrice unitaria in tutte le antropologie ottimiste MA-> concezione di animale politico di Aristotele è uno dei paradigmi più influenti (definito anche il pilastro fondativo) della visione della politica come: - Manifestazione massima della socialità umana - Dimensione in cui si può riconoscere la proiezione dell’individuo verso il bene della comunità Per ARISTOTELE - La città-> massima espressione del vivere umano, l'ambito in cui il genere umano riconosce il suo fine, trova il suo compimento. - La comunità politica scaturisce dalla "natura", ma quest'ultima ha tratti specifici, che non possono essere limitati all'immagine di un individuo in lotta con gli altri. - L’ordine politico scaturisce dalla necessità che si uniscano quegli esseri che non possono essere separati, aggregandosi in famiglie, villaggi e in comunità che consentono di «vivere in modo felice e bello». - Tutte le comunità ( famiglia, villaggio, comunità politica) sono “naturali”, ovvero necessarie per il soddisfacimento dei bisogni degli esseri umani - Ogni comunità “naturale” è anche “autarchica” perché è autosufficiente per lo svolgimento della funzione che la contrassegna - La comunità “politica” è la più ampia e generale perché è il tipo di convivenza che permette di raggiungere l’auto sufficienza al massimo grado La COMUNITÀ POLITICA è la comunità che si costituisce in vista del bene massimo (l’autarchia, autosufficienza completa e vita felice) - Comunità che si costituisce per la vita quotidiana -> la famiglia - La prima comunità, fatta da più famiglie, per bisogni non quotidiani-> il villaggio - Comunità fatta da più villaggi-> lo stato Ciò che contrassegna la "politicità " dell'essere umano è, per Aristotele, il fatto che la sua "natura" gli consente di conoscere e comunicare il bene e il male, il giusto e l'ingiusto. MA solo all'interno di una comunità politica l'essere umano può sviluppare le proprie potenzialità e conseguire l'obiettivo di una «esistenza pienamente realizzata e indipendente» QUINDI l’«animale politico» è un animale sociale, che però non si limita a vivere insieme ai propri simili per soddisfare bisogni materiali: il bisogno "politico" è la ricerca di una vita pienamente realizzata, che può essere raggiunta solo in una polis, in una comunità autosufficiente e propriamente politica. La comunità "politica" è dunque "naturale", perché per Aristotele l'individuo non è mai, fin dal principio, isolato rispetto ai propri simili (come invece riterranno molti dei pensatori classici della modernità), ma è sempre inserito all'interno di gruppi "naturali (famiglia, clan, tribù- comunità di villaggio o cittadine) L'animale politico è "naturalmente" politico perché la tendenza alla formazione di comunità politiche è implicita nella natura degli esseri umani Più che il conflitto - che non viene negato, ma che risulta piuttosto collocato ai margini (o fuori dai confini) della comunità - in questa immagine della politica emergono dunque come qualificanti gli elementi che consentono ai membri della comunità di: - risolvere pacificamente le loro controversie - di giungere a soluzioni volte a perseguire l'interesse comune, ossia le regole e le istituzioni che i gruppi umani sono in grado di costruire e raffinare nel corso delle generazioni A riprendere l'impianto di Aristotele sono: - Tommaso d'Aquino (1225-1274), - nel Defensor pacis Marsilio da Padova (1275-1342), quando spiega la nascita della «comunità perfetta» - Jean Bodin (1529-1596) nei Sei libri della repubblica - Johannes Althusius (1563-1638) nel Politica methodice digesta, al principio del Seicento. Solo a partire dal XVIII secolo questo modello sarà surclassato da uno nuovo, che interpretava la politica secondo uno schema radicalmente differente da quello che aveva dominato nei due millenni precedenti. 6 elementi distintivi del modello aristotelico proposti da Bobbio: 1. Punto di partenza per spiegare la nascita della politica è una società originale “naturale”, rappresentata dalla famiglia 2. la condizione in cui vivono gli esseri umani prima della costituzione della comunità politica è già una condizione sociale: essi non vivono cioè isolati ma sempre riuniti in gruppi organizzati 3. L'originario assetto "prepolitico" non è caratterizzato da una condizione di libertà e di eguaglianza, dal momento che all'interno delle società originarie esistono rapporti gerarchici tra superiori e inferiori 4. tra la società originaria (la famiglia) e la comunità perfetta (comunità politica) esiste una continuità di sviluppo, nel senso che, progressivamente, si formano aggregazioni intermedie sempre più ampie, che confluiscono poi nella comunità politica; 5. la costruzione della comunità politica non avviene a seguito di una convenzione artificiale ma per effetto di un processo di naturale evoluzione delle società minori verso una società maggiore 6. il principio di legittimazione della comunità politica non è il consenso dei suoi membri, bensì, semplicemente, la "natura delle cose", ossia lo stato di necessità che rende necessaria l'esistenza di una consociazione politica". 