Scarica Riassunto Criminologia e sociologia della devianza di S. Curti e più Sintesi del corso in PDF di Criminologia solo su Docsity! "Criminologia e sociologia della devianza". Capitolo I. "Criminologia e Sociologia: dal crimine alla paura della criminalità e dell'insicurezza". Criminologia e scienze criminali. Le Scienze Criminali sono tutte quelle discipline che hanno come oggetto di studio il crimine, il criminale, la criminalità e la paura della criminalità. In Italia tra le scienze criminali si inseriscono: Diritto Penale, Diritto Penitenziario, Politica Penale, Sociologia del Diritto, Psicologia Giuridica/Giudiziaria e Criminalistica. Ferrando Mantovani inserisce fra le scienze criminali: Criminologia, Politica Criminale, Psichiatria Forense, Diritto Penale Sostanziale e Processuale, Tecnica dell'Investigazione Criminale, Psicologia Giudiziaria. I problemi affrontati dalla Criminologia sono: 1. Definizione di criminalità; 2. Cause della criminalità; 3. Difesa contro la criminalità; 4. Garanzia della libertà individuale. La criminologia, in quanto scienza dell'uomo, studia l'azione umana (individuale e sociale) che trasgredisce le norme giuridiche (crimine-reato) e quelle morali e sociali (devianza). Inoltre la criminologia in quanto scienza umana che studia l'azione e la reazione al crimine, alla criminalità e al criminale intrattiene un rapporto "privilegiato" con quelle che sono le scienze umane per eccellenza: la psicologia e la sociologia. La criminologia dalle scienze criminale riceve informazioni sul piano giuridico-sociale e medico- psichiatrico, e da quelle umane riprende l'utilizzo del metodo e della metodologia di ricerca (sociale). Kenneth D. Bailey distingue metodo e metodologia. Per METODO si intende la tecnica e lo strumento usato per raccogliere dati, la METODOLOGIA indica la filosofia del processo di ricerca, quindi è l'insieme degli standard e dei criteri utilizzati dal ricercatore per interpretare i dati raccolti e per giungere a delle conclusioni. E' la base razionale della ricerca e serve a definire il grado di conferma per accettare o respingere un'ipotesi. Il rapporto tra criminologia e scienze criminali è maggiormente incentrato sulla metodologia di ricerca, mentre quello tra criminologia, psicologia e sociologia concerne sia metodologia che metodo. Non è un caso che sia stata proprio la questione del metodo scientifico (seconda metà dell'800) a determinare la nascita delle tre discipline: Criminologia, Sociologia e Psicologia. Esistono due tipi di metodo: 1.Deduttivo: utilizzato da Beccaria; infatti la criminologia di Beccaria muove da premesse di ordine generale, da una sua visione del mondo e dell'uomo per farne applicazione al reato e alla pena, di cui propone una propria teoria. 2. Induttivo: utilizzato da Lombroso e dalla Scuola Positiva; infatti la criminologia "scientifica" muove dall'analisi del reato come episodio della vita e come fenomeno; ne studia le particolarità espresse nella condotta del colpevole, nelle caratteristiche personali del reo, nell'ambiente in cui viene commesso. Inoltre il metodo induttivo, a differenza di quello deduttivo, procede dal particolare al generale, muove dall'osservazione della realtà per giungere ad affermazioni generali. Il metodo induttivo è alla base del metodo sperimentale poichè è dalla raccolta dei dati e dalla ripetizione dell'osservazione e dell'esperimento nel tempo che la ricerca criminologica è in grado di dimostrare l'attendibilità e la validità dei suoi stessi risultati. Criminologie. Essendo l'oggetto di studio della criminologia molto ampio, e essendo molto ampie anche le conoscenze necessarie per analizzarlo, spiegarlo e comprenderlo, ha portato gli studiosi a formulare delle partizioni all'interno della criminologia stessa. Probabilmente, per questa ragione, oggi si parla di "criminologie" piuttosto che di "criminologia". Vinciguerra e Rossi: distinguono la criminologia in 4 indirizzi: 1. Criminologia speculativa: contiene quella causale (studia le cause del crimine) e quella descrittiva (studia le forme della manifestazione del crimine), tanto la criminologia causale quanto quella descrittiva accolgono, a loro volta, la criminologia applicata o clinica; 2. Criminologia applicata o clinica: all'interno della quale si colloca la criminologia investigativa denominata anche criminalistica (tecniche per scoprire i reati e i loro autori); 3. Criminologia penitenziaria: studia gli effetti criminogeni della detenzione e le relative manifestazioni criminose; 4. Criminologia politica: studia come migliorare il diritto penale. Per Adolfo Ceretti potrebbero essere 3 i vertici di un ipotetico triangolo al cui interno si muove abitualmente e tradizionalmente la criminologia: 1. Teoria: insieme di tutte le costruzioni teoriche; 2. Tecnica: insieme dei procedimenti della scienza criminologica che deriva dal rapporto tra le esperienze del criminologo nei vari contesti (carcere, tribunale) e le teorie sulla criminalità; 3. Clinica: sapere pratico, è molto ambiguo perchè si può descrivere solo in modo parziale. Per Ferrando Mantovani: la criminologia è scienza multidisciplinare, interdisciplinare e sintetica che studia come l'uomo entra in conflitto con la società. Distingue 3 tipi di criminologia: 1. Criminologia Critica: criminologia come scienza autonoma, non solo descrive e spiega la criminalità, ma adotta una posizione "critica" rispetto ai fatti criminosi. Non si studiano solo le cause della criminalità, i programmi di prevenzione e di trattamento, ma la definizione di criminalità, i processi selettivi di criminalizzazione, i meccanismi e le finalità dei controlli sociali. Ha una base scientifica ed ideologica, per questo diventa criminologia critica, radicale e marxista, con finalità politiche ed ideologiche. 2. Criminologia Etiologica: è la criminologia scientifica delle origini positiviste, che racchiude l'antropologica criminale (lo studio della personalità psico-fisica del delinquente e la personalità della vittima (vittimologia), e il rapporto tra le personalità) e la sociologia criminale (analizza la criminalità come fenomeno sociale). 3. Criminologia Clinica: costituisce l'evoluzione naturale della scuola Lombrosiana. Essa consiste nell'applicazione delle conoscenze criminologiche ai casi specifici e ha come obiettivo la diagnosi, la terapia e il trattamento risocializzante del delinquente. La criminologia clinica rappresenta il momento dell'utilizzazione operativa delle conoscenze mediche psichiatriche e psicologiche, relative alla personalità dell'individuo e al suo ambiente micro sociale, per cercare di eliminare le cause individuali del comportamento criminoso. Gianluigi Ponti e Isabella Merzagora utilizzano l'espressione "Criminologia Applicata": insieme degli interventi che mirano, attraverso il sapere criminologico, ad affrontare le varie questioni per le quali il sistema della giustizia necessita delle sue particolari conoscenze. Hermann Mannheim e Sheldon Gluek introducono la "Criminologia Comparata" che ha come obiettivo quello di analizzare uniformità e differenze nelle cause, nelle previsioni e nei risultati dei programmi di prevenzione della criminalità in diversi paesi (criminologia cross-culturale). Ugo Fornari: utilizza la dicitura di "Criminologia Sociologica" per indicare lo studio delle possibili relazioni esistenti tra organizzazione e disorganizzazione sociale e comportamento criminale. Vinciguerra e Rossi: affermano che le discipline che confluiscono nella criminologia sono: la balistica, la genetica, la dattiloscopia, la ragioneria, l'informatica, la medicina legale e la psicologia. Trattano a parte la Visto che criminologia e sociologia ricercano la "causa" del crimine analizziamo che cos'è una causa? Una causa è un fattore che produce certi effetti o comportamenti. Ad esempio Lombroso spiega attraverso le cause biologiche (anomalie fisiche e fisiologiche) la tendenza criminale di alcuni soggetti rispetto ad altri. L'utilizzo di una prevenzione nei confronti di determinati soggetti, può, però, sconfinare nel pregiudizio. La causa deve essere, quindi, qualcosa di assoluto, che comporta certi effetti. Ma il determinismo scientifico non è l'unico approccio esistente e percorribile: la criminologia e la sociologia della devianza potrebbero utilizzare un'altra prospettiva che, più precisamente, studia e analizza i fattori che influenzano i comportamenti in termini di "correlazioni". Le correlazioni sono, invece, relative. Esse non determinano un comportamento, ma limitano il numero delle sue possibilità, indicando la probabilità che tale comportamento si possa verificare in presenza di determinati fattori. Si passa, quindi, dal principio della causalità a quello della probabilità. Criminologia e sociologia della devianza. Sono entrambe discipline accademiche, che presentano molti oggetti di ricerca in comune. Trovano ampia diffusione con il Positivismo sviluppando rispettivamente un approccio bio-antropologico per la criminologia e sociologico per la sociologia della devianza. La criminologia risulta essere una disciplina più antica rispetto alla sociologia della devianza, infatti negli anni '50 gli insegnamenti universitari di criminologia sono: Antropologia criminale, Medicina Criminologica, Psichiatria Forense, Psicopatologia Forense. Tra il 1945-1973 nasce e si sviluppa la Sociologia Critica della Devianza. E', però, proprio nel 1973 che Franco Basaglia, organizza un convegno in Impruneta e fa partire un progetto a Trieste, prima città pilota, fino alla chiusura dei manicomi nel 1978, grazie alla legge 180, comunemente nota come Legge Basaglia. E', però, con la legge n. 341 del 1990 "Riforma degli ordinamenti didattici universitari" che la sociologia della devianza fa il suo ingresso tra le discipline e le materie di insegnamento all'università. Vediamo come le due discipline hanno un legame molto stretto, ma presentano analogie e anche una differenza in particolare. Analogia: entrambe si occupano di prevenzione; Differenza: riguarda la maggior ampiezza del concetto di "Devianza", rispetto a quello di "Criminalità". La devianza oltre ai comportamenti criminali che trasgrediscono leggi penali, riguarda tutti quei comportamenti non conformi alle norme sociali e culturali. Criminologia e sociologia della devianza nell'opinione pubblica. La società italiana considera in prevalenza la criminologia come scienza psicologica e/o giuridica. La popolarità della criminologia nell'opinione pubblica italiana va attribuita alla forte divulgazione mediatica di telefilm e serie televisive o a programmi di approfondimento dedicati al crimine. Il successo della criminologia negli ultimi anni è quasi esclusivamente mediatico. Viene data più importanza all'audience che all'informazione, infatti la sociologia della devianza, non ha uno spazio nè mediatico nè sociale riconosciuto, a differenza della psicologia giudiziaria e investigativa. Non è un caso, infatti, che molto difficilmente intervengono o vengono inviati sociologi della devianza a trasmissioni televisive o pubblicati loro articoli sui giornali. In Francia e Inghilterra la sociologia ha, invece, uno spazio riconosciuto nell'opinione pubblica. Le teorie criminologiche. Il crimine e il criminale tra Settecento e Ottocento. Tra la fine del '700 e quella dell'800 si affermano i primi studi sul crimine e sul criminale. Sono due le