Scarica La teoria quantomeccanica e il legame chimico e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Chimica Inorganica solo su Docsity! Per conoscere ciò che ci circonda e le sostanze attorno a noi, è necessario conoscere gli atomi e le molecole che le compongono. Questo è infatti lo scopo principale della chimica, tant’è che una definizione appropriata potrebbe essere: la chimica è la scienza che cerca di comprendere il comportamento della materia, studiando il comportamento degli atomi e delle molecole. La materia è tutto ciò che occupa spazio e ha massa, si può classificare la materia a seconda del suo stato fisico e della sua composizione. La materia infatti esiste in tre stati diversi: solido, liquido e aeriforme. Nella materia solida, gli atomi e le molecole si trovano strettamente impacchettati gli uni vicino agli altri, nonostante vibrino non si spostano né si scambiano di posizione. La materia solida può essere cristallina, nel caso in cui gli atomi e le molecole siano organizzati in schemi ben precisi che vengono ripetuti su lunghe distanze, o amorfa, nel caso in cui gli atomi e le molecole non si trovino in ordini che vengono poi ripetuti a lungo raggio. Nella materia liquida, gli atomi e le molecole si trovano sì vicini, ma sono liberi di muoversi gli uni rispetto agli altri, ciò determina un volume fisso ma non una forma fissa, tant’è che assumono quella del proprio contenitore. Nella materia allo stato aeriforme, gli atomi e le molecole si trovano ad una distanza notevole e sono liberi di muoversi gli uni rispetto agli altri, ciò rende gli aeriformi compressibili e assumono il volume e la forma del proprio contenitore. Inoltre, la materia può essere classificata in base alla propria composizione. La prima divisione in base a questa classificazione è tra sostanza pura e miscela. Una sostanza pura è fatta solo da una componente e la sua composizione non varia tra un campione e l’altro. A loro volta le sostanze pure possono essere classificate in elementi e composti, in base al fatto che possano o non essere separate in sostanze più semplici. L’acqua è un esempio di sostanza pura, ma anche un buon esempio di composto, in quanto costituita da due o più atomi. Inoltre, vi sono le miscele, formate da due o più elementi in proporzioni che possono variare da un campione all’altro. Si possono dividere in due tipi: eterogenee ed omogenee, a seconda di quanto uniformemente le sostanze si possano mescolare fra loro. Ad esempio, le miscele eterogenee sono formate da diverse fasi perché gli atomi e le molecole che le compongono non sono distribuiti in modo uniforme. I chimici devono essere poi in grado di separare le diverse miscele e queste separazioni possono essere facili o difficili a seconda delle componenti delle miscele, ad esempio, è possibile separare una miscela composta da liquidi attraverso il metodo della distillazione: un processo in cui la miscela viene riscaldata con l’obiettivo di allontanare la sostanza più volatile, il vapore viene raffreddato in un condensatore ed il liquido raccolto. Un altro esempio potrebbe essere quello di una miscela composta da un solido insolubile ed un liquido, che può essere separata attraverso il metodo della filtrazione o della decantazione. Ogni giorno assistiamo a trasformazioni della materia, ma cosa accade realmente agli atomi e le molecole che la compongono durante questi processi? La risposta varia anche in base al tipo di trasformazione presa in considerazione, infatti, quelle che alterano solo l’aspetto o lo stato fisico della materia, ma non la composizione vengono chiamate fisiche, durante queste le molecole e gli atomi che compongono la sostanza non cambiano identità. Al contrario, le trasformazioni che alterano la composizione della materia vengono chiamate chimiche e durante queste gli atomi si riarrangiano trasformando le sostanze originali in sostanze diverse. Le trasformazioni, che siano fisiche o chimiche, sono di solito accompagnate da trasformazioni di energia. La definizione scientifica dell’energia è la capacità di compiere lavoro. Il lavoro viene definito come l’applicazione di una forza per una distanza. La generalizzazione che l’energia non è mai creata né distrutta è nota come legge di conservazione dell’energia ciò significa che sebbene l’energia possa cambiare da una forma