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Riassunto completo "Chiesa" R. Repole - Teologia II, Sintesi del corso di Teologia II

Teologia II Compiani. Completo di tutti i capitoli del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

In vendita dal 13/06/2017

Audrey29
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Scarica Riassunto completo "Chiesa" R. Repole - Teologia II e più Sintesi del corso in PDF di Teologia II solo su Docsity! CHIESA, R. REPOLE – RIASSUNTO PARTE PRIMA – PER PARTIRE DALLA SCRITTURA CAP. 1 – PREMESSE FONDAMENTALI 1. In principio è la chiesa “In principio era la chiesa! Questo assioma ha un’intenzione provocatoria e necessita di precisazioni […] ma esprime comunque una verità”  Romano Penna Riferimento alla frase di Giovanni “In principio era il Verbo”: il Verbo di Dio come realtà pre-temporale. Con questa frase si sottolinea che la chiesa è invece una realtà storica. La verità della frase fa riferimento a due fattori: - Prima del Nuovo Testamento esistono delle lettere di Paolo che non raccontano quasi nulla di Gesù, ma si interessano piuttosto della vita di varie comunità o chiese. Si tratta di una raccolta epistolare originale con queste comunità credenti in Gesù grazie all’opera di grandi nomi come Paolo, Barnaba, Timoteo, Pietro. In queste lettere troviamo anche testimonianze di altre chiese preesistenti alle stesse. - Prima di ogni documento neotestamentario esistevano già delle comunità in cui si viveva e professava la fede in Gesù. Gli autori neotestamentari sono tutti membri di una comunità, scrivono per utilità della stessa, nessuno scrive da privato. 2. Una realtà più grande del termine La parola chiesa ricalca il termine greco Ekklesia, fa riferimento all’idea di un gruppo riunito sulla base di un punto centrale, di una chiamata dal di fuori. Il termine greco infatti deriva dal verbo “convocare”. Nell’antichità era usato per indicare l’assemblea pubblica dei cittadini della polis. Anche nella LXX viene usato per indicare l’assemblea culturale di Israele. Nel NT il primo che utilizza il termine “chiesa” è Paolo  sceglie questo termine per indicare la realtà singolare delle comunità dei credenti in Gesù. Perché? Probabilmente per il carattere pubblico dell’assemblea cristiana. Ciò che distingue la realtà cristiana da quella delle città greche è la specificazione paolina “chiesa di Dio”. In ogni caso con questo termine si indicano innanzitutto delle realtà locali. Solo successivamente con le deutero-paoline il termine indicherà la chiesa universale. Cosa offre questo senso collettivo delle comunità cristiane? Una possibile risposta nella prima lettera di Pietro  invita i cristiani a resistere al nemico attraverso l’unione e la fede, usa la parola “fratelli”. Si tratta della realtà della adelphòtes  il valore concreto della fraternità, che è più della fratellanza. Pur appartenendo a chiese diverse, Pietro invita i cristiani all’amore collettivo verso fratelli e sorelle. Tutte queste comunità hanno qualcosa di analogo con le comunità religiose del tempo (es. scelgono se farne parte o meno, non ne sono costretti per nascita) ma allo stesso tempo hanno delle differenze con queste (es. non si fanno distinzioni si sesso, censo per partecipare al culto, i membri sono definiti “santi/eredi/amati da Dio”, il luogo di riunione è la casa degli stessi membri..). - La necessità di usare il termine “chiesa” appare sensato per indicare la realtà delle comunità cristiane, realtà comune rispetto alle comunità religiose dell’epoca - Allo stesso tempo le chiese e la chiesa si esprimono attraverso immagini/concetti/parole diverse 3. Alla luce della Pasqua Tutti gli scritti neotestamentari sono stati composti dopo la resurrezione di Gesù. Quindi, ogni volta che si parla di chiesa lo si fa considerando quel che è avvenuto nella Pasqua del Signore  mutamento non solo per Gesù stesso ma anche per tutti i discepoli, che da quel momento sono diventati credenti nel Risorto. Solo dopo questo avvenimento si è sentita la necessità di scrivere i testi del NT. NT = conseguenza della Pasqua del Signore, perché ciò che ci narra non è comprensibile se non alla luce della Resurrezione. Quindi possiamo dire con sicurezza che l’uso del termine “chiesa” è un’acquisizione post-pasquale. CAP. 2 – IN MATTEO E NELL’OPERA LUCANA 1. Due testi carichi di storia Gli unici passi evangelici in cui troviamo espressamente la parola “chiesa” sono nel primo vangelo (Matteo): - Quando Gesù dice a Pietro “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” - Quando Gesù descrive l’atteggiamento da tenere nei confronti del fratello che commette la colpa e dice “[…] Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità” (il termine “comunità” si riferisce alla “chiesa”) L’uso di un diverso termine indica già due realtà che vanno distinte ma non separate: chiesa come “realtà totale” dei credenti in Cristo; nel secondo caso ci si riferisce a tale realtà “nella