scuole principali di indirizzo nello studio della delinquenza. Nella seconda metà del '700, si afferma la SCUOLA CLASSICA, i cui maggiori esponenti sono Cesare Beccaria e Jeremy Bentham. L'oggetto di studio di questa scuola è il crimine, che cos'è e come deve essere punito. Nella seconda metà dell'800, si afferma la SCUOLA POSITIVA, il massimo esponente è Cesare Lombroso. L'oggetto di studio di questa scuola è il criminale, chi è il delinquente e perche delinque. Come si può notare gli obiettivi conosciuti dai due orientamenti sono molto diversi. Questo ha implicato anche il passaggio all'utilizzazione di un diverso metodo scientifico per raggiungerli. La Scuola Classica, non utilizza un vero e proprio metodo scientifico poichè si configura come riflessione giuridico-filosofica sul reato e sulla pena; quella Positiva, al contrario, in pieno clima positivistico, utilizza il metodo dell'osservazione empirica . Per la Scuola Classica, la pena, consiste nella punizione del reato e deve essere retributiva e dissuasiva/ deterrente; per la Scuola Positiva, la pena è punizione del delinquente e non del reato, dal quale la società deve difendersi tramite la prevenzione delle tendenze antisociali. La pena è una misura di difesa sociale contro il possibile o il potenziale delinquente. Secondo la Scuola Classica, il soggetto , sa cos'è bene e cos'è male, ed è responsabile della sua scelta; per la Scuola Positiva, invece, la tendenza criminale del soggetto è legata a predisposizioni congenite e/o patologiche di cui non è responsabile, in quanto acquisite dalla nascita. Enrico Ferri: sostiene che la scuola classica ha posto le basi filosofiche del diritto penale italiano e europeo, mentre la scuola positiva, applicando il metodo sperimentale allo studio del delitto ha sancito la nascita della criminologia come scienza. La criminalità nella prospettiva sociologica. Nella seconda metà dell'800 il modello scientifico positivista interessa tutte le scienze umane, in particolare la sociologia. Oltre il determinismo biologico di matrice Lombrosiana, si evidenzia anche il determinismo statistico-sociologico degli Statistici Morali come Quételet e Guerry, e dei Sociologi come Durkheim e Tarde. Queste due prospettive criminologiche condividono la connessione lineare tra una causa ed un effetto: data la causa A si otterrà l'effetto B. Il determinismo biologico ricerca le cause biologiche, ataviche e patologiche del crimine e dell'essere criminale, quello statistico-sociologico, invece, ricerca le cause sociali, strutturali e funzionali. Con l'approccio sociologico di Durkheim e Tarde, si passa dallo studio del criminale a quello della criminalità. I due sociologi sono i primi a proporre un'analisi sociale del crimine e del criminale. Il delinquente, quindi, non è un animale primitivo, un selvaggio, ma un attore sociale membro della collettività. La criminologia francese di Durkheim e Tarde, a differenza di Beccaria prima, e Lombroso poi, individua le cause sociali della criminalità nella struttura socio-culturale e nella vita urbana. Durkheim tratta, in particolare, dell' anomia, elemento che rappresenta anche il punto di partenza per la ricerca di Robert King Merton sul comportamento deviante della società americana. L'anomia per Durkheim è l'assenza di norme in una società o in un gruppo sociale. La considera proprietà della struttura sociale e culturale e non proprietà degli individui nei confronti della struttura stessa. Per Durkheim le cause dell'anomia sono sociali e risiedono, quindi, nella crisi economica, nell'industrializzazione e nella commercializzazione, tralasciando gli elementi psicologici e soggettivi dell'anomia. Per Durkheim una crisi della struttura sociale provoca anomia e di conseguenza l'anomia conduce alla devianza. L'anomia per Merton è data da una tensione o conflitto, provocato da una mancata integrazione tra la struttura culturale e la struttura sociale, poichè la prima richiede dei comportamenti e degli atteggiamenti che la seconda impedisce. Se la struttura culturale propone alcune mete (ad es. ricchezza economica), ma non offre a tutti gli individui gli stessi mezzi e le stesse possibilità per poterle raggiungere, si avrà un conflitto tra mezzi e fini. Quindi per raggiungere determinati fini sarà necessario modificare o sostituire i mezzi, e quindi avranno luogo i modi di adattamento individuale non conforme. Per Merton, quindi, l'anomia conduce alla devianza non perchè essa stessa è la mancanza di norme, ma perchè è un vero e proprio conflitto tra mezzi e fini. La teoria di Merton viene rivisitata negli anni Sessanta. Con la "Ricerca sulle bande giovanili" di Cloward e Ohilin (pubblicata in Italia nel 1968), viene introdotta la teoria delle opportunità differenziali. Consiste nel fatto che le opportunità di successo e di affermazione sociale sono distribuite diversamente, secondo la classe di appartenenza: ci sono vere e proprie limitazioni per le classi più povere e disagiate, dove soggetti consapevoli di non potersi affermare socialmente attraverso un comportamento conforme alla legge, si aggregano in bande che possono essere criminali, conflittuali o astensioniste. Questa ricerca del '68, insieme a quella di Cohen, "Ragazzi Delinquenti" (1955), è una vera e propria modifica e ampliamento della teoria dell'anomia di Merton. Tarde, nella sua critica al delinquente-nato di Lombroso e alla Scuola Positiva, aveva introdotto il tema del "come si diventa criminali". Dopo aver lucidamente esposto nel suo testo "Il tipo criminale", la tesi del crimine come professione, studiando "la sociologia del criminale" ovvero il criminale come "membro di una società particolare che ha i propri costumi, le proprie consuetudini e il proprio idioma", individua i processi di "entrata in società criminale molto simili a quelli della società civile. Tarde si chiedeva, ad esempio, "come si diventa camorristi" e rispondeva che si diventa camorristi nello stesso modo in cui si diventa membri di un circolo o di una associazione civile, attraverso una elezione, seguita da uno stage, dove il nuovo compagno è l'umile servitore, pagato meno di un altro socio. Dagli anni '30 agli anni '50, con la Scuola di Chicago, e in particolare con la Teoria dell'associazione differenziale di Sutherland e con la Teoria dell'etichettamento e/o della Reazione Sociale di Becker e McCarthy Lemert, l'attenzione sociologica si sposta dal crimine e dal criminale, alla criminalità (che cos'è la criminalità? Come di diventa criminali?). Non cambiano solo gli obiettivi della ricerca ma anche il metodo e la metodologia. La Scuola di Chicago usa metodi qualitativi e quantitativi, utilizza sia dati ufficiali (statistiche su criminalità, popolazione, abitazioni) per cogliere il cambiamento sociale della città di Chicago, sia le storie di vita e case study dei percorsi criminali (come si diventa spacciatori, vagabondi ecc.). Con l'utilizzo dell'approccio etnografico, i sociologi osservano i soggetti nel loro ambiente naturale e nella loro vita quotidiana. I sociologi vivono con i soggetti. La città di Chicago viene suddivisa in cerchi concentrici con l'obiettivo di studiare la criminalità urbana e analizzare i problemi sociali (alcolismo, povertà, salute mentale). Viene valutato il tasso di delinquenza che si calcola attraverso il rapporto tra il numero di autori dei reati in un'area urbana e quello della popolazione totale residente in quell'area urbana). Il tasso di delinquenza è strettamente connesso alla struttura sociale, cioè al grado di integrazione sociale. Questo tasso diminuisce man mano che si ci sposta verso i cerchi più esterni, poichè ha a che fare con l'allentamento delle relazioni primarie. Quando mancano famiglia, vicinato e comunità subentra la disorganizzazione sociale. Per esempio: la delinquenza minorile non è un problema del soggetto, ma del gruppo: al posto della famiglia, scuola, chiesa, è la banda delle strade di Chicago che forma/deforma la personalità dell'adolescente. 1) Teoria dell'associazione differenziale di Sutherland. Il comportamento criminale non si apprende per imitazione, ma per "associazione interpersonale", con soggetti che già trasgrediscono le leggi, il comportamento criminale si apprende entrando in contatto con soggetti appartenenti a gruppi che sono organizzati in base a valori antinormativi o in contrasto con altri gruppi della società. Associazione significa quindi partecipazione a gruppi sociali differenti da altri per la loro inosservanza delle leggi. Esiste un processo "differenziale" con il quale il soggetto apprende il comportamento. Tale processo viene sintetizzato così da Sutherland: a) il comportamento criminale è un comportamento appreso; criminale" e "della criminalità", che molto spesso coincide anche con la "la paura dello straniero e dell'immigrazione". Tutte le società rivendicano più sicurezza (sociale, economica e urbana). La globalizzazione ha comportato un vero e proprio cambiamento di prospettiva nella costruzione gnoseologica: le teorie soggetto-centrinche della criminalità, lasciano il posto alle teorie senza-soggetto della criminalità contemporanea, incentrata su sicurezza, paura e rischio. La ricerca criminologica del Duemila si divide in 2 filoni: 1) quella che si occupa di studiare il soggetto criminale, l'atto criminale, le condizioni in cui è stato commesso il reato o che hanno portato a commetterlo; 2) quello che analizza il sentimento di paura e di insicurezza generale della popolazione. Uno dei temi più affrontati è quindi quello dell'ordine sociale. Capitolo II "Il crimine e la scuola classica". Cesare Beccaria. Dei delitti e delle pene. Cesare Beccaria (1738-1794) fa parte degli Illuministi di Milano riuniti intorno all' "Accademia dei Pugni" e al "Caffè". Il capo degli Illuministi è Pietro Verri, elementi di spicco sono il fratello Alessandro Verri e Cesare Beccaria. Quest'ultimo pubblica nel 1764 "Dei delitti e delle pene", in forma anonima a Livorno, decretando il successo del gruppo in Italia, ma soprattutto in Francia. Mentre in Italia ci sono dure critiche all'opera, in particolare padre Fernando Facchinei, e nel 1766 viene messa all'indice dei libri proibiti, in Francia sono entusiasti e Beccaria viene invitato anche da Caterina II a Pietroburgo. C'è un atteggiamento roussoniano in Beccaria, il successo dell'opera va di pari passo con il successo personale, con vantaggi e invidie. Beccaria soggiorna poco a Parigi (dove è considerato un mito) ma ritorna a Milano. Morellet, il suo traduttore francese, voleva trasformare il libro in un traité di diritto e legislazione penale, ma Beccaria non volle, in quanto lo considerava come un qualcosa che si adattava alla società umana in divenire. Beccaria con la sua opera segna il passaggio da un concetto di giustizia inteso come espiazione del peccato (giustizia divina e giustizia naturale) al concetto di giustizia inteso come prevenzione ed educazione morale (giustizia umana o politica). Per Beccaria il fine supremo della società è la felicità, ed è proprio la giustizia a dover garantire tale sentimento con la prevenzione e l'educazione morale, non certo con la punizione, la tortura o la pena di morte. Certezza del diritto. All'interno del testo "Dei delitti e delle pene" ci troviamo di fronte ad alcuni elementi giuridici e filosofici che, se in passato hanno posto le basi per la così detta Scuola Classica, ancora oggi si ritrovano nella maggior parte delle teorie criminologiche. Questi elementi sono: certezza del diritto, proporzione tra delitto e pena, prevenzione e punizione dei delitti, tortura e pena di morte. Secondo Beccaria vi è un teorema generale molto utile a calcolare la certezza di un fatto, ad esempio per valutare la certezza di un reato elementi indispensabili risultano essere gli indizi (prove). Ecco perchè Beccaria parla di "forza degli indizi di un reato". Beccaria parla di prove in materia di delitti, poichè per meritare una pena devono essere certi. Le prove possono essere: 1) Prove di un fatto dipendenti una dall'altra: in questo caso le prove di fatto sono dipendenti l'una dall'altra, cioè quando gli indizi non si provano che tra di loro, più prove si adducono tanto è minore la probabilità del fatto, poichè se non esistono le prove antecedenti non esistono nemmeno le susseguenti. 