Scarica Riassunto del manuale "Storia greca" di Corsaro e Gallo (fino a parte 4) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Antica solo su Docsity! STORIA GRECA PARTE PRIMA - DALLE ORIGINI ALL’VIII SECOLO La civiltà dell’Egeo e l’età buia 1.1 La civiltà minoica Nella fase più antica della storia del mondo greco, sono le isole dell’Egeo, a essere interessate dalla nascita di nuove forme di civiltà. Un esempio è la «civiltà cicladica», che si sviluppa nell’arcipelago delle Cicladi, durante la prima età del Bronzo (tra il 3.500 e il 2.000), e che si caratterizza per la produzione di figurine stilizzate in marmo a destinazione funeraria. Ma la civiltà di maggior rilievo è quella che fiorisce a Creta e che dal leggendario re, Minosse, si definisce «minoica». Intorno alla fine del terzo millennio a Creta si registra una svolta: in varie località dell’isola (Cnosso, Festo e Mallia tra le altre) sorgono i primi palazzi, attorno ai quali si sviluppano agglomerati urbani, ha così inizio il periodo «protopalaziale» (fino al 1700). Nella fase successiva, quella «neopalaziale» (1700-metà del XV sec.), per cause non ben chiare (forse per effetto di eventi sismici o di attacchi esterni o, più verosimilmente, di turbolenze interne), i palazzi sono ricostruiti e ampliati e strutture monumentali vengono edificate in altre parti della regione. Questa fase è caratterizzata da omogeneità culturale che è il risultato dell’egemonia politica esercitata da Cnosso sul resto dell’isola. La funzione dei palazzi è molteplice: residenza del sovrano: sede del potere politico; ruolo di rilievo in campo sia economico che sacrale: presenza di botteghe artigianali, ambienti con destinazione cultuale. Si aggiunge poi l’uso della scrittura a fini amministrativi e di contabilità. I testi rinvenuti negli archivi palaziali documentano due diversi sistemi grafici elaborati dai Cretesi: nel periodo protopalaziale vi è la scrittura sillabica costituita da ideogrammi e definita «geroglifica», nella fase palaziale, la «lineare A», che si diffonde anche in varie altre isole dell’Egeo. Entrambe le scritture, che esprimono una lingua di origine anatolica, sono tuttora indecifrate. In mancanza di fonti scritte, il materiale archeologico è fondamentale. Raffinati oggetti di ceramica in particolare quella «di Kamares», decorata con disegni naturalistici, sigilli in pietra e in avorio e prodotti di oreficeria e di metallurgia attestano l’esistenza di un artigianato specializzato. Evidente è la scarsa attenzione riservata agli aspetti militari: i palazzi sono sprovvisti di fortificazioni e le rappresentazioni guerresche risultano rare nei documenti figurativi, così come la presenza di armi nei contesti funerari. Nulla di sicuro possiamo dire sulla regalità minoica: testimonianze iconografiche dei sovrani sono del tutto assenti. Numerose sono poi le incertezze riguardo le credenze religiose. Le scene connesse al culto forniscono indicazioni su cerimonie, sacrifici e altre pratiche rituali (come la tauromachia), ma non sulle divinità del pantheon minoico. Conosciamo solo particolari figurine femminili (celebre la cosiddetta «dea dei serpenti») interpretate come divinità, ma non sappiamo se si tratti di divinità distinte o di un’unica dea rappresentata nei suoi molteplici aspetti. A caratterizzare la civiltà minoica è la sua diffusione nell’Egeo: in Grecia, nelle Cicladi e nelle isole del Dodecaneso, e sulla costa anatolica. Intensi e prolungati sono poi i rapporti con l’Egitto, documentati da fonti egiziane. Secondo alcuni fu creato un vero e proprio impero marittimo, ma si tratta solo di una tesi. Verso la metà del XV secolo tutti i palazzi dell’isola, ad eccezione di quello di Cnosso, subiscono una violenta distruzione dopo la quale non sono più ricostruiti, a causa della conquista da parte di invasori provenienti dal continente, i Micenei. 1.2 La civiltà micenea Intorno al 2000 a.C. si insediano in Grecia gruppi indoeuropei che fondendosi con le popolazioni preesistenti danno vita a una civiltà che fiorisce tra il XVI e il XII secolo e che si è soliti definire «micenea». Micene non è l’unico centro, resti di palazzi fortificati risalenti a quest’epoca sono stati rinvenuti anche a Tirinto e a Pilo, nel Peloponneso, in Beozia, Atene, Attica, e Tessaglia. Particolare è la presenza di sepolture monumentali a fossa o a cupola (le cosiddette tombe a tholos), riferibili a personaggi di condizione elevata e rango principesco. La nuova civiltà si diffonde anche a Creta: intorno alla metà del XV secolo gruppi provenienti dalla Grecia continentale impongono il loro dominio sull’isola e il palazzo di Cnosso, l’unico sopravvissuto alle distruzioni tra i centri palaziali minoici, diventa sede di un potentato miceneo. I dati più significativi vengono da una serie di oltre 4.600 tavolette iscritte di argilla, rinvenute in vari siti palaziali, sia del continente che di Creta. Esse sono state redatte nel XIII secolo, poco prima che i palazzi fossero distrutti da incendi (la cottura provocata dal fuoco ne ha consentito la conservazione), e attestano una scrittura sillabica derivata dalla lineare A minoica e indicata con la designazione di «lineare B». Grazie all’architetto inglese Michael Ventris, sappiamo che essa è una forma arcaica di greco; per quanto riguarda il loro contenuto, si tratta di documenti di archivio che forniscono informazioni sulla vita amministrativa e sull’organizzazione delle comunità micenee. Si è potuto così appurare che i palazzi rappresentano il centro politico e amministrativo, oltre che religioso, di Stati territoriali indipendenti più o meno estesi che sono retti da un potere monarchico. 1.5 L’età buia Si indica con «età buia» e «Medioevo greco» i secoli compresi tra il XII e l’VIII, che per la totale assenza di fonti scritte, rappresentano il periodo meno documentato della storia greca. Inoltre sono visti come una fase di regresso e povertà alla pari di quella successiva alla caduta dell’impero romano. I più recenti risultati della ricerca archeologica evidenziano che tra un secolo e l’altro le differenze sono tutt’altro che trascurabili. La dissoluzione dei centri palaziali ha come conseguenza la scomparsa della scrittura, che in area egea sopravvive solo a Cipro, dove si sviluppa un nuovo sistema sillabico, il sillabario cipriota. La popolazione si concentra in un numero limitato di piccoli centri, caratterizzati dall’assenza di stratificazione sociale, con case modeste; gli abbandoni di siti risultano frequenti e la pastorizia, costituisce la principale base produttiva. Per quanto riguarda l’organizzazione politica: i capi delle comunità (i basileis omerici) non dispongono di un apparato burocratico, il loro potere è limitato e instabile, sottoposto a continue rivendicazioni da parte degli altri membri del gruppo dirigente. Per quanto riguarda gli usi funerari e la tecnologia, all’inumazione si sostituisce l’incinerazione; fa la sua comparsa un nuovo sistema di decorazione ceramica con disegni geometrici realizzati con il compasso, e il calo dei contatti con l’Oriente favorisce l’adozione del ferro, usato per la fabbricazione di armi e di altri attrezzi per la sua più facile reperibilità. La situazione non è la stessa ovunque, infatti Atene, Argo o Cnosso, conoscono uno sviluppo e continuano a intrattenere rapporti con il mondo orientale. Ma è soprattutto da un piccolo insediamento dell’isola dell’Eubea, Lefkandi, che vengono le novità più significative. Al centro di una ricca necropoli, le cui tombe contengono manufatti orientali, è stato scoperto un gigantesco edificio absidale di 45 m di lunghezza, all’interno del quale sono state rinvenute due deposizioni di alta qualità, una maschile a incinerazione e l’altra femminile a inumazione. La struttura, che alcuni interpretano come un’abitazione trasformata in sepolcro dopo la morte del proprietario, mentre altri, come un monumento funerario, databile alla prima metà del X secolo, dimostra che anche in quest’epoca esistono élites. E’ presente inoltre una grande fossa con i resti di quattro cavalli sacrificati riconducibile ai funerali degli eroi. L’età buia è anche la fase in cui si colloca il fenomeno della migrazione in Asia Minore, ove, grazie alla situazione di vuoto di potere dopo il crollo dell’impero ittita, i Greci possono insediarsi più facilmente . Nell’XI secolo ha così inizio un massiccio movimento migratorio che si prolunga sino all’VIII secolo. Anche se i resoconti delle fonti sono per lo più leggendari, è certo che la costa micrasiatica venne occupata in tutta la sua lunghezza, da gruppi provenienti da diverse aree della madrepatri. Nacquero così tre entità regionali, l’Eolide, la Ionia e la Doride, i cui abitanti sviluppano una nuova identità culturale e linguistica. Un ruolo di particolare rilievo è la Ionia, che sarà la sede della cosiddetta «Dodecapoli» che costituirà un luogo privilegiato di incontro tra mondo greco e orientale. Nel IX secolo, vi fu una ripresa: gli insediamenti risultano più numerosi e stabili, i contatti con l’oriente sono intensi e nelle necropoli si nota la presenza di beni di lusso; nelle tombe ateniesi cominciano ad apparire modellini di granai in terracotta, il che suggerisce che l’agricoltura è tornata a occupare un posto di primo piano tra le attività produttive. Si creano così le premesse per una fase di grandi cambiamenti che non a caso si indica spesso, e a buon diritto, con l’eloquente denominazione di «rinascimento greco». La Polis 2.1 Il mondo omerico Con la fase iniziale dell’età arcaica si dispone per la prima volta anche di fonti letterarie: si collocano in quest’epoca, le due più antiche opere della letteratura occidentale scritte (metà VIII sec- IX sec) da un poeta della Ionia d’Asia di nome Omero: l’Iliade, che narra un episodio dell’ultimo anno della guerra degli Achei contro Troia, e l’Odissea, in cui sono raccontate le peripezie dell’eroe Odisseo che fa ritorno in patria, ad Itaca, dopo il lungo conflitto. La loro utilizzazione non è affatto agevole, per la difficoltà di individuare il contesto cronologico descritto nei poemi: mentre vi sono elementi che rimandano all’età buia (cremazione e pastorizia), ve ne sono altri che sembrano riflettere il periodo di composizione delle due opere (come i riferimenti al fenomeno della colonizzazione nell’Odissea). Per quanto riguarda le istituzioni politiche, esse sono descritte in modo coerente. Al vertice vi è il basileus, che però non è un sovrano assoluto, bensì un primus inter pares tra i notabili aristocratici: prima di prendere qualsiasi decisione consulta un consiglio (boulé) di cui fanno parte i ghérontes, i capi delle famiglie nobiliari; inoltre spesso convoca l’assemblea (agorá), per verificare l’orientamento dell’opinione pubblica. Queste istituzioni sono caratterizzate da fluidità: le riunioni non sono vincolate a scadenze periodiche e non esiste una procedura formalizzata di votazione dal momento che l’assemblea si limita ad approvare per acclamazione le proposte che le sono presentate oppure a esprimere il proprio dissenso con il silenzio o il mormorio, è al sovrano che spetta la decisione finale. Il basileus ha poi funzioni militari e religiose; insieme ai ghérontes si occupa dell’amministrazione della giustizia, attraverso il rispetto di norme, le thémistes. E’ verosimile che il modello di riferimento della descrizione omerica forse corrisponda al periodo compreso tra la fine del IX e gli inizi dell’VIII secolo. 2.2 La nascita della polis L’VIII secolo (il cosiddetto «rinascimento greco») fu un periodo di cambiamenti. La presenza di resti di granai rinvenuti in alcuni siti, suggeriscono che l’agricoltura aveva ripreso il sopravvento sulla pastorizia, ciò favorì un forte sviluppo demografico : in varie regioni della Grecia si nota un aumento delle sepolture, e degli insediamenti. Un’altra novità è la nascita del tempio. Mentre prima i luoghi di culto erano semplici spazi all’aperto ove si depositavano le offerte, ora per la prima volta vengono realizzate strutture monumentali, a forma rettangolare, destinate appositamente a tale scopo. Molto importante è quello di Olimpia (nell’Elide), che sorge in un sito che diventa ben presto un centro religioso di grande prestigio, ove affluiscono fedeli provenienti da zone lontane e ogni quattro anni si svolgono i celebri giochi panellenici, le Olimpiadi, che le fonti fanno iniziare nel 776. L’VIII secolo è anche l’epoca in cui i Greci tornano a far uso della scrittura, viene inventato l’alfabeto greco, che deriva da quello in uso presso i Fenici con l’aggiunta però dei segni per le vocali. Questa rivoluzionaria acquisizione potrebbe essere avvenuta ad Al Mina, un emporio della costa della Siria, frequentato da mercanti fenici, oppure Pitecussa (l’odierna Ischia), un insediamento greco ove è presente un nucleo di immigrati di origine orientale. Altrettanto controverse sono le motivazioni alla base dell’adozione del nuovo alfabeto, è però sicuro il fatto che incise sullo sviluppo politico, economico e culturale delle comunità greche di età arcaica. In tale contesto nasce un nuovo modello di comunità statale: la polis («città-stato»), in origine una rocca fortificata, con un significato più ampio e comprensivo. Essa è costituita da un centro urbano e dal territorio circostante (chora), ma è soprattutto una comunità politica autonoma che si identifica con i suoi cittadini più che con il luogo geografico (tanto è vero che nelle fonti è indicata con l’etnico degli abitanti e non con il toponimo). Il ritorno all’economia agricola, dei santuari e l’impulso che viene dalle contemporanee esperienze fatte dai Greci nei territori coloniali, sono alcuni dei fattori che portarono all’adozione del nuovo modello di organizzazione statale. Benché politicamente divisi in tante comunità, i Greci hanno coscienza di appartenere a un popolo unitario, che si caratterizza per la lingua, usanze e credenze religiose, essi si definiscono con un unico etnico, quello di Hellenes, Elleni, che nei poemi omerici è usato per riferirsi ai soli abitanti della Grecia settentrionale. Esso conosce poi un ampliamento di significato e, a partire dal VII secolo, indica tutti i Greci, così come il corrispondente coronimo Hellas, Ellade, che designa l’intera Grecità. La situazione politica della polis nella sua prima fase di vita, vide un periodo monarchico seguito da potere aristocratico, ma in realtà sembra probabile che non si tratti di due fasi distinte e che la stessa regalità non sia altro che un’emanazione del dominio dell’aristocrazia, in cui il sovrano è strettamente integrato. Nelle epoche successive la monarchia sopravvive solo in poche poleis, mentre nella