2.2. LA CRITICA REALISTA Nella storia del pensiero politico occidentale, la tradizione che adotta come presupposto un pessimismo antropologico (quella linea di pensiero che raffigura l'essere umano come cattivo) viene spesso ricondotta al filone del realismo politico Il realismo politico è una concezione della politica che si fonda su una visione realistica degli esseri umani Il realismo politico appare contrassegnato da tre principali elementi: 1. L'idea che la natura umana sia invariante nel tempo e che cioè ci siano dei tratti costanti e ineliminabili che caratterizzano gli esseri umani in ogni periodo storico e in ogni società 2. Una rappresentazione dell'essere umano in una chiave pessimistica, che lo raffigura come un animale ‘desiderante’, condannato a tormentarsi alla ricerca di sicurezza, onore e ricchezza, che non può mai soddisfare del tutto i propri desideri né superare la propria inquietudine - Il racconto biblico del ‘peccato originale’ rimane una delle immagini più suggestive della natura conflittuale dell'essere umano o Nel momento in cui Adamo ed Eva decidono di nutrirsi del frutto proibito perdono l'innocenza della loro condizione di animalità o La conseguenza dell'abbandono della condizione animale porta anche alla scoperta che la condizione umana è fragile o L'essere umano diventa così cosciente che una minaccia (reale o anche potenziale) può provenire dalle belve ma anche dai loro simili - In Grecia si possono riconoscere i pilastri fondativi della visione realista: Tucidide è considerato il grande padre del realismo politico. o Secondo la sua visione esiste una legge di natura, per la quale ogni essere umano punta sempre ad aumentare la propria potenza e questo avviene in tre modi: a) La ricerca dell'onore b) Il timore per la propria incolumità c) Lo sforzo di massimizzare il proprio utile e accrescere le proprie ricchezze o Questi 3 obbiettivi accomunano sia i singoli individui ma anche le comunità politiche, che possono essere raffigurate come dei ‘grandi uomini’ o Secondo Tucidide questi 3 obiettivi (onore, timore e utilità) sono gli obiettivi che per loro stessa natura tutti gli esseri umani e tutte le comunità politiche perseguono (non dipendono da condizionamenti culturali, storici, religiosi) 3. L'idea che la politica sia soprattutto il regno della forza e che cioè le istituzioni, le leggi, le regole di convivenza siano il risultato dell'esercizio della forza di alcuni su altri - Per Tucidide, per esempio, il diritto del più forte è una legge incisa nella natura - Questo non significa che le altre componenti (principi di giustizia) siano irrilevanti ma comporta che questi siano posti in secondo piano - Una brutale schematizzazione di questa visione della politica si può ritrovare in alcune celebri pagine di Platone, nelle quali il filosofo critica questa visione del rapporto tra forza e giustizia o Nella ‘Repubblica’ le parole di Trasimaco (un personaggio del dialogo) fissano una visione della politica piuttosto cinica e realistica, secondo la quale la giustizia non ha a che vedere con criteri morali e che gli esseri umani rispettano le leggi solo se sono costretti con la forza, perché tendono principalmente a perseguire il loro utile o I rapporti umani sono quindi sempre contrassegnati da una latente conflittualità, che deriva dal fatto che ciascuno punta prima di tutto a soddisfare i propri bisogni Dato che la natura umana è immutabile, e dato che gli esseri umani presentano alcune caratteristiche ricorrenti, si può allora guardare alle cose umane con l'obiettivo di ricercare delle grandi regolarità che consentono persino di formulare previsioni su possibili eventi futuri 2.3 LA CESURA DELLA MODERNITA’ Il realismo politico antico non si contrappone davvero in modo radicale al modello aristotelico Infatti, sia l'antropologia ottimista che quella pessimista dei realisti condividono la medesima concezione della comunità politica, concepita come ‘comunità naturale’ Tuttavia, a partire dal 6’00, il pensiero politico occidentale incomincia a raffigurare gli individui in modo diverso, negando l'idea che l'essere umano sia originariamente un ‘animale politico’, abbandonando la convinzione che la politica sia una dimensione naturale e spingendosi a mettere in dubbio che esista qualcosa come ‘la natura umana’ Nella svolta della modernità (data inizio convenzionale: 1492– Cristoforo Colombo) si recide il legame originario tra politica e natura umana la politica inizia a essere concepita come qualcosa di artificiale Con la svolta dell'età moderna le cose si modificano soprattutto quando si producono 3 innovazioni teoriche cruciali relative alla: 1. Concezione dell'individuo - Se nel medioevo l'individuo era prevalentemente pensato come una parte connessa a un gruppo più ampio, la modernità considera il singolo individuo come soggetto cardine, con la sua razionalità e le sue aspirazioni - QUINDI la modernità inaugura una stagione individualista, che riconosce la centralità dell'individuo 2. La visione