2) Prove di un fatto dipendenti da una sola: in questo caso le prove di fatto dipendono egualmente da una sola, il numero delle prove non aumenta o sminuisce la probabilità del fatto, perchè tutto il loro valore si risolve nella sola prova da cui dipendono. 3) Prove indipendenti l'una dall'altra: in questo caso le prove sono indipendenti l'una dall'altra, cioè gli indizi si provano singolarmente. Più prove si hanno, più cresce la probabilità del fatto, perchè una prova è fallace (eventualmente) solo per stessa. Le prove di un reato possono essere: perfette e imperfette. 1) Prove perfette: sono quelle che escludono la possibilità che un tale non sia un reo. Una sola prova è sufficiente per la condanna. 2) Prove imperfette: sono quelle che non escludono la possibilità che un tale non sia un reo. Tante di esse sono necessarie per formare una prova perfetta. Qualora il reo non trovi una giustificazione, la prova imperfetta diventa perfetta. I delitti. Beccaria vede i delitti come "danno della società" e li distingue in 3 tipologie: 1) quelli che distruggono immediatamente la società o chi la rappresenta; 2) quelli che offendono la privata sicurezza di un cittadino nella vita, nei beni, nell'onore; 3) quelli che si configurano come azioni contrarie a ciò che ciascuno è obbligato dalle leggi a fare, o non fare, in vista del bene pubblico. Ma quali saranno le pene convenienti per questi delitti? Partiamo dal presupposto che per Beccaria è meglio prevenire che punire i delitti. Per prevenirli è necessario che le leggi siano chiare e semplici, che la nazione si impegni per difenderle, che siano ricompensate le virtù e che si perfezioni l'educazione. Una domanda fondamentale che si pone Beccaria è questa: "pena di morte e tortura sono veramente utili e necessarie?". La risposta a questa domanda è assolutamente negativa, in quanto per Beccaria tortura e pena di morte non sono considerate diritti poichè basate sulla forza. Per quanto riguarda la tortura, vediamo come nei confronti di questo tipo di pena l'innocente è posto in peggiore condizione rispetto al reo; poichè, se ambedue sono applicati al tormento, il primo ha tutte le combinazioni contrarie poichè o confessa il delitto, ed è condannato, o è dichirato innocente, ed ha sofferto una pena indebita; ma il reo ha un caso favorevole per sè, cioè quando, resistendo alla tortura con fermezza, deve essere assolto come innocente; ha cambiato, quindi, una pena maggiore con una minore. Dunque l'innocente non può che perdere e il colpevole non può che guadagnare. Per quando riguarda la pena di morte, questa non è nè utile nè necessaria poichè viola il contratto sociale. Inoltre la pena di morte viene vista da Beccaria come un "non-diritto" e non è nient'altro che una guerra della nazione con un cittadino, perchè giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Un altro motivo che porta Beccaria a sostenere che la pena di morte e la tortura non siano necessarie è il fatto che, per l'autore stesso, è assurdo che le leggi, che sono l'espressione della volontà pubblica, detestano e puniscono l'omicidio se poi sono esse stesse a commetterlo nei confronti del colpevole. Vi sono, però, situazioni in cui la pena di morte è da credersi utile, ad esempio: in caso di pericolo per la libertà della nazione e nei periodi guerra civile e di anarchia, oppure quando un soggetto minaccia la sicurezza e la stabilità del governo o quando in una situazione di normalità, tale pena costituisca "l'unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti". Jeremy Bentham. Delle pene e delle ricompense. Jeremy Bentham (1748-1832) studia il pensiero di Montesquieu a Oxford al Queen's Collage, mentre approfondisce quello di Voltaire, Helvetius e Chastellux al Lincoln's Inn. La traduzione di "Dei delitti e delle pene" di Beccaria lo colpisce profondamente, e infatti egli tenta di istituire una nuova scienza della morale basata su una legislazione scientifica e razionale. Il concetto chiave dei suoi lavori è l'utilità, che si raggiunge solo con calcoli e misurazioni dei comportamenti sociali e individuali, e con il calcolo e la misurazione della ricerca del piacere e dell'allontanamento della pena. Bentham studia in particolar modo la misurazione di due elementi: 1) la proporzione tra delitti e pene; 2) l'utilità della pena e della ricompensa; entrambi in relazione alla prevenzione particolare (del singolo) o generale (dell'intera comunità). Prevenzione per Bentham vuol dire prevedere delle azioni che impediscano la reiterazione del delitto. Come già si è detto prima, Bentham rispetto agli altri filosofi, prende in considerazione, oltre che la proporzione tra delitti e pene, anche quella tra pene e ricompense; da qui la formulazione di un precetto: "obbedisci e riceverai una ricompensa. Disobbedisci e subirai una certa pena". Della pena e del punire. Per Bentham "punire" significa infliggere un male ad un individuo, con l'intenzione diretta a produrlo, a causa di un atto che appare aver fatto o omesso. La volontà è DIRETTA nel causare il male: 1) Se non vi è stata alcuna azione reale o motivo per il male inflitto. In questo caso l'azione è di mera ostilità e cattiveria; 2) Se vi è stata una azione reale o presunta offensiva e il male è inflitto con piacere, allora si parla di un'azione di vendetta; 3) Se si ha qualche caratteristica che non piace, l'azione è di mera antipatia. La volontà è INDIRETTA nel causare il male: il male non è lo scopo, come nella volontà diretta, ma solamente la modalità. 1) Il male che viene fatto ha per unico obiettivo la limitazione dell'esercizio delle facoltà in rapporto ad azioni temute. Si tratta di un atto di prevenzione. 2) Il male ha lo scopo di indurre a fare certe azioni che altrimenti non sarebbero fatte. Si tratta di un atto di intimidazione. Dello scopo e della pena. Bentham afferma che nel momento in cui si verifica un'azione dannosa, lo scopo del legislatore deve essere quello di evitare il ripetersi di tale comportamento e cercare di ridurre per quanto possibile il danno arrecato. Si parla, quindi, di prevenzione particolare (tratta il singolo delinquente) o prevenzione generale (vale per tutti i membri della comunità). Ogni individuo si regola, anche a sua insaputa, sulla base di un calcolo, bene o male, dei dolori e dei piaceri. Quando il valore totale della pena gli appare più grande del valore totale del piacere, la forza dissuasiva prevarrà e l'azione non verrà in essere. Dato un determinato delinquente (prevenzione particolare), esistono tre modi per prevenire la reiterazione del delitto: 1) Privazione della modalità fisica di poter commettere il delitto. L'uomo è incapace di commettere il delitto. In questo caso c'è un'incapacità fisica. 2) Facendo venir meno in lui il desiderio. L'uomo non vuole più commettere il delitto. In questo caso si parla di conversione morale. 3) Togliendo in lui la capacità di osarla. Il soggetto può ancora voler commettere il delitto ma non osa. Si parla in questo caso di intimidazione. La prevenzione generale avviene tramite la comunicazione e la concreta applicazione della pena, che deve servire come esempio. Dopo aver provveduto alla prevenzione di futuri delitti, il Magistrato ha il compito di riparare nei limiti del possibile il delitto compiuto, accordando alla parte lesa una soddisfazione. Proporzione tra delitto e pena. Stabilire una proporzione tra i delitti e le pene è un precetto di Montesquieu, Beccaria e numerosi altri. Non se ne è fatto niente sin quando non si è spiegato in che cosa consiste questa proporzione e su quali regole Lettera VI "Vantaggi del progetto". "Mi vanto del nel pensare che non ci sono più dubbi sui vantaggi fondamentali che ho attribuito al progetto: cioè l'apparente onnipresenza dell'ispettore (...). Un vantaggio fondamentale nei confronti dell'economia, consiste nel numero di ispettori richiesti (...). Questo piano permette di far sorvegliare a una sola persona un numero così grande di individui che mai fino ad ora avevano alloggiato sotto un unico tetto (...). Nelle altre prigioni durante la visita di un commissario, per quanto inaspettata e celere negli spostamenti , c'è sempre tempo per dissimulare lo stato reale delle cose. Di 900 celle, egli deve visitarle una per una. Nel frattempo si possono mettere in ordine celle che hanno l'aspetto più sordido, minacciare o istruire i suoi occupanti perchè lo ricevano come si deve. Mentre con il nostro progetto, appena il magistrato è annunciato l'intera scena si dispiega immediatamente davanti ai suoi occhi". Il progetto di Bentham è diverso da quello di Beccaria, non tende alla rieducazione ma è tutto orientato a principi quasi esclusivamente economici e utilitaristici della pena e della ricompensa. Abbiamo detto precedentemente che esistono delle prigioni che sono state costruite secondo il modello del Panopticon. Riportiamo, qui, due esempi: il Carcere di Santo Stefano a Ventotene e il Penitenziario di Filadelfia. 