all’altra, la quantità totale resterà costante. Ciò vale anche per le trasformazioni, l’energia potenziale chimica deriva principalmente da forze elettrostatiche tra particelle elettricamente cariche che compongono gli atomi. Ma cosa sono queste componenti e come sono state scoperte? La parola stessa “atomo” deriva dalla parola greca “atomos” che significa indivisibile, essi costituiscono tutta la materia e se si vuole comprendere quest’ultima, bisogna dapprima comprendere gli atomi. Agli inizi del 1800, uno studioso di nome Brown utilizzò il suo microscopio per visualizzare particelle derivanti da pollini in sospensione sull’acqua. Notò che queste particelle erano in continuo movimento e che queste percorrevano traiettorie casuali sull’acqua allo stato liquido. Solo all’inizio del 1900 si riuscì a capire la causa di questo movimento, quando Albert Einstein sviluppò una teoria che spiegava in maniera quantitativa quello che tutti conoscevano come moto browniano. Il modello spiegava il moto che Brown aveva osservato come risultato dei bombardamenti molecolari delle particelle dovuti all’energia termica dell’acqua. In altre parole, le particelle d’acqua in continuo movimento a causa dell’energia termica, urtavano continuamente le particelle di polline. Ai tempi di Einstein, l’esistenza degli atomi fu dedotta dal moto oscillante che Brown aveva identificato per primo. Ma la teoria atomica si sviluppò a partire da osservazioni e leggi e tra queste le più importanti che portarono all’accettazione della teoria atomica, sono 3: la legge di conservazione della massa, la legge delle proporzioni definite e la legge delle proporzioni multiple. Intorno la fine del 1700, uno studioso di nome Lavoisier formulò la legge di conservazione della massa che afferma: in una reazione chimica, la materia non si crea e non si distrugge. In altre parole, quando avviene una reazione chimica, la massa totale delle sostanze coinvolte non cambia. Questa legge è coerente con l’idea che la materia sia costituita da particelle indivisibili ed infatti queste durante una reazione chimica si riarrangiano e di conseguenza la materia si conserva sempre. Nello stesso periodo, Proust trovò che quando due elementi reagiscono tra loro per formare un composto, il rapporto tra le loro masse è sempre costante, formulando così la legge delle proporzioni definite: tutti i campioni di un dato composto, hanno la stessa proporzione dei loro elementi costitutivi. Intorno all’inizio del 1800, Dalton pubblicò la sua legge delle proporzioni multiple che afferma che, quando due elementi formano più composti, le diverse masse di uno di essi che si combinano con la stessa massa dell'altro stanno tra loro in un rapporto espresso da numeri interi e generalmente piccoli. Inoltre, spiegò le leggi precedenti con la sua teoria atomica secondo cui ciascun Bohr cominciò a pensare a un collegamento tra l’emissione di luce da parte degli atomi e gli elettroni che ruotavano attorno al nucleo. Infatti, se si analizza la luce emessa da un gas rarefatto sottoposto a una scarica elettrica, si ottiene uno spettro a righe. Questo perché ogni atomo assorbe radiazioni di particolare lunghezza d'onda, lasciando passare le altre. Lo spettro di emissione consente di identificare un atomo perché ogni elemento ha un tipico spettro di assorbimento, dato dal fatto che gli elettroni siano situati su orbite o livelli quantizzati e che assorbono o emettono fotoni di precise lunghezze d'onda. Bohr, quindi, fornì una spiegazione agli spettri atomici: ogni riga corrisponde a un ben determinato valore di energia. Inoltre, Bohr propose che un elettrone orbitante in uno stato stazionario non emette nessuna radiazione ma che questa emissione avvenga solo durante il passaggio dell'elettrone da uno stato all'altro. Un elettrone di massa me si muove su un'orbita circolare ad una distanza r dal nucleo. Se l'elettrone ha velocità v, mvr sarà il suo momento angolare. Bohr postulò che nell'atomo di idrogeno erano permesse solo quelle orbite il cui momento angolare è un multiplo intero della costante di Planck (h) diviso 2π: mevr = n ( ) E = -k/n2 (En= -Rh/n2) dove Rh è la costante di Rydberg è n è il numero quantico principale. Il modello di Bohr si presta bene all’interpretazione della struttura dell’idrogeno, ma risulta inadeguato per spiegare la struttura di