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Riassunto completo TFA SOSTEGNO libro Simone, Sintesi del corso di TFA Sostegno

Riassunto completo TFA SOSTEGNO libro Simone, completo, perfetto per sostenere sia le preselettive, sia la prova scritta che l'orale.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

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Scarica Riassunto completo TFA SOSTEGNO libro Simone e più Sintesi del corso in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! TFA PARTE I: Legislazione scolastica Sezione | L'autonomia scolastica e l'offerta formativa CAPITOLO 1: Principi costituzionali e riforme della scuola 1. Il ruolo dell'istruzione e della scuola nella Costituzione La scuola è considerata ponte di passaggio tra la famiglia e la società. La nostra Costituzione dedica alcuni articoli all’istruzione, tre sono i più importanti: artt. 9, 33, 34 Cost. e Art.9consacra lo stato italiano come Stato di cultura, con il compito di farsi carico della promozione culturale dei suoi cittadini, ovvero di fornire le condizioni e i presupposti per il libero sviluppo della cultura e dell'istruzione. ® Gliartt. 33 e 34 disciplinano l’istruzione scolastica secondo i seguenti principi: - libertà d'insegnamento; - disponibilità di scuole statali per tutti i tipi, ordini e gradi d'istruzione; - libero accesso all’istruzione scolastica senza alcuna discriminazione; - obbligatorietà e gratuità dell’istruzione dell'obbligo; - riconoscimento del diritto allo studio anche a coloro che sono privi di mezzi, purché capaci e meritevoli, mediante borse di studio, assegni, ecc.. - ammissione, per esami, ai vari gradi dell'istruzione scolastica e dell’abilitazione professionale; - libera istituzione di scuole da parte di enti o privato; - parificazione delle scuole private a quelle statali. Oltre che dallo stato questi compiti devono essere espletati anche da Regioni, città metropolitane, Province, Comuni, ecc.. 2. Libertà d'insegnamento Il comma 1 dell'art. 33 Cost. stabilisce la libertà d'insegnamento dei docenti, che si specifica ulteriormente nella: - libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile di diffusione; - libertà di professare qualunque tesi o teoria si ritenga degna di accettazione; - libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia opportuno adottare. La libertà nell’insegnamento si estrinseca nella cosiddetta autonomia didattica. L'art. 1 del testo unico istruzione (D.Lgs.297/1994) stabilisce appunto che “ai docenti è garantita la libertà d’insegnamento”. Tuttavia la libertà d'insegnamento, come tutte le libertà, ha dei limiti: restano escluse da tutela tutte le tesi o teorie che non ricevono alcuna garanzia costituzionale, inoltre, non possono essere tutelate nemmeno le convinzioni personali ma solo l'esposizione di argomenti attuata con metodo scientifico. L'insegnamento, inoltre, deve sempre rispettare: ® ilbuon costume, ossia non possono rientrarvi gli atti o fatti che suscitano scandalo o allarme sociale; e l'ordine pubblico, cioè il divieto di introdurre in aula elementi di turbativa sociale; e la pubblica incolumità, cioè il divieto di attività pratiche tecniche o di laboratorio che possano pregiudicare l'integrità fisica e la salute degli alunni. Il legislatore ha individuato altri limiti alla libertà d'insegnamento: il rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola e il rispetto della coscienza morale e civile degli alunni. 3. Libertà della scuola: scuole non statali, paritarie e confessionali Dal punto di vista strutturale la libertà d'insegnamento si qualifica come libertà della scuola. L'istruzione non è monopolio dello stato, infatti, l’art. 33 Cost. stabilisce che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato. La possibilità di parificare gli studi compiuti in istituti d'istruzione privati a quelli compiuti presso scuole statali è però legata a precise valutazioni tecniche: la parità con le scuole statali viene accordata alle scuole che ne fanno richiesta in base alla legge dello stato che ne fissa i diritti e gli obblighi. La legge sulla parità scolastica, L.10 Marzo 2000 N.62, riconosce un sistema nazionale d'istruzione a carattere misto costituito da scuole statali e da scuole gestite da privati o da enti locali con il riconoscimento della parità (scuole paritarie). 4. Diritto allo studio e libertà d'istruzione Collegata alla libertà d'insegnamento è la libertà d'istruzione, nel senso che al dovere statale di istituire scuole di ogni ordine e grado fa fronte il diritto dei cittadini ad accedere liberamente al sistema scolastico, infatti, l'art. 34 comma 1, recita: la scuola è aperta a tutti. Il diritto all'istruzione si identifica come potere-dovere di ogni cittadino di frequentare i gradi d’istruzione obbligatoria e gratuita, non che di accedere ai gradi più alti degli studi anche se privi di mezzi purché capaci e meritevoli. Quest'ultima aspettativa si definisce diritto allo studio garantito dalla costituzione e inserito nell’elenco dei diritti fondamentali dell’uomo. È quindi compito della Repubblica garantire a tutti l'offerta d'istruzione, nonché la fruibilità di essa attraverso aiuti finanziari (borse di studio, assegni, ecc..) realizzando così la vera eguaglianza sociale stabilita dall'art. 3 Cost. L'art. 3 enuncia il principio di uguaglianza, esso si articola in due forme: e Art.3 comma 1 Cost. uguaglianza formale, in base al quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. ® Valorizzazione della qualità del sistema dell’istruzione: L’ISTITUTO NAZIONELE DI VALUTAZIONE ha il compito di monitorare con verifiche nazionali la qualità dell’offerta formativa e i livelli di apprendimento degli studenti. 7.3 RIFORMA GELMINI Sulla Riforma Moratti hanno inciso tra il 2008 e il 2011 varie leggi e decreti che prendono il nome di Riforma Gelmini. Tra le varie modifiche si segnala: La reintroduzione del maestro unico nella scuola primaria; La reintroduzione dei voti da 1 a 10 nel primo ciclo d'istruzione; Innalzamento dell’obbligo scolastico fino a 16 anni; L'introduzione delle Indicazioni Nazionali degli obiettivi specifici di apprendimento; Il riordino di istituti professionali, istituti tecnici e licei. 8. La Riforma della Buona Scuola La legge della Buona Scuola (L.107/2015) reca importanti modifiche al sistema scolastico, tra cui: La programmazione triennale dell’offerta formativa (PTOF); Il rafforzamento del collegamento tra scuola e mondo del lavoro: attraverso percorsi di alternanza scuola-lavoro negli ultimi 3 anni della scuola secondaria di II°; L'adozione del nuovo Piano nazionale scuola digitale; L'organico dell’autonomia, assegnato alle scuole sulla base del fabbisogno risultante dal PTOF; Un piano straordinario di assunzioni di personale docente; L'istituzione del Portale unico dei dati aperti della scuola. 8.11 decreti delegati di attuazione Nel maggio 2017 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale 8 dei 9 decreti previsti attuativi della Buona Scuola che sono: D.Lgs.59/2017; D.Lgs.60/2017; D.Lgs.61/2017; D.Lgs.62/2017; D.Lgs.63/2017; D.Lgs.64/2017; D.Lgs.65/2017; D.Lgs.66/2017. CAPITOLO 2: L'autonomia scolastica 1. L’autonomia delle istituzioni scolastiche Le Leggi Bassanini attuano una riforma della scuola in termini di modernità ed efficienza. In particolare l'elemento centrale dell’art.21 della L.59/1997 (Legge Bassanini), era rappresentato dalla codificazione dei principi di autonomia organizzativa e didattica, i quali si sono concretizzati nel potere attribuito al capo d'istituto di: e Organizzare l'offerta di servizi didattici diversi; e Introdurre nuove tecnologie; ® Predisporre corsi extracurricolari. Il processo autonomistico delle istituzioni scolastiche avviatosi con la L.59/1997 è stato seguito dalla L.Cost.n.3/2001 che ha modificato il Titolo V della Costituzione. Emerge così un rinnovato sistema formativo nazionale nel quale i principali attori sono: lo stato, le regioni, i comuni, le province, le istituzioni scolastiche autonome. 2. L'autonomia didattica (Art.4 DPR 275/1999) In base all’art.4 del DPR 275/1999 le istituzioni scolastiche adattano gli obiettivi nazionali ai percorsi formativi funzionari alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità e promuovono le potenzialità di ciascuno. Ciò avviene soprattutto attraverso la stesura del PTOF. Nell'esercizio dell’ autonomia didattica, le singole scuole regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle discipline e delle attività. L'autonomia didattica si estrinseca ad esempio nella possibilità di: - Rimodulare il monte ore annuale di ciascuna disciplina; - Programmare percorsi formativi specifici per esempio con insegnamenti di lingua straniera; - Organizzare iniziative di recupero e sostegno; - Ampliare l'offerta formativa, nuovi progetti e attività formative; - Attivare percorsi didattici individualizzati per alunni stranieri, vantaggiati, disabili, ecc..; - Definire i criteri di riconoscimento dei crediti scolastici per il recupero dei debiti formativi. 2.1 L’organico dell'autonomia Per dare piena attuazione all'autonomia la L.107/2015 ha istituito l'apposito organico dell'autonomia, esso è funzionale alle esigenze formative delle scuole ed è costituito dai posti comuni, dai posti per il sostegno e dai posti per il potenziamento per l'offerta formativa. | docenti dell’organico dell'autonomia concorrono alla realizzazione del PTOF con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento. Spetta al DS decidere come utilizzare questi docenti, anche in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati. 3. L'autonomia organizzativa (Art.5 DPR 275/1999) L'autonomia organizzativa di cui all’art.5 DPR 275/1999, si sostanzia nell'adozione di modalità organizzative e di utilizzo dei docenti che sono espressione di un’ampia libertà progettuale: - Ogni scuola può diversificare le modalità di impiego dei docenti nelle varie classi e sezioni; - È concessa alle scuole la possibilità di modificare il calendario scolastico; - È concessa un’organizzazione flessibile dell'orario del curricolo in non meno di 5 giorni la settimana. Tra gli strumenti organizzativi che la L.107/2015 introduce vi sono: ® L’apertura pomeridiana delle scuole; ® Lariduzione del numero di alunni e studenti per classe; ® Learticolazioni di gruppi di classi anche con potenziamento del tempo scolastico o rimodulazione del monte orario normale. 4. L'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo (Art.6 DPR 275/1999) In base all’art.6 del DPR 275/1999 le istituzioni scolastiche esercitano l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. Tra le prerogative assegnate sulla base di questo articolo figurano: ® La progettazione formativa e la ricerca valutativa; ® Laformazione e l'aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico; e L’innovazione metodologica e disciplinare; e La documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola; e Gliscambi di informazioni, esperienze e materiali didattici. 5. L’autonomia finanziaria L'autonomia finanziaria consiste nella gestione autonoma dei fondi pervenuti da contributi statali, tasse e contributi degli studenti, più altre forme di autofinanziamento. Le istituzioni scolastiche godono di autonomia contabile, amministrativa e di bilancio. La gestione finanziaria e amministrativo-contabile della scuola deve comunque ispirarsi ai criteri tipici aziendali di efficacia, efficienza, economicità. La scuola gode anche di autonomia negoziale, in quanto il DS con l’autorizzazione del consiglio d'istituto può chiedere finanziamenti, accendere mutui, acquistare e vendere immobili. 6. Le reti di scuole Nell'ambito dell'autonomia scolastica le scuole sia singolarmente che collegate in rete (reti di scuole), possono stipulare convenzioni con Università statali o private, con istituzioni ecc.. Le scuole possono promuovere accordi di rete per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali inerenti al potenziamento delle attività didattiche, di ricerca ecc.. L’organo competente per A partire dall'anno scolastico 2011/2012 la L.111/2011 ha imposto che le scuole dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado devono essere obbligatoriamente aggregate in istituti comprensivi. L'istituzione e la generalizzazione di questi istituti comprensivi, che riuniscono questi tre gradi di scuola, ha creato le condizioni per l'affermazione di una scuola unitaria di base che prende in carico i bambini dall'età di 3 anni per guidarli fino al termine del primo ciclo d'istruzione. Negli istituti comprensivi è prevista anche l’unitarietà degli organi collegiali dei tre ordini di scuola: un unico consiglio d'istituto e un unico collegio dei docenti articolato in sezioni. Il D.Lgs65/2017 che ha istituito il Sistema integrato 0-6 anni, inoltre, dispone la costituzione di poli per l'infanzia anche presso direzioni didattiche o istituti comprens i del sistema nazionale d'istruzione e formazione. 5. L'orientamento Nel passaggio dalla scuola del I° ciclo a quella del II° ciclo, la continuità verticale si identifica con l’attività di orientamento. L'orientamento può avere varie sfaccettature: e Orientamento educativo: serve per spingere gli individui alla conoscenza di se attraverso la consapevolezza delle proprie attitudini e la somministrazione di test che fanno emergere gli interessi personali. e Orientamento formativi: serve per sviluppare le competenze orientative di base quali, per esempio, l’analisi del contesto, le tecniche di risoluzione di problemi (problem solving). e Orientamento informativo: con le informazioni fornite da insegnanti ed esperti, con le visite a strutture di vario genere (mostre, fiere, ecc..). e Orientamento personale: è quello che aiuta nelle scelte individuali attraverso uno stretto rapporto interpersonale fra chi richiede un aiuto e un esperto. L'orientamento quindi deve rappresentare la centralità della fase formativa a qualunque età. CAPITOLO 5: Valutazione e autovalutazione delle scuole 1. La valutazione nel sistema scuola Possiamo rintracciare diversi profili di valutazione: ® Valutazione strettamente didattica, che deve apprezzare i processi e gli esiti dell’apprendimento; ® Valutazione di istituto, finalizzata a rilevare le caratteristiche del servizio scolastico erogato; ® Valutazione del sistema scuola, orientata a cogliere le tendenze, il rapporto costi/qualità edi macro-indicatori di riferimento. Vi è dunque una valutazione interna, che coinvolge i soggetti stessi che compiono un'attività e che sono chiamati ad “auto valutarsi” ed una valutazione di sistema, condotta da soggetti esterni finalizzata a testare il raggiungimento di obiettivi definiti e del sistema scuola. 2. Il Sistema nazionale per la valutazione del sistema educativo Con l’entrata in vigore dell'autonomia, al tradizionale sistema unico di vigilanza scolastica, a livello centrale, è subentrato un duplice sistema di controllo della qualità delle prestazioni e del funzionamento del sistema scolastico in rapporto agli standard nazionali. La valutazione esterna svolta da organismi nazionali si combina con l’autovalutazione di istituto. Al fine del miglioramento del sistema educativo, il D.Lgs.286/2004 ha istituito il servizio nazionale di valutazione (SNV) del sistema educativo d'istruzione e di formazione. Obiettivo di questo sevizio è quello di valutare l'efficienza e l'efficacia del complessivo sistema di istruzione e formazione, inquadrandone la valutazione nel contesto internazionale, soprattutto europeo. L’SNV, regolato oggi dal D.P.R 80/2013, è articolato su tre livelli rappresentati da: e INVALSI; è INDIRE; e Contingente ispettivo. L’autovalutazione delle scuole deve seguire il quadro di riferimento predisposto dall’INVALSI. In questo modo però, si corre il rischio che valutazione esterna ed interna si contaminino uniformandosi, annullando ogni possibilità di confronto tra situazioni diverse. L’INDIRE ha, invece, il compito di fornire sostegno ai processi di miglioramento e innovazione educativa, di formazione in servizio del personale della scuola e di documentazione e ricerca didattica. Infine il corpo ispettivo, caratterizzato da autonomia e indipendenza, ha la funzione di valutare le scuole e i dirigenti scolastici. 3. L’INVALSI Un ruolo predominante nel SNV è, assegnato all'istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI). L’INVALSI, che è soggetto alla vigilanza del MIUR, oltre a svolgere un ruolo di coordinamento funzionale dell’SNV, è un ente di ricerca che si occupa, come già visto, di: ® Effettuare verifiche periodiche; ® Svolgere attività di ricerca nell’ambito delle sue finalità istituzionali; ® Studiare le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica; e Assumere iniziative rivolte ad assicurare la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea; e Svolgere attività di supporto e assistenza tecnica all’amministrazione scolastica; e Svolgere attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola, connessa ai processi di valutazione e di autovalutazione delle istituzioni scolastiche; ® Realizzare il monitoraggio sullo sviluppo e sugli esiti del sistema di valutazione; ® Studiare modelli e metodologie per la valutazione delle istituzioni scolastiche e di istruzione e formazione professionale e i fattori che influenzano gli apprendimenti; ® Predisporre prove a carattere nazionale per gli esami di stato; L’INVALSI partecipa anche alle indagini internazionali in materia di valutazione in rappresentanza dell’Italia e in generale ha funzioni di valutazione dell’intero sistema scolastico italiano, evidenziando le aree critiche anche in comparazione con gli altri paesi soprattutto europei. L’INVALSI elabora le prove invalsi attraverso le quali le istituzioni scolastiche sono obbligare a periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti e sulle competenze degli studenti. 4. L’INDIRE Anche l’INDIRE (istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) è un ente di ricerca (il più antico del MIUR). L’INDIRE è articolato in 3 nuclei territoriali con sedi a Torino, Roma e Napoli e si raccorda con le regioni. Questo istituto ha competenze in materia di: - Formazione del personale docente; - Formazione del personale non docente e dei dirigenti scolastici; - Utilizzo delle nuove tecnologie per l'innovazione della didattica; - Sviluppo della dimensione di collaborazione internazionale delle istituzioni scolastiche ed universitarie; - Monitoraggio dei principali fenomeni del sistema scolastico italiano; -. Aggiornamento continuo alle scuole ed agli insegnanti, dirigenti e personale ATA. 5. Il processo di valutazione e autovalutazione delle scuole Il contrappeso dell'autonomia scolastica è il sistema di controlli e valutazioni che sono imposti alle istituzioni scolastiche per verificare che la loro azione sia efficiente ed efficace. Il processo di valutazione delle scuole può sintetizzarsi in 3 fasi: FASE 1 Autovalutazione: essa prevede l’analisi e la verifica del proprio servizio sulla base dei dati resi disponibili dal sistema informativo del ministero. Le scuole devono elaborare anche un rapporto di autovalutazione (RAV) in formato elettronico un quadro di riferimento predisposto dall’INVALSI, e formulare un piano di miglioramento. (Questo lo fanno tutte le scuole) FASE 2 Valutazione esterna: prevede l'individuazione delle situazioni da sottoporre a verifica, ovvero quali e quante siano le scuole in difficoltà in base agli indicatori definiti dall’INVALSI e le conseguenti visite dei nuclei di valutazione che portano a ridefinire i piani di miglioramento in base agli esiti delle analisi effettuate dagli stessi (lo fanno il 10% delle scuole ogni anno). FASE 3 Azioni di miglioramento: si realizzano mediante la definizione e attuazione degli interventi migliorativi (lo fanno tutte le scuole). Il punto di partenza deve essere sempre quanto emerso dal RAV: da questo occorre valutare le condizioni della scuola, le priorità strategiche che emergono, operare una revisione specifica di quanto emerso dalle analisi e poi sviluppare il PDM. Naturalmente il ODM deve essere attuabile, per cui partendo dalla situazione esistente, come emersa dal RAV, si individua l’obiettivo cioè la situazione desiderata e solo a questo punto si può sviluppare un piano educativo che abbia come obiettivo un miglioramento sostenibile, per cui la situazione desiderata deve essere calata nella realtà della scuola. Una possibili scaletta operativa quindi, potrebbe essere questa: ® Priorità strategica (es. innalzare gli esiti nelle prove standardizzate); ® Obiettivo di miglioramento (es. innalzare gli esiti nelle prove di matematica); ® Traguardo di lungo periodo (es. aumentare del 3% gli esiti in matematica). Bisogna evitare di indicare troppi obiettivi e concentrarsi su pochi fattibili. Il PDM richiede anche l'indicazione delle azioni che la scuola intende compiere per il raggiungimento degli obiettivi, queste azioni devono potenzialmente avere ricadute positive (bisogna anche considerarne eventuali criticità) e devono produrre effetti anche nel medio-lungo periodo. Dopo la descrizione della azioni si devono individuare le risorse materiali e umane a disposizione della scuola, interne o esterne e la tempistica per attuare le attività descritte, che deve essere strutturata come un vero e proprio “cronoprogramma?”