1) Carcere di Santo Stefano a Ventotene (1795) -> presenta una struttura molto vicina al Panopticon di Bentham. Realizzato e aperto il 26 settembre del 1795. Costruito da Ferdinando IV di Borbone su commissione dell'architetto Carpi. (non ci sono documentazioni sul fatto che Carpi conoscesse Bentham). Questo carcere come quello del Panopticon è circolare con al centro una torre. Questo carcere è stato anche il luogo di prigionia di Sandro Pertini (1930). (Carcere di Santo Stefano) 2) Penitenziario di Filadelfia (1829) -> si trova in America, ed è rimasto aperto dal 1829 al 1971. E' stato progettato da John Haviland. Il penitenziario di Filadelfia contava 1622 condannati (800 di Filadelfia e il restante di altri stati). La filosofia ispiratrice era quella dell'isolamento. Ogni detenuto accedeva a un piccolo cortile circondato da mura senza mai incontrare i compagni di reclusione. L'assenza dei contatti era un aspetto della pena ma aveva soprattutto il fine di evitare che il carcere diventasse una scuola di criminalità. Secondo Lombroso, invece, l'isolamento cellulare era all'origine della follia e del suicidio tra detenuti e quindi impediva una buona riuscita del processo di rieducazione. (Penitenziario di Filadelfia) Capitolo III "Il crimine e il criminale nel positivismo". Origini della ricerca scientifica sul crimine. Adolphe Quètelet. La statistica morale e il delitto come fenomeno sociale. Alla fine dell'Ottocento, gli statistici morali, tra i quali rientra anche Adolphe Quètelet (1796-1874), utilizzano la matematica e la statistica come strumenti per analizzare i comportamenti umani. Per Quètelet i comportamenti sono influenzati da fattori sociali ed esterni all'individuo. Esiste, per lui, un rapporto intrinseco tra crimine e ambiente sociale. Lo sviluppo delle zone urbane e del proletariato inducono studiosi come Quètelet ad analizzare il rapporto tra criminalità e patologie sociali: questo rapporto è l'oggetto di studio della statistica morale di Quètelet. Se la fisica sociale è la scienza che studia le informazioni statistiche di una popolazione, la statistica morale è lo studio quantitativo delle caratteristiche non solo fisiche, ma anche morali e intellettuali, del soggetto o "uomo-medio". L'attenzione non si pone sull'individualità del soggetto, ma sulla generalità (quanto più grande è il numero degli individui che si osservano, tanto più le particolarità individuali, sia fisiche, sia morali, sia intellettuali, scompaiono e lasciano predominare la serie di fatti generali in virtù dei quali la società esiste e si conserva). Non sono solo i delitti a riprodursi in maniera costante, ma anche i mezzi utilizzati per commetterli. Egli parla di "penchant au crime" (tendenza al crimine) e delle possibilità di prevedere il crimine poichè non dipende dal volere dei singoli soggetti, ma da quello della società. La responsabilità del crimine è della società, che in qualche maniera prepara il crimine stesso. E' necessario migliorare gli uomini, modificando le loro istituzioni, le loro abitudini e ciò che influisce sul loro modo di essere per diminuire il crimine. In questi anni T. Burke, affronta nel suo lavoro "History of Civilisation in England" idee sui fenomeni statistici. Analizzando i delitti ci si rende conto che l'unico delitto dipendente dalla volontà dell'uomo è il suicidio. Tentativi di assassinio e di furto possono essere, e costantemente sono, respinti con successo, talvolta sventati dalla persona attaccata, tal altra dagli ufficiali della giustizia. Ma un tentativo di suicidio è molto meno soggetto ad essere interrotto. I delitti degli uomini non tanto sono il risultato dei vizi del delinquente individuale, quanto della condizione sociale nella quale l'individuo è gettato. Origini della ricerca scientifica sul criminale: l'antropologia criminale e la scuola positiva. Cesare Lombroso e l'uomo delinquente. Cesare Lombroso (1835-1909) può essere considerato il fondatore dell'Antropologia criminale e della Scuola positiva. Lombroso procede, come si può notare nel capitolo "Craniometria dei delinquenti. Anomalie craniche", da una differenza congenita tra i soggetti criminali o potenzialmente tali e soggetti normali. Si parla, infatti, di determinismo biologico, costituito da due tesi. Le sue tesi riguardano: 1) il delinquente nato (criminali che hanno una predisposizione congenita ed ereditaria dovuta ad anomalie presenti dalla nascita); 2) l'atavismo e la pazzia morale (il delinquente presenta una regressione o fissazione a livelli primitivi e pre-umani di sviluppo, per questo è simile al primitivo e al selvaggio). Lombroso studia il delinquente misurando e classificando i caratteri anatomici, biologici e psicologici del delinquente (caratteri atavici), le anomalie, le deformazioni craniche, la fisionomia, ecc... la ricerca si sposta, quindi, sullo studio antropologico del criminale, utilizzando il metodo induttivo e gettando le basi della criminologia come scienza empirica. Secondo Lombroso, la circonferenza cranica nei criminali è pari o di poco superiore ai normali. La forma generale del cranio dei criminali studiata da Roncoroni e Caprara appartiene meno frequentemente all'elissoide, che si trova in più della metà dei normali: mentre vi sono più frequenti quelle varietà che nei normali si riscontrano raramente (sferoide, romboide, sfenoide). La faccia è più grande nei criminali grazie alla maggiore altezza, sporgenza e divaricazione degli zigomi e non di rado al prognatismo. La faccia è anche più lunga e la mandibola superiore di peso, larghezza, lunghezza e robustezza. Lombroso stila insieme ai suoi discepoli una tabella riguardo le anomalie craniche riscontrate in 452 crani criminali. Fa un confronto tra le persone normali, i delinquenti donne e i delinquenti uomini. Tra le anomali riportate nella tabella sono importantissime: 1) La fossetta occipitale mediana (si trova con frequenza maggiore nei criminali) -> è stata notata per la prima volta da Lombroso in un ladro (tale Vilella); 2) I seni frontali sporgenti (si trovano nei criminali con una frequenza quasi doppia che nei normali) -> è un carattere animalesco; 3) La linea semicircolare della tempia (è più accentuata nei criminali). -Comparando le cifre trovate negli uomini con quelle delle donne si vede subito come queste possiedono un numero di anomalie molto minore dei maschi. Tuttavia se si paragonano le donne delinquenti alle donne normali si vede che le delinquenti femmine si avvicinano di più ai maschi, sia normali che criminali, che non alle femmine normali. -Comprando queste anomalie con quelle offerte dai pazzi, troviamo molte analogie. Enrico Ferri e la Sociologia Criminale. Enrico Ferri (1856-1929) pubblica ben 5 edizioni della sua opera "Sociologia Criminale" che nelle prime due prende il nome di "i nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale" poi di "Sociologia Criminale". Intende come sociologia criminale "quella scienza dei delitti e delle pene rinnovata dal metodo sperimentale e basata sui dati scientifici dell'antropologia e della statistica criminale". Per Ferri la scuola positiva è l'applicazione del metodo sperimentale allo studio dei delitti e delle pene, e quindi non vi è solo l'antropologia criminale, ma anche la statistica, la psicologia e la sociologia; rappresenta veramente una nuova fase dell'evoluzione della scienza criminale. La Scuola Positiva e la Sociologia Criminale. La scuola criminale positiva, non consiste soltanto, come ancora a molti critici fa comodo il mostrare di credere, nello studio antropologico dell'uomo delinquente, ma è invece tutta una radicale innovazione di metodo scientifico nello studio della patologia sociale criminosa e dei suoi più efficaci rimedi sociali e giuridici. I fattori antropologici, fisici, sociali del delitto. Per la Scuola Positiva, i fattori antropologici sono il coefficiente primo del reato. I fattori antropologici del delitto si suddividono in tre sottoclassi: 1) Costituzione organica del delinquente: appartengono tutte le anomalie organiche, del cranio e del cervello, dei visceri, della sensibilità e dell'attività riflessa e tutti i caratteri somatici in genere, come le specialità della fisionomia e del tatuaggio. (come negli studi di Lombroso). 2) Costituzione psichica del delinquente: appartengono tutte le anormalità dell'intelligenza e dei sentimenti, massime del senso sociale, e tutte le specialità della letteratura e del gergo criminale; massima importanza della tempra morale, propria ai delinquenti. 3) Caratteri personali dei delinquenti: oltre razza, età, sesso, devono essere valutate le condizioni biologico- sociali, quali stato civile, professione, domicilio, classe sociale, istruzione ed educazione. Esistono poi fattori fisici del reato, sono molto efficaci nella diversa manifestazione dei delitti, ovvero tutte le cause, appartenenti all'ambiente fisico, quali il clima, la natura del suolo, la vicenda diurna e notturna, le stagioni, la temperatura annuale, le condizioni meteoriche, la produzione agricola. I fattori sociali del delitto risultanti dall'ambiente sociali dove vive il delinquente sono invece: la densità di popolazione, lo stato dell'opinione pubblica, dei costumi e della religione; la costituzione della famiglia ed il regime educativo, la produzione industriale, l'alcolismo, l'assetto economico e politico, la pubblica amministrazione, la giustizia e la polizia giudiziaria, orientamento legislativo penale e civile. La classificazione dei delinquenti. Nel 1880, vengono individuate 5 categorie di delinquenti: 1) Delinquenti pazzi: sono i pazzi morali, affetti da una forma di frenopatia (malattia mentale). Si parla di infermità mentale che consiste nella mancanza od atrofia del senso morale o senso sociale del lecito o dell'illecito. Spesso è congenita ma talvolta è acquisita, insieme ad un'apparente integrità del raziocinio logico, e presenta la condizione psicologica fondamentale del delinquente nato. 2) Delinquenti nati: sono quelli in cui si nota in maniera più spiccata i caratteri rilevanti dell'antropologia criminale. Si parla di uomini brutali, o selvaggi, o furbi, o oziosi, che non fanno alcuna distinzione fra il lecito e l'illecito: per loro la galera è la pensione con vitto e alloggio e il lavoro onesto è considerato una fonte di pericolo (ad esempio cadere da un'impalcatura per un muratore). C'è una costante gara fra loro e i giudici, fra delitti ripetuti e pene non temute, poichè insieme ai delinquenti abituali costituiscono, nei due tipi In termini di politica criminale, Lombroso riprende i risultati di Ferri e Garofalo, ovvero la questione dei "sostitutivi penali" e quella del "sistema razionale di penalità". I sostitutivi penali sono spiegati da Ferri attraverso un parallelo con l'economia. Ferri e i sostitutivi penali. Se in economia, in mancanza della materia prima si utilizzano i succedanei (sostitutivi), anche nel campo criminale, dal momento in cui le pene non riescono a fungere da difesa sociale in modo completo, è necessario fare ricorso ad altri provvedimenti in grado di soddisfare un bisogno di ordine sociale: i sostitutivi penali. A differenza dell'utilizzo che se ne fa nell'economia, per quanto riguarda il campo criminale i sostitutivi penali devono diventare i principali mezzi per preservare la società dalla criminalità. I sostitutivi penali sono mezzi preventivi applicabili grazie a conoscenze psicologiche e sociologiche. Bisogna modificare i fattori sociali per modificare il tasso di criminalità e non il contrario. Il sistema razionale di penalità previsto da Garofalo, al contrario di quello di Ferri, indica per ogni tipologia di delinquente i mezzi repressivi da adottare: - grandi malfattori (assassini): pena di morte, - delinquenti impulsivi ego-altruisti o altruisti: esilio, relegazione, periodo di osservazione; - speciali atti crudeli, sevizie fisiche o morali: manicomio, relegazione; - fanciulli sanguinari: manicomio, segregazione illimitata, deportazione con abbandono; - ladri, frodatori e falsari: deportazione; - delinquenti novizi: mezzi repressivi adatti ai vari casi; - eccezionalità: delitti per i quali dovrebbero conservarsi eccezionalmente le pene carcerarie. Lombroso ne "L'uomo delinquente" individua quattro misure di difesa sociale: 1) Eliminazione assoluta del delinquente: pena di morte; 2) Eliminazione relativa del delinquente: manicomio criminale, deportazione con abbandono, relegazione perpetua, relegazione a tempo indeterminato, colonie agricole ed esilio locale; 3) Riparazione del danno: multa allo Stato, indennità al danneggiato; 4) Carcere (a tempo indeterminato): in reati eccezionali (falsi o ribellione) in sostituzione alla riparazione del danno, del lavoro obbligatorio. Filippo Turati, Napoleone Colajanni e Gabriel Tarde. (scheda). La critica alla Scuola Positiva si afferma subito dopo i primi Congressi di Antropologia criminale, soprattutto in Italia (con Turati e Colajanni) e in Francia (con Tarde). Turati, Colajanni e Tarde criticano "l'uomo delinquente" e la Scuola positiva. Propongono un approccio sociologico allo studio del crimine e del criminale, rispetto a quello strettamente bio-antropologico di stampo lombrosiano. Le cause del crimine non sono ereditarie, ma ambientali. Mentre Turati critica la questione del delinquente nato, Colajanni si sofferma sulle carenze metodologiche dell'antropologia. Entrambi sono socialisti come i positivisti. Mentre Turati e Colajanni sono fortemente contrario al libero arbitrio (prime sostanziali affermazioni sul determinismo sociologico), i Francesi (Tarde in particolare) tentano di mediare fra Scuola Classica e Scuola Positiva, senza ricorrere alla negazione del libero arbitrio. Capitolo IV. "La criminalità e la ricerca sociologica". Emile Durkheim. Il reato come fenomeno "normale" e "utile" alla società. Sono tre, in sostanza, i punti ai quali è riconducibile il concetto durkheimiano del "reato come fenomeno normale e utile alla società". 