atomi con più elettroni in cui si rivelano, nei loro spettri, raggruppamenti di righe vicinissime tra loro. I limiti del modello di Bohr nascono dall’inadeguatezza delle leggi della meccanica classica, non adatte a particelle microscopiche come gli elettroni. Il concetto di orbita lascia il posto al concetto di orbitale atomico. Questo perché la meccanica quantistica dimostra che non è possibile definire la traiettoria di un elettrone che ha un movimento delocalizzato. Il cuore della teoria quantomeccanica è la natura ondulatoria dell'elettrone proposta da De Broglie. Tale natura risulta particolarmente evidente nel fenomeno di diffrazione che non è causato da coppie di elettroni che interferiscono fra loro ma piuttosto da singoli elettroni che interferiscono con loro stessi. La natura ondulatoria dell'elettrone è una proprietà intrinseca dello stesso, la sua lunghezza d'onda è correlata alla sua energia cinetica, più velocemente si muove e più è alta la sua energia cinetica e minore la sua lunghezza d'onda. Secondo la relazione di De Broglie, la lunghezza d'onda di un elettrone avente massa m e velocità v: = Per quanto si provi e qualsiasi metodo si utilizzi, l’esperimento della diffrazione di un singolo elettrone dimostra che non è possibile osservare simultaneamente la natura ondulatoria e quella particellare dell’elettrone, essendo entrambe proprietà complementari cioè che si escludono reciprocamente, più si conosce dell’una, meno h 2π 𝝀 h mv si conosce dell’altra. Come osservato nella relazione di De Broglie: la velocità di un elettrone è correlata alla sua natura di onda, invece, la posizione dell’elettrone è correlata alla sua natura di particella. Di conseguenza, non è possibile misurare simultaneamente la sua posizione e la sua velocità. Heisenberg formalizzò quest’idea con l’equazione: Δx mΔv in cui Δx è l’incertezza della posizione, Δv è l’incertezza della velocità, m è la massa della particella e h la costante di Planck. Il principio di indeterminazione afferma che il prodotto tra Δx e mΔv deve essere maggiore o uguale ad un numero finito. In altre parole, tanto più si conosce la posizione dell’elettrone, tanto meno si conosce la sua velocità e viceversa. Dal momento che la velocità è direttamente correlata all’energia, anche la posizione e l’energia sono proprietà complementari. In altre parole, per ciascuno stato si può specificare l’energia dell’elettrone con precisione, ma non la sua posizione che viene descritta in termini di orbitale, una mappa di distribuzione di probabilità che mostra dove è probabile che l’elettrone si trovi. La derivazione matematica delle energie e degli orbitali per gli elettroni negli atomi si ottiene dalla risoluzione dell’equazione di Schrodinger: 𝓗ѱ = Eѱ Il simbolo ѱ (psi) indica la funzione d’onda, una funzione matematica che descrive la natura ondulatoria dell’elettrone. Una rappresentazione grafica della funzione d’onda al quadrato rappresenta un orbitale, una mappa di distribuzione di probabilità della posizione dell’elettrone. Ciascun orbitale è identificato da 3 numeri quantici: - n : numero quantico principale. È un numero intero che determina la dimensione e l’energia complessiva di un orbitale; - l : numero quantico del momento angolare. È un numero intero che determina la forma dell’orbitale. Per un dato valore di n, l può assumere qualsiasi numero intero, 0 compreso, fino a n-1; - ml : numero quantico magnetico. È un numero intero che determina l'orientamento nello spazio dell’orbitale. I possibili valori sono interi e vanno da -l a +l. - ms : numero quantico di spin, specifica l’orientamento delle rotazione dell’elettrone. Una particella carica che ruota su se stessa, genera un campo magnetico e questo può assumere solo due valori + o - . In un atomo non possono esistere più elettroni con tutti i numeri quantici uguali. L’atomo idrogenoide, costituito da un nucleo di un solo protone e quindi da un solo elettrone, è un atomo fittizio per il quale è relativamente facile definire le funzioni “orbitali atomici”. × ≥ h 4π 1 2 La teoria quantomeccanica spiega la disposizione degli elettroni negli atomi, da cui dipendono le proprietà degli elementi. Siccome la tavola periodica è organizzata secondo queste proprietà, ne risulta che la meccanica quantistica spiega in maniera eccellente la struttura della tavola