. Altra sezione importante è quella dei monitoraggi, a tal proposito, occorre distinguere il monitoraggio dei processi che riguarda l'efficacia delle azioni dal monitoraggio degli esiti che è sui risultati. Il controllo sull'andamento del PDM è affidato al NIV. In sintesi un corretto PDM dovrà evidenziare le relazioni tra obiettivi di processo come emergono dal RAV, le azioni e i risultati attesi; le risorse e i tempi dovranno essere adeguati agli obiettivi. 7.2 Rapporti tra PDM e PTOF Il PTOF è il documento fondamentale della scuola in cui è indicata la progettazione curricolare, ex curricolare, educativa e organizzativa adottata dalla scuola dell'autonomia. Il PTOF non può non considerare il PDM e con esso deve essere integrato; per tanto anche ne PTOF devono essere indicati priorità, traguardi, obiettivi di processo e le azioni finalizzate a raggiungere i traguardi previsti. 8. La valutazione esterna L'organizzazione della valutazione esterna delle scuole è affidata alla conferenza per il coordinamento funzionale del Sistema nazione di valutazione, organismo di coordinamento tra i tre enti: INVALSI, INDIRE e corpo ispettivo. La valutazione esterna delle scuole è finalizzata: e Almiglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti; ® Allariduzione della dispersione e delle differenze tra scuole e aree geografiche; ® Alrafforzamento delle competenze di base degli alunni; ® Alla valorizzazione degli esiti a distanza. La valutazione esterna è affidata ai nuclei di valutazione esterne (NEV) costituiti da ispettori (dirigenti tecnici) e da esperti in materia di valutazione esterna dei sistemi scolastici (iscritti in appositi albi). La valutazione esterna ha come punto di partenza il processo di autovalutazione effettuato dalla scuola, quindi, come il PDM anch'essa trova il suo punto di partenza nel RAV. La valutazione esterna è articolata in un procedimento che prevede tre fasi: - Lettura e analisi dei documenti da parte del NEV; - Visita, con una raccolta di ulteriori dati anche attraverso interviste e osservazione diretta; - Formulazione del giudizio. La visita dura tre giorni e dovrebbe svolgersi così: - Incontro iniziale con il DS, lo staff di dirigenza e il NIV; - Raccolta delle evidenze attraverso interviste individuali e di gruppo e esame della documentazione della scuola; - Visita e osservazione degli spazi della scuola; - Incontro conclusivo con il DS, lo staff di dirigenza e il NIV e breve comunicazione informale sugli esiti della visita. Dopo la visita, il NEV predispone un rapporto di valutazione esterna (RVE) e lo invia alla scuola, che dovrà tenerne conto ai fini della compilazione del PDM. CAPITOLO 6: La governance delle istituzioni scolastiche L'ente di governo centrale è il MIUR mentre a livello periferico la governance della scuola è invece affidata agli uffici scolastici regionali (USR). Il governo dei singoli istituti è invece, demandato agli organi collegiali e al DS. 1. Amministrazione centrale e periferica Ai vertici dei vari settori della pubblica amministrazione, vi è il ministero che costituisce l’amministrazione centrale da cui dipendono, direttamente, tutti i vari uffici, distribuiti sul territorio nazionale. Questi hanno competenza territoriale limitata e costituiscono l’amministrazione periferica dello stato, ne sono un esempio le prefetture e gli uffici scolastici regionali (USR). 2. Il Ministero dell'Istruzione dell'università e della ricerca (MIUR) Nel 1999 il ministero della pubblica istruzione fu accorpato con il ministero dell'università e della ricerca scientifica per diventare MIUR. Il MIUR, organo di amministrazione centrale è suddiviso in dipartimenti ed aree, a loro volta suddivisi in numerose direzioni generali: ® Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione; e Dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca; ® Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali. I capi dei dipartimenti svolgono compiti di coordinamento, direzione e controlla degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel Dipartimento e sono responsabili dei risultati complessivamente raggiunti in attuazione degli indirizzi del ministro. Gli USR dipendono dai capi Dipartimento in relazione alle specifiche materie da trattare. Per lo svolgimento delle proprie funzioni di indirizzo politico-amministrativo, il ministro si avvale degli uffici di diretta collaborazione (detti “uffici di staff”) come: l’ufficio di gabinetto, la segreteria del ministro, ecc.. Il viceministro e i sottosegretari di stato svolgono in particolare, i compiti a loro delegati dal ministro. 2.1 Le competenze del Ministro Il ministro ha il compito di promuovere l’istruzione sociale e pubblica e di sovraintendere al corretto andamento dell'intero sistema scolastico (e universitario). Il ministro è l'organo di direzione politica del ministero, ad egli spetta: ® La definizione di obiettivi, priorità, piani, per l’azione amministrativa; ® L’individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità; ® La definizione dei criteri per l’organizzazione della rete scolastica; ® La valutazione del sistema scolastico; ® Determinare e assegnare le risorse finanziarie dello stato al personale e alle istituzioni scolastiche. 2.2 Conferenza permanente dei capi Dipartimento e dei direttori generali I capi dei dipartimenti, i dirigenti preposti agli uffici di livello dirigenziale generale compresi nei dipartimenti e i dirigenti titolari degli URS, si riuniscono in conferenza per trattare le questioni riguardanti il coordinamento delle attività dei rispettivi uffici e per formulare al ministro proposte per l'emanazione di indirizzi e direttive. La conferenza in seduta plenaria è presieduta dai capi dipartimento che la convocano periodicamente con cadenza almeno semestrale. 3. Altri organismi collegati all’amministrazione centrale e Il consiglio superiore della pubblica istruzione (CSPI), composto da 36 membri ha il compito principale di formulare proposte al ministro sulle politiche da perseguire in materia di istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, ecc.. ® L’osservatorio per l'edilizia scolastica promuove iniziative relative alla riqualificazione e manutenzione delle scuole ì, ai criteri di progettazione, ai costi e alla sicurezza degli edifici scolastici. ® L’istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) è un ente di ricerca che si occupa di: - Effettuare verifiche periodiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle scuole (prove INVALSI); - Studiare le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica; Il consiglio di classe proprio della scuola secondaria, è composto dai docenti di ogni singola classe compresi i docenti di sostegno: si occupa dell'andamento generale della classe; è presieduto dal DS. I consigli di intersezione, di interclasse e di classe hanno il compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione, e di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori e alunni. La durata degli organi in oggetto è di un anno, sicché le componenti elettive vanno rinnovate all’inizio di ogni anno scolastico. 10. Il Collegio dei docenti Il collegio dei docenti è un organo collegiale composto solo dal personale insegnante, sono esclusi i soggetti estranei. Per farne parte occorre la qualifica di insegnante di ruolo e non di ruolo in servizio nel circolo o nell'istituto. Fanno parte del collegio anche i docenti di sostegno che assumono la con titolarità delle classi. Il collegio è presieduto dal DS, il suo voto prevale in caso di di ogni anno parità tra favorevoli e contrari a una deliberazione. Il collegio si insedia all’i scolastico e si riunisce ogni volta che il DS ne ravvisi la necessità, oppure quando 1/3 dei componenti ne faccia richiesta, comunque almeno una volta ogni trimestre o quadrimestre. Il collegio esercita: ® Poteri deliberanti, nel senso che delibera su tutto quello che riguarda il funzionamento didattico del circolo o dell'istituto. Elabora il PTOF (che viene poi deliberato dal consiglio di istituto). ® Poteridi proposta, nei confronti del dirigente per la formazione e la composizione delle classi e l'assegnazione ad esse dei docenti. ® Poteri propulsivi, in forza dei quali promuove iniziative di innovazione e di aggiornamento dei docenti. ® Poteridi valutazione, per mezzo dei quali valuta periodicamente l'andamento complessivo dell’azione didattica. ® Poteridi indagine, in virtù dei quali esamina gli eventuali casi di scarso profitto degli alunni segnalati dai docenti di classe. , nel senso che formula pareri al dirigente in ordine alla sospensione dal ® Poteri consulti servizio e alla sospensione cautelare del personale docente quando ricorrono ragioni di particolare urgenza. AI collegio dei docenti, che rimane comunque subordinato al consiglio di istituto, spettano, dunque, poteri in ambito esclusivamente tecnico-didattico. 11. Il Consiglio di circolo o d'istituto Il consiglio di circolo o di istituto è l'organo cui è affidato il governo economico-finanziario della scuola. L'organo è composto da 14 membri negli istituti con popolazione scolastica fino a 500 alunni e da 19 membri negli istituti con popolazione scolastica superiore a 500 alunni. Di esso fanno parte i rappresentanti del personale docente e quelli del personale non docente, i rappresentanti dei genitori degli alunni, i rappresentanti degli studenti e il DS. Il consiglio è presieduto da uno dei suoi membri eletto tra i rappresentanti dei genitori degli alunni, a maggioranza assoluta nella prima votazione e a maggioranza relativa nelle successive. L'organo dura in carica 3 anni scolastici. Il consiglio di istituto: ® Ilapprova il PTOF elaborato dal collegio dei docenti, sulla base degli indirizzi definiti dal DS; e Approvailbilancio preventivo e il conto consuntivo; ® Adotta il regolamento di istituto, che disciplina il complesso delle attività della scuola (funzionamento biblioteche, formazione delle classi, ecc..); ® Adattail calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali; ® Adottale iniziative dirette all'educazione della salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze. Gli atti deliberativi dell'organo, come tutti gli organi collegiali della scuola, sono atti impugnabili con ricorso al TAR o con ricorso straordinario al capo dello stato. 11.1 Regolamento di istituto Il regolamento di istituto è il documento emanato dal consiglio di istituto che disciplina le attività quotidiane della scuola. Il regolamento comprende in particolare, le norme riguardanti: ® Lavigilanza sugli alunni; e Il comportamento degli alunni; e Laregolamentazione dei ritardi, uscite, assenze, giustificazioni; ® L’uso degli spazi comuni, dei laboratori e della biblioteca; e Lamensa; e lviaggi di istruzione. 12. Il Comitato per la valutazione degli insegnanti La L.107/2015 in merito al comitato della valutazione dei docenti coadiuva il DS nell’assegnazione del bonus per il merito ai docenti. Il comitato ha durata triennale ed è presieduto dal DS, è composto da: - Tre docenti, due scelti dal collegio docenti e uno dal consiglio di istituto; - Due rappresentanti dei genitori nella scuola dell'infanzia e nel primo ciclo di istruzione; un rappresentante degli studenti e uno dei genitori per il secondo ciclo, scelti dal consiglio di istituto; - Un componente esterno scelto dal USR. 13. Assemblea dei genitori Gli studenti della scuola secondaria superiore e i genitori degli alunni delle scuole di ogni ordine e ni grado hanno diritto di istituzionalizzazione dei rapporti tra scuola e famiglia. Come le assemblee degli studenti, le assemblee dei genitori possono essere di classe e di istituto. Alle assemblee di classe partecipano i genitori degli alunni iscritti alla classe; a quelle di istituto i genitori degli alunni iscritti alla scuola. Tipiche della scuola dell'infanzia sono poi le assemblee di sezione in cui si riuniscono i genitori dei bambini di una stessa sezione, per discutere di problemi che riguardano l’attività, l’organizzazione dei servizi e i rapporti tra scuola e famiglia. Le assemblee possono svolgersi fuori o dentro i locali della scuola, se sono tenute all’interno è necessaria l’autorizzazione del DS. in assemblea nei locali della scuola, nell’ottica della 14. Il Dirigente scolastico e i suoi collaboratori Nell'ambito della governance della scuola assume un ruolo determinante il dirigente scolastico. Il DS è un vero e proprio datore di lavoro pubblico, è chiamato ad una gestione imprenditoriale delle proprie funzioni, come la conduzione di una vera e propria azienda: l’azienda-scuola. 14.1 |docenti collaboratori e il collaboratore vicario Il DS per svolgere le sue funzioni organizzative amministrative può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali delegare compiti specifici. Il DS può poi scegliere tra i propri collaboratori un docente che esplichi le funzioni vicarie, definito collaboratore vicario (collaboratore). L'esercizio della mansione direttiva da parte del collaboratore comporta l'assunzione delle funzioni del DS: ciò avviene di diritto quando il DS si assenta per ferie, congedo, ecc.. o nel caso in cui si trovi în una condizione di impedimento, ma può avere luogo anche su delega. Mentre il DS rappresenta l'ufficio il docente con funzioni vicarie è un semplice preposto all’ufficio e non ne diventa titolare, quindi rientra tra i collaboratori del dirigente. 14.2 |docenti incaricati delle funzioni strumentali al PTOF Le funzioni strumentali corrispondono a quelle che una volta erano le funzioni obiettivo ma oggi sono molto più ampie e non più definite solo a livello nazionale. Queste funzioni vengono identificate con delibera del collegio dei docenti in coerenza con il piano dell'offerta formativa che, contestualmente, ne definisce criteri di attribuzione, numero e destinatari. Chi svolge già un incarico di collaborazione con il DS, non potrà svolgere anche il ruolo di funzione strumentale, infatti, il suo compenso non è cumulabile con quello delle funzioni strumentali. 14.3 Il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA) È un organo che non si trova in posizione di sotto-ordinazione rispetto al nucleo operativo, ma lo supporta attraverso procedure tecniche e di analisi: il DSGA infatti, ha alle sue dipendenze il personale ATA. La sua area di competenza si suddivide in: e Servizi generali, organizzando il lavoro del personale non docente per l'erogazione dei servizi necessari alla quotidianità della vita scolastica. Infine, la coerenza riguarda le politiche dei vari soggetti che si occupano della scuola e che devono essere tra di loro coerenti, al fine di creare e mantenere un quadro organico degli interventi e di procedere al loro controllo. Nel sistema scolastico la sussidiarietà verticale si riconosce a 4 livelli: nazionale, regionale, territoriale, singola scuola. Il principio di sussidiarietà orizzontale, nell'istruzione, è stato consolidato con la “legge sulla parità scolastica”. Oggi l'interesse pubblico è di fatto sostituito dall’interesse della collettività e può essere soddisfatto da soggetti pubblici. Di fatto la sussidiarietà orizzontale si attua attraverso una libera scelta della famiglia, che valuta il livello di offerta formativa da parte della scuola pubblica o privata ed esercita il suo diritto di scelta. 4. Glocalismo e analisi del territorio Nel campo scolastico il termine glocalismo rappresenta l'impegno della scuola su tematiche generali radicate nel territorio di cui vanno analizzate le dimensioni fondamentali: quella economica, demografica e socioculturale. Per cogliere la vitalità economica del contesto del territorio è importante: e Conoscere i dati relativi alla consistenza della popolazione attiva, non attiva, tassi di disoccupazione ed in occupazione; ® Stimare le risorse economiche investite nel territorio da parte di enti locali a favore dell’istruzione; e Conoscere il sistema produttivo del territorio, le tipologie produttive, i modelli organizzativi in uso, le strategie di sviluppo, gli investimenti; ® Verificare la possibilità di stringere alleanze con il mondo economico. 5. Disegnare la mappa dell'identità socio-culturale di un territorio Per disegnare lì identità socio culturale è necessario: ® Stimare il livello di istruzione della popolazione e dei genitori; ® Acquisire elementi circa le domande di formazione di persone in età non scolare interessate alla cosiddetta manutenzione delle conoscenze e delle competenze; ® Rilevare la diffusione di strumenti culturali di accesso individuale alla cultura (lettura dei quotidiani, possesso del pc); e Conoscere le strutture che contribuiscono alla diffusione della cultura: biblioteche, teatri, ecc..; e Evidenziare eventuali bisogni linguistici particolari di minoranze; ® Stimare il rischio alfabetico (rischio di atrofizzazione delle competenze alfabetiche nella fase post scolare); e Censire e intercettare le associazioni che si occupano delle cura di se; ® Individuare la diffusione di agenzie nei settori culturali e formativi (corsi di informatica, di lingua, ecc..). In questo modo il territorio potrebbe essere rappresentato in una sorta di mappa valida da cui scaturire anche il PTOF. In effetti le mappature effettuate finora hanno consentito di conoscere una ricchezza di servizi. 6. Le principali forme di collaborazioni interistituzionale 6.1 | partenariati educativi Per partenariato si intende la realizzazione di un confronto tra più soggetti diversi coinvolti nello stesso settore i quali cercano una soluzione comune, che raggiunga il massimo consenso, per il raggiungimento di obiettivi condivisi. Le scuole operano per realizzare patti formativi-educativi sul territorio, attraverso partenariati locali. Le scuole possono promuovere, o aderire a partenariati già costituiti, a diversi livelli: - Locale - Regionale - Nazionale - Europeo I protocolli di intesa, le convenzioni, gli accordi, i consorzi di scuole sono gli strumenti più utilizzati nella creazione delle reti di scuole. Le varie forme di partenariato educativo prevedono la partecipazione di diverse componenti tra le quali: enti locali, musei, istituti di ricerca, università, associazioni culturali, biblioteche, ecc.. Il partenariato educativo è uno strumento di cooperai zone per gestire l'offerta formativa sul territorio, è un'opportunità per favorire un processo di condivisione degli obiettivi da perseguire ovvero si conseguiranno obiettivi comuni per realtà anche molto diverse tra loro. Il risultato sarà dunque un progetto educativo, frutto della collaborazione attuata attraverso il partenariato che tiene conto della pluralità dei bisogni ma anche della complessità dei vincoli per la realizzazione. 6.2 Le reti di scopo e le reti di ambito L’art. 7 D.P.R. 275/1999 prevede la possibilità di effettuare accordi tra scuole che reputano di poter condividere percorsi di diverso genere al fine di migliorare il servizio erogato all'utenza. La tipologia di reti realizzabili è molto variegata: si possono creare reti di libero scambio i scuole su tematiche di progetto, (associazionismo professionale, gruppi spontanei); reti locali sulla base di apposite convenzioni e protocolli di intesa; reti di servizi, per la messa in comune di risorse; reti nazionali di progetti anche a livello europeo. All’interno della scuole tra gli organi coinvolti nella stipulazione delle reti vi è in primo luogo il collegio dei docenti che predispone il progetto da realizzare e che richiede la collaborazione con altre scuole. Il confronto con il DS è indispensabile perché ha la competenza ad istaurare rapporti con l'esterno pertanto proviene da lui la proposta alle altre scuole della realizzazione della rete di scopo. L'accordo di rete viene poi deliberato dal consiglio di circolo o di istituto. Con l'avvento della Buona Scuola si sono realizzate le reti di ambito, all’interno delle quali si può individuare una scuola-capofila per singoli progetti e diverse scuole-polo che facilitano il coordinamento tra le scuole, esempio di scuole-polo sono quelle per la formazione o per l’inclusione. 