Scarica La Crisi e la Rinascita del Cinema Italiano: Dal Settanta agli Oggi - Prof. Colombo e più Dispense in PDF di Storia Dei Media solo su Docsity! IL CINEMA ITALIANO, UN MEDIUM MUTANTE Il 13 febbraio 1988 un incendio distruggeva il cinema Statuto di Torino provocando 64 vittime. Il 21 marzo 1900, al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles, il Am La vita è bella di Roberto Benigni (uscito in Italia due anni prima) si aggiudicava tre premi Oscar. Possiamo assumere i due eventi come emblematici dei due periodi in cui è scandita la storia del cinema italiano dalla fine degli anni Settanta a oggi. Il primo periodo, che arriva all'incirca fino alla fine degli anni Novanta, è stato spesso visto come un'era buia del nostro cinema, ridotto a cadavere dalla spie- tata concorrenza della neotelevisione. Il secondo periodo, dalla fine degli anni Novanta a oggi, può invece essere caratterizzato da una ripresa o da più riprese sia economiche sia più ampiamente identitarie. Il cinema italiano degli ultimi qua- rant'anni circa ha vissuto una profonda e traumatica mutazione da sistema relativamente chiuso e omogeneo a sistema aperto agli altri media e interna- mente frammentato. In questo senso fermenti creativi e segni di vitalità non sono mai venuti meno: tuttavia, per un certo periodo, essi non sono stati ade- guatamente percepiti, configurati, valorizzati. Gli anni più recenti hanno visto al contrario una accettazione del nuovo e dunque una riconfigurazione sociale del medium cinematografico, grazie all'apporto di vari autori ma soprattutto di una nuova generazione di produttori. Un cinema che brucia bene: gli anni degli ‘schermi opachi' (1978-1999) Torniamo al tragico evento del 13 febbraio 1983: l'episodio di Torino sem. bra incarnare quella sparizione del cinema italiano si assiste a un progressivo crollo nelle vendite dei biglietti, e altrettanto certamente le sale vengono decimate a fronte del diffondersi dei consumi neotelevisivi. Consideriamo in primo luogo il piano della produzione, Emerge in tutta la sua forza in questo periodo la debolezza di un sistema produttivo autarchico, privo tanto di mezzi economici ingenti quanto di strategie a lungo termine: produttori italiani cercano di sfruttare fino all'osso i filoni che appaiono red- ditizi alimentando una produzione popolare: negli anni Ottanta si tratterà dei film scollacciati; più tardi saranno i film dei comici emergenti dagli show televisivi o i cinepanettoni. Si tratta di una non-strategia che lascerà per lo più le sale di prima visione ai blockbuster americani. In questo quadro, una boccata di ossigeno viene proprio dalle aziende tele- visive. La Rai avvia una politica di produzione di cinema d’autore. Fininvest investe invece soprattutto sulla commedia. Si prolunga inoltre il fondamentale sostegno pubblico. Il finanziamento pubblico, se in molti casi è utile per lanciare esordienti di valore o film d'autore, in altri casi finisce per consen- tire la realizzazione di film di giovani autori invisibili e in buona parte impro- ponibili per la scarsa qualità della scrittura, della ripresa e della recitazione. Da segnalare la nascita di alcune nuove esperienze di produzione autonomi. 1 Si tratta di iniziative che smuovono le acque sotto due aspetti: che muovono le figure dei giovani autori professionisti e soprattutto liberano il cinema italiano dal romano centrismo aprendolo a nuovi linguaggi e nuove culture territoriali. I loro frutti si vedranno soprattutto nel periodo successivo. Se passiamo dal piano della produzione a quello dei prodotti ci accorgiamo giamo che il panorama e dominato dalla compresenza di generazioni e stili cinematografici differenti, che stentano a comunicare tra loro; al tempo stesso, si crea una forbice tra cinema d'autore e cinema popolare con l’esclusione quindi di un ipotetico prodotto medio". Le generazioni di autori operanti sono almeno quattro. Quella emersa nel dopoguerra e quella im- mediatamente successiva lavorano ancora molto: Fellini; Michelangelo Antonioni; Ettore Scola. La generazione affiorata negli anni Set- tanta raggiunge la sua maturità e ottiene notevoli successi: Bernardo Berto- lucci; Dario Argento. Tra i nomi della nuova generazione che emerge negli anni Ottanta spic- cano quelli di Nanni Moretti e di Gianni Amelio. Sempre in questo pe riodo esordisce una nuova generazione di comici 'pensosi' etichettati dalla critica dell'epoca come 'malincomici": Carlo Verdone (Un sacco bello, 1980), Massimo Troisi (Ricomincio da tre, 1981), Maurizio Nichetti (Ho fatto splash, 1979). Spicca nel gruppo la figura anomala di Roberto Benigni. Ad essi si aggiungono nell'ultima fase di questo periodo nuovi volti che pre annunciano le imminenti trasformazioni: Leonardo Pieraccioni (Il ciclone 1996) e il trio Aldo Giovanni e Giacomo (diretti da Massimo Venier: Tre ua mini e una gamba, 1997). Infine, nel corso degli anni Novanta si