periodica. La disposizione degli elementi nella tavola periodica, in origine basata sulle analogie tra le proprietà degli elementi, riflette il modo in cui gli elettroni riempiono gli orbitali quantomeccanici. Il primo tentativo di organizzare gli elementi in base alle somiglianze nelle loro proprietà fu effettuato da Döbereiner che raggruppò gli elementi in triadi: gruppi di tre elementi con proprietà simili. Successivamente, Newlands organizzò gli elementi in ottave, in analogia con le note musicali. La moderna tavola periodica è attribuita principalmente a Mendeleev, essa si basa sulla legge periodica, per la quale gli elementi sono disposti in ordine di massa crescente e alcune proprietà si ripetono periodicamente. Tuttavia, non si spiega perché alcune proprietà degli elementi si ripetano o perché alcune siano simili. Si può immaginare di “costruire la struttura elettronica” di un atomo andando a collocare un elettrone dopo l’altro nell’orbitale libero ad energia più bassa. In questa operazione si devono tenere presenti due principi della meccanica quantistica: - il Principio di Pauli: due elettroni di un dato atomo devono differire almeno per il numero quantico di spin. Ciò significa che un dato orbitale, definito da n, l e m, può “ospitare” due elettroni, uno con s= + ½ , l’altro con s= - ½. - la Regola di Hund: a parità di energia gli elettroni si distribuiscono negli orbitali occupando il massimo volume. - il Principio di Aufbau: il riempimento del diagramma energetico avviene iniziando dal livello più basso 1s e via di seguito. Successivamente, Moseley mediante il suo lavoro con i raggi X, determinò l’attuale carica nucleare degli elementi (numero atomico). Arrangiò poi gli elementi in ordine di numero atomico crescente. Inoltre, la tavola periodica può essere suddivisa in quattro blocchi che corrispondono al riempimento dei quattro sottolivelli quantici (s, p, d, f). Il numero del gruppo di un elemento dei gruppi principali è uguale al numero degli elettroni di valenza di quell’elemento, essi non sono altro che gli elettroni coinvolti nella formazione dei legami principali. Il numero della riga di un elemento dei gruppi principali è uguale al numero quantico principale più alto di quell’elemento. Le proprietà chimiche degli elementi sono in gran parte determinate dal numero di elettroni di valenza che possiedono. I gas nobili, ad esempio, hanno tutti 8 elettroni di valenza eccetto l’elio (2), essi sono particolarmente stabili. Mentre, gli elementi con configurazione elettronica vicina a quella dei gas nobili sono quelli più reattivi perché possono raggiungerla acquistando o perdendo pochi elettroni: gli alogeni sono i non metalli più reattivi perché hanno un solo elettrone in meno rispetto alla configurazione di un gas nobile e tendono a reagire per acquistarlo. Ma quali sono queste proprietà periodiche? Un esempio è il raggio atomico, definito come la metà della distanza minima di avvicinamento tra gli atomi di una sostanza elementare. Man mano che ci si sposta lungo una colonna nella tavola, il legame è covalente puro o non polare. Se è presente una grande differenza di elettronegatività, come avviene di solito per un metallo e un non metallo, l’elettrone del metallo è quasi completamente trasferito al non metallo e il legame è ionico. Si può quantificare la polarità di un legame considerando il suo momento dipolare che si ha ogni volta che si crea una separazione tra una carica positiva e una negativa. (entalpia?????????? 394) Combinando la teoria di Lewis con l’idea che i gruppi di elettroni di valenza si respingono tra loro, che è alla base della teoria VSEPR, è possibile prevedere la forma generale di una molecola dalla sua struttura di Lewis. La disposizione spaziale attorno all’atomo centrale dei legami in una molecola dipende dal numero totale dei doppietti elettronici nello strato di valenza, inclusi i doppietti solitari. Ad esempio, ogni gruppo di elettroni attorno all’atomo centrale è come un palloncino legato ad un punto centrale. L’ingombro dei palloncini fa sì che si separino quanto più possibile, proprio come una repulsione tra i gruppi di elettroni fa in modo che questi si dispongano il più lontano possibile. Infatti, se si uniscono due palloncini, in analogia con i due gruppi di elettroni, assumeranno una posizione lineare. In maniera