6.3 Il Piano educativo territoriale Il PET è una particolare forma di contratto formativo sottoscritto tra scuola, famiglie e territorio. Interlocutore privilegiato e la famiglia direttamente coinvolta anche nei progetti di formazione. 7. Il ruolo delle famiglie 7.1 Il Patto educativo di corresponsabilità Il PEC nasce ne 2007 ed era destinato ad inasprire le misure sanzionatorie previste per gli allievi autori di illeciti e richiama le famiglie ad assumersi la responsabilità nell’educazione dei propri figli. Il contenuto del PEC si articola in una enunciazione di doveri da rispettare sia da parte degli insegnati, che delle famiglie, che degli studenti. Gli elementi che si desumono dal patto sono un sostanziale riconoscimento della parità tra le parti e la condivisione degli strumenti educativi. Il DS con la sua firma, impegna la scuola ad erogare il servizio nel modo indicato nel patto. 7.2 Il contratto formativo Il contratto formativo costituisce la dichiarazione dell'operato della scuola, in particolare per quanto riguarda il ruolo dei docenti e degli alunni nella quotidiana azione didattica. Lo scopo è quello di codificare il reciproco impegno che docenti e studenti assumono per realizzare un percorso formativi. Con il contratto formativo il DS e i docenti dichiarano l'offerta formativa e le famiglie e gli allievi collaborano alla sua realizzazione. CAPITOLO 8: Offerta formativa e programmazione 1. Il Piano triennale dell'offerta formativa (PTOF) L'autonomia didattica delle scuole si estrinseca attraverso la realizzazione della propria offerta formativa e quindi con l'approvazione del relativo atto di pianificazione. Nel 2015 il POF piano dell'offerta formativa è stato sostituito dal PTOF piano triennale dell’offerta formativa: la novità rispetto al POF è che il PTOF ha la durata di un triennio ma resta uno strumento di programmazione e gestione interna. Il PTOF è la carta di identità della scuola per presentarla alle famiglie e alle altre realtà socio territoriali. 1.1 Il vecchio Progetto educativo di istituto (PEI) Nel 1995 venne precisato che fra i documenti di cui la scuola si doveva dotare vi era anche il cosiddetto progetto educativo di istituto (PEI), il quale conteneva le scelte educative e organizzative delle risorse e costituiva un impegno per l’intera comunità scolastica. 2. Elaborazione e struttura del PTOF Il curricolo si articola attraverso: e Campidiesperienza nella scuola dell’infanzia; ® Discipline nella scuola del I° ciclo; ® Individuazione dei traguardi per lo sviluppo delle competenze; e Obiettivi di apprendimento, cioè conoscenze e abilità indispensabili per raggiungere le competenze attese. 5. L’attività di programmazione nella scuola Una volta definito il curricolo, si avvia l’attività di programmazione della scuola che si esplica in tre momenti fondamentali: - Programmazione di istituto, elaborata dal consiglio di istituto, che individua le finalità educative generali dopo aver acquisito tutte le informazioni provenienti dal contesto territoriale su cui si insedia la scuola e le risorse interne a disposizione della stessa. - Programmazione educativa, elaborata dal collegio dei docenti, la quale progetta i percorsi formativi correlati agli obiettivi e alle finalità nei programmi della scuola. La programmazione educativa si riferisce agli obiettivi che riguardo lo sviluppo della personalità: area sociale, area cognitiva, area motoria, area affettiva. - Programmazione didattica, elaborata e approvata dal consiglio di intersezione, di interclasse o di classe, che delinea il percorso formativo della classe e del singolo alunno, adeguando ad essi gli interventi operativi. A partire dal curricolo di istituto, parte integrante del PTOF, i docenti, programmano collegialmente l’attività educativa e didattica. 6. Il Piano annuale della attività dei docenti Il DS all’inizio dell’anno scolastico, deve formulare anche il piano annuale delle attività dei docenti, esso formalizza gli obblighi di lavoro dei docenti funzionali alle attività di insegnamento; è deliberato dal collegio dei docenti. 7. La programmazione del processo formativo Il continuo processo di innovazione e cambiamento, cui la scuola è stata sottoposta negli ultimi anni richiede una revisione costante anche negli strumenti di progettazione e valutazione del processo formativo. In questo contesto normativo sempre in movimento, la complessità della azioni educative e didattiche richiede elevate capacità progettuali che coinvolgono: DS, collegio dei docenti, consiglio di classe, docenti, personale amministrativo, famiglie e territorio. 7.1 Macro e micro progettazione a scuola Per progettazione si intende l'insieme di tutte la strategie formative messe in atto dalla scuola nel suo complesso e dal singolo docente, consistenti nella elaborazione di una programmazione atta a raggiungere determinati obiettivi educativo-didattici prefissati. Il PTOF si inserisce nella macro progettazione, che si pone a monte della micro progettazione cioè la programmazione di dettaglio. Essa partendo dall’analisi dei bisogni definisce gli obiettivi e le strategie per raggiungerli tenendo conto delle risorse disponibili. La programmazione è un obbligo di legge previsto al fine di razionalizzare e finalizzare efficacemente i processi di insegnamento/apprendimento, ma è anche la più alta espressione dell’autonomia didattica delle scuole che attraverso la progettazione curricolare esplicitano la loro migliore offerta formativa. Nella micro progettazione rientrano la programmazione annuale ma anche la singola lezione, che viene elaborata dal docente definendo i metodi didattici, le tecniche, i tempi, ecc.. per il raggiungimento degli obiettivi. | docenti elaborano la programmazione didattica individualmente per le discipline che insegnano e collegialmente nell’ambito dei collegi dei docenti e dei consigli di classe. | principali riferimenti della micro progettazione sono: © IIPTOF; e documenti ministeriali; ® Le peculiarità culturali del territorio di riferimento; ® Lecaratteristiche socio-culturali e cognitive degli studenti. CAPITOLO 9: Scuola delle competenze e documenti europei in materia educativa 1. Il concetto di competenza La competenza può essere concepita come l’insieme delle conoscenze, delle abilità e degli atteggiamenti che consentono ad un individuo di ottenere risultati utili al proprio adattamenti negli ambienti per lui significativi, che si manifesta come capacità di affrontare i problemi della vita attraverso l’uso di abilità cognitive e sociali. È possibile distinguere: e Le competenze cognitive, disciplinari, professionali che riguardano l’acquisizione di concetti e strumenti di base di una disciplina; e Le competenze meta cognitive, che comprendono la consapevolezza e il controllo dei proprio processi di apprendimento; e Le competenze trasversali, che consentono di affrontare e risolvere problemi, prendere decisioni, sviluppare decisioni creative, curare il proprio successo formativo. 2. Le competenze nel contesto scolastico italiano i, culturale e professionale dello studente (D.Lgs. 59/2004) vengono precisate le competenze che dovrebbe possedere uno studente alla fine del primo ciclo di istruzione. Un ragazzo è riconosciuto competente quando utilizza le conoscenze e le abilità prese per: e Esprimere un personale modo di essere e proporlo agli altri; ® Risolvere i problemi che di volta in volta incontra; ® Riflettere su se stesso e gestire il proprio processo di crescita; e Comprendere la complessità dei sistemi simbolici e culturali; e Maturare il senso del bello; e Conferire senso alla vita. 3. Le competenze chiave per l'apprendimento permanente (Racc. 18 dicembre 2006) I settori di istruzione e formazione non sono di competenza dell'unione europea ma questa fissa ivi comuni a tutti gli stati membri, al fine di garantire un livello di ricerca e istruzione alcuni obiet uniforme per tutti. Gli stati quindi, rimangono sovrani in materia di istruzione e formazione e l’unione svolge prevalentemente un ruolo di sostegno delle politiche nazionali. Il miglioramento del livello formativo generale è stato ribadito in diversi orientamenti comunitari fino al Vertice di Lisbona del 2000 (strategie di Lisbona), incentrato sull’evidenziare gli obiettivi da raggiungere entro il 2010 tra i quali: - L'aumento della qualità e dell'offerta dei sistemi di istruzione e formazione; - La facilitazione dell'accesso ai sistemi di istruzione e formazione; - L’apertura dei sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno in particolare agli adulti (lifelong learning). 11 3 marzo 2010 la Commissione europea propose una nuova Strategia per l'Europa, denominata Europa 2020 che, rappresentava la prosecuzione della Strategia di Lisbona. Europa 2020 è concentrata su quegli ambiti di intervento chiave che possono migliorare la collaborazione tra gli stati membri e l'unione e rilanciare l'economia dell'unione. In questo nuovo quadro strategico, la commissione ha individuato tre motori di crescita dell’Europa: tale); ® Crescita sostenibile (rendendo la produzione dell'Europa più efficiente); ® Crescita intelligente (promuovendo l’istruzione e la società di; ® Crescita inclusiva (incentivando l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà). L'obiettivo della Strategia di Lisbona del 2000 era quello dei garantire a tutti l’accesso alle competenze base (cioè la combinazione di conoscenze, abilità e attitudini) furono cosi definite le competenze chiave che ogni alunno deve raggiungere al termine del periodo obbligatorio di istruzione. Nel 2006 l'unione europea ha invitato gli stati membri a sviluppare, nell’ambito delle loro politiche educative, strategie per assicurare che: - L’istruzione e la formazione iniziali offrano a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze chiave a un livello tale che li preparino alla vita adulta e costituiscano la base per ulteriori occasioni di apprendimento. - Si tenga conto di quei giovani che, a causa di svantaggi educativi, hanno bisogno di un sostegno particolare per realizzare le loro potenzialità. soluzioni, necessari per affrontare nuove situazioni. Viene quindi promossa una didattica per competenza destinata a valorizzare le conoscenze degli alunni, promuovere l'apprendimento collaborativo, sviluppare la laboratorialità. Sezione Il La normativa sull’inclusione CAPITOLO 1: La normativa sull’integrazione degli alunni disabili: storia ed evoluzione 1. Dall’integrazione all’inclusione L'integrazione è un concetto superato anche se innovatore rispetto all'impostazione originaria che riteneva che i disabili dovessero seguire percorsi di istruzione separati da quelli ordinari. Esso fa riferimento ad un modello risalente agli anni ‘70 in cui si incentivava l'inserimento del disabile in una classe comune, in una classe però pensata per alunni normodotati. Dal 2009 in seguito ad alunni interventi normativi, si è passati al concetto di inclusione: non è l'alunno con problemi che deve integrarsi all’interno di una classe di normodotati, ma è la scuola, la classe che deve includerlo, accoglierlo, rimodellando il suo stesso approccio didattico e valorizzando la diversità che diventa risorsa anche per il gruppo. 2. L’integrazione scolastica in Italia L'idea di una scuola “aperta a tutti” nasce in Italia negli anni che seguono la contestazione giovanile del 1968, quando in Europa i movimenti studenteschi diedero vita ad accese manifestazioni, che misero in discussione il mondo sociale, politico, culturale e il sistema dell'istruzione, tali proteste si protrassero fino agli anni ‘90. In tale contesto, alcuni pedagogisti e insegnanti si posero il problema che una scuola democratica e accessibile a tutti i componenti della società dovesse esserlo soprattutto per gli alunni svantaggiati, culturalmente e socialmente, e ai disabili, fino a quel momento relegati nelle scuole speciali. 2.1 Dall’inserimento all'integrazione: la L. 118/1971 Con la L.118/1971 si introduce per la prima volta il principio secondo cui per i minori invalidi civili l'istruzione obbligatoria debba avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi di gravi deficienze intellettuali o menomazioni fisiche tali da impedire l’inserimento. Dunque, a prescindere dal tipo di handicap e dalla sua gravità, gli alunni portatori di handicap vanno inseriti nelle classi comuni. Inoltre, questa legge contiene le misure per garantire la frequenza scolastica degli alunni non autosufficienti: e Iltrasporto gratuito dalla propria abitazione alla scuola; ® L'accesso alla scuola tramite l'eliminazione delle barriere architettoniche; ® L'assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi. 2.2 Segue: il Documento Falcucci (1975) Il documento Falcucci del 1975 racchiude l'essenza dell’integrazione scolastica che apre la strada alla frequenza degli alunni disabili nelle classi comuni, superando qualsiasi forma di emarginazione. In questo documento si parlava per la prima volta di progetto educativo, un modello di insegnamento che superava il concetto dell’unicità del rapporto insegnante-classe attribuendo a un gruppo di insegnanti interagenti la responsabilità globale verso un gruppo di alunni, con la conseguente necessità di programmare il progetto educativo servendosi anche della collaborazione di specialisti. Il superamento del rapporto dualistico prevede, per la scuola elementare, un'insegnante in più (di ruolo e particolarmente esperto) ogni tre gruppi di allievi. Questo insegnante in più è l'insegnante di sostegno, pensato come esperto, specialista di metodologia didattica. Con il documento Falcucci inizia l'avventura dell’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap nelle calassi comuni. 2.3 Segue: La L. 517/1977 La L.517/1977 è il primo testo che disciplina in modo completo l'integrazione degli alunni portatori di handicap. Abolisce le classi differenziali per gli alunni svantaggiati e introduce gli strumenti necessari per attuare questa integrazione: l'insegnante di sostegno nelle scuole elementari e medie, e il principio della individualizzazione dell’insegnamento. Inoltre, questa legge dispone per la scuola elementare che la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno. La legge dispone per la scuola media, che siano previste forma di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap da realizzare durante l'utilizzazione dei docenti in servizio nella scuola e in possesso di particolari titoli di specializzazione, entro il limite di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicap e nel numero massimo di 6 ore settimanali. 2.4 Segue: La L.270/1982 La L.270/1982 ha apportato dei correttivi alla L.517/1977, soprattutto in merito alla quantificazione del sostegno da assegnare all’alunno handicappato. Essa stabilisce che ciascuna sezione di scuola materna è costituita con un numero massimo di 30 bambini e un numero minimo di 13 bambini, ridotti rispettivamente a 20 e a 10, per le sezioni che accolgono bambini portatori di handicap. Inoltre, abroga la norma della L.517 secondo la quale per la scuola media sussiste il limite delle 6 ore settimanali di sostegno per classi, adeguando l’orario alle reali esigenze. L'importanza della L.270 sta nel fatto di aver stabilito che i posti del sostegno sono di ruolo come i posti comuni e si ricoprono con concorsi e con graduatorie e titoli specifici. 3. La legge quadro in materia di handicap: L. 104/1992 La L.104/1992 ribadisce e amplia il principio dell’integrazione sociale scolastica come momento fondamentale per la tutela della dignità umana della persona con disabilità, impegnando lo stato a rimuovere le condizioni invalidanti che ne impediscono lo sviluppo, sia sul piano della partecipazione sociale sia su quello dei deficit sensoriali e psico-motori per i quali prevede interventi riabilitativi. L'art. 14 in particolare, si occupa del ruolo degli insegnanti di sostegno e dell'importanza di un aggiornamento costante in materia di handicap. La Legge quadro individua alcuni strumenti di istruzione necessari all’effettiva integrazione degli alunni con disabilità: ® LA DIAGNOSI FUNZIONALE (DF); ® ILPROFILO DINAMICO FUNZIONALE (PDF); ® ILPIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO (PEI) Questi documenti redatti in collaborazione con il Servizio Sanitario Nazionale, hanno lo scopo di riscontrare le potenzialità funzionali dell’alunno con disabilità per costruire adeguati percorsi di autonomia, socializzazione e apprendimento. Sulla base del PEI vengono realizzati progetti personalizzati a cura della ASL degli enti locali e delle scuola: - Il progetto riabilitativo (ASL); - Il progetto di socializzazione (enti locali); - Il piano degli studi personalizzato (scuole). Anche la legge quadro 328 del 2000 si occupa della realizzazione del sistema integrato attraverso interventi e servizi sociali, a tale scopo tra gli interventi prevede la predisposizione di progetti individuali per le persone disabili, realizzati d'intesa dai comuni con le ASL. 4. Il D.Lgs. 66/2017 Questo decreto è incentrato sulla inclusione scolastica degli alunni e degli studenti con disabilità certificata ai sensi della L.104/1992. Questo decreto: ® Rafforzala partecipazione e la collaborazione delle famiglie e delle associazioni nei processi di inclusione scolastica. ® Definisce, nell’ambito dei processi di inclusione, i compiti spettanti a stato, regioni ed enti locali. ® Introduce il modello bio-psico-sociale della Classificazione Internazione del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) adottata dall’OMS. ® Riordinae rafforza i gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica. ® II PEI diventa parte integrante del Progetto Individuale. ® Introduce un nuovo percorso di formazione iniziale per i docenti di sostegno nella scuola dell'infanzia e primaria, per la scuola secondaria invece la nuova disciplina è contenuta nel D.Lgs.59/2017. Resta ferma la disciplina per la costituzione delle sezioni per la scuola dell'infanzia e della classi prime per ciascun grado di istruzione in modo che il numero non superi i 20 alunni. 