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Riassunto del libro leggere i trovatori, Dispense di Filologia romanza

Riassunto del libro leggere i trovatori con tutte le nozioni base per superare l’esame di filologia romanza

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 29/09/2023

nadi529
nadi529 🇮🇹

4.7

(3)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del libro leggere i trovatori e più Dispense in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! 1 La lirica trobadorica La novità della poesia trobadorica secondo Istvan Frank è che essa si esprime in lingua volgare, compresa da tutti (differentemente dalla letteratura latina), è lirica e opera di individui di identità conosciuta (diversamente dalla lirica popolare). Essa è frutto di autori che ne individuano i tratti eccezionali e seri: per essere trovatore non basta un'innata predisposizione, ma bisogna anche saper padroneggiare la composizione dei versi. Poesia, per questi autori, è creazione duratura di qualcosa di valore. Costituiscono la lirica trobadorica le 2542 composizioni di circa trecentocinquanta poeti di nome conosciuto, e di numerosi anonimi. Gli autori della poesia trobadorica sono detti trobadors, al singolare trobaire. Questi componimenti sono scritti in una lingua romanza comunemente nota come provenzale, termine improprio ma comunemente accettato. Tale lingua era parlata nell'area geografica che comprende il Mezzogiorno della Gallia, compreso tra l'Atlantico ad ovest, la frontiera italiana ad est, il Massiccio Centrale a Nord e i Pirenei e il Mediterraneo, a sud; quest'estensione geografica non include un'unica nazionalità o realtà politica, anzi ne comprende alcune che talvolta si scontrano tra loro (tra le più importanti: Aquitania, Guascogna, Tolosa). La lingua dei trovatori è una lingua di koinè, ovvero non una varietà linguistica precisa, ma una varietà omogenea che evita i particolarismi dialettali delle diverse aree in cui si espande e delle lingue materne dei poeti, per garantire flessibilità ai suoi autori e possibilità di comprensione ai suoi fruitori, provenienti da aree anche molto distanti tra loro. Forse questa lingua di koinè tiene come base la varietà linguistica di Tolosa. È da tenere in considerazione che la presenza di alcuni fenomeni linguistici nelle poesie provenzali è da attribuirsi al lavoro dei copisti, non alle scelte dell'autore. I canzonieri Le poesie dei trovatori ci sono giunte solo grazie alle copie pervenuteci attraverso i canzonieri, ovvero antologie contenenti ampie raccolte o sparuti frammenti, compilati tra i secoli XIII e XIV talvolta con la notazione musicale. A partire da Bartsch, autore del Grundriss, tali canzonieri si indicano con le lettere dell'alfabeto (inizialmente le maiuscole erano utilizzate per i manoscritti in pergamena, le minuscole per i manoscritti in carta), consuetudine ancora oggi rispettata. Per quanto riguarda la tradizione diretta esistono circa novantacinque canzonieri provenzali, opera di attento lavoro da copista o comunque di appassionati di poesia. Non abbiamo trascrizioni di tipo giullaresco. La tradizione indiretta è invece composta da citazioni di versi o strofe dei trovatori che si fanno in trattati di precettistica o di grammatica. Alcuni canzonieri sono molto ricchi, e comprendono talvolta opere narrative e in prose, oltre alle liriche dei trovatori. Le poesie sono raccolte per generi o per autori, con le poesie di attribuzione incerta poste alla fine del canzoniere (emergono problemi di attribuzione, anche solo dall'incongruenza tra indicazione dell'autore nel testo e nell'indice). Alcuni canzonieri riportano la notazione musicale della lirica, che ci permette di conservare 256 melodie trobadoriche. Bisogna tenere presente che i canzonieri che ci sono pervenuti sono solo alcuni di quelli esistiti, e il loro giungerci non è che frutto del caso. Abbiamo anche notizia di manoscritti perduti. La poesia trobadorica, con i suoi artefici e la sua composizione perfetta e rigidamente rimata, difficilmente può essere improvvisata. Sembra che il trovatore dettasse talvolta ad un amanuense il suo testo, dopo averlo composto e dopo aver probabilmente redatto una bozza, come ci rivela il trovatore Cerveri de Girona in una sua canzone. Sarebbe tuttavia 2 scorretto negare a questi grandi artisti di essere stati capaci di comporre versi improvvisando: dobbiamo anche tenere conto del fatto che alcuni dei dibattiti fra i trovatori nacquero proprio a partire dall'improvvisazione vis a vis di due poeti, per esempio, anche dello stesso Sordello in risposta a Carlo d'Angiò (in merito alla partecipazione ad una crociata). La condizione generale, tuttavia, è che il trovatore scriva, come ogni poeta colto di ogni epoca, emendando il testo, correggendo gli errori e dedicandogli la massima attenzione possibile. La carta non si era ancora diffusa, dunque tale lavoro era presumibilmente svolto su tavolette di cera, adatte allo scopo per le loro dimensioni (che facilmente contenevano una canzone di dimensioni normali) e per la possibilità di cancellare e correggere che offrivano. La bozza della tavoletta sarebbe poi stata riportata su pergamena dall'autore stesso, in caso fosse un buon calligrafo, o da un chierico amanuense. Questo primo testo, per quanto possa anche non essere direttamente di mano dell'autore, viene chiamato autografo. Grôber suppose l'esistenza dei Lieder blätter, ovvero dei fogli volanti in pergamena sui quali erano trascritte le parole e le musiche delle canzoni trobadoriche, da trasmettere in primo luogo ai giullari, che dovevano impararlo a memoria. Tale ipotesi fu avvalorata dalla scoperta a Madrid, nel 1914, del rotulo delle cantigas galego-portoghesi di Martim Codax, ovvero un foglio di pergamena scritto tra XIII e XIV secolo su una sola facciata a quattro colonne che conteneva testo e melodia di sette canzoni di Martim Codax. Poiché ritroviamo gli stessi testi nel medesimo ordine (senza la melodia) nei canzonieri della Biblioteca Nazionale di Lisbona e di quella Vaticana, possiamo affermare che l'idea di Gröber riguardo ai Liederblatter è azzeccata, e molto probabilmente era di questo tipo la copia autografa licenziata dal trovatore per la sua diffusione. Dopo i Liederblatter, Gröber postula l'esistenza di un secondo stadio della storia testuale delle poesie trobadoriche: i Liederbücher. Essi erano collezioni di composizioni di un solo poeta, raccolte dall'autore stesso o da