Scarica Riassunto del libro di Castoldi nella versione ampliata per la formazione degli insegnanti e più Sintesi del corso in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! DIDATTICA GENERALE Mario Castoldi PARTE PRIMA La didattica oggi: le parole chiave 1.1 La didattica La didattica è una disciplina antica sebbene negli ultimi decenni abbia subito una profonda trasformazione sul piano dei significati e delle procedure operative. Essa nasce dall’esigenza di trasmettere il patrimonio culturale accumulato e si sviluppa per effetto della tensione volta a trovare le modalità più efficaci per svolgere tale compito formativo. Sul piano semantico, l’espressione “didattica” riflette le sue origini antiche derivando dalla radice indoeuropea dak nel senso di “mostrare” (un dato patrimonio culturale), da cui traggono origine anche i termini latini doceo e disco. La formalizzazione della didattica come sapere autonomo risale al 1600 e si manifesta nell’utopia di Comenio, per cui tutto è insegnabile a tutte le età. Il ruolo e lo spazio assegnato alla didattica si modificano fortemente in rapporto alle diverse stagioni culturali e alle dottrine filosofiche dominanti: a cavallo tra XIX e XX secolo si è passati da una forte attenzione alla didattica, che ha contraddistinto il periodo positivista e che si esprime in una minuziosa descrizione dell’attività di insegnamento nei termini di un sapere tecnico, ad una sostanziale negazione della didattica durante il periodo idealista della prima metà del ‘900 dove il sapere didattico si stempera in quello pedagogico. Due versioni dei programmi ministeriali del regno d’Italia simboleggiano le stagioni indicate: da un lato i programmi di Aristide Gabelli nel 1888 (formato analitico, prescrittivo e didascalico), dall’altro quelli di Giovanni Gentile nel 1923 (approccio idealista). Negli ultimi ’50 anni il sapere didattico ha subito profonde trasformazioni che hanno determinato un ripensamento complessivo dei suoi significati: da un lato l’estensione del campo della didattica, inizialmente circoscritto all’insegnamento formale praticato nella scuola e progressivamente allargato ad ambiti di educazione informale. Si è assistito ad una specificazione dell’oggetto della didattica in relazione ai diversi saperi e alle varie discipline di insegnamento: le peculiarità connesse al loro statuto epistemologico hanno determinato la necessità di affiancare ad una didattica generale un insieme di didattiche specifiche contraddistinte dai diversi ambiti disciplinari (didattica dell’italiano). Inoltre, la proliferazione di metodologie didattiche (es. apprendimento cooperativo, problem solving etc.) ha sollecitato un approccio più relativista alle diverse proposte, non si può 1 pensare ad un modello didattico universalmente valido bensì ci sono tante proposte che richiedono di essere selezionate e calibrate. Tali modificazioni hanno determinato un profondo ripensamento dello statuto disciplinare della didattica, ci si è interrogati sulla identità disciplinare della didattica, che cosa qualifica il sapere didattico, quali sono i requisiti di scientificità? Intorno a questi interrogativi si è potuto riconoscere lo statuto autonomo della didattica, statuto che passa attraverso una più precisa identificazione del suo oggetto di studio e del suo metodo di indagine. Un primo passaggio utile alla definizione dello statuto della didattica concerne la sua collocazione nell’ambito delle scienze dell’educazione. Facciamo riferimento ad una classificazione delle scienze dell’educazione proposta da Mauro Laeng (1990) il quale raggruppa tali discipline in tre categorie in rapporto al punto di vista con cui studiano l’evento educativo: 1. Le discipline rilevative: ovvero quei saperi che si occupano di analizzare l’evento educativo nelle sue diverse dimensioni costitutive allo scopo di migliorarne la comprensione (es. la psicologia dell’educazione, la sociologia dell’educazione e l’antropologia dell’educazione etc.). 2. Le discipline prescrittive: ovvero quei saperi orientati verso una comprensione del sistema di valori entro cui identificare i traguardi formativi a cui è finalizzato l’evento educativo (es. la filosofia dell’educazione). Se le discipline rilevative si qualificano per una tensione verso l’essere, verso il contesto reale dell’evento educativo, quelle prescrittive verso il dover essere, il quadro ideale. 3. Le discipline operative: che si collocano nel mezzo dei due gruppi precedenti e si tratta di discipline centrate sull’azione educativa, sulle modalità di conduzione, sulla esplorazione dello spazio di mediazione tra il contesto reale e il quadro ideale di riferimento. Mirano a rispondere alla domanda: come educare? Alla luce di quanto detto possiamo individuare la didattica all’interno delle discipline operative, come un sapere orientato a rispondere alla domanda: come educare?, a fornire un contributo all’elaborazione di un progetto educativo attraverso cui puntare a connettere una determinata realtà educativa con il quadro di valori che si intende promuovere attraverso l’azione educativa. Identifichiamo l’oggetto della didattica con l’azione di insegnamento, ovvero quella particolare azione formativa che si svolge a scuola, contraddistinta da intenzionalità e sistematicità. L’intenzionalità è l’esistenza di traguardi formativi consapevolmente perseguiti; la sistematicità è l’organizzazione strutturata e progressiva dell’azione educativa. L’educazione formale che si svolge nell’ambiente scolastico possiede entrambi i requisiti, l’educazione informale tende a possedere i 2 - Dalla “separazione tra ricerca e azione”, pensate come due fasi distinte e successive al “professionista come ricercatore”, figura che condensa in sé il sapere pratico e il sapere teorico; - Dalla “conoscenza tacita”, interna al singolo soggetto alla “consapevolezza critica”, come forma di riflessione sull’azione basata sulla rielaborazione personale e il confronto sociale; - Da una logica “ortopedica”, che vede il problema come difetto da isolare e correggere, ad una logica “omeopatica”, in cui il problema è inteso come sfida intellettuale. Dalla riflessione di Schon emerge il carattere pratico del sapere didattico e la sua natura tacita, ovvero interna all’azione del docente. La professionalità dell’insegnante si gioca nel passaggio da un sapere tacito ad un sapere esplicito, ovvero nell’acquisire consapevolezza del proprio sapere, in questa relazione continua tra esperienza e riflessione, tra sapere pratico e sapere teorico. Le diverse concezioni della professionalità legata all’insegnamento si riflettono sulle visioni relative alla formazione dei docenti, che è stata designata in questi anni attraverso un insieme di espressioni che rinviano a prospettive differenti: aggiornamento, formazione in servizio, sviluppo professionale. La ricerca si pone inevitabilmente a cavallo tra teoria e pratica, tra il carattere astratto e statico del sapere teorico e il carattere concreto e dinamico del sapere pratico, nel quale il compito della didattica consiste nell’aiutare l’insegnante a rendere dicibile il proprio sapere, fornendo categorie di lettura, strutture di interpretazione, opportunità di rielaborazione della propria esperienza. Potremmo assegnare una duplice funzione al sapere didattico: da un lato situare i significati del sapere teorico contribuendo ad arricchire i propri paradigmi conoscitivi; dall’altro dare le parole al sapere pratico contribuendo a renderlo consapevole sia all’attore diretto (l’insegnante) sia agli altri interlocutori. 1.3 Innovazione Il concetto di innovazione rientra a pieno titolo tra le parole chiave della didattica in quanto si aggancia a quello della ricerca: se la ricerca si orienta ad essere con gli insegnanti, non per gli insegnanti, allora sfocia inevitabilmente nell’azione e diventa strumento per la gestione del cambiamento, anche in ambito didattico. La circolarità del processo tra azione e ricerca porta a considerare l’azione in termini di innovazione, nel senso di una rielaborazione continua della propria azione didattica orientata al miglioramento. La riflessione sul cambiamento come processo di reciproco apprendimento tra individui e contesto di azione ha interessato anche la scuola. La consapevolezza in merito alla complessità dei processi in gioco ha spostato l’attenzione dalla ricerca di modelli di azione e dalla standardizzazione delle procedure operative allo studio delle singolarità del cambiamento; i fattori di resistenza, le variabili 5 individuali, il peso della tradizione, non sono stati più considerati meri fattori di disturbo, bensì modalità essenziali della dinamica del cambiamento con cui fare i conti. Tale ambito di riflessione si caratterizza per la ricorrenza di alcuni principi di fondo, che riprendono le linee interpretative utilizzate dalla letteratura sul cambiamento organizzativo e le riattualizzano in rapporto alla specificità dell’azione didattica: - Storicità del processo di cambiamento, inteso come insieme di eventi che si sviluppano e modificano nel tempo e che si innestano entro una configurazione strutturale, relazionale e culturale. - Soggettività di colui che è responsabile dell’azione, come punto di connessione tra l’intenzione progettuale e i processi reali; nell’ambito della scuola la prestazione professionale risulta intimamente legata alla soggettività della persona, alla sua discrezionalità operativa, la qualità del servizio è determinata dalla “benevolenza del soggetto”. - La contestualità, ovvero la comprensione del significato in rapporto allo specifico contesto ambientale entro cui l’innovazione è inserita. - La globalità, ovvero il coinvolgimento nell’evento trasformativo del sistema organizzativo nella sua totalità. La visione sistematica dell’organizzazione riconosce il cambiamento come processo di destrutturazione/ ristrutturazione, che si ripercuote sulle diverse parti che compongono il sistema organizzativo. - La reciprocità come tratto fondante della riflessione su questo tema. Riguardo i rapporti tra scuola e ambiente esterno, la categoria della reciprocità è stata utilizzata per indicare la bidirezionalità del processo di modificazione, intendendo il cambiamento come reciproco sviluppo ed adattamento tra i processi innovativi veicolati dall’esterno e la capacità della scuola di migliorare il suo funzionamento. La natura negoziale che il processo di cambiamento viene ad assumere, come “contrattazione” continua tra gli attori a vario titolo implicati. - La riflessività, come condizione richiesta alle strutture di comunicazione componenti il sistema organizzativo per apprendere dalla propria esperienza. Il dialogo costante tra contesto e attori richiede una razionalità riflessiva capace di dare senso al cambiamento, di riconoscerlo, di interpretarlo e di produrre apprendimento. Sulla base dei 6 connotati del concetto di innovazione didattica possiamo sintetizzare i criteri regolativi che qualificano un’innovazione efficace: 1- Contrattualità: i soggetti coinvolti nel piano di miglioramento devono operare all’interno di un mandato che definisca responsabilità, modi e tempi di lavoro; 6 2- Gradualità: un’azione di miglioramento può essere pensata solo in termini di progressiva estensione ed intensificazione. 