5. La L.18/2009 e le Linee guida per l'integrazione degli alunni disabili ® Partecipazione in particolare la Strategia si propone di contribuire a rimuovere gli ostacoli alla mobilità dei disabili, assicurare la qualità dell’assistenza ospedaliera, promuovere l'accessibilità a strutture e servizi sportivi, ricreativi e culturali. ® Uguaglianza contrastare le discriminazioni fondate sulla disabilità. ® Occupazionetra gli obiettivi della Strategia si evidenzia l'aumento del numero dei lavoratori disabili sul mercato. e Istruzione e formazione grande attenzione riservata agli studenti disabili che devono poter accedere all'istruzione anche attraverso misure di accompagnamento individuale e col supporto di figure professionali del sistema educativo. ® Protezione sociale rientrano tutte le misure messe in atto per contrastare i rischi di disparità di reddito, povertà ed esclusione sociale ai quali sono esposti i disabili. ® Salute adeguare i costi delle strutture e dei trattamenti sanitari in modo da renderli accessibili ai soggetti che vi ricorrono. ® Azione esterna cioè l’UE si impegna a sostenere lo sviluppo e l’aiuto ai paesi membri mediante finanziamenti e istanze internazionali, come il consiglio d'Europa e l'ONU. CAPITOLO 2: L'attuale quadro normativo in materia di inclusione 1. La legge 107/2015 e il decreto attuativo D. Lgs. N. 66/2017 Negli ultimi anni la materia dell’inclusione, a partire dalla L.107/2015 è stata oggetto di rivisitazioni sul piano operativo e organizzativo. Per ricomporre l’attuale quadro normativo, alla luce delle novità introdotte dal D. Lgs. 96/2019 è opportuno esaminare le disposizioni contenute nel precedente decreto 66/2017, riguardante gli studenti con disabilità certificata ai sensi dell’art. 3 della L. 104/1992. | 16 articoli che compondono il D.Lgs. 96/2019 contengono continui rimandi al primo decreto le cui disposizioni normative vengono in parte modificate, integrate o sostituite, rendendo il decreto successivo di non facile lettura. Il primo elemento di novità è dato dal coinvolgimento di tutte le componenti scolastiche. L’inclusione si realizza attraverso la definizione del progetto individuale tra tutti gli enti che devono poter collaborare per la formazione degli studenti. Il PEI è parte integrante del progetto individuale. Nel definire le competenze dei soggetti coinvolti, l'art. 3 del decreto 66 stabilisce che lo stato provvede ad assegnare: i docenti di sostegno, il personale ATA, i collaboratori scolastici per lo svolgimento di compiti di assistenza materiale e le risorse economiche sulla base degli studenti disabili accolti. Presso il MIUR è istituito l'osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, presieduto dal ministro e composto da rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità, da studenti e altri soggetti pubblici e privati. Alla'’organo vengono assegnati compiti di monitoraggio, analisi e proposta su leggi e norme, attività e sperimentazione nel campo dell’inclusione. Un altro elemento fondamentale del decreto 66 è che prevede la valutazione della qualità dell’inclusione. La valutazione è prodotta dall’INVALSI sulla base delle rilevazioni predisposte dall’osservatorio per l'inclusione scolastica. Gli indicatori di riferimento sono: ® Livello di inclusività del PTOF ® Realizzazione di percorsi personalizzati, individualizzati e differenziati e Livello di coinvolgimento interno nell’elaborazione del PAI ® Accessibilità e fruibilità di risorse, attrezzature e strutture. La domanda per l'accertamento della disabilità in età evolutiva, di cui alla L. 104/1992 è presentata all'INPS. Il profilo di funzionamento, che ricomprende la diagnosi funzionale 2. Le modifiche e le integrazioni del D. Lgs. 96/2019 CAPITOLO 3: Centri territoriali e gruppi di lavoro 3. Centri Territoriali di Supporto (CTS) e Centri Territoriali per l'inclusione (CTI) I CTS sono stati istituiti dagli USR in accordo con il MIUR mediante il progetto nuove tecnologie e disabilità servizi sanitari e dei loro familiari, centri di ricerca ecc... | CTS organizzano iniziative di formazione al pine di renderli punti di riferimento per le scuole, in sinergia con province, comuni, sui temi dell’inclusione scolastica e sui BES. Per realizzare a pieno le potenzialità delle tecnologie stesse, i CTS offrono consulenza in tale ambito, coagulando le scuole nella scelta dell’ausilio e accompagnando gli insegnanti nell’acquisizione di competenze o pratiche didattiche che ne rendano efficace l’uso. La consulenza offerta riguarda anche le modalità didattiche da attuare per inserire il percorso di apprendimento dello studente che utilizza le tecnologie per l'integrazione nel più ampio ambito delle attività di classe e le modalità di collaborazione con la famiglia per facilitare le attività di studio a casa. Ad un livello territoriale meno esteso operano altre scuola come polo per l'inclusione: i CTI, al fine di assicurare la massima ricaduta possibile delle azioni di consulenza, formazione, monitoraggio e raccolta di buone pratiche, perseguendo l’obiettivo di un sempre maggior coinvolgimento degli insegnanti. 4. Storia dei Gruppi di lavoro per l'integrazione (art.15 L. 104/1992) I gruppi di lavoro per l'integrazione sono previsti dall’art.15 L.104/1992. In base a quest'articolo i gruppi di lavoro per l'integrazione scolastica (GLH), istituiti presso ogni USP: i GLH hanno compiti di consulenza e proposta al provveditore agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le unità sanitarie locali per l'impostazione e l'attuazione dei PEI, nonché per qualsiasi altra attività inerente all'integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento; sono inoltre costituiti gruppi di studio e di lavoro composti da insegnanti, operatori dei servizi, familiari e studenti, con il compito di collaborare alle iniziative educative e di integrazione predisposte dal piano educativo. I GLH si suddividono in GLIP (gruppi di lavoro interistituzionali provinciali) e GLH di istituto che operano nelle scuole e che contemplano nella loro composizione anche la partecipazione delle famiglie. | GLH di istituto si articolano in due forme: GLHI cioè i gruppi di lavoro e di studio “d’istituto” detti anche GLIS e i GLHO, cioè gruppi di lavoro per l'integrazione “operativi” che hanno il compito di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap. I GLHI hanno il compito di favorire l'integrazione a livello d'istituto, mentre, GLHO lavorano sul singolo alunno con disabilità insieme alle famiglie. Le famiglie partecipano ai GLHI con dei rappresentanti dei genitori, mentre, nei GLHO partecipano i genitori dell'allievo coinvolto. Dei GLHI fanno parte: ® Funzionistrumentali ® Insegnanti per il sostegno ® AEC (assistente educativo e culturale, figura di supporto agli alunni con disabilità) ® Assistenti alla comunicazione e Docenti “disciplinari” con compiti di coordinamento delle classi ® Genitori e rappresentanti di enti ed associazioni I GLIR (gruppi di lavoro interistituzionali regionali) svolgono un ruolo strategico nella pianificazione, nella programmazione e nel governo delle risorse e delle azioni a favore dell’inclusione scolastica degli alunni disabili. I GLIP e i GLIR devono collaborare. l’organizzazione territoriale per l'inclusione prevede: - IGLHa livello di scuola - IGLHdirete o distrettuali - ICTla livello di distretto socio sanitario - Almeno unCTSa livello provinciale. 5. Le funzioni del GLH (GLHI e GLHO) Il GLH d'istituto si riunisce in media due volte l’anno e la costituzione rientra fra gli obblighi del DS. Il gruppo opera al fine di: ® Analizzare la situazione complessiva circa il numero degli alunni in situazione di handicap, tipologia degli handicap, classi coinvolte ® Analizzare le risorse dell'istituto, umane e materiali ® Predisporre un calendario per gli incontri dei GLH operativi ® Verificare periodicamente gli interventi a livello di istituto ® Formulare proposte per la formazione e l'aggiornamento per il personale delle scuole, delle ASL e degli enti locali coinvolti nei PEI. Le competenze del GLHI si dividono in due categorie: competenze di tipo organizzativo e di tipo progettuale. Nelle competenze di tipo organizzativo rientrano: - Gestione delle risorse umane (ricorso alle compresenze tra docenti...) - Le modalità di passaggio e di accoglienza dei minori in situazione di handicap - La gestione e il reperimento delle risorse materiali (biblioteche specializzate, ecc..) Le competenze di tipo progettuale riguardano la formulazione di progetti: 1. Cenni introduttivi La teoria sulla quale sono ormai concordi le principali scuole psicologiche asserisce che la formazione della personalità è il frutto di un percorso di interazione e integrazione tra fattori ’” (variabili indipendenti), attraverso un percorso “innati” (variabili dipendenti) e fattori “acqui di maturazione inteso come lo svolgimento di processi stabiliti dalla natura dello sviluppo, determinato dall’influenza reciproca tra l’uomo e l’ambiente circostante. “L’educabilità” di un essere umano consiste nella facoltà di mutare i propri caratteri ereditari così come sono stati acquisiti mediante le diverse esperienze e i diversi momenti di apprendimento nella famigli, nella scuola, nell'ambiente frequentato. Per tanto le scienze psicologiche ritengono di poter individuare una sequenza di sviluppo relativamente costante per tutta l’età evolutiva, scandita in fasi che risultano unite da un rapporto di continuità dinamica. Ogni nuova esperienza vissuta non solo si aggiunge alle precedenti, ma le modifica, risultandone a sua volta modificata: dunque non si tratta di un processo di mera accumulazione, bensì una sorta di riorganizzazione di quanto già esisteva, per integrazione con il nuovo vissuto. Gli studi della scuola del cognitivismo (i cui esponenti più importanti sono Piaget, Vygotskij e Bruner) concordano nel sostenere che la mente infantile è diversa, sia quantitativamente che qualitativamente, da quella dell’adulto, contrapponendosi nettamente agli indirizzi pedagogici del passato che impostavano la pratica educativa sulla trasmissione mnemonica e forzata di conoscenze e modelli di comportamento adulti, poiché consideravano l’infanzia come un periodo “imperfetto”, anche se inevitabile. Un contributo alla conoscenza del funzionamento dei processi cognitivi è stato offerto da alcuni studiosi: Piaget, Vygotskij e Bruner. Questi studi hanno influenzato la pedagogia e la psicologia cognitiva. 2. Jean Piaget Piaget, vissuto dal 1896 al 1980, è stato uno psicologo, biologo e pedagogista svizzero. Egli ha maturato il suo progetto di spigare lo sviluppo del pensiero infantile e l’ha fatto con accurate affermazioni sistematiche sui suoi tre figli, adottando metodi diversi a seconda delle età dei bambini. ® Perilperiodo che va dalla nascita fino ai 3 anni, Piaget ha applicato l’osservazione sistematica, consistente nello studio continuo e prolungato di determinati tipi di comportamento del bambino; ® Peril periodo dai 4 anni all'adolescenza, si è servito del metodo critico, laddove, dopo aver creato situazioni problematiche sottoforma di gioco, invitava i bambini a trovare una soluzione ai problemi. ® Piagethautilizzato un metodo d'indagine che combinava l'osservazione e l’intervista: il colloquio clinico, egli presentava al bambino un problema e, attraverso una serie di domande mirate cercava di comprendere le dinamiche del ragionamento che portavano il bambino a produrre le risposte. 2.1 Il ruolo dell’insegnante nel progetto di apprendimento Gli studi di Piaget hanno fornito un contributo anche per tratteggiare la figura dell’educatore, che non si limita a trasmettere un sapere cristallizzato, ma che è in grado di mettere gli allievi nelle migliori condizioni di apprendimento e al contempo, di comprendere le correlate dinamiche psicologiche del gruppo. Secondo Piaget questa preparazione psicologica è la base da cui partire per poi ideare un’insieme di tecniche da sperimentare e adattare all'approccio col bambino, aiutandolo a problematizzare l’esperienza, rendendolo consapevole delle proprie costruzioni mentali. Piaget ritiene che i tempi e la successione delle fasi di sviluppo psicologico siano immodificabili, motivo per cui l'adulto non può ne accelerarle ne alterarne gli aspetti, l’unico compito che gli compete è quello di preparare l’ambiente alla loro comparsa o al loro rinforzo. Dunque per Piaget, l'intelligenza è il frutto del lavoro attivo del bambino visto come essere impegnato nella costruzione di se stesso: il motore dell’intelligenza del bambino è la sua azione, questa convinzione avvicina Piaget all’attivismo pedagogico, il cui fulcro è il “far fare”. 2.2 Una nuova disciplina: l’epistemologia genetica Piaget, per quanto riguarda le teorie dello sviluppo, critica sia le impostazioni di tipo associazionista (secondo cui l’uomo conosce attraverso le sensazioni che, associate tra loro, danno luogo alle percezioni), sia quelle di tipo gestaltista (secondo cui l’uomo percepisce le “forme” come minima unità di misura). Piaget afferma che il suo fine non è ne di natura psicologica ne pedagogica ma epistemologica, cioè relativo alla filosofia della scienza. Introduce quindi una nuova disciplina l’epistemologia genetica, secondo cui la conoscenza avviene attraverso un processo in continua evoluzione che permette all’individuo di adattarsi all'ambiente circostante. Quindi lo sviluppo psicologico del bambino assume queste caratteristiche: - L’intelligenza non compare con il linguaggio, ma lo precede, e segue una linea di continuità con l’attività psicomotoria; - Il bambino è il protagonista attivo del suo sviluppo mentale; - L’intelligenza si sviluppa per stadi che il lavoro pedagogico deve rispettare. Piaget considera l’intelligenza come adattamento all'ambiente esterno, che avviene sulla base di due meccanismi: - L’assimilazione, intesa come processo passivo, che consiste nell’integrare i dati dell'esperienza all’interno delle conoscenze che già si possiedono. - L’accomodamento, inteso come processo attivo nel quale, invece, vengono modificati gli schemi preesistenti in funzione delle nuove esperienze vissute. L’interrelazione tra assimilazione e accomodamento porta ad un terzo fenomeno il principio di equlibrazione, al termine del quale ha luogo una crescita cognitiva e un conseguente passaggio di stato. Le fasi di questo equilibrio sono identificabili in vari stadi e Piaget ritiene che gli stadi dello sviluppo cognitivo nel bambino siano: ® Universali (tutti i bambini li attraversano in maniera abbastanza simile); e Sequenziali (ogni stadio deriva dal precedente e non è possibile ne invertire ne mutare l'ordine tra stadi); e Determinati, in misura non decisiva ma consistente, anche da componenti biologiche: anche se contesta tutte le forme di “innatismo” (poiché secondo Piaget ogni conoscenza si auto costruisce attivamente nel tempo) egli sostiene tuttavia che alcuni schemi e caratteristiche di fondo del nostro sviluppo biologico e cognitivo sono in qualche modo già presenti a un livello originario. 2.3 Dall’embriologia agli studi dello sviluppo Per Piaget il processo cognitivo avviene come l'embrione cioè i concetti e i processi mentali si sviluppano uno alla volta fino alla loro massima maturazione. Per questo motivo si parla di embriologia mentale che prevede 4 stradi. 2.4 Lo stadio senso-motorio e Lostadio senso-motorio (prima fase): il primo stadio è quello senso-motorio che va dalla nascita ai 2 anni e questo stadio si divide a sua volta in 6 fasi, la prima è la fase dei riflessi innati che va dalla nascita al primo mese di vita. Tipici di questa fase sono una serie di riflessi innati come la suzione, il rooting (riflesso di ricerca), i movimenti oculari e degli arti e i riflessi pensili, questi fungono da base per lo sviluppo cognitivo del bambino. e Lostadio senso-motorio (seconda fase): è quella delle reazioni circolari primarie che va dal 1° al 4° mese di vita. È il momento in cui si formano le prime coordinazioni tra percezione e movimento, grazie alla ripetizione dei riflessi innati molte volte durante l’arco della giornate, l’azione originari si consolida e diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire facilmente: queste ripetizioni sono definite reazioni circolari primarie, e danno vita alle prime abitudini. Gli schemi d’azione vengono perfezionati e interiorizzati dal bambino, nella ricerca naturale di un adattamento all'ambiente che si realizza attraverso il continuo susseguirsi delle fasi di assimilazione e accomodamento al fine di raggiungere un equilibrio definito omeostasi. In questa fase il bambino utilizza 2 schemi: vedere-afferrare (consistente nel prendere in mano tutto ciò che vede) e afferrare-succhiare (che consiste nel portare alla bocca tutti gli oggetti per conoscerli). Questo è il periodo in cui il bambino sperimenta il gioco di eserci: , il soggetto del gioco è il suo stesso corpo, cercando di sollevarsi, sgambettando, ecc.. Inoltre il bambino, sentendo un suono gira la testa seguendo il suono oppure segue con lo sguardo un oggetto che entra nel suo campo visivo finché non lo perde di vista. A questo punto si verifica una situazione composta da due momenti: il primo in cui il bambino aspetta per qualche istante che l'oggetto riappaia senza però cercarlo, fenomeno che Piaget denomina aspettativa passiva, e il secondo il cui se l’oggetto non riappare, il bambino perde interesse e per lui scompare. Ciò avviene perché il mondo del bambino coincide con ciò che lui percepisce al momento, vivendo il cosiddetto egocentrismo radicale per cui, se un oggetto scompare dalla sua vista, per lui non esiste. e Lostadio senso-motorio (terza fase): è quella delle reazioni circolari secondarie che va dal 4° all’8° mese di vita. Durante questa fase il bambino compie ripetutamente azioni, notando cosa accade nel momento in cui le compie, interagendo con l’esterno, queste ripetizioni vengono definite reazioni circolari secondarie. Es: ilbambino afferra e scuote un Questo stadio va dai 7 agli 11 anni, e prevede il possesso di schemi d'azione interiorizzati. In questo stadio il bambino attribuisce la vita solo agli oggetti dotati di movimento proprio come il mare: usa le onde per giocare. Verso la fine di questo stadio si passa dall’animismo all’artificialismo caratterizzato dalla convinzione che tutte le cose siano il risultato dell’opera dell’uomo: es. l’uomo ha creato le stelle e le ha lanciate in cielo. Questo stadio è caratterizzato non solo dall'uso dei simboli ma anche dalla loro manipolazione in modo logico, motivo per cui si parla di operazioni concrete. In questa fase infatti, il bambino sottoposto già all'esperimento di conservazione del volume con bicchieri di forma diversa, comprende che la quantità di acqua nei bicchieri è la stessa se pure visivamente risulti diversa, grazie alla capacità di ragionamento e all'acquisizione del concetto di reversibilità. In questa fase infatti si riescono ad acquisire i concetti di conservazione dei materiali e delle quantità e, tra i9 e i 10 anni, quello di conservazione della superficie. Con reversibilità si intende non solo la capacità di comprendere quando un’azione annulla gli effetti di un’altra inversa, ma anche quella di riuscire a portare avanti, in parallelo, due pensieri contemporaneamente. Piaget per spiegare le due situazioni compì due esperimenti: - Nel primo, prese due palline di plastilina di uguale dimensione e ne schiacciò una, chiedendo a bambini di età diverse se vi fosse o meno la stessa quantità di plastilina: i bambini nello stadio pre-operatorio sostennero che le quantità fossero diverse, mentre i bambini nello stadio operatorio concreto riconobbero che la quantità era la stessa (perché ricordavano il momento iniziale in cui la plastilina aveva la forma di una pallina e spiegarono che avrebbero potuto ricomporla partendo dalla plastilina schiacciata). - Nel secondo esperimento, presentato sempre a bambini di età diverse, prese 20 perle di legno, 15 rosse e 5 bianche, chiedendo loro se, per realizzare una collana più lunga possibile avrebbero utilizzato tutte le perle rosse o tutte quelle di legno: i bambini dello stadio pre-operatorio risposero tutte le perle rosse, mentre quelli dello stadio operatorio concreto, risposero tutte quelle di legno, riuscendo a portare avanti entrambi i pensieri cioè quello riguardante i colori delle perle e quello riguardante il materiale. Inoltre in questo stadio, emerge l'acquisizione del concetto di causa-effetto laddove un'azione comporta conseguenze visibili, es. il palloncino che scoppia se urta qualcosa di appuntito e quindi il bambino diventa un vero sperimentatore ed esploratore, anticipando i risultati ancor prima che accadano. Una forma importante di crescita durante questo periodo è la transazione dall’egocentrismo intellettuale alla capacità di comprensione del punto di vista altrui, passando dal concetto di mio e tuo al concetto di nostro attraverso il gioco di regole, accettando e rispettando le regole del gioco. 2.7 Lo stadio operatorio formale Questo è il quarto e ultimo stadio di sviluppo, secondo Piaget, che va dagli 11 anni all'adolescenza e chiude lo sviluppo cognitivo. In questo stadio l’animismo infantile è totalmente superato infatti il ragazzo diventa consapevole che gli esseri viventi sono solo gli uomini, gli animali e le piante ed acquisisce la capacità di giocare con le parole. Il pre-adolescente può riferirsi mentalmente ad oggetti non presenti nella sua esperienza ma solo ipotetici e ricavare da essi tutte le possibili conseguenze logiche, poiché è in grado di comprendere che alcuni fenomeni sono costituiti da parti separate e di conseguenza scomponibili. Il pensiero formale si sviluppa svincolandosi dalla realtà per cedere il posto all’immaginazione. Durante questa fase si pongono le basi per definire la personalità che si completerà durante l'adolescenza, momento in cui si definiranno anche le abilità cognitive e si svilupperà la capacità di giudizio. Anche l’egocentrismo tenderà a dissolversi e plasmarsi grazie al raggiungimento di un equilibrio interiore. 3. Lev Semenovic Vygoskij Vygoskij, era uno psicologo russo vissuto dal 1896 al 1934, si dedicò inizialmente alla psicologia dell’apprendimento applicata all'educazione, poi all'analisi critica delle teorie fisiologiche e psicologiche del tempo e infine a varie tematiche di psicologia in particolare le emozioni. Vygoskij sebbene in linea con Piaget per molti aspetti divergeva da quest’ultimo. 