appassionati di poesia a lui affezionati. Un caso simile a questo è costituito dalla raccolta di 104 poesie di Cerveri de Girona, che costituiscono parte del suo canzoniere e sono raccolte rispettando un ordine vagamente tematico e non cronologico, con l'aggiunta di un titolo, dobbiamo sottolineare che generalmente le poesie trobadoriche non hanno un titolo, ma le edizioni adottano il primo verso per questo scopo. Capita comunque che alcune canzoni, di un certo rilievo, vengano chiamate in modo preciso, come il Vers del Lavador, famoso sirventese di Marcabruno. Un caso curioso è costituito da La canco de les letres di Cerverì de Girona: possiamo affermare con certezza che il titolo è dato direttamente dall'autore, in quanto nessuno dei tre copisti che trascrissero il testo riusci a capire che il titolo era in acrostico (le prime lettere di ogni verso formano il titolo scelto dall'autore), e lo guastarono adattandolo alla loro personale grafia. In alcuni dei canzonieri conservati. Gröber ritenne di riconoscere l'esistenza di Gelegenheitssammlungen, insiemi di poesie di diversi trovatori, anche perduti. Tutti questi elementi, basati su ipotesi confermate o verosimili, danno un'idea dei materiali che composero i fondi che costituirono i canzonieri oggi conosciuti, a partire dal XIII secolo. I canzonieri datati in epoca più antica sono D, del 1254, e V, del 1268. Il processo di trasmissione prima indicato anche secondo le teorie di Gröber non suppone per forza un lavoro precedente alla redazione dei canzonieri. Mentre, come abbiamo visto, il trovatore generalmente non improvvisava, il giullare invece era solito cantare a memoria, talvolta con il rotulo davanti agli occhi. Il problema si pone se immaginiamo che il giullare però dovesse anche accompagnare al suo canto un'esibizione musicale, suonando la viola o un altro strumento, come possiamo osservare dalle molte miniature pervenuteci. L'unica spiegazione possibile, secondo Martin de Riguer, è la conoscenza mnemonica del testo da parte del giullare, perché essa potrebbe anche spiegare la presenza, in diversi canzonieri, di testi dall'ordine strofico alterato, fatto che non può essere giustificato da un ordinamento a capriccio dei copisti. Inoltre questa teoria 5 circostanze della sua fine. Troviamo talvolta anche un giudizio sintetico sull'opera del trovatore o sul suo successo. Le razos cercano di definire i motivi e le circostanze che spinsero un trovatore a Scrivere una determinata poesia, di spiegare gli eventi storici in essa allusi e di identificare i personaggi citati o a cui si fa riferimento, talvolta con una forma narrativa azzeccata e anche con dialoghi. Possiamo affermare che le Vidas servivano ad introdurre un'antologia scritta di testi di un trovatore, mentre le razos erano recitate dal giullare per introdurre la canzone. È possibile inoltre che esse talvolta fossero trasmesse direttamente dal trovatore al giullare in modo che gli spettatori potessero comprendere la canzone nella maniera più completa possibile (pensiamo al problema di un sirventese, per esempio, che per i suoi riferimenti a fatti locali e del momento, nel corso del tempo avrebbe potuto non essére più integralmente compreso). Tanto le Vidas quanto le razos offrono una sorprendente uniformità di stile, formule, espressioni e di lingua, quasi che esse appartenessero ad uno stesso autore o alla medesima scuola. Dei loro autori si hanno poche notizie certe; sappiamo tuttavia che l'autore di una delle redazioni della Vida di Bernart de Ventadorn fu Uc de Saint Circ. Alcuni critici sostengono che tale autore, caorsino, visse in Italia, e questo spiegherebbe la presenza di molti italianismi lessicali nelle Vidas (molte sono attribuite a lui), oltre a fornire la spiegazione delle notizie presenti nelle Vidas riguardo ad aspetti dell'Italia settentrionale. L'unica informazione certa che abbiamo a proposito di Vidas e razos è che esse erano già state composte nel XIII secolo, poiché il loro insieme appare trascritto già in canzonieri di tale epoca. Il valore come documento storico delle Vidas è un problema assai dibattuto tra i critici. Nelle Vidas e nelle razos compaiono con scarsa frequenza elementi che paiono leggendari o che si rivelano fantastici o verosimili, e altri che si contraddicono con ciò che è appurato dalle sicure fonti storiche. Altre volte, invece, le notizie presenti nelle Vidas sono le medesime che ritroviamo nei testi, e dunque l'aggiunta del biografo è nulla, poiché anche il lettore da solo potrebbe giungere all'informazione, con la sola lettura del testo; a questo tipo appartiene la seconda Vida di Marcabruno. Altre volte ancora il biografo esagera, interpretando in modo fantasioso il testo o trasformando in maniera leggendaria alcuni dettagli dei suoi testi. Tutta questa casistica comprometterebbe il valore delle Vidas come documenti, se non fosse che ci troviamo anche in presenza di testi che, analizzati, si sono rivelati di grande valore per gli studi sulla poesia in lingua d'oc. Un esempio è la Vida di Peire Cardenal, scritta dall'amico Miquel de Tor, che lo conobbe e copiò le sue poesie. La Vida di Bernart de Ventador si presenta come una vera e propria incognita, in quanto su tale autore non abbiamo estratti da documenti, né abbondanza di dettagli personali nelle sue poesie. Non si può dunque cadere nell'ingenuità di affidarsi ciecamente ai dati forniti dalla Vida, né negare la veridicità. Conservano a tal proposito le loro potenzialità le conclusioni a cui era giunto nel 1943 Stanislaw Strònski, ovvero: • L'insieme dei dati generali dell'autore è solido, in quanto gli antichi biografi raccolgono le informazioni biografiche come dei veri e propri cronisti, e lo fanno con serietà ed attenzione; tuttavia, è possibile che le informazioni raccolte siano inesatte in qualche punto. • Nelle Vidas e soprattutto nelle Razos, gli autori affrontano le relazioni dei trovatori con le dame impegnandosi a spiegare le allusioni che trovano nelle canzoni. Spesso inventano, sforzandosi di sciogliere enigmi e senhals, e dunque viene meno l'affidabilità del loro ruolo di cronisti. Dunque, è opportuno guardare alle Vidas e alle razos con occhio critico e vigile, senza affidarvisi completamente e scartando tutto ciò che vi sia di non verosimile. Esse 6 comunque costituiscono l'esempio più pregevole di prosa provenzale, raggiungendo a yolta valore narrativo di grande merito, con scene preziose e ben strutturate. La poesia trobadorica