1) Non esiste una società senza criminalità, 2) In ogni società esiste una determinata forma di criminalità, 3) Ogni forma di criminalità muta e fa mutare la società. Per Durkheim il reato è necessario poichè è connaturato alla società stessa; esso produce e riproduce il cambiamento sociale della morale e del diritto. Durkheim non considera il reato come una malattia da curare con pena, in quanto il reato non è patologico ma normale . Che il reato sia un fenomeno normale significa, per Durkheim, che esso presenta dei caratteri generali: ciò che è normale è generale nel senso che quel fenomeno preso in considerazione non si discosta da alcuni tratti o criteri generali che ne definiscono, appunto, la sua normalità. In altri termini, per Durkheim, il reato è un fenomeno normale perchè in ogni società esso è un comportamento che ha le caratteristiche generali a cui si riferisce. Il reato può assumere anche una funzione di utilità in quanto anticipazione della morale futura (es. Socrate considerato criminale per la sua libertà di pensiero). Tarde contesta Durkheim, in quanto afferma che il reato non è un fatto normale poichè è un comportamento contrario alla società e concerne tutto ciò che rende qualcuno o qualcosa incapace di stringere legami sociali. E' normale, per Tarde, la coppia reato-pena in ogni società. Il reato si riscontra in tutte le società di tutti i tipi: non c'è società in cui non esista qualche tipo di criminalità; per questo il reato viene definito normale. Normale è semplicemente il fatto che esista una criminalità. Il primo luogo, il reato è normale perchè la società che ne fosse esente sarebbe assolutamente impossibile. (Dal fatto che il reato è un fenomeno di sociologia normale non consegue che il criminale sia un individuo normalmente costituito dal punto di vista biologico e psicologico, le due questioni sono indipendenti). Il reato consiste in un atto che offende certi sentimenti collettivi, di conseguenza, affinchè non esista devono venire meno questi determinati sentimenti. Il reato è dunque necessario, esso è vincolato alle condizioni fondamentali di ogni tipo di vita sociale, ma proprio per questo motivo è utile; infatti le condizioni a cui è legato sono indispensabili all'evoluzione normale della morale e del diritto; spesso, infatti, il reato non è altro che un'anticipazione della morale futura, il primo passo verso ciò che sarà. Tornando all'esempio di Socrate, la libertà di pensiero della quale godiamo oggi non avrebbe mai potuto venir proclamata se le regole che la vietavano non fossero state violate prima di venire solamente abrogate. Contrariamente alle idee correnti, il criminale non appare più come un essere radicalmente non socievole, una specie di elemento parassita della società; egli è invece un agente regolare della vita sociale. Nello stesso tempo e di rimbalzo, la teoria della pena risulta rinnovata, o piuttosto da rinnovare. Infatti, se il reato è una malattia, la pena è il suo rimedio, ma se il reato non ha nulla di morboso, la pena non può avere come scopo la sua guarigione, e dobbiamo cercare altrove la sua vera funzione. Gabriel Tarde e la criminalità professionale. All'interno del suo testo "Il tipo criminale", Tarde critica la teoria dell'atavismo e del delinquente-nato di Lombroso. Al posto di quest'ultima, basata come è noto sul tipo antropologico del criminale, Tarde propone quella del tipo professionale. Per Tarde il comportamento criminale è connesso non tanto a caratteristiche fisiche oppure a istinti innati (critica Lombroso), bensì al contesto e ai processi sociali. Anche per Tarde, il comportamento criminale varia al variare del tempo e dello spazio sociale. In effetti, con Tarde così come con Durkheim, nonostante le fondamentali differenze di approccio esistenti tra i due, senza dubbio si affermano i prodromi della sociologia criminale. Una nuova domanda di ricerca esplicitata da Tarde è: "Come si diventa criminali?". Si diventa criminali o camorristi nello stesso modo in cui si diventa membri di un certo tipo di gruppo sociale. Tarde non nega la componente antropologica e biologica, ma non li considera un regresso come faceva Lombroso, ma una derivazione dei processi di socializzazione e imitazione. L'asse della criminalità si sposta dal biologico al sociologico, dal regresso al progresso, dal primitivo all'evolutivo, dall'incivile al civile. Tarde spiega come i crimini e i reati si evolvano con la società, cambiano da epoca ad epoca e da contesto a contesto. Anomia e devianza. Durkheim introduce il termine "anomia" e con sè tre concetti della sua originale costellazione: 1) Coscienza collettiva, 2) Solidarietà meccanica, 3) Solidarietà organica. Lewis A. Coser afferma che il concetto di coscienza collettiva di Durkheim non è altro che una variante del concetto di consensum di Comte. Per Durkheim è "l'insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa società". Durkheim ha una visione non conflittuale e non contrattuale della società. Non la lotta e il contratto, bensì le regole costituiscono il fondamento della società. Norme e valori sociali regolano e orientano il comportamento umano. Il rapporto con le norme e i valori, coincide con il mantenimento dell'ordine sociale. Nè "La divisione del lavoro" Durkheim precisa che passando dalla società tradizionale alla società industriale si è compiuto il passaggio anche dalla solidarietà meccanica a quella organica. Si tratta di due tipi di solidarietà differenti, il cui fulcro centrale è rappresentato da cambiamenti sociali introdotti dalla divisione del lavoro industriale. La solidarietà meccanica della società tradizionale definisce gli individui simili tra loro e tenuti insieme dalla condivisione di norme e valori sociali. La solidarietà organica nomina individui che svolgono funzioni molto diverse tra loro, ma che, lavorando per raggiungere gli stessi obiettivi, hanno bisogno soprattutto gli uni degli altri. Le funzioni svolte dalle varie parti sono indispensabili al funzionamento del tutto. Ma che cos'è per Durkheim l'ANOMIA? Alcuni modi di agire ripetitivi diventano abitudini, e da abitudini diventano regole. Se intervengono dei cambiamenti (es. crisi economica) e le regole non riescono più a fare da riferimento per l'azione sociale, si può avere uno stato di anomia. L'anomia nomina la presenza di un'assenza. La mancanza di regole per orientarsi in una nuova situazione. Se le parti sono in contatto non si ha anomia, perchè le relazioni si cristallizzano spontaneamente in regole. Per Durkheim la società è un potere che regola gli individui. Egli evidenzia un rapporto tra l'azione regolatrice della società e il tasso di suicidi. Ciò che fa aumentare i suicidi durante la crisi economica non è la povertà, ma il cambiamento sociale, una crisi; si ha una vera e propria perturbazione dell'ordine sociale perchè la vita si è disumanizzata. Affermare il contrario, ovvero sostenere che la causa dell'aumento dei suicidi risieda nella crisi economica "tout court" significherebbe poter registrare nella società che in caso di prosperità economica il numero stesso dei suicidi diminuisca. Ma non è così. Durkheim individua 3 tipi di suicidi: 1) Egoistico, 2) Anomico, 3) Altruistico. Tutti e tre collegati al grado di integrazione sociale del soggetto. Merton, proprio sulla scia dello strutturalfunzionalismo alla Durkheim, analizza il modo in cui la società può condurre un soggetto ad assumere un comportamento conforme oppure non conforme alle norme istituzionalizzate. Dall'anomia di Durkheim a quella di Merto, il potere che la società esercita sui soggetti si configura, però, in due modi diversi. In Durkheim, il potere della società comporta un disorientamento per il soggetto, In Merton, esso imprime, invece, una dissociazione o una dimensione sintomatica, in termini comportamentali, tra mete culturali e mezzi istituzionalizzati. C'è un punto cruciale in comune tra i due: la responsabilità dell'anomia e della devianza spetta, tanto per Durkheim quanto per Merton, alla società stessa. Tuttavia, se quest'ultima per Durkheim è, in sostanza, definibile come coscienza collettiva (insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa società), per Merton è rappresentata dalla struttura culturale (che pone le mete, gli scopi, gli obiettivi al soggetto) e quella sociale (che indica al attrezzi e proprietà. Questi elementi diventano il suo ambiente sociale, quando l'uomo ne prende consapevolezza e autocoscienza. La famiglia come persona collettiva. Dopo la persona dell'individuo, la famiglia è l'ambiente sociale più intimo a cui la persona reagisce. E' considerata come una persona collettiva più ampia. Negli studi si rivela che la famiglia ha perso il suo valore "buono" anzi, a detta di studiosi, è uno dei peggiori posti dove allevare un bambino: il 50% dei delitti, infatti, provengono dalle famiglie disgregate. Al di fuori della cerchia familiare e del vicinato, che rappresentano le relazioni primarie, vi è la più ampia cerchia di influenze che chiamiamo comunità: intesa come comunità locali, città, nazioni. E oltre i confini di queste comunità comincia a emergere l'immenso e vago profilo di quella più ampia comunità mondiale che Graham Wallas ha descritto sotto il titolo di "Grande Società". "Comunità" è, quindi, il nome che attribuiamo a questo ambiente sociale più vasto e comprensivo posto al di fuori di noi, della nostra famiglia e dell'immediato vicinato, in cui l'individuo conduce non soltanto la sua esistenza in quanto individuo, ma anche la sua vita in quanto persona. Nella comunità (con i suoi schemi di controllo razionali, invece che tradizionali) troviamo la delinquenza, ovvero il mancato funzionamento delle organizzazioni delle nostre comunità. La banda e comunità locale. A questo punto si potrebbe dire che: 1) Il problema della delinquenza minorile si origina in situazioni difficilmente controllabili. 2) I fattori confortanti della situazione sono i seguenti: 1) le istituzioni sociali si stanno attrezzando per risolvere il problema, 2) si sta sviluppando nelle università un complesso di conoscenze sulla natura umana e sulla società, che ben presto ci consentirà di interpretare questi esperimenti, di ridefinire il problema e infine di ricavare una visione più approfondita delle condizioni e dei processi sociali in base ai quali si verificano, non soltanto, la delinquenza minorile, ma altre forme di disorganizzazione personale e sociale. 