simile, se si legano tra loro 3 palloncini essi assumeranno una geometria trigonale planare, mentre 4 assumeranno una geometria tetraedrica con angoli di 109.5°. Cinque gruppi di elettroni attorno all’atomo centrale assumono una geometria bipiramidale trigonale, 6 una ottaedrica. Tutti questi esempi, però, hanno solo gruppi di elettroni di legame attorno ad un atomo centrale, ma cosa accade nelle molecole in cui vi sono coppie solitarie intorno all’atomo centrale? Anche queste respingeranno gli altri gruppi di elettroni, esercitando una repulsione leggermente maggiore rispetto a quelli di legame e occupando uno spazio più ampio attorno al nucleo, infatti le coppie legate tenderanno ad avvicinarsi riducendo l’angolo di legame. Ad esempio, l’acqua ha 4 gruppi di elettroni (due coppie di legame e due solitarie) e la geometria dei suoi elettroni è tetraedrica ma quella molecolare è angolare. Oltre alla teoria di Lewis, vi sono altre che trattano gli elettroni in maniera quantomeccanica una è la teoria del legame di valenza in cui gli elettroni si trovano in orbitali quantomeccanici localizzati su atomi individuali. Questi orbitali vengono chiamati ibridi e sono il risultato della combinazione di due o più orbitali atomici standard. Il concetto di ibridazione riconosce che gli orbitali di una molecola non sono necessariamente gli stessi presenti in un atomo. Ma perché si ipotizza che gli elettroni in alcune molecole occupino orbitali ibridi? Nella teoria del legame di valenza, un legame chimico è la sovrapposizione di due orbitali che contengono due elettroni, in quelli ibridi la densità di probabilità elettronica è più concentrata su un solo lobo. Essi, quindi, minimizzano l’energia della molecola e massimizzano la sovrapposizione degli orbitali di un legame e si possono trovare sia le coppie di elettroni condivise che quelle solitarie. Quando la combinazione degli orbitali atomici avviene lungo un asse, si ha simmetria cilindrica lungo l'asse, sia della sovrapposizione sia del legame che ne consegue: è un orbitale σ, sigma. Quando invece avviene lateralmente, si ha la formazione di un orbitale π. - un orbitale atomico s + un orbitale atomico p = due orbitali ibridi sp - un orbitale atomico s + due orbitali atomici p = tre orbitali ibridi sp2 - un orbitale atomico s + tre orbitali atomici p = quattro orbitali ibridi sp3 I legami π sono molto importanti per quanto riguarda la struttura spaziale delle molecole poiché impediscono la rotazione attorno al legame σ, rotazione che in loro assenza è praticamente libera. Poichè però i π esistono solo se già esiste un σ, la loro presenza darà luogo a legami totali più forti, e perciò a distanze di legame più corte. In una molecola si dice che gli elettroni occupano orbitali molecolari e la funzione d’onda che descrive un orbitale molecolare può essere ottenuta per combinazione lineare di orbitali atomici (LCAO). benzene 452?????? Tutto ciò dimostra come le proprietà della materia siano determinate dalle proprietà delle molecole e degli atomi e come la loro struttura determini lo stato in cui essi esistono ad una data temperatura. Infatti, lo stato di un campione di materia dipende dall’entità delle forze intermolecolari tra le particelle che lo costituiscono rispetto alla quantità di energia termica posseduta dal campione. Le molecole e gli atomi che compongono la materia sono in continuo movimento ed esso aumenta all’aumentare della temperatura: l’energia associata a questo movimento è chiamata termica. Quando essa è relativamente alta rispetto alle forze intermolecolari, la materia tende ad essere gassosa, viceversa, quando essa è bassa la materia tende ad essere liquida o solida. Si può trasformare uno stato della materia all’altro variando la temperatura ma anche la pressione: in generale, aumentando la pressione si favorisce lo stato più denso. La struttura delle particelle che compongono una sostanza determina l’intensità delle forze intermolecolari che le tengono assieme, che a sua volta determina lo stato della sostanza ad una determinata temperatura. Le forze intermolecolari sono originate dalle interazioni tra le cariche parziali e temporanee sulla molecola. Infatti, come i protoni e gli elettroni si attraggono poiché la loro energia potenziale diminuisce al diminuire della distanza, analogamente, molecole con