3.1 Confronto con Piaget Piaget fu il precursore dell’attivismo pedagogico, caratterizzato dall’assecondare le naturali inclinazioni del bambino, guidandolo senza intromissioni verso l'apprendimento, e Vygoskij fu il principale esponente della teoria socio-culturale che vede lo sviluppo della psiche guidato e influenzato dal contesto sociale in cui l'individuo vive. Mentre per Piaget, la pressione dell'ambiente non ha effetto sul sistema nervoso del bambino che impara interagendo da solo sugli oggetti, Vygoskij dichiara che lo sviluppo del pensiero non procede dalla spontaneità alla scientificità. I concetti spontanei (assimilati senza che vengano insegnati) e quelli scienti (assimilati in seguito ad un insegnamento), sono costantemente collegati e si influenzano reciprocamente, comportando il passaggio dal concetto scientifico a quello spontaneo e viceversa. Lo sviluppo dei concetti spontanei va dall’inconsapevole (vedere una farfalla) al consapevole (acquisire il concetto di farfalla) concetto di cui il bambino fa uso inconsapevole; mentre lo sviluppo dei concetti scientifici va dal consapevole (studiare le farfalle) allo spontaneo (riconoscere una farfalla), caso in cui l’uso di tali concetti è cosciente. Il concetto spontaneo prepara il terreno per acquisire il concetto scientifico, ma a sua volta il concetto scientifico rende il bambino più consapevole dei concetti spontanei. Ciò è possibile con l'interazione sociale e ambientale. Piaget, riguardo lo sviluppo cognitivo, invece, considera l'apprendimento del bambino formato da una serie di stadi evolutivi, e ne sono 4, mentre per Vygoskij lo sviluppo cognitivo avviene tramite la relazione tra età stabili ed età critiche. L'età stabili sono quei periodi di vita in cui i cambiamenti sono minimi, ma che con l’accumularsi, portano alla creazione di età critiche: queste crisi sono importanti perché, se superate correttamente garantiscono uno sviluppo cognitivo corretto nel bambino. Inoltre, egli considera il bambino dotato di un potenziale che gli permette di acquisire nuove conoscenze nel momento in cui entra in contatto con soggetti avanti una cultura maggiore di quella del bambino. Ne consegue che per Piaget, affinché l'apprendimento sia fecondo il lavoro pedagogico deve adeguarsi alla maturità cognitiva del bambino, mentre per Vygoskij l’educatore deve lavorare sulle sue potenzialità. 3.2 La zona di sviluppo prossimale e il processo di interiorizzazione Per spiegare la teoria secondo cui l'insegnante deve lavorare sulle potenzialità del bambino Vygoskij introduce il concetto di zona di sviluppo prossimale, descrivendola come la distanza tra il livello di sviluppo effettivo (cioè il livello di sviluppo che il bambino possiede nel risolvere un compito da solo) e il livello di sviluppo potenziale (ovvero ciò che il bambino riesce a fare con l’aiuto di qualcuno più esperto). Secondo Vygoskij, questa distanza scaturisce da una discrepanza tra comprensione e produzione: il bambino posto di fronte a un problema di livello superiore alle sue effettive competenze, senza aiuto può solo comprendere il problema ma non riuscire a risolverlo (cosa invece possibile nella zona di sviluppo effettivo); supportato invece da una persona esperta riuscirà a risolverlo. Se dopo il bambino impara a padroneggiare il problema da solo significa che la competenza è stata interiorizzata: la zona di sviluppo effettivo del bambino si amplia includendo quella che prima era la zona di sviluppo prossimale. A questo punto, all’esterno della nuova zona di sviluppo effettivo si creerà un’altra zona di sviluppo prossimale e, ripetendo le dinamiche sopradescritte, si innescherà una reazione a catena che permetterà il progredire dello sviluppo cognitivo, che per Vygoskij, è reso possibile dalla continua interazione sociale tra le persone e non per passaggio diretto di conoscenze nuove da una persona all'altra. Nell’ideazione delle sue teorie, egli punta l’attenzione non tanto sulle competenze che il bambino già possiede (definite capacità intraindividuali), ma sulle competenze che acquisisce interiorizzandole in seguito a nuove esperienze sociali (tramite il processo interindividuale). Vygoskij individua 4 stadi nel processo di interiorizzazione: ® Ilbambino risponde alle stimolazioni dell'ambiente in modo immediato e Usasegniesterni ® Diventa consapevole del significato del ruolo dei segni e Giunge adun'interiorizzazione L’interiorizzazione è un passaggio dall’interpsichico (relativo ai rapporti con gli altri) all’intrapsichico (relativo ai rapporti tra più parti di sé) ed è un processo sociale perché avviene tra bambino e adulti ed è mediato dall’uso del linguaggio - L'importanza degli stimoli-mezzo nello sviluppo delle funzioni psichiche Vygoskij riguardo lo sviluppo dei processi psichici di base accetta l’idea della sequenza stimolo-reazione, ma in merito ai processi psichici superiori (pensiero, linguaggio e ragionamento) inserisce un nuovo elemento: lo stimolo-mezzo. Questo stimolo è creato dall'uomo ed è utilizzato per indirizzare il comportamento verso una determinata direzione. L'esempio con cui illustra il concetto di stimolo-mezzo è quello del nodo al fazzoletto che, stimolando la funzione psichica della memoria, induce l'individuo a compiere l’azione che doveva ricordare di svolgere: il nodo è uno stimolo-mezzo che media il rapporto tra il dover compiere un'azione e l’azione in sé. Gli stimoli-mezzo che non sono solo oggetti fisici, ma qualunque stimolo proveniente dall’ambiente sono fondamentali per acquisire i processi psichici superiori. Per diventare funzione psichica superiore è necessario l'intervento degli stimoli-mezzo che provengono dall’ambionete esterno (il - La mente umana ha dei compito dell'educazione è di oltrepassare le predisposizioni innate attraverso gli “arnesi” che la cultura ha elaborato. - La realtà si costruisce attraverso i processi cognitivi dei singoli individui e dei gruppi. - L'apprendimento è sempre un processo interattivo in cui le persone apprendono attraverso la narrazione delle proprie esperienze e quindi c'è uno scambio reciproco di informazioni. - L'educazione deve generare delle abilità, dei modi di pensare e di sentire sviluppati anche da altri. - L'educazione non solo produce cultura ma serve anche per lo sviluppo psicologico dell’individuo: la scuola dovrebbe garantire un ambiente entro cui le prestazioni negative non abbiano conseguenze svantaggiose per l'autostima. Bruner approfondisce lo studio di due tipi di funzionamento cognitivo: e Il pensiero logico scientifico permette di spiegare ciò che succede, per mezzo delle proposizioni generalizzabili e oggettive della scienza. e Il pensiero narrativo permette di interpretare ciò che succede, attraverso il punto di vista parziale e variabile del singolo. Il pensiero umano deve la sua ricchezza alla collaborazione di questi due tipi di pensiero. L’uomo infatti costruisce la realtà con spiegazioni alle quali sono legate anche delle interpretazioni soggettive legate alla propria esperienza di vita: c'è una visione del mondo (per es. una teoria scientifica) che è per noi un punto di riferimento e che noi trasformiamo integrandola nel nostro mondo. La partecipazione alla cultura si conferma una condizione imprescindibile per l’attività mentale. Il ruolo della cultura è duplice: ® Plasmala mente ® Fornisce il materiale per le nostre personali attività conoscitive L'apprendimento quindi è sempre legato a un preciso contesto storico ed è sempre influenzato dalle risorse culturali di quel contesto storico. L'intelligenza non è solo dentro la testa ma è data da tutto l’i luo. La mente opera in collaborazione con il mondo in cui sieme della vista di un i vive. 5. La teoria di Gardner Gardner psicologo statunitense nato nel 1943, sostituisce alla vecchia concezione di intelligenza (quale fattore unitario misurabile mediante il QI) con una visione più dinamica e complessa quindi sono delle intelligenze multiple. Gardner inizialmente distingue sette tipologie d'intelligenza: - Intelligenza logico-matematica - Intelligenza linguistico-verbale - Intelligenza spaziale - Intelligenza musicale - Intelligenza cinestetica o procedurale - Intelligenza interpersonale - Intelligenza intrapersonale Successivamente ne individua altre due: - Intelligenza naturalistica relativa alla classificazione degli oggetti naturali. - Intelligenza esistenziale relativa all’attitudine di riflettere sulle questioni fondamentali circa l’esistenza. Nel testo Cinque chiavi per il futuro Gardner sostiene che i giovani dispongono di 5 canali strategici per affrontare la vita: intelligenza disciplinare, intelligenza sintetica, intelligenza creativa, intelligenza rispettosa e intelligenza etica. Di conseguenza bisogna secondo Gardner, distinguere l'insegnamento e la didattica in ampi di esperienza, così da stimolare adeguatamente le diverse funzioni della mente. 6. La teoria di Goleman sull’intelligenza emotiva La prima definizione di intelligenza emotiva la troviamo in un articolo di Salovey e Mayer, dove viene definita come l'abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, di distinguerle tra di loro e di usare queste informazioni per guidare i propri penisieri e le proprie azioni. A sua volta Goleman, psicologo statunitense nato nel 1946, parte da questo schema e definisce l'intelligenza emotiva come la capacità di motivare se stessi, di persistere nelle perseguire un obbiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulate i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare. Le 5 caratteristiche-base dell’intelligenza emotiva codificare interiormente da ognuno, così come le ha individuate Goleman sono: - Consapevolezza di sé (saper ottenere risultati riconoscendo le proprie emozioni); - Dominio di sé (saper adoperare i propri sentimenti per uno scopo); - Motivazione (conoscere la vera motivazione che muove all’azione); - Empatia (saper ascoltare gli altri entrando in un flusso di contatto); - Abilità sociale (saper comprendere i movimenti che avvengono tra le persone quando si sta con loro). 7. La teoria dell’elaborazione dell’informazione Alla fine degli anni ‘50 negli Stati Uniti e in Inghilterra si diffuse nell’ambito della psicologia dello sviluppo cognitivo, l'approccio dell’elaborazione dell’informazione (HIP Puman Information Processing). Esso rappresenta un criterio investigativo alla base di numerose ricerche che focalizzano l’attenzione sulle modalità che il sistema cognitivo mette in atto nell’elaborazione delle informazioni provenienti dall'ambiente, cioè su come l’informazione viene codificata e immagazzinata. | ricercatori che si riconoscono nella teoria dell’elaborazione dell’informazione vedono nel computer un'utile metafora per comprendere i processi cognitivi messi in atto dal soggetto nella sua interazione con il mondo. | computer infatti sono macchine che elaborano informazioni trasformando gli input in output. Gli input sono dati in arrivo, gli output consistono in dati derivanti dall’elaborazione dei precedenti e che assumono forma tali da essere memorizzate, stampate, ecc... Questa elaborazione avviene tramite i programmi che consistono in una serie ordinata di istruzioni. | ricercatori dell’elaborazione dell’informazione condividono inoltre le seguenti caratteristiche: e L’individuo è considerato come strumento dell’elaborazione dell’informazione; e Lo sviluppo è considerato come un’automodificazione; e Evidenziano l’esistenza di una propedeutica anali i del compito; ® Utilizzano una metodologia sperimentale. L'individuo come il computer, elabora informazioni trasformando l'input in output. A partire da questo presupposto l'obbiettivo della psicologia dello sviluppo consiste nel capire com'è programmato l'organismo umano per riconoscere, codificare e immagazzinare le informazioni provenienti dall'esterno. Per questo motivo gli studiosi Atkinson e Shiffrin, ad esempio, hanno focalizzato l’attenzione sulle modalità attraverso cui il flusso di informazione viene trasformato; essi hanno evidenziato l’esistenza di registri sensoriali capaci di trattenere, solo per frazioni di secondo, le informazioni che arrivano agli organi di senso e di magazzini in cui l'informazione può essere conservata, essi sono rappresentati dalla memoria a breve termine MBT e dalla memoria a lungo termine MLT. Dal loro punto di vista le attività da eseguire nei vari stadi di elaborazione delle informazione sono guidate da processi di controllo. Il bambino è considerato come un soggetto che attivamente interagisce con l’ambiente e autonomamente sceglie le strategie affinché l'interazione sia soddisfacente, per questo motivo si parla di auto mo come il computer, si auto corregge tramite i feedback che riceve e modifica il proprio programma di elaborazione di dati rigettando metodi inutili. Lo sviluppo consiste nel mutamento delle modalità di rappresentazione dell’informazione, delle modalità di risoluzione dei problemi e cazione nello sviluppo; il bambino infatti nell'apprendere tramite programmazioni progressivamente più utili, le tecniche per superare i limiti dell'organismo rispetto alla quantità di informazioni da elaborare e alla velocità con cui questa elaborazione avviene. 8. Il ragionamento: elementi e strategie Il ragionamento è un procedimento che, in base a “ipotesi”, articola passaggi e approda a una conclusione. Per strategia si intende una successione organizzata di risposte, guidata da ipotesi, nel tentativo di arrivare alla soluzione di un problema. La strategia di ragionamento più comune è quella per prova ed errori: essa implica la ricerca di una soluzione a un problema utilizzando tutte le possibilità a disposizione, e scartando di volta in volta quelle che non portano al risultato sperato. - ilrapporto computer/scuola/bambino. Verso la metà del ‘900 si sviluppano delle ricerche che approfondiscono il tema dell’analogia tra mente e computer per chiarire i processi dell’intelligenza umana, il suo sviluppo, il suo modo di apprendere e la sua interazione con il linguaggio. Il cervello è composto da miliardi di cellule nervose che stabiliscono contatti con migliaia di altre cellule formando un complicato sistema di reti in continua trasformazione. Questo quadro cosi complesso è molto difficile da spiegare e restano ancora molti interrogativi aperti. Due scienze cercano di rispondere ad alcuni di questi quesiti: ® le neuroscienze, che approfondiscono la struttura fisica del cervello per analizzarne il funzionamento; ® la psicologia, che si occupa del comportamento dell’uomo analizzandone i processi mentali attraverso la ricerca sperimentale. Tra i temi più importanti di cui si occupano le neuroscienze c’è: e ilfunzionamento dei neurotrasmettitori nelle sinapsi; e ilfunzionamento delle strutture neurali; e comei geni contribuiscono allo sviluppo neurale nell’embrione e durante la vita; e imeccanismi biologici alla base dell’apprendimento; ® lastrutturae il funzionamento dei circuiti neurali nella percezione, nella memoria e nel linguaggio. La psicologia cognitiva è caratterizzata da un approccio interdisciplinare e il suo obiettivo consiste nello stabilire una connessione tra lo studio dei comportamenti e delle capacità cognitive negli esseri umani e nella riproduzioni di questi in sistemi artificiali. La differenza di impostazione e di ambiti di competenza ha portato a lungo neuroscienze e psicologia a procedere separatamente. Dagli anni ‘70, però, con la revisione della divisione tra mente e cervello, è avvenuta una svolta che pone in raccordo neuroscienze e psicologia, cercando di superare l’idea di una incomunicabilità tra il livello biologico del cervello e il livello legato al pensiero. Due fattori hanno aiutato il superamento della concezione dualistica mente-cervello: - l’irruzione della complessità in campo epistemologico: la scienza fa propria l'dea che la realtà è fatta di sistemi complessi, pertanto la vista mentale è una proprietà del sistema- individuo, e non può essere ridotta alle componenti fisiche (non si possono prevedere i comportamenti solo conoscendo le componenti fisiche); - l’uso di applicazioni informatiche simulative che permettono di studiare i sistemi complessi. Con l'apporto della metodologia della simulazione si è potuto integrare il principio secondo cui la mente è il software del cervello con l’idea che bisogna partire dalla struttura delle singole componenti elementari dell’apparato neurofisiologico per comprendere la mente. Non si tratta più di dividere studio del corpo e studio della mente, ma di approfondire il complesso sistema mente-corpo. Il risultato che offrono gli studi che seguono questa prospettiva è che il modo in cui un pensiero si determina dipende da due elementi: la struttura cerebrale geneticamente determinata e l'influsso culturale dell'ambiente esterno sul cervello. 1.1 Le ricadute sulla formazione degli studi delle neuroscienze La pedagogia può e deve giovarsi delle scoperte su questo campo assumendo il compito di comprendere la capacità evolutiva del cervello-mente: in questo modo si può programmare una strategia di formazione che utilizzi l’ambiente per permettere il massimo sviluppo del potenziale mentale. Si possono individuare 5 punti fondamentali: - Offerte formative per l’infanzia: fina dalla nascita il cervello deve nutrirsi di informazioni, per cui e necessario attrezzare ambienti adatti per la formazione che consentano un esercizio del pensiero che permetta di realizzare al meglio le potenzialità di ogni individuo. È necessario prevenire la perdita di potenziale mentale offrendo un ambiente di vita cognitivamente e affettivamente ricco. - Offerte formative tempestive per i periodi criti i: per poter stabilire al meglio interventi pedagogici mirati, è necessario individuare quali sono i periodi critici in cui determinate capacità cognitive emergono. Bisogna valorizzare l’idea di Maria Montessori secondo la quale è opportuno presentare ai bambini numerose e varie sollecitazioni, in modo da intercettare le capacità cognitive che devono avere un sostegno esterno per poter venire fuori e progredire. - Offerte formative che valorizzino le differenze: sia la fase fisiologica, sia l'evoluzione di essa in rapporto all'ambiente di vita, contribuiscono a fare di ogni individuo un unicum, caratterizzato quindi da specifiche differenze rispetto agli altri. Bisogna quindi valorizzare queste diverse propensioni intellettuali già in età precoce, in modo da permettere che si sviluppino al meglio. - Qualità della formazione: la pedagogia deve essere alleata con la didattica al fine di sfruttare al meglio le conoscenze che ci giungono dalle neuroscienze, in particolare la consapevolezza di quanto influisca l’ambiente esterno sulla formazione neurologica dell'individuo. - Promozione di un pensiero ecologico: per pensiero ecologico si intende un modo di intendere il mondo che deriva dalla consapevolezza della partecipazione dell’uomo alla natura, della propensione naturale dell’uomo alla cultura e alla tecnica, della compartecipazione dell’uomo all'ambiente in cui vive. 2. | neuroni specchio e gli studi di Rizzolatti Lo scienziato italiano Rizzolatti ha dato un contributo fondamentale agli studi sulle neuroscienze. Egli inizia le ricerche sui neuroni specchio, una particolare classe di neuroni che si attivano sia quando si compie un'azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. Oggi sappiano che i neuroni specchio ci forniscono una spiegazione neurofisiologica per certe complesse attività mentali, permettendo uno studio empirico della comprensione delle intenzioni degli altri, cosa un tempo considerata impossibile. CAPITOLO 4: Lo sviluppo del linguaggio 1. Teorie sullo sviluppo del linguaggio Il linguaggio, è uno dei caratteri peculiari dell'essere umano, fondamentale sia nelle interazioni sociali che nel funzionamento cognitivo. Imparare a parlare è una delle imprese più complesse compiute dall'uomo tanto che gli studi effettuati dalla psicologia, dalla linguistica, dalle neuroscienze ancora non riescono a fornire spiegazioni definitive in merito. 1.1 La teoria di Skinner Secondo lo psicologo Skinner un soggetto impara a parlare in modo del tutto simile a quello con cui apprende ogni altra tipologia di comportamento, cioè mediante le sue interrelazioni con l’ambiente quindi tramite rinforzi e punizioni. In particolare egli ritiene che i bambini imparino a parlare correttamente perché rinforzati circa l'utilizzo del linguaggio grammaticale: dunque, apprendimento del linguaggio grazie al condizionamento operante dagli adulti, che comincia a modellare il linguaggio del bambino rafforzandolo sugli aspetti della lallazione che più si avvicinano al discorso adulto. La sua teoria ha ricevuto molte critiche in quanto considera il bambini un soggetto passivo, capace di rispondere agli impulsi stimolativi e ai rinforzi esterni. 