concretezza” di una comunità e assemblea locale. In questi due passi troviamo il concetto di chiesa secondo Matteo: - Nel primo passo troviamo il fatto che per Matteo la chiesa sia qualcosa di successivo alla morte e resurrezione di Gesù e sia quindi opera del Risorto (si parla al futuro, “edificherò”) Sempre nel primo passo troviamo la particella “mia” prima di “chiesa”: secondo Matteo la chiesa è di Cristo ed è una realtà in cui si trovano riuniti tutti coloro che come Pietro riconoscono Gesù come Infine nel vangelo di Luca troviamo la sua forte insistenza al pericolo delle ricchezze (attaccamento ai beni terreni per “sostituire” l’attesa della venuta di Cristo: porta all’individualismo) e, al contrario, la grande simpatia per i poveri. CAP. 3 – PROSPETTIVE PAOLINE 1. Un termine e un’esperienza Paolo è il primo tra gli autori del NT ad usare il termine ekklesia per indicare chi aderisce alla fede a Cristo (anche se questa esisteva già da prima che usasse il termine). Compare la prima volta nella lettera ai Tessalonicesi  “Paolo e Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù cristo” - l’utilizzo del termine è personalistico, non localistico, si riferisce agli abitanti e non al luogo. - specificazione “in Dio padre e nel Signore Gesù Cristo”; peculiarità di Paolo, che usa poi sempre la locuzione “chiesa di Dio” (ekklesia sembra essere abbreviazione di he ekklesia tou theou = la chiesa di Dio) Il termine indica l’assemblea, la riunione dei credenti in Cristo in un luogo particolare  no realtà universale. Ekklesia = non indica un edificio fisico in cui i cristiani si radunano, ma il loro stesso radunarsi in assemblea. Nonostante Paolo lo usi per indicare realtà locali, è consapevole degli elementi che accomunano le diverse chiese e che ne fanno un tutt’uno, tra cui i rimandi a una tradizione uguale per tutti e la certezza di una fede condivisa. La prima lettera ai Corinti invita a considerare l’esperienza personale di Paolo  ebbe la propria “rivelazione” sulla via di Damasco, ciò che lo ha spinto ad annunciare Gesù “tra le genti”. Genti = idea che si sarebbe verificato un afflusso di tutti i popoli verso Gerusalemme alla fine dei tempi. L’interpretazione di Paolo è nuova e originale, possibile solo sulla base dell’evento di Cristo, specie della Pasqua. Per lui Cristo è il superamento della Legge  pone Gesù in parallelo con Adamo, progenitore dell’umanità, viene prima di qualsiasi legge. La sua visione della chiesa: per lui è ormai Cristo a configurare la comunità degli eletti di Dio, non più la Torah. La chiesa è il superamento della divisione tra giudei e pagani = enuncia un principio di uguaglianza tra tutti e di universalismo della salvezza possibile solo sulla base della convinzione cristologica per cui il Risorto unisce ormai tutti gli uomini. La chiesa di Paolo è aperta e missionaria, Paolo è l’apostolo dei gentili. 2. Corpo di Cristo Paolo presenta la chiesa in termini di novità rispetto al popolo di Israele, ma ne costituisce una continuità, non una sostituzione. Cap. 9-11 della lettera ai Romani  l’apostolo conduce un ragionamento soprattutto per quei pagani che pensano che la realtà di Israele sia ormai superata. Afferma che non si tratta della sostituzione di Israele, perché “Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto sin da principio”. Giustifica la sua posizione facendo 3 considerazioni e ricorre a un’allegoria: - All’interno di Israele c’è chi ha rifiutato Cristo e chi invece ha deciso di ascoltarlo. Per questo non è lecito ritenere che Israele sia stato rifiutato. - Israele ha svolto la funzione di mediazione salvifica attraverso l’incredulità: attraverso l’incredulità della maggior parte degli israeliti la fede ha potuto passare ai pagani. - Considerazione escatologica: Paolo afferma che quando saranno entrate tutte le genti, l’Israele incredulo ritornerà, e allora tutto Israele sarà salvato. - Allegoria: i rami dell’olivo selvatico (che rappresentano coloro che fanno parte della chiesa provenendo dal paganesimo) sono innestati nella pianta dell’olivo buono, che rappresenta Israele. Quindi: chiesa come comunità di chi riconosce la fede in Gesù = novità, MA non possiamo ritenere che sia avvenuta un’abolizione dell’antico popolo di Dio. Metafore di Paolo che esprimono la novità (= far parte della comunità significa essere in Cristo nello Spirito)  ambito semantico della casa e dell’edificio (chiesa come tempio di Dio, diventa casa dei cristiani, famiglia) Per Paolo la chiesa (oltre ad essere ancora il popolo di Dio) è il corpo di cristo  riferimento alla celebrazione eucaristica. Un passo della prima lettera ai Corinzi evidenzia questo suo pensiero: esorta i Corinzi a considerare come la Cena operi la comunione con Cristo. I cristiani attraverso la partecipazione al calice e al pane (comunione) diventano “un solo corpo”. I cristiani quindi trapassano in Cristo risorto, ma non in maniera che sia annullata la singolarità di ciascuno, ma in una sorta di fusione con Lui. Ciascuno è membro del corpo di Cristo (essere in Cristo = essere “membra gli uni degli altri”). Qui troviamo ancora una chiesa sostanzialmente carismatica, in cui ciascuno è portatore di un dono dello Spirito. Nelle lettere pastorali apparirà chiara l’esigenza di una strutturazione che preveda dei presbiteri- episcopi che garantiscano che la chiesa sia radicata sul fondamento posto dagli apostoli con la loro testimonianza. 