era composta per essere accompagnata musicalmente, recitata da giullari (joglars in provenzale). Solo quando ciò avveniva, allora essa poteva essere considerata "pubblicata". Nel Medioevo vi era una moltitudine di tipi di giullare, denominazione nella quale rientrano persino pagliacci, funamboli, acrobati, coloro che mostrano animali ammaestrati eccetera. Il giullare cui facciamo riferimento è colui che canta un'opera letteraria, e può essere giullare di gesta e giullare di lirica. Il primo è colui che espone una materia episodica e lunga nella quale è lecito introdurre cambiamenti e improvvisare nel momento del bisogno; è la figura più popolare tra le due. Il giullare di lirica, invece, era obbligato a diffondere le poesie dei trovatori così come essi le avevano composte, in quanto il testo, seppur breve, a volte presentava grandi complicazioni ritmiche e metriche, e una melodia con virtuosismi delicati. Il giullare era insomma un aiutante imprescindibile del trovatore, poiché senza di lui l'arte sarebbe rimasta ignorata. Sembra che i trovatori di alto lignaggio o con possibilità economiche avessero giullari personali che si limitavano a cantare le loro poesie. Il giullare spesso aveva un nome che alludeva a colui da cui dipendeva. Molti trovatori iniziarono la loro attività poetica partendo dall'attività giullaresca, mentre altri si trovarono costretti, da trovatori, a lavorare come giullari. I trattatisti medievali di poetica Il desiderio precettistico per quanto riguarda la composizione dei versi è un problema che preoccupò molto tanto i trovatori quanto i copisti dei canzonieri, in quanto essi si sforzarono di disporre le loro antologie per generi letterari. Agli inizi del XIII secolo comparvero i primi trattati in provenzale destinati a chi volesse scrivere elegantemente e correttamente; tali testi, che avevano come modello le retoriche e le arti poetiche latine, contenevano dunque precetti di tipo grammaticale, versificatorio e stilistico. Era innanzitutto fondamentale scrivere in modo grammaticalmente corretto nella lingua dei trovatori. Per questo motivo i primi due trattati che si analizzeranno sono destinati ad istruire dal punto di vista linguistico e grammaticale coloro che (soprattutto italiani e catalani) desiderano scrivere correttamente in lingua d'oc. Il primo trattato che vediamo è composto da Raimon Vidal de Besalù, autore di liriche, prose e di un curioso fabliau, ma ora trattiamo in quanto autore della grammatica per imparare a scrivere correttamente nella lingua dei trovatori, la Razós de trobar (in un manoscritto definita anche Regles, titolo che eviteremo in quanto fuorviante e confondibile con un'altra opera). L'importanza di quest'opera è che essa costituisce la prima grammatica scritta in una lingua romanza, ma non tratta aspetti di tipo prettamente letterario e versificatorio; per supplire a tale mancanza, alla fine del XIII secolo si aggiunse al la Razós una Doctrina de compondre dictats, anonima, redatta da un catalano. Essa classifica e definisce alla perfezione i generi letterari. La Razós fu adattata in versi tra il 1282 e il 1296 da Terramagnino da Pisa, nella sua Doctrina d'acort. Nel 1243, in Italia Uc Faidit compose, ad uso di italiani, il trattato Donatz proensals (titolo basato sul nome del famoso grammatico latino Donato), costituito da una grammatica e da un esteso dizionario delle rime, accompagnate da traduzione latina. Non ci sono aspetti di precettistica né di versificazione. Altri trattati sono le Regles de trobar del catalano Jofre de Foixa, scritte in Sicilia tra il 1289 e 1291 (essenzialmente una grammatica ricca di citazioni di trovatori e osservazioni metriche), il Mirall de trobar di Berenguer d'Anoya, nativo di Maiorca (l'opera è di contenuto grammaticale e retorico, con esempi di buoni trovatori). 7 Las levs d'amors redatte dal giurista tolosano Guilhem Molinier costituiscono il più esteso dei trattati, di grande ricchezza per le sue parti grammaticali, retoriche, stilistiche e versificatorie. Le redazioni dell'opera sono tre: la prima, in prosa, è datata 1328- 1337; la seconda, in versi, 1337-1343; la terza, in prosa, 1335. I trattatisti che verranno successivamente si rifaranno a tale opera, mentre in ambito catalano, più tardi, appariranno due opere che vennero consultate con profitto dai catalani della fine del XIV secolo: il Libre de concordances o Diccionari de rims (1371) di Jacme March e il Torcimany di Luys d'Averço, esteso trattato di retorica seguito da un ricco dizionario delle rime. Versificazione La poesia provenzale, in opposizione a quella altina colta, si basa sul numero di sillabo del verso e sulla rima. La linea o unità metrica che noi definiamo verso non è chiamata dai provenzali in modo particolare né dai trovatori, né dai trattatisti più antichi, mentre Las leys d'amor la definisce bordo, aggiungendo che esso non deve invece essere chiamato vers in quanto questo termine designa un tipo di composizione. Per quanto riguarda la misura del verso, bisogna tener presente che il calcolo delle sillabe si fa in accordo con il numero dell'ultima tonica, in contrasto con l'uso italiano e castigliano, che conta una sillaba in più dopo l'ultima accentata. Las levs d'amors afferma che il verso più lungo è quello di dodici sillabe, e quello più corto di quattro, ma tali affermazioni sono false: infatti troviamo in Guglielmo IX d'Aquitania e in Marcabruno il verso di quattordici sillabe, mentre in una canzone di Cerveri di Girona i versi sono composti da una o due sillabe, in alternanza. Il calcolo delle sillabe nella poesia provenzale è sempre esatto, in quanto essa è composta per essere cantata con una melodia colta e raffinata. Quando ci troviamo di fronte ad un alterazione, essa è solitamente da addurre alla corruzione dei canzonieri, dove in genere i versi sono copiati di seguito, non in colonne. Analizzando coblas di Raimon de Miraval, vengono segnalati alcuni difetti che si possono generare nel verso: la sincope di una parola (per renderla più breve), la falsità (che può interessare tanto il metro quanto la rima) e l'ipermetria (la parola "*troppo piena" che rende il verso ipermetro). A partire dal decasillabo i versi presentano la cesura che li divide in due emistichi, a volte distinti: il primo è composto da quattro sillabe, con accento sulla quarta (prima della pausa), il secondo da sei: Si tuit li dol / e-lh plor elh marrimen Questo verso sarà quello dominante nei poeti