maggior parte dei casi sono presenti magistrature aristocratiche. subcolonia di Agrigento. I Greci non riescono invece a insediarsi sull’estremo versante occidentale, ove devono fare i conti con gli Elimi di Segesta e i cartaginesi. In Occidente, particolarmente attivi, sono gli abitanti di Focea, che danno vita a vari insediamenti sulle coste della Spagna e della Francia: tra le colonie, la più importante è Massalia (l’odierna Marsiglia). Nella seconda metà del VII secolo un gruppo proveniente dall’isola di Tera si stanzia in Libia, nasce così Cirene. Nessun insediamento coloniale sorge in Egitto, ove però nella seconda metà del VII secolo i Milesii, danno vita all’emporio di Naucrati, che diventa l’unico centro autorizzato per le attività commerciali dei Greci nel Paese. Nella prima metà del VII secolo coloni provenienti da Paro si stanziano nell’isola di Taso, con la fondazione di Maronea e di Abdera, anche la costa meridionale della Tracia, inizia a popolarsi di insediamenti greci. Ma nello stesso periodo i Greci si indirizzano altresì verso la Propontide e il Mar Nero, ricchi di cereali e di materie prime. I Megaresi fondano Bisanzio nella Propontidee, i Milesii particolarmente attivi nel Mar Nero, danno vita a molti stanziamenti coloniali (Istro, Sinope, Olbia e Panticapeo). PARTE SECONDA - L’ETA’ ARCAICA Sviluppi di età arcaica 1.1 La riforma oplitica Tra le innovazioni che si verificano in età arcaica, vi è l’introduzione di una nuova tattica militare basata sull’impiego della fanteria, l’oplitismo, caratterizzata da un pesante e uniforme armamento: tutti gli opliti hanno un elmo, un corsetto di bronzo, una lancia e una spada e sono protetti da un grande scudo rotondo ligneo con rinforzi di bronzo (hoplon),e con doppia impugnatura. Poco adatto, agli scontri individuali, ma funzionale nell’ambito della formazione serrata e compatta, la falange: schierati l’uno accanto all’altro su più file, con lo scudo che dàprotezione anche al compagno che si trova a sinistra, i soldati si muovono in maniera coordinata, in modo da ottenere una potente forza d’urto e scompaginare così le file dell’esercito avversario. Nei poemi omerici i soldati non combattono ancora in maniera coordinata. Disciplina e autocontrollo, invece che l’ardimento eroico, sono le doti di cui gli opliti devono essere necessariamente provvisti. La nuova tattica non sembra essere ancora in uso alla fine dell’VIII secolo, infatti non se ne hanno notizie per quanto riguarda la guerra lelantina, che oppone Calcide ed Eretria per il possesso della pianura di Lelanto. La sua diffusione inizia nella prima metà del VII secolo. Nei santuari vi è grande presenza di scudi oplitici tra le offerte votive, mentre sui vasi corinzi ricorrono raffigurazioni di opliti e dell’intera falange. Nella tradizione letteraria, un poeta spartano del VII secolo, Tirteo, fa riferimento a una formazione oplitica. Intorno alla metà del VII secolo alcune poleis, tra cui Sparta, hanno dunque già adottato la falange. Con l’adozione della nuova tattica, l’attività militare cessa di essere una prerogativa esclusiva degli aristocratici: tutti coloro che sono economicamente in grado di equipaggiarsi a proprie spese sono chiamati a dare il loro contributo alla difesa della propria città in caso di bisogno, e si creano così le condizioni per l’estensione dei pieni diritti politici a una fascia più ampia della popolazione della polis. Nel VII secolo, vi è la nascita di un’apposita struttura destinata alla preparazione fisica dei cittadini, il ginnasio. La polis è ora una comunità più ampia e unita e meglio organizzata, nella quale tuttavia sono ancora in pochi a detenere le leve del potere. 1.2 Le legislazioni arcaiche A contribuire all’evoluzione della polis arcaica è il processo di codificazione delle leggi a partire dal VII secolo, ad opera di una serie di personaggi, che scrivono i primi codici scritti. La tradizione letteraria attribuisce a una polis magno-greca, Locri Epizefiri, la più antica legislazione scritta: ne sarebbe stato artefice, intorno al 660, Zaleuco, un oscuro personaggio. Tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo, le leggi del catanese Caronda, sarebbero state adottate non solo nella sua polis ma in tutta l’area calcidese di Sicilia e di Magna Grecia. Quanto a Creta, la diffusione del fenomeno è desumibile dalle leggende che attribuiscono a vari legislatori un periodo di apprendistato nell’isola, e dalle numerose iscrizioni giuridiche arcaiche che vi sono state rinvenute. Dalla città di Dreros, sull’isola di Creta, proviene un’iscrizione che risale alla metà del VII secolo e che riporta la più antica legge a noi nota: la carica di cosmo, la più importante tra le magistrature cretesi, non può essere ricoperta dalla stessa persona prima che sia trascorso un intervallo di dieci anni, in caso contrario si prevedono una sanzione pecuniaria e la perdita dei diritti civili. Notevole è l’interesse del documento, da cui si evince che la polis è una comunità caratterizzata dalla presenza del principio della decisione collettiva e di norme che regolano il funzionamento degli organismi istituzionali. Un dato abbastanza evidente è che sono molteplici i settori in cui i legislatori intervengono con le loro regolamentazioni: oltre che di reati di sangue, si occupano di questioni ereditarie, di proprietà fondiaria, di diritto contrattuale, della condotta morale dei cittadini, e il fenomeno del lusso e dell’ostentazione di ricchezza da parte del ceto aristocratico, che, al fine di allentare le tensioni sociali, cercano di contrastare con apposite norme suntuarie (ad esempio, le disposizioni sul comportamento femminile, sull’abbigliamento e sul consumo di vino). Queste prime leggi scritte rappresentano un progresso per la polis: oltre ad affermare l’autorità dello Stato, hanno il merito di sottrarre l’amministrazione della giustizia ai potenti e di assicurare una situazione di certezza del diritto per tutti i membri della comunità. Esse hanno come obiettivo non la democrazia come si può pensare, ma la stabilità politica e la salvaguardia degli equilibri, sono quindi funzionali agli interessi dello stesso ceto aristocratico. 1.3 Sparta e la lega peloponnesiaca Situata all’interno della Laconia, una regione del Peloponneso sud-orientale, Sparta si distingue sia per potenza militare che per la peculiarità delle sue istituzioni, grazie a un celebre ma leggendario legislatore, Licurgo. Già nella seconda metà dell’VIII secolo la polis inizia la sua espansione: a essere presa di mira è la vicina Messenia, che finisce per cadere sotto il dominio degli Spartani, che si impadroniscono delle sue terre e ne riducono gli abitanti in una condizione di servitù (prima guerra messenica) Sparta nel 669-668 subisce a Isie una sconfitta ad opera della sua più potente avversaria, Argo, così la città laconica deve sostenere un altro lungo conflitto, la seconda guerra messenica, per poter consolidare il suo dominio sulla regione. La polis viene a disporre di terre fertili, ma deve nello stesso tempo tenere sotto controllo una consistente massa di individui costantemente pronti a ribellarsi (gli iloti della Laconia). Alla prima metà del VII secolo, risale un’importante riforma legislativa, la «grande rhetra», che sarebbe stata emanata da Licurgo sulla base di un oracolo ricevuto nel santuario di Apollo delfico. Il testo è una sorta di Costituzione che sancisce il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni politiche ed è perciò da considerare, il risultato di una trasformazione legata all’introduzione dell’oplitismo: riorganizzazione del corpo civico in 3 tribù e in 5 suddivisioni territoriali, le obaí, ripartizione dei poteri tra un consiglio, che ha il compito di elaborare proposte, la gherousia e l’assemblea, apella, convocata periodicamente, ha la facoltà di approvare o respingere quanto le viene sottoposto da parte dell’altro organismo, senza poter però avanzare a sua volta proposte alternative. Posteriore alla rhetra è l’istituzione della magistratura degli efori. Nel VII secolo Sparta non è ancora la polis a noi nota: è una società ancora aperta agli scambi con l’esterno e in cui è ancora diffuso il lusso aristocratico. È nel corso del secolo seguente che la polis, che vive sotto la costante minaccia di una ribellione delle popolazioni sottomesse, assume la sua inconfondibile fisionomia di comunità austera e militarizzata. Secondo le fonti, uno dei sette sapienti della Grecia, l’eforo Chilone, sarebbe stato artefice nel 556-555 di una radicale riforma della società spartana: i cittadini sono soldati a tempo pieno, ogni lusso è bandito e i contatti con l’esterno sono ridotti al minimo. Intorno alla metà del VI secolo inizia una nuova fase anche per la politica estera spartana. poco meno di un centinaio di monete di elettro che provengono, sia dalla Lidia che da qualche città greca. La frammentazione politica che è tipica del mondo greco si riflette anche nel campo della monetazione: molte poleis hanno una propria moneta, con un proprio simbolo, e sistema monetario. Due sono i sistemi principali, l’euboico-attico e l’eginetico, nei quali l’unità di base è la dracma, che ha un peso di 4,36 grammi nel primo e di 6,16 grammi nel secondo, mentre le altre unità sono il talento (6.000 dracme), la mina (100 dracme) e l’obolo (1/6 di dracma). Anche nella madrepatria greca arriva la rivoluzionaria innovazione. Discussa è la cronologia: probabilmente le prime monete, le ‘tartarughe’ della polis di Egina, sono state coniate già agli inizi del VI secolo. È solo nella seconda metà del secolo che la coniazione si diffonde alla Grecità dell’Italia meridionale e della Sicilia. Comune è l’uso dell’argento. Anomala è la scelta di Sparta, ove, al fine di scoraggiare l’introduzione di beni di lusso, viene adottata una moneta di ferro che, essendo priva di valore intrinseco, non può che avere una circolazione limitata al solo ambito locale. Anche i fattori che sono alla base dell’adozione della moneta coniata sono oggetto di controversia: si esclude l’ipotesi secondo cui essa fu introdotta per facilitare gli scambi mercantili, a causa della scarsa quantità di divisionali di piccolo taglio (i nostri ‘spiccioli’) ritrovati nei ripostigli di età arcaica e per la diffusione limitata delle monete al di fuori della loro area di emissione. Si pensa invece che con la coniazione di moneta, la polis venne a disporre di un mezzo di pagamento con un valore ben preciso che, oltre a consentirle di far fronte più facilmente a tutta una serie di incombenze di interesse collettivo, costituisce per l’autorità emittente una significativa espressione di identità e di sovranità politica. Sarà solo a partire dal V secolo che la moneta avrà un’importanza di primo piano anche in campo commerciale. La tirannide 2.1 Caratteristiche generali A partire dalla metà del VII secolo, in numerose poleis, in una situazione di forti contrasti sociali, l’aristocrazia viene sostituita da un ambizioso leader politico che, impadronitosi del comando con la forza o con l’inganno, instaura un regime autocratico e dà vita a una vera e propria dinastia. Egli è indicato con il termine di tyrannos (originariamente significa ‘signore’, ma finisce per acquistare una connotazione negativa, per la quale il tiranno è un monarca brutale che governa in maniera illegale senza il consenso dei membri della comunità). La tirannide è un fenomeno complesso, che si caratterizza non solo per gli aspetti negativi, ma anche per il ruolo di rilievo che svolge nell’evoluzione della polis di età arcaica. “Assente nei poemi omerici, tyrannos è probabilmente un termine non greco, ma da individuare nell’Asia Minore. Come è evidenziato dalla più antica attestazione, un frammento del poeta Archiloco il termine non ha fin dall’inizio una connotazione negativa, che acquista a partire dal VI secolo.” Alcuni elementi si possono considerare comuni alla gran parte delle esperienze tiranniche. la provenienza sociale dei protagonisti: il tiranno non è espressione di nuove classi emergenti, ma è un esponente della stessa élite dominante. Il tiranno è in conflitto con il ceto da cui proviene: i gruppi nobiliari sono privati del potere e colpiti con esilî e confische di beni. rapporto con i ceti meno abbienti: la ricerca dell’appoggio popolare è per lui una scelta obbligata per rafforzare la propria signoria e per fronteggiare l’opposizione delle famiglie aristocratiche. La redistribuzione delle terre a favore di soggetti che ne sono privi, la concessione di prestiti ai contadini poveri o l’inserimento nella cittadinanza di gruppi che ne sono esclusi sono iniziative che ricorrono con frequenza. Accanto all’impulso dato al commercio e all’artigianato, di notevole importanza risulta l’intensa attività nel campo dei lavori pubblici: con le risorse accumulate, i tiranni, a fini di prestigio personale, si dedicano alla realizzazione di ambiziosi programmi di edilizia monumentale, con i quali ottengono anche l’effetto di creare opportunità lavorative per i soggetti meno abbienti. Degna di nota è l’azione dei tiranni in politica estera, sia per l’incremento della potenza militare delle loro città sia per la fitta rete di relazioni diplomatiche che allacciano con le altre dinastie attraverso alleanze matrimoniali. In genere, la tirannide arcaica è un fenomeno destinato ad esaurirsi: una sollevazione interna o l’intervento di potenze esterne finiscono per travolgere i nuovi regimi. Benché alla caduta delle tirannidi faccia seguito il ritorno al governo dell’élite nobiliare, la situazione non è più la stessa di prima: il tiranno ha creato le condizioni per la trasformazione della polis in una comunità politicamente più evoluta e aperta e meno condizionata dagli interessi dei gruppi dominanti. 