1.2 La teoria di Chomsky Il massimo esponente della teoria innatista del linguaggio, in base alla quale gli esseri umani sono predisposti fin dalla nascita allo sviluppo del linguaggio, è lo statunitense Chomsky, il quale sostiene che la linguistica debba essere considerata una parte dell'indagine psicologica. Egli fonda la sua teoria sull'ipotesi secondo cui il procedimento di acquisizione di una lingua è frutto di una facoltà per la maggior parte innata, in quanto comporta, già nel bambino, la conoscenza di un’insieme di regole molto complesse. Di conseguenza l'indagine della linguistica deve partire dallo studio della grammatica mentale, presente nel soggetto già alla nascita. Lo studioso americano distingue tra: e Competence, intesa come la capacità di generare e comprendere l’insieme infinito di frasi di una lingua; e Performance, corrispondente alla capacità di costruire concretamente le possibilità offerte dalla competence, quindi le reali manifestazioni linguistiche del soggetto. Fra i due concetti esiste una forte interrelazione, in quanto la competence determina in gran parte la performance, che comunque è influenzata anche da ulteriori fattori extralinguistici, come i limiti della memoria, i problemi di attenzione, ecc.. 1.3 Lo sviluppo del linguaggio per Piaget e Vygotskij - Frequenza, cioè il numero di cicli al secondo, è misurata in ertz e determina l'altezza. - Intensità, cioè la differenza fra il picco superiore e quello inferiore dell’onda nell’unità di tempo e viene misurata in decibel. 2.3 Il sistema fonatorio L'apparato fonatorio umano è composto da un certo numero di organi. | vari suoni del linguaggio dipendono dalla posizione e dai movimenti degli organi che compongono il sistema articolatorio e possono perciò essere descritti e classificati in base ai movimenti necessari per produrli. Se l’aria esce liberamente dalla cavità della bocca o dalla bocca e dal naso insieme si produce una vocale; se invece il parlante ferma o ostacola il flusso d’aria nel tratto vocale viene prodotta una consonante. 3. Le tappe dello sviluppo 3.1 Fasi dello sviluppo linguistico Gli esperimenti hanno mostrato che i neonati hanno un udito particolarmente sensibile alla gamma dei suoni corrispondente alla voce umana e nascono con la capacità di distinguere i suoni linguistici dagli altri suoni. Le capacità di discriminazione dei fonemi mostrate dai bambini hanno indotto alcuni studiosi ad ipotizzare che i neonati abbiano una capacità innata di segmentare le parole in sillabe. Alla nascita, i bambini per comunicare i loro bisogni usano una varietà di pianti e di espressioni facciali. Le vocalizzazioni prelinguistiche, presenti sin dai primi giorni di vita, progrediscono gradualmente in rapporto allo sviluppo del controllo motorio sui muscoli preposti ita appaiono forme di vocalizzazione all’articolazione dei suoni. Verso la fine del primo mese di caratterizzate da suoni vocalici, mentre a 3-4 mesi compaiono anche i suoni consonantici. Verso la metà del primo anno comincia la fase della lallazione, in cui il bambino produce una vasta gamma di suoni che spesso generano catene formate dalla ripetizione di una stessa struttura consonantica-vocalica, es. ba-ba, da-da, ecc.. Tra i 10 e 20 mesi il bambino dice le prime parole singole definite olofrasi cioè parole uniche usate per comunicare un intero messaggio. Per attribuire un nome alle cose i bambini devono individuare le somiglianze tra gli oggetti definiti da uno stesso nome, a questo fine sfruttano caratteristiche semplici come il colore, la forma; inizialmente il bambino compie errori di ipergeneralizzazione (es. quando il bimbo chiama cane tutti gli animali a 4 zampe e con la coda) e di ipogeneralizzazione (es. quando usa il termine cane solo per riferirsi al cane di casa). Fra i 18 e 24 mesi i bambini producono frasi composte da più parole, ma manifestano una struttura grammaticale basata su due diverse categorie di parole: - la prima classe è chiama perno e comprende soprattutto verbi, aggettivi e pronomi dimostrativi; - la seconda è chiamata aperta e comprende soprattutto sostantivi che si riferiscono a oggetti concreti o a persone, es. palla, mamma, ecc.. Il linguaggio infantile di questa fase è spesso chiamato linguaggio telegrafico poiché mancano preposizioni, articoli e verbi ausiliari e quindi le frasi sembrano spezzettate. Verso i 18-20 mesi si ha il fenomeno noto come esplosione del vocabolario, il bambino impara con rapidità molte parole. Alla crescita del lessico si accompagna lo sviluppo della complessità grammaticale. A partire dai 2-3 anni le emissioni verbali sono costituite da coppie di parole, il bambino inizia poco a poco a costruire frasi più lunghe e complesse. All’età di 5 anni il bambino ha acquisito le strutture fondamentali della sua lingua madre e ha raggiunto una competenza linguistica che gli permette di parlare con un’ottima approssimazione rispetto alla grammatica dell’adulto. SVILUPPO DELLE COMPETENZE LINGUISTICHE Nascita: pianto e mimica facciale Fine del primo mese: primi suoni vocalici Intorno al 4° mese: prime consonanti Intorno al 7°mese: lallazione Tra 18-24 mesi: esplosione del vocabolario 4. La comunicazione non verbale 4.1 Senza parole La comunicazione non verbale riguarda i gesti, la postura, tutto ciò che non è linguaggio parlato. Uno studio del comportamento, Birdwhistell ha individuato una cinquantina di movimenti e di posizioni elementari del corpo (cinemi), che costituiscono il repertorio di cui una persona può avvalersi nel corso di una comunicazione. A differenza del linguaggio, la comunicazione non verbale è spesso involontaria, un’espressione del viso, un gesto di spavento, sono dettati da reazioni immediate e nella maggior parte dei casi è impossibile inibirle. L'uomo ha la capacità di comunicare sia attraverso segnali analogici (0 corporei), sia mediante un codice simbolico- numerico (linguaggio). Lo psicologo americano Ekman sostiene che esistono determinate espressioni facciali relative alle emozioni, comuni in tutto il mondo. Quindi possiamo dire che la comunicazione non verbale è formata dall'insieme di un sistema motorio-gestuale e di un sistema paralinguistico. La comunicazione non verbale si esprime attraverso 3 comportamenti fondamentali: e Ill comportamento spaziale, definito prossemica che si identifica nel tipo di contatto corporeo, nell’orientazione e nella posture. e Il comportamento motorio-gestuale, che esprime particolari significati attraverso i movimenti, soprattutto quelli delle mani e del capo; la loro principale funzione è quella del “rinforzo”, possono ad esempio incoraggiare colui che parla a proseguire nel discorso. e Il comportamento mimico del volto, che esprime determinati significati attraverso il diverso uso (spontaneo) dei muscoli facciali. Lo psicologo Watzlawick, sostiene che “non si può non comunicare”, nel senso che anche uno sguardo, un movimento veicolano un messaggio a chi ci sta di fronte. 4.2 La prossemica L’antropologo Hall ha coniato il termine “prossemica”, per indicare le modalità con cui l’uomo percepisce lo spazio personale e sociale nell’ambito della comunicazione interpersonale. Gli elementi oggetti di studio della prossemica (distanza, vicinanza, contatto fisico, ecc..) assumono significati diversi a seconda delle cultura e dell'ambiente sociale considerati. La prossemica mostra che la disposizione dei corpi nello spazio fisico può avere valore comunicativo: se ad es. tra le persone c'è una relazione intima, esse tendono a ridurre al minimo la distanza tra di loro. Secondo Hall, tra gli individui possono intercorrere 4 livelli di distanza: ® La distanza intima (da 0 a 45 cm) comporta un coinvolgimento notevole con l’altro; ® La distanza personale (da 45 a 120 cm) il contatto fisico è possibile ma non inevitabile, es. nei rapporti di famigli e di amicizia; ® La distanza sociale (da 120 a 360 cm) intercorre in situazioni formali come quelle scolastiche o di lavoro; ® La distanza pubblica (da 360 cm in su) comporta che le persone non percepiscono più con i loro sensi molti dettagli che si riferiscono al corpo dell’interlocutore. 4.3 La cinesica La cinesica indaga la mimica e la gestualità. In questo ambito, importantissimi sono i gesti, che possiamo classificare in vario modo: ® Irituali, cioè gesti connessi a specifici riti religiosi o civili es. il segno della croce. e Gliemblemi, vale a dire gesti con un netto significato convenzionale e traducibile a parole, es. la “mano a borsa” vuol dire “che vuoi?”. ® Igesti illustratori, movimenti elaborati con consapevolezza nell'intento di chiarire ciò che si sta dicendo. ® Igesti non intenzionali, come quelli che esprimono stati emotivi. e gesti regolatori, che permettono il sincronismo conversazionale, es. attraverso lievi movimenti della testa. e Igesti adattivi, cioè comportamenti apparentemente privi di significato, es. sfiorarsi il mento, utilizzabili tuttavia come indizi di un tratto della personalità. Rientra nel campo della cinesica anche l'osservazione delle posture, cioè delle posizioni che ciascuno assume con il corpo e che mantiene per un periodo di tempo. Le posizioni del corpo possono riflettere lo stato emotivo nell’andamento della relazione e possono anticipare le espressioni verbali. conflittuali come l'ossessione delle mode, l’idealizzazione dei sentimenti affettivi e amorosi spesso vissuti in modo conflittuale. - CONLA SESTA FASE inizia l’età adulta, il cardine è l’amore, ma mentre nell’infanzia e nell'adolescenza esso viene vissuto come una sorta di bisogno indifferenziato, in questa fase diventa una dimensione più matura. L'amore viene inteso come impegno nella relazione e il rischio consiste nel fallimento di questo forte investimento emotivo nella ricerca dell’altro, cioè nell’isolamento affettivo e sentimentale. - LA SETTIMA FASE segna il periodo della generatività, in questa fase la persona adulta manifesta appieno la propria capacità produttiva nel campo lavorativo, nell'impegno sociale, nella cura della famiglia. Nel caso in cui la possibilità di generare (a tutti i livelli non solo a quello fisico) venisse impedita, c'è il rischio che la personalità regredisca e si abbandoni ad un senso di vuoto: questo blocco è definito da Erikson stagnazione. - L’OTTAVA FASE, in questa fase il polo conflittuale è rappresentato dalle dimensioni della integrità e della disperazione. È un periodo che può prevedere un'affermazione finale della propria individualità, caratterizzate da un senso di integrità o di fallimento e rimpianto. 2. La psicoanalisi infantile post-freudiana 2.1 Anna Freud e Melanie Klein Anna Freud, figlia di Freud, affronta il problema delle nevrosi infantili. Con l’opera di Melanie Klein lo studio delle nevrosi precoci assume un ruolo di primo piano nell’elaborazione teorica della struttura della psiche. Il gioco diventa lo strumento fondamentale per comprendere le fantasie o le angosce più profonde del bambino, con la Klein emerge un'idea dell'inconscio infantile come luogo delle produzioni fantasmatiche: il bambino che prima di addormentarsi simula o immagina la suzione del seno materno, svela come ogni pulsione sia accompagnata da una relativa fantasia. Il bambino, secondo la Klein si trova sin dall’inizio della sua vita, in una condizione di scissione dei suoi desideri e delle sue pulsioni. In preda all’istinto di morte è diviso tra la ricerca degli oggetti buoni (quelli che lo gratificano) e la paura degli oggetti cattivi (quelli che lo minacciano). A questo livello la Klein introduce la nozione di posizione per indicare lo modalità attraverso cui il bambino si relaziona agli oggetti. La posizione iniziale è detta schidoparanoide ed è quella in cui si manifesta la frammentazione originaria in cui cioè affiora un sentimento di angosci derivante dalla divisione tra oggetti buoni e cattivi. Solo più tardi, dopo il 4 mese di vita, con la posizione depressiva il bambino percepisce la totalità ossia non percepisce più la scissione di una cosa in parti buone e cattive. 2.2 Heinz Kohut Come per Klein anche per lo psicoanalista Kohut, il neonato possiede un'unità psichica frammentaria. Kohut definisce sé l'apparato psichico originario. Poiché il sé primitivo del bambino è disunito, per giungere alla coesione ha bisogno del rapporto con l’Altro. Ciò avviene attraverso due funzioni: ® La funzione speculare nella quale il passaggio dalla frammentazione alla coesione è reso possibile da un investimento libidico proveniente dalla madre. In altri termini il bambino gode del fatto di esistere esclusivamente come oggetto di desiderio della madre, come suo rispecchiamento, così che la relazione madre/figlio è di tipo fusionale, speculare e di approvazione. ® La funzione idealizzante deriva dal sé paterno e per Kohut (in linea con Freud) attualizza l'ideale di comportamento, l'insieme delle norme di condotta. Il bambino assorbe e sublima l’imago del padre facendone il paradigma delle proprie azioni. 2.3 Donald Winnicott Nella sua teoria è centrale lo studio dell'influenza dell'ambiente nello sviluppo del soggetto che si esprime nella relazione di legame e di separazione tra madre e bambino. Il punto di partenza è la prima immagine materna che il bambino si procura dopo lo stadio affettivo-simbiotico della gestazione. Il neonato percepisce una sorta di mamma-ambiente empaticamente protettiva. È il cosiddetto holding, termine che indica il complesso della gestualità materna: cullare, sostenere, proteggere affettivamente. La continuità d’essere è per Winnicott la possibilità che l'io del bambino possa strutturarsi senza soffrire l’urto dell'ambiente. Per garantire che nel passaggio dalla condizione di onnipotenza in cui il bambino protetto nell’holding immagina di vivere i primi mesi di vita, c'è bisogno che si instauri tra mamma e bambino uno spazio simbolico, ludico/cretivo. È lo spazio del gioco, in cui si inseriscono i cosiddetti oggetti transazionali: animali di peluche, pezzi di stoffa che il bambino tiene con se nelle situazioni di distacco. Secondo Winnicott se il bambino da prima riteneva gli oggetti esterni una sua creazione (oggetti soggettivi), nell’impatto con l’ambiente esterno il bambino si disillude ed è costretto a riconoscere l’esistenza dell’alterità. La figura materna quindi avrà il compito prima di stimolare l'illusione del bambino e poi il compito del disincanto, in questa fase l’area di transizione attiverà le potenzialità simboliche del bambino originando la prassi ludica che negli adulti diventerà arte, lavoro e cultura. Interessanti per la teoria della personalità sono i concetti di sé (self), vero sé e falso sé. Il self è costituito da diverse parti che si uniscono e per strutturarsi hanno bisogno dell'aiuto dell'ambiente umano. Il vero sé comprende tutto ciò che di vivente esiste nel soggetto: il potenziale di vita psichica creativa e gli elementi desideranti. Già il neonato ha in se le potenzialità per costruire la propria personalità ma affinché ciò avvenga è necessaria la presenza di una madre che faciliti questa evoluzione. Il vero sé diventa tale solo in seguito alla riuscita ripetizione delle risposte della madre, sia ai gesti spontanei del neonato, sia alle sue allucinazioni sensoriali. In questo modo ilbambino può godere di una sorta di capacità di illusione: ha potuto cioè credere che la realtà esterna si potesse manifestare come per magia in modo tale da non urtare la sua onnipotenza, a cui egli può ora rinunciare. Winnicott ritiene che alla fonte di queste angosce vi sia la componente aggressiva della pulsioni libidiche; quando il bambino prende coscienza dei suoi impulsi ostili proverà il terrore di andare in frantumi e organizzerà delle difese per proteggere l’io da angosce profondissime, per meglio definire questo meccanismo Winnicott ha creato un concetto in negativo: il falso sé. Il falso sé serve a proteggere un vero sé troppo frammentato e agisce adeguandosi alla realtà esterna corrispondendo alla dimensione dei legami sociali. Il compito di una terapia psicoanalitica è quello di destrutturare il falso sé attraverso il meccanismo della regressione, in modo da consentire al vero sé di esprimersi pienamente. ® Losviluppo adolescenziale e la tendenza antisociale Winnicott ritorna sul concetto della necessità di un ambiente abbastanza buono, l’unico che può favorire una crescita e uno sviluppo normali dell'individuo. A proposito dell'adolescenza Winnicott sostiene che nell'adolescenza è sempre implicata la morte di qualcuno e la morte è strettamente legata al proprio trionfo personale. Per questo le difficoltà adolescenziali si trovano sempre da entrambi i lati, vanno a toccare tanto i genitori quanto i figli. La questione più difficile su cui soffermarsi è per tanto l’immaturità dell’adolescente, che per Winnicott è comunque un elemento basilare della sanità adolescenziale. Non esiste una cura per l’immaturità se non il trascorrere del tempo, il trionfo dell’adolescente è quindi legato al raggiungimento della maturità attraverso il processo di crescita: un processo non esente dal sentimento di perdita di energie libere, che cercavano tutte le vie possibili, compresa quella dell’irresponsabilità, per potersi esprimere in tutta la loro creatività. A partire dallo sviluppo adolescenziale Winnicott si occupa anche della tendenza antisociale che può nascondersi dietro sintomi come l’enuresi, le bugie o manifestarsi con atti aggressivi come il furto e gli atti di violenza. Quando Winnicott pensa alla delinquenza non la vede tanto collegata solo a motivazioni sociali come la povertà, ma la individua anche come frutto di una causa iniziale cioè l'incapacità dell'ambiente di adattarsi al bambino nel momento in cui la sua dipendenza non è più assoluta. Si tratta di distorsioni dell’io che possono assumere diversi livelli di gravità comportando sintomi come la dissociazione o la depersonalizzazione. 2.4 La teoria di Spitz Spitz individua 3 tappe dello sviluppo psicologico dell’individuo: ® Fase pre-oggettuale, alla nascita ogni bambino vive in una sorta di condizione di autismo durante la quale risulta ripiegato in se stesso, e di indifferenziazione identitaria in cui non esiste distinzione tra se e il mondo esterno, in particolare tra sé e la madre. ® Fasedell’oggetto precursore, nel corso del 3° mese il piccolo inizia a riconoscere il volto umano al quale indirizza dei sorrisi, ciò significa che riconosce il viso (della madre) come l’altro da sé, ilche comporta l'uscita dall’autismo dei primi mesi di vita. ® Fasedell’oggetto libidico (angoscia dell’8° mese), in questo periodo il piccolo inizia ad esprimere gioia quando sta con le persone che conosce e timore verso quelle che non conosce, ciò dimostra che non solo individua l’altro da sé, ma che negli altri distingue la madre dai soggetti esterni. 2.5 La teoria di Mahler La dottrina di Margaret Mahler, si basa sul processo di separazione-individuazione, che consiste in due sviluppi complementari: la separazione avviene dall’emergere del bambino da una fusione simbiotica con la madre, mentre l'individuazione riguarda la graduale assunzione da parte del ® Dai9maesiin poi, si caratterizza per il peculiare legame di attaccamento con il caregiver, il bambino infatti acquisisce abilità come quelle di richiamare l’attenzione della figura di riferimento, di salutarla e di usarla per esplorare l’ambiente; ® Intornoai 3 anni di età, il bambino acquisisce la capacità di mantenere tranquillità e sicurezza in un ambiente sconosciuto purché sia in compagnia di figura di riferimento secondarie. Il modello di attaccamento che si sviluppa durante i primi anni di vita caratterizza la relazione con la figura di riferimento durante l'infanzia ma poi diviene un aspetto della personalità e un modello relazionale per i futuri rapporti. Per questo motivo è fondamentale sviluppare un tipo di attaccamento adeguato. Ad esempio, l’esperienza di separazione dalla figura di riferimento rappresenta uno dei più gravi eventi traumatici per un bambino e naturalmente incide notevolmente sullo sviluppo del legame di attaccamento, ma si manifesta attraverso diverse modalità di comportamento. Queste diversità dipendono da alcune variabili tra le quali: e Laduratae il periodo della separazione; ® Lecapacità di resilienza del soggetto e le caratteristiche dell'ambiente. Bowlby ha evidenziato che la separazione dalla figura di riferimento può essere distinta in 3 momenti: la protesta, la disperazione e il distacco. 