catalani dei secoli XIV, XV e degli inizi del XVI, che lo erediteranno dai trovatori. Da osservare vi è il fatto che i copisti dei canzonieri catalani avevano una tale coscienza della cesura che la segnalavano dividendo gli emistichi con uno spazio o una lineetta obliqua. Gli emistichi in forma 4+6 sono detti nella trattatistica attuale a minori, mentre quelli nella forma 6+4 si chiamano a maiori. Esistono inoltre quelli con cesura mediana (5+5). E da segnalare anche la cesura epica, in cui il primo emistichio ha cinque sillabe, il secondo sei ma la quinta sillaba, a volte detta muta, non compare nel calcolo. Si ha invece cesura lirica quando il primo emistichio, di quattro sillabe, termina con una sillaba atona, come in Bernart de Ventadorn (Be m 'an perdut lai enves Ventadorn): En Proensa / tramet jois e salutz Il verso di dodici sillabe (il cosiddetto alessandrino) si divide in due emistichi uguali (6+6). La rima, chiamata indistintamente al maschila rim o al femminile rima, è rigorosamente perfetta, con completa identificazione di vocali e consonanti a partire dall'accento. 10 ad invenzioni sorprendenti e permanenti come la sestina, creata da Arnaut Daniel, nella quale la parola-rima occupa un posto che vara grazie ad una rigida alternanza. Le poesie dei trovatori di solito terminano con una o varie strofe di minor numero di versi, dette tornadas, alle quali alcuni davano il nome di finidas. La tornada deve obbligatoriamente ricalcare le rime degli ultimi versi della strofa precedente. Le tornadas possono essere più di una (fino a quattro) e solitamente in esse il trovatore fa considerazioni generali e conclusive sul tema della poesia. Possono anche contenere dediche alle persone cui il poeta vuole dedicare il componimento (il protettore, il signore, la dama, eccetera), o al giullare che deve portarla in qualche posto e cantarla. Spesso le tornadas variano totalmente a seconda dei canzonieri o delle famiglie di canzonieri: ciò è conseguenza del fatto che la poesia è stata inviata contemporaneamente a più persone oppure al fatto che il trovatore, tempo dopo aver composto una poesia, desidera rimetterla in circolazione. Il refranh, ovvero il ritornello, che sia un verso o un insieme di versi che si ripetono in un posto fisso di ogni strofa, figura talvolta nei sirventesi, nelle cansó eccetera. Ogni volta che appare, esso deve essere esatto, anche se alcuni componimenti presentano variazioni interessanti. Il mot refranh è la parola che riappare in ogni strofa, in rima, allo stesso verso. E un procedimento che incontriamo fin dai primi trovatori (per esempio in Guglielmo IX). Generi condizionati dalla versificazione Alcuni dei generi coltivati dai trovatori non sono caratterizzati dal loro contenuto, bensì dalla loro versificazione, soprattutto per quanto riguarda lo strofismo; in primo luogo, osserviamo la balada e la dansa, che come possiamo intuire erano utilizzare per ballare e danzare. Si eseguivano mediante la collaborazione di un solista e di un coro, che eseguiva il refranh. Per distinguere la balada dalla dansa occorre valutare la disposizione interna dei versi della strofa cantata dal solista rispetto al refranh. La balada consta nei seguenti elementi: un refranh composto da un distico in rima (AA); tre versi che costituiscono la strofa del solista, di cui due formano un distico che non rima con il refranh, mentre il terzo verso rima con esso (bba); alla fine si ripete il refranh. Dopo il primo verso cantato dal solista (quindi b) il coro ripete il primo verso del refranh. Otteniamo quindi il seguente schema: AA bAbaAA. Ecco un esempio di balada di autore anonimo (i versi in grassetto erano quelli destinati al coro): D'amor m'estera ben e gent s'eu ma dona vis plus sovent. Balada faz ab coindet son, d'amor m 'estera ben e gent, qu'a ma bela don a randon, quar ai estat tant lonjament. D'amor m'estera ben e gent, s'eu ma dona vis plus sovent. Le rime del refranh e delle strofe possono essere le stesse. Si conservano solo nove baladas, tre di Cerveri de Girona e sei anonime. 11 Nella letteratura francese il tipo di canzone detto rondel o rondeau corrisponde alla balada, e lo studioso Spanke segnala l'esistenza di rondel latini che avrebbero dato origine a questo modello di poesia romanza. Nella dansa strofe e refranh non si mescolano. Il refranh è formato da quattro versi, mentre le strofe da otto, di cui gli ultimi quattro rimano con il refranh. Gli antichi trattatisti, che chiamano questa composizione respós, avevano grande considerazione di essa. La Doctrina de compondre dictats dichiara che la dansa esige una melodia nuova e originale, mentre Les leys d'amors la definiscono con esattezza e precisione. Si conservano trenta dansas provenzali. Questo genere è imparentato con il virelay francese e ha antecedenti latini nei brani liturgici di San Marziale di Limoges. Per la viadeira, un genere di caratteristiche popolari, l'unico modello antico conosciuto è No-l prenatz lo fals marit, di Cerveri de Girona. Del sonetto di tipo italiano esistono tre modelli nella letteratura provenzale, due di Dante da Maiano e un altro di Paolo Lanfranchi da Pistoia (1285). E da ricordare che il sonetto è differente dalla voce provenzale sonet, che indica invece la melodia delle composizioni dei trovatori. Altri generi dipendono quasi esclusivamente dalla melodia, di modo che il loro testo scritto è qualcosa di sincopato ed elusivo, tanto che spesso la traduzione risulta inutile, poiché le parole rimangono relegate ad un mero supporto della musica. A questo gruppo appartengono generi come l'estampida e la retroencha (che presenta il refrank). Il descort ("disaccordo") si differenzia in quanto composizione in cui ogni strofa ha una formula metrica distinta, e dunque una melodia individuale (se ne conservano una trentina). Questa caratteristica contrasta con il principio dell'isometria, al quale obbediscono tutti gli altri generi, ma permette una grande varietà e ricchezza di metri, rime e melodie. Generi condizionati dal contenuto I principali generi della letteratura trobadorica fondano la loro essenza e le loro peculiarità in ragione del contenuto in essi sviluppato. Potremmo operare una distinzione generale tra generi di contenuto amoroso e generi di contenuto morale-politico, collocando ai due estremi la canzone ed il sirventese, sebbene in pratica queste due tendenze talvolta si mescolino. Protagonista della lirica amorosa trobadorica è la cansó, ma alcuni