3. Mistero della chiesa Lettere agli Efesini e ai Colossesi  chiesa come mistero che Dio ha comunicato in Cristo. Cos’è il mistero per Paolo? = progetto divino globale (nascosto in Dio da sempre) che tende a una realizzazione progressiva la più vasta possibile sia in estensione che in intensità (rivelazione, missione, conoscenza) con la prospettiva di un suo inevitabile compimento finale (orientamento escatologico). Gesù Cristo ne è il punto focale: ogni realtà è ricondotta a Lui, che fa parte del mistero, tant’è che si parla di “mistero di Cristo” come a voler intendere che sia lui il mistero rivelato da Dio. La chiesa è però un altro aspetto del mistero: è una sorta di conseguenza e compimento di quello che è il mistero di Cristo. Anche la chiesa quindi appartiene al progetto di Dio. Nella lettera agli Efesini quello della chiesa appare come mistero di comunione: Paolo parla del mistero rivelatogli per mezzo dello Spirito  la riunificazione, per mezzo del sangue di Cristo, tra pagani ed ebrei. Giudei e gentili sono diventati “concorporei”, sono uniti nel corpo di Cristo. L’umanità è rappresentata da giudei e gentili, unificata nel corpo di Cristo. Due aspetti per comprendere il concetto di “comunione”: - Questa unificazione non può avvenire da sola, ma solo con l’intervento di Dio - In secondo luogo il mistero di comunione fa i conti con l’umanità storica, reale, segnata dal peccato e dalla divisione Quindi il mistero della chiesa = mistero di una comunione inter-umana. Qui la chiesa è chiaramente universale: è la totalità dei credenti in Cristo. 4. Chiesa in concreto Alcune delle chiese di cui fu testimone Paolo: - Chiese della Galazia: costituite da cristiani provenienti dal paganesimo; ci sono state poi influenze giudeo-cristiane volte a correggere l’insegnamento paolino con la richiesta dell’osservanza della legge mosaica. Questo porta Paolo ad affermare la centralità e sufficienza di Cristo e della fede in Lui per la salvezza. - Chiesa di Corinto: comunità cristiana greca; si individuano problemi derivanti dal contatto con il paganesimo. E’ una comunità composita, che dà importanza ai propri ministeri, che si sa abitata dalla presenza dello Spirito. Ci sono state tensioni e divisioni al suo interno. La chiesa di dilania quando si riduce il vangelo a dottrina o cultura: essa si deve basare unicamente su Cristo e il suo annuncio. Altri problemi della comunità: incesti, prostituzione, divisioni tra ricchi e poveri. Da qui Paolo mostra la necessità per la chiesa di Corinto (e tutte le altre chiese) di mantenere viva la Tradizione: partire quindi da Gesù, dalla sua storia, non dalla propria cultura, filosofia. - Comunità dei Colossi: rischiano un certo sincretismo religioso - Comunità di Efeso: soffrono una mancanza di approfondimento della novità ecclesiologica e morale Considerando le 3 lettere pastorali (a Timoteo e Tito) notiamo che si parla di chiesa in termini locali, non universali: si invitano le comunità a mantenere il deposito apostolico attraverso l’insegnamento, evitando l’insorgere di falsi maestri che possono compromettere l’annuncio apostolico. In questo tipo di comunità acquistano importanza i presbiteri e soprattutto la figura dell’episcopo. CAP. 4 – PASSAGGI NEOTESTAMENTARI 1. Chiesa nell’opera giovannea Il libro dell’Apocalisse, oltre ai testi già menzionati, è l’altro scritto che fa un uso massiccio del termine chiesa. PARTE SECONDA – CHIESA LUNGO LA STORIA CAP. 1 – AL TEMPO DEI PADRI: COMMUNIO ECCLESIARUM 1. Chiesa come mistero Per la sensibilità patristica il termine chiesa indica anzitutto il suo essere mistero della fede, in conformità con la riflessione paolina. Per chiesa si intende qualcosa di preesistente alla creazione del mondo. - Passo del Pastore di Erma: vede la chiesa come una donna anziana, precisamente perché più vecchia del mondo stesso. - Passo dello Pseudo-Clemente: si parla di una chiesa spirituale creata “prima del sole e della luna” - Passo di Ignazio di Antiochia: si rivolge alla chiesa “che è stata predestinata prima dei secoli” La chiesa viene descritta anche attraverso diverse immagini tratte dalla Scrittura: il nuovo popolo di Dio, casa o tempio di Dio, sposa di Cristo, madre che genera alla vita divina i credenti, casta-meretrix (santa ancorchè composta da peccatori, accolti dalla stessa), mysterium lunae (brilla come la luna di una luce riflessa, quella del sole, che è Cristo), vascello o barca di Pietro che offre la salvezza. Tuttavia nella concezione della chiesa in epoca patristica, la nozione paolina di chiesa come corpo di Cristo risulta essere la più determinante. 