3) La delinquenza non è un problema dell'individuo, ma del gruppo. Per rieducare e riformare il singolo bisogna trovare per lui un ambiente e un gruppo, in cui possa vivere, non solo in senso fisico e biologico, ma soprattutto sociale. 4) I luoghi di svago dovrebbero coinvolgere i bambini per tenerli lontani dal male. Le ricerche hanno evidenziato il fenomeno delle bande, emerse dove gli enti "istituzionali", compresa la famiglia, non avevano un'adeguata influenza, rispetto all'aggregazione, in special modo nei bassifondi della città di Chicago. 5) I luoghi di svago dovrebbero essere collegati con istituzioni dirette alla formazione del carattere come la scuola, la Chiesa o altre istituzioni. The City (1925) (scheda). E' un classico della sociologia, e come dice Park, è collocabile tra gli studi di sociologia della vita urbana; studia il rapporto tra il mutamento della comunità sociale ed il tasso di delinquenza minorile, nell'espansione dei contesti urbani. Rivoluzione del metodo, capacità di coniugare metodo quantitativo e qualitativo nella ricerca sociale. Edwin H. Sutherland. La criminalità dei colletti bianchi e la teoria dell'associazione differenziale. Sutherland (1883-1950) è fra i primi a superare la teoria che spiega la criminalità come qualcosa di collegato alla povertà delle classi indigenti e alle condizioni economiche in generale. Egli mette a confronto le criminalità delle classi superiori con quelle delle classi inferiori. Questa rappresenta comunque una novità, in quanto determinati settori non erano mai stati analizzati dalla criminologia, come quello del mondo imprenditoriale, professionale e degli affari. Il metodo di Sutherland consiste nella formulazione di ipotesi teoriche da sottoporre alla prova tramite l'analisi di uno e più casi. Ma la metodologia e il metodo di Sutherland hanno molto a che fare con la Scuola di Chicago soprattutto sulla questione del conflitto culturale e sui temi dell'isolamento/coinvolgimento e della disorganizzazione sociale. Tuttavia, va notato che Sutherland declinerà in maniera piuttosto singolare il concetto di conflitto culturale, modificandone la sua utilizzazione in momenti diversi. Inizialmente ritiene, con un approccio molto ampio e generale, che il conflitto culturale sviluppi la criminalità; in un secondo momento, invece, considera il conflitto culturale quale principio di specificità. In altri termini affermerà che l'associazione differenziale è un'espressione del conflitto culturale con particolare riguardo alla persona che commette il reato: due tipi di cultura lo coinvolgono, o egli ha rapporti con due tipi di cultura. Questa è per Sutherland l'associazione differenziale. Il comportamento criminale è un processo basato su apprendimento, interazione e comunicazione: non si diventa ladri per ambizione, ma si viene istruiti da chi è già ladro. Per Sutherland la criminalità ha a che fare con il conflitto culturale e normativo tra gruppi sociali organizzati diversamente all'interno dei quali può esserci una più o meno alta probabilità che un soggetto possa apprendere comportamenti criminali. La criminalità dei colletti bianchi. Sutherland è dubbioso nei confronti del rapporto tra la criminalità e la povertà, per questo nel 1928 inizia ad occuparsi dei delitti dei colletti bianchi. Questo scritto ha per oggetto la criminalità nel campo degli affari. Più precisamente, vuole affrontare la delinquenza delle classi superiori o dei colletti bianchi, cioè dei professionisti rispettabili o almeno rispettati, con quella delle classi socio-economiche più squalificate. Le statistiche giudiziarie dimostrano che il delitto ha una maggior incidenza nelle classi sfavorite rispetto a quelle più elevate; tali statistiche si riferiscono a reati che vengono a conoscenza della polizia e dei tribunali penali ordinari e minorili, ma escludono reati legati agli affari. La tesi di Sutherland rifiuta queste concezioni e spiegazioni della criminalità, e sostiene che il delinquente non è strettamente correlato con la povertà e con le condizioni ad essa associate. Sutherland ha descritto la delinquenza dei colletti bianchi in maniera molto sintetica: 1) La delinquenza dei colletti bianchi è una vera e propria delinquenza poichè, in ogni caso, è violazione della legge penale; 2) Differisce da quella delle classi inferiori poichè è diversa l'applicazione della legge penale; 3) Non sono valide le teorie criminologiche che riducono la delinquenza alla povertà . Queste teorie criminologiche non sono valide per 3 ragioni: 1) si basano su campioni non rappresentativi ma influenzati relativamente allo status socio-economico; 2) non si applicano ai delinquenti dai colletti bianchi; 3) non spiegano adeguatamente nemmeno la criminalità della classe inferiore. 4) E' necessaria un'ipotesi del comportamento criminale che spieghi sia la delinquenza dei colletti bianchi, sia quella convenzionale; 5) Le teorie dell'associazione differenziale e della disorganizzazione sociale permettono di formulare un'ipotesi simile . White collar crime è l'espressione coniata da Sutherland per indicare i reati in campo politico, economico e professionale. Albert K. Cohen. Sottoculture e ragazzi delinquenti. Nel suo testo "Delinquent Boys, the Culture of the Gang" (1955) parte dall'idea che, in quel periodo storico, i ragazzi diventavano delinquenti non individualmente ma in gruppo. La critica di Cohen alla letteratura in materia di delinquenza giovanile è duplice: egli critica le teorie psicogenetiche e psicoanalitiche, da una parte, e definisce incomplete le teorie della disorganizzazione sociale e quelle del conflitto culturale dall'altra. Nelle intenzioni di Cohen, per comprendere la delinquenza giovanile è necessario riportarsi all'interno di una terza via: si tratta della teoria della sottocultura (o trasmissione culturale), che si configura come una prospettiva in grado di far interagire insieme i fattori psicogenetici e sottoculturali prevalenti rispettivamente nelle posizioni sopra ricordate. Questa terza via dovrebbe essere in grado di studiare e analizzare come tali fattori interagiscono senza escludersi. Oltre ad aver individuato tutta una serie di caratteristiche proprie delle bande giovanili delinquenti (distruttività, malignità, edonismo), la ricerca di Cohen sulle sottoculture delinquenti, sostiene che il comportamento delinquente sia più diffuso tra i ragazzi maschi appartenenti alle classi inferiori operaie. Cultura e sottocultura delinquente. Quando Cohen parla di sottocultura delinquente si riferisce ad una forma di vita che in qualche modo è diventata tradizionale in certi gruppi della società. Questi gruppi sono le bande dei ragazzi che prosperano nella forma più vistosa entro i "quartieri della malavita" dei nostri maggiori centri urbani. Col passare degli anni alcuni dei membri di queste bande divengono normali cittadini che si attengono alla legge, altri diventano criminali professionali e adulti, ma la tradizione delinquente è mantenuta dalle generazioni susseguenti. Critica alle teorie psicogenetiche e psicoanalitiche. Per Cohen l'unica differenza fra il delinquente e il non-delinquente è il gradi di esposizione a questo modello culturale delinquente. Sostiene che il delinquente non è segnato da nessun genere di stigmate speciali, nè psichiche nè psicologiche. Classi, sessi e sottocultura delinquente. La delinquenza giovanile e in particolare la sottocultura delinquente si concentrano in netta preponderanza nel settore maschile della gioventù della classe operaia. Thrasher studiò 1313 bande della città di Chicago e concluse che le ragazze non formano bande per difficoltà pratiche. Delle 1313 studiate non più di 5 o 6 erano bande di ragazze e una sola di queste presentava una vera e propria organizzazione a delinquere. Richard A. Cloward e Lloyd E. Ohlin. Subculture e bande delinquenti. Nella prefazione al volume "Teoria delle bande delinquenti in America", Richard A. Cloward (1926-2001) e Lloyd E. Ohlin (1918-2008) definiscono l'obiettivo della loro analisi sociologica, ovvero analizzare due problemi: 1) Per quale motivo si sviluppano norme e regole di condotta delinquenziale; 2) Le condizioni che spiegano le differenti norme delinquenziali (violenza, furto, droga). Nella trattazione di questi due problemi, i due sociologi si sono ispirati, per quanto concerne le cause che possono condurre ad un comportamento deviante, alla teoria dell'anomia di Durkheim e Merton. Sulla questione del ruolo che assume la struttura sociale nella possibilità di fare scelte devianti, invece, Cloward e Ohlin hanno privilegiato la teoria della subcultura e quella dell'associazione differenziale, ovvero Shaw, McKay e Sutherland. Il loro testo ha come argomento principale la teoria delle opportunità differenziali, nonchè asse portante dell'approccio criminologico dei due sociologi. La teoria delle opportunità differenziali deriva da una ricerca circoscritta fra i giovani delle classi più povere, analizzando la formazione delle bande giovanili (criminali, conflittuali e astensioniste) che nascono in subculture delinquenziali tenute insieme dagli stessi problemi di adattamento tra mete e mezzi. La differenza con Merton (che sosteneva nella struttura sociale la legittimità dei mezzi verso la meta) è che Cloward e Ohlin affermano che è la posizione sociale che definisce la possibilità di usare sia mezzi legittimi, sia quelli illegittimi per raggiungere il successo. La varietà della subcultura delinquenziale. Esistono 3 tipi principali di subcultura delinquenziale che si riscontrano normalmente fra adolescenti maschi nelle zone dei grandi centri urbani dove vive la classe sociale inferiore. Denominiamo queste 3 forme di subcultura rispettivamente: 1) Criminale; mantenimento dell'ordine sociale. 2) Controllo sociale attivo: è un processo tendente al conseguimento di mete e valori; ha a che fare con lo sviluppo di nuove forme di integrazione sociale. E' un processo continuo nel corso del quale i valori vengono consapevolmente vagliati e vengono prese delle decisioni circa i valori da privilegiare e l'azione collettiva da compiere in vista di quei fini. Stanley Cohen. Moral Panics e Folk Devils. In questo testo Cohen dice che nella costruzione della devianza, e nello specifico per quanto concerne la questione del "panico sociale" e dei "capri espiatori", anche i mass media giocano un ruolo centrale. L'immagine del deviante raggiunge le persone tramite i mezzi di comunicazione; la reazione sociale è in qualche maniera filtrata dall'elaborazione delle immagini veicolate dai mezzi di comunicazione, che possiedono in sè un potere simbolico. Questo si verifica, osserva Cohen, proprio nel caso del rapporto tra mass media, devianza e Folk Devils. A suo avviso si possono indicare tre processi di simbolizzazione in base alla trasformazione della parola in status, degli oggetti in parola e degli oggetti in simbolo dello status. I tre processi di simbolizzazione sono: 1) una parola diventa simbolo di un determinato status (delinquente o deviante); 2) gli oggetti (acconciatura, abbigliamento) simboleggiano la parola; 3) gli oggetti stessi diventano simbolo dello status (e delle emozioni collegate a tale status). Gresham Sykes e David Matza. Le tecniche di neutralizzazione. Le tecniche di neutralizzazione sono giustificazioni attraverso le quali il criminale nega, giustifica, trova scuse per legittimare a se stesso il proprio comportamento. Le tecniche di neutralizzazione sono cinque: 1) La negazione di responsabilità: gli atti delinquenziali sono causati da forze al di fuori dell'individuo e al di fuori del suo controllo, si tratti di genitori poco amorevoli, cattive compagnie o un quartiere malfamato. In effetti il delinquente si avvicina a una concezione del sè come "palla da biliardo", in cui vede se stesso catapultato impotente in situazioni al di là del proprio controllo. Il delinquente vede se stesso come agito piuttosto che agente. 