trovatori parlano di vers per designare le loro composizioni, senza distinzione tra metro lungo o breve, fra temi sfrontati o platonici, dunque senza distinzione di forma o contenuto. Secondo l'opinione di Rimbaut d'Aurenga, si può azzardare che la cansó era facile e piana, mentre il vers era incomprensibile per i non esperti. I passaggi trascritti rivelano però ciò che poi accadrà con Bernart de Ventadorn, ovvero che cansó prenderà il posto del termine vers. Eppure, originariamente i due termini sottintendevano cose diverse. Vers non indicava la linea lirica, bensi una composizione in versi, in latino; esso era un genere musicale letterario coltivato nell'abbazia di San Marziale di Limoges alla fine dell'XI secolo, e la cui versificazione sembra il modello di quella usata da Guglielmo IX d'Aquitania, primo trovatore. Nel XIII secolo rinasce però nella poetica provenzale la parola vers, con un contenuto preciso. Si applica a composizioni di tipo morale, e si fa risalire non più al versus liturgico latino, ma al latino verus, dal quale effettivamente deriva l'aggettivo provenzale vers ("vero*). A testimonianza di ciò, Peire Cardenal ci offre un vers nel quale ci dice che "nessuna canzone va chiamata / vers, se non è vera In tutte le sue “parti”. 12 I vari trattati di poetica affermano che la canso debba avere da cinque a sette coblas e una tornada. Si insiste dunque in questi testi sulla dignità della canso, genere esclusivamente amoroso che deve avere una melodia propria. Essa però può anche rivestire diverse modalità che la allontanano un po' dai canoni più approvati, fino al punto che queste modalità vengono catalogate dai trattatisti medievali come generi poetici secondari (come l'escondich o difesa dalle accuse; la mala canso, nella quale si parlava male della dama; il salut d'amor, epistola amorosa in versi, in distici a rima baciata e di considerevole estensione). L'ira, il rimprovero, l'attacco virulento, la polemica letteraria e il discorso moralizzatore sono invece gli ingredienti costitutivi del sirventese. Esso si costruiva sulla base melodica di una canso esistente, e ciò avveniva non in quanto esso era un genere inferiore alla canso, ma per due fattori. In primo luogo, il sirventese (soprattutto quello personale e politico) è un testo di pesante attualità, che potrebbe perdere nel caso in cui non fosse presentato subito dopo i fatti che esso racconta: non vi è il tempo, dunque, per elaborare e comporre una melodia nuova (il lavoro era particolarmente lungo e complesso). Inoltre, se si utilizza una struttura metrica e una melodia già conosciute (anche straniere), è più facile che il sirventese raggiunga una divulgazione assai estesa ed un gran numero di ascoltatori. Talvolta saranno gli stessi trovatori ad informarci di aver preso la melodia o la struttura metrica di un altro trovatore. La parola sirventese appare quasi simultaneamente a metà del XII secolo in testi provenzali e francesi. L'etimologia proposta è duplice, e parte dal Medioevo: una parte dal fatto che il sirventese si serve dello strofismo e della melodia di una canzone preesistente; l'altra ammette che si tratta di un documento di poesia scritta da un servitore (servens). Entrambe le etimologie sono riportate dalla Doctrina de compondre dictats, mentre Las leys d'amors accredita solo la prima. Il sirventese può essere classificato dal punto di vista pratico in quattro grandi gruppi. • Sirventese morale. Rimprovera le cattive abitudini e gli abusi, o dà precetti.
 Tipico del trovatore Marcabruno, è impegnato nell'atteggiamento etico, ed è contro la degenerazione delle virtù cavalleresche e delle condizioni morali inammissibili. • Sirventese personale. Si basa sull'attacco, la satira e il sarcasmo diretti contro persone odiate dall'autore, a volte con l'ingerenza di questioni politiche. Spesso la sua interpretazione è difficile, in quanto si è poco documentati sui personaggi chiamati in causa. • Sirventese politico. È la modalità di sirventese che più ci permette di conoscere fatti, atteggiamenti ed opinioni dell'Europa occidentale dell'epoca. Il trovatore si fa portavoce di un paese, di un signore o di una fazione politica, e ne difende l'azione o le idee senza cessare di attaccare le fazioni avverse. Re e grandi signori cercavano di circondarsi di trovatori che potessero diffondere e legittimare la loro condotta, screditando quella dei nemici. Grandi temi trattati dal sirventese politico saranno la Reconquista spagnola, la guerra degli albigesi (che origino sirventesi contro la Francia e la Chiesa; è il tipo testuale in cui la passione è più accesa, in quanto è strettamente legata alla terra di origine dei trovatori), gli affari d'Italia (sia interni, sia quelli riguardanti l'intervento nella penisola di personalità quali Carlo d'Angiò, gli imperatori tedeschi e i re d'Aragona), le lotte tra la corona di Francia e quella d'Aragona nella seconda metà del XIII secolo (fatto che porterà alla presenza di trovatori francesizzanti), le crociate d'Oriente (possiamo includere qui il genere della canso de crozada). • Sirventese letterario. La polemica letteraria compare fin dai primi tempi della poesia trobadorica, anche se si esprime principalmente in composizioni che potremmo definire "manifesti e nei débats. Tuttavia non sono rari sirventesi in cui i trovatori si criticano. Assai celebre, ed utile per la collocazione storica dei trovatori, è Cantarai d'aquesta 15 Si conservano in totale otto tornejamens. • La cobla (o cobla dialogata) è un dibattito breve (una o due strofe), a volte accompagnata da una tornada. Non deve essere confusa con la denominazione della strofa della lirica provenzale. Quella che La levs d'amors definiscono cobla tensonada è una strofa, o un breve insieme di strofe, con tornada, nella quale i dialoganti intervengono in versi all'interno della stessa strofa. In questi generi dialogati il trovatore che prende la parola ha il grande vantaggio di imporre uno strofismo, delle rime e una melodia al suo avversario, che si vede obbligato a seguirlo. Questo permette a chi avvia la competizione di mettere in difficoltà l'avversario con rime difficili, difficoltà che poi, nella risposta, tuttavia dovrà affrontare egli stesso. Le origini del dibattito tra i trovatori non sollevano seri problemi, poiché la poesia dialogata, reale o fittizia, è sempre esistita, e ancora conservala sua vitalità popolarmente, come nei canti a sfida prima citati. Influi certamente su