3- Condivisione: la definizione delle azioni di miglioramento deve essere assunta consapevolmente dai soggetti che dovranno metterla in pratica. 4- Negoziazione: occorre valorizzare e rispettare le pluralità delle posizioni e delle opinioni entro un processo dialogico di costruzione comune. 5- Supporto: un processo innovativo richiede sempre di essere guidato e sostenuto; 6- Praticità: il piano di sviluppo deve consentire una chiara identificazione delle azioni da compiere e delle attività da sviluppare. 7- Rivedibilità: il processo migliorativo non può essere fissato una volta per tutte, bensì richiede di essere precisato e riformulato in corso d’opera. 1.4 Documentazione Se la ricerca didattica si qualifica come opportunità di rielaborazione dell’esperienza di insegnamento Allora diventa decisivo possedere un linguaggio per rendere dicibile tale esperienza, per poterne parlare, analizzarla, formalizzarla e utilizzarla. Da qui il valore della documentazione; potremmo dire che parlare di documentazione significa affrontare la questione della memoria della nostra esperienza, del passaggio dal vissuto esperienziale al dato culturale. La trasformazione del fare nel dire pone un problema di documentazione, richiede di rendere dicibile l’azione, di riuscire a raccontarla e descriverla attraverso le parole senza perdere la sua incredibile ricchezza e complessità. Occorre precisare che la possibilità di dire il fare richiama la dialettica tra sapere teorico e pratico e richiede di fare i conti con la tensione strutturale presente tra i due poli: da un lato la natura analitica e statica del modello teorico, dall’altro la natura globale e dinamica del processo didattico. Ripercorrendo la storia della pedagogia possiamo incontrare tentativi illustri di raccontare l’azione; basti pensare al genere dei romanzi pedagogici, che ha attraversato il pensiero pedagogico, nello sforzo di restituire un modello educativo attraverso il racconto di un’esperienza singola, emblematica. Il dato generale si può riconoscere in una scarsa attenzione alla memoria da parte dei docenti e degli educatori, a cui ha fatto da contraltare una tendenza alla teoria pedagogica e didattica alla teorizzazione con la conseguenza di un incremento del divario tra riflessione teorica ed esperienza pratica. Il passaggio da sapere per gli insegnanti a sapere con gli insegnanti ha riportato al centro dell’attenzione il tema della comunicabilità dell’esperienza e quindi della documentazione. 7 essenziali con cui apprezzare l’insegnamento, richiamando rispettivamente la scelta dei mezzi più idonei per raggiungere il proprio scopo formativo e la coerenza con i fini verso cui l’azione è orientata. La duplicità delle due dimensioni nell’azione di insegnamento si riflette nei concreti comportamenti professionali del docente: ad esempio, nella distinzione tra i traguardi formativi riferiti alle singole discipline elencati nei documenti programmatici ministeriali (dimensione poietica) e le finalità educative richiamate nella premessa di tali documenti (dimensione pratica). Damiano riconcettualizza il prodotto dell’insegnamento come mediazione didattica operata dall’insegnante per promuovere l’apprendimento dei propri allievi. Per mediazione didattica Damiano intende la regolazione della distanza tra i contenuti culturali da trasmettere e i soggetti in apprendimento; operare una mediazione didattica significa mettere in relazione i due piani, gestire l’interfaccia (didattica) che connette oggetti culturali e soggetti che apprendono. La mediazione comporta sempre una forma di apprendimento della realtà, un processo di metaforizzazione attraverso il quale la realtà di cui si parla viene sostituita on delle rappresentazioni allo scopo di facilitare l’apprendimento. Ciò che caratterizza il processo di mediazione è la trasformazione di determinati contenuti culturali in contenuti accessibili all’apprendimento per un determinato gruppo di allievi in funzione di un determinato scopo. La mediazione didattica si inserisce nel più ampio concetto di “trasposizione didattica” coniato da Chevallard con il significato di lavoro che di un oggetto del sapere da insegnare fa un oggetto di insegnamento. La proposta di Damiano rappresenta uno strumento concettuale molto potente per analizzare le diverse forme di insegnamento attraverso categorie tipicamente didattiche, fondate sul livello di astrazione con cui viene proposta la mediazione culturale. Il concetto di azione di insegnamento come mediazione mette in gioco anche la gestione della relazione tra l’insegnante e gli studenti e la predisposizione del setting formativo entro cui si svolge l’evento didattico. 1.6 Dimensione metodologica L’approccio cognitivista ha considerato la metodologia didattica un dispositivo di adeguazione del contenuto culturale al soggetto in apprendimento, uno strumento attraverso cui mettere in relazione la matrice cognitiva del soggetto che apprende con la struttura del contenuto culturale oggetto di apprendimento. Tale lettura cognitivista è stata successivamente allargata alla qualità complessiva dell’esperienza apprenditiva con riferimento sia alle dinamiche relazionali sia alla disponibilità ad apprendere la parte del soggetto. David Ausubel ha classificato le diverse modalità di apprendere in relazione a due parametri centrati entrambi sul ruolo attivo del soggetto nell’esperienza apprenditiva: la relazione del contenuto di 10 apprendimento con la matrice cognitiva del soggetto e la modalità di approccio del soggetto che apprende al nuovo contenuto culturale. In relazione al primo parametro Ausubel ha distinto l’apprendimento significativo, caratterizzato da un processo di integrazione tra il nuovo apprendimento e la matrice cognitiva pregressa, dall’apprendimento meccanico, caratterizzato da una giustapposizione del nuovo apprendimento ai precedenti; in relazione al secondo parametro ha distinto un apprendimento per recezione che vede il soggetto in posizione passiva rispetto al nuovo contenuto culturale, da un apprendimento per scoperta, che vede il soggetto in posizione attiva ed esplorativa. Un punto focale della proposta di Ausubel riguarda il concetto di apprendimento significativo e quindi di integrazione tra matrice cognitiva del soggetto e nuovo contenuto culturale. Lo sviluppo di un apprendimento significativo implica una metodologia didattica attenta a sollecitare le diverse fasi indicate e le relazioni tra di esse. L’approccio cognitivista, egemone nel nostro paese intorno agli anni ’80 e ben sintetizzato nei principi metodologici di Pellerey, si è evoluto nei decenni successivi graie al costruttivismo, che ha posto in rilievo il valore dell’interazione sociale nella costruzione della conoscenza e il carattere situato dell’apprendimento in rapporto al contesto entro cui avviene. Un altro filone di studi che ha allargato la prospettiva con cui osservare l’apprendimento e l’insegnamento è stato quello sulla metacognizione, attuando uno spostamento di attenzione non solo in direzione dei processi cognitivi attivati dal soggetto ma anche del livello meta di consapevolezza e controllo di tali processi. Da qui il tentativo di sviluppare nel soggetto la capacità di apprendere ovvero i meccanismi attraverso cui riflettere sul proprio sapere e sui processi di sviluppo della propria conoscenza; processi che inevitabilmente mettono in gioco la dimensione relazionale e affettiva entro cui si realizza il processo di apprendimento. Sempre di più la metacognizione tende ad allargarsi verso una consapevolezza del sé da parte del soggetto attenta agli atteggiamenti verso l’esperienza apprenditiva e alla struttura identitaria del soggetto. Proponiamo un repertorio di metodologie didattiche: La lezione è la metodologia didattica per eccellenza, si qualifica per un’esposizione sistematica di contenuti che enfatizza il lato del triangolo didattico che mette in relazione l’insegnante con il contenuto culturale. Il rapporto dell’insegnante con il sapere risulta attivo e produttivo: chi impara di più dalla lezione tradizionale è l’insegnante proprio in virtù della rielaborazione del sapere a cui è sollecitato. Lo studente è posto in una posizione passiva e il ruolo prevalente dell’insegnante è quello di esperto. Punti forti della metodologia sono l’efficienza del rapporto informazioni trasmesse/tempo impiegato, la possibilità di offrire contenuti identici ad un insieme ampio di soggetti e la sistematicità dell’approccio alla 11 conoscenza; punti di criticità sono lo scarso coinvolgimento dello studente e l’eccessivo spazio assegnato al codice verbale e i problemi legati al mantenimento di attenzione. L’apprendistato si avvicina molto ai caratteri della lezione differenziandosi sia nei contenuti culturali che tratta, più orientati ad abilità operative, sia nella progressiva autonomia che assegna al soggetto che apprende. Il ruolo dell’insegnante ricalca quello proprio della lezione. I suoi punti di forza sono la concretezza, il carattere situato dell’apprendimento, la progressiva autonomia incoraggiata nel soggetto, la sollecitazione verso un approccio riflessivo all’apprendimento; tra i punti di criticità ci sono la limitatezza d’uso ad alcuni ambiti di sapere, i rischi di una riduzione ad una passiva imitazione, i problemi di trasferibilità. Approccio tutoriale inteso come forma di supporto personalizzato all’apprendimento, si caratterizza per una piena valorizzazione del triangolo didattico in virtù della relazione intensa e personalizzata tra docente e studente nel trattamento del contenuto culturale. Il docente tende ad avere un ruolo indiretto, di supporto sia sul piano cognitivo sia sul piano motivazionale ed emotivo. I pregi sono connessi alla forte interazione che si viene a determinare attraverso un feedback continuo, un rinforzo mirato, un approccio personalizzato all’apprendimento; tra i difetti ci sono la tendenza a privilegiare una relazione a due insegnante-studente, gli alti costi, il rischio di incrementare le differenze tra gli studenti assecondando i ritmi individuali. Discussione richiede una rappresentazione diversa della relazione didattica, attenta al ruolo del gruppo e all’interazione tra i suoi componenti; l’insegnante fa parte del gruppo e assume un ruolo di conduttore e moderatore sia nel presidio del contenuto sia nella gestione delle regole di interazione. I punti di forza sono connessi all’interazione sociale come fattore di motivazione e come sollecitazione allo scambio di opinioni, allo sviluppo di un’argomentazione condivisa; tra i punti di criticità vanno considerati la difficoltà a garantire una partecipazione attiva a tutti i componenti del gruppo, le dinamiche di ruolo che possono produrre effetti controproducenti, il rischio di andare fuori tema. Il problem solving rappresenta una variante della discussione rinforzando la natura di gruppo centrato su un compito, orientata ad arrivare ad un prodotto, connesso al problema da risolvere. L’insegnante convoglia le energie e le risorse del gruppo verso la risoluzione del problema. I punti di forza sono l’interazione sociale, l’approccio euristico centrato su un problema condiviso, la concretezza veicolata dal compito da affrontare in un dato contesto; tra i punti di criticità vanno considerati i prerequisiti necessari per operare in modo 12 premessa su cui valorizzare i processi di negoziazione sociale dei significati tra gli attori, come risorsa per l’apprendimento sociale. Riguardo alle condizioni di successo si segnala l’importanza di esperire una situazione problematica comune che possa costituire la base referenziale condivisa su cui sviluppare il confronto collettivo e la costruzione di significati condivisi. Da qui l’importanza della rielaborazione verbale dell’esperienza come opportunità di chiarificazione del pensiero e di scambio tra i diversi punti di vista e le differenti sensibilità in una prospettiva di apprendimento condiviso e di organizzazione dei processi di pensiero. Le modalità del confronto divengono cruciali nell’evidenziare alcuni meccanismi dell’interazione sociale che favoriscono e alimentano l’argomentazione collettiva. Sul piano didattico diviene interessante riflettere su tale prospettiva che mira a valorizzare la discussione tra gli allievi come risorsa per l’apprendimento, sul ruolo dell’insegnante e sulle funzioni da lui svolte nel gestire l’interazione in classe. Rientra tra i compiti del docente quello di stimolare all’interno del gruppo un’interazione sociale la quale non può essere considerata un evento naturale e spontaneo bensì richiede di essere intenzionalmente perseguita e sollecitata dall’insegnante. 