2.2 Le tirannidi istmiche e peloponnesiache La più antica tirannide, quella dei Cipselidi di Corinto, che risale al 658-657, situata in una posizione strategica grazie al collegamento con l’Occidente svolto da Corinto, appare caratterizzata da una situazione di sviluppo economico: ai progressi della marineria si accompagna l’espansione del commercio e dell’artigianato (ceramica corinzia nel Mediterraneo). Il potere politico è prerogativa di una ristretta oligarchia ereditaria di 300 famiglie, i Bacchiadi. La crisi dell’oligarchia, favorita da una sconfitta navale subita contro Corcira nel 664, avviene ad opera di un esponente dello stesso clan dominante, Cipselo, che una volta diventato capo dell’esercito, e aver ottenuto il favore popolare, fece un colpo di Stato con il quale si impadronì del potere. Egli è presentato come un governante benevolo e moderato che non ha bisogno di una guardia armata per conservare il potere. Degna di nota appare la sua politica coloniale, si deve a Cipselo la fondazione di una serie di colonie in Acarnania, in Epiro e in Illiria che, oltre ad essere situate in punti strategici, sono anche funzionali allo sfruttamento delle risorse minerarie. Dopo sale al potere il figlio Periandro, descritto come un tipico tiranno crudele, che esercita brutalmente la sua autorità. Con lui si accentua la conflittualità con il ceto aristocratico: lo dimostrano le misure emanate contro il lusso, per rafforzare il proprio prestigio. Periandro non si limita a proseguire la politica coloniale paterna, sotto il suo governo Corinto, dotata di una potente flotta, assume un ruolo di rilievo in campo internazionale ed estende la sua influenza al Mediterraneo orientale. Si deve inoltre a Periandro la sottomissione di Corcira, a cui impone come governatore il nipote Psammetico, nonché l’avvio di una politica di amicizia con Atene. Con la sua morte, Psammetico, dopo 3 anni di governo viene capovolto dagli Spartani. Con la fine dell’esperienza tirannica, termina anche il periodo di massima prosperità di Corinto, destinata ad essere inglobata da Sparta. Un po’ più duratura è la tirannide che si instaura a Sicione nella seconda metà del VII secolo, quella degli Ortagoridi. A prendere il potere sarebbe stato Ortagora, un aristocratico di umili origini. Il più importante esponente della dinastia, fu Clistene, il cui governo dura circa 30 anni. Egli oltre a proibire la recitazione dei poemi omerici, e a ridimensionare il culto dell’eroe argivo (di Argo) Adrasto con l’introduzione di quello del tebano Melanippo; arriva anche al punto di assegnare i nomi ingiuriosi (porcai, asinai e allevatori di porcellini) alle 3 tribù doriche di Sicione, riservando a una quarta tribù, la propria, il nome di Archelaoi («capi del popolo»). Clistene svolge anche un ruolo di rilievo nella politica internazionale: ne è prova la sua partecipazione alla prima guerra sacra contro la polis di Cirra per il predominio sul santuario delfico e il controllo della navigazione nel golfo di Corinto. Quando Clistene, ai Giochi olimpici del 572, fa annunciare che intende dare la figlia in sposa al miglior pretendente, a rispondere all’invito sono gli esponenti di 13 importanti famiglie aristocratiche greche. La scelta cade infine sull’ateniese Megacle, figlio del condottiero che aveva combattuto insieme a Clistene nella prima guerra sacra. Un intervento spartano pone termine al governo dell’ultimo tiranno, Eschine, e la polis viene assorbita da Sparta. dall’antico consiglio del re e di cui fanno parte a vita gli arconti usciti di carica, l’Areopago, al quale spettano la giurisdizione sui reati di sangue, la custodia delle leggi e il controllo sui magistrati. Tra il 636-632 Atene subisce per la prima volta un tentativo di tirannide: ne è protagonista un giovane aristocratico, Cilone, il quale con l’appoggio del clero delfico e di Teagene, di cui ha sposato la figlia, occupa l’Acropoli. Ma viene fermato dalla casata nobiliare degli Alcmeonidi. La brutale uccisione dei seguaci di Cilone dà l’opportunità alle famiglie rivali di orchestrare una campagna denigratoria nei loro confronti, processati e riconosciuti colpevoli di sacrilegio, sono costretti ad andare per qualche tempo in esilio. Nell’ultimo quarto del VII secolo, la redazione di un codice di leggi scritte ad opera di Dracone. Il codice draconiano, appare ispirato dall’intento di affermare l’autorità della polis a scapito dell’iniziativa dei privati; introducendo una distinzione tra omicidio volontario e involontario, il legislatore mira ad ampliare la sfera di intervento del potere statale in materia criminale e a limitare il ricorso alla vendetta privata. L’Atene di questo periodo è afflitta anche da gravi problemi sociali, accanto al fenomeno della servitù per debiti, esiste la condizione di forte disagio degli hektemoroi, una categoria di dipendenti rurali esposti alla vendita in schiavitù insieme ai loro figli se non versano ai proprietari terrieri la quota prescritta del raccolto. A evitare la tirannide sarà l’intervento di un altro legislatore: Solone. 3.2 Solone Membro del ceto dominante, Solone svolge un ruolo di rilievo nella politica ateniese facendo parte dei Sette Sapienti della Grecia. È infatti merito suo il successo contro Megara per il possesso dell’isola di Salamina. Inoltre durante la prima guerra sacra, Solone forma una coalizione con Ateniesi, Tessali e Clistene e muove guerra ai Cirrei che commettevano soprusi al santuario delfico e ai pellegrini. La vera causa del conflitto era il fatto che i Cirrei con le loro attività piratesche costituivano un disturbo per Atene, che attraverso il golfo di Corinto intratteneva scambi commerciali con l’Occidente. La guerra si conclude con la sconfitta di Cirra, e Atene ne trae vantaggio grazie ai rapporti che si vengono a creare con la classe sacerdotale delfica. L’intento di Solone al potere non è mettere in discussione il predominio del ceto aristocratico, ma di limitarne gli eccessi. Con un provvedimento definito seisachtheia, «scuotimento dei pesi», cerca di porre rimedio alla situazione di disagio sociale, cancellando i debiti, vietando di contrarre prestiti sulla garanzia delle persone fisiche, ma anche abolendo i vincoli ereditari che legavano gli schiavi ai proprietari terrieri. In campo costituzionale introduce delle classi di censo: tutti i cittadini ateniesi sono suddivisi in 4 classi, sulla base del reddito agricolo: pentacosiomedimni, cavalieri, zeugiti, e teti. Il potere politico rimane così prerogativa esclusiva dei ceti più ricchi, dal momento che le magistrature principali sono riservate a coloro che appartengono alle prime due classi. L’Areopago, conserva la sua centralità, ma è affiancato da un nuovo consiglio (boulé) costituito da 400 membri, destinato a preparare i lavori dell’assemblea. L’opera di Solone che si traduce nella stesura di una serie di leggi pubblicate su tavole rotanti di legno (axones), si preoccupa anche di favorire lo sviluppo dell’artigianato al fine di assicurare uno sbocco lavorativo ai cittadini privi di terra: i genitori sono obbligati a insegnare un mestiere ai propri figli e si concede la cittadinanza agli stranieri che vogliono stabilirsi ad Atene per esercitarvi un’attività artigianale. In campo economico, è incentivata l’olivicoltura (l’olio è infatti l’unica derrata agricola di cui non viene proibita l’esportazione) e la riforma monetaria. Solone una volta esaurito il suo mandato e deposto il potere, intraprende una serie di viaggi; a giudicare dal malcontento che lascia dietro di sé, il suo tentativo di eliminare non ebbe successo, tuttavia la sua opera segna una tappa fondamentale nell’evoluzione politica di Atene. 3.3 Pisistrato Dopo il governo di Solone per due volte, i contrasti tra le fazioni impediscono di procedere alla nomina dell’arconte. Si arriva così, nel 581-580, alla soluzione di assegnare la suprema carica magistratuale a un collegio di 10 membri: 5 esponenti delle grandi famiglie aristocratiche (eupatridai), 3 contadini (agroikoi) e 2 artigiani (demiourgoi). Ma la lotta politica non termina, si fronteggiano ora 3 raggruppamenti: gli abitanti della pianura, pedieis, capeggiati da Licurgo della famiglia dei Butadi, quelli della costa, paralioi, con Megacle, e gli abitanti della zona montuosa, diakrioi, con a capo un personaggio imparentato per parte di madre con Solone, Pisistrato. Nel 561-560 Pisistrato riesce con uno stratagemma a farsi concedere dall’assemblea una guardia del corpo di 300 mazzieri, con la quale occupa l’Acropoli e si impadronisce così del potere, ma un’alleanza tra Megacle e Licurgo depone il tiranno e lo costringe a lasciare la città. Successivamente Megacle preferisce accordarsi con Pisistrato, e gli dà in sposa la figlia. Anche l’intesa con Megacle è però di breve durata così il tiranno a lascia di nuovo la città e si trasferisce in Tracia e in Eretria. Il ritorno in patria ha luogo nel 546: con l’aiuto dei Tebani si impadronisce del potere. Egli è ricordato come un governante moderato e rispettoso dell’ordinamento istituzionale, assicura alla polis un periodo di stabilità e di pace. Il suo atteggiamento conciliatorio nei confronti degli avversari politici, riesce ad accattivarsi il consenso delle famiglie nobiliari. Pisistrato inoltre concede prestiti agli agricoltori più poveri e affida a funzionari il compito di amministrare la giustizia nelle campagne per evitare che le aristocrazie prendessero il controllo. Alla coniazione delle prime dracme ateniesi (effigie di Atena su un lato e civetta, animale sacro alla dea, sull’altro), si aggiunge lo sviluppo dell’artigianato: massiccia espansione della ceramica attica a figure nere. Pisistrato provvede poi a creare una fiscalità pubblica con l’istituzione di una decima prelevata sui raccolti agricoli, e con la realizzazione di vari edifici monumentali. In politica estera, la polis assume un ruolo di rilievo: oltre a intrattenere rapporti con le comunità della madrepatria greca, si concentra anche sull’Egeo, soprattutto la regione dell’Ellesponto. Protagonista della colonizzazione è un esponente della famiglia dei Filaidi, Milziade: in accordo con il tiranno vi si stabilisce dando vita a un suo dominio personale che alla sua morte sarà ereditato dal nipote. Sul lato asiatico, viene acquisita Sigeo, governata dal figlio di Pisistrato. Atene viene così a disporre di preziose basi d’appoggio per i commerci con il Mar Nero. In campo culturale: vengono accolti molti poeti e viene realizzata la prima edizione dei poemi omerici. In politica religiosa vengono valorizzati i culti cittadini a scapito di quelli locali controllati dalle famiglie nobiliari. Le festività di Atena e Dioniso, le Panatenee e le Dionisie, diventano un momento significativo della vita ateniese. L’opera di Pisistrato ha favorito l’incremento della popolazione urbana, meno vincolata da legami clientelari a quella delle campagne, ha anche contribuito a rafforzare la centralità della polis e a intaccare la dipendenza dei ceti meno abbienti nei confronti delle famiglie aristocratiche. 3.4 La caduta della tirannide Dopo la morte di Pisistrato, il governo passa ai due figli, Ippia e Ipparco, che mantengono buoni rapporti con le famiglie aristocratiche. I due realizzano vari edifici sacrali, inoltre alla corte di Ipparco vengono accolti celebri poeti. . Ma nel 514 una congiura ordita da due aristocratici, uccide Ipparco. Benché i due congiurati, abbiano in agito a causa di una disputa amorosa, il loro gesto ebbe ripercussioni in campo politico. Da questo momento, la tirannide diventa più oppressiva e vari esponenti dell’aristocrazia sono costretti a lasciare Atene. In esilio, la famiglia con a capo Clistene, gli Alcmeonidi, sfruttano i rapporti con il santuario di Delfi per indurre Sparta, a liberare gli Ateniesi dalla tirannide. Gli Spartani vengono convinti, così nel 511-510 assediano l’Acropoli. Quando sono catturati i figli di Ippia, egli si rassegna alla resa e si trasferisce nel Sigeo. Le turbolenze per Atene non sono ancora finite: tra Clistene e un altro esponente dell’aristocrazia, Isagora, si accende un’aspra lotta per il potere. Sconfitto da Isagora, Clistene stringe un’alleanza con il demos, cioè con la popolazione che non fa parte dell’aristocrazia. Egli riesce così a far approvare una riforma che ridimensiona il potere delle famiglie aristocratiche e che segna la nascita della democrazia ateniese. Tutta la costa meridionale della Tracia fino al fiume Strimone viene conquistata, e il regno di Macedonia diventa vassallo. Non ha invece successo la spedizione contro il popolo nomade degli Sciti. È con Dario che l’impero assume il suo definitivo assetto organizzativo caratterizzato per l’equilibrio tra il rigido dominio esercitato sui popoli sottomessi e la salvaguardia delle autonomie locali. Le città conquistate non subiscono distruzioni, e le élite locali sono coinvolte nel governo delle comunità soggette, le cui tradizioni istituzionali e culturali vengono rispettate. Tuttavia sono imposti ai sudditi: la fornitura di manodopera per la realizzazione di opere pubbliche e per le campagne militari, e il versamento di un tributo. Tutto l’impero viene suddiviso in venti circoscrizioni indicate con il termine persiano di satrapie, grandi province multietniche con a capo governatori della nobiltà persiana e dotati di poteri militari e civili, i satrapi, che hanno il compito di assicurare il versamento dei tributi fissati per ciascuna provincia. I rapporti con il potere centrale, facilitati dalla realizzazione di alcune grandi arterie di comunicazione (come la cosiddetta «strada reale», da Sardi a Susa), sono molto stretti, grazie ad un apposito corpo di ispettori denominati gli «occhi del re» che tiene sotto controllo i satrapi. Principale elemento unificatore dell’impero è il sovrano («Gran Re»), che dispone di un potere assoluto, legittimato da Mazda, la divinità suprema della religione persiana (mazdeismo). Il fregio di Persepoli Iniziato da Dario I e terminato dal suo successore Serse, il palazzo reale di Persepoli (Apadana) è caratterizzato da un grandioso fregio che corre lungo la facciata e le scalinate e su cui sono rappresentate le delegazioni dei vari popoli sudditi (dai Medi agli Etiopi) che portano doni al sovrano in occasione della festività del nuovo anno. Il fregio, su cui si riescono a identificare 23 popoli diversi, costituisce un documento che evidenzia il carattere multietnico dell’impero persiano. Tuttavia, per i Persiani si rivelerà tutt’altro che facile mantenere la coesione del loro gigantesco impero e contrastare le spinte autonomistiche della potenza achemenide. 