della storia - Se gli antichi vedevano la storia prevalentemente in termini ciclici, la modernità tende a vedere la storia come uno sviluppo progressivo delle capacità umane e come un costante miglioramento delle condizioni di vita, garantito dalle conquiste della razionalità, delle conoscenze scientifiche, delle innovazioni tecniche e istituzionali 3. Idea della politica intesa come un artificio - Viene ridimensionata l'idea che la natura umana (intesa come insieme di caratteri costanti, non modificabili dalle istituzioni, società ecc) sia connessa alla politica - QUINDI la comunità politica non è più intesa come qualcosa di naturale ma come una sorta di artificio, costruita dagli individui grazie alla loro razionalità e mediante la quale riescono a conseguire una convivenza pacifica - L'essere umano non è più quindi visto prevalentemente come un ‘animale politico’ ma comincia a essere rappresentato come un animale razionale che originariamente vive in uno ‘stato di natura’ e in un secondo momento inizia a dotarsi di istituzioni comuni, di leggi, di apparati che ne garantiscano il rispetto La rottura della modernità sfida quindi le coordinate del modello aristotelico e porta a richiedere nuove risposte sulla relazione tra esseri umani e politica Si possono individuare 3 principali direttrici a proposito dei modi con cui nella modernità si viene a concepire il rapporto tra natura umana e politica: 1. La prima direttrice scaturisce dall'affermazione di una visione individualista delle relazioni sociali, che concepisce l'individuo come un soggetto originariamente autonomo Nel corso degli ultimi 5 secoli si contrappongono visioni individualiste e visioni olistiche (che ritengono che gli esseri umani siano originariamente animali sociali) 2. Una seconda direttrice contrappone coloro che ritengono che la politica sia in qualche misura naturale e coloro che pensano che la politica sia qualcosa di artificiale I pensatori individualisti, per esempio, concepiscono la politica come un insieme di strumenti artificiali 3. La terza direttrice emerge con la modernità, ed è relativa alla visione progressista della storia - Dal momento che la storia dell'umanità è interpretata come un costante progresso, anche la politica e le sue istituzioni sono concepite come un prodotto della trasformazione storica - La politica viene quindi concepita come un prodotto storico, conseguenza dello sviluppo socioeconomico - Secondo Marx, ogni essere umano si trova sempre a vivere e operare all'interno di un reticolo di relazioni sociali, di rapporti di dominio e di subordinazione di istituzioni giuridiche e politiche Il modo di concepire la politica di Hegel e Marx è rilevante soprattutto per la loro visione della storia, concepita in termini di ‘progresso’, come un processo nel quale gli esseri umani, modificando l'ambiente in cui vivono, modificano sé stessi e sviluppano nuove potenzialità Hegel e Marx indicano quindi una nuova direzione: a) Si mette in discussione l'idea stessa che una natura umana, costante e immutabile nel tempo, esista realmente b) Si evidenzia come gli esseri umani siano il prodotto delle trasformazioni storiche e delle società che essi costruiscono Le conseguenze di questa nuova direzione sono: a) Viene abbandonata l'idea di una connessione originaria fra natura umana e politica b) Dato che viene contestata la convinzione che vi sia una natura costante degli esseri umani, si può ritenere che non sia neppure necessario un ‘artificio’ istituzionale per tenere a freno le passioni o per garantire una più certa risoluzione delle controversie Le prospettive di Hegel e Marx vengono definite come ‘modello Hegelo-marxiano’ e possono essere considerate come di un generale modello storicista di interpretazione dei rapporti tra esseri umani e politica Le caratteristiche principali del modello storicistico sono 6: 1. L’idea che non esista uno stato di natura come quello descritto dai giusnaturalisti, perché in ogni fase storica (e preistorica) gli esseri umani hanno sempre vissuto all'interno di formazioni sociali più o meno articolate 2. La convinzione che non vi sia una natura umana in senso stretto, perché le attitudini, i moventi, le logiche operative dei singoli individui sono prevalentemente il prodotto delle trasformazioni storiche 3. Il convincimento che gli esseri umani, nel tentativo di superare e dominare le insidie e gli ostacoli in cui si imbattono, sviluppino tecnologie, sistemi culturali e mezzi di transazione economica, i quali vanno poi a plasmare facoltà, attitudini e concezioni dei singoli individui 4. La persuasione che anche le istituzioni politiche siano un prodotto storico della incessante lotta combattuta dagli esseri umani per soddisfare i loro bisogni e per seguire le loro aspirazioni, ma non siano l'esito di un disegno razionale e neppure abbiano un'origine pattizia 5. L’idea che le condizioni di uguaglianza e di disuguaglianza in cui gli esseri umani si trovano a vivere non siano determinate da fattori "naturali", bensì dalle caratteristiche storiche