3.3 La “strange situation” di Mary Ainsworth Negli anni 60 la psicologa Ainsworth ha elaborato una procedura, chiamata strange situation, per osservare le relazioni di attaccamento tra la madre o chi si prende cura del bambino, degli estranei e il bambino. Nella strange situation il bambino, di età compresa tra i 9 e 18 mesi, viene osservato mentre gioca per 20 minuti, mentre i coregiver e gli estranei entrano ed escono dalla stanza ricreando il flusso delle presenze familiari e non familiari e vengono osservati. Il bambino sperimenta queste situazioni: e Ilgenitoree il bambino entrano nella stanza dell'esperimento. e Ilgenitore e il bambino sono soli e il genitore non partecipa all'esplorazione del bambino. e Entraunestraneo, chiacchiera con il genitore e si avvicina al bambino; il genitore se ne va vistosamente. ® Primaseparazione: il comportamento dell’estraneo è orientato a quello del bambino. ® Primariunione: il genitore saluta e conforta il bambino, poi se ne va di nuovo. e Seconda separazione: il bambino è solo. e Continuazione della seconda separazione: l’estraneo entra e orienta il comportamento a quello del bambino. e Secondariunione: il genitore entra, saluta il bambino, lo prende in braccio e l’estraneo se ne va vistosamente. Vengono osservati due aspetti del comportamento del bambino: ® La quantità di comportamento esplorativo (es. giocando con nuovi giocattoli); ® Lereazioni del bambino all’allontanarsi e al ritorno del suo coregiver. Sulla base del comportamento si classifica il pattern di attaccamento del bambino: e Attaccamento sicuro: la madre è sensibile alle richieste del bambino mentre quest’ultimo mostra equilibrio tra comportamenti di vicinanza ed esplorazione, sicurezza interna e fiducia. Mostra segni di disagio alla separazione ma si lascia consolare. e Attaccamento insicuro-evitante: la madre è insensibile ai segnali del bambino, mentre questo mostra comportamenti evitanti e di distacco e si mostra indifferente alla separazione. e Attaccamento insicuro ansioso-ambivalente: la madre è imprevedibile nelle risposte, il bambino si mostra incerto rispetto alla disponibilità materna, prova forte disaggio alla separazione ed è inconsolabile al ritorno della madre. Successivamente gli psicanalisti Main e Solomon hanno proposto una 4° categoria: ® Attaccamento disorganizzato: la madre è incapace di rispondere alle richieste del bambino che assume comportamenti contraddittori e azioni mal dirette, insomma è disorientato. 3.4 Harlow e gli studi sulla separazione Lo psicologo americano Harlow, studiò la separazione della madre e gli effetti dell'isolamento sociale nelle scimmie Rhesus, ponendole appena nate a contatto due surrogati materni: uno formato da filo di ferro con un biberon e l’altro formato da filo di ferro ricoperto di spugna. Le scimmiette si rifugiavano sul surrogato ricoperto di spugna che offriva più calore al contatto, nonostante l’altro procurasse il cibo: quando erano affamate, le scimmiette afferravano il biberon ma presto ritornavano alla spugna. Le scimmiette, se venivano spaventate, sembravano confortate dal contatto con la mamma di spugna, mentre il surrogato formato dal filo di ferro non portava alcun conforto. In ogni caso le scimmiette cresciute con un surrogato erano incapaci di adattarsi alla vita sociale e presentavano gravi difficoltà nel comportamento sessuale e nel caso raro in cui avessero dei piccoli, mostravano grandi limiti dell’accudimento esprimendo un comportamento psicologicamente disturbato. Dunque dalle ricerche sull’attaccamento concludiamo che le basi della salute mentale stanno in una buona relazione primaria, e senza questa esperienza positiva la vita sessuale affettiva può presentare delle difficoltà in fase evolutiva. 3.5 Bronfenbrenner e la scuola ecologica Lo psicologo statunitense Bronfenbrenner costituisce la figura più rappresentativa della scuola ecologica, che concepisce il soggetto in fase di sviluppo come entità dinamica che si sviluppa e agisce in interazione vicendevole con l’ambiente. Bronfenbrenner distingue nell'ambiente ecologico una sequenza ordinata di strutture concentriche inserite l’una nell'altra, che egli identifica come micro sistema, meso sistema, macro sistema: all’interno di ognuna di esse il ruolo è dato dal complesso delle attività e delle relazioni delle persone facenti parte di un determinato contesto sociale e da ciò viene posto in essere da altri nei confronti di tali persone. Pertanto la crescita del bambino risulta agevolata dall'interazione con individui che assumono ruoli diversi, in quanto è il bambino stesso ad interagire con diversi ruoli , in modo da costruirsi una nuova identità. 4. Teorie dello sviluppo emotivo L'emozione è la reazione fisica e psichica con cui un soggetto risponde sia alle situazioni reali nelle quali viene a trovarsi, sia alle proprie elaborazioni mentali, a ciò che sta pensando. Con le emozioni si comunica, si trasmette agli altri il proprio stato d'animo: un esempio è rappresentato dalle espressioni del viso. Molte espressioni mimiche hanno origine genetica: alcuni esperimenti effettuati con soggetti di diverse etnie hanno provato che esiste una sostanziale conformità nel modo di manifestare le emozioni attraverso la mimica. 4.1 La teoria di Sroufe Lo psicoanalista americano Sroufe è il principale esponente della teoria della differenziazione emotiva, secondo cui l'individuo possiede fin dalla nascita un corredo emotivo indifferenziato e le emozioni si differenziano con lo sviluppo dell'individuo stesso. Sroufe delinea 8 stadi per lo sviluppo delle emozioni, passando da una eccitazione indifferenziata a una differenziazione delle emozioni: e Primostadio: il bambino grazie ad un meccanismo di difesa è invulnerabile agli stimoli esterni. In questo periodo appaiono i precursori delle emozioni, come il sorriso senza valore sociale ad esempio durante il sonno, il dolore che si esprime col pianto, il pianto rabbioso. e Secondostadio (fino al 3° mese): il bambino si apre al mondo esterno e diventa sensibile alle stimolazioni ad esempio attività motoria e vocalizzi. ® Terzo stadio (dai 3 ai 6 mesi): inizia col sorriso sociale. In questa fase, comincia a distinguere il mondo interno dal mondo esterno e inizia una vita emotiva a tutti gli effetti: piacere, disappunto, rabbia e circospezione sono vere e proprie emozioni perché hanno un contenuto cognitivo. ® Quarto stadio (dai 7 ai 9 mesi c'è una sempre più ampia differenziazione delle emozioni: gioia, paura, rabbia, sorpresa. ® Quintostadio (dai 9 ai 12 mesi): è definito il periodo dell’attaccamento in qui si stabiliscono profondi rapporti emotivi tra il bambino e le persone che se ne prendono cura e l’espressione delle emozioni diventa altamente raffinata. ® Sestostadio (frai 12 e i 18 mesi): è lo stadio delle sperimentazione, in cui il bambino inizia ad esplorare l’ambiente e a sperimentare la separazione. ® Settimo stadio (da 18 a 36 mesi): dalla tensione fra attaccamento e separazione ha origine lo sviluppo della coscienza del Sé e delle corrispondenti emozioni, come l'affetto per se stessi, la vergogna e tutte le emozioni che richiedono lo sviluppo dell’autocoscienze. e Ottavo stadio (dai 3 ai 5 anni): iniziano le espressioni di emozioni complesse e il bambino comprende le conseguenze delle sue emozioni, iniziando a modularle e a nasconderle. proprio punto di vista in una set di scale costituite da aggettivi opposti es. buono/cattivo, bello/brutto. ® METODI IMPLICITI Il principale limite dei metodi espliciti è rappresentato dalla controllabilità delle risposte da parte del soggetto esaminato. Il soggetto decide liberamente cosa rispondere alle domande, ma queste gli consentono di manipolarne i risultati. Questo accade quando si parla di argomenti socialmente desiderabili. Ci sono temi che spesso non vengono dichiarati apertamente dal soggetto. Una persona potrebbe dare delle risposte non veritiere solamente per soddisfare un'immagine di sé socialmente accettabile. Tale questione è definita in psicologia come desiderabilità sociale. Es. esprimere valutazioni positive su concetti come l’omofobia, il bullismo o il razzismo non è ritenuto socialmente accettabile, per questo motivo, di fronte a domande su temi del genere è probabile che una persona potrebbe negare di sostenere certi concetti indesiderabili. Se utilizzassimo un metodo esplicito per misurare gli atteggiamenti, probabilmente otterremmo risultati molto influenzati dal concetto di desiderabilità sociale. Da qui nasce l'esigenza di usare metodi che rilevino gli atteggiamenti in modo implicito. Le persone infatti, possono controllare per nulla o solo in parte le risposte ai metodi impliciti. Riportiamo a titolo di esempio due domande che investigano un pregiudizio nei confronti degli afroamericani in modo diretto o indiretto: - Domanda diretta: i neri sono meno intelligenti del bianchi - Domanda indiretta: i neri stanno diventando troppo esigenti nei loro sforzi per l'uguaglianza dei diritti. Mentre la prima domanda è apertamente discriminatoria, la seconda (domanda indiretta) non evoca direttamente una risposta normativa, in quanto non si dice apertamente che uno dei due gruppi ha caratteristiche indesiderabili. Eppure, anche la domanda indiretta contiene elementi discriminatori, perché ammettere che un gruppo target è esigente nel raggiungere qualcosa che dovrebbe essere data per scontata, ovvero l'uguaglianza, è in qualche misura discriminatorio. La comunicazione non verbale può essere utilizzata per rilevare indirettamente gli atteggiamenti. La comunicazione non verbale è la comunicazione basata sull’invio e la ricezione di segnali senza parole. Riguarda segnali visivi come il linguaggio del corpo (cinesica), la distanza interpersonale e l’uso dello spazio (prossemica), segnali uditivi come il tono, timbro, ritmo della voce (comunicazione paraverbale) e il contatto fisico (aptica); essa riguarda inoltre l’utilizzo del tempo, rappresentato ad esempio da ritmo e velocità dei movimenti (cronemica) e il comportamento dell’occhio (oculesica). L’assunto fondamentale, nell’utilizzo della comunicazione non verbale, è che il comportamento non verbale possa rivelare informazioni valutative riguardo un determinato oggetto in termini emotivi, cognitivi e comportamentali. Questi sono alcuni indicatori emotivi, cognitivi e comportamentali deducibili dal linguaggio del corpo: ® Indicatori emotivi: sono espressi dalle espressioni facciali. Anche il linguaggio del corpo, i gesti e la cinesica possono rilevare a livello indiretto alcuni indicatori emotivi esempio la tristezza si esprime attraverso movimenti del corpo lenti e una bassa frequenza dei gesti. ® Indicatori cognitivi: l'accelerazione del battito delle ciglia indica carico cognitivo. ® Indicatori comportamentali: l'avvicinamento o l'allontanamento di un soggetto ad un target indicano gradimento o rifiuto di un oggetto. La comunicazione non verbale è al centro della scala in quanto la sua controllabilità è parziale. Infatti se ci concentriamo, possiamo controllare in parte la nostra comunicazione non verbale sopprimendo gesti ed espressioni facciali, la se fossimo focalizzati così tanto sul controllo di un aspetto del linguaggio del corpo, perderemmo il focus sugli altri. 3. Il pregiudizio Il docente di psicologia sociale Mazzara rileva che il concetto di pregiudizio può essere inteso in due modi: ® Definizione generale: giudizio precedente all'esperienza o in assenza di dati empirici ® Definizione specifica: la tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono a un determinato gruppo sociale che non si limita alle valutazioni rispetto ad un oggetto ma che orientano concretamente all’azione. La seconda definizione più comunemente usata, fa riferimento ad uno specifico atteggiamento negativo che viene solitamente espresso nei confronti di un outgroup che in psicologia sociale definisce un gruppo diverso dal proprio gruppo di appartenenza. Uno dei principali metodi per la riduzione del pregiudizio è chiamato contatto sociale e consiste nell’aumento delle interazioni e conoscenza tra membri di gruppi diversi. Il concetto di pregiudizio si basa dunque su informazioni assenti o sommarie rispetto ad un oggetto sociale. Le informazioni sommarie riguardo ad un oggetto sociale sono chiamate stereotipi e sono spesso associati ad un pregiudizio. 4. Persuasione e influenza sociale La persuasione è il tentativo volontario di influenzare credenze, atteggiamenti, intenzioni, motivazioni o comportamenti di una persona. Lo psicologo statunitense Cialdini ha concluso che esistono 6 elementi fondamentali che possono facilitare la persuasione: ® Reciprocità: tendiamo a ricambiare un favore fatto seguendo la norma di reciprocità. e Somiglianza: quanto maggiore è la somiglianza tra target della persuasione e il persuasore, tanto maggiore è la probabilità che la persuasione avvenga. Le somiglianze di valori, personalità, ma anche fisiche hanno un peso nei processi persuasivi. e Autorità: tendiamo ad eseguire con maggiore probabilità i suggerimenti e i comandi di fonti autoritarie. ® Riprova sociale: tendiamo a riprodurre comportamenti condotti da altri. ® Simpatia: tendiamo ad essere persuasi maggiormente dalle persone per cui proviamo simpatia. e Scarsità: riguarda la presenza di un bene percepito come scarso, potenzialmente non disponibile. 5. Definizione di leadership e psicologia delle folle Il docente universitario statunitense Yukl definisce la leadership come processo di influenzamento degli altri finalizzato a capire e creare consenso su cosa c’è bisogno di fare e sul come farlo. Vitale ha riassunto la storia della leadership sottolineando i cambiamenti che questo costrutto ha vissuto nella sua storia. Inizialmente il costrutto di leadership aveva un’accezione negativa, il gruppo era considerato sede dell’irrazionalità. | primissimi teorici del costrutto non risparmiano infatti descrizioni negative dell'essere umano in gruppo, per esempio Trotter scrive: “la razza umana è più sensibile alla voce del gregge che a qualsiasi altro tipo di influenza”. 5.1 | processi di gruppo Anche le prime teorizzazioni psicoanalitiche inquadrano il gruppo come un fenomeno che riduce le capacità intellettive. Per Freud i principali processi di gruppo nei confronti del leader sono: ® Proiezione dell'ideale dell’lo sul leader. ® Identificazione con il leader. ® Minor funzionamento dell’lo. e Emersione dei bisogni primitivi, stimolati dalla comunicazione del leader. ® Regressione di gruppo. e Sviluppo di relazioni oggettuali primitivi. Anche in seguito, lo psicoanalista britannico Bion sviluppò una teorizzazione sui 3 assunti emotivi del gruppo: - Assunto di dipendenza: tendenza del gruppo a percepire il leader come onnipotente. Quando però il leader non soddisfa più questo ideale, il gruppo reagisce prima con un meccanismo di difesa di negazione, poi con svalutazione e ricerca di un nuovo leader. - Assunto di lotta-fuga: caratterizzato dalla coesione del gruppo nei confronti di un nemico esterno. - Assunto di accoppiamento: i componenti del gruppo pongono l’attenzione su una coppia all’interno del gruppo con la promozione di un’aspettativa positiva. Kernverg è tra i primi autori a dare una concezione della leadership anche positiva e matura, l’autore ne identifica alcuni tratti: ® Intelligenza ® Onestà personale e incorruttibilità ® Capacità di stabilire e mantenere relazioni oggettuali profonde ® Sano narcisismo e Sanaattitudine paranoide anticipatoria, contrapposta all’ingenuità. ® L’interazione e la prossimità fisica. e Lasomiglianza di atteggiamenti e di valori. ® Il destino comune e Lasomiglianza o la complementarietà dei tratti di personalità che portano all’attrazione reciproca. e La minaccia condivisa/un nemico comune. e Gliscopi condi 6.3 Effetti negativi delle dinamiche di gruppo L'adesione di un gruppo determina un processo di depersonalizzazione che può facilitare effetti negativi sia all’interno che all’esterno del gruppo. Questi sono i fenomeni negatiti: ® Depersonalizzazione determina aggressività e discriminazione dei gruppi esterni. ® Diffusione di responsabilità: quando si è in un contesto sociale e si è l’unico ad aver osservato un'infrazione o un comportamento pericolosi, ci si sente in qualche misura corresponsabili e pronti ad agire per risolvere il problema. Nella condizione di gruppo invece, i membri tendono a deresponsabilizzarsi in quanto ogni altra persone può di fatto agire contro l’infrazione. ® Bullismo: insieme di comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo nei confronti di individui più deboli. Proprio sulla base della diffusione di responsabilità, il bullo agisce assieme ad altri membri che, partecipando o omettendo la loro opposizione, facilitano il processo. e Groupthinking: riduzione del contraddittorio e della discussione di gruppo. Sezione Il Pedagogia, apprendimento e didattica CAPITOLO 1: Fondamenti di pedagogia 1. Pedagogia, educazione e formazione La pedagogia è definita come la scienza o il complesso delle scienze relativo all'educazione. L'educazione fa riferimento sia alla dimensione dello sviluppo delle potenzialità umane che Educare significa quindi effettuare all’affinamento dei valori, degli affetti, delle relazioni sociali. un complesso processo di intervento culturale sugli individui, presi singolarmente o come gruppo. Definire invece il concetto di formazione è più complesso. Volendo semplificare, possiamo dire che l'accensione più adeguata del termine formazione è quella per cui esso indica il complesso degli eventi in grado di esercitare un’influenza globale sull’individuo. 1.1 Effetti dei processi educativo-formativi Si ha formazione quando sono in gioco contemporaneamente tutti i seguenti aspetti dell'individuo: e Quello psichico, relativo alla dimensione interiore, affettiva, cognitiva. ® Quello etico, che riguarda il comportamento e le relazioni con gli altri, ciò che viene definita la dimensione intersoggettiva della nostra vita, quella che riguarda il rapporto dialogico tra individui. e Quello sociale, incentrato sui complicati processi di scambio simbolico ed esistenziale con l’ambiente circostante e con le istituzioni politiche in cui si vive. 2. Sviluppo dell'identità personale Formarsi dovrebbe poter significare, sviluppare al massimo grado possibile la propria identità psichica e sociale, i propri tratti caratteriali e la propria singolare “visione del mondo”. Possiamo indicare una contrapposizione che attraversa in parte ancora oggi tutta la storia educativa occidentale: quella tra prospettive pedagogiche che puntano sull'educazione come adeguazione del singolo uomo ai canoni della realtà sociale, e prospettive che mirano all'incremento della coscienza e delle libertà individuali anche in contrapposizione ai modelli sociali dominanti. Definiamo le prime come teorie sociocentriche, volte cioè a preservare la solidità e stabilità del sistema sociale nel suo complesso piuttosto che le libertà del singolo. Le seconde, possiamo definirle teorie individualistiche, poiché alludono a posizioni secondo le quali l'educazione deve costituire il processo-base che consente ad ogni singolo individuo di affermarsi autonomamente e criticamente rispetto all'ambiente socio-politico di appartenenza. Negli anni più recenti sono state elaborate una pluralità di teorie che in qualche modo rappresentano un punto di incontro tra questi due approcci contrastanti. Si tratta di ipotesi centrate sulla convinzione che nelle società complesse come la nostra il potenziale delle proprie capacità personali possa rappresentare nello stesso tempo anche un arricchimento del gruppo sociale di appartenenza, cioè della comunità o della realtà ambientale con cui si è a contatto e non soltanto una sottomissione o adeguazione ad esse. 3. Pedagogia come metodologia scientifica Il concetto di educazione, le sue pratiche, i suoi saperi richiedono una disciplina molto complessa a cui diamo il nome di pedagogia. Possiamo dire che la ricerca pedagogica si delinea attorno ai seguenti ambiti: - Teoria dei fini o scopi dell'educazione - Studio dei metodi, degli strumenti o delle forme organizzative dell'educazione stessa. - Attenzione teorico-pratica nei confronti dello studente o dell’educando in genere. La pedagogia ad un certo grado di sviluppo del pensiero occidentale si è andata profilando proprio come la scienza riguardante i fenomeni educativi. Per secoli il sapere sull'educazione è stato qualcosa di profondamente diverso da un sapere scientifico come lo intendiamo oggi: la pedagogia ha una lunga storia come parte minore della filosofia e della religione, oppure come semplice pratica d'insegnamento. Solo nell’età moderna è iniziata una graduale presa di coscienza dell'importanza di elaborare una sistematica metodologia dei processi educativi. La scommessa delle attuali scienze dell'educazione è proprio quella di riuscire a delineare, negli anni avvenire dei metodi sperimentali applicabili al maggior numero di soggetti. Oggi il processo pedagogico affida la sua scientificità a due elementi fondamentali: ® Il primo riguarda il notevole patrimonio di conoscenze pervenute dalla psicologia; queste conoscenze riguardano sia la natura e lo sviluppo della mente umana sia i processi e i meccanismi specifici di apprendimento nei bambini e negli adolescenti. e Ilsecondo riguarda la tecnica dell'istruzione vale a dire lo studio dei metodi più efficaci per progettare e controllare il risultato effettivo dell’insegnamento, cioè della trasmissione del sapere. 