4.2 I Greci d’Asia e l’impero persiano Già prima dell’impero persiano la situazione dei Greci d’Asia non è certo tranquilla, a causa della vicina Lidia. A partire dal primo sovrano, Gige, i Mermnadi (dinastia lidia) cercano di porre sotto il loro controllo le poleis della costa. Tuttavia l’impatto con la potenza lidia non può considerarsi negativo per i Greci, perché le città conservano la loro autonomia, tra le élite dei due popoli si instaurano rapporti stretti e si sviluppa una comune cultura greco-lidia. Quando in Asia Minore arriva l’armata persiana, le poleis preferiscono non raccogliere l’invito a ribellarsi al dominio lidio rivolto loro da Ciro. Dopo la sconfitta di Creso ad opera del re persiano, i Greci devono fare i conti con il vincitore e, in seguito al suo rifiuto di accordare loro le stesse condizioni di cui godevano quando erano soggetti ai Lidi, organizzano la resistenza, che si rivela vana: nel giro di qualche anno, tutte le poleis micrasiatiche e le isole, vengono sottomesse. Gli abitanti di Focea e di Teo abbandonano le loro città per emigrare in Occidente e in Tracia. Nella prima fase del dominio persiano, fu imposto un regime tirannico ma la situazione dei Greci d’Asia non sembra comunque cambiare in modo sostanziale rispetto al passato (non si hanno testimonianze di rivolte). Con il terzo monarca, Dario I, le comunità greche vengono coinvolte dalla riorganizzazione amministrativa e fiscale; sono ora tenute a versare un regolare tributo monetario ai satrapi. In varie poleis microasiatiche Dario pone al potere notabili filopersiani e si assicura una rete di tiranni «vicari» a lui fedeli attraverso cui esercita uno stretto controllo. Durante la spedizione scitica garantiscono a Dario la ritirata dimostrandosi leali nei suoi confronti e rifiutando la proposta degli Sciti di distruggere il ponte di barche realizzato sul Danubio. Gli Sciti Si indicano varie popolazioni nomadiche stanziate nelle steppe tra il Danubio e l’Asia Centrale e, più in particolare, un gruppo di tribù di lingua iranica che nel VII secolo si insediano nelle steppe europee a nord del Mar Nero. Descritti come un popolo dai costumi primitivi e temibile in guerra, gli Sciti hanno convissuto pacificamente con le colonie della costa settentrionale del Mar Nero e sono così entrati in contatto con la cultura greca. Al malcontento delle aristocrazie cittadine per l’imposizione di regimi tirannici si aggiungono i disagi causati dall’oppressione fiscale: le poleis micrasiatiche devono fare i conti con il nuovo sistema tributario, che incide sulle loro economie e ne riduce le capacità nei commerci internazionali. Saranno questi fattori a scatenare la loro rivolta, che è destinata ad avere un’importanza fondamentale per i rapporti tra Greci e Persiani. 4.3 La rivolta ionica Mezzo secolo dopo l’assorbimento dei Greci d’Asia nell’impero persiano, ha inizio la rivolta ionica, la prima insurrezione delle poleis micrasiatiche. Erodoto è la nostra fonte principale, stando allo storico, una parte decisiva avrebbe avuto il losco tiranno di Mileto, Aristagora: costui si sarebbe fatto promotore di una rivolta, deponendo la tirannide, perché temeva l’ira del Gran Re in seguito al fallimento di una spedizione contro Nasso da lui ispirata. L’impulso dato da Aristagora viene recepito dalle altre poleis greche. La deposizione dei tiranni segna l’inizio di una vasta insurrezione antipersiana che coinvolge non solo la Ionia, ma anche le altre regioni costiere dell’Asia Minore. Tuttavia la sproporzione tra le forze in campo è comunque assai netta, così i leader dei rivoltosi, si recano in Grecia per sollecitare l’intervento delle poleis della madrepatria, in primo luogo di Sparta e Atene. Aristagora riceve un rifiuto da Sparta, restìa a intervenire in una regione lontana quale l’Asia Minore; a rispondere è Atene, preoccupata per le ripercussioni che il controllo persiano sugli stretti può avere per i loro interessi commerciali nel Mar Nero. Per Erodoto, l’intervento di poleis della madrepatria costituisce un grave errore, destinato ad avere conseguenze estremamente negative per i rapporti tra Greci e Persiani. Nel 498, ha inizio l’offensiva dei rivoltosi, il cui obiettivo è l’antica capitale del regno di Lidia, Sardi, ora sede della satrapia persiana; l’esito è poco positivo. Dopo essersi impadroniti della parte bassa, i Greci devono fronteggiare la resistenza di Persiani e Lidi asserragliati sull’Acropoli, dopo aver optato per un rapido ritiro, vengono sconfitti dai rinforzi persiani presso Efeso. Fa seguito il brusco voltafaccia di Atene: gli Ateniesi richiamano il contingente che avevano deciso di mobilitare a sostegno dei rivoltosi, per sottolineare ai Persiani, il loro disimpegno dalle vicende micrasiatiche. Il ritiro ateniese provoca un allargamento della rivolta, a cui aderiscono le poleis dell’Ellesponto, della Caria e di Cipro (d’importanza strategica come base navale), contro quest’ultima si dirige la controffensiva persiana: la resistenza viene piegata, e l’isola conquistata. Altrettanto efficace è l’avanzata persiana in Asia Minore. In questa situazione, Aristagora si reca con un gruppo di seguaci nella Tracia occidentale per alleggerire la pressione persiana in Asia Minore, aprendo un nuovo fronte in una zona d’importanza strategica per l’approvvigionamento di oro e di legname; qui muore combattendo contro la tribù indigena degli Edoni. Nel 494, si punta direttamente sul centro dell’insurrezione, Mileto. Dopo una riunione si stabilisce di lasciare ai soli Milesi il compito di difendere la città dall’assalto di terra e di concentrare i propri sforzi sul mare, schierando una grossa flotta. A causa dello scarso ottimismo circa le possibilità di successo e del malcontento per la rigida disciplina imposta dal comandante, gran parte dei contingenti alleati abbandonano il campo senza combattere. Le conseguenze per Mileto sono disastrose, viene completamente distrutta. La vicenda insurrezionale della Grecità d’Asia può dirsi ormai conclusa. La trireme Con la rivolta ionica si afferma un nuovo tipo di nave da guerra, la trireme, che diventa la più importante nave da guerra del mondo greco. Lunga all’incirca una quarantina di metri e dotata di una o due vele per la navigazione e di un equipaggio di 200 unità, la trireme è una nave efficace in battaglia, per la presenza di un rostro di bronzo sulla prua per lo speronamento delle imbarcazioni avversarie, e per la velocità e la capacità di manovra su cui può contare grazie al numero elevato di rematori (ben 170, disposti in tre file sovrapposte su ciascuna delle due fiancate). I vincitori optano per una politica moderata e lungimirante nei confronti delle poleis greche per lenire il malcontento alla base dell’insurrezione: vengono istituite procedure arbitrali per la soli Ateniesi di censo oplitico. Si creano così i presupposti per l’evoluzione della democrazia ateniese. 1.3 La lega ellenica Nel 483 Serse comincia a interessarsi alla Grecia, avviando i preparativi per una gigantesca spedizione sia terrestre che navale: allo scavo di un canale alla base del promontorio dell’Athos, fanno seguito la costruzione di strade e di ponti in Tracia e di un duplice ponte di imbarcazioni e di funi sull’Ellesponto. Alla grandiosità dei preparativi fa riscontro quella della mobilitazione bellica, lo scopo è quello di imporre la propria sovranità sull’intera Grecia, trasformandola in satrapia oppure riducendone gli Stati in una condizione di vassallaggio. Per iniziativa di Atene e Sparta, i rappresentanti di un gruppo di Stati greci si riuniscono presso l’Istmo di Corinto con l’obiettivo di organizzare una difesa comune contro l’imminente invasione. Il risultato è la nascita di una symmachía antipersiana, indicata con la designazione di «lega ellenica», i cui membri si impegnano a porre fine alle ostilità reciproche, a richiamare gli esuli politici e a punire con severità quei Greci che si fossero schierati dalla parte dei Persiani. A Sparta viene conferito, con il consenso ateniese, il comando supremo delle operazioni militari non solo terrestri ma anche navali. Oltre ad Atene e alle poleis della lega peloponnesiaca, fanno parte della lega, alcune città insulari e dell’Eubea e una serie di comunità della Grecia centrale. A vari Greci la sottomissione ai Persiani non appariva come una prospettiva particolarmente minacciosa, per questo motivo non furono coinvolte altre forze nella coalizione. 1.4 Il secondo conflitto greco-persiano Nella primavera del 480, Serse si mette in moto verso la Grecia, l’esercito varca l’Ellesponto e arriva in Macedonia, dove si ricongiunge con la flotta. La lega ellenica invia nello stretto varco delle Termopili, un contingente di circa 7.000 uomini al comando del re spartano Leonida, mentre la flotta si attesta presso il capo Artemisio. Il bilancio dei primi scontri non può considerarsi positivo. A Termopili, grazie alla collaborazione di un abitante del luogo, i Persiani riescono ad aggirare la postazione tenuta dagli alleati, e solo l’eroico e giustamente celebrato sacrificio di Leonida, rimasto a combattere sul posto con i 300 Spartiati e un piccolo gruppo di Beoti, fa sì che la loro avanzata possa essere ulteriormente ritardata. Inevitabile diventa il ripiegamento della flotta, che fa comunque in tempo a mettersi al sicuro prima dell’arrivo dell’esercito persiano. La Grecia centrale viene invasa. Le conseguenze sono pesanti: i Locresi, i Dori e le poleis della Beozia, ad eccezione di Platea e Tespie, si schierano dalla parte dei Persiani, brutale invece è il trattamento riservato alle due città beotiche e ai Focesi, i cui territori sono oggetto di devastazioni che coinvolgono anche i templi. Il mancato saccheggio di quello di Apollo delfico, si spiega attraverso la posizione filopersiana del santuario. Temistocle persuade i suoi concittadini ad evacuare l’intera regione: donne, bambini e anziani sono trasferiti al sicuro altrove, gli uomini in grado di combattere si imbarcano sulle navi da guerra. Nella fase immediatamente successiva del conflitto, il leader ateniese cerca lo scontro nello stretto di mare tra la costa dell’Attica e la piccola isola di Salamina, è qui che, induce con un espediente Serse a ingaggiare battaglia e la flotta greca, infligge una pesante sconfitta. Nonostante gli alleati siano inferiori ai loro avversari, dal punto di vista numerico, e per esperienza navale, a porli in una condizione di vantaggio è la scelta del campo di battaglia, un angusto spazio di mare che non consente possibilità di manovra e penalizza la flotta più numerosa. Serse decide di tornare in Asia con la flotta e una parte dell’esercito. 1.5 La vittoria dei Greci Mardonio (generale persiano), attraverso il sovrano macedone Alessandro I, alleato dei Persiani ma nello stesso tempo in buoni rapporti con Atene (che importa dalla Macedonia il legname necessario per la sua flotta), invia alla polis una proposta di alleanza con il nemico, che si impegna a riconoscerne l’autonomia, ad ampliarne il territorio e a provvedere alla ricostruzione dei templi distrutti. Il «serpente» di Platea Si indica un’iscrizione incisa sul monumento dedicato al santuario delfico dopo la vittoria di Platea, una grande colonna bronzea (attualmente a Istanbul) formata da tre serpenti intrecciati tra loro e originariamente sormontata da un tripode d’oro. L’iscrizione ci consente di conoscere la composizione della lega ellenica nel 479, dal momento che vi sono elencate le poleis (complessivamente 31) che combatterono contro i Persiani, con le tre più importanti – Sparta, Atene e Corinto – in posizione iniziale. Quando, nella primavera del 479, l’esercito persiano ritorna nella Grecia centrale, gli Ateniesi evacuano la città e l’intera regione, che vengono devastate. Non cambia la loro risposta in seguito a un nuovo tentativo di Mardonio. La paura che gli Ateniesi possano finire per accettare le offerte di Mardonio, induce gli Spartani a intervenire nella Grecia centrale. Al comando del nipote di Leonida, Pausania, l’esercito peloponnesiaco si congiunge alle milizie ateniesi, con a capo Aristide, mentre i Persiani si trasferiscono in Beozia, ove possono contare sull’appoggio dei tebani. Nei pressi di Platea, si realizza una delle più grosse concentrazioni di truppe della storia greca: ai quasi 40.000 opliti della lega ellenica, si contrappone uno schieramento di 40.000-50.000 unità (milizie fornite dagli Stati greci). La superiorità per capacità militare e armamento si rivela vincente, gli Spartani riescono a respingere i persiani e a innescare un contrattacco che, dopo la morte sul campo di Mardonio, travolge le truppe nemiche. Sul campo di battaglia viene innalzato un altare a Zeus Eleutherios che proclama sacro il territorio di Platea. Gli alleati possono regolare i conti con Tebe, costretta a consegnare i capi della fazione filopersiana e a subire lo scioglimento della lega beotica. Ma nel frattempo sono attive anche le forze navali della lega. La richiesta di intervento da parte di un gruppo di Sami, che promettono la rivolta delle poleis ioniche, induce i Greci ad agire. Con l’attacco degli alleati alle postazioni persiane ha quindi luogo uno scontro terrestre con esito vittorioso. I Greci si assicurano così il controllo dell’Egeo, e le poleis micrasiatiche si ribellano al dominio achemenide. Succesivamente alla vittoria si è tenuto un dibattito a Samo, nel quale gli Ateniesi si oppongono alla proposta di trasferire in Grecia i connazionali d’Asia e ottengono che Samo, Chio e Lesbo siano accolte nella lega ellenica. La presa di Abido è seguita dal ritorno in patria degli Spartani e di tutti i Peloponnesiaci, mentre gli Ateniesi, conquistano la piazzaforte persiana di Sesto. Con la presa di Sesto, la fase cruciale della guerra può considerarsi conclusa. Benché non si sia trattato di uno scontro etnico, le due guerre sono celebrate dalla propaganda dei vincitori come il trionfo della civiltà sulla barbarie e della libertà sul dispotismo e favoriscono la nascita di una nuova ideologia dell’identità nazionale greca nella quale la contrapposizione con i barbari ha un ruolo fondamentale. 1.6 L’Occidente In Occidente sono ancora i regimi tirannici ad avere rilievo nelle vicende storiche del V secolo. In Magna Grecia, a Reggio si pone a capo Anassilao: del suo governo si segnala la presa di Zancle, ribattezzata Messana. Molto importante fu la tirannide di Gela, con l’ascesa al potere di Gelone. I grandi proprietari terrieri siracusani, i gamoroi, dopo che una rivolta del demos li ha costretti ad abbandonare la città, si rivolgono al tiranno geloo, il quale si impadronisce senza difficoltà di Siracusa. Gelone si fa nominare stratego con pieni poteri e stabilisce a Siracusa la base della sua signoria. Si deve a lui la costituzione di un grosso apparato militare, sia terrestre che navale, e l’ampliamento della popolazione attraverso l’immissione di nuovi abitanti provenienti. Terone, tiranno di Agrigento, si impadronisce di Imera costringendo alla fuga il tiranno Terillo, il quale invoca l’intervento dei Cartaginesi, che inviano nell’isola un grosso esercito, che assedia Imera. Nel 480 avviene lo scontro con la coalizione agrigentino-siracusana capeggiata da Gelone, e i Cartaginesi subiscono una disfatta, cui viene imposto il versamento di un’indennità di guerra e la costruzione di due templi in Sicilia. Obiettivo della riforma è il consiglio aristocratico dell’Areopago che subisce ora un drastico ridimensionamento, conservando soltanto la giurisdizione sui reati di sangue (l’omicidio premeditato e il ferimento) e su alcune questioni sacrali, mentre gli sono sottratte le altre competenze (leggi, controllo sui magistrati, giurisdizione sui reati contro lo Stato). A beneficiare sono organismi democratici: oltre l’assemblea e la boulé dei Cinquecento, diventa molto importante il tribunale popolare. Nello stesso anno vi è anche una svolta in politica estera. L’affronto arrecato dagli Spartani, con il repentino congedo del contingente inviato nel Peloponneso, fornisce ai leader ateniesi l’occasione per rompere la symmachia per passare all’alleanza con i Tessali e con Argo (nemica di Sparta). Ha inizio così la contrapposizione tra le due poleis. Cimone, al suo ritorno dal Peloponneso non può più avere un ruolo in un’Atene dominata da un sentimento antispartano, inoltre viene messo in cattiva luce da Efialte e Pericle. Cimone, è costretto a lasciare Atene nel 461, Efialte viene ucciso nello stesso anno, essendo un alleato scomodo per il ben più ambizioso suo collaboratore. Ha inizio così una lunga fase in cui Pericle ha un ruolo incontrastato nella politica ateniese. 