di ogni società, da specifiche istituzioni culturali, economiche o politiche, anch'esse soggette a costanti mutamenti storici 6. La conseguenza per cui, dal momento che la politica è connessa non alla natura umana ma solo a concrete condizioni storico-sociali, si può anche ipotizzare che la politica e le istituzioni politiche possano restringersi fino a estinguersi, nel caso in cui non risulti più necessario il soddisfacimento delle necessità cui esse in origine rispondevano. BOX 2.1 – Lo storicismo Lo storicismo è un movimento filosofico che sorge in Germania alla fine dell'Ottocento Accomuna pensatori come: - Georg Simmel - Oswald Spengler - Max Weber Lo storicismo tedesco non può essere considerato come una omogenea scuola di pensiero; ritiene che non si debbano ricercare leggi generali della trasformazione storica, ma che i fenomeni storici debbano essere indagati nella loro specificità e individualità. Le scienze che studiano la storia e la società hanno un metodo diverso da quello di cui si servono le scienze della natura Il processo storico è d'altronde il prodotto "culturale" dell'opera degli esseri umani ➔ Non la realizzazione di un principio superiore, che si impone grazie agli individui in carne e ossa Il termine "storicismo" è utilizzato in un'accezione più ampia, che considera “la realtà come un prodotto storico in costante mutamento e mai identico a sé stesso” - Es. Hegel: secondo lui la realtà è storia, nel senso che ciascun momento è un risultato della storia che lo ha preceduto e la premessa del futuro che lo seguirà Posizione che assumono Marx e Friedrich Engels sulla politica (autori del Manifesto del partito comunista): - Non hanno mai esposto in modo organico la loro concezione antropologica; MA in alcuni scritti suggeriscono l'idea che la natura umana non esista, o che, formulare una domanda del genere equivalga a porsi un quesito sbagliato. Marx scrive ‘Nella produzione sociale della loro esistenza’ che «gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali» 2.1 – Lo storicis o Lo st ricis è vi e t fil s fic c e s rge i er a ia a la fi e e l' tt ce t cco una pensatori co e: - eorg Si el - s ald Spengler - ax eber Lo st ricis te esc essere c si erat c e a ge ea sc la i e sier ; ritie e c e si e a ricercare leggi generali de la trasfor azione storica, a che i feno eni storici debbano essere indagati ne la loro specificità e individualità. Le scienze che studiano la storia e la società hanno un etodo diverso da que lo di cui si servono le scienze de la natura Il processo storico è d'altronde il prodotto "culturale" de l'opera degli esseri u ani on la realizzazione di un principio superiore, che si i pone grazie agli individui in carne e ossa Il ter ine "storicis o" è utilizzato in un'accezione più a pia, che considera “la realtà co e un prodotto storico in costante uta ento e ai identico a sé stesso” - Es. egel: secondo lui la realtà è storia, nel senso che ciascun o ento è un risultato de la storia che lo ha preceduto e la pre essa del futuro che lo seguirà - In questa prospettiva la sovrastruttura giuridica e politica di una determinata società scaturisce dalla struttura economica della società. Una simile impostazione ha due implicazioni significative: 1. la prima delle quali riguarda come viene concepita la natura umana: - Nella ‘Produzione Materiale Della Loro Esistenza’ gli esseri umani non si limitano a costruire manufatti, che nella società capitalistica diventano merci, ma contribuiscono anche a creare quel mondo artificiale che plasma la loro stessa coscienza della realtà. - Per Marx ed Engels l'essere umano è quell'ente generico che produce sé stesso, che modifica nella storia non soltanto le condizioni materiali della propria esistenza, ma anche i bisogni, la coscienza, la concezione del mondo - La cosiddetta "natura umana" è in realtà il prodotto mutevole della storia, quella stessa storia che gli esseri umani creano, modificando l'ambiente che li circonda. - In altre parole, gli esseri umani non sono determinati - o dalla loro "natura", bensì solo dalla "cultura", dall'ambiente sociale ed economico in cui si trovano a vivere che plasma le menti e i corpi -> rendendo ciascun essere umano un prodotto culturale 2. La seconda implicazione dell'impostazione marxiana riguarda la politica cioè l'idea che le istituzioni politiche (scaturite dal conflitto di classe) possano un giorno sparire a causa del mutamento dei rapporti di produzione e della conseguente scomparsa della divisione di classe. - I due fondatori del "materialismo storico" propongono una visione della società lacerata da conflitti (Manifesto dei comunisti: ‘la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe’). - il discorso del conflitto sembrerebbe accomunare Marx ed Engels ai classici del realismo politico, ma in realtà se ne distanziano: o per loro il conflitto è il prodotto di determinate condizioni storiche di diseguaglianza e sfruttamento e, quindi, una condizione che può essere tendenzialmente eliminata. o Per l'altro verso, ritengono che la società