di esso il conflictus latino medievale, tanto vivo fin dall'epoca carolingia; l'arte giullaresca gli conferì spontaneità e tecnica. La formazione e la cultura dei trovatori La tecnica formale cui si sottopongono i trovatori è complicata, difficile e assai rigorosa. Il trovatore deve creare contemporaneamente le parole e la musica della canzone, assoggettarle a leggi metriche e ritmiche inviolabili e a scemi strofici fissi, nei quali non è tollerata libertà poetica o incapacità tecnica. Questa consapevolezza, insieme alle dichiarazioni di alcuni trovatori, ci fanno comprendere la lentezza nella composizione, che richiedeva grande attenzione e perizia. Il trovatore non può improvvisare. Per acquisire la tecnica deve studiare, e questi studi non sono facilmente accessibili. In particolare la musica esige per chi la compone una formazione determinata che né la predisposizione naturale né l'orecchio fine possono comprendere. Nei centri culturali di formazione si studiava dunque l'arte della composizione musicale, non solo nel suo aspetto teorico ma anche nella pratica della composizione, che avveniva soprattutto nelle scuole monastiche (fiorenti nel Sud della Gallia). La grande raffinatezza della poesia e il suo abbinamento alla melodia, composta anch'essa dal trovatore, fanno presupporre che i poeti avessero una solida base retorica, che corrisponde e coincide con i dati che si possiedono riguardo all'insegnamento della poetica e dell'ars bene dicendi del loro tempo. L'opera Les arts poétiques du XII et du XIII siècle di Edmond Faral (Parigi, 1923) offre una base solida agli studi sulla formazione letteraria dei trovatori, e su quanto essi fossero strettamente legati alla retorica delle scuole medievali. I modelli per l'educazione retorica dei trovatori erano la Retorica ad Herennium di Comificio (nel Medioevo attribuita a Cicerone), il trattato ciceroniano De Inventione, e l'Ars poetica di Orazio. Faral sostiene inoltre una sostanziale continuità, in riferimento alla conoscenza della retorica latina classica, anche durante l'epoca dei trovatori, scongiurando l'ipotesi secondo la quale gli autori provenzali medievali avessero scarsa conoscenza dei poeti latini. La tradizione della cultura latina si mantenne sempre con molta forza nella terra in cui nacquero i trovatori. L'arte dei trovatori riproduce gli insegnamenti appresi da costoro nelle scuole, e una parte del loro ideale poetico è in fondo un trasferimento nella lingua volgare di ciò che videro teorizzato per la composizione latina nei trattati di retorica che studiarono. Le arti poetiche medievali sono di grande aiuto per spiegare la divisione cosciente in due stili che appaiono palesemente nella lirica provenzale a partire dalla prima metà del XII secolo, fenomeno tra i più interessanti della lirica volgare del Medioevo. La conoscenza di tale nozione permetterà di comprendere fino a che punto la retorica dei trovatori dipende direttamente da quella latina medievale e, attraverso di essa, si riallaccia a quella della letteratura latina classica. 16 Dal punto di vista puramente stilistico, fin dagli inizi della lirica trobadorica notiamo come i poeti si distinguono relativamente al loro modo di esprimersi: il trobar leu e il trobar clus. Gli stessi trovatori, consapevoli di tale divisione, si "etichettano" ed indicano a quale gruppo appartengono, attaccando talvolta coloro che appartengono all'opposto. E da notare quanto il problema dello stile attanagli i trovatori del XII secolo, e come esso sia analizzato e dibattuto con intelligenza ed attenzione. Il trobar leu significa letteralmente "*versificazione semplice", "*poesia facile, leggera, chiara", espressioni con cui viene definito il suo stile: l'espressione è semplice, l'uditorio può comprendere con facilità, senza trovarsi di fronte a stilemi complicati o a pensieri eccessivamente ornati. Il valore del poeta sta nell'equilibrare tale semplicità evitando di cadere nel banale o nel volgare. Esponenti del trobar leu sono Bernart de Ventadorn. la Contessa di Dia e Jaufrè Rudel. Il trobar clus invece può essere provvisoriamente definito "poesia ermetica", "verseggiare chiuso", ad indicare una maggiore difficoltà, singolarità, acutezza e ricercatezza della poesia. Il trobar clus propriamente detto, quello di Marcabruno e della sua scuola, appare nei primi tempi della poesia trobadorica. Il suo ermetismo si basa su una dizione enigmatica, dovuta ad un'eccessiva sovrabbondanza di concetti, che degenera nell'oscurità, aumentata dall'uso di un linguaggio di tono popolare e basso per noi difficile da capire letteralmente. L'ermetismo del trobar ric invece, diverso dal trobar clus, si deve a ragioni diverse. Arnaut Daniel ne è il più tipico rappresentante, attento alla bellezza della forma, alla sonorità della parola, al fascino del suono, alla scelta di un vocabolario ricercato, Una volta che tale linguaggio è decifrato, i concetti ed il nesso di idee si percepiscono con chiarezza totale. Dunque, sin dall'inizio, esisteva una biforcazione radicale tra la scuola semplice del trobar leu e quella ermetica del trobar clus e del trobar ric, di cui erano coscienti gli stessi trovatori. Questa distinzione affondava le sue radici nella distinzione, presente nella retorica latina medievale, tra ornatus difficilis (o modus gravis o egregie loquor) e ornatus facilis (o sermo levis) che si rifaceva alla Retorica ad Herennium pseudociceroniana. I poeti provenzali, scrivendo in volgare, riproducevano i concetti stilistici e le distinzioni teoriche che si insegnavano alle scuole del tempo loro, e che sviluppavano i retori a loro contemporanei. Prediligevano inoltre l'oscurità e l'ermetismo. Possiamo dunque concludere che i poeti provenzali, per quanto riguarda stile e tecnica, Sono strettamente vincolati alla formazione che ricevettero nelle scuole medievali, le cui arti poetiche studiarono e poi misero in pratica nella loro creazione letteraria. Poesia feudale La tecnica letteraria e stilistica dei trovatori è il risultato della retorica medievale così come la concepirono le scuole quando interpretarono quella classica. Questa tecnica, sempre perfetta e rifinita, sottomessa ad un incessante processo di limatura e sistemazione, racchiude talvolta un'ideologia e dei concetti che divergono dal pensiero della poesia latina classica e dalla mentalità moderna. Quasi sempre, la canso trobadorica è amorosa, e destinata alle dame. Quelli che noi incontriamo nella lirica provenzale e interpretiamo come tópoi o luoghi comuni, ripetuti mille volte in poesia, sono la manifestazione di uno spirito e di un concetto di vita determinati e stabili, che fino ad allora non emersero. Non dobbiamo correre il rischio di prendere tali elementi come pure formule nella poesia trobadorica, anche se corriamo questo rischio in quanto essi furono i modelli e gli archetipi di ciò che ritroviamo nella poesia occidentale. 