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RIASSUNTO DETTAGLIATO "IL SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO" JOHN LOCKE, Appunti di Storia Del Pensiero Politico

Riassunto dettagliato del Secondo Trattato sul Governo di John Locke

Tipologia: Appunti

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Scarica RIASSUNTO DETTAGLIATO "IL SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO" JOHN LOCKE e più Appunti in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! IL SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO John Locke (Riassunti) Introduzione Due trattati sul governo è un'opera di John Locke pubblicata anonima nel dicembre 1689, anche se il frontespizio reca l'indicazione del 1690. Delle due parti che la compongono, la più nota è la seconda, il cui titolo completo in italiano è Il secondo trattato sul governo. Saggio concernente la vera origine, l'estensione e il fine del governo civile[1]. Nel primo trattato, Locke confutava i principi contenuti nel "Patriarca", opera dell'assolutista Robert Filmer, che faceva derivare il diritto divino dei re dai diritti di Adamo e dei patriarchi. Nel secondo trattato, il fine di Locke era di esporre la sua teoria sullo Stato, ricercando le basi dell'associazione politica, delimitandone la sfera, cogliendo le leggi della sua conservazione. L’opera è strutturata in diciannove capitoli. Capitolo I Locke, nel primo capitolo ribadisce ciò che è stato mostrato nel Primo Trattato sul Governo, ovvero che Adamo non ha alcuna autorità o dominio sui suoi discendenti, che anche se li avesse avuti i suoi eredi non li avrebbero avuti su di essi, ed infine che se i suoi eredi li avessero avuti non si sarebbero potuti stabilire con certezza. In sostanza è quindi impossibile che gli attuali governanti godano di autorità da il dominio privato e la giurisdizione paterna di Adamo. Locke ritiene quindi che il potere di un magistrato su un suddito è diverso da quello di un padre sui suoi figli e del padrone sul suo servo, per via del fatto che questi poteri possono essere concentrati tutti su un’unica persona. Per potere politico intende il diritto di fare leggi e il diritto di impiegare la forza per farle rispettare e la difesa dello Stato, tutto questo per il bene pubblico. Capitolo II – DELLO STATO DI NATURA Per comprendere il potere politico e la sua origine, Locke sostiene che bisogna considerare quale sia lo stato in cui tutti gli uomini si trovano naturalmente: lo stato di natura. Questo stato è caratterizzato da perfetta libertà ed uguaglianza di regolare le proprie azioni e di disporre dei propri beni e delle persone come meglio si crede, entro i limiti della legge di natura, senza permesso da parte di un altro individuo. È uno stato di uguaglianza nel quale ognuno ha gli stessi poteri e la stessa autonomia, senza subordinazione o soggezione. Nonostante lo stato di natura sia uno stato di libertà esso non è uno stato di licenza, infatti l’uomo non ha la libertà di distruggere se stesso e ogni altra creatura in suo possesso, tranne nel caso in cui lo richieda un motivo più nobile della conservazione. Lo stato di natura è governato dalla legge di natura che insegna agli uomini che essendo tutti uguali nessuno deve recar danno alla vita dell’antro, solo il Creatore Onnipotente può decidere tutto ciò. Affinché sia rispettata la legge di natura, che vuole la pace e la conservazione, l’esecuzione della legge è affidata nelle mani di ciascuno, ognuno ha il diritto di punire i trasgressori in ragione della riparazione e della prevenzione. Il trasgressore della legge diventa pericoloso per tutti gli uomini perché vive secondo una regola diversa, quindi ogni uomo può reprimere e se necessario distruggere ciò che è nocivo e provocare un male tale da renderlo un cattivo affare per il trasgressore e per essere di esempio agli altri. Colui che ha subito il danno inoltre ha il diritto particolare di essere risarcito e qualsiasi persona lo ritenga giusto può unirsi a lui in questa causa. Nello stato di natura ognuno ha il potere esecutivo della legge di natura. Per Locke lo Stato di Natura è meglio rispetto alla monarchia, perché gli uomini non devono sottomettersi alla volontà ingiusta di un altro che può giudicare male. L’uomo si unisce alla società politica in quanto cerca comunione. Capitolo III – DELLO STATO DI GUERRA Lo Stato di guerra secondo Locke, è uno stato di inimicizia e di distruzione, quindi chi dichiara o esercita violenza su un altro individuo si pone in uno stato di guerra e di conseguenza espone la sua vita al