una carica potenziale o solo temporanea si attraggono a causa della diminuzione della loro energia potenziale via via che si avvicinano. Tuttavia, le forze intermolecolari sono più deboli di quelle di legame. L’unica interazione presente in ogni sostanza sono le forze di dispersione, dette forze di London: esse sono il risultato della distribuzione degli elettroni che possono essere distribuiti in maniere non uniforme. In quell’istante, si può avere una parziale carica negativa e temporaneamente nella parte attorno all’atomo in cui non vi sono elettroni, si può avere una parziale carica positiva. Questa separazione di carica viene chiamata dipolo istantaneo o temporaneo. Inoltre, le molecole polari possiedono regioni ricche di elettroni e altre povere, risultando in un dipolo permanente: infatti, l’estremità positiva di un dipolo attrae l’estremità negativa di un altro dipolo. Questa attrazione è la forza dipolo-dipolo e a causa di esse le molecole polari possiedono punti di fusione e di ebollizione più elevati rispetto a quelle apolari. Inoltre, le molecole polari che contengono atomi di idrogeno direttamente legati a piccoli atomi elettronegativi, possono formare legami a idrogeno, una sorta di forza dipolo-dipolo. La grande differenza di elettronegatività tra l’idrogeno e questi elementi fa sì che sull’atomo di idrogeno risieda una parziale carica positiva mentre sugli atomi FON vi sia una parziale carica negativa. I legami a idrogeno non sono veri e propri legami chimici: essi, come le forze di London o quelle dipolo-dipolo, sono forze intermolecolari che si instaurano fra molecole. L’acqua è un buon esempio di molecola che instaura legami ad idrogeno, senza di essi tutte le molecole d’acqua sarebbero gassose. Le forze ione-dipolo si presentano quando un composto ionico viene miscelato con un composto polare, importanti soprattutto nelle soluzioni acquose di composti ionici: la parte carica positivamente di una molecola polare come l’acqua viene attratta da ioni negativi e la parte carica negativamente della molecola è attratta da ioni positivi. Nei liquidi si osservano anche altre manifestazioni delle forze intermolecolari come ad esempio: la tensione superficiale, ovvero la tendenza dei liquidi a minimizzare la loro area superficiale. Questo perché una molecola di un liquido, in superficie, ha un numero minore di molecole vicine con cui interagisce ed è perciò meno stabile, dotata di un’energia potenziale maggiore rispetto a quelle interne. Al fine di aumentare l’area superficiale del liquido, le molecole all’interno devono muoversi verso la superficie, minimizzandola e creando una specie di pellicola. Tutto ciò spiega il fenomeno delle gocce d’acqua, infatti la sfera è la forma geometrica con il più piccolo rapporto area superficie/volume e quindi la formazione di una sfera rende minimo il numero di molecole superficiali e minimizza l’energia potenziale del sistema. Un’altra manifestazione delle forze intermolecolari è la viscosità, la resistenza di un liquido allo scorrimento. La viscosità è più elevata in sostanze con forze intermolecolari più forti poiché se le molecole sono più fortemente attratte le une alle altre, non scorreranno facilmente le une sulle altre. La viscosità dipende anche dalla forma molecolare ed aumenta in molecole allungate che interagiscono con un’area più vasta e possono aggrovigliarsi, oppure dalla temperatura, poiché l’energia termica supera in parte le forze intermolecolari, permettendo alle molecole di scorrere l’una sull’altra. Inoltre, vi è l’azione capillare cioè l’abilità di un liquido di risale un tubo capillare: essa deriva dalla combinazione di due forze ovvero l’attrazione tra le molecole chiamata forza di coesione e l’attrazione tra queste molecole e la superficie del tubo chiamata forza di adesione. Le forze di adesione provocano l’espansione del liquido sulla superficie del tubo mentre quelle di coesione tengono insieme il liquido. Se le forze di coesione sono maggiori di quelle di adesione, l’attrazione per la superficie spinge il liquido su per il capillare e quelle di adesione tirano verso l’alto le molecole che non sono in contatto diretto col tubo. Un altro processo importante è la vaporizzazione, in cui l’energia termica può vincere le forze intermolecolare dando luogo a un cambiamento di stato, da liquido