17 Il lettore che per la prima volta si accosti alla canso sente di trovarsi davanti ad una situazione di uniformità negli atteggiamenti e nei sentimenti dei poeti; in realtà, tra i vari componimenti ed autori spesso intercorrono decenni. Ouesta sfocatura è dovuta al fatto che i trovatori dei secoli XII e XIII compongono le loro liriche entro determinati limiti sociali e spirituali, dai quali non vogliono né possono uscire. Il compito di un buon critico è quello di evidenziale l'individualità e le caratteristiche peculiari di ciascun trovatore, all'interno di un contesto così delimitato. La poesia trobadorica, nata nel Meridione della Gallia quando tale zona era costituita da unità politiche più o meno indipendenti tra loro, presenta una serie di caratteristiche che la integrano in questa situazione politica, sociale e gerarchica. Il trovatore, di qualsiasi estrazione sociale, è intimamente legato alle corti nelle quali vive e delle quali vive: fondamentale è la considerazione dell'opposizione cortezia/vilania, con il disprezzo della vila a favore della cort, del villano a favore del feudale (o aristocratico). Amour courtois è un'espressione utilizzata per la prima volta nel 1883 da Gaston Paris nel suo studio sul Lancelo di Chrétien de Troves, in realtà, sarebbe più fedele agli antichi trovatori l'espressione fin amors, ma lo stesso Pire d'Alvernha usa intenzionalmente cortez amor in una suona lirica. L'amor cortese è stato ed è oggetto di continue dispute ed opinioni, oltre che di interpretazioni che lo rintracciano anche in letterature assai lontane da quella trobadorica. La contestualizzazione della poesia trobadorica all'ambito del feudalesimo è precisa e vincolante, e non ci permette di esulare da questa caratterizzazione storica e sociale nella valutazione della lirica che stiamo analizzando. L'amore è il tema centrale della canso trobadorica, amore provato da un uomo verso una donna, con certe condizioni e limitazioni, con alcune espressioni e lessico particolari. Addentriamoci nei testi. Il trovatore Guillem de Berguedà (1138-1192) era signore di cinque castelli, aveva vassalli e militari ai suoi ordini e a sua volta era vassallo per uno dei suoi feudi. Dunque era un uomo per il quale le formule e le cerimonie di vassallaggio e di omaggio feudale erano familiari. Quando Guillem intraprese l'attività di trovatore, si rivolse alla sua dama esattamente in questi termini, trasponendo il servizio del vassallo al suo signore in quello dell'innamorato nei confronti della sua dama. Traducendo i suoi versi, a noi uomini contemporanei essi non comunicano immediatamente il contesto ed il valore che esso aveva per Guillei. Dobbiamo calarci nella contestualizzazione storica, e analizzando questi versi interpretando il lessico del feudalesimo ne recupereremo il valore: pensiamo alla potenza espressiva e di significato che acquista il verbo servir, che diventa praticamente sinonimo di amare. Ouesto esame ci chiarisce dei versi che all'uomo di oggi dicono ben poco, e li riempie invece del significato che avevano all'epoca in cui furono composti. Il contesto ed il lessico feudale sono fondamentali dunque per esprimere anche concetti e sentimenti che non hanno a che fare con rapporti vassallatici veri e propri, ma come tali sono concepiti in quanto questa è l'essenza della società feudale, e solo così tale rapporto può essere espresso. Un linguaggio originariamente tecnico, con voci ed espressioni proprie del documento giuridico o del codice feudale, inizia a comparire in versi che trattano d'amore. Ma siccome si finge che questo sentimento vada da un poeta-vassallo ad una donna-dama, l'adattamento di questa similitudine costante si fa naturale e logico. I concetti di fedeltà, tradimento e delitto, specificamente trattati e previsti nel diritto feudale, sono perfettamente applicabili alle relazioni amorose. Dobbiamo inoltre tener conto del fatto che alcuni termini che a noi sembrano utilizzati come immagini, sono semplicemente utilizzati dai trovatori in quanto appartenenti al lessico corrente e diretto. Per esempio, se si dice di avere, nella donna, il proprio feudo, non significa letteralmente di possedere un feudo vincolato alla 20 "piacere, godimento, allegria, gioia"; ovviamente la situazione si complica se consideriamo il suo utilizzo da parte dei vari poeti. Jean Frappier afferma che joi traduce un'esaltazione interiore, uno stato dello spirito che innalza l'uomo al di sopra di se stesso, un'allegria così violenta che tutto l'essere appare totalmente separabile dal desiderio e dal piacere amorosi, e i trovatori lo associano alla natura in primavera e al canto degli uccelli. In esso non si cancella mai totalmente l'idea di una felicità carnale. Joi è la derivazione pittavina di gaudium (parallela al francese joie). Joi dovrebbe derivare da joculum, "gioco". La canzone provenzale è un'analisi dettagliata del lato più esteriore della passione amorosa. Non manca l'amore interpretato allegoricamente, con elementi più o meno ovidiani. L'autore anonimo di un salut d'amor (metà XIII secolo) ci spiega che in amore ci sono quattro "gradi", che corrispondono a quattro situazioni in cui si trova l'innamorato rispetto alla dama: fenhedor (*timido"), pregador (*supplicante"), entendedor ('innamorato accettato"), drutz (*amante*). Inizialmente l'innamorato, timoroso, non osa dirigersi alla dama (primo stadio), ma se lei gli dà coraggio affinché egli possa esprimere la sua passione, passa alla categoria di pregador. Se la dama gli concede doni, denaro o pegni d'affetto, l'innamorato ascende allo stadio di entendedor. Infine, se la dama lo accetta nel letto, egli diventa drutz. Forse questo testo pecca di un eccessivo intento classificatore, ma questi quattro stadi sono spesso rintracciabili nelle liriche provenzali. Inoltre, è da notare come lo stadio del drutz sottolinei il fine molto concreto e determinato, il fach, cui tendeva l'amante, o "atto della copulazione". Se per molti trovatori la lirica è elucubrazione esente dal riferimento