4. La progettualità pedagogica Riguardo la progettualità pedagogica possiamo sintetizzare molteplici tipologie di formazione. 4.1 Formazione intellettuale Per una buona formazione intellettuale è necessario rafforzare alcune caratteristiche della creatività cognitiva: la felessibilità, la prontezza, la costruttività, la versatilità. L'uso creativi dell’intelligenza consente così di apprendere ed elaborare saperi promuovendo l’autonomia contro la passività e la dipendenza. 4.2 Formazione estetica La creatività estetica riguarda le esperienze sensoriali, razionali e immaginative. L'educazione estetica è funzionale alla creatività che si manifesta a sua volta nelle più diverse produzioni culturali (musica, canto, danza, pittura ecc..) 4.3 Formazione del corpo e del movimento La dimensione mentale dell'essere umano è strettamente legata alla dimensione corporea, che si offre come mezzo di conoscenza del mondo esterno, degli altri e di se stessi. Filosofi come Rousseau, pedagogisti come Montessori, psicologi come Piaget hanno sottolineato l’importanza del movimento e del coordinamento spazio-temporale per la costruzione dell’identità personale. Una corretta formazione corporea contribuisce: ® Allaformazione intellettuale (migliorando le capacità senso-percettive) ® Allaformazione etico-sociale (grazie alla condivisione delle regole di gruppo) ® Allaformazione affettiva (attraverso il controllo dell’aggressività a favore della collaborazione) ® Allaformazione estetica (ponendo attenzione all’armonia fisica e dei movimenti) e Coeducazione ® Educazione dell’uomo e del cittadino. 2.21] metodo globale di Ovide Decroly Lo psicologo belga Decroly individuò sia la funzione del metodo globale, sia l’importanza dei centri di interesse nel processo di apprendimento del bambino e criticò il sistema educativo tradizionale, che si basava sull'ambiente scolastico e il programma, trascurando le facoltà recettive, elaboratrici e attive dell'allievo. Nella scuola dell’Ermitage, da lui fondata per sperimentare le sue teorie, ideò un ambiente educativo in cui l’edificio scolastico era circondato dalla natura (campo delle occupazioni attive dell'allievo). In tal modo la scuola svolgeva una duplice funzione: alfabetizzare l’alunno e promuovere la formazione dell'identità personale. Nella pedagogia decrolyana i programmi devono rispondere sia all'esigenza oggettivo-sociale sia a quella soggettivo-psicologica dell'individuo. Quest'ultima riguarda i suoi bisogni principali, ai quali devono corrispondere 4 centri di interesse: e Il bisogno di nutrirsi; e Il bisognodi lottare contro le intemperie; ® Il bisogno di difendersi dai nemici; ® Il bisogno di lavorare con gli altri, riposarsi e ricrearsi. Questi centri di interesse servono, secondo Decroly, al maestro per impostare correttamente l'esercizio delle attività di osservazione, associazione ed espressione. Queste attività, che costituiscono il cosiddetto trittico decrolyano, sono indispensabili per il metodo globale. Dall’esercizio dell’osservazione dipende l'apprendimento delle scienze; con gli esercizi di associazione poi, imparano ad intuire legami di causa-effetto e acquisiscono conoscenze più sistematiche, collegando le informazioni precedentemente memorizzate con le nozioni apprese mediante l’esperienza diretta; infine, gli esercizi di espressione, che comprendono il lavoro manuale, lo scritto, il disegno, la parola, attraverso i quali l'alunno impara a esprimere le idee maturate dentro di sè. La conoscenza parte quindi, dal concreto poi attraverso un processo di analisi si passa all’astratto e con la sintesi si recupera l’intero ma con una conoscenza profonda delle sue parti. Il punto debole del metodo di Decroly è la scelta dei 4 centri d interesse, poiché secondo alcuni critici i bisogni fondamentali del fanciullo (cui il pedagogista belga fa corrispondere i centri di interesse) non rappresentano l’uomo nella sua totalità poiché esistono anche bisogni di natura affettiva, intellettuale e religiosa. 2.3 L'educazione funzionale di Edouard Claparède Claparède sviluppò una teoria biologica e funzionale della psiche il funzionalismo. Partendo dall’idea che l’attività educativa debba essere fondata sullo studio psicologico delle fasi dello sviluppo infantile, incentrò i suoi studi sull’interazione fra psiche e necessità ambientali, sostenendo che l'organismo si adatta alle richieste dell'ambiente e apprende attraverso i processi mentali, ossia le funzioni. Claparède individuò le leggi fondamentali dello sviluppo alle quali l’educatore deve rifarsi per individuare le concrete modalità di sviluppo di interessi e bisogni dell'allievo: ® Legge della successione genetica (lo sviluppo avviene per tappe costanti, ripetendo lo sviluppo della specie) ® Legge dell'esercizio genetico-funzionale (l’esercizio di ogni funzione è premessa dello sviluppo di quelle successive) ® Legge dell'adattamento funzionale (l'esercizio nasce da un bisogno o da un interesse) ® Legge dell'autonomia funzionale (implica che il bambino deve essere considerato un essere completo e autonomo) ® Legge dell’individualità (unicità di ogni individuo). Il bambino deve essere libero di farsi da sé, l'educazione quindi deve partire dai bisogni del bambino per realizzare a pieno la formazione completa dell'individuo. L’educatore deve pertanto, diventare non solo stimolatore di interessi, ma anche una guida per il processo educativo degli alunni, affinché questi, attraverso la ricerca personale possano acquisire le conoscenze indispensabili per orientarsi nella vita futura. 2.4 L’attivismo di John Dewey L'uomo ha bisogno, secondo il filosofo e pedagogista americano Dewey, di cultura e di tecnica, di teoria e di pratica, di scuola e di lavoro. Il lavoro è diventato il punto centrale della formazione di base: i bambini apprendono gli aspetti elementari del leggere, dello scrivere e del far di conto mediante i lavori domestici, agricoli ed artigianali; il lavoro viene considerato come uno strumento di formazione, mediante il quale l'allievo può svolgere attivamente la sua “professione” di alunno. L'educazione, giacché è fondata sugli interessi naturali del bambino si esplica, attraverso le occupazioni attive e le attività creative. 3. La svolta di Maria Montessori La particolarità dell'approccio di Maria Montessori è dovuta in primo luogo alla sua netta impronta scientifica. 3.1Le origini del metodo La Montessori scoprì la grande serie di distorsioni, errori e pregiudizi gravanti sul concetto e sulle pratiche dell’educazione infantile. L’approfondimento scientifico di questo campo era stato limitato dal pregiudizio “adultistico”, cioè dal presupposto che l'infanzia vada studiata partendo dal punto di vista dell'adulto. Secondo Maria Montessori bisogna ripensare il senso stesso del processo formativo: autentica educazione e solo l’autoeducazione, la pedagogia, la metodologia, il personale insegnante, e nel complesso le istituzioni scolastiche vanno considerati come mezzi preparatori e ausiliari per la realizzazione di un autentico IO INTERIORE. Secondo la Montessori, uno degli elementi più trascurati della psiche del bambino, è la specificità della loro “energia”: proprio la repressione di questo impulso originario è all'origine di quei comportamenti difettivi (il rumore, il chiasso, l’iperattività) di cui gli adulti si lamentano. Il punto-chiave iniziale sarà pertanto l'allestimento di un ambiente totalmente innovativo: ciò che la Montessori chiamò casa dei bambini, una struttura dotata di autonomia istituzionale e educativo-pedagogica, una sorta di micro-istituzione sociale infantile. 3.2 Gli spazi “a misura” di bambino Nella “Casa dei bambini” gli spazzi sono organizzati e definiti a misura dei bisogni, delle pressioni e delle esigenze di criticità dei piccoli; tali spazi sono: ® Privi del tradizionale arredamento scolastico ® Collocati nel tessuto urbano ® Leclassi sono in numero ridotto e collocate in locali non vasti ® Lesuppellettili sono scientificamente fabbricate rispettando le dimensioni fisiche e le potenzialità senso motorie dei bambini e Glispaziesterni prevedono la presenza indispensabile del giardino ® L’aula diventa una sala di lavoro: vi è la forte presenza di materiali (sedie, tavoli, scaffali, ecc..) a portata di mano dei bambini. Fondamentale è l’abolizione del banco visto come strumento di limitazione e imposizione ® La cura dell’igiene dei locali viene affidata agli stessi bambini, la vita scolastica deve essere percepita come continuità rispetto alla propria casa e Cambiailruolo dell'insegnante, non più presunta guida spirituale, etica, cognitiva ma direttrice e coordinatrice delle attività dei bambini. 3.3 L'educazione sensoriale In questo ambiente nuovo, assume una funzione centrale il materiale didattico, ideato con funzioni esplicite di sviluppo cognitivo. Siamo al cuore della teoria montessoriana: poiché la psiche infantile deve essere considerata come un'attività energetica ritmata dalla comparsa e dallo sviluppo di particolari periodi di fertilità cognitiva, detti periodi sensitivi, occorre garantirne lo sviluppo concedendo al bambino la possibilità di auto controllarsi, nel suo processo di crescita, e di auto-educarsi in piena libertà. L'ambiente va pertanto considerato come la totalità degli oggetti e dei materiali prescelti per stimolare la sensibilità infantile. Nel metodo montessoriano il bambino concentra la sua attenzione sulle parti elementari degli oggetti metodo analitico: attraverso un processo di analisi (classificazione e disposizione in serie) dovrà pervenire progressivamente alla maturazione cognitiva. Gli strumenti didattici sono elementi scientifici, appositamente costruiti da esperti. Il materiale comprende principalmente: oggetti solidi da incastrare; blocchi, tavole e forme geometriche da seriare secondo criteri diversi (colore, dimensione, altezza, peso, incastro); panni colorati, campanellini da porre in cala secondo l'intensità del colore o del suono; superfici diverse (ruvide o lisce) da graduare, ecc... Il senso di questa svolta strumentale è l'impulso all'educazione della sensibilità. Anche i processi di apprendimento della lettura e della scrittura prevedono la stessa logica di acquisizione: Nel condizionamento operante gli esperimenti sono stati condotti su animali di cui, prima veniva osservato il comportamento spontaneo e poi, in un secondo tempo, venivano offerti premi o somministrate punizioni al fine di ottenere una data risposta. | principali studiosi di questo condizionamento furono Thorndike e Skinner. Lo psicologo americano Thorndike studiò l'apprendimento per prove ed errori, cioè notò che, procedendo per tentativi finchè non si trova il comportamento giusto si tende poi a ripeterlo. T. pose un gatto in una gabbia (che egli chiamò Pasol-box) piena di leve e di pulsanti, ma solo uno di questi consentiva all'animale di uscire e di raggiungere il cibo. In un primo tempo il gatto si agitava fino a toccare per caso la leva che gli permetteva di aprire la gabbia; dopo una serie di volte in cui lo psicologo faceva ripetere al gatto lo stesso esperimento, impiegava sempre meno tempo a trovare la leva giusta. T. arrivò così a formulare la legge dell’effetto, secondo la quale si tende a ripetere quei comportamenti che producono un risultato vincente, cioè funzionale al nostro scopo. Sulla scia di T., lo psicologo Skinner mise appunto un metodo per lo studio del condizionamento operante, dimostrando l'influenza dei premi e delle punizioni sul comportamento. L'esperimento: un topo affamato veniva posto in una scatola (skinner-box) all’interno della quale era libero di muoversi; dopo vari percorsi esploratori, il ratto cominciava a premere una levetta collocata nella scatola e, ogni volta che eseguiva questo comportamento, gli veniva dato un pezzo di cibo (premio). Dopo una serie di volte in cui riceveva il premio, il ratto cominciò a premere la levetta intenzionalmente per ottenere il pezzo di cibo. Successivamente vennero somministrate ai ratti anche stimoli nocivi (punizioni) ogni volta che facevano qualcosa di diverso dal premere la levetta. Questi esperimenti mostrarono che il comportamento del ratto era funzionale al procurarsi premi o ad evitare le punizioni. Skinner studiò inoltre anche il fenomeno del modellamento, che consiste nel premiare progressivamente tutte le azioni che, man mano, portano al comportamento voluto dallo sperimentatore. Ciò avviene naturalmente anche nell’apprendimento dell'essere umano: i bambini imparano di più e più velocemente se vengono lodati ogni volta che rispondono correttamente a un input. Come abbiamo visto, mentre il condizionamento classico sembra realizzarsi indipendentemente dalla volontà del soggetto, nel condizionamento operante l'individuo produce volontariamente quella risposta. 1.4 L'apprendimento imitativo Lo psicologo canadese Bandura (1925) ha dimostrato che l'apprendimento non è dato dalla semplice imitazione, ma è un processo attivo che comprende l'osservazione di un modello, l’immagazzinamento delle informazioni in memoria e la scelta di cosa tradurre in comportamento. 1.5 Apprendimento per insight o intuizione L'esperienza insegna che molte volte possiamo risolvere rapidamente un problema attraverso un'intuizione, in questo caso il nostro apprendimento è di tipo intuitivo (insight significa intuizione). Lo psicologo tedesco Kohler notò che questa comprensione immediata della soluzione di un problema era un processo diverso dal graduale avvicinamento ad una soluzione per prove ed errori. Dai suoi esperimenti emerse che la comprensione per insight produceva una ristrutturazione concettuale dei dati di cui il soggetto disponeva fino a quel momento. L'esperimento di Kohler: in una gabbia dove erano rinchiusi tre scimpanzé, era stata appesa una banana al soffitto in una posizione così alta da essere irraggiungibile; dentro la gabbia erano state collocate alcune cassette di legno. Mentre due scimmie continuavano inutilmente a saltellare, una di loro prese le cassette di legno e le sostò sotto la banana, mettendole una sull’altra. Utilizzando le cassette come scala, riuscì ad afferrare il frutto. Il comportamento di questa scimmia non procede per prove ed errori, ma per intuizione; procedendo per insight, l’animale ha attribuito alla cassetta un significato diverso che è in funzione dello scopo che si era prefisso. In quel momento, lo scimpanzé ha operato una ristrutturazione dei suoi concetti, apprendere per insight significa quindi individuare soluzioni creative per risolvere i problemi. 1.6 L'apprendimento per mappe cognitive Lo psicologo statunitense Tolman condusse una serie di esperimenti sui topi chiusi in un labirinto allo scopo di valutare la capacità degli animali di elaborare delle mappe mentali utili a portare a termine più velocemente il percorso. Dalle sue osservazioni notò come un animale, lasciato libero di esplorare un luogo apprendeva una mappa cognitiva, cioè riusciva a farsi una rappresentazione mentale del modo in cui era strutturato il labirinto. Tolman dimostrò che i topi all’interno del labirinto, quando si cambiava il punto di partenza o si ponevano ostacoli sul cammino, si comportava come se fossero in grado di consultare una mappa, il che permetteva loro di trovare la strada migliore per raggiungere la meta. Esperimento di Tolman: costruì un labirinto con un box di partenza, dove veniva inserito il topo, e un box meta cioè una scatola che l’animale doveva raggiungere perche conteneva il cibo. | percorsi che i ratti potevano scegliere per arrivare al box meta erano 3: il primo era il più breve, poi c’era il percorso due e il percorso tre. | topi che venivano usati conoscevano già i 3 percorsi; naturalmente gli animali appena immessi nel labirinto, percorrevano per primo il percorso 1 poiché avevano appreso che era il più breve. Nell’esperimento Tolman pose un blocco in un certo tratto del percorso 1 e i topi risposero tornando indietro ed imboccando il percorso 2. Fu però messo un nuovo ostacolo anche lungo il percorso 2, pertanto i topi tornarono indietro e imboccarono il percorso 3 lasciato libero. | ratti produssero questa risposta sin dalla prima volta che si trovarono d’avanti agli ostacoli. Questo comportamento mostra che i topi avevano acquisito una conoscenza spaziale (mappa cognitiva) del labirinto e che potevano servirsene in modo intelligente. Il lavoro di Tolman ha permesso di elaborare anche la teoria dell’ apprendimento latente (un apprendimento che non necessariamente si traduce in un comportamento), caratterizzato da due aspetti: non necessita di alcuna ricompensa per realizzarsi; quanto appreso può non esprimersi e restare a lungo silente. APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO (processo in cui le nuove conoscenze si acquisiscono per associazione automatica tra stimolo e risposta): condizionamento classico (Pavlov), apprendimento per prove ed errori (Thorndike), condizionamento operante (Skinner). APPRENDIMENTO COGNITIVO (processo in cui le nuove conoscenze si acquisiscono grazie all'intervento attivo della mente e non in modo meccanico): apprendimento sociale o imitativo (Bandura), inight o intuizione (Koler), apprendimento latente (Tolman). 2. Il costruttivismo 2.1 Piaget e Vigotskij Nella seconda metà del 900, la corrente del costruttivismo ribalta questo concetto, intendendo l'apprendimento come un processo dinamico, e non più come una pura accumulazione di informazioni da parte dell'allievo. Nel corso del processo di formazione, l'individuo acquisisce abilità e conoscenze mediante l'interazione con gli altri e con la situazione educativa, mettendo in campo le sue esperienze precedenti e il suo modo di rappresentarsi la realtà esterna. | maggiori esponenti di questo indirizzo, sono considerati tra i maggiori studiosi di psicologia dello sviluppo del 900. 2.2 La teoria dei costrutti personali di Kelly Secondo lo psicologo statunitense Kelly, ciascuno percepisce e interpreta il mondo in base ad un proprio punto di vista, dal quale dipendono sia le opinioni che i comportamenti. In base a questa teoria, la personalità degli individui può essere considerata come un organismo dinamico che, sulla scorta dell'esperienza, elabora specifici costruzioni mentali che determinano poi gli atteggiamenti esteriori. | costrutti hanno queste caratteristiche: e Costituiscono delle modalità di percezione, interpretazione e anticipazione dei fatti e dei fenomeni; e Sonodinamici: la nostra esperienza quotidiana implica processi di consolidamento di alcuni aspetti del nostro modo di vedere le cose e la revisione o l'abbandono di altri; e Sono delle astrazioni mentali in base alle quali l'individuo attribuisce significati alle proprie esperienze. Secondo Kelly l'individuo costruisce gli eventi della realtà, nella misura in cui mostra una capacità creativa che gli permette di rappresentarsi l’ambiente, si modificarlo, costruirlo e adattarlo alle proprie esigenze. Kelly propone la metafora dell’ individuo come scienziato: così come questi, nella sua attività di ricerca, mira a definire le sue condizioni di verità, controllo e verifica delle sue ipotesi di partenza, anche l’individuo orienta la propria attività comportamentale e conoscitiva verso forme di previsione e controllo del corso degli eventi che lo coinvolgono. L'individuo allora, come lo scienziato, è in grado di elaborare attivamente teorie e proporre ipotesi confermabili dall’evidenza sperimentale o falsificabili alla luce di nuove esperienze. I teorici del costruttivismo sostengono che l'essere umano costruisce in modo attivo la sua conoscenza. 2.3 Sociocostruttivismo e apprendimento In base alla teoria del socio costruttivismo, l’attività cognitiva dell'essere umano si esprime quasi interamente nel rapporto col mondo esterno, e solo dallo scambio tra l’individuo e il suo ambiente si può crescere e imparare. L'apprendimento dell’individuo è il risultato di due fattori: la