a gassoso. Le forze intermolecolari più deboli permettono a un numero maggiore di Si può quindi affermare che le variazioni di concentrazione e volume comportano una variazione di Q ma non di K, al contrario una variazione di temperatura provoca una variazione del valore di K. Infatti, nel caso di una reazione esotermica il calore può essere considerato come un prodotto di reazione: l’aumento della temperatura provoca uno spostamento verso sinistra, nella formazione dei reagenti e una diminuzione del valore di K, viceversa la diminuzione di temperatura comporta uno spostamento verso destra, nella formazione dei prodotti e aumento del valore di K. Mentre nel caso di una reazione endotermica, il calore può essere considerato un reagente: l’aumento di temperatura provoca uno spostamento verso destra e un aumento della K, mentre una diminuzione di temperatura comporta uno spostamento verso sinistra ed una diminuzione di K. Secondo la teoria di Arrhenius un - acido è una sostanza capace di liberare ioni H+ - base è una sostanza capace di liberare ioni OH- Secondo la teoria di Bronsted-Lowry un - acido è una sostanza capace di donare protoni H+ - base è una sostanza capace di accettare protoni H+ Essi sono presenti contemporaneamente ed in base a questa teoria alcune sostanze come l’acqua, possono comportarsi sia da acido che da base e vengono chiamate anfotere. Quindi viene definita coppia coniugata acido-base, due sostanze legate tra loro da una reazione di trasferimento di un protone. Un acido coniugato è una qualsiasi base alla quale sia stato addizionato un protone, mentre una base coniugata è un qualsiasi acido al quale sia stato rimosso un protone. La forza di un elettrolita è determinata dal suo grado di dissociazione in soluzioni nei suoi componenti ionici. Un elettrolita forte si dissocia completamente in soluzione, mentre uno debole solo parzialmente: analogamente, un acido forte (HCl) si ionizza completamente in soluzione mentre uno debole (HF) si ionizza solo parzialmente. La misura in cui un acido è forte o debole dipende dall’attrazione che esiste tra il protone e l’anione dell’acido (base coniugata) rispetto a quella tra gli stessi ioni e l’acqua. HA + H2O ⇋ H+ + A- Se l’attrazione tra H+ e A- è debole, la reazione diretta è favorita e l’acido è forte. Al contrario, se l’attrazione tra i due ioni H+ e A- è forte, la reazione inversa è quella favorita e l’acido HA è debole. La forza di un acido può essere quantificata dal valore della costante di ionizzazione acida Ka che è la costante d’equilibrio della reazione di ionizzazione di un acido debole in acqua. Minore è il valore di Ka, minore è l’entità della sua dissociazione in acqua e minore sarà la sua forza come acido. L’acqua è una sostanza anfotera, cioè si comporta sia da acido che da base, anche allo stato puro, essa manifesta questo duplice comportamento con sé stessa nel processo di autoionizzazione: H2O + H2O ⇋ H+ + OH- La costante del prodotto ionico dell’acqua, Kw, è data dal prodotto delle concentrazioni dei due ioni. Questa costante chiamata anche costante di dissociazione dell’acqua, alla temperatura di 25°C è uguale a Kw = 1 x 10-14 ed una soluzione di questo tipo si dice neutra, poiché le concentrazioni sono uguali. Un modo per specificare l’acidità di una soluzione è la scala del pH definito come il logaritmo in base 10 della concentrazione di H+ ,cambiato di segno. pH = - pH = 7 neutra - pH < 7 acida - pH > 7 basica La scala del pOH è analoga a quella del pH ma si riferisce alla concentrazione degli ioni OH-, la loro somma è sempre pari a 14. L’acidità o la basicità di una soluzione può essere anche espressa in termini di pKa definito come: pKa = -log Ka Più basso è questo valore, maggiore è la forza dell’acido. Tuttavia, alla concentrazione di H3O+ di una soluzione contenente un acido forte o debole, l’autoionizzazione dell’acqua contribuisce in maniera marginale, essa è essenzialmente dovuta al processo di ionizzazione dell’acido. Infatti, in acqua pura il processo di autoionizzazione dell’acqua produce una concentrazione di H3O+ pari a 1 x 10-7 e questo valore diminuisce in una soluzione acida, questo perché l'aumento della concentrazione totale di H3O+ provoca lo spostamento dell'equilibrio di autoionizzazione dell'acqua verso sinistra, quindi in una soluzione acida la quantità