2) La negazione delle lesioni: il delinquente, di frequente e in modo confuso, ritiene che il suo comportamento in realtà non causi alcun danno grande, nonostante il fatto che esso vada contro la legge. (Per esempio il vandalismo può essere definito dal delinquente come una semplice "burlata", dopo tutto, può affermare, che le persone la cui proprietà è stata sfasciata se lo possano permettere). 3) La negazione della vittima: il delinquente afferma che la sua offesa nei confronti della vittima non sia una vera e propria offesa ma si tratti di una giusta ritorsione o punizione. Il delinquente si pone come vendicatore e la vittima si trasforma in trasgressore. (Per esempio il furto in un negozio il cui proprietario è "disonesto". Il delinquente nega l'esistenza della vittima, poi da lui trasformata in una persona meritevole di offesa. 4) La condanna di chi condanna: il delinquente sposta il centro dell'attenzione dai suoi atti devianti alle motivazioni ed hai comportamenti di coloro che contestano le sue violazioni. I suoi accusatori, egli può sostenere, sono ipocriti, devianti sotto mentite spoglie, o spinti da un rancore personale. (Per esempio i poliziotti, si può affermare, sono corrotti, stupidi e brutali). 5) Il richiamo a lealtà più alte: il delinquente non necessariamente ripudia gli imperativi del sistema normativo dominante, nonostante il suo fallimento nel seguirli. Al contrario, il delinquente può vedere se stesso come coinvolto in un dilemma che deve essere risolto, purtroppo, anche a costo di violare la legge. Il punto più importante è che la deviazione da certe norme può verificarsi non perchè le norme vengono rifiutate, ma perchè viene data precedenza ad altre norme, ritenute più pressanti o che coinvolgono un rispetto più alto. (Per esempio se il giovane delinquente risolve più volte il suo dilemma insistendo sul fatto che egli deve "sempre aiutare un amico" o "mai biasimare un amico", anche quando ciò lo mette in serie difficoltà con l'ordine sociale dominante, la sua scelta resta vicina al presunto rispetto della legge"). David Matza. Come si diventa devianti. Dopo il lavoro sulle tecniche di neutralizzazione, dove viene criticata la teoria della subcultura di Cohen, Matza pubblica "Come si diventa devianti". In questo testo Matza sposta l'attenzione sul modo in l'attore vive il processo con cui diventa deviante. I tre modi principali sono: 1) Affinità; 2) Affiliazione; 3) Significazione. Questi tre modi di diventare devianti corrispondono rispettivamente ad altre tre teorie, ovvero, quella della disorganizzazione sociale, dell'associazione differenziale e dell'etichettamento. All'interno dei capitoli del testo di Matza: "L'arresto: la selezione" e "L'incasellamento" si tratta in modo particolare del processo di significazione. Vediamo come l'importanza della significazione nel divenire devianti può essere presentata considerandone i vari significati. Il primo significato di significazione, essere schedati, equivale ad essere etichettati, definiti, classificati. In secondo luogo, significare, implica una "degradazione", significare sta anche per simboleggiare, nel senso di rappresentazione o esemplificazione. Essere significato come ladro non assicura la continuazione di tale attività, ma accresce l'importanza del furto nella vita di chi lo ha perpetrato, e accresce il significato di quella persona agli occhi degli altri. Ian Taylor, Paul Walton e Jock Young. Conflitto e criminologia marxista. Ian Taylor, Paul Walton e Jock Young in Inghilterra, criticando l'interpretazione marxista classica, per la quale la criminalità è il risultato della società capitalistica, introducono un nuovo concetto di devianza come fatto sociale utile e normale tanto dal punto di vista del soggetto quanto da quello della società . Il comportamento deviante è una scelta cosciente del singolo, messo di fronte al disagio e ai conflitti sociali, ma non è una scelta incosciente del singolo stesso nel raggiungimento dei suoi interessi personali. La devianza, nel rispetto dei diritti umani, non andrebbe criminalizzata dalle istituzioni e dai sistemi di controllo. I sostenitori della New Criminology, polemizzando sia con la teoria dell'etichettamento sia con quella del conflitto, ritengono che alla base della criminalità ci siano i "rapporti che legano l'uomo alle strutture del potere, del dominio e dell'autorità, e quindi alla capacità dell'uomo stesso di opporsi a tali strutture mediante criminalità, dissenso e devianza". Alessandro Baratta. Criminologia critica e politica criminale alternativa. In Italia, la prospettiva critica del sapere criminologico trova nel libro di Alessandro Baratta "Criminologia critica e critica del diritto penale"un punto di partenza imprescindibile. Nel lavoro di Baratta la criminologia coincide con il superamento del diritto penale, da una parte, e con l'affermazione di una politica criminale alternativa, dall'altra. Secondo Baratta "è la società diseguale quella che teme e reprime il diverso, perchè la repressione del diverso, in tutti i sistemi normativi particolari in cui essa avviene, dal diritto alla religione, alla scuola, alla famiglia, è una tecnica essenziale per la conservazione della disuguaglianza e del potere alienato. Ecco perchè quanto più una società è disuguale tanto più pesante è l'inflazione delle definizioni negative di devianza". Capitolo V "La paura della criminalità e l'in-sicurezza sociale". Il meccanismo della sicurezza. Michel Foucault. Sicurezza, popolazione e territorio. Le pagine di Michel Foucault (1926-1984) che prenderemo in considerazione sono tratte dal Corso al Collège de France (1977-1978) intitolato "Sicurezza, territorio e popolazione". Foucault stesso, nella lezione del 1° febbraio 1978, sottolinea che sarebbe stato più corretto intitolarlo "Storia della "governamentalità". Per Foucault la governamentalità è: 1) L'insieme di istituzioni, procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa forma specifica e complessa di potere, che ha nella popolazione il bersaglio principale, nell'economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale. 2) La tendenza, la linea di forza che in tutto l'occidente, da lungo tempo, prevale su tutti gli altri e si chiama "governo"; sviluppa da un lato una serie di apparati specifici, dall'altro una serie di saperi. 3) E' il risultato del processo mediante il quale lo stato di giustizia medioevale, divenuto stato amministrativo nei secoli tra il XV e XVI, si è trovato gradualmente "governamentalizzato". La governamentalità è quindi l'insieme di procedure e di tecniche di potere, relative al modo di dirigere il comportamento dei soggetti. Per Foucault la governamentalità è il campo strategico delle relazioni di potere; il governo riguarda i tipi di condotta e di direzione di condotta che si stabiliscono all'interno della governamentalità. Quest'ultima si configura come la griglia di analisi per le relazioni di potere. E' in questo sfondo concettuale che Foucault affronta la questione del dispositivo di sicurezza. Il dispositivo di sicurezza ha a che fare con la probabilità del crimine, con l'eventualità della pericolosità. Il dispositivo di sicurezza non si sostituisce a quello legale e a quello disciplinare, ma agevola e permette il loro funzionamento. Esso introduce innanzitutto un nuovo elemento: la popolazione. Riassumendo: 1) il meccanismo legale della sovranità si esercita sul territorio . (stabilire una legge e fissare una punizione per chi la viola, è il sistema del codice legale basato sulla divisione binaria tra permesso e divieto. E' il meccanismo legale o giuridico); (questo sistema viene definito arcaico, in auge dal Medioevo fino al XVII-XVIII). 2) il meccanismo disciplinare esercita sul corpo dei soggetti. (la legge è inserita in dispositivi di sorveglianza e correzione, c'è la comparsa, oltre al permesso e al divieto, di un terzo elemento, cioè il colpevole); (questo sistema viene definito moderno, si costituisce a partire dal XVIII). 3) il meccanismo di sicurezza si esercita sulla popolazione. (inserire il fenomeno in una serie di eventi probabili, quindi, invece che instaurare una divisione binaria tra ciò che è permesso e ciò che è vietato, determinerà una media considerata ottimale e poi fisserà i limiti dell'accettabile, oltre i quali il fenomeno non dovrà più accadere). (questo sistema viene definito contemporaneo). Nei primi due dispositivi è necessario porre dei divieti, nel terzo è necessario favorire il movimento e la circolazione di merci e persone, controllandole ed eliminando rischi e pericoli. Il dispositivo di sicurezza non si impone dall'esterno (con leggi e divieti) ma emerge in quanto necessario: rispetto agli altri due meccanismi, il dispositivo di sicurezza introduce una diversa modalità di governare, che rovescia il rapporto di potere tra società e individuo. Non c'è bisogno di ricorrere al divieto ("non rubare") ma si rende necessario annullare il fenomeno, limitarlo, tramite una gestione della popolazione ("limitare od ostacolare la possibilità di rubare"). In conclusione mentre la sovranità si esercita entro i limiti di un territorio, e la disciplina sul corpo degli individui, la sicurezza si esercita sull'insieme della popolazione. Non si parla più della sicurezza (sùretè) del principe e del suo territorio, ma della sicurezza (sécurité) della popolazione e di chi la governa. Alcuni esempi per comprendere meglio la differenza tra i 3 diversi meccanismi. Per comprendere meglio il meccanismo legale si può far riferimento al caso dell'esclusione dei lebbrosi in tutto il Medioevo; lo scopo era quello di creare una divisione binaria tra chi era lebbroso e chi non lo era, in modo da mettere questi ultimi in sicurezza. Un secondo esempio, invece, per comprendere meglio il meccanismo disciplinare è la peste. Veniva suddiviso il territorio di una regione o di una città colpita dalla peste e si sottometteva il tutto ad una organizzata, sulla droga, sulle violenze sessuali nonchè sul rapporto tra sicurezza e stranieri alla luce dei più recenti provvedimenti legislativi). Infine abbiamo i rapporti di ricerca redatti dall'Osservatorio europeo sulla sicurezza (affrontano il problema dell'in-sicurezza nel rapporto tra rappresentazione mediatica e percezione sociale in Italia e in Europa); 2) In Italia il concetto di "sicurezza" si è ampliato a dismisura negli anni della crisi economica, quindi oltre alla paura della criminalità, si diffonde una sensazione generalizzata della paura o della preoccupazione/ insicurezza per il futuro (lavorativo, ambientale, alimentare ecc.). In altri termini, la percezione della sicurezza non ha più a che fare solo con la criminalità e con l'immigrazione, ma anche con il problema della