e desiderio carnale delladonna, il discorso non può essere generalizzato a tutti e trecentocinquanta i trovatori, che vissero nell'arco di due secoli. Affermare che la fin 'amors non possa aspirare all'unione fisica sarebbe assurdo; non avrebbe senso, per esempio, un genere come l'alha, che presuppone già consumata l'unione tra i due amanti. Va considerata anche l'alta tensione sensuale delle trobairitz, in cui il linguaggio delle donne è così simile a quello dei più audaci trovatori, testimonianza che i poeti provenzali non erano semplici platonici. L'amore trobadorico esige soprattutto la discrezione del poeta, poiché la dama di cui canta il poeta è una donna già sposata. Ella è, in quanto domina già sposata, una signora, e dunque è capace di dominio e di signoria. I matrimoni delle classi elevate non erano frutto di relazioni sentimentali, ma di interessi politici ed economici; per questo motivo l'amore adulterino acquisiva un' importanza spirituale notevole, poiché era basato su un sentimento di affetto reale. Nemici del trovatore sono il gilós (o geloso), cioè il marito della dama, e i lausengiers, gli adulatori ma anche maldicenti. Infatti il signore disponeva di grandi poteri, e le schiere di maldicenti potevano riferire la minima dimostrazione di infedeltà della dama per garantirsi i favori del suo sposo. La gelosia quindi, tema fondamentale in tanti racconti romanzeschi, implica a volte aspetti dell'avareza, della volontà di essere l'unico oggetto del desiderio della dama. Al fine di tutelare il segreto amoroso, la dama viene designata con uno o più pseudonimi che acquistano il nome di senhal, come citato nelle Leys d'amors. Il primo a farne uso è Guglielmo IX d'Aquitania, con il senhal di "Bon Vezi", ovvero Buon Vicino. Generalmente, sotto un senhal il poeta cela solo ed esclusivamente una dama; quindi, se più poeti cantano di una dama evocata con il medesimo senhal, molto probabilmente stanno cantando la stessa dama. Tuttavia, il senhal non cela solamente il nome della dama, ma anche quello di colleghi trovatori: per esempio, in Bernart de Ventadorn sotto lo pseudonimo di Tristan si cela Raimbaut d'Aurenga. Per quanto riguarda l'origine del senhal, essa è da rintracciare nei nomi letterari affibbiati ai membri della corte carolingia (come Flaccus per Eginardo) o ancor di più ai soprannomi 21 dati ai re (Riccardo Cuor di Leone), piuttosto che ai nomi fittizi usati dai neoteroi latini per mascherare il nome delle loro innamorate. Il senhal è molto utile dunque per il provenzalista, anche se spesso è difficile scoprire chi si celi davvero dietro esso; ci si può aiutare con le Vidas o con le razos, ma bisogna procedere con cautela e senso critico. I senhals, poiché come abbiamo visto, sono inequivocabilmente legati ad un'unica dama, possono offrire strumenti per l’attribuzione di liriche anonime o controverse. Altri versanti della poesia trobadorica Composta da uomini cristiani - non si conoscono trovatori di diversa fede religiosa - per un pubblico cristiano, la poesia trobadorica, essenzialmente profana, presuppone una formazione religiosa. L'epoca in nacquero e vissero i trovatori vedeva la Chiesa essenzialmente protagonista della vita anche culturale e scolastica; ecclesiastica fu infatti la formazione dei trovatori, ed è assai verosimile che molti ebbero catechismi di formazione morale cristiana e opere di ascetica e di mistica. Alcuni ebbero incarichi e dignità ecclesiastiche, altri deposero l'abito, altri ancora, come Bernart de Ventadorn, finirono i loro giorni in convento. Non stupisce, dunque, che nella poesia profana dei trovatori si sia avvertiti un fondo considerevole di nozioni e di elementi religiosi. È poi evidente che in generi particolari, come la canzone di crociata, tale sottofondo religioso si fa più intenso. Mentre una corrente più antica, il cui solco fu tracciato da Diez, considerava insignificante il versante religioso nei trovatori, una nuova tradizione inaugurata dagli studi di Diego Zorzi mette in chiaro come nella letteratura provenzale, come in tutte quelle occidentali del Medioevo, il fattore religioso abbia ampiezza e consistenza. Esistono infatti, prescindendo da generi di carattere puramente religioso, canzoni trobadoriche di carattere puramente religioso. Alcune di esse hanno carattere riflessivo, di penitenza e di pentimento, o sembrano effetto di crisi morali. Addirittura, in una canzone di Guiraut Riquier si arriva a designare la Madonna con un senhal a lei dedicato, Belh Deport. Come per i concetti feudali, la canzone amorosa si servi anche di quelli religiosi per rendere determinati elementi: pensiamo al pecat, al martir, alla obediensa. Allo stesso tempo, il servizio feudale che si applicava alla dama, si applica alla Madonna, anch'essa, e a maggior ragione, domna. Talvolta incontriamo un atteggiamento di anticlericalismo, soprattutto nei confronti dell'Inquisizione che si scatena contro l'eresia dei Catari (non riscontrata fra i trovatori), che tuttavia non è sinonimo di irreligiosità. Accanto alla poesia trobadorica esisteva una poesia popolare, vecchia di secoli, che dovette in qualche modo esercitare la sua influenza su quella trobadorica, sebbene sembri che l'atteggiamento colto e retorico dei poeti provenzali scongiurino tale influsso. Ritroviamo l'influenza popolare anche nella forma di determinati componimenti, come la dansa e la balada. Addirittura Pierre Bec arriva a dividere la poesia trobadorica in due grandi aree: quella popolareggiante (che comprende l'alba, la pastorella, la balda, la retroencha, ecc) e quella aristocratica (con la canso, il sirventese, il planh e i dibattiti). L'atteggiamento che può assumere un trovatore è quindi di due tipi: da una parte, egli può rivolgersi in modo colto ed intellettuale ad un ambiente raffinato; dall'altra, può imitare un'arte popolare di grande vitalità, che nel XIII secolo riesce a piacere alle classi elevate. 22 Nei versi dei trovatori ritroviamo anche aspetti di ciò che oggi definiamo umorismo, con burle cortesi, attacchi mordaci e sarcastici, arguzie sottili, parodie, sino alla battuta volgare, già a partire da Guglielmo IX d'Aquitania. Alcuni generi e sottogeneri implicano un testo più o meno umoristico, come accade con il gap, l'enueg e il plazer e nel sirventese giullaresco (un tipo di composizione satirica). Tuttavia, l'umorismo si nota maggiormente in composizioni di autori solitamente seri, dove emerge l'ironia e le intenzioni mordaci.