di H3O+ dovuta all'acqua è inferiore a quella che si forma in acqua pura e può essere ignorata nel calcolo del pH. Per quanto riguarda un acido forte in soluzione acquosa, esso si trova completamente dissociato e dato che il processo di autoionizzazione dell’acqua può essere ignorato, la concentrazione di H3O+ sarà uguale alla concentrazione dell’acido disciolto in soluzione. Il calcolo del pH di una soluzione di un acido debole è più complicato poiché la concentrazione di H3O+ non è uguale alla concentrazione dell'acido debole. (699) La concentrazione di H3O+ per un acido debole all'equilibrio aumenta all'aumentare della concentrazione iniziale dell'acido, ma non in maniera lineare. La concentrazione degli ioni H3O+ aumenta in misura minore rispetto all'aumento della concentrazione dell'acido perché, più la concentrazione dell'acido aumenta, più la percentuale di molecole che si ionizzano diminuisce. Quando una soluzione di un acido debole all'equilibrio viene diluita, il sistema si oppone alla variazione apportata cercando di ripristinare le condizioni di equilibrio: essendoci un maggior numero di particelle a destra piuttosto che a sinistra, la reazione si sposta verso la formazione delle specie ionizzate. −log[H+] I composti ionici sono generalmente solubili in acqua: cationi e anioni si dissociano e vengono idratati dalle molecole d’acqua (interazioni ione-dipolo). Può accadere tuttavia che l’interazione ione-acqua non si limiti all’idratazione, ma porti a delle vere e proprie reazioni acido-base: - idrolisi: reazione acido-base che può coinvolgere cationi ed anioni, derivanti dalla dissociazione di un sale in acqua, e l’acqua stessa. I sali costituiti da acidi e basi coniugati rispettivamente di basi e acidi forti non danno idrolisi. Mentre, i sali costituiti da acidi e basi coniugati rispettivamente di basi e acidi deboli danno idrolisi. Una soluzione tampone si oppone alle variazioni di pH neutralizzando l'acido aggiunto o la base aggiunta: essa contiene quantità significative e confrontabili di un acido debole e della sua base coniugata oppure di una base debole del suo acido coniugato. L’acido debole presente nel tampone neutralizza un eventuale aggiunta di base, mentre la base coniugata presente nel tampone neutralizza un eventuale aggiunta di acido. Per determinare la concentrazione di H3O+ della soluzione tampone, si moltiplica il valore della Ka per il rapporto tra la concentrazione dell'acido e quella della sua base coniugata, da qui si ricava che il calcolo del pH delle soluzioni tampone sarà uguale: pH = pka + log Inoltre, l'aggiunta di piccole quantità di acido forte ad una soluzione tampone provoca la trasformazione di una quantità stechiometrica della base del tampone nel suo acido coniugato e la diminuzione del pH. Mentre, l'aggiunta di piccole quantità di base forte ad una soluzione tampone provoca la trasformazione di una quantità stechiometrica dell'acido del tampone nella sua base coniugata e l'aumento del pH. I principali fattori che determinano l'azione tamponante sono le quantità relative di acido debole e della sua base coniugata e i loro valori assoluti di concentrazione. Infatti, un tampone è molto efficace, cioè ha la massima resistenza alle variazioni di ph quando le concentrazioni dell'acido e della sua base coniugata sono uguali e diventa sempre meno efficace tanto più aumenta la differenza fra i valori delle concentrazioni dei suoi componenti. Il potere tampone è collegato alla massima quantità di acido o base forte che può essere aggiunta alla soluzione tampone senza che avvengano ampie variazioni del pH. In una titolazione acido-base una soluzione basica o acida a concentrazione incognita è fatta reagire con una soluzione acida o basica a concentrazione nota. L'andamento del valore del pH in funzione del volume di titolante è definito curva di titolazione o curva del ph e il punto di equivalenza è chiamato in questo modo poiché il numero di moli di acido e di base sono stechiometricamente uguali in questo punto. Le variazioni di pH che avvengono durante una titolazione possono essere monitorate con un indicatore, infatti il punto di equivalenza viene individuato osservando la variazione di colore dell'indicatore. Un indicatore è un acido organico debole che presenta colorazioni diverse nella forma acida e in [base] [acido]