2. Chiesa ed Eucaristia: un vincolo illuminante La prospettiva paolina per cui la partecipazione dell’uomo all’unico calice e all’unico pane spezzato è comunione con il corpo di Cristo, segna la stagione patristica. Molti padri infatti inducono a considerare il nesso tra corpo di Cristo nato dalla Vergine, quello eucaristico e quello ecclesiale, sinteticamente espresso così: il corpo di Cristo donato nella Pasqua, per la mediazione del corpo di Cristo eucaristico accoglie in sé quanti mangiano di quell’unico pane. L’Eucaristia viene vista nel suo doppio simbolismo: attualizzazione della Pasqua di Cristo nel dono del suo corpo; segno della comunione della chiesa (che si realizza con la Pasqua) e anticipo della comunione piena che si realizzerà alla fine dei tempi. Omelia di Agostino nel giorno di Pentecoste: fa capire il legame intimo e illuminante tra Eucaristia e chiesa. La recezione del corpo di Cristo eucaristico è quindi per i cristiani quanto essi sono, il loro essere in quanto chiesa. Per questo nei diversi testi patristici viene designata come “segno di carità” o “vincolo di unità” e si ricorre spesso al simbolismo del pane (fatto da diversi chicchi di grano) e del vino (fatto da molti acini d’uva) per esprimere l’unità dei cristiani realizzata attraverso l’eucaristia. 3. Communio ecclesiarum Poiché l’eucaristia avviene in un luogo determinato, per chiesa si intende quella concreta porzione di umanità che nella fede viene radunata in un determinato luogo dal vangelo. Gli elementi che permettono il realizzarsi della chiesa in un luogo determinato (eucaristia e il ministero episcopale) immettono simultaneamente i cristiani nell’unico corpo di Cristo, mettendo in tal modo in relazione ogni singola chiesa con le altre. Molto presto si avvertì in tale visione, il compito singolare di garante dell’unità e della comunione che ha la chiesa di Roma, con il suo vescovo. Kehl dice che è proprio questo il significato di communio ecclesiarum: la Chiesa universale (cattolica) è la “comunione delle Chiese locali”; i medesimi elementi strutturali che garantiscono l’unità della chiesa locale valgono anche per la chiesa universale. Tra gli elementi strutturali si può far riferimento al principio sinodale e a quello della paradosis (tradizione): - Il primo fa riferimento al fatto che laddove emergevano delle problematiche che travalicavano i confini di una singola chiesa locale, i vescovi di diverse chiese vicine e coinvolte si riunivano in sinodi regionali per prendere decisioni a proposito delle questioni problematiche. Successivamente questa pratica porterà alla creazione di concili all’interno dei quali si discute su questioni riguardanti la fede di tutti i cristiani - Il secondo elemento fa riferimento al fatto che le chiese affermarono la propria ortodossia richiamando il loro collegamento alla tradizione degli apostoli. Le chiese fondate dagli apostoli o in cui essi avevano operato infatti assunsero un ruolo particolare e vennero dette sedes apostolicae (segno di una comunione sincronica delle chiese con tutte le altre nell’unica chiesa cattolica, ma una comunione anche diacronica con il fondamento posto dagli apostoli) CAP. 2 – NEL MEDIOEVO: CONTINUITA’ NELLA NOVITA’ 1. Mutamento del senso di corpo di Cristo Per molti aspetti quanto il termine chiesa esprime all’epoca dei padri permane anche lungo il medioevo. In particolare rimane l’idea che sia il corpo di Cristo. Si registra però un sensibile mutamento di prospettiva: le dispute eucaristiche porranno l’accento sulla questione della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Un mutamento nell’uso del vocabolario segnala il cambiamento di pensiero: all’epoca dei padri l’aggettivo mistico era usato per indicare il corpo di Cristo eucaristico e indicava che si trattava del “corpo di Cristo nel mistero”; ora passava a designare sempre più spesso la chiesa, come “corpo mistico di Cristo”  la chiesa è misticamente (cioè nel mistero) significativa dell’Eucaristia. Questa vicenda indurrà sempre più a pensare la chiesa in analogia del corpo dell’uomo e della “società civile” invece che con il corpo di Cristo eucaristico. De Lubac: il corpus mysticum verrà poi concepito non solo con il corpo naturale dell’uomo, ma anche con le società umane tornando all’antico ecclesiae corpus. In questa epoca iniziano riflessioni relative al rapporto sacerdozio-impero, chiesa in senso monarchico e chiesa in senso rappresentativo e conciliarista. 