2.4 L’Occidente In Occidente si accentua il ruolo dominante di Siracusa, ove, alla morte di Gelone nel 478, è il fratello Ierone a succedergli, con cui la potenza della polis raggiunge il suo culmine. Gli abitanti di Catania e di Nasso sono da lui costretti a trasferirsi a Leontini, e al posto di Catania, viene fondata Etna. Ierone rivolge la sua attenzione anche al di fuori della Sicilia: interviene in Italia meridionale, per dissuadere il tiranno reggino dall’attaccare Locri e a sostegno dei profughi sibariti minacciati da Crotone, la maggiore potenza della magna-grecia. È soprattutto l’intervento contro gli Etruschi a mettere in luce il ruolo egemonico di Siracusa. Alla base vi è una forte conflittualità tra i Greci e le città marittime dell’Etruria per il controllo del basso Tirreno: gli Etruschi minacciano Cuma che invoca in suo aiuto il tiranno siracusano. La flotta di Ierone vince lo scontro. Il golfo di Napoli viene ora assorbito nell’orbita egemonica di Siracusa. Intorno al 470 viene fondata Neapolis. Nel 471 Ierone sconfigge Agrigento. Quando Ierone muore, il suo successore, il fratello Trasibulo, fugge a Locri a causa di una rivolta. In Magna Grecia, scoppia un conflitto a causa della politica aggressiva di Taranto ai danni delle vicine popolazioni indigene della Puglia meridionale. I Tarantini, insieme ai reggini, sono sconfitti. Ricordata da Erodoto come la più grande strage di Greci di cui si abbia conoscenza, la disfatta trasforma in senso democratico la costituzione cittadina di Taranto. L’età di Pericle 3.1 La prima fase della politica periclea Il periodo che va dalla fine del V sec. allo scoppio della guerra del Peloponneso è di eccezionale rilievo per Atene. Ne è protagonista Pericle, il leader più autorevole sulla scena politica ateniese grazie al suo carisma e l’influenza che è in grado di esercitare sul popolo in assemblea. La rottura con Sparta e la lega peloponnesiaca, si accentua in seguito alla mossa fatta l’anno successivo: gli Ateniesi si alleano con Megara, che è in guerra con Corinto, e si assicurano il controllo di un territorio di fondamentale importanza per le comunicazioni tra il Peloponneso e la Grecia centrale. Nel 459 i Corinzi invadono la Megaride e ha inizio in tal modo un conflitto. Nel 460, la polis intraprende una nuova avventura militare: invia 200 navi viene in Egitto per aiutare un principe libico che si era ribellato ai persiani, per controllare un’importante fonte di approvvigionamento cerealicolo quale l’Egitto. Nel 456, una spedizione inviata dal Gran Re, sconfigge i Greci. Ed è probabilmente in conseguenza del disastro egiziano che gli Ateniesi decidono di trasferire il tesoro della lega da Delo al santuario di Atena sull’Acropoli. Il conflitto con i Peloponnesiaci si è intanto esteso anche alla Grecia centrale: un esercito spartano interviene in aiuto dei Dori attaccati dai vicini Focidesi; sulla via del ritorno si scontra con Ateniesi, Argivi e Tessali. A causa di un tradimento di questi ultimi, gli ateniesi vengono sconfitti. Due mesi dopo, prevalgono sui Beoti, assicurandosi il controllo di gran parte della Beozia. L’anno successivo, dopo un lungo assedio, Egina, è costretta ad arrendersi, consegna la flotta, e aderisce alla lega delio-attica, con un pesante tributo. Cimone viene richiamato in patria prima della scadenza decennale dell’ostracismo e si stipula una pace quinquennale con gli Spartani. 3.2 La democrazia assistenziale A partire dal 457, l’antica magistratura diventa accessibile agli esponenti della terza classe soloniana, gli zeugiti. Nello stesso anno, viene portata a termine la costruzione delle Lunghe Mura che unendo la città ai due porti del Pireo e del Falero, rafforza il legame tra la polis e la sua flotta da guerra. Viene poi introdotto il misthos, la retribuzione corrisposta dalla polis a coloro che svolgono funzioni pubbliche, sia civili che militari. Ne è artefice Pericle: indotto, dal desiderio di competere in popolarità con il più ricco Cimone, istituisce così per costoro una paga giornaliera di 2 oboli. Grazie alle paghe pubbliche, anche i cittadini non abbienti hanno la possibilità di partecipare alla gestione della polis, e vengono a disporre di una fonte di reddito che serve ad assicurare loro la sussistenza. Pericle, nel 451/450, fa approvare una legge che modifica i requisiti per l’accesso alla cittadinanza ateniese: entrambi i genitori (e non più il solo padre) devono essere cittadini. In tal modo preclude l’inserimento nel corpo civico ai nati da matrimoni misti. A partire dalla metà del secolo, viene avviato un programma di edilizia pubblica che è destinato a cambiare il volto della città: ne è interessata soprattutto l’Acropoli, che, sotto la direzione dello scultore Fidia, subisce una completa ristrutturazione ed è arricchita da un ingresso monumentale, i Propilei, e soprattutto dal grandioso Partenone, dedicato ad Atena Parthenos ed edificato, tra il 447 e il 432, sulle fondamenta di un vecchio tempio di Atena distrutto dai Persiani. 3.3 La pace di Callia Tutto nasce da un attacco che gli Ateniesi sferrano contro i Persiani nel 451, allorché inviano a Cipro una flotta di 200 navi al comando di Cimone. Malgrado il fallimento dell’assedio della città di Cizio, durante il quale muore Cimone; durante la ritirata, gli Ateniesi sconfiggono la flotta persiana. Atene e i Persiani grazie all’ateniese Callia, stipulano la pace. Le clausole del trattato: in cambio della garanzia che i suoi territori (tra cui anche Cipro) non saranno più attaccati, il Gran Re accetta di riconoscere l’autonomia delle poleis greche d’Asia e di non far navigare la sua flotta al di là dello stretto di Bisanzio, a nord, e della città licia di Faselide a sud. Atene rimane padrona dell’Egeo. Ma la pace fa venir meno lo scopo primario – la difesa dal pericolo persiano – della symmachia. La soluzione è tenere la symmachia con la forza, trasformandola in un dominio imperialistico che riduce gli alleati alla condizione di sudditi. Nel 449/448, con l’occupazione di Delfi da parte degli Spartani ha inizio la seconda guerra sacra, nella quale Atene interviene a sostegno dei suoi alleati Focidesi. L’anno successivo, alla rivolta dell’Eubea si aggiunge la defezione di Megara, in aiuto della quale accorrono gli Spartani, che invadono l’Attica. Per motivi che non sono ben chiari gli spartani si ritirano, e gli Ateniesi costringono le città dell’isola a rientrare nell’alleanza. Con il trattato di pace trentennale stipulato nel 446/445, pongono termine alle ostilità e si impegnano a evitare che conflitti del genere possano ripetersi, delimitando le rispettive sfere di egemonia, stabilendo che solo le città non allineate siano libere di aderire all’una o all’altra delle due leghe e prevedendo il ricorso a soluzioni arbitrali per risolvere future controversie. Atene deve rinunciare a tutte le posizioni acquisite a partire dal 461. Per la prima volta Atene ottiene da Sparta un riconoscimento ufficiale della sua egemonia sulle città alleate, su cui è ora libera di esercitare il suo dominio imperialistico. Della crisi di Crotone approfittano i Sibariti per dar vita a un nuovo insediamento nel sito della loro antica città, invocando l‘aiuto di Sparta e Atene, ed è quest’ultima che risponde. Nel 446/445 un gruppo di coloni arriva dalla Grecia e partecipa alla nuova rifondazione di Sibari. La convivenza è di breve durata: l’atteggiamento prevaricatorio dei Sibariti, conduce allo scoppio di una guerra civile che si conclude con la loro sconfitta ed espulsione, e gli Ateniesi inviano un’ulteriore spedizione coloniale. Dal momento che la polis non è in grado di assicurare un adeguato numero di coloni, Pericle indice un bando panellenico, e nel 444/443, con l’arrivo di volontari provenienti da varie parti della Grecia, ha luogo la fondazione di una nuova città, Turi, di particolare interesse per la sua ricchezza agricola, ma anche per la posizione strategica nelle relazioni internazionali della Grecità occidentale. Nello stesso periodo la polis si assicura Reggio e Leontini. Dopo una guerra con Taranto per il possesso della Siritide, la nuova colonia è sconvolta da un grave contrasto interno, e, con la prevalenza della componente peloponnesiaca, finisce per sottrarsi ad Atene che tanto ha investito sulla sua fondazione. La guerra del Peloponneso 4.1 Le cause del conflitto Alla sua narrazione è dedicata l’opera scritta da un contemporaneo, lo storico ateniese Tucidide. Elemento basilare della ricostruzione tucididea è la distinzione tra due tipi di motivazioni: la causa più vera: crescente potenza di Atene e preoccupazione che incuteva negli Spartani, le cause dichiarate: contrasti occasionali che fanno esplodere le tensioni tra le due poleis. La prima occasione di crisi è una vicenda del 433 nella quale sono coinvolti i Corinzi, alleati spartani. Tutto nasce da un conflitto scoppiato tra Corcira e la sua madrepatria Corinto per questioni legate alla comune colonia di Epidamno: intimoriti dai grossi preparativi militari dei Corinzi, i Corciresi cercano l’appoggio di Atene, per un’alleanza. L’importanza strategica di Corcira, convince gli Ateniesi, si giunge così all’alleanza. Nel 433, Atene costringe i Corinzi a non attaccare Corcira, così ai motivi di rivalità già esistenti (controllo rotta per l’Occidente e interesse per la Megaride), si aggiunge un nuovo contrasto. A far salire la tensione interviene la questione di una colonia corinzia, Potidea, che fa parte della lega delio-attica. Gli Ateniesi, che ne temono la defezione, si fanno consegnare ostaggi e fanno abbattere un tratto della cinta muraria, per recidere i rapporti con la madrepatria. Il rifiuto dei Potideati, che confidano nell’aiuto di Sparta, fa scattare l’offensiva di Atene, ha inizio così un assedio di due anni. Nello stesso anno 432, viene approvato un decreto con cui i Megaresi sono esclusi dal mercato ateniese, e da tutti i porti della lega (bloccando il commercio megarese con l’Egeo e il Mar Nero, gli Ateniesi mirano a privare gli Stati peloponnesiaci di un importante canale di approvvigionamento di materie prime). A Sparta si svolge un vivace dibattito: il re Archidamo è riluttante ad intraprendere un conflitto lungo e difficile che la polis non può reggere. Tuttavia l’orientamento bellicista prevale. Sono però i Peloponnesiaci che, respingendo a loro volta una controproposta periclea di sottoporre la controversia a un arbitrato, chiudono le trattative e si assumono la responsabilità del conflitto. 4.2 La strategia periclea Nel marzo del 431, Platea, vittima di un’aggressione da parte di Tebe, riesce però a sventare l’attacco, l’episodio è la scintilla finale: ha inizio così la prima fase della guerra del Peloponneso, che durerà dieci anni ed è convenzionalmente indicata con la designazione di guerra archidamica dal nome del re spartano, Archidamo, protagonista di una serie di invasioni dell’Attica. Con Sparta sono schierati, Peloponnesiaci (ad eccezione di Argivi e Achei); Beoti, Megaresi, Locresi, Focesi, Corinto. Atene può contare su Platea, i Messeni di Naupatto, gli Acarnani e i Tessali, Corcira e Zacinto. La strategia di Pericle risulta chiara: consapevole della superiorità degli avversari sulla terraferma, intende puntare sugli scontri navali, attraverso una serie di incursioni sulle coste del Peloponneso e il blocco dei collegamenti commerciali. Pericle inoltre convince gli Ateniesi ad abbandonare il territorio attico alle devastazioni nemiche e concentrarsi tutti all’interno del grande circuito murario che racchiude la città e la congiunge (con le cosiddette «Lunghe Mura») al porto del Pireo. In tal modo, Atene godrà degli stessi vantaggi di un’isola. Quando il re spartano Archidamo penetra in Attica e comincia a devastare la regione, gli Ateniesi resistono alla tentazione di uscire dalla città per dare battaglia, e ai Peloponnesiaci, finiti i viveri, non rimane che prendere la via del ritorno. Pericle risponde con un’incursione nella Megaride e prende possesso dell’isola degli Egineti. L’anno successivo, si ripete lo stesso copione, a metterli però in gravi difficoltà si aggiunge una terribile epidemia. Il bilancio finale sarà per Atene più catastrofico di una campagna militare. Pericle perde la carica di stratego e viene condannato a una pesante multa per presunta sottrazione di denaro pubblico. Nell’inverno del 430/429, Potidea viene occupata dai coloni inviati da Atene. Pericle viene eletto di nuovo stratego, ma colpito dall’epidemia muore nell’autunno del 429. 