disoccupazione e della crisi economica. Istat. La sicurezza dei cittadini. L'Istat (Istituto Nazionale di Statistica) è un ente pubblico di ricerca. L'indagine statistica sulla sicurezza dei cittadini è stata effettuata dall'Istat su un campione di 60'000 individui contattati telefonicamente. Le principali aree tematiche prese in considerazione sono: la criminalità, le modalità adottate per commettere reati, individuare le fasce di popolazione più a rischio, i luoghi e i tempi in cui vengono commessi i reati e la percezione della sicurezza. L'indagine non prende in considerazione la violenza sulle donne, perchè questa deve essere trattata con una metodologia specifica. (L'istat svolge questa indagine separatamente). L'indagine sulla sicurezza dei cittadini è stata svolta dall'Istat tre volte: 1) nel 1997-1998; 2) nel 2002; 3) nel 2008-2009. In relazione alla percezione di sicurezza, e in particolare, al rischio di criminalità percepito nella zona in cui si vive, i dati delle tre indagini rimangono sostanzialmente identici, anche se vecchi progressi, ad esempio al Sud e in particolare in Campania vengono praticamente annullati. La paura di subire un reato riguarda soprattutto la violenza sessuale, il furto in abitazione, l'aggressione e la rapina. La ricerca indaga, inoltre, chi è che ha più paura tra gli uomini e le donne, se si ha più paura in casa o fuori casa, nei centri abitati, nelle periferie o nelle aree metropolitane, di notte o di giorno. In seguito all'indagine effettuata nel 2008-2009 è risultato che: l'insicurezza è più diffusa tra le donne, soprattutto tra le giovanissime, e a livello territoriale si riscontra maggiormente al Sud del Paese, soprattutto tra le donne pugliesi, campane e laziali. (Il timore più grande è quello si subire una violenza sessuale). In casa, invece, il pericolo percepito è decisamente meno elevato e per tutti i tipi di preoccupazione individuate i meno coinvolti sono coloro che hanno più di 55 anni. Censis. Sicurezza e cittadinanza. I Rapporti sulla situazione sociale del Paese, pubblicati ogni anno dal Censis, contengono un capitolo su "Sicurezza e cittadinanza". L'insicurezza viene definita come il "vero virus che opera nella realtà sociale di questi anni" sia nella dimensione individuale sia in quella collettiva. Secondo il Censis la "questione insicurezza" deve essere affrontata sia dall'alto con interventi volti a rassicurare le paure, quindi più leggi e norme, sia dal basso accrescendo la capacità e la coscienza dei singoli con politiche volte a valorizzare il merito come unico strumento di affermazione della personalità individuale e di crescita della sua classe dirigente. Il Censis si interroga sul perchè cresca il senso di insicurezza nonostante la criminalità in Italia sia gradualmente in calo dal 2007. Nel 2010 trova una risposta nelle strategie di comunicazione dei mezzi di informazione e alla presenza dei migranti. Nel 2011, invece, la causa viene attribuita all'invecchiamento della popolazione, alla mancanza dei servizi per le famiglie, alla crisi economica e all'immigrazione. Nel nostro Paese, infatti, la percezione di sicurezza non dipende solo dalla reale possibilità di essere vittima di reato, ma trova la sua origine più profonda nella vivibilità del contesto locale, e discende da un processo di costruzione dei rapporti di fiducia che è in grado di generare un tessuto sociale cooperativo e disponibile a condividere il sistema di vincoli ed opportunità, cioè di norme, che la comunità stessa ha assunto come proprio. Per questo la sicurezza non è mai frutto del solo lavoro di repressione e di contrasto svolto dalle forze dell'ordine, ma deve essere sempre accompagnata da attività di prevenzione e di rafforzamento del legame sociale, che hanno come protagonista la società civile e gli individui. La sensazione è che nel nostro Paese siano stati abbandonati gli interventi più mirati alla creazione del clima di fiducia sociale e alla coesione, e ci si sia invece concentrati sugli interventi di contrasto più strettamente legati all'evento criminale. E anche laddove si sono fatti interventi di prevenzione, si è preferito utilizzare la "freddezza" delle telecamere piuttosto che programmare interventi di recupero della dimensione comunitaria e del welfare locale. Grazie all'analisi dei dati pubblicati da Eurostat, possiamo confrontare le statistiche italiane con quelle europee. L'Italia risulta avere un quoziente di denunce inferiore a quello medio degli altri paesi: è un dato che dipende anche dalla fiducia che si ha nelle forze dell'ordine e nella giustizia. La crisi ha aumentato il livello di percezione della criminalità: i rischi di perdere il lavoro o il benessere acquisito, sono molto più sentiti. Resta comunque alto il senso di insicurezza percepito nei contesti urbani di dimensioni maggiori. ICSA. Rapporto sulla criminalità e la sicurezza in Italia (2010). Il Rapporto sulla criminalità e la sicurezza in Italia è stato curato da Marzio Barbagli e Asher Colombo ed è stato elaborato grazie alla collaborazione tra Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis), Ministero dell'Interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Confindustria. I principali fenomeni analizzati, tramite studi longitudinali e territoriali, riguardano l'andamento generale della criminalità (omicidi, rapine, furti ecc.), rispetto ai quali si riscontra, dal 1992 ad oggi, una consistente diminuzione, e poi le violenze sessuali e gli atti persecutori, le violazioni della legge sugli stupefacenti, gli stranieri e la sicurezza, la criminalità organizzata. Nella sintesi di questo rapporto scientifico particolare rilevanza viene attribuita al binomio "sicurezza- straniero/i". Gli stranieri e la sicurezza. Vengono analizzati tutti i dati dal 1993 al 2010, registrando le varie modifiche e l'introduzione del reato di clandestinità introdotto nel 2009. Osservatorio Europeo sulla sicurezza. Rapporto annuale "L'insicurezza sociale ed economica in Italia e in Europa". Rispetto alle altre ricerche qui sopra prese in considerazione, i rapporti di ricerca dell'Osservatorio europeo della sicurezza affrontano la questione della rappresentazione sociale e mediatica della sicurezza stessa. In seguito a queste ricerche è stato possibile verificare che l'Italia è il paese europeo in cui vi è più abbondanza di notizie criminali. (Nel 2010 si è riscontrato che le notizie criminali su Rai 1 furono 1173 contro, per esempio, le 444 di Tve (canale spagnolo) che risulta secondo in classifica per notizie criminali). In questa ricerca, inoltre, si evidenzia come la paura e l'insicurezza degli italiani è oggi collegata all'incertezza economica, alla disoccupazione, al costo della vita, alla pressione fiscale, al risparmio e al reddito familiare. Inoltre vediamo che, se nel 2007-2008 si è assistito al connubio criminalità-immigrazione, a cavallo del 2010-2011 alla serializzazione dei casi criminali (dal caso Scazzi in poi), nel 2012 è la violenza sulle donne, sintetizzata con il termine femminicidio, a mettere "in forma" una quota significativa della narrazione della criminalità. Dalla paura per l'estraneo, per l'altro sconosciuto e quindi temuto, si passa all'insicurezza del prossimo, della cerchia parentale come luogo di potenziale violenza sulle donne. Ma i rapporti del 2013 e del 2014 lasciano emergere una nuova forma di insicurezza, si tratta dell'insicurezza legata all'instabilità politica: essa genera negli italiani incertezza, incredulità e rabbia. In-sicurezza, paura e rischio sociale. Bauman e Beck sono i due sociologi contemporanei che maggiormente hanno analizzato, dagli anni 80-90 ad oggi, le trasformazioni della società sul tema dell'insicurezza, della paura e del rischio. Essi operano un'analisi sociologica che introduce i problemi della "paura dell'incertezza" e della "solidarietà della paura" come intimamente collegati alla costruzione dell'identità individuale e collettiva a seguito dei processi di globalizzazione. Ceretti e Cornelli, invece, sono due criminologi italiani che affrontano lo stesso tema, ma propongono degli itinerari per andare oltre la paura individuale e collettiva proprio a partire dalla vita quotidiana. Zygmunt Bauman. Le dimensioni dell'attuale incertezza. Ne "Il disagio della postmodernità", Bauman (1925-2017) elenca alcuni aspetti dell'insicurezza postmoderna, che comportano la lacerazione dei legami sociali e il venir meno delle reti di protezione (comunità familiare e vicinato). All'aumento della ricchezza di tutti i paesi europei, corrisponde un aumento della disuguaglianza socio/ economica e della paura del futuro. Nella società moderna a far paura era la possibilità di prevedere certi effetti, in quella attuale lo è al contrario la loro imprevedibilità. Nella società moderna era l'ordine a incutere la paura, oggi lo è il disordine. Mezzi di sostentamento, posizione sociale, riconoscimento della propria utilità e dignità possono venire disdetti da un giorno all'altro. Si sono lacerate quelle reti di protezione (famiglia, vicinato), che prima rappresentavano un rifugio, un salvagente a cui aggrapparsi. Non si costruiscono più legami, ma si indossano maschere. Ulrich Beck. La società del rischio. Il passaggio dalla modernità alla postmodernità viene analizzato da Beck come una trasfigurazione della stessa società da società di classe (caratterizzata dalle disuguaglianze) a società del rischio (contrassegnata dalle situazioni di pericolo). Questa trasfigurazione produce, secondo Beck, un importante paradosso che avvicina la società contemporanea più alla società del rischio che non alla società di classe. Una delle caratteristiche principale della società di classe è la disuguaglianza socioeconomica, e riguarda il soddisfacimento dei bisogni materiali. Di conseguenza vediamo come la ricchezza è qualcosa che ha a che fare con la percezione e con la visibilità: si parla infatti di cultura della visibilità. Invece, la situazione di pericolo, problema emergente della società del rischio, non è tangibile e percepibile, tanto da generare una sorta di cultura della non visibilità. Nella società attuale, come è noto, prevale la logica della ricchezza, quella della cultura visibile, percepibile e materiale, che però, finisce per produrre e far vincere il suo esatto contrario, ovvero la società del rischio. Una frase di Beck chiarisce bene questo concetto: "l'evidenza delle necessità rimuove dalla coscienza la percezione dei rischi". Le necessità materiali rimuovono quindi la percezioni dei rischi, ma l'esistenza degli stessi permane. In altre parole le necessità materiali originano la società del rischio: è la visibilità che origina l'invisibilità: è la società di classe a originare o produrre la società del rischio. Infine in relazione alle due società si sviluppano anche due modelli di comunità diverse: quella della solidarietà della penuria e quella della solidarietà per paura. Adolfo Ceretti, Roberto Cornelli. Oltre la paura. La paura della criminalità e la sicurezza costituiscono uno dei problemi sociali più diffusi nella società contemporanea. In Italia, come nel resto del mondo, le decisioni inerenti la paura della criminalità e la sicurezza spettano alla politica. Ceretti e Cornelli affermano che la politica può: 1) negare il problema della paura; 2) utilizzare la paura per legittimare le politiche penali e la propria classe dirigente;