2. Impronta dionisiaca e spinte conciliariste La linea di pensiero canonistico e poi teologico orienta a una visione ierocratica (= potere politico in mano ai sacerdoti) della chiesa. Il papa è il vicario di Cristo sulla terra e a volte viene interpretato come quasi-divino. In lui risiede la sorgente di quel potere che si estende poi a tutti gli altri cristiani della chiesa. Si inizia a concepire il potere della chiesa come superiore rispetto a quello dell’impero: questo perché Cristo non può avere due teste (due capi) se no sarebbe un mostro. L’unica testa è il papa, il quale cederà la spada del potere temporaneo all’imperatore  principio alla base della bolla unam sanctam di Bonifacio VIII del 1302 in relazione a Filippo il Bello. Quindi: chiesa = universale congregazione di fedeli guidati da un unico pastore, il papa, vicario di Cristo. A questa concezione concorrono diversi fattori: - Piano “politico”: la chiesa finisce pian piano per assorbire in sé le forme di quell’impero a cui si oppone e i suoi pastori (tra cui il papa in primis) si interpretano sempre più secondo le forme dell’impero. - Piano “storia delle idee”: influenza importante da parte del pensiero dello Pseudo – Dionigi nel corso del medioevo. Si crede che egli sia il discepolo di Paolo e dà vita a un pensiero che vede la realtà secondo un ordine gerarchico rispetto a Dio, in modo tale che gli esseri inferiori possano essere ricondotti a Dio attraverso degli intermediari. Questo pensiero verrà applicato sul piano della gerarchia dei poteri (perché gli uomini sono considerati uguali dalla chiesa) e il corpo ecclesiale verrà visto come una sorta di piramide che dal papa scende fino all’ultimo laico. Anche il pensiero degli ordini mendicanti avrà la sua influenza: hanno messo in atto una missione ricevuta direttamente dal papa, considerato detentore di un potere universale e supremo (torna l’dea di un popolo unico sottomesso a una autorità) Oltre a questa concezione troviamo posizioni antitetiche che si sviluppano sempre nel tardo medioevo. C’è chi afferma l’idea che la chiesa sia la congregatio fidelium che non si deduce dal papa, ma anzitutto da Cristo, capo infallibile. 3. I cinque significati del termine chiesa Marsilio da Padova  autore che ha espresso una critica alla concezione ierocratica della chiesa e al modo di articolare il rapporto chiesa – stato Egli attribuisce 5 significati al termine chiesa, che costituiscono una buona sintesi di ciò che si intende con la parola chiesa in epoca medievale: 1. Accezione “politica”, assemblea di cittadini. 2. Accezione “spaziale”, il tempio o la casa in cui i fedeli adorano Dio 3. Accezione “clericale”, ministri, preti o vescovi e diaconi che amministrano e sono a capo di una chiesa Il ritorno al principio di autorità è riscontrabile nell’opera di Mauro Cappellari (che diventerà papa Gregorio XVI) “Il trionfo della Santa Sede e della chiesa contro gli assalti dei novatori combattuti e respinti colle loro stesse armi”  vuole sostenere la sovranità del papa basandosi però su principi della mentalità moderna: dà per scontato la forma attuale del governo della chiesa e riconosce la sovranità assoluta del papa (come se fosse un monarca). Le due affermazioni dogmatiche della costituzione Pastor aeternus durante il Concilio sono fondamentali: - Viene affermato il potere di giurisdizione del romano pontefice, ordinario, episcopale e immediato su tutta la chiesa - Viene dichiarata l’infallibilità del papa a determinate condizioni che riguardano soggetto (papa come pastore supremo), oggetto (in merito alla dottrina in materia di fede e morale) e atto. Nel postconcilio si affermò la concezione massimalista delle affermazioni del concilio Vaticano. Quindi in sintesi nel cattolico medio del 1950 l’infallibilità è di fatto il papa e l’autorità piena e universale è ancora il papa  la chiesa si comprende sempre di più a immagine dello stato, in particolare del moderno stato amministrativo centralizzato. 4. Immagine di chiesa Cos’è cambiato nel sottendere il termine chiesa con il concilio Vaticano I fino agli anni ’20? - E’ innanzitutto evidente la dimensione dell’autorità come carattere fondamentale della realtà della chiesa - Privilegio conferito alla dimensione esterna, visibile e giuridica della chiesa società – perfetta a dispetto della dimensione misterica, invisibile e comunitaria della stessa - Carattere fortemente papalista - Concezione fortemente clericale di chiesa, forte difesa della dimensione gerarchica della stessa  questo aspetto porta in un certo senso alla dimenticanze dei fedeli e della comunità, una contrapposizione tra autorità e obbedienza CAP.4 – VERSO UN RINNOVAMENTO ECCLESIOLOGICO 1. Prodromi (segnali) di un cambiamento Nel XIX secolo ci furono istanze di rinnovamento ecclesiologico. Un ritorno allo studio dei primi secoli cristiani permise di mostrare come il termine chiesa poteva e doveva esprimere realtà ben più vitali di quanto si era soliti ritenere. La ricerca da parte di molti teologi e pensatori pose le basi per un mutamento di concezione della chiesa, che porterà a un cambiamento della prassi ecclesiale con la grande teologia del Novecento con l’enciclica Mystici corporis (1943) e il concilio Vaticano II. Facciamo riferimento a due opere dell’800 a titolo esemplificativo e ad alcuni mutamenti significativi della prima metà del XX secolo. 