1.8 Dimensione organizzativa Spesso si tende a ricondurre l’evento didattico alla gestione della relazione tra insegnante e allievi con il rischio di astrarla dal contesto materiale, culturale, organizzativo, istituzionale entro cui avviene. Risulta invece cruciale dare valore al modo in cui le variabili contestuali influenzano l’azione didattica sul piano dei valori culturali, delle condizioni strutturali, delle regole organizzative, dei significati istituzionali entro cui si esercita l’azione di insegnamento. L’espressione “setting formativo” condensa l’insieme di questi aspetti. Identifichiamo il setting formativo come l’insieme delle variabili che definiscono il contesto entro cui si svolge la relazione formativa. I fattori più significativi in relazione allo svolgimento dell’azione didattica sono: o Lo spazio come contenitore fisico e materiale entro cui si realizza lo spazio. Lo spazio, la disposizione dei banchi, l’uso delle pareti, la posizione della cattedra sono elementi che ci veicolano un certo modo di pensare l’insegnamento e una determinata cultura didattica. o Il tempo come struttura temporale entri cui viene agita l’azione di insegnamento. La suddivisione della giornata in ore e/o in periodo temporali più distesi, la distribuzione del lavoro didattico nell’arco della giornata, l’alternanza delle diverse attività, l’organizzazione dell’orario settimanale sono elementi che influenzano le modalità del lavoro didattico e che veicolano diversi significati educativi. 15 o Le regole come insieme di norme implicite ed esplicite che regolamentano la vita della classe e lo svolgimento dell’azione didattica; molte sono determinate dall’organizzazione scolastica complessiva, altre sono definite nell’aula e riguardano le modalità di relazione. o Gli attori come insieme dei soggetti coinvolti nella relazione didattica. o I canali comunicativi come medium attraverso cui avviene la relazione didattica (lavagna tradizionale, cartelloni, lim, tablet etc.; l’interazione a distanza è mediata dall’uso delle tecnologie come chat, e-mail, download materiali). Possiamo affermare che il setting formativo veicola un determinato modello pedagogico che incide sul processo formativo e sui suoi significati. Nel linguaggio didattico si è progressivamente affermato il concetto di curricolo implicito per identificare quella dimensione dell’offerta formativa che non viene resa esplicita dall’insegnante e che riguarda la gestione della dimensione relazionale e organizzativa dell’evento didattico (si tratta del piano della relazione della didattica, del come si insegna attraverso i comportamenti relazionali e la gestione del setting). Uno dei maggiori rischi di un evento comunicativo riguarda le incongruenze che si vengono a determinare tra piano del contenuto (che osa si dice) e piano della relazione (come si dice) con conseguenti messaggi contraddittori e disorientanti. Di qui l’importanza di predisporre un ambiente per l’apprendimento che sia funzionale ai propri scopi formativi nel quale anche il setting formativo svolge una funzione cruciale e richiede un’attenta regia da parte dell’adulto. I fattori non possono essere considerati come variabili assegnati dall’insegnante, fattori ritenuti immodificabili, bensì devono essere assunti come variabili indipendenti, fattori da manipolare e gestire in funzione del proprio progetto formativo, alla stregua della scelta dei contenuti o dei metodi didattici. 1.9 Progettazione C’è sempre un’ambiguità di fondo tra una visione amministrativa e una visione professionale: la prima risponde ad un’istanza burocratica, di adempiere ad un dovere contrattuale (la predisposizione del piano annuale etc.); la seconda risponde ad un’istanza professionale, di disporre di uno strumento utile ad orientare la propria azione didattica. Nella pratica scolastica tende a prevalere la prima istanza e così il momento progettuale diventa solo uno spazio di compilazione di documenti e formati progettuali fini a sé stessi distanti dalla pratica didattica. Dietro ai modelli diversi di progettazione si possono riconoscere due logiche progettuali profondamente diverse: logica della razionalità tecnica e logica della complessità. La logica della razionalità tecnica presuppone un rapporto lineare tra i momenti del progettare, agire e valutare, pensati come fasi in successione di un unico processo; la progettazione si caratterizza come momento ex-ante dell’azione didattica ed ha la funzione di anticipare il processo che si intende 16 realizzare in tutte le sue variabili essenziali. La logica della complessità postula un rapporto di circolarità tra i momenti del progettare, agire, valutare, pensati in continuo dialogo ed interazione reciproca; una fase progettuale, di ideazione, rimane un punto di partenza ma si intreccia con l’azione stessa e la sua valutazione e il ruolo della progettazione diviene di orientamento strategico, di delineazione di una direzione di marcia verso cui orientare l’azione. Al di la della logica con cui ci si avvicina al momento progettuale è possibile identificare alcuni ingredienti chiave di un progetto didattico, ben concettualizzati nella mappa di Kerr. Un primo ingrediente riguarda i traguardi formativi a cui è finalizzato il progetto didattico, ovvero i risultati attesi verso cui tendere; un passaggio inevitabile, che risponde alla domanda: perché insegnare? Un secondo ingrediente riguarda i contenuti culturali che saranno affrontati nel percorso didattico, ovvero la risposta alla domanda: che cosa insegnare? Vi è una stretta integrazione tra i traguardi e i contenuti, in particolare in alcune discipline per le quali risulta difficile separare nettamente i due piani. Un terzo ingrediente riguarda la predisposizione dei processi formativi attraverso cui sviluppare i traguardi e i contenuti culturali identificati, intesi sia in senso statico, come messa appunto dell’ambiente di apprendimento, sia in senso dinamico, come sviluppo del processo didattico nella sua scansione temporale ed operativa; la domanda sottesa è: come insegnare? Un ultimo ingrediente riguarda il momento della valutazione, la domanda sottesa è: come valutare il processo formativo? È necessario assumere il processo formativo come componente essenziale di un progetto didattico in quanto la definizione delle modalità, dei criteri, degli strumenti con cui verificare il raggiungimento dei traguardi e l’efficacia complessiva della propria azione sono aspetti che richiedono di essere identificati già nella fase precedente dell’azione stessa. Ci concentriamo su alcune tipologie esemplari di modelli progettuali: 1) Progettazione per obiettivi: diffusasi nel nostro paese a partire dagli anni ’70, tende a tradurre il momento progettuale in un algoritmo di passaggi che assume come punto di partenza la definizione degli obiettivi formativi. Sulla base di essi si tratta di precisare i contenuti, le strategie, le metodologie, le modalità della valutazione in funzione degli obiettivi identificati; dalla definizione dei fini discendono le scelte dei mezzi utili a perseguire tali fini. La stessa valutazione è vista essenzialmente come accertamento del grado di raggiungimento degli obiettivi previsti. La forte enfasi posta sugli obiettivi spinge i sostenitori di questo modello a dedicare attenzione all’elaborazione dei traguardi formativi, dalla cui correttezza e precisione discende il rigore del modello. anche gli altri passaggi della progettazione tendono ad essere definiti attraverso un linguaggio e degli schemi concettuali rigidi e sovrabbondanti; l’ambizione è quella di una razionalità assoluta in grado di preordinare, sistematizzare e controllare l’insieme delle variabili che concorrono 17 esplicitamente assunti dal valutatore. I criteri di giudizio, infatti, sono il quadro valoriale assunto dal valutatore in ordine all’oggetto di indagine, l’idea di qualità in base a cui esprimere un giudizio di valore. Mentre la fase rilevativa rappresenta il momento descrittivo del processo di valutazione; la fase di giudizio rappresenta il momento interpretativo in cui si mira ad attribuire significato ai dati raccolti in rapporto ai propri criteri di qualità. Un’altra componente del processo valutativo riguarda i ruoli dei soggetti implicati nel processo stesso, ad evidenziare che la valutazione non consiste solo in una sequenza di fasi ma assume anche una valenza sociale in rapporto alle dinamiche che si vengono a determinare tra chi valuta, chi è valutato e chi utilizza i risultati della valutazione. Un ulteriore domanda che caratterizza il processo di valutazione degli apprendimenti è: perché si valuta? Quali funzioni sono assegnate al momento valutativo? Individuiamo le varie funzioni assegnate alla valutazione evidenziando le relazioni con il processo formativo: la valutazione predittiva o orientativa precede il processo formativo e assolve lo scopo di prevedere le caratteristiche del percorso formativo più adatte alle caratteristiche del soggetto; la valutazione diagnostica si colloca nella fase iniziale del processo formativo e assolve lo scopo di analizzare le caratteristiche d’ingresso di un allievo in relazione al percorso che deve compiere; la valutazione formativa accompagna le diverse fasi del processo formativo e assolve lo scopo di fornire un feedback all’allievo e all’insegnante sull’evoluzione del processo; la valutazione sommativa si colloca nella fase conclusiva e assolve lo scopo di tirare le somme sui risultati conseguiti dall’allievo; la valutazione certificativa segue il percorso formativo e assolve lo scopo di attestare socialmente il conseguimento di determinati risultati da parte del soggetto. La fase di individuazione dell’oggetto mette in gioco il significato che attribuiamo all’esperienza di apprendimento: che cosa significa valutare l’apprendimento? Ci sono alcune polarità che si presentano all’insegnante quando tenta di rispondere alla domanda: in primo luogo, quella tra prodotto e processo di apprendimento, ovvero tra i risultati di apprendimento a cui giunge l’allievo e le modalità attraverso cui consegue tali risultati; in secondo luogo, quella tra la dimensione cognitiva dell’apprendimento, che riguarda essenzialmente le conoscenze e le abilità sviluppate dall’allievo e la dimensione extra-cognitiva, che mette in gioco gli aspetti emotivi, sociali, metacognitivi, identitari implicati nell’esperienza di apprendimento; infine, quella tra gli apprendimenti disciplinari, connessi allo statuto epistemologico delle singole discipline, e gli apprendimenti trasversali che presuppongono un ambito di applicazione più esteso. Riguardo alla rilevazione dei dati è utile ricordare che essa avviene sia attraverso l’interazione quotidiana che l’insegnante ha con i propri allievi sia attraverso momenti più formalizzati deputati ad accertare gli apprendimenti conseguiti. Si tratta delle cosiddette prove di verifica, ovvero di 20 situazioni didattiche intenzionalmente predisposte per accertare l’avvenuto conseguimento di determinati risultati di apprendimento da parte dei nostri allievi. Possiamo pensare ad una prova di verifica come alla somministrazione di un determinato stimolo all’allievo orientato a sollecitare una prestazione in grado di manifestare gli apprendimenti che ci interessa accertare; tale prestazione richiede successivamente di essere analizzata e valutata dall’insegnante. Ci sono tre raggruppamenti di prove emergenti dalla combinazione dei due parametri: le prove non strutturate, caratterizzate da uno stimolo avente molti gradi di libertà e da una riposta non predeterminabile proprio in virtù dell’apertura dello stimolo (ad esempio la classica traccia di un elaborato scritto “parla di …”); le prove strutturate, caratterizzate da uno stimolo che riduce o elimina i gradi di libertà e da una risposta predeterminabile da parte dell’insegnante (ad esempio un item a scelta multipla); le prove semi strutturate che rappresentano una situazione intermedia tra le due precedenti caratterizzate da uno stimolo che presenta un numero limitato di gradi di libertà e da una risposta predeterminabile da parte dell’insegnante (ad esempio un saggio breve). La definizione dei criteri richiama la stretta relazione tra il momento progettuale e quello valutativo in quanto i criteri di giudizio nel campo della valutazione degli apprendimenti rinviano ai traguardi formativi identificati in fase progettuale. Questa fase del processo valutativo non si gioca solo nella identificazione dei criteri di giudizio ma riguarda anche le modalità di attribuzione del giudizio dell’allievo ovvero i parametri in base ai quali mettere a confronto la rappresentazione che ci siamo fatti di un determinato allievo con i nostri criteri di giudizio. Ci sono tre differenti modi attraverso cui arrivare a formulare un giudizio scolastico: il primo fa riferimento ad uno standard assoluto, ad una prestazione ritenuta ottimale in base alla quale confrontare la prestazione ottenuta dall’allievo e il giudizio tende ad apprezzare lo scarto tra l’allievo ideale e l’allievo reale; il secondo fa riferimento all’insieme di prestazioni ottenute da quello specifico gruppo di allievi (la classe) e il giudizio tende a posizionare il singolo allievo in rapporto alla distribuzione delle prestazioni della classe; il terzo fa riferimento al progresso dell’allievo e il giudizio tende a considerare l’entità del progresso manifestato dall’allievo in rapporto ad un livello iniziale. La valutazione scolastica si presenta come una valutazione pubblica, pertanto, presuppone una trasparenza del giudizio e dei criteri. Il momento di espressione del giudizio pone una problematica di codici attraverso cui formulare l’esito della valutazione; il giudizio può essere espresso attraverso variabili di tipo nominale, che indicano una situazione di presenza/assenza di una certa condizione; variabili di tipo ordinale che indicano un certo numero di livelli su cui stabilire una graduatoria di risultati; variabili di tipo metrico che quantificano una prestazione sulla base di un’unità di misura definita. Il giudizio 21 scolastico tende a privilegiare variabili di tipo ordinale ma non consente di quantificare le differenze tra un livello e l’altro o di fare la media tra più giudizi. La fase di regolazione dell’insegnamento segnala come il processo di valutazione degli apprendimenti non metta in gioco solo l’allievo ma anche l’insegnante e la sua azione. Il giudizio sul singolo e sull’insieme degli allievi rappresenta un feedback per l’insegnante utile a ripercorrere il processo didattico e a riconoscerne l’efficacia; il giudizio può divenire la base su cui stabilire quale percorso di sviluppo prevedere in termini di recupero di lacune, potenziamento, miglioramento dell’apprendimento. La comunicazione del giudizio richiama la necessità di collocare il momento della valutazione in una logica formativa. Evidenzia la necessità di tenere conto dei destinatari e delle diverse funzioni attribuite alla valutazione nello stabilire le modalità di comunicazione del giudizio e di fornire le chiavi di lettura per utilizzare il giudizio come risorsa per il proprio percorso. I soggetti coinvolti devono essere considerati protagonisti del proprio percorso di crescita e quindi interlocutori con cui condividere il giudizio al fine di comprenderne l’uso migliore in rapporto agli sviluppi futuri. Riguardo ai ruoli dei soggetti vi sono diversi piani di lettura della dinamica valutativa in ambito scolastico. Innanzitutto, la relazione tra valutazione individuale affidata al singolo docente e valutazione collegiale affidata all’equipe pedagogica o al consiglio di classe, una condizione presente nei vari gradi scolastici e avente lo scopo di privilegiare un punto di vista intersoggettivo in merito ad alcune decisioni cruciali come la promozione o la bocciatura. In secondo luogo, occorre considerare il ruolo delle famiglie nella valutazione in ambito scolastico. Le famiglie sono fonti di informazione sulla crescita complessiva dell’allievo e potenziali osservatori privilegiati della capacità dell’allievo di impiegare i propri apprendimenti in contesti extrascolastici; inoltre, le famiglie sono corresponsabili di un intervento orientato a promuovere la crescita dell’allievo. Infine, si pone il problema del ruolo dell’allievo. La questione di una responsabilizzazione dell’allievo nel processo valutativo è centrale in quanto riflette una dinamica di potere che permea di sé anche la relazione didattica, consente uno sguardo allargato della valutazione attraverso una considerazione del punto di vista soggettivo nei confronti della propria esperienza di apprendimento. Più in generale possiamo affermare che il momento valutativo della scuola è gestito attraverso routine, consuetudini, meccanismi di difesa cristallizzati nel corso di decenni e secoli che non consentono di valorizzare le potenzialità formative che lo caratterizzano. PARTE SECONDA La didattica domani: lavorare per competenze 22 - dall’esterno all’interno: l’analisi della competenza richiede di andare oltre i comportamenti osservabili e di prestare attenzione alle disposizioni interne del soggetto e alle modalità con cui esso si avvicina allo svolgimento di un compito operativo; - dall’astratto al situato: la competenza tende a riferirsi alla capacità di affrontare compiti in specifici contesti culturali, sociali e operativi. Si riassume il percorso di sviluppo che ha contraddistinto il concetto di competenza nel passaggio dal saper fare al sapere agire: da una visione comportamentista ad una visione che riecheggia i filoni del costruttivismo sociale e situato. 2.1.3 Competenze e apprendimento Il costrutto della competenza è in sintonia con gli indirizzi di ricerca più recenti sui processi di apprendimento, affermatisi nella ricerca psico-pedagogica degli ultimi decenni come evoluzione dell’approccio cognitivista. L’attributo che più li contraddistingue è quello di costruttivo, a denotare un processo di apprendimento inteso come ri-costruzione di quanto il soggetto già conosce, rielaborazione degli schemi mentali e delle conoscenze pregresse. L’approccio costruttivista si qualifica per un superamento definitivo dell’antinomia soggetto/oggetto. Con il costruttivismo si afferma la natura relazionale della conoscenza come interazione dialettica tra il soggetto che conosce e l’oggetto della conoscenza. Un secondo attributo che connota l’evoluzione dell’approccio costruttivista all’apprendimento è quello socio-culturale, a denotare il ruolo fondamentale che il contesto relazionale e culturale gioca nel processo di costruzione della conoscenza del soggetto. Il ruolo del contesto non è inteso solo come cornice socio-culturale ma anche come contesto d’azione entro cui si genera la conoscenza. Da qui un terzo attributo relativo al suo carattere situato, ovvero al suo ancoramento al contesto e al contenuto specifico delle attività che lo genera. I caratteri quindi che qualificano il processo di apprendimento sono: attivo a denotare il ruolo consapevole e responsabile del soggetto; costruttivo a denotare il processo di equilibrazione tra strutture mentali pregresse e nuove conoscenze; collaborativo a denotare la dinamica di interazione sociale entro cui si sviluppa; intenzionale a denotare il ruolo dei processi motivazionali e volitivi nello sviluppo del potenziale apprenditivo; conversazionale a denotare il ruolo del linguaggio nello strutturare il confronto e la negoziazione dei significati tra gli attori; 25 contestualizzato a denotare il riferimento a compiti di realtà entro cui situare il processo apprenditivo; riflessivo a denotare il circolo ricorsivo tra conoscenza, esperienza e riflessione su di essa. 2.1.4 Sfide per il lavoro del docente Ci limitiamo a richiamare alcune questioni cruciale: il rapporto tra saperi e contesti di realtà. La competenza implica la capacità di mettere in relazione i propri saperi con i contesti di realtà entro cui operare; in rapporto a tale relazione è possibile distinguere due visioni dell’insegnamento scolastico: da un lato l’insegnamento- muro fondato su una logica dell’insegnamento caratterizzata da ordine di esposizione, sistematicità, pianificazione rigida, affinità con il sapere teorico; dall’altro l’insegnamento- ponte basato su una logica dell’apprendimento e caratterizzata da ordine di scoperta, intuizione, gestione flessibile, affinità con il sapere pratico. La centralità dei processi nell’apprendimento. La visione dinamica della competenza riporta al centro dell’attenzione i processi di apprendimento ovvero le modalità attraverso le quali il soggetto utilizza al meglio il proprio sapere per affrontare un compito di realtà. Apprendere non significa solo riprodurre un insieme di saperi bensì saperli rielaborare in funzione di una situazione problematica. Le discipline al servizio delle competenze. Occorre riportare le discipline al ruolo per cui si sono originate e sviluppate: fornire strumenti culturali per comprendere e affrontare la realtà naturale e sociale. La progettazione a ritroso. Un approccio orientato verso le competenze comporta il ribaltamento della logica progettuale tradizionale: anteporre alcune questioni tipicamente valutative alla strutturazione del percorso progettuale allo scopo di poterlo traguardare in relazione ad un’idea di competenza definita ed articolata. L’allargamento dello sguardo valutativo. Il principio metodologico su cui strutturare il momento valutativo è quello della triangolazione per il quale la rilevazione di una realtà complessa richiede il confronto tra più livelli di osservazione. Occorre osservare il nostro oggetto di analisi da molteplici prospettive e tentare di comprenderne l’essenza. Un approccio per competenze richiede allo studente di porsi come co-produttore di una conoscenza da costruire e condividere. La sfida non è solo tecnico-professionale bensì soprattutto culturale, implica un lavoro che non riguarda solo la comunità dei docenti ma si allarga alla relazione con gli allievi e i genitori e al confronto con gli attori sociali. 