4.3 Dopo Pericle Nel 428, Atene deve fare i conti con la defezione di Mitilene, che si stacca dalla symmachia e trascina con sé le altre poleis di Lesbo. Facendo ricorso per la prima volta al prelievo di un’imposta straordinaria di guerra (eisphorá), gli Ateniesi inviano un grosso contingente ad assediare i Mitilenesi, che sono costretti ad arrendersi. L’assemblea ateniese decide di punire la polis, uccidendo tutti i maschi adulti e riducendo in schiavitù il resto della popolazione, e solo in un secondo momento decide di giustiziare esclusivamente i Mitilenesi che hanno avuto responsabilità nella rivolta. Come sostenitore della linea dura si distingue Cleone, ora leader del demos, e fautore di una politica bellicista, è il tipico esponente di una nuova categoria di politici che non appartengono a prestigiose famiglie dell’aristocrazia e che hanno la capacità di convincere il popolo in assemblea. Gli Spartani ottengono la resa di Platea: i maschi adulti sono giustiziati e le donne vengono ridotte in schiavitù, mentre la città è consegnata ai Tebani, che la radono al suolo. Gli Ateniesi accolgono nella cittadinanza un gruppo di Plateesi. Nel 427 Atene apre un nuovo fronte in Sicilia, l’occasione è fornita da una richiesta di aiuto da parte di Leontini, a causa di uno scontro con una coalizione capeggiata da Siracusa. Atene accetta per diminuire l’espansionismo di Siracusa, e i rifornimenti cerealicoli che arrivano al Peloponneso. L’esito sarà del tutto inconcludente. Nell’estate del 425, Atene invia un nuovo contingente sotto la guida di Sofocle ed Eurimedonte; ne fa parte, un abile generale, Demostene. Durante la navigazione lungo la costa della Messenia, Demostene convince i due strateghi a occupare il promontorio di Pilo, con l’obiettivo di prendere contatto con i Messeni e di fomentarne la rivolta. La risposta spartana è immediata. Abbandonata l’Attica, si affrettano ad attaccare Pilo, ma hanno l’infelice idea di occupare l’isola di Sfacteria, con il risultato che la situazione si capovolge a loro sfavore. Sparta si preoccupa di assicurarsi una tregua per recuperare i suoi cittadini bloccati nell’isola. Gli Ateniesi non si mostrano disponibili. L’assalto finale si conclude nell’agosto del 425, con la resa e la cattura degli opliti spartani superstiti. Su iniziativa di Cleone viene approvato un decreto che prevede un aumento dei tributi delle città della lega. 4.4 La pace di Nicia Nell’estate del 424: un contingente ateniese guidato da Nicia, leader della fazione moderata, occupa Citera, privando Sparta di una base strategica per i commerci con l’Africa settentrionale. Gli Ateniesi nel frattempo, devono terminare l’impresa siciliana in seguito a un accordo tra le poleis dell’isola, che decidono di risolvere i reciproci contrasti senza l’aiuto di potenze straniere. A capovolgere le sorti del conflitto provvede la strategia adottata dagli Spartani: puntare su un’area di vitale importanza per l’approvvigionamento di legname e di argento quale la Tracia, ove, pensano di poter infliggere un colpo agli avversari. Sotto la guida di un energico generale, Brasida, l’offensiva spartana dà i suoi frutti: oltre a ottenere l’adesione di varie città della lega, alle quali garantisce autonomia, riesce a conquistare 4.7 La guerra deceleico-ionica Atene si trova ad affrontare in condizioni di difficoltà la nuova fase del conflitto, la guerra cosiddetta «deceleica», iniziata con l’occupazione spartana di Decelea nel 413. La polis attica è ora priva di una forte leadership. Viene istituita una commissione di dieci anziani, i probouloi, con il compito di far fronte all’emergenza, e si dà fondo alle ultime riserve finanziarie per allestire nuove navi da guerra. Ma la situazione di Atene si aggrava in seguito all’apertura di un nuovo fronte in Asia Minore (la cosiddetta «guerra ionica»), ove varie città alleate si ribellano al suo dominio e chiedono l’intervento di Sparta. In questa occasione entrano in gioco per la prima volta i Persiani, per ripristinare il loro dominio sulle città greche d’Asia. Tra gli Spartani e il satrapo di Sardi Tissaferne viene stipulata un’alleanza: in cambio del riconoscimento della sua sovranità sul territorio asiatico, il re persiano Dario II si impegna a contribuire allo sforzo bellico di Sparta. Alcibiade, è di nuovo protagonista di un voltafaccia. Desideroso di tornare in patria avvia dei contatti con i capi della flotta ateniese a Samo, per fargli stipulare un accordo con Tissaferne, a condizione che la polis adotti una Costituzione oligarchica. La proposta di Alcibiade, trova terreno fertile nelle consorterie politiche, le eterie, riesce così a sovvertire l’ordinamento politico: vengono abolite le indennità per le cariche pubbliche e la boulé dei Cinquecento è sostituita da un consiglio di 400 membri che ha il compito di redigere una lista di 5.000 cittadini a cui sono riservati i pieni diritti politici. Gli oligarchi non riescono a ottenere il consenso degli equipaggi della flotta ateniese a Samo, che, contrapponendosi al regime vigente in città, destituiscono gli strateghi filooligarchici e richiamano Alcibiade, per assicurarsi l’aiuto persiano. Su impulso di uno degli oligarchi, il nuovo organismo viene esautorato e viene restaurata la Costituzione vigente prima del colpo di Stato. Nel 409-408 Alcibiade, ritornato al servizio della sua polis, riesce a riconquistare gran parte delle postazioni perdute nell’area degli stretti, si apre finalmente la possibilità di avviare trattative con il re persiano. Dopo sette anni di esilio, il condottiero può fare trionfalmente ritorno ad Atene, ove, viene acclamato come un salvatore della patria dai suoi concittadini. 4.8 La sconfitta di Atene Al consolidamento dell’alleanza tra Sparta e il re persiano, si aggiunge l’entrata in gioco di un condottiero spartano, Lisandro. Tra costui e il figlio di Dario II, Ciro, si stabilisce un’intesa personale, in virtù della quale gli Spartani vengono a disporre di cospicui finanziamenti. Lisandro si rivela un avversario temibile per la sua abilità strategica in uno scontro navale avvenuto a nord di Samo. Alcibiade travolto dal malcontento popolare e privato del comando, conferito a Conone, si ritira in volontario esilio fino al 404, quando sarà fatto uccidere da Lisandro. Nel 406 Lisandro è sostituito da, Callicratida, che riesce a conquistare Metimna e a bloccare la flotta di Conone nel porto di Mitilene. Gli Ateniesi facendo ricorso, al reclutamento di schiavi per formare gli equipaggi delle navi e fondendo gli ex voto dei templi per coniare monete, allestiscono una flotta che affronta e sconfigge Callicratida, tra Lesbo e la costa asiatica. Ma gli strateghi che ne sono stati protagonisti vengono accusati del mancato recupero dei naufraghi, e giustiziati. Lisandro, rispedito al fronte da Ciro, riesce a piegare gli avversari, puntando sulla regione degli stretti, di vitale importanza per Atene. Nello stretto dell’Ellesponto ha luogo la battaglia decisiva. Ormai priva della guida di generali esperti, la flotta ateniese è colta alla sprovvista e annientata da Lisandro presso Egospotami. A causa dell’imposizione spartana di abbattere le lunghe mura ridà fiato alla fazione favorevole alla guerra: ne è campione Cleofonte. Ma a causa della grave scarsità di viveri, gli Ateniesi si arrendono. I vincitori rinunciano a infierire sulla polis sconfitta, in modo da evitare un eccessivo rafforzamento dei loro potenti alleati. Tuttavia gli Ateniesi devono rinunciare alla loro lega, nonché a tutti i possedimenti esterni all’Attica, e aderire alla symmachia egemonizzata da Sparta, ma sono anche tenuti a consegnare la loro flotta, e a subire lo smantellamento delle mura del Pireo. L’umiliante accordo viene ratificato nel 404. La fine del V secolo 5.1 I Trenta Tiranni e la restaurazione della democrazia ateniese Sparta si mostra poco rispettosa dell’autonomia delle poleis alleate, a cui impone il proprio modello politico: governi oligarchici, le cosiddette decarchie, comitati di dieci membri fedeli alla potenza egemone e puntellati da guarnigioni spartane mantenute dalla popolazione locale. Ispiratore di questa politica è Lisandro, che dopo la vittoria su Atene vanta un prestigio che non ha eguali nel mondo greco. Con la sconfitta di Atene si creano condizioni favorevoli a un cambiamento costituzionale. A prendere l’iniziativa sono gli esponenti delle eterie oligarchiche, che possono contare sull’appoggio di Lisandro. Capeggiati da Teramene e da Crizia, riescono a realizzare i loro piani: in un’assemblea del 404, il demos approva l’istituzione di una commissione legislativa di trenta membri con il compito di restaurare la Costituzione degli antenati. I Trenta restaurano le competenze dell’Areopago, annullano il potere dei tribunali e limitano i diritti politici a 3.000 cittadini scelti tra i loro sostenitori: si instaura un regime brutale caratterizzato dalla violenza. Accusato di tradimento da Crizia, Teramene è radiato dalla lista dei 3.000 e condannato alla pena capitale che gli viene illegalmente comminata. Meteci Si indicano i soggetti liberi che risiedono in una polis diversa da quella di origine senza godervi del diritto di cittadinanza. Ad Atene i meteci sono tenuti a pagare un’imposta personale, il metoikion, e a prestare il servizio militare in contingenti separati, inoltre devono scegliersi un cittadino come patrono (prostates) per poter essere rappresentati in giudizio. Esclusi dal possesso di terra e quindi dall’agricoltura, i meteci sono attivi nelle altre attività produttive, il loro ruolo nel commercio e nell’artigianato, è perciò di notevole rilievo per l’economia della polis. Dalla Beozia prende le mosse la resistenza ateniese: sotto la guida di Trasibulo, un piccolo gruppo di esuli occupa la fortezza di File, al confine attico-beotico, e da lì intraprende la lotta contro gli oligarchi. Nel 403 presso la collina di Munichia i Trenta subiscono una sconfitta e Crizia muore. I Trenta sono sostituiti da un nuovo comitato oligarchico di dieci membri dotati di pieni poteri, che chiama in suo aiuto Lisandro. Preoccupato dalla crescente influenza di Lisandro, il re Pausania II arriva in Attica e avvia trattative segrete, si raggiunge così un compromesso che pone termine alla guerra civile: in cambio dell’alleanza con Sparta e l’amnistia agli Ateniesi, Trasibulo e i suoi seguaci possono tornare ad Atene e restaurare la democrazia. L’accordo prevede anche il riconoscimento di uno Stato oligarchico indipendente con sede a Eleusi, che diventa il rifugio di quanti non intendono accettare la riconciliazione. La democrazia che viene restaurata è uguale a quella precedente, ma con qualche differenza: mentre all’assemblea rimane il compito di emanare decreti (psephísmata), l’approvazione di vere e proprie leggi (nomoi) viene affidata a collegi di legislatori (nomoteti) formati da giudici dell’Eliea estratti a sorte. Inoltre al fine di incentivare la partecipazione dei cittadini, viene introdotto un misthós anche per le riunioni dell’assemblea. Socrate, per le sue critiche ai valori tradizionali e al sistema democratico, nel 399 viene trascinato in giudizio con l’accusa di corrompere la gioventù e di non onorare gli dèi della polis. Condannato alla pena capitale, Socrate non prende in considerazione la possibilità di fuga e va incontro al suo ingiusto destino. 5.2 Lo sviluppo del mercenariato e la spedizione dei Diecimila Una delle caratteristiche più rilevanti è il fenomeno delle milizie mercenarie. Con l’affermarsi di nuove tattiche di combattimento, l’attività bellica richiede una specializzazione che il cittadino-soldato non è in grado di assicurare. A ciò si aggiungono le conseguenze sociali del conflitto--> la diffusa proletarizzazione: si crea una massa di sradicati ai quali risulta precluso il ritorno alle normali occupazioni e non rimane che l’attività militare. Nasce così la figura del militare di professione che combatte in cambio di uno stipendio e perciò rappresenta un nuovo onere per le finanze delle poleis greche. L’importanza del mercenariato emerge durante la spedizione dei Diecimila. 1.2 La guerra corinzia A questo punto il Gran Re, invia in Grecia il rodio Timocrate per spingere i governanti di Tebe, Corinto e Argo ad entrare in guerra contro Sparta. I Beoti raccolgono attorno a loro un’alleanza che comprende Atene, Tebe, Argo e Corinto, ed hanno successo nel trovare alleati perché gli Spartani erano diventati «i nuovi tiranni» del mondo greco. Nell’attacco alla Beozia trovò la morte Lisandro. La guerra corinzia aveva ormai il suo centro nella zona dell’Istmo, dove gli Spartani sconfissero le truppe avversarie a Nemea, mentre, un mese dopo, Agesilao, ritornato dall’Asia Minore, sconfisse gli alleati presso Coronea. Diversa era la situazione su un altro versante della guerra spartano-persiana, quello navale. Il re Artaserse, allontanandosi dagli Spartani, aveva arruolato come capo della flotta persiana un ex comandante ateniese, Conone. La flotta persiana sconfisse quella spartana portando ripercussioni sulle città greche d’Asia: il crollo della talassocrazia spartana determinò la cacciata delle truppe di occupazione spartane. A Conone che si impegnò a rispettare la libertà delle poleis ioniche furono innalzate statue e concessi onori. Peltasti Si indica una milizia di armati alla leggera, che derivano il nome dalla pelte, un piccolo scudo tracio a forma di mezzaluna e con anima di vimini ricoperta di cuoio, e che sono reclutati tra coloro che non hanno il censo necessario per equipaggiarsi. I peltasti assumono un ruolo di rilievo con i cambiamenti tattici intervenuti tra la fine del V e gli inizi del IV sec., allorché si diffonde un modo di combattere basato su manovre agili e veloci al quale, per l’armamento leggero di cui dispongono, risultano particolarmente adatti. Un ulteriore colpo all’egemonia spartana fu dato l’anno successivo nel Peloponneso. Qui dopo che ebbe fine a Corinto una guerra civile fra democratici favorevoli ad Atene ed aristocratici legati a Sparta, si decise di fondere la città con la vicina Argo. Il fine dell’operazione era quello di costituire un’entità sovracittadina capace di resistere alle pressioni spartane che nel Peloponneso erano ancora forti. Il sistema delle relazioni interstatali greche, centrato sull’autonomia cittadina, si rivelava, oltre che afflitto da conflittualità, anche incapace di reggere il confronto con l’impero persiano e con i nuovi organismi ‘statali’. Un altro evento che mise in evidenza la crisi anche militare di Sparta fu la sconfitta inflitta ai suoi opliti dalle truppe ateniesi armate alla leggera. Le difficoltà di movimento causate agli opliti dal loro armamento pesante avevano infatti favorito la vittoria dei più agili peltasti ateniesi. 1.3 La pace del re Nel 392/391 gli Spartani convocano un congresso al fine di aprire delle trattative di pace basate sul principio dell’autonomia delle città greche, ma ciò non ebbe successo per l’opposizione di Argivi, Corinzi e Ateniesi. Fondamentale si rivela il Gran Re persiano, il quale aveva riaffermato la sua vicinanza agli Ateniesi nominando come satrapo della Ionia, Struta al posto di Tiribazo, che aveva accolto le proposte di pace fatte dagli spartani, e aveva cercato di far arrestare Conone. Nel 388 Tiribazo viene inviato dal Gran Re a Sardi al posto di Struta col compito di trovare un accordo con Sparta, allo scopo di metter fine ad un conflitto. Dal punto di vista militare le cose cominciavano d’altra parte a mettersi male per gli Ateniesi: Antalcida era riuscito a ricostituire una flotta spartana che aveva bloccato il transito del grano diretto ad Atene. Alla fine del 387 Tiribazo, convocò a Sardi, capitale della sua satrapia, tutte le parti in guerra per far conoscere quali erano i termini della pace: tutta l’Asia continentale apparteneva al Gran Re, e tutti gli altri Stati greci dovevano essere autonomi. Queste clausole costituivano, un compromesso fra l’aspirazione dei Persiani ad essere gli unici signori dell’Asia e quella degli Spartani a non creare nel mondo greco organizzazioni statuali che andassero al di là della polis. La difesa ad oltranza del vecchio sistema della polis appare agli Spartani come l’unico mezzo per preservare la loro egemonia, un’egemonia che era entrata in crisi. La pace fu accolta anche perché il Gran Re minacciava di portar guerra a chiunque vi si opponesse. Argo e Corinto, sciogliere la loro unione perché le fusioni erano vietate. 