2. L’unità nella chiesa. La lezione di Joan Adam Möhler Möhler matura nel XIX secolo l’opera “L’unità della chiesa. Il principio del cattolicesimo nello spirito dei padri della chiesa dei primi tre secoli”. - Parte dallo studio dei Padri, dei primi secoli di cristianesimo e da qui inizia a ripensare la realtà della chiesa - Fondamentale per lui risulta conciliare due prospettive che sembrano inconciliabili: le idee di chiesa come società in cui esiste una distinzione essenziale tra chi insegna e chi ascolta, chi governa e chi obbedisce; l’immagine della chiesa che era maturata in lui secondo cui il principio guida è lo Spirito Santo che ricrea il popolo cristiano, in cui è centrale la comunità e la partecipazione di tutti. Lo studio dei Padri gli permette di trovare una via d’uscita  arriva ad affermare che sia l’unità il termine che la chiesa esprime (lo troviamo anche nel titolo). - Secondo Möhler noi attraverso lo Spirito arriviamo al Figlio e questi ci conduce al Padre. Considerando questa via capiamo cosa si sottenda al termine chiesa. Lo Spirito Santo è l’inesauribile tesoro del nuovo principio vitale, la sorgente di vita dell’umanità che riempie e struttura la chiesa. - Due capisaldi del pensiero di Möhler: per lui il cristianesimo è vita nello Spirito, presente nei fedeli come sorgente di vita stessa (“vitalismo”); tale vita è poi necessariamente organica, ecco perché il suo essere presente nei fedeli li struttura in un organismo, la chiesa (“organicismo”). La chiesa è dunque vita comunitaria ma lo è in modo tale da salvaguardare e presupporre delle individualità: il singolo infatti è uno in quanto diverso dagli altri, parte unica e irrepetibile dell’organismo della chiesa. Da qui nascono due conseguenze fondamentali: la fede, che si sviluppa in forza dello Spirito, viene a coincidere con l’amore, in quanto crea questa unità che differenzia; solo nell’esperienza ecclesiale dell’unità è possibile conoscere Cristo. - Le eresie contro cui i Padri hanno combattuto appaiono come l’affermazione di molteplicità in assenza di unità. Per Möhler l’eresia è egoismo, nel senso che crea separazione, contraddice l’amore. - Come integra Möhler il ministero ecclesiale alla sua visione? La risposta nella seconda parte dell’opera. Secondo l’autore ogni principio vitale interno tende a esprimersi e a concretizzarsi all’esterno. Ciò vale anche per la chiesa, la cui unità locale trova la sua visibilizzazione nel vescovo. Ci sono poi altri livelli oltre i confini locali: metropoli, patriarchi e in ultimo il papa, espressione di unità di tutta la chiesa. - Ricchezza di quest’opera: supera la visione giuridica di chiesa per connettere la dimensione gerarchica con la vita interna della chiesa. - Limite di quest’opera: la gerarchia sembra ridotta a espressione della vita di unità della chiesa, senza apparire anche come testimonianza della verità di Cristo. Questo limite deriva da mancanze di fondazione cristologica dell’autore. - Successivamente Möhler nelle sue opere evidenzierà anche il “servizio di testimonianza” mancante, che troverà frutto nel rinnovamento ecclesiologico avvenuto con l’enciclica Mystici corporis. 3. Delle cinque piaghe della santa chiesa. La lezione di Antonio Rosmini Il titolo ha matrici tradizionali: l’immagine delle piaghe è ripresa da una frase di Innocenzio IV che paragonò la chiesa a Cristo sulla croce, dicendo che in quel tempo essa era “da cinque piaghe acerbissime addolorata”. - Il libro incorse in una decisa condanna per il suo contenuto: rappresentava una minaccia per lo status quo ecclesiale  si scorge nell’opera la volontà di riformare la chiesa e richiamarla a’ primi tempi. - Le fonti dirette dell’autore furono le Sacre Scritture e le opere dei Padri, quindi è verosimile il suo desiderio di richiamare la chiesa “a’ primi padri”. - Nell’introduzione della quinta piaga egli sintetizza tutta la sua riflessione sulle piaghe della chiesa: Rosmini considera il feudalesimo (logica si signoria e sudditanza) la fonte di tutti i mali, perché ha portato alla divisione tra Clero e popolo (I piaga), spezzò in due parti il Clero stesso (alto e basso), portò alla negletta educazione del Chiericato (II piaga), alla divisione dei vescovi tra loro perché hanno dimenticato la fraternità (III piaga) e la chiesa incatenata al laicale potere (IV piaga). - La logica del feudalesimo porta all’individualismo e alla non comunione, compromettendo l’essenza della chiesa. - Per lui la chiesa è l’unità degli uomini che si forma per mezzo di Cristo. Per questo il feudalesimo è una minaccia: si fonda sull’idea di divisione e di individualità 4. Verso il concilio Vaticano II Queste e altre proposte ecclesiologiche non riuscirono a scalfire la visione della chiesa che si era andata consolidando nel corso del millennio. Alcuni movimenti rinnovatori teologici e pastorali che si svilupparono e ravvivarono, rappresentano