26 2.2 Lavorare per competenze: quale insegnamento 2.2.1 Critiche all’insegnamento scolastico Allargando il campo alle modalità di apprendimento possiamo riconoscere alcune differenze strutturali tra l’apprendimento scolastico, fondato su un ordine logico, e l’apprendimento in situazioni di realtà, fondato su un ordine pratico: - La scuola richiede prestazioni individuali mentre il lavoro mentale all’esterno è spesso condiviso socialmente. Pensiamo alle modalità tipiche della valutazione scolastica: separare ogni allievo evitando qualsiasi forma di contatto con i propri compagni per tentare di accertare un apprendimento rigorosamente individuale; una situazione artificiosa se confrontata con un’esperienza reale in cui è naturale condividere con le persone con cui siamo in relazione la gestione di un compito di realtà. - La scuola richiede un pensiero privo di supporti mentre fuori ci si avvale di strumenti cognitivi o artefatti. La valutazione scolastica tenta di accertare un apprendimento puramente mentale rispetto al quale qualsiasi strumento è visto come indebita interferenza; strumenti che invece risultano pienamente legittimi quando nella realtà ci troviamo ad affrontare un compito con l’ausilio delle risorse. - La scuola coltiva il pensiero simbolico, nel senso che lavora su simboli, mentre fuori dalla scuola la mente è sempre alle prese con oggetti e situazioni. Il sapere scolastico tende ad essere astratto e decontestualizzato; il sapere reale è concreto e situato. - A scuola ci insegnano capacità e conoscenze generali mentre nelle attività esterne dominano competenze specifiche, legate alla situazione. Il sapere scolastico ambisce ad avere una valenza generale, a sviluppare conoscenze ed abilità impiegabili nelle più differenti situazioni; il sapere reale si inserisce sempre in un contesto ed è determinato dalle specificità di quel contesto. Riconosciamo le differenze tra le due visioni dell’insegnamento: l’insegnamento-muro e l’insegnamento-ponte. Nel primo caso prevale una logica di separazione tra scuola e realtà, che rimangono due entità distinte e prive di relazioni di interdipendenza; nel secondo caso prevale una logica di integrazione attraverso una relazione dialettica con connessione continue tra scuola e realtà. L’insegnamento-muro si fonda su una sequenza lineare e gerarchica: insegnante-conoscenza- studente-apprendimento; lo studente tende ad essere visto come un ricettore passivo; la conoscenza rimane incapace di connettersi alla vita reale; l’insegnamento tende a frazionare la conoscenza in componenti elementari per renderlo più accessibile; il gruppo tende ad essere visto come fattore di sfondo o di disturbo del processo di apprendimento. 27 La valutazione tradizionale impiega quasi esclusivamente prove individuali, viene attribuito scarso rilievo a prove di gruppo, richiedenti un’elaborazione e uno sforzo collettivo. La funzione prevalente della valutazione scolastica rimane quella di classificare gli studenti in rapporto alla qualità delle loro prestazioni. Ciò tende a perpetuare una netta separazione tra momento formativo e valutativo impedendo a quest’ultimo di sviluppare la sua funzione promozionale e orientativa. Un’altra separazione tipica della valutazione tradizionale è quella tra i ruoli di valutatore e valutato, che relega lo studente ad una funzione passiva e determina una deresponsabilizzazione da parte dello studente nei confronti della sua valutazione. I limiti richiamati risultano evidenti nelle prove strutturate, strumento egemone della valutazione scolastica in molti paesi, che si basano sull’equazione quantitativo = oggettivo fondata sulla pretesa oggettività che scaturisce dall’impiego di dati numerici per la rilevazione e l’analisi dei risultati. 2.3.2 Ripensare la valutazione in classe La questione di fondo riguarda il passaggio da un mero accertamento del sapere dell’allievo alla comprensione dei modi in cui è in grado di utilizzare il proprio sapere nella sua esperienza di vita e padroneggiare la propria conoscenza in modo autonomo e consapevole. Una serie di parole chiave connotano la nuova filosofia valutativa: la significatività delle prestazioni richieste in rapporto ai traguardi di apprendimento; l’autenticità dei compiti valutativi in rapporto ai contesti e ai problemi posti dal mondo reale; la processualità della valutazione nel cogliere il nesso inestricabile tra la prestazione e la modalità che l’ha generata; la responsabilità affidata allo studente nella conduzione del processo valutativo attraverso il suo coinvolgimento nelle diverse fasi valutative e l’incoraggiamento di forme autovalutative; la promozionalità dell’azione valutativa in rapporto allo sviluppo del processo formativo e al conseguimento dei suoi risultati; la ricorsività tra il momento formativo e valutativo, per la quale il secondo diventa parte integrante e strumento di intelligenza del primo; la dinamicità della valutazione pensata come processo di accompagnamento attento al riconoscimento e alla valorizzazione del potenziale di sviluppo dello studente; la globalità del momento valutativo attento all’integrazione tra le diverse dimensioni del processo di sviluppo (cognitive, sociali, emotive, conative); infine la multidimensionalità del processo valutativo come combinazione di molteplici fonti di dati e prospettive di lettura dell’evento formativo. 2.3.3 Valutare, ovvero “triangolare” La natura polimorfa della competenza impedisce di assumere un’unica prospettiva per accertare la natura processuale, situata e complessa della competenza per impostare un approccio valutativo. Il principio metodologico sotteso è quello della “triangolazione” tipico delle metodologie qualitative. 30 Non è sufficiente un unico punto di vista per comprendere il nostro oggetto di analisi, occorre osservarlo da molteplici prospettive e tentare di comprenderle l’essenza attraverso il confronto tra i diversi sguardi che esercitiamo, alla ricerca delle analogie e delle discordanze che li contraddistinguono. La natura complessa del concetto di competenza richiede e giustifica una molteplicità di punti di vista, le prospettive possono essere innumerevoli. Le prospettive di osservazione della competenza sono riferibili ad una dimensione soggettiva, intersoggettiva e oggettiva. La dimensione soggettiva richiama i significati personali attribuiti dal soggetto alla sua esperienza di apprendimento: il senso assegnato al compito operativo su cui manifestare la propria competenza e la percezione della propria adeguatezza nell’affrontarlo, delle risorse da mettere in campo e degli schemi di pensiero da attivare. Essa implica un’istanza autovalutativa connessa al modo con cui l’individuo osserva e giudica la sua esperienza di apprendimento e la sua capacità di rispondere ai comiti richiesti. La dimensione intersoggettiva richiama il sistema di attese, implicito o esplicito che il contesto sociale esprime in rapporto alla capacità del soggetto di rispondere adeguatamente al compito richiesto; riguarda quindi le persone a vario titolo coinvolte in una situazione in cui si manifesta la competenza e l’insieme delle loro aspettative e delle valutazioni espresse. La dimensione intersoggettiva implica un’istanza sociale connessa al modo in cui i soggetti appartenenti alla comunità sociale percepiscono e giudicano il comportamento messo in atto. La dimensione oggettiva richiama le evidenze osservabili che attestano la prestazione del soggetto e i suoi risultati in rapporto al compito affidato e alle conoscenze e alle abilità che la manifestazione della competenza richiede. Essa implica un’istanza empirica connessa alla rilevazione in termini osservabili e misurabili del comportamento del soggetto in relazione al compito assegnato e al contesto operativo entro cui si trova ad agire. 2.3.4 Strumenti di analisi della competenza Riguardo alla dimensione soggettiva ci si può riferire a forme di autovalutazione attraverso cui coinvolgere il soggetto nella ricostruzione della propria esperienza di apprendimento e nell’accertamento della propria competenza: strumenti quali i diari di bordo, le autobiografie, i questionari di auto percezione etc. Si tratta di dispositivi finalizzati a raccogliere e documentare il punto di vista del soggetto sulla propria esperienza di apprendimento e sui risultati raggiunti. Riguardo alla dimensione intersoggettiva ci si può riferire a modalità di osservazione e valutazione da parte degli altri soggetti come insegnanti ma anche gli altri allievi e genitori. Gli strumenti possono spaziare da protocolli di osservazione, a questionari o interviste etc. Si tratta di dispositivi 31 rivolti agli altri attori coinvolti nell’esperienza e orientati a registrare le loro aspettative e le osservazioni e giudizi sui processi attivati e i risultati raggiunti. Riguardo alla dimensione oggettiva ci si può riferire a strumenti di analisi delle prestazioni dell’individuo in rapporto allo svolgimento di compiti operativi: prove di verifica, realizzazioni di manufatti o prodotti assunti come espressione di competenza etc. Si tratta di dispositivi orientati a documentare l’esperienza di apprendimento sia nelle sue dimensioni processuali sia nelle sue dimensioni prestazionali. 