assiste all'affermazione di una quarta ondata di autori e all'emergere di un ‘giovane cinema’, cinema orientato verso un prodotto medio’. Gabriele Salvatores, Giuseppe Tor- natore, Paolo Virzì. Al quadro della produzione e a quello dei prodotti si può infine accostare la scena del consumo e in genere della percezione del cinema italiano da parte della società (un tema sul quale torneremo nelle conclusioni). L'im- pressione è che esista uno scollamento evidente tra un pubblico che si è evo- luto ed è divenuto molto articolato da un lato, e una offerta rimasta ferma troppo spesso a categorie e proposte anacronistiche dall'altro. Certo, le cause dell'abbandono delle sale sono numerose: i passaggi di film in televisione e la diffusione dell'homevideo (con il connesso problema della pirateria), la ridotta attrattiva delle sale, la povertà delle attività di marketing, la fine dei cineclub dedicati alle nicchie di consumatori più colte ecc. Conta tuttavia, anche e soprattutto, l'incapacità della produzione di soddisfare le richieste di un pubblico ringiovanito e mediamente colto. La voglia di cinema si con- centra piuttosto in nuovi luoghi di aggregazione come i festival Filmmaker di Milano Vite belle, pazze gioie: una rinascita' del cinema italiano? (2000-2016) La clamorosa vittoria plurima di La vita è bella agli Oscar del 1999 può essere 2 di quella difficoltà che il cinema italiano avrebbe, lo si trova spesso ripetuto, a raccontare il presente, cioè a proporsi come dispositivo di rispecchiamento culturale. Perché è in effetti una separatezza, un carattere postumo che riguarda in secondo luogo anche la storia del cinema: tanto Gian Piero Brunetta quanto Millicent Marcus (in After Fellini) individuano nella morte di Fellini (nel '93) una Cesura simbolica , L'addio definitivo al cinema dei padri e dei maestri, alla stagione più gloriosa del film d'autore italiano della quale si sottolinea una replica abilità quasi mitologica. In terzo luogo è una separatezza ideologica, una nostalgia per l'impegno che si sovrappone spesso a una nostalgia puramente storica, ma abbraccia in realtà un più ampio arco di tempo che comprende l'epoca post terroristica e quella berlusconiana. Ma la separatezza è pure, letteralmente, geografica il cinema italiano non è più quello del passato ma al contempo non è (ancora) quello di altrove. Un cinema altrimenti accusato di essere 'troppo italiano’. E poi certamente anche una separatezza mediologica: è un cinema che sa- rebbe stato reso marginale e vampirizzato dalla televisione e che da un mo- dello televisivo oggi discenderebbe, economicamente, ma anche linguisti- camente, per lo stile, gli attori, i registi, i produttori. E ancora: il tropo della separatezza riguarda anche l’ambito estetico, ridotto in sostanza al confronto col neorealismo, che produrrebbe risultati definiti talvolta 'neo-neorealisti' (ad esempio, lo slow cinema di Frammartino) e un 'ritorno al referente', o al contrario il passaggio a un paradigma post-realista. occorre infine Sottolineare che il tema della separatezza come principio di spiegazione del cinema italiano recente si lega strettamente alla sottolineatura di una persistente condizione di crisi del nostro cinema: di crisi ci parla ciclicamente nel cinema italiano, e da ben prima degli anni Ottanta. è proprio su di essa che sembra fondarsi un'identità del cinema italiano contemporaneo. TUTTO CAMBIA. NULLA CAMBIA. IL CINEMA COME IMPRESA E COME MERCATO di Mariagrazia Fanchi Tra il 1978 e il 2012 il cinema, non meno degli altri media, è investito in Italia da una serie di mutamenti eclatanti. Il 1978 attesta, sotto il profilo della produzione, della di- stribuzione e del consumo, il perdurare di una crisi, che si rivela irreversibile. Il cinema di questi anni si presenta, insomma, come un'impresa in dismissione. Io è dal punto di vista produttivo. Il numero di film italiani decresce. Si assiste a una progressiva omologazione dei generi cinematografici e alla crescita ipertrofica delle commedie, dalle trame esigue e baricentrate su un solo personaggio?. Cresce la relazione fra produzione cinematografica e produ- zione televisiva. Neppure la creazione del 5 Fus (il Fondo Unico per lo Spettacolo) nel 1985 riesce a imprimere un'ap- prezzabile svolta alla produzione. La situazione non appare migliore se ci si rivolge all'esercizio e al con- sumo. Gli anni Ottanta sono, come sappiamo, un decennio horribilis per le sale cinematografiche. L'irrigidimento della normativa in materia di sicurezza dà il colpo di grazia. Fra il 1978 e la meta degli anni 90 chiudono molte sale. In questo contesto il prodotto filmico non sparisce dallo scenario culturale, ma si immette in canali alternativi di sfruttamento: non più la sala, ma i palinsesti televisivi, prima, e poi le vedo cassetta. alcuni sussulti cominciano a essere rilevati alla metà degli anni Novanta. sono molti fattori che creano una, seppure