comunista del futuro, dopo il "superamento" del modo di produzione capitalistico, sarà priva di divisioni di classi e dunque senza istituzioni politiche. - Anche per Marx ed Engels la politica appare come una conseguenza della divisione in classi della società e, in particolare, della necessità di garantire il dominio di una classe sull'altra. o Il potere politico è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra e proprio perché esso scaturisce dalla divisione in classi, se ne può immaginare la progressiva sparizione in conseguenza del superamento delle diseguaglianze e dei conflitti. o La comunità reale, nella futura società comunista immaginata dai due tedeschi, sarà in grado di assicurare una piena armonia fra gli individui e il superamento dei loro conflitti -> così lo Stato e la politica perderebbero la loro stessa ragion d'essere - In altre parole, tutti gli elementi che sono riconducibili alla "politica" (formazione di gerarchie, distinzione tra capi e seguaci) non sono intesi come elementi che accompagnarono gli esseri umani fin dall’inizio della loro esistenza, MA solo come conseguenze del progresso sociale, dell'introduzione della divisione sociale del lavoro, della formazione di diseguaglianze sociali e della necessità di assicurare il dominio di una minoranza o di una classe sul resto della società. QUINDI: L'essere umano non è un animale politico, ma solo un animale sociale. Mentre la politica è solo uno strumento di dominio legato ad alcune particolari condizioni storico-sociali, per questo, se ne può prevedere la scomparsa. L'immagine di una futura società comunista, nella quale lo Stato si estingue può apparire sin troppo semplicistica: ipotizza un mondo privo di conflitti, in cui gli individui vivono in armonia con i propri simili, senza la necessità di istituzioni che garantiscano l'ordine con l'utilizzo della forza. - La politica è solo una costruzione sociale, storica e culturale: una costruzione che "istituisce“la realtà dando forma e struttura interna alla condizione umana e ai rapporti fra gli individui Breve biografia di Karl Marx (1818-1883) - Nato a Treviri in una famiglia di ebrei convertiti - Studiò filosofia a Bonn e a Berlino. - Nel 1842 fu redattore della «Rheinische Zeitung», un foglio democratico, che l'anno successivo dovette chiudere a causa della censura. - Si spostò a Parigi dove entrò in contatto con gli ambienti radicali e socialisti e conobbe Friedrich Engels, con cui stese ‘L'ideologia tedesca’:un manoscritto in cui venivano esposti i principi di fondo della nuova concezione materialistica della storia - Espulso dalla Francia, nel 1845 Marx si trasferì in Belgio, dove aderì alla "Lega dei giusti", in procinto di trasformarsi in "Lega dei comunisti". - Nel 1848 scrisse, insieme a Engels, il Manifesto del partito comunista, che sarebbe diventato nel tempo il cardine del cosiddetto "socialismo scientifico", adottato come guida da molti partiti socialisti e comunisti. - Con lo scoppio della rivoluzione, nel 1848 tornò in Germania, ma l'anno successivo, a seguito della restaurazione, dovette nuovamente espatria-re, riparando a Londra, dove rimase fino alla morte. - Nel 1859, pubblicò ‘Per la critica dell'economia politica’ e nel 1867 il primo libro del ‘Capitale’, la sua opera più importante - Nel 1864 partecipò alla "Prima Internazionale" in cui assunse un ruolo di primo piano - Fu soprattutto dopo la morte che il "marxismo" venne a identificare una vera e propria corrente dottrinaria 2.6. IL MODELLO EVOLUZIONISTA Ancora oggi molti scienziati sociali continuano al modello storicista attribuiscono alla spiegazione dei fenomeni sociali e politici un peso preponderante alle variabili economiche, culturali, istituzionali, negando invece ogni rilevanza alle determinanti "naturali". Negli ultimi decenni alcune scoperte compiute nel campo delle scienze naturali hanno riaperto la discussione sull'esistenza della natura umana: ➔ La spiegazione dei fenomeni politici non può fare a meno di considerare il ruolo di invarianti "naturali", non riducibili ai condizionamenti ambientali. I progressi delle neuroscienze hanno riacceso in parte la convinzione che la politica possa essere ricondotta ai meccanismi "naturali" che la mente umana ha ereditato dalla storia evolutiva dell'Homo sapiens -> è stata rivitalizzata una prospettiva che aveva influenzato le scienze sociali nella seconda metà dell'Ottocento secondo cui la "natura" degli esseri umani non era molto diversa da quella delle altre specie animali. Punto di partenza di questo modello: Il vero punto di svolta coincide con la pubblicazione dell’ Origine delle specie di Charles Darwin (1859): l'idea che esista una netta differenza tra umani e animali viene ridimensionata. - secondo la teoria dell'evoluzione, anche la specie umana è l'esito di un lungo processo di selezione naturale. - secondo Darwin ogni organismo vivente ha come obiettivi primari la propria la sopravvivenza la riproduzione, MA, poiché le risorse disponibili (in primo luogo il cibo) non sono sufficienti a