2.4 Lavorare per competenze: quale curricolo 2.4.1 Focus sulle competenze chiave In modo sempre più cogente si avverte l’esigenza di identificare e declinare in termini operativi i traguardi formativi che il sistema scolastico deve assicurare per consentire al soggetto in formazione un inserimento autonomo e responsabile nel contesto sociale, culturale, professionale in cui vive. Tali traguardi vengono espressi in termini di competenza ovvero di capacità di usare il proprio sapere per rispondere ai propri bisogni personali e alle esigenze poste dal contesto sociale. Già nel 1993 l’Organizzazione Mondiale della Sanità produsse un documento in risposta alle istanze di intervento provenienti dai diversi paesi nella lotta alle forme di dipendenza da sostanze e alle manifestazioni di disagio e devianza in allarmante crescita tra le giovani generazioni. L’OMS invita le scuole e le agenzie educative a promuovere una formazione in grado di attrezzare i giovani ad affrontare le difficoltà della vita nell’ambito di una maturazione globale della persona e del cittadino. Contemporaneamente anche in Europa ci si è orientati in una direzione analoga: nel 1993 veniva pubblicato il primo libro bianco curato da Jacques Delors. Si puntava ad un investimento sul capitale umano che si estendesse ad una formazione lungo l’intero arco della vita per consentire di rispondere alle sfide di dinamicità e flessibilità provenienti dal mondo del lavoro. Due anni dopo il secondo libro bianco curato da Cresson e Flynn lanciava l’idea della società conoscitiva e si affacciava il concetto di competenza. Negli anni successivi la sfida viene raccolta dall’OCSE che nel 1997 promosse un progetto di ricerca chiamato DeSeCo allo scopo di fornire una struttura concettuale più solida su cui condurre indagini internazionali di accertamento degli apprendimenti e delle competenze chiave. L’intento del progetto era di confrontare le opinioni di un’ampia gamma di esperti allo scopo di produrre un’analisi coerente e condivisa sulle competenze chiave necessarie per la vita adulta. La scelta di alcune competenze chiave richiede di appoggiarsi su un insieme di valori condivisi che nel caso del progetto DeSeCo si sono fondati sui principi della democrazia e dello sviluppo sostenibile. A partire da tali premesse sono state identificate nove competenze chiave 32 come il curricolo di istituto a declinarsi in un’azione professionale concreta e contestuale come il lavoro formativo del singolo docente. Riguardo alla manutenzione del curricolo si tratta di precisare le modalità di valutazione e revisione della proposta stessa; ciò mette in gioco sia la periodicità con cui operare tale manutenzione sia gli strumenti con cui realizzarla. 2.5 Lavorare per competenze: quadro istituzionale 2.5.1 Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione Per quanto riguarda il primo ciclo di istruzione il documento programmatico di riferimento sono le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012. La centralità del “costrutto di competenze” all’interno del testo è confermata dal richiamo forte alle competenze europee nella presentazione delle finalità generali, dalla formulazione degli obiettivi relativi ai campi di esperienza e alle discipline in termini di traguardi per lo sviluppo delle competenze, dei riferimenti alla valutazione e alla certificazione delle competenze. La centralità del costrutto della competenza nella ridefinizione del compito formativo della scuola emerge già nell’individuazione delle finalità generali e del profilo in uscita al termine del primo ciclo di istruzione, costruito in riferimento alle competenze chiave per l’apprendimento permanente proposte dal Consiglio europeo nella Raccomandazione del 2006. Il punto fondamentale riguarda la volontà di ricondurre i saperi disciplinari al loro ruolo di strumenti per la formazione del soggetto. In tale quadro possiamo leggere la distinzione impiegata nel testo delle Indicazioni tra “traguardi per lo sviluppo delle competenze” e “obiettivi di apprendimento”. I primi richiamano le competenze chiave di cittadinanza e sono da intendersi come il contributo essenziale che il singolo sapere disciplinare può fornire allo sviluppo delle competenze chiave; in questa prospettiva i traguardi devono essere considerati e incrociati con le competenze di cittadinanza. I secondi declinano i primi in modo più analitico, con riferimento esplicito alle conoscenze e abilità necessarie per il raggiungimento dei traguardi stessi; gli obiettivi di apprendimento rappresentano una guida per la selezione dei contenuti disciplinari e la loro articolazione nelle diverse annualità. 2.5.2 Documenti programmatici relativi al secondo ciclo di istruzione In rapporto al secondo ciclo di istruzione i riferimenti programmatici rinviano da un lato al decreto sull’obbligo di istruzione del 2007, dall’altro alle Indicazioni nazionali per i licei e alle linee guida per il triennio degli istituti tecnici e professionali. 35 Il Decreto del 2007 eleva a 10 anni l’istruzione obbligatoria e rinvia a un documento tecnico nel quale sono esplicitate le competenze di base da conseguire a conclusione dell’obbligo di istruzione e i relativi traguardi di conoscenza e abilità ritenuti essenziali per i diversi indirizzi della scuola secondaria di secondo grado. Vengono poi declinate le otto competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria: imparare a imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare informazioni. Per quanto riguarda i documenti programmatici relativi ai licei e agli istituti tecnici e professionali occorre evidenziare che la riforma della scuola superiore (A.S. 2010/2011) è stata accompagnata da documenti programmatici costruiti su logiche e premesse culturali molto diverse. Le linee guida degli istituti tecnici e professionali assumono la prospettiva delle competenze e la parte relativa alla progettazione e valutazione per competenze risulta efficace e chiara. La declinazione dei risultati di apprendimento prevede l’identificazione precisa e puntuale dei traguardi di competenza essenziali per i diversi ambiti disciplinari. Le Indicazioni nazionali per i licei si presentano decisamente più generiche e contraddittorie nella presa in carico della prospettiva delle competenze richiamata in forma retorica e scarsamente operativa. I documenti programmatici relativi ai vari indirizzi liceali e alle varie discipline sono redatti in forma discorsiva e contengono elenchi sterminati di contenuti di sapere controproducenti nel viraggio verso una centralità dei traguardi di competenza. 2.5.3 Indagini internazionali sugli apprendimenti Sul finire degli anni ’90 si è assistito ad un salto di qualità delle indagini internazionali sugli apprendimenti, imperniato su alcuni principi comuni: - rendere sistematiche le indagini sugli apprendimenti assicurando una periodicità costante che garantisca una lettura longitudinale dei risultati ottenuti; - elaborare quadri di riferimento espliciti ed organici utili a legittimare sul piano scientifico le prove e a promuovere un linguaggio comune tra i vari paesi; - integrare le prove sui livelli di apprendimento con dati di processo sia relativi al singolo studente sia ai contesti scolastici di appartenenza; - garantire tempi di elaborazione e restituzione dei dati definiti brevi per favorire l’utilizzo dei risultati emersi a livello di sistemi scolastici e scuole; - coinvolgere nella gestione delle indagini i decisori politici ed istituzionali. 2.5.4 Servizio Nazionale di Valutazione 36 L’esigenza di modalità di controllo periodico dei risultati formativi del sistema scolastico italiano trova una risposta sul piano normativo all’interno della legge numero 53 del 2003. Da un lato si prevede una valutazione del singolo studente da parte dei dicenti responsabili del suo percorso formativo relativo agli apprendimenti e al comportamento e sostanziata nella certificazione delle competenze raggiunte; dall’altro si prevede una valutazione di sistema da parte delle INVALSI relativamente allo sviluppo di alcuni apprendimenti essenziali. Gli standard formativi sulla cui base effettuare tale accertamento sono desunti dagli obiettivi previsti dai testi programmatici nazionali e la rilevazione richiede di essere affidata ad un soggetto esterno (INVALSI) per assicurare la necessaria indipendenza al processo valutativo. Il Servizio Nazionale di Valutazione realizzato dalle INVALSI diviene lo strumento operativo per verificare il raggiungimento a livello di sistema scolastico di un insieme di traguardi formativi ritenuti essenziali. L’INVALSI mira a non rispondere solo ai bisogni informativi dell’amministrazione scolastica in merito alla produttività complessiva del sistema, ma anche a quelli delle singole realtà scolastiche attraverso una comparazione delle proprie prestazioni a livello territoriale e nazionale. La scelta di realizzare le prove attraverso una modalità campionaria e censuaria, coinvolgendo tutte le scuole, rappresenta l’indizio significativo di questo movimento. 2.5.5 Certificazione delle competenze Il decreto-legge del 2013 relativo all’individuazione, validazione e certificazione degli apprendimenti non formali e informali non limita l’istanza di certificazione ai soli apprendimenti formali conseguiti a scuola. per quanto riguarda il primo ciclo di istruzione sono da tempo attesi i modelli ministeriali relativi alla fine della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado. Per quanto riguarda il secondo ciclo il decreto ministeriale del 2010 ha emanato il modello per la certificazione relativa alla fine del primo biennio, strutturato sui quattro assi culturali: l’asse dei linguaggi matematico, scientifico-tecnologico e storico-sociale. La valutazione scolastica, tradizionalmente espressa in voti e articolata in riferimento alle discipline di insegnamento, risulta inadeguata a restituire un profilo del soggetto capace di evidenziare le competenze acquisite e la sua rispondenza a determinate esigenze professionali e formative. Da qui l’esigenza di modalità comunicative più esplicite, capaci di restituire un profilo dei livelli di padronanza raggiunti più chiaro e spendibile sul piano sociale. C’è la necessità di creare un processo di certificazione delle competenze sulla base di una rubrica valutativa esplicita e socialmente condivisa che espliciti le dimensioni su cui viene descritto il profilo formativo e i livelli di riferimento entro cui esprimere il giudizio. 37 un’assunzione di responsabilità in rapporto agli impegni assunti e un rinforzo dell’autonomia nel gestire il proprio apporto al progetto complessivo. Tra i problemi aperti emerge il raccordo con l’attività curricolare, in quanto le attività progettuali condotte nelle scuole tendono a rimanere entità separate rispetto all’attività curricolare ordinaria. Un altro problema emergente riguarda il rischio di far prevalere una logica produttivistica nell’approccio al progetto perdendo di vista la logica formativa che dovrebbe rimanere al centro dell’attenzione. 3.4 Gioco di ruolo Il gioco di ruolo si caratterizza come una metodologia centrata sull’impiego di mediatori analogici, ovvero di modalità di simulazione del contenuto di realtà oggetto del lavoro didattico; la sua principale prerogativa consiste nel consentire un’immedesimazione dell’esperienza che orienta l’attenzione sul piano cognitivo, sociale, emotivo, valoriale. Le finalità generali riguardano la comprensione di attitudini, valori, percezioni messi in gioco dal soggetto in determinate situazioni, l’esplorazione dei propri e degli altrui sentimenti e lo sviluppo di abilità di problem solving. I principi didattici su cui si fonda tale metodologia sono: l’opportunità di immergersi nell’esperienza, attraverso l’azione simulata; la promozione di una comprensione empatica attraverso la possibilità di “indossare i panni degli altri” e di confrontare i differenti punti di vista; la ricorsività tra azione e riflessione che consente di rielaborare l’esperienza per ritornare a viverla con diversa consapevolezza; il ruolo del confronto sociale. Il docente svolge una funzione essenzialmente indiretta, di regia e accompagnamento. Un potenziale problema aperto è la gestione della riflessione sull’esperienza in modo funzionale ai traguardi formativi che ci si è proposti, tenendo sotto controllo le tendenze eccessivamente personalistiche e idiosincratiche ed evitando una lettura troppo schiacciata su singoli piani di analisi. Un altro problema potenziale può riguardare la difficoltà a mettersi in gioco da parte degli allievi, ma anche del docente. Un’altra problematica riguarda il carattere fortemente contestualizzato di questa metodologia, basata sull’analisi di un’esperienza specifica, da qui la potenziale difficoltà ad allontanarsi dall’esperienza vissuta per sviluppare considerazioni più generali e trasferibili a situazioni differenti. anche su questo piano il ruolo dell’insegnante è decisivo. 