la “radice prossima” del mutamento immediatamente precedente il Vaticano II: il risveglio del senso comunitario, l’influsso che avrà la riscoperta del cristocentrismo in teologia, il risveglio del laicato, il rinnovamento liturgico, l’avvio del movimento ecumenico e il rinnovamento degli studi biblici. Sono tutte spinte rinnovatrici, teoriche e pratiche che portarono a un cambiamento sul piano magisteriale e teologico: - Piano magisteriale: l’enciclica Mystici corporis di Pio XII segna una tappa fondamentale perché segna il passaggio da una concezione sociologica e del diritto (società perfetta) a quella di corpo mistico di Cristo che affonda le sue radici nella Scrittura. - Piano teologico: molti teologi ripensarono la chiesa, a cavallo delle due guerre mondiali, facendo leva sul concetto di corpo mistico di Cristo. Ma il rinnovamento teologico passò anche per la riscoperta di altri concetti: chiesa come sacramento radicale, ripristino della nozione di Popolo di Dio e quindi del progetto unitario salvifico di Dio, l’importanza dei sacramenti. Si tratta di prospettive teologiche che imposero un radicale superamento della visione di chiesa societaria, giuridica, apologetica, centrata sull’autorità gerarchica. Queste prepararono il concilio Vaticano II, attraverso cui portarono il loro frutto più maturo. CAP. 2 – IL DOVE DELLA CHIESA 1. Passi significativi Inizialmente c’era l’idea che durante il Vaticano II ci fossero stati movimenti in direzione di una rinnovata centralità della chiesa locale. In realtà la teologia della chiesa locale è stata solo abbozzata nei documenti. Facciamo riferimento ad alcuni passi conciliari per capire come al Vaticano II si siano condensati elementi innovatori della teologia precedente il Concilio e per ammettere che non si tratta di un processo compiuto: - Passo di S.C. 41: i padri conciliari sono convinti che la principale manifestazione della chiesa sia nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo e i suoi collaboratori  sembrerebbe che quindi chiesa = chiesa locale. MA il testo parla di “principale manifestazione”, alludendo all’idea che si dia chiesa previamente al suo manifestarsi nella chiesa locale. - Passo di L.G. 23: i vescovi sono il principio visibile e il fondamento dell’unità nelle loro chiese particolari, formate a immagine della chiesa universale  sembrerebbe condurre verso la centralità della chiesa locale. MA è altrettanto vero che la prima parte sembrerebbe veicolare un’importanza maggiore delle chiesa universale su quella particolare - Passo di L.G. 26: la chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le assemblee locali di fedeli, le quali, aderendo ai loro pastori, sono anche esse chiamate chiese del NT  sembrerebbe alludere alla chiesa = chiesa locale. MA l’espressione “veramente presente” lascia pensare che ci sia ancora un’antecedenza della chiesa universale su quella locale. - Passo di C.D. 11: la diocesi è una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio in modo che, aderendo al suo pastore e da lui unita per mezzo del Vangelo e dell’Eucaristia nello Spirito, costituisca una chiesa particolare nella quale è veramente presente e agisce la chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica  vengono espressi gli elementi che compongono la chiesa. La diocesi come “porzione”: lascia intendere che nella diocesi si realizzi davvero la chiesa (quindi chiesa locale). MA “è veramente presente” riporta all’idea che non sia ancora pienamente realizzata la chiesa in un determinato luogo. In conclusione: nel Vaticano II si registra un’apertura verso un rinnovamento ecclesiologico che ridesse centralità alla chiesa locale; non si può tuttavia dire che questo si realizzi in modo compiuto. Il Concilio induce a riprendere in considerazione la prospettiva per cui chiesa sia dove vengono radunati i credenti in Cristo per mezzo dell’annuncio evangelico nello Spirito di Cristo, della celebrazione dei sacramenti e per mezzo del pastore. Nel determinare dove si dia chiesa è importante prendere in considerazione anche la porzione di umanità che concretamente viene raccolta nello Spirito con annesso il contesto di riferimento. 2. Nel dinamismo della cattolicità Perché dunque si realizzi la chiesa sono necessari alcuni elementi “oggettivi”; ma è opportuno considerare anche l’elemento “soggettivo”  la concreta porzione di umanità che viene raccolta nello Spirito in Cristo. Anche il tessuto di relazioni che si instaurano tra i credenti deve essere preso in considerazione per definire la realtà della chiesa. Essa è realizzata infatti anche dai molteplici vincoli fraterni che legano i cristiani tra loro. Quindi possiamo dire che anche le caratteristiche più “socio-culturali” di ognuna di queste porzioni di umanità diventano di interesse teologico, diventano chiesa e concorrono alla sua realizzazione  in questo senso si può parlare di chiesa locale. La chiesa locale è il realizzarsi a livello