1.4 Dionisio e l’Occidente La Sicilia conobbe, in anticipo sui tempi, forme di governo autocratico di carattere quasi monarchico e organizzazioni ‘territoriali’. Fondamentale era il contrasto tra la sua parte occidentale in mano ai Cartaginesi e quella orientale in cui erano insediate le città greche. Dionisio, sferrando un duro attacco contro il modo in cui le autorità cittadine avevano condotto la guerra, riesce a farsi eleggere stratego con potere assoluto (strategòs autokrator). Quando nel 405 si giunse alla stipulazione di una pace tra Cartagine e Siracusa, Dionisio si trovò a controllare solo il territorio siracusano. Dopo la conclusione del trattato, l’isola di Ortigia fu separata dal resto della città con la costruzione di un muro e di torri; terre e abitazioni furono concesse nell’isola ad amici, mercenari e schiavi liberati, cui fu donato anche il diritto di cittadinanza. Quindi, al fine di ricostituire una sfera di influenza siracusana nell’area etnea, Dionisio attaccò Erbesso e Nasso, il cui territorio fu ceduto ai Siculi, e Catania che fu invece ceduta a mercenari campani. Ma se si voleva riaffermare la presenza siracusana, era necessario portare la guerra contro Cartagine. Dionisio ampliò il Porto Grande, costruì la fortezza di Eurialo, allestì una flotta e organizzò la fabbricazione di armi e di macchine belliche. La guerra scatenata nel 397 ebbe agli inizi successo: quando l’esercito punico arrivò a Siracusa, il tiranno fu salvato da un’epidemia che si diffuse tra gli assedianti e dall’aiuto dello spartano Faracide. Ad ogni modo, la pace che nel 392 Dionisio concluse coi Cartaginesi gli assicurò un dominio su quasi tutta l’isola, ad eccezione della sua parte nord-occidentale. Lega italiota Alleanza militare sorta nel 393 tra poleis magnogreche con lo scopo di contrastare la minaccia lucana e la politica espansionistica di Dionisio I in Italia meridionale. Governata da un sinedrio formato dai rappresentanti delle varie città, si differenza per il fatto che la polis che detiene l’egemonia non è sempre la stessa, ma cambia nel corso del tempo (inizialmente Crotone, poi Reggio, Turi e infine Taranto). Una volta raggiunta questa posizione in Sicilia, egli iniziò un’espansione imperialistica verso la penisola italica. Suoi nemici erano i Reggini; suoi amici erano invece i Locresi, che gli concessero in moglie, Doride, la figlia del loro cittadino più illustre. La giovane locrese fu sposata dal tiranno nello stesso giorno del matrimonio di una nobile siracusana, Aristomache. Le duplici nozze avevano lo scopo di creare un legame territoriale fra la Sicilia e l’Italia meridionale. Nel 388 Dionisio sconfisse la lega italiota. In tal modo, ebbe la possibilità di costruire uno Stato territoriale che andava dalla Sicilia fino all’istmo scilletico-ipponiate e che aveva il suo punto di forza nelle relazioni con Locri e Messina. Uno Stato che costituiva nel Mediterraneo antico il primo esempio di Stato territoriale che si costruisce a poco a poco attorno ad una polis egemone. Il dinasta siracusano cercò di spingersi anche nell’Adriatico e nel Tirreno, si attribuisce a Dionisio la fondazione di Lisso, Issa e Faro e Ancona e Adria, mentre nel Tirreno si limitò a creare una base in Corsica e a stringere accordi con popolazioni celtiche. Nel 379 ebbe inizio una nuova fase dello scontro con Cartagine, che portò alla sconfitta di Dionisio a Kronion nel 375 e all’annessione di Selinunte e Terme nell’epicrazia punica. Muore con lui un personaggio che aveva saputo mettere Siracusa al centro dell’attenzione del mondo greco. 1.5 Dionsio II e la fine della dynasteia Il suo successore fu Dionisio il Giovane, figlio della moglie locrese. Il nuovo dinasta cercò un accordo con Cartagine; si impegnò nell’Adriatico; continuò l’alleanza coi Celti; prestò aiuto agli Spartani contro i Tebani. A Siracusa fu richiamato dall’esilio, lo storico Filisto, sostenitore della tirannide, ma fu invitato anche Platone, favorevole invece ad un governo ‘aristocratico illuminato’. Lo scontro si concluse con la vittoria di Filisto e con la cacciata di Platone. Dione (fratello della moglie siracusana di Dionisio I), nel suo esilio ateniese, preparava, attraverso mercenari, un’azione militare che potesse metter fine alla tirannide nella sua città. Egli riuscì a far partire dalla Grecia verso la Sicilia una spedizione militare, che penetrò a Siracusa. L’unica parte della città a non capitolare fu la fortezza di Ortigia, dove si rifugiò anche Contro Alessandro di Fere, erede di Giasone, si costituì una coalizione che si rivolse in cerca di alla Macedonia, e a Tebe al comando di Pelopida, che approfittò dell’opportunità per intervenire. Egli favorì in Macedonia l’ascesa al trono di Alessandro II contro Tolomeo, che con l’aiuto della regina madre, uccise Alessandro e divenne reggente del Paese. Pelopida sulla via del ritorno fu fatto arrestare da Alessandro di Fere. Fu Epaminonda a raddrizzare la situazione riuscendo ad ottenere la liberazione di Pelopida. Era tuttavia necessario, abbandonare le iniziali posizioni di opposizione allo status quo e trovare un accordo con la Persia. A tal fine Pelopida si recò a Susa per cercare di ottenere dal Gran Re il riconoscimento, esso fu concesso, ma al loro ritorno i Tebani non furono capaci di far ratificare dagli altri Greci gli accordi raggiunti. Epaminonda si dedicò alla costruzione di una flotta tebana per contrastare il dominio ateniese sul mare. Inoltre ritenne necessario fare una terza spedizione nel Peloponneso per stabilire un’alleanza con le popolazioni achee che avevano costituito uno Stato federale. Il capo tebano si rese conto che era difficile avere a che fare con popolazioni che avevano un alto tasso di conflittualità: fu costretto a far marcia indietro e a imporre agli Achei con la forza un governo democratico. Ma, quando questo governo fu travolto dal ritorno degli oligarchici, l’alleanza fra Achei e Tebani si ruppe. Si rivelò un fallimento il tentativo di rinnovare la «pace comune» con un congresso tenuto a Tebe nel 366. Sparta venne condannata a pagare una forte multa. La lega beotica inviò nel 364 nuovamente Pelopida in Tessaglia allo scopo di regolare definitivamente i conti col tiranno di Fere. Lo scontro fra i due eserciti avvenne presso Cinoscefale e si concluse con la vittoria delle truppe beotiche, ma Pelopida morì. Un conflitto tra Mantinea e Tegea e Megalopoli, portò alla quarta discesa di Epaminonda nel Peloponneso. Con Mantinea, oltre a Sparta, c’erano Ateniesi ed Elei; dalla parte di Tegea e Megalopoli, oltre ai Tebani si schierarono Achei, Argivi ed altri Peloponnesiaci. Epaminonda utilizzò la tattica vincente della falange obliqua, ma fu colpito a morte da una lancia. I Beoti e i loro alleati riuscirono a riportare la vittoria sugli avversari. La città beotica senza la presenza dei suoi due carismatici capi militari, non sarà più in grado di proporsi al modo greco quale polis capace di esercitare una funzione egemonica. Sparta era sulla via del declino, avendo ormai perduto sia le basi economico-sociali del suo potere nel Peloponneso che il suo prestigio internazionale; Tebe, non appariva all’altezza di prenderne il posto; Atene, non aveva un grande futuro, perché da lì a poco avrebbe conosciuto un irreversibile declino politico. L’ascesa della Macedonia 3.1 La Macedonia prima di Filippo II Il territorio governato dalla monarchia degli Argeadi comprendeva nel V secolo le pianure settentrionali circondate da monti; i suoi abitanti apparivano come «montanari» (makednoi). La moderna ricerca storica, tende a classificarli fra le tribù greco-occidentali, anche se è probabile che si fossero mescolati con popolazioni illiriche, traco-frigie ed epirotiche. La dinastia degli Argeadi riteneva di essere originaria della città di Argo e di discendere dai Temenidi. La prima figura che possiede precisi contorni storici è Aminta I, che entrò in contatto col re persiano Dario I, diventando suo vassallo e dando in sposa sua figlia ad un nobile persiano. Ma la figura di maggior rilievo è quella del figlio, Alessandro I, che regnò nella prima metà del V secolo. Egli si schierò dalla parte del Gran Re all’epoca delle guerre persiane, allo stesso tempo ottenne il titolo di prosseno e benefattore del popolo ateniese, oltre che l’appellativo di Filelleno: fu il primo fra i Macedoni a partecipare ai Giochi olimpici. Le sue riforme portarono alla creazione di una fanteria a piedi composta da contadini (i pezhetairoi), che affiancava la tradizionale cavalleria formata dai nobili (hetairoi). Egli attuò inoltre una politica espansionistica in direzione del Pangeo e dello Strimone, dove trovò miniere d’argento che gli permisero di coniare le prime monete d’argento macedoni. La dinastia macedone fino a Filippo II • Perdicca I • Argeo • Filippo I • Aeropo • Alceta • Aminta I (ca. 515-498) • Alessandro I (498-454) • Perdicca II (454-414/413) • Archelao (413-399) • Aminta III (392-384) • Alessandro II (370-365 ca.) • Perdicca III (365-359) • Filippo II (359-336) Il figlio Perdicca II cercò di trovare una posizione di equilibrio tra Sparta e Atene all’epoca della guerra del Peloponneso, anche se, gli Ateniesi fondarono nello Strimone, Anfipoli e fecero entrare nella lega delio-attica alcune città della penisola calcidica che il re macedone sostenne quando esse si ribellarono agli Ateniesi. Il regno del successore Archelao, fu caratterizzato da una grande apertura culturale al mondo greco: furono chiamati alla corte macedone grandi artisti, inoltre Euripide narrò le origini della dinastia macedone e scrisse “le Baccanti” mentre visse a corte. Alla morte, avvenuta in un attentato, si aprì una fase di lotte dinastiche che ebbe una tregua quando divenne re Aminta III, il quale fronteggiò con l’aiuto di Sparta la lega calcidica e aderì alla lega navale ateniese. Alla sua morte si aprì una nuova fase di turbolenze che coincise col periodo in cui Pelopida si intromise negli affari interni della Macedonia, che portò all’ascesa al trono di Alessandro II e poi di Tolomeo di Aloro, infine salì Perdicca, egli morì dopo essere entrato in conflitto con Atene a proposito di Anfipoli. 3.2 La Macedonia sotto il governo di Filippo II Filippo di Macedonia, il figlio più giovane di Aminta III, alla morte di Perdicca III assunse il potere come tutore del nipote Aminta. Egli si impadronì di Anfipoli, non rispettando gli accordi con Atene. Il suo obiettivo era: contenere le tribù ‘barbariche’ che premevano ai confini, e occupare l’area traco-macedone su cui Atene cercava di estendere la propria influenza. Questa politica trovava il suo fondamento nel fatto che la lega marittima di Atene era in crisi per una ribellione fra tre isole dell’Egeo (Chio, Rodi e Cos) e Bisanzio: le città si rifiutavano di versare i tributi (syntaxeis) e volevano formare un koinón a parte. Alla fine di un biennio di scontri Atene, dovendo riconoscere il distacco dalla lega delle città ribelli, si trovava estremamente indebolita e a capo di un koinón, che si limitava alle Cicladi, all’Eubea e all’Egeo settentrionale. 3.3 La terza guerra sacra (356-346) Nella Grecia centrale scoppiò una guerra per il controllo dell’Anfizionia delfica che, partendo dal contrasto tra Focesi e Spartani da una parte e Beoti e Tessali dall’altra, si estese ad altre parti del mondo greco. Nel 356 i Tebani spinsero il consiglio delfico a condannare al pagamento di una multa i Focesi e gli Spartani. I Focesi risposero all’attacco occupando il santuario delfico con un esercito al comando di Filomelo e riprendendo il controllo dell’Anfizionia che avevano avuto fino alla seconda guerra sacra. Ma Filomelo fu sconfitto dai Beoti. A succedergli fu Onomarco che, facendo ricorso alle ricchezze di Delfi, rafforzò la posizione del koinón focese. Nel frattempo i signori della Tessaglia si divisero tra quelli che si allearono con Onomarco e quelli che preferirono ricorrere a Filippo. Questo scontro stava dando alla Macedonia la possibilità di inserirsi a pieno titolo nel giuoco politico e diplomatico greco. Filippo sconfisse Onomarco, questa vittoria lasciò la Tessaglia nelle mani del re macedone che divenne comandante supremo dell’esercito tessalico. Filippo arrivò fino a Perinto dove creò difficoltà al passaggio del grano diretto ad Atene. greco per terra e per mare. Tra il re macedone e le città greche nasce un’alleanza (symmachia), difensiva. L’anno successivo (337) il Consiglio approva la proposta di Filippo di dichiarare guerra alla Persia allo scopo di punire la distruzione di templi greci, Isocrate, fu nominato strategòs autokrator della spedizione. Qualche mese dopo l’inizio della spedizione, ad Ege, Filippo fu pugnalato a morte da un ufficiale della guardia reale, Pausania. Vergina Sito della Macedonia orientale corrispondente alla città di Ege, l’antica capitale del regno, si segnala per il rinvenimento, di tre tombe reali della seconda metà del IV sec. Dibattuta è stata l’attribuzione della tomba II, una sepoltura costituita da camera e anticamera, con una facciata con semicolonne doriche e un grande fregio con scena di caccia: si tratterebbe della tomba di Filippo II, ma per la presenza del diadema regale, apparterrebbe a Filippo III Arrideo, fratellastro di Alessandro Magno morto nel 316. Con la morte di Filippo si scoppia la crisi, per così dire, definitiva di quella polis «classica» che aveva avuto i suoi modelli ideali, da una parte, in una Sparta che, unendo autoritarismo a spirito comunitario, era riuscita a mantenere la leadership militare del mondo greco e, dall’altra, in una Atene democratica e «liberale», che grazie alla presenza di una cultura capace di mettere in discussione i fondamenti tradizionali della società, aveva saputo costruire una nuova forma di partecipazione popolare alla gestione degli affari pubblici. La crisi di entrambi i modelli aveva lasciato un vuoto che in parte fu colmato da Filippo di Macedonia, portatore di ideali monarchici ed imperiali capaci di attrarre élite cittadine e strati popolari in cerca di nuovi punti di riferimento. Ma che tipo di società era quella macedone? Prevale fra gli studiosi l’idea che la Macedonia fosse una società di carattere feudale. Si trattava di uno Stato con scarsi sbocchi al mare, che aveva un’economia prevalentemente agricola e che disponeva di una grande abbondanza di legname per la costruzione di navi. Il re vi esercitava un potere patriarcale, ma era fortemente influenzato dai nobili e dall’esercito. Si è giunti a pensare che quella macedone fosse una monarchia popolare, in cui la classe contadina riusciva a far sentire la sua voce attraverso l’assemblea dell’esercito, che eleggeva il re, e costituiva il tribunale supremo nei casi di processi per alto tradimento. Una tradizione storiografica tende a presentare l’azione politica di Filippo e della Macedonia come equivalente a quella compiuta da Bismarck e dalla Prussia nella Germania moderna: in altri termini, Filippo avrebbe compiuto con la forza quella unificazione della nazione greca che i Greci non sarebbero mai stati in grado di realizzare da soli. 3.5 Timoleonte e la Sicilia In Sicilia, nel 345-344 arriva un corpo di spedizione corinzio con a capo, Timoleonte, un democratico che aveva nutrito in passato simpatie per Filippo di Macedonia e che aveva partecipato all’uccisione del fratello che aveva tentato di farsi tiranno di Corinto. Dopo il lungo periodo dionisiano di accentramento attorno a Siracusa, si era verificato un processo di frammentazione che aveva portato alla nascita di tirannidi cittadine, inoltre i Cartaginesi avevano lanciato una nuova politica espansionistica. La spedizione corinzia assunse quiundi un carattere anticartaginese. Iceta, che aveva sconfitto Dionisio II e lo assediava ad Ortigia, era però ostile alla sua spedizione. Timoleonte, dopo aver creato un’alleanza (symmachia) con altre città, sconfisse Iceta. Dionisio II decise di trattare con Timoleonte la sua resa ottenendo, la possibilità di recarsi in esilio a Corinto, dove concluse i suoi giorni facendo il maestro di scuola. Intanto Iceta continuava con l’aiuto dei cartaginesi l’assedio di Ortigia, dove 400 uomini di Timoleonte si erano uniti al tiranno. Le truppe corinzie, che avevano ricevuto rinforzi dalla madrepatria, si prepararono ad attaccare sia i Cartaginesi che Iceta a Siracusa. Ma Magone, capo della flotta cartaginese, avendo capito l’intesa tra Timoleonte e Iceta, preferì salpare verso l’Africa. Iceta trovò un accordo col Corinzio lasciando Ortigia. Timoleonte si dedicò a quella attività riformatrice e legislatrice di cui la città aveva bisogno. Dopo aver distrutto le fortificazioni di Ortigia, fece rientrare gli esiliati e si rivolse a tutti i Sicelioti invitandoli a recarsi a Siracusa e attuò una redistribuzione delle terre. Inoltre, creò un’alleanza militare (symmachia) che sotto la guida di Siracusa comprendeva sia città greche che indigene. Nel 339 un esercito punico sbarcò in Sicilia, costringendo Timoleonte a stringere un accordo con Iceta. Anche se le forze erano inferiori, il Corinzio penetrò nel territorio di Agrigento in cui sconfisse i Cartaginesi. Iceta di Leontini, Mamerco di Catania e Ippone di Messina ruppero l’accordo coi Siracusani e si allearono coi Cartaginesi. Timoleonte siglò con Cartagine una pace separata che riconosceva nel fiume Alico (Platani) il confine; inoltre condusse una guerra contro i tiranni che si concluse con la loro eliminazione. Il Corinzio poi si dedicò alla politica di colonizzazione panellenica che era uno dei motivi per cui era stato chiamato. Grazie all’arrivo di coloni, furono avviati nuovi insediamenti. Inoltre diede a Siracusa una nuova Costituzione di carattere timocratico, basata su un’assemblea democratica e su una boulé di seicento cittadini possidenti e presieduta da un sacerdote di Zeus Olimpio. Nel 337 abbandonò il potere e si ritirò a vita privata a Siracusa, dove, dopo la sua morte, gli fu riservato un culto eroico. 3.6 La Magna Grecia da Archita di Taranto ad Alessandro il Molosso Anche la Magna Grecia. Le città, raccolte in una lega italiota, si trovavano in difficoltà a causa delle pressioni delle popolazioni italiche (Lucani e Bretti). La polis che aveva cercato di svolgere all’interno della lega una funzione egemonica, era Taranto, dominata da Archita. Alla sua morte la situazione precipitò e Taranto fu costretta a ricorrere all’aiuto della madrepatria greca. In Italia fu inviato da Sparta un corpo di spedizione guidato dal re Archidamo III, figlio di Agesilao, che però fu sconfitto e ucciso dai Lucani e Messapi a Manduria. Taranto fu costretta a ricorrere all’aiuto dei Greci, ma in Grecia, dopo la vittoria di Filippo a Cheronea, le poleis erano in crisi. Dopo 4-5 anni Alessandro il Molosso sbarca con un esercito in Italia in soccorso delle città greche. Egli si scontrò vittoriosamente con Messapi e Peucezi e riuscì a liberare dai Lucani Eraclea, restituendola alla lega italiota. Trasferì le sue truppe nell’area tirrenica ed entrò in conflitto con Sanniti, Lucani e Bretti di cui riuscì a occupare la capitale, Cosenza. A questo punto il re concluse un accordo coi Romani, che erano anch’essi in conflitto coi Sanniti. Taranto, resasi conto della minaccia romana, cominciò a temere le conseguenze negative che avrebbe potuto avere per le città greche la potenza del Molosso; inoltro iniziò a rendersi conto che col mondo italico era meglio trovare un accordo piuttosto che cercare lo scontro frontale. Così smise di appoggiare Molosso che fu ucciso da un esule lucano. Si concludeva con un fallimento anche questa spedizione in Magna Grecia di un sovrano greco: questo ci fa comprendere che la situazione degli Italioti, tra popolazioni indigene in rivolta e Romani, non era delle più facili. Taranto cercherà di stringere accordi con Bretti e Lucani, ma i ‘barbari’ più pericolosi erano diventati i Romani. Alessandro Magno 4.1 L’ascesa al trono Pochi personaggi della storia greca sono stati così popolari già nell’antichità come Alessandro Magno, diventato una figura leggendaria e il modello di tutti i grandi condottieri per le straordinarie conquiste da lui realizzate. Tuttavia la ricostruzione della sua vicenda non è esente da problemi: le fonti sono tutte posteriori di vari secoli e perciò condizionate dal mito dell’eroe sovrumano. Nato nel 356 dalla quinta moglie di Filippo, la principessa Olimpiade, e destinato a succedere al padre, che lo fa educare da Aristotele, Alessandro rischia di veder compromesso il suo diritto alla successione: il nuovo matrimonio che il sovrano, contrae con la macedone Cleopatra determina un deterioramento nei rapporti con il figlio. A risolvere la situazione interviene la morte del padre. Alessandro torna a Menfi, ove definisce l’assetto amministrativo dell’Egitto, e riprende la campagna antipersiana. Dario III, attraverso un’ambasceria fa sapere al suo antagonista che è pronto a cedergli tutto il territorio a occidente dell’Eufrate e gli offre un patto di amicizia e di alleanza, oltre che un riscatto per la liberazione della propria famiglia. Il sovrano esclude ogni trattativa e si dirige in Mesopotamia per affrontare l’avversario. Nel 331, nella pianura di Gaugamela, ha luogo lo scontro decisivo: Alessandro riesce nuovamente a mettere in fuga il Gran Re. Alessandro è ormai padrone dell’impero persiano, tanto è vero che sullo stesso campo di battaglia si fa proclamare re dell’Asia. 4.4 Alessandro monarca orientale Dopo Gaugamela, l’avanzata di Alessandro diventa una marcia trionfale: il sovrano può così impadronirsi di Babilonia, Susa, e infine di Persepoli. È qui che ha luogo un’enigmatica vicenda: per iniziativa di Alessandro, il palazzo reale viene distrutto da un incendio, che la maggior parte delle fonti fa risalire a un momento di ebbrezza del sovrano. È tuttavia più probabile che, si sia trattato di un’azione intenzionale: Alessandro avrebbe presentato l’incendio della reggia achemenide come una vendetta per le distruzioni di templi greci, facendo così capire al mondo greco che lo scopo della sua campagna in Asia può considerarsi raggiunto. Il ricorso alla propaganda panellenica risulterà del tutto assente nel prosieguo dell’impresa, che d’ora in poi si configura come una spedizione a fini di conquista. Alessandro deve però chiudere la partita con Dario III. Lasciata Persepoli, il condottiero macedone punta su Ecbatana, ma prima che Alessandro lo raggiunga, il re persiano cade vittima di una congiura guidata dai suoi stessi generali. Alessandro fa seppellire Dario con tutti gli onori a Persepoli, nelle tombe reali, e dimostra di considerarsi il suo legittimo successore sul trono persiano. Venuto a sapere che Besso (generale persiano), si è proclamato re con il nome di Artaserse IV, Alessandro avverte l’esigenza di ribadire ai suoi nuovi sudditi che è lui il legittimo successore di Dario: da qui il tentativo di assimilare l’immagine dei sovrani achemenidi, di cui adotta qualche usanza e l’abbigliamento (diadema, fascia di stoffa con pietre preziose attorno alla testa, simbolo della funzione regale). La conseguenza è un diffuso malcontento della sua cerchia, che può tradursi in dissenso o congiure: di cui fa le spese l’innocente Parmenione. Temendone la reazione, nonché il prestigio di cui gode tra gli esponenti della vecchia guardia, Alessandro ne ordina la soppressione, nonostante la sua fedele militanza. 4.5 Alessandro in Asia centrale Nel 329 Alessandro penetra in Battriana, ove sta il suo principale obiettivo, Besso. La sua avanzata è scandita da un’intensa attività colonizzatrice: Alessandro mira ad assicurarsi il controllo dei territori più turbolenti, e a potenziare gli scambi commerciali tra le varie aree del suo nuovo impero, mentre dubbio è l’intento di diffondere la cultura greca che, gli viene talvolta attribuito. Ai Khanum Località dell’Afghanistan ove le indagini hanno individuato una città greca identificata con Alessandria Ossiana. Di notevole interesse, perché evidenziano la penetrazione della cultura greca e la sua mescolanza con le tradizioni locali, sono le strutture portate alla luce, tra cui un ginnasio, un grande teatro con gradinate in stile orientale, un heroon, un santuario dedicato a un culto eroico, e il palazzo reale, in cui elementi greci appaiono associati a tecniche architettoniche e costruttive che rimandano ai palazzi delle capitali achemenidi. Abbandonato dalla nobiltà locale, Besso si è ritirato più a nord, in Sogdiana, l’esercito macedone può perciò occupare la capitale, Battra. Ma anche in Sogdiana, i signori locali preferiscono consegnargli il loro alleato. Besso viene torturato e mutilato e condotto a Ecbatana, ove è condannato a morte da nobili persiani. Il sovrano può così impadronirsi della Sogdiana e della capitale, Maracanda, e, raggiunto poi il fiume, fonda Alessandria Eschate. Alcuni nobili sogdiani, con a capo Spitamene, rinnegano l’accordo e, con l’appoggio dei nomadi, scatenano una rivolta. Alessandro affronta i ribelli con unità più piccole cercando di stanarli nelle loro roccaforti, essi alla fine vengono massacri e ridotti in schiavitù. La repressione militare è accompagnata da una politica finalizzata ad acquisire il consenso e della nobiltà locale: vi è l’inserimento nell’esercito di fanti e cavalieri indigeni. Inoltre Alessandro celebra le sue prime nozze sposando Rossane, figlia di un notabile della Sogdiana, che dopo essere stato uno dei capi degli insorti, entra a far parte dei suoi collaboratori. A Maracanda, nel corso di un banchetto scoppia un violento alterco tra Alessandro e Clito, suo fraterno amico che disapprova i suoi cambiamenti in senso orientalizzante, il sovrano lo trafigge con la lancia. Nel 327, abituato a ricevere dai persiani il rituale omaggio della proscinesi, un inchino accompagnato da un bacio a distanza inviato sulla punta delle dita, Alessandro decide di imporre tale pratica anche ai Greci e ai Macedoni. La nuova imposizione viene accolta con disappunto dai destinatari, per i quali l’omaggio in questione è un atto di servilismo. Quando, poco tempo dopo, viene scoperta una congiura, lo storico Callistene paga il conto per la sua coraggiosa presa di posizione (non era d’accordo con l’omaggio): benché, estraneo al complotto, viene accusato di esserne l’ispiratore per i suoi stretti rapporti con alcuni dei congiurati. Alessandro lo condanna a morte senza processo, alienandosi così le simpatie di Aristotele. 4.6 La campagna indiana Nel 327, Alessandro si spinge ancora più a est, in India. Il suo obiettivo, quale successore degli Achemenidi, era ricostituire l’antico confine orientale dell’impero persiano, che aveva per qualche tempo inglobato anche i territori nella valle dell’Indo. La richiesta di intervento a lui rivolta dal signore di Tassila, e da altri dinasti indiani, che con il suo appoggio sperano di rafforzarsi, gli fornisce l’occasione. Alessandro dopo vari mesi raggiunge Tassila, e il re gli rende omaggio quale suo vassallo. Poro, il dinasta del regno confinante, si rifiuta di riconoscere la sovranità di Alessandro così schiera un esercito con elefanti da guerra. Nel 326 ha luogo l’ultima delle grandi battaglie combattute dal condottiero e ancora una volta Alessandro, riesce a vincere. Resosi conto che deve fare affidamento sui capi locali per potersi garantire il controllo del Paese, lascia che Poro rimanga al potere come suo vassallo. La vittoria è l’occasione creare due nuove colonie, Nicea e Bucefala in onore del cavallo di Alessandro morto durante la battaglia. La campagna non è conclusa: avvia la costruzione di una flotta per arrivare sino all’Oceano meridionale, e riprende ad avanzare con l’esercito per imporre la sua autorità alle popolazioni a est dell’Idaspe. Il suo obiettivo è raggiungere il confine orientale dell’Asia, che, secondo la concezione greca, terminerebbe con l’India. Quando l’esercito arriva al fiume Ifasi, i soldati, esausti,si rifiutano di proseguire, così Alessandro torna indietro. Un altro progetto è quello di navigare sui fiumi sino all’Oceano meridionale: Alessandro deve fronteggiare la resistenza delle popolazioni locali e solo attraverso duri scontri riesce a imporre il suo dominio. Nel 325, l’armata arriva a Patala, e Alessandro raggiunge quindi l’Oceano. La lunga campagna di conquista può considerarsi conclusa. Ma anche il viaggio di ritorno finisce per diventare un’avventura movimentata: mentre la flotta prosegue fino al golfo Persico, Alessandro decide di scortarla da terra attraversando l’inospitale deserto della Gedrosia, nel quale muoiono molti dei suoi uomini. Una volta arrivato in Carmania ha l’idea di trasformare la sua marcia in una processione dionisiaca e percorre così, l’ultima tappa del suo viaggio.