soddisfare tutte le specie presenti sul pianeta, si sviluppa una competizione che ha vincitori e vinti: solo gli individui di ciascuna specie che risultano più adatti all'ambiente circostante riescono a sopravvivere, mentre gli altri soccombono. - Anche nel processo di evoluzione umana dovrebbe essere riconosciuta importanza a quei meccanismi naturali che accomunano tutte le specie viventi. Seguendo le orme di Darwin, alcuni studiosi si sono chiesti se anche la politica non sia legata alla natura -> cioè la conseguenza di istinti radicati nel patrimonio genetico ereditato dai nostri antichi progenitori. - Fino a qualche decennio fa, la maggior parte degli studiosi sosteneva che il comportamento umano non risultava essere determinato dagli istinti, MA da norme socioculturali apprese dai singoli, oltre che dalle decisioni individuali. - Anche la politica e le sue dinamiche dovrebbero essere interpretate solo come un risultato della cultura e non come l'esito di istinti primordiali Questa convinzione è stata però attaccata, a metà del Novecento, da discipline come “l’etologia" e la "sociobiologia”, che hanno attirato l'attenzione sulle analogie tra il comportamento animale e il comportamento umano. - Es. studi di etologia comparata di Konrad Lorenz: mostra come anche gli animali siano in grado di apprendere "culturalmente" alcuni comportamenti - Es. anni 60-70 l’'etologia comparata si concentrò sull'aggressività e sulle relazioni gerarchiche: lo zoologo austriaco Eibl- Eibesfeldt, studiando formazione dei legami sociali, ha trovato sorprendenti somiglianze nel caso delle richieste di assistenza e dei richiami infantili, i quali vengono ritualizzati e diventano segnali di amicizia e di corteggiamento - Analogie marcate a proposito di comportamenti con connotazioni "politiche" -> i comportamenti aggressivi tra membri della medesima specie e la formazione di una gerarchia di rango all'interno di un gruppo Nessuna delle scienze che studiano la scimmia nuda (l’uomo) contesta che la natura umana tenda a modificarsi nel corso del tempo -> perché la natura umana viene considerata come il risultato di una sorta di "co-evoluzione", in cui giocano un ruolo rilevante i fattori ambientali ma anche la tecnologia e la cultura create dagli stessi esseri umani. Elementi distintivi del modello evoluzionista: 1. Secondo gli evoluzionisti non esiste uno stato di natura analogo a quello concepito dai giusnaturalisti, perché, fin dagli albori, l'Homo sapiens ha vissuto all'interno di organizzazioni sociali 2. Ritengono che la natura umana esista , nel senso che, vi sono regolarità ereditarie, risultate del processo evolutivo e del patrimonio genetico, che influenzano i comportamenti degli esseri umani, il loro modo di pensare, di agire e di organizzarsi (anche fenomeni come le guerre, la diseguaglianza, i conflitti sociali possono essere spiegati ricorrendo alla "natura") 3. L'evoluzione culturale, non è realmente indipendente dalla natura, perché è comunque il risultato della predisposizione genetica umana 4. I comportamenti politici sono un lascito della storia evolutiva dell'Homo sapiens, - Es. l'aggressività, la spinta a conquistare un ruolo di potere e di prestigio o la tendenza alla difesa del gruppo cui si appartiene sono componenti ereditate dal passato primordiale, che non possono essere cancellate né completamente dominate dalle regole sociali e dalle istituzioni, persino nelle società contemporanee; Quell’esempio di sillogismo che aveva imparato nel trattato di logica di Kizeveter - Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, dunque Caio è mortale – gli era parso, in tutta la vita, giusto soltanto nei riguardi di Caio, mai nei riguardi suoi. Caio poteva condurre a termine l’istruzione d’un processo? << Caio, sì, è mortale, ed è giusto che muoia, ma non io, Vania, Ivan Il’ič, con tutte le mie sensazioni, i miei pensieri; per me è un altro affare. E non è possibile che mi tocchi di morire. Sarebbe troppo atroce >>. (Tolstòj, la morte di Ivan Il’ič, 1886) Heidegger si pone l’obiettivo di determinare il problema dell’essere, in particolare evidenzia come l’uomo debba essere concepito come l’ente che si interroga sul senso dell’umano e come non possa essere ridotto a puro oggetto. Il modo di esistere dell’essere umano è un esserci (Daisen) da intendere come essere-nel-mondo, che a sua volta è anche sempre con-esserci, ovvero essere con gli altri. È una possibilità sempre da attuare, un poter-essere vuol dire progettare. Heidegger tratta anche il tema della morte, infatti gli esseri umani, a differenza di tutti gli altri animali, sono consapevoli di questa condizione (essere-alla-morte), che accompagna ogni essere umano dal momento in cui acquista una conoscenza della propria fragilità. L’essere-alla-morte si manifesta attraverso il sentimento specifico dell’angoscia, che non scaturisce da una paura specifica ma dalla condizione stessa dell’esserci-nel-mondo. La risposta all’angoscia è la citazione della propria finitezza che si traduce in una proiezione strutturale verso