temporanea, congiuntura positiva". Il dato di novità con cui - cinema si accomiata dal secolo breve è la diffusione anche in Italia dei mul. tisala e, successivamente, dei multiplex. La crescita del numero di schermi porta con se anche una positiva crescita dei bihlietti venduti. Il trend positivo di è sostenuto anche dalla produzione. La stagione 2001 si caratterizza per un aumento della quota di mercato dei film italiani. La crescita dei consumi si accompagna, infine, all'estensione del comparto dell'homevideo, del dvd e delle tecnologie a esso correlate". Superato il primo lustro del nuovo millennio, il mercato e l'impresa ci- nematografici entrano in una fase di stagnazione'. Interpretato come una paradossale conseguenza della legge Urbani (2004), la cui preannunciata entrata in vigore porta dapprima a un in- cremento dell'apertura di nuovi complessi multischermo e subito dopo a una frenata, con la conseguente contrazione del volume dei biglietti venduti. Nel 1978, con Sardegna: si conclude con il grande progetto L'Italia vista dal cielo, Un opera in quattordici film realizzata da Folco Quillici per la Esso. la serie presenta una dopo l'altra le regioni italiane. È certo sintomatico che a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta si senta ancora l'urgenza di dare un volto al Paese, in quegli anni il più potente strumento di costruzione del visibile. E quindi a partire dalla fiducia pienamente moderna nel potere del cinema di svelare e dar forma al mondo che prende corpo questo progetto di una geografia per immagini. Più ancora, l'interesse per quel che è mutato nel tempo si accompa- gna alla ricerca di quel che del passato permane. Il cinema ha certo contribuito a costruire un'immagine dell'Italia e ne ha fissato alcuni tratti di riconoscibilità, presto divenuti cliché. È un'Italia 'tipica', prima ancora che falsa, verosimile perché 'comune'. La capacità di osservare il paesaggio e di restituirne immagini inedite viene, negli anni, sempre più consegnata al documenta- rio, alle produzioni indipendenti e marginali. 6 Un paesaggio perduto Nel 1978 vince la palma d'oro al festival di Cannes l'albero degli zoccoli di Ermanno olmi.presidente della giuria e Rossellini. È il ritratto di un mondo contadino atavico, immobile, osservato nella sua quotidianità elementare innocente. È l'immagine di un passato recente del paese, che l'industrializzazione forzata e il miracolo economico hanno travolto il rimosso; è proprio il rapporto con il passato è un punto di vivo interesse del cinema italiano di questo periodo. Lo sforzo di costruire un altro sguardo sul mondo, sensibile al reale e all’evidenza del mondo. CONTRO LA COMMEDIA, PER LA COMMEDIA di Gianni Canova Sulle soglie della modernità, Baudelaire coglie con acutezza e lungimiranza un atteggiamento di ostilità intellettuale e di diffidenza accademica nei con. fronti dei generi del comico. La commedia italiana è stata al contempo l'eccellenza e la maledizione del nostro cinema, amata dal pubblico di massa ma disdegnata dagli intellettuali e dai ceti colti. Ancora nel settembre 2016 molti intellettuali e critici italiani fischiavano la mostra di Venezia il film piuma di Johnson, ritenendo l'indegno di apparire in una mostra d'arte cinematografica. Dalla seconda metà degli anni 40 è stata l'architettura portante del nostro cinema: grande container di trasportare ogni tipo di materiale narrativo e di assemblare i codici più svariati, prima gestito la trasmigrazione dei comici dallo spettacolo dal vivo al set e al teatro di posa, poi negli anni Cinquanta si è offerta come potente dispositivo modellizzante per un popolo alle prese con la costruzione di una faticosa identità collettiva, infine - trasformatasi in commedia all'italiana - negli anni Sessanta ha raccontato la mostruosità dell'italiano medio negli anni del boom e ha messo in scena - attraverso procedimenti di sempre più marcata stereotipizzazione - il crescente e strisciante disagio della modernità. Nessun altro genere ha avuto questa ampiezza e insieme questa profondità: ha 'nientificato' sul nascere ogni ipotesi di narrazione popolare alternativa. la commedia ha agito insomma nel tessuto complessivo della società italiana del dopoguerra non solo come macchina per la produzione di modelli di adatta- mento dell'individuo alla società, ma anche come grande ammortizzatore di conflitti e come dispositivo di assoluzione dei comportamenti che risulta- vano di volta in volta 'vincenti' o 'emergenti' in seno alle dinamiche sociali. monolinguismo ha determinato nel corso del tempo la progres siva rimozione dalla scena del cinema italiano del tragico e del sublime, cioè dei due registri istituzionalmente delegati a esprimere proprio ciò che la commedia ritiene sommamente disturbante e incompatibile con i propri statuti finzionali: la rappresentazione del dolore, la messinscena dell'in. quietudine e della paura. 7