potere che l’altro, o chiunque si unisca a lui, ha il potere di portargliela via. Il diritto di distruggere chi minaccia di distruzione sta nel preservare la sicurezza degli innocenti, per la stessa ragione per cui un uomo può uccidere un lupo o un leone. Lo stato di guerra è quindi quando un uomo cerca di ridurre un altro in suo assoluto potere, cosa che non è permessa in quanto genera schiavitù. Ciò rende legittimo per un uomo uccidere un ladro che non gli ha minimamente recato danno, se non per l’uso della forza diretto a porlo n suo potere per sottrargli in denaro; questo fa supporre che egli una volta tolto il denaro mi voglia togliere qualsiasi altra cosa e quindi si è posto in uno stato di guerra. Nel momento in cui viene usata la violenza nei miei confronti mi è permessa l’autodifesa in quanto l’aggressore non mi ha dato tempo di appellarmi al giudice comune. Evitare questo stato di guerra, dove l’unica soluzione è l’appello al cielo, è l’unico grande motivo per cui gli uomini si riuniscono in società e abbandonano lo stato di natura, dove essendoci un’autorità lo stato di guerra non è permanente. STATO DI NATURA  gli uomini vivono insieme secondo una ragione, con l’autorità di giudicarsi tra di loro. Troviamo la mancanza di un giudice comune quindi non vi è possibile appellarsi ad esso. STATO DI GUERRA  l’uso della forza, o la dichiarata intenzione di usarla, quando sulla terra non c’è un superiore comune a cui appellarsi è lo stato di guerra, indipendentemente dalla presenza di un giudice comune, nello stato di natura lo stato di guerra sussiste fino a quando l’aggressore non offra pace. Capitolo IV – DELLA SCHIAVITÙ La libertà naturale dell’uomo consiste nell’essere libero da ogni superiore potere sulla terra e non essere quindi subordinato alla volontà altrui o all’autorità legislativa; non essere soggetto a nessun altro potere legislativo se non quello stabilito per comune consenso nello stato. Un uomo, non avendo potere sulla sua vita, non può né per contratto né per consenso, farsi schiavo, né sottomettersi al potere assoluto di un altro che può togliergli la vita quando vuole. A meno che, un uomo non meriti la morte e colui che dovrebbe ucciderlo può farlo legittimamente suo schiavo, quando però il trasgressore ritiene che la durezza della schiavitù sia superiore al valore della sua vita, può opporsi alla volontà del padrone e provocare su se stesso la morte che desidera. Questa è la perfetta condizione di schiavitù, ovvero lo stato di guerra continuato tra un conquistatore legittimo e un prigioniero. Nella servitù invece il padrone non ha il potere di uccidere colui che si torva al suo servizio. ORIGINE SOCIETÀ POLITICA : CONSENSO DI UOMINI LIBERI Troviamo però due obbiezioni: la prima è il fatto che nella storia non troviamo esempi di uomini liberi che si sono riuniti insieme e che abbiano formato un governo; la seconda è che è impossibile che gli uomini facciano tutto questo perché in quanto nati sotto un governo, ad esso devono sottomettersi e non sono liberi di fondarne uno nuovo. Alla prima obbiezione Locke risponde sostenendo che non appena si riunivano e si associavano appena venivano a galla degli inconvenienti; inoltre gli uomini essendo ignoranti alla nascita se conoscono qualcosa della loro origine è solo grazie alla testimonianze accidentali, e tutte quelle che abbiamo sono esempi di un’origine come quella sostenuta da Locke. Infatti, la soggezione di un figlio al padre si ha solo nel momento in cui esso si trova nell’infanzia, e una volta superata questa fase esso ha il diritto di unirsi alla società politica che ritiene più consona. Locke allo stesso tempo non nega però che l’origine di alcune società politiche stava nel sottomettersi ad un solo uomo, ovvero il padre che era legislatore e governatore di tutti quelli che rimanevano nella sua famiglia. Alla seconda obbiezione invece risponde come sia stato possibile allora che siano sorte le monarchie legittime nel mondo; inoltre sono numerosi gli esempi nella storia di uomini che si sottraggono alla giurisdizione della propria famiglia per costituire nuovi governi e altri piccoli regni: infatti tutti sarebbero dovuti sottostare ad una monarchia universale. Non c’è un patto che possa vincolare i figli ai genitori, a meno che il figlio non voglia acquisire i possessi del padre in eredità, in questo modo è obbligato a sottostare alla società politica dove si trovava il padre, infatti un uomo non appena entra a far parte di una comunità vi sottomette anche tutti i suoi possessi; dunque, quando un proprietario decide di vendere il suo possesso, egli è libero di uscire dalla società politica ed entrare a far parte di un’altra; chi invece con un esplicito consenso è entrato a far parte di una società politica è tenuto a sottostare ad essa e non può ritornare nello stato di natura; a meno che il governo non si destituisca per una causa naturale. Capitolo IX – DEI FINI DELLA SOCIETÀ POLITICA E DEL GOVERNO Locke si domanda il perché gli uomini rinuncino alla loro libertà; la risposta sta nel fatto che anche se nello stato di natura l’uomo abbia questo diritto, il godimento di esso è incerto e continuamente sotto il rischio di violazione da parte di altri; gli uomini si uniscono in società per salvaguardare quindi la loro vita, la libertà ed i beni, ovvero quello che Locke definisce con il termine di proprietà. La proprietà nello stato di natura non è salvaguarda in quanto manca una legge fissa e stabilita, infatti la legge di natura nonostante sia chiara, gli uomini essendo influenzati dai loro interessi, non sono portati a riconoscerla sempre. Inoltre nello stato di natura manca un giudice riconosciuto e imparziale che abbia l’autorità di risolvere le divergenze. In terzo luogo, nello stato di natura manca un potere che appoggi la sentenza quando sia giusta e le dia la dovuta esecuzione. Sono questi i motivi che spingono gli uomini a rinunciare al proprio diritto di punire. Troviamo quindi l’origine del potere esecutivo e legislativo. Nello stato di natura l’uomo ha quindi due poteri ai quali rinuncia entrando in una società politica privata: il primo consiste nel fare tutto ciò che ritiene opportuno per la propria conservazione e per quella degli altri; l’altro è il potere di punire i reati commessi. Al primo potere egli rinuncia in modo che sia regolato da leggi fatte nella società; al secondo potere rinuncia e impegna la sua forza naturale per aiutare il potere esecutivo della società. Nonostante però gli uomini conferiscano l’eguaglianza, la libertà e il potere esecutivo al legislativo, esso deve esercitarlo senza oltrepassare il bene comune e deve governare secondo leggi stabilite, fisse, a conoscenza del popolo e per il bene pubblico. Capitolo X – DELLE FORME DELLO STATO La maggioranza detiene quindi l’intero potere della comunità, può servirsi di quel potere per fare delle leggi per la comunità e per renderle esecutive per mezzo di funzionari da essa scelti, andando a creare una democrazia; può porre il potere di fare leggi nelle mani di pochi e nei loro eredi, andando a creare un’oligarchia; infine può assegnare il potere nelle mani di una sola persona andando a decretare una monarchia, che diventa ereditiera se viene affidato anche ai suoi successori, invece se una volta morto il potere torna alla maggioranza si parla di monarchia elettiva. La maggioranza può creare forme di governo miste. Se il potere legislativo viene assegnato solo per la durata della vita dei prescelti ed una volta deceduti torna alla maggioranza, la comunità può scegliere di affidare questo potere supremo a chi vuole, creando una nuova forma di governo. Per Stato Locke intende una comunità indipendente che i latini definivano come civitas, ma che viene indicata da Locke con il termine Commonwealth. Capitolo XI – DELL’ESTENSIONE DEL POTERE LEGISLATIVO Secondo Locke, è fondamentale che per garantire la proprietà ci si debba affidare a leggi stabilite. La prima e fondamentale legge di tutti gli stati è l’istituzione del potere legislativo, in quanto la prima e fondamentale legge naturale che governa il legislativo stesso è la salvaguardia della società. Occorre però considerare quattro punti fondamentali: in primo luogo il potere legislativo non può essere arbitrario riguardo la vita e i beni del popolo, infatti una volta conferito all’assemblea o alla persona scelta non può essere nulla di più di quanto le persone avessero nello stato di natura, infatti il potere legislativo alla massima estensione è limitato al bene pubblico della società. In secondo luogo il legislativo non può assumere su di sé il potere di governare per mezzo di decreti estemporanei e arbitrari, ma deve affidarli a leggi fisse e stabilite. In terzo luogo il potere legislativo non può togliere ad un uomo parte della sua proprietà se non per consenso. Di questo non si deve aver timore nelle società dove il potere legislativo è affidato ad assemblee che si rinnovano e quindi dove i membri delle assemblee una volta esaurita la loro carica sono sudditi delle leggi, ma dove il legislativo risiede in un’assemblea fissa si può avere questo timore. I membri della società sono però tenuti a versare una parte proporzionale dei suo averi per il mantenimento del governo, questo però sempre con il consenso da parte di essi. Infine il legislativo non può trasferire il potere di emanare le leggi a terzi soggetti che non siano stati votati dal popolo. Capitolo XII – DEL POTERE LEGISLATIVO, ESECUTIVO E FEDERATIVO DELLO STATO Secondo Locke, il potere legislativo è quel potere che ha il diritto di decidere come la forza dello stato dovrà essere impiegata per la salvaguardia della comunità, ma per coloro che hanno il potere di fare le leggi può essere grande la tentazione di avere nelle loro mani il potere di eseguirle, esonerandosi così all’obbedienza della delle. È dunque fondamentale la separazione del potere legislativo da quello esecutivo. Troviamo poi il potere federativo che è il potere di guerra e di pace, di costituire alleanze o negoziati con le persone che si trovano al di fuori dello Stato; il potere esecutivo e il federativo sebbene siano di natura distinti in sé, si trovano quasi sempre uniti, anche perché se fossero affidati a persone distinte questo potrebbe causare disordini. POTERE LEGISLATIVO  FUNZIONE NON CONTINUA POTERE ESECUTIVO  FUNZIONE CONTINUA Non è necessario che il legislativo sia sempre in atto, in quanto non c’è il bisogno continuo di fare leggi, ma è necessario che l’esecutivo lo sia perché le leggi devono essere sempre applicate (CAP XIII). Capitolo XIII – DELLA SUBORDINAZIONE DEI POTERI DELLO STATO Locke sostiene che il potere supremo di destituire o mutare il legislativo resta sempre al popolo; quando viene meno la fiducia infatti, questo potere torna nelle mani del popolo il quale può collocarlo dove meglio crede per la salvaguardia della propria sicurezza, ma questo potere del popolo non può esprimersi finché il governo non si sia dissolto. Finché il governo sussiste, il legislativo è il potere supremo e tutti gli altri poteri devono derivare da esso e essergli subordinati. Troviamo però la presenza di alcuni stati dove il legislativo non è sempre in atto e l’esecutivo è affidato ad una sola persona che partecipa anche del legislativo, quella persona è detta sovrana; non avendo quindi nessun legislativo superiore a lei, dato che non ci sia una legge che può essere fatta senza il suo consenso quella persona è anche sovrana. I poteri federativo e esecutivo, essendo poteri subordinati e ministeriali, possono essere revocati e puniti in caso di cattiva amministrazione. Quando invece il potere esecutivo ha il potere di riunire e sciogliere il legislativo, si parla di un mandato fiduciario datogli per garantire la sicurezza del popolo, non si tratta quindi di un potere superiore. Capitolo XIV – DELLA PREROGATIVA Locke sostiene che nei casi in cui il potere legislativo e quello esecutivo si trovano in mano diverse, il bene della società che varie cose siano lasciate alla discrezione di colui che ha il potere esecutivo; infatti i legislatori non sono in grado di prevedere e provvedere con le leggi a tutto ciò che può essere utile alla società: quindi l’esecutivo ha il potere nelle sue mani fin quando il legislativo non può essere convocato. Questo potere discrezionale di agire in vista del pubblico bene senza la prescrizione della legge e talvolta anche contro di essa è definito prerogativa. Finché questo potere è impiegato nell’interesse della comunità ed è conforme al mandato e ai fini del governo non sarà mai in questione. Ma, talvolta questo potere veniva usato per fini privati, quindi il popolo fu costretto a limitare la prerogativa con delle leggi specifiche; a chi spetta giudicare quando si fa l’uso corretto di questo potere? Fra un potere esecutivo che ha una prerogativa sul legislativo, il quale dipende dalla volontà di esso non ci può essere nessun giudice sulla terra e non si ha quindi altro rimedio che l’appello al cielo; infatti i governanti esercitando un potere che il popolo non ha conferito nelle loro mani, fanno ciò che non hanno il diritto di fare. E quindi, il popolo essendo privato del suo diritto e subendo un potere illegittimo, non avendo appello sulla terra non può altro che appellarsi al cielo. Capitolo XV – DEI POTERI PATERNO, POLITICO E DISPOTICO CONSIDERATI CONGIUNTAMENTE Il potere paterno non è un potere severo e arbitrario sui figli, ma è un potere per il sostentamento, l’istruzione e la conservazione. Il potere del padre è un governo naturale ma non si estende ai fini e alla giurisdizione del governo politico, non si estende alla proprietà del figlio, in quanto solo quest’ultimo ne può disporre.