il futuro definita come cura (Sorge), che è una condizione esistenziale e strutturalmente connessa all’essere-alla-morte. Gehlen crede che l’essere umano costituisca uno speciale problema biologico poiché non è adatto a vivere nell’ambiente in cui si trova, infatti vi sono una serie di carenze date dal mancato sviluppo. Gli animali e gli insetti sono adatti a vivere nel loro habitat, al contrario degli umani che oltretutto non sono dotati di rivestimenti che li proteggano come zanne e artigli e devono anche accudire i figli per un lunghissimo tempo. Secondo Gehlen in condizioni naturali e in mezzo ad animali, l’essere umano sarebbe stato già da tempo eliminato dalla terra. L’incompiutezza dell’essere umano lo porta a cercare all’esterno del proprio corpo quegli strumenti di difesa di cui è naturalmente privo. La specie umana ha una specifica apertura al mondo ovvero una condizione è un’attitudine che porta a ricercare nel mondo esterno gli strumenti per preservare la sicurezza che non gli possono garantire artigli e zanne. L’essere umano è diverso dagli animali perché: ▪ Ha il limite dell’apertura al mondo, in quanto non riesce ad adattarsi all’ambiente naturale che lo circonda. Questa apertura è caratterizzata dall’assenza di specializzazione e dall’indeterminatezza ▪ Non è capace di vivere naturalmente in un particolare ambiente, lo porta a dover risolvere il problema della conservazione della vita. Complicato rapporto tra natura e cultura L’incompiutezza biologica pone l’uomo di fianco alla necessità di trasformare il mondo che lo circonda fino a costruire un mondo artificiale con strumenti tecnici e regole, che diventa una sorta di “seconda natura”, ma in realtà è un distanziamento dalla natura Il distanziamento può essere: ▪ spaziale: perché l’individuo si allontana da ciò che è immediatamente visibile nel luogo in cui si trova fisicamente ▪ temporale: è il distanziamento da ciò che è visibile nel presente, ricordando il passato o immaginando il futuro Gli strumenti che consentano il distanziamento sia spaziale che temporale sono linguaggio e simboli che solo l’essere umano possiede e non l’animale. L’animale inoltre vive nell’adesso, perché ha la sensazione di fame che lo spinge a momenti di ricerca e lo fa imbattere nella preda. Al contrario l’uomo pensa già alla fame futura, questo lo rende affamato e lo porta in uno stato continuo di vigilanza. La tecnica è l’insieme di capacità e mezzi con cui l’uomo mette la natura al suo servizio, è il modo in cui l’umano si adatta all’ambiente ostile in cui si trova a vivere e di conseguenza è insita nella natura stessa dell’essere umano. Le istituzioni sono lo strumento principale per controllare la progettazione del futuro e la vita pulsionale. Gehle per istituzioni intende il complesso di istituti, leggi e norme di comportamento che hanno il ruolo di puntelli esterni per l’azione dell’essere umano. Hanno la funzione di dare sostegno, infatti se si distruggono le istituzioni, si liberano le insicurezze di base. Gehlen definisce l’animale progettuale come un animale naturalmente inadatto a qualsiasi ambiente in cui si trova a vivere che deve necessariamente modificare il proprio ambiente distanziandosi temporalmente e spazialmente dalla natura e creando così un mondo artificiale (seconda natura). È un animale che costruisce e vive sempre in un mondo culturale. Cassier chiarisce in quali termini deve essere intesa la “seconda natura”. Gli esseri umani si sono dovuti adattare ad un ambiente circostante e hanno avuto a che fare con altre specie viventi, in tutte le specie animali si possono trovare 2 sistemi: 1. il sistema ricettivo 2. il sistema reattivo entrambi relativi alle modalità con cui si ricevono le sollecitazioni dall’ambiente esterno e con cui si risponde ad esse. Negli esseri umani c è un 3° sistema: 3. il sistema simbolico: attraverso questo viene sperimentata una nuova realtà, e l’uomo è trasportato in un universo simbolico di cui fanno parte il linguaggio, il mito, l’arte, la religione e la scienza. Questo sistema simbolico è rafforzato dal pensiero e dall’esperienza. Secondo Cassier l’essere umano, più che come animale sociale o razionale, deve essere concepito come animale simbolico: come un animale collocato all’interno di un mondo simbolico e non solo naturale. Man mano che l’attività simbolica avanza la realtà fisica retrocede perché l’essere umano prova emozioni come paura speranza, ma anche fantasie e sogni. Questo mondo simbolico creato per rispondere alle sollecitazioni del mondo naturale finisce col creare per gli esseri umani una “seconda natura”, da cui è impossibile sfuggire. Le riflessioni di Heidegger, Gehlen e Cassier Riconoscono la differenza specifica degli esseri umani nella loro natura di animali progettuali e simbolici, questa stessa differenza rende l’umano irriducibile alla dimensione biologica da cui però dipende. Nel prossimo paragrafo tratteremo il pensiero del politologo Friedrich che ha frequentato l’università in Germania, negli anni 20 si è trasferito negli Stati Uniti per un dottorato, in cui è rimasto durante l’ascesa al potere del nazionalsocialismo. È tornato in Germania dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e nel 1936 è diventato professore ad Harvard studiando la teoria politica. 