di un luogo dell’unità dell’umanità di Cristo: ognuna di esse è una realizzazione storica della chiesa ma allo stesso tempo anche universale, perché la chiesa universale non può che darsi attraverso le chiese particolari dato che non può esistere al di fuori delle determinazioni storiche. Si tratta di una pluralità di chiese in comunione tra loro in forza dell’unicità della chiesa (universale unica). C’è quindi simultaneità tra locale e universale comprensibile secondo il dinamismo della cattolicità: in ogni chiesa locale si realizza il tutto della chiesa; specularmente ogni chiesa locale vive secondo il tutto della chiesa. Nel considerare la chiesa quale popolo di Dio nella forma del corpo di Cristo, capiamo che la presenza del Risorto può manifestarsi in ogni luogo con il dono del suo corpo. Tuttavia ciò che si realizza in ogni luogo è il raccogliersi del popolo di Dio nel corpo di Cristo resuscitato dai morti; ma questa raccolta nel corpo di Cristo è tale proprio in quanto spazio aperto alla totalità dell’umanità. 3. Chiese e comunità ecclesiali Nel definire dove si dia chiesa possiamo considerare il nesso esistente tra chiesa cattolica romana e comunioni non cattoliche. Prima del Vaticano II era chiara la concezione di chiesa come chiesa cattolica romana, non c’erano dubbi. Durante il concilio i padri affermarono la chiesa del NT continua a esistere precisamente nella chiesa cattolica e si trova qui con l’unità e integrità di tutte le sue proprietà inalienabili (santità, cattolicità, apostolicità) e con i mezzi di salvezza di cui Dio l’ha dotata. Con questa nuova prospettiva si riconosce che al di fuori della chiesa cattolica non esista un vuoto ecclesiologico: anche nelle altre chiese e comunità ecclesiali si realizza la chiesa, ma in modo più o meno pieno a seconda delle proprietà e dei mezzi ecclesiali conservati. Nei testi conciliari troviamo una distinzione linguistica tra chiese e comunità ecclesiali separate. Nel primo caso ci si riferisce alle comunità orientali riconosciute come chiese, anche se non in piena comunione con Roma. Nel secondo caso ci si riferisce alle comunità sorte dalla separazione in Occidente. La distinzione linguistica è dovuta a un criterio di ecclesiologia eucaristica per cui non c’è la piena realtà della chiesa laddove non c’è la piena realtà dell’Eucaristia. Quindi si tratta sempre di chiese, ma chiese che non lo sono in modo pieno nel senso rivendicato dalla chiesa cattolica, in cui chiesa = popolo di Dio che si raccoglie nel corpo di Cristo e quindi nell’Eucaristia  se manca questo una chiesa non è tale in maniera integrale. In conclusione si può affermare che si stabilisce il luogo del realizzarsi della chiesa sulla base degli elementi ecclesiali che le singole comunità cristiane hanno conservato. Anche se nel considerare dove sia realmente la chiesa non si debba prendere in seria considerazione tutti gli elementi citati, perché alla fine questi hanno effetto nella misura in cui sono posti in essere da uomini e donne della chiesa. CAP. 3 – CHIESA: PER CHI? 1. Sacramento universale di salvezza La categoria ecclesiologica della sacramentalità compare nei testi conciliari, anche se non in modo così cospicuo. In epoca postconciliare questa categoria assunse una grande importanza. Viene presentata da Avery Dulles come modello capace di armonizzare i valori veicolati dagli altri modelli di chiesa presi da lui in considerazione. L’uso di tale categoria è legittimo quando si specifichi che ad essere sacramento è la chiesa intesa come popolo di Dio nella forma del corpo di Cristo, e proprio perché tale essa è sacramento della salvezza che in Cristo è apparsa come rivolta a tutti. Nella chiesa si realizza la salvezza offerta da Cristo, attraverso la comunione sia verticale sia orizzontale. La chiesa è sacramento quindi in relazione a Cristo e all’intera umanità che Cristo ha inteso salvare. La chiesa vive sotto il segno di una salvezza già apparsa, ma non ancora pienamente compiuta. Il corpo di Cristo offerto nella chiesa è un dono che ha destinazione universale. 2. Responsabilità Durante il Vaticano II viene affermato che “questa chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza”. Per chiesa pellegrinante si fa riferimento al popolo di Dio, ai credenti, necessario alla salvezza in forza del legame con il Cristo Salvatore che abita la chiesa (= popolo di Dio). La chiesa, nel suo essere sacramento (segno e strumento) della salvezza offerta da Cristo, è necessaria alla stessa. In che modo la chiesa esplica il suo servizio necessario alla salvezza di tutta l’umanità? La riflessione di Ratzinger aiuta a capire come la chiesa, accedendo alla salvezza, ovvero al dono della vita di Cristo viene con ciò stesso resa responsabile della salvezza di tutti coloro per cui Cristo ha offerto sé stesso. Essendo accolti nel corpo di Cristo si diventa quindi partecipi dello stesso dinamismo di offerta della vita in favore dell’umanità.