3.5 Apprendistato cognitivo Sostanzialmente si tratta dell’applicazione dei caratteri tipici dell’apprendistato, alcuni di questi sono: l’imparare facendo, la possibilità di disporre di un modello esperto, la scomposizione di un 40 compito complesso nelle sue componenti chiave, la progressiva autonomia del soggetto, il ruolo di feedback affidato al modello esperto. Questa metodologia chiama in causa il concetto di competenza nella messa in gioco non solo di risorse cognitive ma anche di un approccio strategico al compito e di risorse extra cognitive (sociali, emotive, volitive etc.). L’apprendistato cognitivo punta ad esplicitare i processi attivati da un soggetto esperto nello svolgere un determinato compito e a sollecitare l’allievo nel padroneggiare tali processi. L’insegnante si pone come modello esperto ovvero come soggetto adulto che attiva un insieme di strategie per migliorare la qualità della sua prestazione. Potremmo definire l’apprendistato cognitivo un’esperienza basata su una progressiva autonomia del soggetto nello svolgere una determinata operazione a partire dal confronto con un modello di competenza esperta. Il principio di fondo è che una competenza esperta rappresenta una forma di sapere pratico e deve essere insegnata attraverso l’esercizio della competenza stessa e non soltanto attraverso spiegazioni verbali. All’insegnante sono affidate una pluralità di funzioni delicate e qualificanti il suo ruolo di mediazione tra contenuto culturale e soggetto: fornire un modello esperto di una determinata prestazione, quindi mostrare come affronterebbe egli stesso un determinato compito complesso; in secondo luogo fornire un’impalcatura allo studente per esercitare autonomamente la propria competenza, definendo alcuni passaggi chiave, fornendo uno schema di base etc.; assistere lo studente nella sua prestazione, incoraggiandolo e fornendo suggerimenti; attenuare progressivamente il suo supporto per consentire lo sviluppo di una maggiore autonomia; monitorare l’attività e fornire un feedback; stimolare la riflessione dello studente stesso sulla sua prestazione. Tra i problemi possiamo richiamare i rischi di imitazione passiva svilendo le potenzialità di un apprendimento attivo ed operativo. Un’altra area di problematicità riguarda la distanza con le modalità di lavoro tipiche della scuola, la quale può generare difficoltà sia sul piano organizzativo sia sul piano relazionale. Inoltre, può risultare problematica la trasferibilità di quanto appreso ad altri contesti, trattandosi di una modalità di lavoro fortemente contestualizzata. 3.6 Approccio metacognitivo La metacognizione è suddivisa in due aree distinte ma correlate: conoscenza metacognitiva (la consapevolezza del proprio pensiero) e regolazione metacognitiva (la capacità di gestire i propri processi di pensiero). Queste due componenti sono utilizzate insieme per strutturare una teoria dell’apprendimento. Ci sono tre tipi di conoscenza metacognitiva: - consapevolezza della conoscenza: comprensione di ciò che si sa, di ciò che non si sa e di ciò che si vuole sapere; 41 - consapevolezza del pensiero: comprensione di compiti cognitivi e di ciò che è necessario per affrontarli; - consapevolezza delle strategie di pensiero: comprensione degli approcci utili a digerire l’apprendimento. Le parole chiave di un approccio metacognitivo sono: consapevolezza, documentazione, responsabilità, autonomia, condivisione. Consapevolezza in quanto è proprio della metacognizione promuovere una riflessione sull’esperienza di apprendimento in modo da sviluppare una piena coscienza da parte dell’allievo del suo lavoro. La promozione di un atteggiamento consapevole verso l’apprendimento riguarda anche la fase precedente all’apprendimento, attraverso una esplicitazione del senso e dei traguardi di un determinato itinerario, e la fase contestuale, attraverso una documentazione del percorso stesso. Quest’ultimo rilievo richiama il valore della documentazione in un processo metacognitivo, come condizione per consentire una comprensione più profonda del sapere; la possibilità di ritornare sul proprio percorso, tenere traccia dei propri pensieri, la registrazione dell’attività svolta sono tutti dispositivi per sviluppare una memoria del proprio apprendimento. Responsabilità in quanto un presupposto dei processi metacognitivi consiste in un atteggiamento più attivo da parte del soggetto. L’assunzione di responsabilità implica un problema di senso in rapporto al proprio apprendimento: comprendere perché valga la pena investire le proprie energie in questo sforzo. Da qui la relazione con l’autonomia dell’allievo nel processo di apprendimento, un processo progressivo che richiede di essere curato e governato. Condivisione in quanto il senso ultimo di un lavoro metacognitivo è una sorta di alleanza tra insegnante e allievo, attraverso una comune responsabilità, nel rispetto dei ruoli, nello sviluppo del processo di apprendimento. Paradossalmente l’enfasi sull’autonomia dell’allievo aumenta i compiti affidati all’insegnante: lavorare sul senso dell’esperienza di apprendimento per l’allievo, sollecitare la sua assunzione di responsabilità e autonomia, promuovere un atteggiamento riflessivo e critico. Tra le problematiche aperte sicuramente si pone la variabile tempo; un altro rischio è quello di ridurre a mera tecnica l’approccio metacognitivo attraverso un eccesso di griglie, tabelle, questionari e una ripetizione ossessiva di alcuni passaggi. 3.7 Studio di caso Oltre ad essere una metodologia di ricerca sociale, lo studio di caso definisce un approccio formativo molto diffuso nell’ambito della formazione per adulti e della formazione professionale. Si qualifica per la sua connotazione idiografica ovvero attenta ad esplorare un singolo fenomeno nella 42 In un contesto strutturalmente verticale come la scuola, dove la relazione privilegiata è quella tra insegnanti e allievi, l’istruzione tra pari sposta l’attenzione sulle relazioni orizzontali, tra allievi. L’apprendimento avviene attraverso le interazioni e la comunicazione con gli altri: il principio trae ispirazione dal lavoro di Vygotskji, il quale ha proposto l’idea secondo cui l’apprendimento e lo sviluppo avvengono nelle interazioni che i bambini hanno con i coetanei, con gli insegnanti e con gli altri adulti; gli insegnanti possono lavorare sulle modalità di apprendimento tra pari creando ambienti di apprendimento ove vi sono ampie possibilità per la discussione tra studenti, la collaborazione e il feedback. Egli ha sostenuto che il linguaggio è lo strumento principale che promuove il pensiero, sviluppa il ragionamento e sostiene attività culturali come la lettura e la scrittura. Le sue idee su come impariamo hanno portato allo sviluppo di “comunità di apprendimento” centrate sulle interazioni studente-studente e lo scambio di idee; in una comunità di apprendimento gli studenti imparano attraverso la collaborazione in una pratica condivisa o in un progetto di gruppo. Nelle comunità di apprendimento in classe il lavoro è condotto attraverso una divisione dei compiti e ripetuti cicli di lavoro; la competenza è distribuita tra gli studenti, ogni individuo contribuisce al suo gruppo; i pari si aiutano l’un l’altro per costruire conoscenze e competenze. Gli insegnanti hanno il compito di creare e progettare ambienti di apprendimento che massimizzano le opportunità degli studenti di interagire tra loro e con gli esperti; modellare, guidare e facilitare le interazioni sociali. Uno degli equivoci più comuni è che la figura dell’insegnante perda valore e debba lasciare che gli studenti scoprono da soli in modo quasi non pianificato. Lo studente assume maggiori responsabilità in qualità di insegnante dei suoi pari, esperto emergente, membro del gruppo e individuo responsabile del proprio apprendimento. Gli studenti in situazioni di cooperazione tra pari ottengono risultati significativamente migliori rispetto a quelli ottenuti in situazioni competitive o individualistiche. 3.11 Didattica 2.0 L’espressione “didattica 2.0” designa un approccio didattico basato su un uso intensivo dell’informazione e della comunicazione; approccio che si integra con metodologie didattiche innovative quali l’apprendimento cooperativo, la didattica per progetti, gli approcci metacognitivi, la didattica laboratoriale. La didattica 2.0 si fonda essenzialmente su condizioni tecnologiche e 45 culturali normalmente disponibili nell’attuale contesto sociale e ormai presenti nella vita quotidiana della maggior parte delle persone. Un concetto chiave che caratterizza la didattica 2.0 è quello di “ambiente di apprendimento”, inteso in senso socio-costruttivista come luogo in cui coloro che apprendono possono lavorare aiutandosi reciprocamente avvalendosi di una varietà di risorse e strumenti informativi. La presenza di strumenti tecnologici non è l’elemento qualificante di questo ambiente sul piano didattico ma possono contribuire a creare e potenziare le condizioni per un apprendimento efficace. Nella didattica 2.0 viene accentuato il superamento di una visione chiusa e isolata dell’ambiente classe attraverso il ruolo affidato al “terzo spazio”, inteso come risorsa internet che consentono la connessione e l’interazione con altre classi, altri soggetti e altri mondi. L’insegnante si qualifica nel progettare e coordinare l’allestimento dell’ambiente di apprendimento; il suo ruolo si sintetizza nel mettersi a fianco degli studenti, nell’accompagnarli a supportarli nel loro processo di apprendimento e nell’uso delle risorse tecnologiche e culturali. 3.12 Flipped lesson La metodologia della flipped lesson nasce come capovolgimento della dinamica didattica tradizionalmente egemone a scuola: nella flipped lesson si sposta il lavoro di acquisizione dei contenuti a casa, attraverso un approccio individuale ai contenuti stessi mediato da testi, video, audio etc., e il lavoro di rielaborazione dei contenuti a scuola, attraverso il loro impiego in contesti reali o per affrontare problemi complessi. Nella flipped lesson l’apprendimento viene assunto in termini rielaborativi, di comprensione profonda. Da qui la necessità di spostare la funzione formativa dell’insegnante sul momento di utilizzo e rielaborazione di tali contenuti. Sul piano metodologico la flipped lesson si caratterizza per una duplice inversione. La prima riguarda una fruizione dei contenuti prevista fuori dalla scuola attraverso un lavoro individuale che consenta un primo avvicinamento ai contenuti di sapere che si intende affrontare (attraverso libri di testo, articoli, video o filmati, siti inerenti il tema etc.). la seconda inversione riguarda la rielaborazione dei contenuti stessi a cui dedicare una parte significativa del lavoro d’aula, anziché affidarla all’allievo e alla sua capacità di connettere quanto fatto a scuola con la sua esperienza di vita. Ciò significa impiegare il lavoro d’aula da un lato per recuperare l’avvicinamento dei contenuti svolto individualmente e chiarire alcuni aspetti, dall’altro per mettere in gioco tali contenuti di sapere al fine di affrontare compiti più o meno complessi e nuove sfide. L’insegnante tende a smettere e a ridimensionare fortemente la funzione di trasmissione di contenuti culturali e a potenziare la funzione di registra e supporto del processo di apprendimento degli allievi. 46 PARTE QUARTA La didattica in diretta: voci dei protagonisti J. S. Bruner, principi per un approccio educativo J. S. Bruner è uno psicologo statunitense che ha contribuito allo sviluppo della psicologia culturale e cognitiva affermandosi a partire dagli anni ’60 come uno degli studiosi più autorevoli a livello internazionale. Egli discute i principi chiave che guidano l’approccio educativo della psicologia culturale. L’educazione è una delle principali espressioni dello stile di vita di una cultura, non semplicemente una preparazione a esso. 1) Il principio della prospettiva. Il significato di qualsiasi fatto, di qualsiasi proposizione o incontro è relativo alla prospettiva o al quadro di riferimento nei cui termini viene interpretato. Per capire bene il significato di qualcosa è indispensabile una certa consapevolezza dei diversi significati che possono essere attribuiti alla cosa stessa, indipendentemente dal fatto che si concordi o meno con essi. 2) Il principio delle limitazioni. In qualsiasi cultura le forme del fare significato accessibili agli esseri umani sono soggette a due tipi fondamentali di limitazioni. La prima è inerente alla stessa natura del funzionamento della mente umana. per quanto sforzi di immaginazione facciamo, non possiamo costruirci un concetto di sé che non individui una certa influenza causale degli stati precedenti su quelli successivi; non riusciamo ad accettare una versione della nostra stessa vita che neghi l’influenza di quello che pensavamo prima su quello che pensiamo adesso. La seconda limitazione comprende quelle imposte in generale dai sistemi simbolici accessibili alla mente umana ma più in particolare le limitazioni imposte dai diversi linguaggi e dai diversi sistemi di notazione accessibili alle diverse culture. 3) Il principio del costruttivismo. La realtà che attribuiamo i mondi che abitiamo è una realtà costruita. La costruzione della realtà è il prodotto dell’attività del fare significato plasmata dalle tradizioni e dai modi di pensare di una cultura. L’educazione deve aiutare i giovani a usare gli strumenti del fare significato e della costruzione della realtà in modo che possano adattarsi meglio al mondo in cui si trovano. 4) Il principio dell’interazione. È soprattutto attraverso l’interazione con gli altri che i bambini scoprono cos’è la cultura e come concepisce il mondo. Solo la specie degli esseri umani insegna deliberatamente ad altri esseri umani in situazioni diverse da quelle in cui verranno utilizzate le conoscenze apprese. 47 compiute in relazione ad essi. All’età di tre anni il bambino è un esempio di distrazione sensoriale; in tale stadio la memoria visiva è estremamente concreta e specifica. Il bambino è in grado di riprodurre oggetti che erano presenti poco prima, nella stessa forma, però è in grado di riprodurre l’ordine solo nel modo in cui l’ha visto. Il bambino molto piccolo usa il linguaggio come un’estensione dell’atto dell’indicare, usa una certa parola se l’oggetto corrispondente è a portata di mano o ben in vista. Solo gradualmente le parole vengono usate per rappresentare oggetti non presenti e solo più tardi per aiutare la soluzione di problemi mentali. Solo ad uno stadio più avanzato le parole diventano il veicolo per operare nelle categorie del possibile, del condizionale, dell’ipotesi. Elio Damiano, L’Operatore didattico Elio Damiano è stato ordinario di Didattica Generale presso l’Università Cattolica di Milano e l’Università di Parma. I suoi studi riguardano l’innovazione scolastica, la formazione degli insegnanti e i modelli didattici. Riflette sul significato della mediazione in ambito didattico. Definiamo come operatore didattico l’insieme degli interventi pertinenti all’azione dell’insegnare. L’operatore didattico agisce come dispositivo di trasformazione dei contenuti i quali, inizialmente designati come oggetto culturale scientificamente rilevante e socialmente legittimato al termine, a intervento eseguito si presentano come oggetti predisposti per essere appresi. L’intervento dell’operatore didattico è condotto parallelamente sia sull’oggetto culturale sia sul soggetto in apprendimento. La salvaguardia dell’integrità della tradizione culturale è l’altra faccia della integrazione dei giovani. Insieme definiscono l’azione didattica facendo entrambe leva sulla capacità di produrre metafore della realtà. Resta da capire in che modo operare per attivare la funzione di metaforizzazione e con quali strumenti realizzare la sostituzione. Sviluppando l’analisi dell’operatore didattico si può affermare che la mediazione consiste in un processo di metaforizzazione capace di proteggere il soggetto in apprendimento dai rischi dell’esperienza diretta, sostituendo l’oggetto culturale con segni appropriati e corrispondenti. Così l’insegnamento viene definito come azione che produce mediatori. I tipi fondamentali di mediatore sono: - mediatori attivi, che fanno ricorso all’esperienza diretta; - mediatori iconici, che contano sulla rappresentazione del linguaggio grafico e spaziale; - mediatori analogici, i quali si esprimono attraverso i giochi di simulazione; - mediatori simbolici, che consistono nei codici di rappresentazione più arbitrari, convenzionali e universali come i concetti. 50 John Dewey, se esiste in cosa consiste la scienza dell’educazione John Dewey è stato filosofo e pedagogista statunitense, scrittore e professore universitario. Ha contribuito a definire i caratteri di una scienza dell’educazione che assuma l’esperienza educativa come sua fonte primaria. Leggi e regole Le leggi e gli stessi fatti non forniscono regole pratiche. Il loro valore per la pratica dell’educazione consiste nel provvedere gli strumenti intellettuali che saranno usati dall’educatore. Se proprio dobbiamo impiegare la parola “regola” dobbiamo dire che i risultati scientifici forniscono una regola su come condurre le osservazioni e le ricerche, non una regola per un’azione manifesta. Atteggiamenti sviluppati scientificamente Il valore dell’istruzione vera e propria rispetto allo scibile dell’educazione consiste nel suo effetto sulla formazione degli orientamenti individuali nell’osservazione e nel giudizio. Fonti e contenuto La realtà ultima della scienza dell’educazione si trova nelle menti di coloro che dirigono le attività educative. I risultati possono essere scientifici anche senza la loro presenza attiva negli atteggiamenti e nelle abitudini di osservazione, di giudizio di predisposizione programmatica di coloro che sono impegnati nell’atto educativo. Bisogna distinguere tra le fonti della scienza dell’educazione e il suo contenuto scientifico. I processi educativi come fonte Le pratiche dell’educazione forniscono i dati, gli argomenti, che costituiscono i problemi dell’indagine; esse sono l’unica fonte di problemi fondamentali che devono essere studiati. Queste pratiche dell’educazione sono anche la prova definitiva del valore da attribuire al risultato di tutte le ricerche. Le effettive attività nell’atto dell’educazione mettono alla prova il valore dei risultati delle conclusioni scientifiche. Solo la pratica può dimostrare se essi servono o meno. La scienza dell’educazione non è indipendente Abbiamo due conclusioni circa le fonti della scienza dell’educazione. La prima è che le pratiche educative forniscono il materiale che pone i problemi di questa scienza, mentre le scienze che hanno raggiunto già un certo stadio di maturità sono le fonti. Non vi è una scienza particolare e indipendente dell’educazione, ma il materiale ricavato da altre scienze fornisce il contenuto della scienza dell’educazione quando viene centrato sui problemi che sorgono nell’educazione. Mauro Laeng, pedagogia 51 Mauro Laeng, italiano di origine svizzera, ha insegnato nella I e nella III Università di Roma e ha diretto anche il Museo Storico della Didattica. Ha fondato e diretto l’Enciclopedia Pedagogica. Nei suoi studi ha individuato il ruolo della didattica nell’ambito delle scienze dell’educazione. La pedagogia è nata come riflessione sul fatto educativo evidente sotto gli occhi di tutti come il processo che si svolge negli anni dell’età evolutiva durante i quali i genitori e gli adulti apprestano cure affinché il piccolo cresca sano, sereno, intelligente e socievole e apprenda tutto ciò che gli potrà essere utile da adulto. I molteplici apporti di diverse discipline ricevono nel discorso pedagogico una chiara unità di riferimento ma continuano a trarre la loro legittimità scientifica dalle discipline di provenienza. La pedagogia mira a conoscere, agire, influenzare e migliorare il processo educativo. La pedagogia si presenta come scienza teorico-pratica e la ricerca pedagogica ha le caratteristiche di ricerca applicata. I molteplici aspetti studiati dai vari saperi si trovano a metà strada tra due impostazioni unitarie. La prima è che la realtà educativa vive nelle persone che vi prendono parte. Una unità che si trova nella relazionalità interpersonale (arte educativa). La seconda si pone nella aspirazione a un sapere sistematico dei principi, vale a dire nella filosofia. Quindi la pedagogia è un’arte ma è anche la scienza di quest’arte e la filosofia di questa scienza. Poiché il livello dell’arte è il più vicino al piano dell’esperienza individuata e quello della filosofia è il più elevato come astrazione universalizzante e come giustificazione fondante, mentre le scienze particolari si dispongono a mezza via, è naturale concepire i tre livelli come articolati in maniera gerarchica. La pedagogia generale può tentare di dare un assetto sistematico coerente alle sue proposizioni. Fra le proposte vi è quella ricorrente di confrontare in ogni processo educativo il punto di partenza e quello di arrivo. Il processo educativo in quanto tale è un processo finalizzato più o meno intenzionale nel quale la meta che ci si propone deve essere mirata. Esso suppone una tensione fra un dato e un progetto, e quindi tra un fatto e un valore. Da qui deriva una bipartizione della pedagogia tra psicologia ed etica. In realtà tale bipartizione si risolve in tripartizione perché tra i due termini estremi si interpone un’attività di mediazione che costituisce il momento attivo della pedagogia. Oggi si parla di antropologia, teleologia e metodologia pedagogiche. L’antropologia pedagogica indica lo studio dell’uomo educabile e educando integrando tutti i punti di vista che possono concernere il soggetto dello sviluppo come esso si manifesta nell’esperienza confermata dalle scienze e come viene pensato nei costrutti teorici. La teleologia pedagogica riguarda i fini dell’educazione. Essi sono riferiti ai valori che si ritengono da promuovere. Non tutti i valori sono universalmente condivisi, molti di essi sono veicolati da qualche ideologia. 52