5.3 L’animale comunitario La comunità che si forma da più villaggi, infine, è la città compiuta, che raggiunge ormai il limite, per così dire, della completa autosufficienza – e nonostante sorga per rendere possibile la vita, si mantiene poi per rendere possibile una vita buona. (Aristotele, Politica) Friedrich rivede e aggiorna la definizione di politica e sottolinea con forza la politicità dell’homo sapiens: “L’umano è un essere che vive in comunità, duttile e infinitamente adattabile, che possiede e condivide degli scopi che specificano la sua funzione comunitaria, che esperisce se stesso come un sé e che comunica con se stesso e con gli altri tramite un linguaggio (segni vocali)” Riconosce i 5 caratteri fondamentali della natura degli esseri umani: 1) Vivere in comunità È impossibile comprendere le caratteristiche dell’homo sapiens senza considerare la dimensione comunitaria della sua esistenza. Può essere compreso solo nel contesto delle relazioni che ha con i suoi simili e non in un caso isolato. 2) La duttilità e l’adattabilità L’essere umano è capace di adattarsi ad ambienti differenti e a trovare nuovi modi di gestire situazioni inedite (= Gehlen) 3) L’intenzionalità L’essere umano è in grado di fissare degli obiettivi e di perseguirli anche per tutta la vita questo è connesso al fatto che sa distanziarsi spazialmente e temporalmente dal presente, come sostenuto da Gehlen. Grazie alla memoria gli umani sono esseri intenzionali, inoltre a differenza degli altri animali non possono vivere senza uno scopo, perché questo è il fondamento del ragionare. Un tratto comune dell’uomo è perseguire vari e molteplici scopi nel medesimo tempo come soddisfare i bisogni fisici e materiali (cibo, vestiario e abitazione) 4) La percezione di sé Il sé è l’elemento che rimane costante nonostante le trasformazioni del corpo, anche se nel tempo subisce delle trasformazioni impercettibili alla persona. È sperimentato da ogni essere umano, quindi è universale, nonostante ciò ciascun essere umano ritiene che il proprio sé sia differente da quello di qualsiasi altro individuo. La percezione del sé che porta a riconoscere l’identità di ogni individuo è alla base di uno specifico tratto della comunità degli esseri umani. La comunità è composta dai se dei diversi individui che hanno però scopi comuni Che nonostante ciò non potranno mai essere totalmente comuni perché i sé sono separati e distinti. 5) Il linguaggio Consiste in un insieme di simboli che consentono la comunicazione efficiente all’interno di un gruppo umano non solo nello spazio ma anche nel tempo (lega il presente al suo passato ed al suo futuro). Questo pensiero di Friedrich è comune anche ad Aristotele. Tutte le caratteristiche precedentemente elencate non sarebbero concepibili senza la comunicazione che si realizza attraverso il linguaggio, poco il linguaggio porta a mettersi in relazione con altri individui. Questi 5 caratteri individuali sono connessi alla definizione di comunità politica. Secondo Friedrich una comunità politica è tale solo nella misura in cui i singoli si mostrino in quanto persone, dotate quindi di identità distinte. Non tutte le comunità sono però politiche. La politica esiste solo quando esiste una comunità, ma le comunità solo in alcuni casi sono effettivamente comunità politiche. La comunità politica è un gruppo di persone unite dall’avere in comune alcuni o tutti i valori (scopi o interessi); e l’assenza di uno di essi può rappresentare un fattore di debolezza. All’interno della comunità politica troppa unità può trasformarsi in fragilità come nei casi dei regimi totalitari. Le concrete comunità politiche possono differire anche per la maggiore o minore strutturazione. Friedrich distingue le comunità tra quelle fondate sull’amore e fondate sulla legge, tra comunità organiche e intenzionali, tra comunità realmente esistenti e comunità puramente immaginarie. Le comunità reali non sono mai l’una o l’altra di queste sei possibilità, possono essere solo alcune oppure tutte sei. Contribuiti fondamentali nella discussione novecentesca sono stati dati da: ▪ Max Weber che sostiene che solo i gruppi realmente politici possono utilizzare il monopolio dell’uso legittimo della forza fisica, imponendo coercitivamente le loro decisioni a tutti i membri ▪ David Easton sostiene che la proprietà distintiva della politica si identifichi nell’assegnazione imperativa dei valori ▪ Carl Schmitt riconosce a livello politico la distinzione tra amico (Freud) e nemico (Feind) ▪ Gaetano Mosca evidenzia la divisione tra governanti e governanti e quindi la formazione di una minoranza che è Sotto il controllo di una specifica minoranza che monopolizza il potere e gode dei suoi vantaggi ▪ Stefano Bartolini per dare la sua definizione di politica utilizza sei differenti opzioni come: