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Riassunto del testo "Letteratura greca medievale", Sintesi del corso di Storia Antica

Riassunto del testo "Letteratura greca medievale" per la preparazione all'esame di Civiltà Bizantina della triennale in lettere classiche con il prof. Giannachi.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 30/06/2022

francesco-funel
francesco-funel 🇮🇹

4.8

(10)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del testo "Letteratura greca medievale" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Antica solo su Docsity! LETTERATURA GRECA MEDIEVALE KARL KRUMBACHER Introduzione La letteratura greca antica è come una regione montuosa estremamente varia, mentre la letteratura bizantina è invece come una pianura ampia e uniforme, soltanto di rado interrotta da colline ridenti. Ad ogni modo il trapasso da un paesaggio all’altro non avviene mai bruscamente. La letteratura bizantina è la più insigne testimonianza della continuità spirituale della nazione greca della fine dell’antichità fino alle soglie dell’età moderna. Cause della nascita 1. Roma si grecizzò presto, offrendo così alla grecità, ancora per un millennio, una patria che la difendeva e le dava nutrimento. 2. La Chiesa cristiana ha sostenuto energicamente la nazione ellenica spesso minacciata nella sua esistenza, mantenendo e ricreando le condizioni per una vita intellettuale e letteraria. Perché studiare la letteratura bizantina? 1. Valore estetico e contenutistico 2. Influssi profondi esercitati sui popoli orientali 3. Stretta connessione con la lingua e la letteratura antica Per comprendere l’essenza della letteratura bizantina e il suo significato universale, dobbiamo anzitutto rinunciare al paragone, che troppo spesso suole istituirsi, con altre letterature. A causa di mutamenti precedenti, si è creata un’unità culturale nuova, che non è un’appendice o un prolungamento dell’antichità, ma una creazione originale ed autonoma. CAPITOLO I CARATTERE COMPOSITO DELLA CIVILTÀ BIZANTINA La civiltà bizantina e la sua letteratura mancano di compiuta unità e sviluppo organico per cui la cultura greca antica si distingue. La civiltà romano-orientale è il risultato di una lenta fusione di elementi diversi dove, gli elementi costitutivi sono la Grecità, la Romanità, il Cristianesimo e l’influsso orientale. Grecità Quando Costantino il Grande inaugurava nel 330, la nuova capitale dul Corno d’Oro, non pensava certamente di porre con ciò in pericolo il latino come lingua ufficiale, e l’Impero mantenne il proprio carattere latino anche in seguito alla scissione definitiva avvenuta nel 395. Cause della prevalenza del greco 1. Il numero limitato di coloro che parlavano il latino in Oriente; 2. La netta prevalenza dei Greci; 3. L’alto livello della cultura greca condussero, com’era naturale, ad una lenta grecizzazione dell’Impero d’Oriente. L’ultimo grande atto della tradizione latina nell’Impero fu la codificazione del diritto ad opera dell’imperatore Giustiniano (527-565),anche se, pare che l’ispiratore di questa opera gigantesca, Triboniano, fosse dell’Asia Minore, e che le Novelle di Giustiniano siano state in parte redatte in greco. Con Tiberio(578-582), vero greco al trono, nel VII secolo la grecizzazione dello Stato appare in tutto e per tutto conclusa. Allo stesso modo vengono grecizzati l’organismo statale e quello ecclesiastico , la giustizia e l’amministrazione, l’esercito e la marina. Tuttavia, la completa grecizzazione avviene sotto i Comneni ed i Paleologi, in parte per lo sgretolamento delle regioni non greche dell’Impero, in parte attraverso un nuovo consolidamento interno della grecità. Con la rinuncia al latino l’Impero ha rinunciato alla sua anima nazionale e linguistica, né è stato mai più creato un elemento che esercitasse la stessa funzione di coesione. In Occidente, la lingua latina veniva introdotta nelle nuove province in Italia e fuori d’Italia, nella Spagna, nella Gallia, nell’Africa; perciò, all’epoca della scissione dell’Impero esisteva in Occidente una compatta struttura latina o latinizzata. In Oriente, se si prescinde dai Vlachi (Rumeni), la latinizzazione non è penetrata in profondità e neppure si è mai seriamente tentato di attuarla. Quando il latino incominciò a perdere progressivamente terreno come lingua ufficiale dello Stato, il greco prese il posto del latino. Alla possibilità di grecizzare l’Oriente, mancavano le premesse storiche, e in primo luogo la lenta annessione, attuata con forze proprie, delle parti non greche dell’Impero ad un centro greco. Ci si ostinava, inoltre, a considerare il latino la lingua ufficiale dello Stato. Inoltre, i Greci da un lato non possedevano quella forza brutale e quell’abilità politica grazie alle quali i Romani erano riusciti ad assimilare i popoli stranieri e in più, si opponevano ad essi, molte civiltà orientali tenacemente conservatrici. Per quanto riguarda la religione, la cristianizzazione, in Occidente, avvenne grazie alla lingua latina che si affermò nella liturgia, nei rapporti fra Stato e Chiesa, nella scuola e in gran parte anche nella letteratura. In Oriente, sebbene il greco, lingua dei testi sacri, vantasse più antiche e più fondate pretese alla funzione di lingua universale della Chiesa che non il latino, pure non è mai assurto in Oriente ad una posizione dominante simile a quella del latino in Occidente. I testi sacri furono tradotti nelle varie lingue nazionali come il siriaco, il copto, ecc., e così pure per la Messa e per la predica ci si serviva di queste lingue. Come conseguenza, alcuni popoli assunsero determinate peculiarità dogmatiche e dottrinali, per cui sorsero nuove Chiese come per esempio i Copti nestoriani, i Siri monofisiti, ecc. Lo scisma ecclesiastico più importante e più gravido di conseguenze, quello della chiesa Greca da quella Romana, è nato più da contrasti linguistici ed etnici che da divergenze dogmatiche. Romanità Sebbene i Greci in Oriente si sentissero presto indipendenti dall’apparato dello Stato Romano e le sue grandi peculiarità, non modificarono mai sostanzialmente questa inestimabile eredità dell’Occidente latino, nonostante abbiano apportato singoli mutamenti nell’amministrazione (costituzione dei «temi»). L’idea dello Stato era infinitamente più forte dei particolarismi nazionali e linguistici. Così i Greci assunsero spontaneamente il nome di «Romei» (Ρωμαιοι) e si servirono da allora in poi del loro antico, glorioso nome di «Elleni» (Ελληνες) in senso dispregiativo ed ostile per indicare i pagani. Il nome «Romei» si è poi saldamente affermato come denominazione dei Bizantini. L’esempio di una struttura statale bene organizzata ha dato un’educazione politica al popolo che non la possedeva, rendendolo capace di grandi e lungimiranti compiti politici. I Greci hanno svolto una funzione così importante dal punto di vista politico come nel periodo bizantino, e questo è un fatto che sa solo dovrebbe vincere la strana avversione o indifferenza dei Greci di oggi per il loro Medioevo. Tradizioni ellenistiche si sono potute conservare accanto all’ordinamento romano. Roma ha lasciato parecchie tracce nella lingua greca dell’età bizantina; questa, infatti, brulica di parole latine grecizzate alla meglio, in particolare per i concetti del diritto e dell’amministrazione. Mentre, nella storiografia e nella retorica, che hanno il loro fondamento nella tecnica antica, si sopprimono i termini latini, considerati barbari. Esempio dell’influsso romano sui termini greci per indicare “la casa”, soppiantati dal latino hospitium οσπìτιον > οσπìτιν > σπìτιν > σπìτι = alloggio, albergo, quartiere. Cristianesimo Il Cristianesimo nasce dal paganesimo e con questo si fonde per svilupparsi. Come conseguenza, rimasero residui del paganesimo e questo è naturale, tuttavia, è assai sorprendente che la dottrina del Redentore non penetrò molto in profondità nelle cerchie dominanti e riuscì a mitigare soltanto in minima parte i costumi ufficiali. Quale concetto del vero Cristianesimo doveva avere un Costante II o un’ambiziosa imperatrice Irene? Questi titani sanguinari non richiamano alla nostra memoria la nobile dottrina dell’amore verso gli uomini e la loro dignità o della rinuncia e del sacrificio di sé stessi. Tuttavia, incontriamo esempi luminosi di virtù cristiana come Giovanni Crisostomo e Nicola Mistico. Proprio nell’attuazione pratica del Cristianesimo, Bisanzio è la terra dei contrasti più stridenti, e può essere giudicata rettamente soltanto attraverso la più cauta valutazione. Nei secoli VI-X, la lingua popolare aveva avuto un impulso notevole, al venir meno dell’antica tradizione scolastica e sotto l’influsso di scrittori stranieri non impacciati dalla tradizione classica. Tuttavia, lo slancio venne respinto dalla vittoria della corrente dotta nel XIX secolo. La storia della lingua greca appare come una lotta tra le pretese della tradizione e i diritti del tempo nel suo progredire, tra la morta grammatica scolastica e il dinamismo della vita. In questa lotta, individuiamo tre grandi fasi. Tre volte lo sviluppo naturale della lingua scritta è stato interrotto in maniera evidente da controcorrenti classicistiche: 1. nell’antichità dall’Atticismo; 2. nel Medioevo dal rinascimento umanistico sotto i Comneni e i Paleologi; 3. nell’età moderna, infine, dalla vittoria della corrente arcaizzante nella formazione della lingua letteraria neogreca. In conseguenza a ciò, la letteratura greca ha assunto un carattere aristocratico e antipopolare, caratterizzata inoltre da un rigido conservatorismo a causa del valore indiscutibile della letteratura antica, dell’assoluto predominio del classicismo nell’istruzione scolastica e nel colorito orientale dell’anima popolare bizantino-neogreca. Un simile attaccamento alle antiche forme linguistiche e letterarie si osserva infatti anche presso gli Arabi, i Siri, i Turchi, i Cinesi ed altri popoli orientali. CAPITOLO III LA LETTERATURA BIZANTINA DA COSTANTINO A ERACLIO (324-641) PERIODO DI TRANSIZIONE La letteratura greca può essere divisa in alcuni periodi. DA COSTANTINO FINO AD ERACLIO (324-641) È un periodo di transizione nel quale importanti fattori dell’antichità continuano ad esercitare un influsso potente sulla letteratura e, inoltre, sorge qualcosa di completamente nuovo, cioè la dottrina cristiana. L’antico mondo pagano e il nuovo mondo cristiano sono congiunti da mille legami. La graduale trasformazione della società pagana in una società cristiana è stato un processo estremamente multiforme che non sarà mai completamente chiarito. La civiltà cristiana ereditò la ricca cultura del paganesimo ed argomenti cristiani vennero rivestiti di forme pagane. I grandi Dottori della Chiesa compivano i loro studi assieme ai giovani pagani presso i maestri pagani, e seguivano nei loro scritti i modelli della grammatica, della retorica e della filosofia pagana. Ortodossi ed eretici facevano sfoggio di erudizione e di ricercatezza stilistica per far valere la propria causa. Nessuno dei padri greci della Chiesa si è innalzato all’aurea massima di Agostino «È preferibile che ci biasimino i grammatici piuttosto che non ci comprendano i popoli». Anche la poesia cristiana rimase fossilizzata alle forme metriche e linguistiche della letteratura antica, perdendo efficacia sugli strati meno colti della società. Resta, tuttavia, il più importante spirituale tra paganesimo e cristianesimo, il neoplatonismo, costituito dalla filosofia platonica, impregnata di misticismo, le cui forme influirono sulla maggior parte dei Dottori della Chiesa. LA PROSA TEOLOGICA NEL IV SECOLO Oppresso e soffocato dalle persecuzioni dello stato, ma da esse anche purificato e temprato, il Cristianesimo, elevato a religione ufficiale, diede vita nel IV secolo ad una letteratura che per ricchezza ed originalità non è stata mai più eguagliata. Il IV secolo rappresenta l’età classica della letteratura greca cristiana, così come lo splendido periodo attico lo era stato della letteratura pagana. Eminenti scrittori ecclesiastici greci provengono da Africa e Asia. Analogamente fra i Padri latini predominano gli Africani, probabilmente per le province frammiste di elementi orientali. Autori: Attanasio di Alessandria famoso per la sua lotta contro l’Arianesimo; il dotto Eusebio di Cesarea; Antonio, il pio eremita, la cui fama è penetrata, attraverso il romanzo fantasioso di Flaubert, persino negli ambienti più mondani, assieme al suo discepolo Pacomio pone in Egitto le basi del monachesimo greco; Sinesio, che rappresenta il difficile passaggio da Platone a Cristo, egli fu sempre, del resto, più pagano che cristiano, sebbene alcuni anni prima della sua morte sia stato eletto vescovo con singolari concessioni alla sua fede e alla sua condizione di uomo sposato; Basilio di Cesarea, il fratello Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo. Giovanni Crisostomo (“Bocca d’oro”) Il suo stile appare in tutti il suo splendore nella quantità infinita di scritti esegetici, apologetici ed ascetici, qualche opera non autentica e le sue omelie nelle quali condanna dal punto di vista della più rigida dottrina morale tutti i piaceri mondani, lo sfoggio di eleganza delle donne no meno dei divertimenti del teatro e del circo. La sua lotta eroica contro l’onnipotente eunuco di corte Eutropio e contro l’imperatrice Eudossia, la sua ripetuta deposizione e relegazione, infine la sua tragica morte, hanno innalzato per tutti i tempi l’intrepido predicatore a rappresentante tipico del contrasto tra il vero santo apostolato e il gioco degli intrighi di una cricca di cortigiani malvagi e privi di scrupoli. Nel IV secolo, è stata raggiunta, nella letteratura ecclesiastica, la perfezione relativamente più alta. Degno di nota è tra l’altro il fatto che la lotta tra potere spirituale e potere temporale, abbia trovato in Crisostomo il suo preludio e che in diretta connessione con questa lotta si siano manifestati i primi accenni della separazione tra Roma e Bisanzio. I Dottori della Chiesa del IV secolo dominano ancora oggi la vita spirituale della Chiesa greca e delle Chiese slave da essa derivate, e la loro importanza storica non sarà mai sufficientemente valutata. Al contrario, l’assoluto valore contenutistico e formale di questa letteratura è stato spesso sopravvalutato. Più vicina a noi è la predica, ma la sua efficacia è pregiudicata dalla forma. Queste omelie greche sono prodotte della moda retorica del tempo, presentano pertanto, pregi e difetti: il fuoco patetico apparente che abbaglia ma non accende, artificiosità verbale e la prolissità. Di pro, questo genere presenta lo sfoggio di acume, la concettosità, la retorica e in più c’è da considerare che i problemi religiosi debbono allora aver commosso ed agitato gli animi più o meno come oggi le più violente lotte sociali e nazionali. L’uomo greco si inebriava alle immagini e alle similitudini colorite, alla struttura tornita dei periodi, al ritmo studiato e alla cadenza accuratamente elaborata delle clausole. Per il loro tempo, il culmine della perfezione. È assai degno di nota l’antichissimo contrasto tra l’anima greca, anzi, greco-orientale, e quella latina si manifesti nella letteratura ecclesiastica, nonostante che l’idea del Cristianesimo superi tutte le barriere tra i popoli. L’uomo greco è incline alla speculazione teorica e si lascia dominare con passione dal gusto e dalla dialettica sottile; il latino invece scorge il fine più alto della sua azione nei compiti pratici del sacerdozio e nell’attuazione pratica della vita cristiana. Il greco si diletta, nel suo carattere contemplativo e orientale , delle prolissità interminabili, il latino mira invece, con vivo senso della realtà, alla concisione dell’espressione. Predilezione bizantina è la generalità astratta e la pura obiettività. Il latino invece, pur conservando invece, pur conservando la dignitas romana, non rifugge dal particolare realistico e fa risuonare spesso note fortemente personali. Non stupisce perciò che la letteratura ecclesiastica greca non possieda un documento di psicologia individuale così interessante dal punto di vista umano e così eternamente valido come le Confessioni di Agostino. LA PROSA TEOLOGICA NEI SECOLI V-VII Nella storia della Chiesa i periodi di splendore non sono mai durati a lungo. Poco dopo la splendida fioritura del IV secolo incomincia già quell’attività di antologisti ed epitomatori, i quali con paziente modestia condensano in comodi repertori i prodotti dell’attività intellettuale dei predecessori. Il loro contenuto venne condensato nelle cosiddette «Catene» e nei «Florilegi» che ora sostituiscono per molti la letteratura delle opere originali e favoriscono il conseguimento di una inutile erudizione. Più interessante della dotta letteratura teologica di questo periodo è il genere popolare delle storie di eremiti e delle Vite di Santi, che, ricollegandosi agli antichi «Atti dei martiri», si diffuse rapidamente per il mondo cristiano a partire dal IV secolo per raggiungere la più alta fioritura nei secoli VI e VII. Pervenuteci in innumerevoli copie, bisogna ricordare che per il Medioevo esse ebbero la stessa importanza che ha, per il nostro tempo, la letteratura novellistica e romanzesca. Un autentico libro popolare che riflette le condizioni di vita di una grande metropoli è la Vita di S. Giovanni il Misericordioso, di Alessandria , una personalità un po' strana soltanto agli spiriti gretti , scritta versò la metà del VII secolo dall’arcivescovo Leonzio di Neapolis in un linguaggio schiettamente popolare. Nello stesso periodo nacque anche il romanzo religioso Barlaam e Joasaf, una delle poche opere bizantine che appartengono alla letteratura universale. LA POESIA ECCLESIASTICA Sviluppatosi dopo il IV secolo, sul modello degli schemi stilistici e retorici della letteratura dalla scuola pagana, ha rotto con il passato ed ha introdotto un nuovo principio formale, cioè la ritmica. La metrica greca si fondava sulla quantità, ma con il passare del tempo nella lingua viva le antiche differenze erano andate perdute; la cadenza della lingua veniva regolata solo dall’accento. Il greco era divenuto una moderna lingua di conversazione, per cui ci si è basati non più su un principio quantitativo ma accentuativo. Questa innovazione stimolata dall’esempio dei Siri che già avevano una forma poetica fondata sull’accento. Presso i Greci il libero sviluppo di una poesia che potesse essere utilizzata nella prassi liturgica fu impedito per i severi scrupoli degli ambienti monastici conservatori che vedevano nel canto un divertimento mondano e per il pedante attaccamento all’antica forma metrica ormai invecchiata. Tuttavia, Gregorio Nazianzeno infine riconobbe l’incompatibilità delle antiche forme con la lingua viva, per cui adottò la metrica accentuativa. Romano il Melode (VI sec) Nato in Siria, ebreo d’origine, passò presto al Cristianesimo, fu diacono a Beirut e si recò poi a Costantinopoli dove ottenne per un miracolo, dopo una veglia notturna, il dono della poesia innodica. Si riflette così nella pia leggenda la misteriosa ispirazione che una messa notturna nella Chiesa del palazzo, tra il bagliore dei mosaici che narravano storie sacre, e il canto che sprigionava le più intime forze dell’animo, e con l’effetto ipnotico delle candele tremolanti e il cupo odore dell’incenso, deve aver provocato nell’animo del poeta già predisposto dall’ascesi e dalla contemplazione. Notizie più sicure non ne abbiamo. Periodo più culminante è durante il regno di Giustiniano. Imperfezione stilistica In una così sbalorditiva fecondità è naturale che il poeta non raggiunga sempre le vette della perfezione poetica. Alcuni inni riescono monotoni per via dell’arida trascrizione in versi della biografia, o per l’invadente tono didascalico e la polemica nient’affatto poetica contro errori dogmatici; non mancavano inoltre ripetizioni e prolissità. Pregi Eppure, nonostante tutto, possono essere valutati senza riserve i pregi della poesia di Romano. Le sue opere sono caratterizzate dal libero ed alto volo dei pensieri, dal nobile fuoco dell’ispirazione e dalla armonia della composizione. La lingua è semplice e facilmente comprensibile; nella morfologia è moderno e si permette volgarismi che nella prosa d’arte erano rigorosamente proibiti e non è inoltre legato a preziosismi arcaici. Lo stile è influenzato dal gusto retorico che domina tutta l’attività intellettuale e creativa dei Bizantini. Esso si rivela nell’armonizzazione di contenuto e forma linguistica, nella predilezione per immagini e similitudini, antitesi, cola di identica struttura ed assonanze, e soprattutto nel gioco ingegnoso di parole e forme di suono simile. Romano piega al suo pensiero i mezzi della retorica e se ne serve con destrezza magistrale per un più alto effetto artistico. Alcune strofi, i proemi soprattutto, sono caratterizzare dalla perfetta armonia di contenuto e di forma, trasparenti come cristalli e di un tono solenne e lapidario. Romano è l’unico bizantino che abbia espresso in opere di artistica perfezione l’armonia musicale, la sottile duttilità e la capacità espressiva. Geniale è come il poeta sa animare drammaticamente la materia. Forme Alcuni inni consistono in veri e propri dialoghi, e ciò si spiega tenendo presente che venivano recitati da die cori contrapposti. Opera principale è l’Exaemeron, o La creazione del mondo ed altre opere includono epigrammi sui Santi, su oggetti d’are, sulla biblioteca fondata dal patriarca Sergio. Reduce dall’esempio di Nonno che non è stato in grado di utilizzare l’esametro poiché in contrasto con la fonetica della lingua spontanea, le sue opere sono composte nel dodecasillabo ritmico, bizantino, che solo esteriormente è rivestito della forma quantitativa dell’antico trimetro. CAPITOLO IV I SECOLI OSCURI (650-850) Ci troviamo nel periodo di transizione dall’antichità al Medioevo. In questo periodo troviamo una vita intellettuale intensa e una attività letteraria proficua con una fusione di elementi antichi e nuovi, pagani e cristiani. Due sono i fattori che hanno favorito questa fioritura letteraria: 1. l’elevazione del Cristianesimo a religione dominante 2. rafforzamento politico della Grecità dovuto alla separazione e allo sviluppo autonomo della parte orientale dell’Impero. Con i secoli bui abbiamo invece una decadenza quasi improvvisa della cultura nazionale e della letteratura, una vera rottura con il passato. Questa età di crisi si estende dalla metà del VII fino alla metà del IX secolo. Le cause non sono ancora state sufficientemente chiarite. Hanno sicuramente contribuito condizioni esterne, i nuovi terribili nemici Arabi, Bulgari e Slavi; la perdita delle province più vive, l’Africa, la Palestina e la Siria; il continuo stato di guerra; infine, i disordini provocati dalla lotta per le immagini, che furono nocivi al monachesimo, e perciò stesso anche ai centri della cultura. Autori Giovanni Damasceno (circa 675-753) Visse nella prima metà del VIII secolo nella sua città natale di Damasco. Fu un semplice prete nel monastero di S. Saba. Le controversie dogmatiche erano allora sostanzialmente chiuse, la dottrina della Chiesa era stata fissata dai Concili e spiegata dai Padri, i testi sacri erano stati commentati nella maniera più esauriente. Giovanni esagera quando nella sua modestia cristiana dice «io non dirò nulla di mio»; ma con qualche limitazione questa frase poterebbe essere posta come epigrafe sulla maggior parte dei suoi scritti. La sua opera è la Fonte della conoscenza che, dopo un’introduzione filosofica sulle idee aristoteliche e neoplatoniche, spiega la dottrina cristiana prima in forma negativa attraverso l’esposizione e la confutazione di cento eresie e successivamente in forma positiva esponendo in centro capitoli, quasi come antidoto, i più importanti principi della dogmatica. Fonti Attinge le sue informazioni dagli Atti dei Concili e dai Padri della Chiesa . La Fonte della conoscenza è rimasta sino ad oggi l’opera fondamentale e paradigmatica della teologia greca. Il maniera del tutto originale egli ha creato soltanto là dove non poteva avere alcun predecessore: nella lotta contro le sette eretiche nuove. La più alta stima egli se l’è conquistata con la sua splendida difesa del culto delle immagini. E lo stesso carattere dotto e razionale di Giovanni possiamo trovarlo nelle sue poesie. Queste costituiscono una reazione classicheggiante ai canti semplici e popolari di Romano. Al loro posto, giovani introdusse i «canoni», caratterizzati da ricercatezza nella forma, ma poveri di sentimento. La destinazione non era per certo popolare, infatti, le sue poesie furono più tardi spiegate per mezzo di numerosi commentari eruditi. Furono comunque considerate opere piene di ricercatezza e oscurità grammaticali che insieme hanno sempre esercitato un fascino misterioso sull’uomo bizantino incline alle fantasticherie. Giovanni Damasceno prende parte sia al periodo della Chiesa greca e sia alla civiltà bizantina e chiude il primo periodo riassumendone e rielaborandone sistematicamente le conquiste, ed apre il secondo fornendogli il testo fondamentale della dottrina cristiana. CAPITOLO V LA RINASCITA DELLA CULTURA (IX-XI SEC.) Nei due secoli oscuri i fatti più importanti e più gravidi di conseguenze sono la decadenza della cultura greca nelle regioni meridionali ed orientali in seguito alla perdita dell’Egitto e della Palestina conquistati dagli Arabi e la concentrazione crescente della vita intellettuale nella capitale. Costantinopoli fu un baluardo della civiltà cristiana e non si fermò, grazie ai missionari Cirillo e Metodio, traducendo la Sacra Scrittura in antico-bulgaro, portarono anche gli Slavi al Cristianesimo. Con il sesto Concilio ecumenico (anno 680) lo sviluppo dogmatico della Chiesa si era sostanzialmente concluso, e con la definitiva composizione della lotta per le immagini (843) anche l’ultima nube oscura era scomparsa dall’orizzonte della vita ecclesiastica. L’abilissimo ministro dell’Impero, Bardas, istituì a Costantinopoli nel 863 una scuola superiore di filosofia, scienze naturali e filologia che fu di somma importanza per l’elevazione della cultura nazionale. Gli animi incominciarono a ricordarsi del glorioso passato dal quale li aveva divisi la religione, ma al quale erano strettamente legati per lingua e comunità di sangue. Certo non si giunse di colpo ad un rapporto del tutto libero da pregiudizi con i temuti Ελληνες, cioè i pagani. Ma già dalle file dello stesso clero ortodosso emergono uomini superiori che guardano all’antichità da un punto di vista scientifico e senza riserve di natura religiosa richiamano l’attenzione sui tesori intellettuali in essa custoditi. Finalmente personaggi come Omero, Pitagora, Platone e Demostene, vengono ora menzionati senza parole ingiuriose. Autori Fozio (circa 820-897) Nel IX secolo, Fozio era patriarca di Costantinopoli e grande principe della Chiesa. La maggior parte delle opere antiche era già andata perduta o dispersa. Soltanto alcune opere conservavano ancora uno stretto legame con la vita intellettuale del tempo, soprattutto gli aridi manuali di grammatica e di retorica, e qualche antologia di antichi poeti, storici ed oratori, tutti però ridotti ad una estensione sempre minore per le modeste esigenze dell’insegnamento scolastico. Fozio riscoprì, con perseverante ricerca, molti antichi testi ereditati dagli antenati, sottratti al completo naufragio. Opere Compose 280 saggi si storia letteraria che sono confluiti nella raccolta intitolata Biblioteca. Presenta uno schema abbastanza uniforme: una particolareggiata esposizione del contenuto, accompagnata qualche volta da notizie sulla vita dell’autore, segue poi una critica quasi sempre relativa alla forma linguistica. È la più importante opera di storia letteraria del Medioevo ed ha per noi un valore inestimabile perché ci fornisce notizie autentiche su numerosi autori della letteratura antica per noi completamente o in massima parte perduti. Egli ha fomentato il contrasto religioso fra Greci e Latini che si era già manifestato ripetutamente a partire dal V secolo e via via sempre più acuito, cosicché lo scisma definitivo dell’anno 1054 fu soltanto l’ultimo sigillo esterno della frattura esistente già dai tempi di Fozio. Areta di Cesarea (circa 850-944) Purtroppo Fozio non riuscì a fermare il progressivo naufragio della letteratura; pertanto, importantissime opere storiche andarono perdute nell’età successiva. Uno scolaro di Fozio, il sensibile e dotto arcivescovo Areta di Cesarea svolse una utilissima attività in questo senso ricopiando ed anche commentando i testi antichi. Ancora oggi possediamo molte copie di antiche opere profane ed ecclesiastiche fatte seguire a sue spese, contraddistinte dall’esattezza del testo, fra le quali eccelle il famoso codice platonico. ATTIVITÀ ENCICLOPEDICA NEL X SECOLO: Costantino Porfirogenito L’imperatore Costantino VII Porfirogenito (905-959) fece comporre e compose egli stesso per le necessita della corte e dell’amministrazione statale tutta una serie di opere compilatorie. La più importante opera che fece comporre è un’immensa enciclopedia della scienza politica compilata sulla base di tutte le opere storiche precedenti, ordinata per argomenti e comprendente più di duecento libri, in gran parte perduti. Grazie a Costantino abbiamo anche una rielaborazione delle antiche Vite dei Santi eseguita da Simeone Metafraste e va aggiunto alle opere, una specie di lessico enciclopedico, importante specialmente per le notizie di storia letteraria, compilato con superficialità e negligenza sulla base di opere più antiche da un autore sconosciuto indicato con il nome non greco di “Suidas”. Michele Pselo (1018-1078 circa) Fu un uomo di stato che riunì in sé tutta quanta la cultura degli antenati e quella del suo tempo e le espresse in molteplici creazioni. Avvocato e poi professore di filosofia, monaco per un certo tempo, occupò diverse cariche di corte e fu infine primo ministro. Come scrittore nei campi della filosofia, delle scienze naturali, della filologia, della storia, della giurisprudenza, della retorica e della poesia, egli rappresenta come nessun altro la grecità bizantina che risplende di tutti i colori del passato. Stile Nelle sue opere, sul modello di Platone, troviamo ampiezza di sapere, molteplicità di interessi, finezza di osservazione e sovrana padronanza della forma, Pselo è la figura più rappresentativa del suo tempo. CAPITOLO VI RINASCENZA E UMANESIMO (XII-XV sec.) L’attività letteraria giunge ad un periodo di splendore e di completo sviluppo durante il dominio dei tre Comneni. Tematiche principali sono le vicende dell’Impero Romano d’Oriente al tempo delle Crociate, secondo il modello tradizionale dell’antica storiografia. A questa attività partecipò anche Anna Comnena, coltissima figlia dell’imperatore, la quale raccontò nell’Alessiade, le imprese di suo padre Alessio I Eustazio di Tesalonica e Michele Coniate Svolsero la loro attività lontano dalla capitale e sono in grado di presentarci finalmente le condizioni della vita intellettuale nella provincia. Eustazio di Tessalonica è noto per i suoi numerosi commentari ad Omero; personalità singolare ed estremamente simpatica, fu un arido studioso da tavolino. In maniera vivace descrive la conquista, ad opera dei Normanni di Sicilia, della sua fedele città Tessalonica. Tocca avvenimenti storici del tempo ed avanza proposte pratiche, ad esempio quelle per il rifornimento di acqua potabile della capitale. Con una franchezza amichevole, che gli procurò diversi nemici, egli combatte contro la corruzione e il ristagno intellettuale della vita monastica. Con nobile sdegno ammonisce per esempio i monaci a non dilapidare gli insigni tesori delle loro biblioteche. Michele Coniate, discepolo e amico di Eustazio, tra i suoi numerosi scritti comprendenti omelie, discorsi, epistole e poesie, particolare interesse suscita un’elegia in metro giambico sulla città di Atene. È un contesto in cui si risveglia il gusto per il racconto erotico da lungo tempo interdetto e il genere sdolcinato e fittizio del «romanzo» greco e della satira sul modello dell’immortale Luciano. Persino un dramma è stato tentato in quest’epoca, La passione di Cristo, opera che prova chiaramente fino a che punto i presupposti e il concetto stesso del vero teatro fossero venuti meno presso i Bizantini. L’UMANESIMO Negli ultimi secoli dell’Impero dei Paleologi, lo studio dell’antichità classica e l’attività letteraria su di essa basata aumenta ulteriormente. L’atticismo si accentua e questo favorì una grecizzazione ormai completa