Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto dettagliato libro "Storia della filosofia Moderna", G.Belgioioso, Appunti di Filosofia Moderna

Riassunto dettagliato, molto fedele al libro, con schemi ed approfondimenti sugli autori più importanti (es. Cartesio, Kant, Hegel). Il libro contiene i capitoli inerenti al programma di Storia della filosofia II del prof. Moschini (Università degli studi di Perugia).

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 21/02/2021

ilaria-rossi-8
ilaria-rossi-8 🇮🇹

4.7

(15)

4 documenti

1 / 119

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto dettagliato libro "Storia della filosofia Moderna", G.Belgioioso e più Appunti in PDF di Filosofia Moderna solo su Docsity! STORIA DELLA FILOSOFIA II CAPITOLO 1 : Umanesimo e Rinascimento 1 Umanesimo e Rinascita Una nuova cultura Conseguentemente alla crisi della Scolastica si assiste al tentativo di fare “rinascere” il mondo classico : da qui, il termine “Rinascimento”. Per realizzare la rinascita occorre recuperare il patrimonio letterario accumulato dalla classicità e, di conseguenza, un radicale rinnovamento degli studi. Essi non sono più prerogativa quasi esclusiva della gerarchia ecclesiastica, ma vengono ampiamente coltivati dai ceti laici. Il termine “umanesimo” designa appunto un orientamento di studi che si fonda sulle humanae litterae – in implicita opposizione a quelle divinae – e quindi sull’esame di quella classicità che più di ogni altra epoca ha realizzato i valori e le potenzialità dell’humanitas. La rinascita della cultura classica necessita di un’alacre attività di ricerca, di recupero e di riesame della maggior quantità possibile di manoscritti dell’antichità. Inoltre, l’atteggiamento dell’umanista rinascimentale di fronte al testo si differenzia totalmente rispetto a quello dello studioso medievale, il quale tramandava sì le varie traduzioni dei testi antichi, ma senza alcuna preoccupazione per la ricostruzione della loro autenticità formale e concettuale, non essendo interessato al recupero storico del documento ma solo all’utilizzabilità dei suoi contenuti ai fini di quelle dimostrazioni che gli stavano a cuore. Viceversa, la cultura umanistica è permeata dalla preoccupazione di ritrovare l’originalità del testo servendosi di un metodo filologico attento e sofisticato. Durante l'epoca del Rinascimento una nuova luce scaccia via le tenebre del Medioevo, inaugurando un periodo di rinascita e di rinnovamento delle arti e delle lettere. In particolare, in questo periodo si affermano gli Umanisti, un gruppo di intellettuali che prendono come guida e punto di riferimento Francesco Petrarca e che si impegnano anche in una opera di recupero degli antichi scritti greci e latini. Questa loro visione entra, tuttavia, in contrapposizione con i moderni, ancora chiusi nella vecchia filosofia della scolastica. Durante il rinascimento il recupero degli scritti antichi porta ad una intensa attività di traduzione ed emendazione: ⦁ Applicando i principi illustrati "Sulla perfetta traduzione" di Bruni ⦁ Assumendo un nuovo approccio di critica nei confronti delle opere , attraverso il metodo filologico, ancora in via di definizione. Nuovi intellettuali Una nuova concezione della realtà, che trova nell’antropocentrismo il suo carattere fondamentale. Il declino degli studi teologici si accompagna a un nuovo interesse per l’uomo, posto al centro del mondo e indagato in termini di libertà, volontà, attività. L’uomo non è solo parte integrante del reale, ma ne è soprattutto l’artefice. - LEONARDO BRUNI (1374 – 1444) Tra i maggiori rappresentanti dell’umanesimo civile, Leonardo Bruni. Affianca una intensissima attività di traduzione dal greco in latino di testi platonici e, soprattutto, aristotelici una celebrazione della filosofia morale e politica, vista come elemento fondamentale della cultura dell’epoca nuova. Inaugura un tipo di traduzione che si discosta dal metodo medievale, che traduceva alla lettera, mirando a rendere le espressioni greche nel loro significato esatto. Valorizza soprattutto l’aspetto politica dell’etica aristotelica, rifacendosi alla concezione aristotelica dell’uomo come animale politico e alla dottrina del bene comune come unità di virtù (specie civile) e piacere; ma svaluta invece l’esaltazione aristotelica della vita teoretica che la Scolastica aveva interpretato come primato della contemplazione di Dio. Ma nella cultura rinascimentale la connessione tra studi letterari e impegno politico non è l’unico ambito di interdisciplinarità: non è pertanto possibile collocare i singoli esponenti all’interno di attività specifiche. LORENZO VALLA: La filosofia di Valla si basa su una particolare attenzione al linguaggio attraverso due opere fondamentali : Le Elegantie latine lingue e la Dialectica. Nel primo scritto ( Le elegantie latine lingue ) Valla intraprende una restaurazione della grammatica e del lessico. Nel secondo scritto attacca invece i principi metafisici e logici della filosofia aristotelicascolastica. Ma il testo più importante di Valla è la Declamatio in cui denuncia la falsità della donazione di Costantino. In questo scritto, infatti, alcuni errori e inconcruenza mostrano la prova che si tratti di un falso documento, non chè la prova della corruzione del papato e delle istituzioni ecclesiastiche. Un altro scritto è il " De Vero Bono" in cui Valla esprime il suo elogio alla natura, produttrice e portatrice solo di cose buone e lodevoli. Valla richiama la dottrina di Epicuro e Rifiutando lo scetticismo, affermando che lo scopo della vita dell'uomo consiste nella ricerca del piacere e con il raggiungimento della virtù. La virtù non è però da intendere come il fine di questo piacere, ma è solo un mezzo per raggiungerlo. Il vero piacere infatti risiete nell'amore di dio, e dunque con la beatitudine. NICOLA CUSANO (1401 – 1464) In Italia si assiste dunque a una contrapposizione tra platonismo e aristotelismo. L’occasione non è tuttavia offerta dalla discussione di temi specificatamente filosofici, bensì di ordine religioso. Analogamente, spostando lo sguardo all’area germanica, la ricerca di un punto di incontro tra le differenti fedi religiose costituisce un notevole interesse per Nicola Cusano. - Filosofia, religione e politica ecclesiastica. Non fu un puro teorico: cardinale, si trovò impegnato in alcune delle più significative vicende che caratterizzarono la Chiesa del suo tempo, partecipando al Concilio di Basilea (1432) convocato per fare chiarezza sui fermenti della Chiesa dopo la risoluzione dello scisma d’Occidente. Ne “La pace della fede”, pur senza nascondere un ovvio favore per il cristianesimo, suggerisce la possibilità di individuare un’unica religione al di là della varietà dei riti: mentre ‘la religione’ è unica per tutti gli uomini, ‘le religioni’ altro non sono che, appunto, riti, cioè espressioni esteriori del comune sentimento religioso. [Cusano, si schiererà a favore della supremazia del pontefice, riconosciuto quale effettivo vicario di Cristo, ribaltando completamente le posizioni da lui sostenute all’epoca del Concilio di Basilea in cui gli attribuiva il semplice ruolo di coordinatore dei dibattiti interni alla Chiesa.] - La conoscenza. “De docta ignorantia”: il titolo vuole indicare l’atteggiamento che l’uomo deve assumere di fronte a Dio, dopo aver riconosciuto l’impossibilità di conoscerlo adeguatamente. La conoscenza umana procede secondo un modello matematico, stabilendo una ‘proporzione’ tra ciò che ha già acquisito e ciò che è ancora ignoto. Ma i rapporti proporzionali possono instaurarsi solo ove si abbia a che fare era a conoscenza: il setaccio utile alla sintesi avrebbe dovuto essere quello della rivelazione cristiana. Il progetto non ebbe realizzazione pratica, poiché alcune proposizioni, sulle quali gravavano forti sospetti di eresia, imponevano maggiori cautele. L’Orazione sulla dignità dell’uomo avrebbe dovuto fungere da introduzione al dibattito progettato: l’uomo è la più perfetta fra tutte le creature, non solo perché è signore della natura, ma anche e soprattutto perché è signore di se stesso: grazie alla sua libertà, può fare di se stesso ciò che vuole, ridursi alla condizione di bestia o elevarsi a quella di dio umano. La filosofia è ciò che guida l’uomo a compiere la giusta scelta, quella del bene. Mentre Ficino traccia le linee di una storia del progresso intellettuale garantita dal concorso di rivelazione e filosofia, Pico pone l’avanzamento culturale dell’umanità quale reso possibile dal continuo succedersi di svuole di pensiero che, nelle loro differenze, non si contraddicono, ma si integrano a vicenda. Su questo fondamento si realizza la pace filosofica alla quale l’umanità deve aspirare. Astrologia e magia: nel pensiero rinascimentale (in Ficino, ad esempio) le due pratiche sono considerate tecniche pienamente legittime, rivolte o allo studio dell’ordine naturale o alla realizzazione del dominio dell’uomo sulla natura. Per Pico invece l’astrologia limita pericolosamente la libertà dell’uomo, ricercando le cause del suo agire in fattori indipendenti dalla sua volontà; al contrario, la magia è pienamente giustificata. Pico si differenzia da Ficino anche perché una più fedele analisi della dottrina platonica gli rivela l’impossibilità di conciliare cristianesimo e platonismo. Se si vuole essere fedeli a Platone, occorre concepire l’amore come desiderio di bellezza, come desiderio di ciò di cui si manca. Ma la divinità, se può essere oggetto d’amore, non può esserne soggetto, poiché essa non è manchevole di nulla: verrebbe così a cadere la reciprocità amorosa tra Creatore e creatura, ammessa da Ficino. Mentre èn possibile realizzare la concordia tra le diverse filosofie, si rivela dunque insuperabile il divario tra filosofia e religione. Aristorelismo e Pomponazzi La tradizione Aristotelica viene mantenuta anche nel corso del Rinascimento dando vita ai così detti "Aristotelismi del Rinascimento". Nei secoli XV e XVI lo studio di Aristotele continua a costituire una parte fondamentale negli studi e nelle università dove si leggono la logica, la fisica, l'etica, la politica ecc. Si dà avvio così ad un approccio umanistico ad Aristotele che, inaugurato dall'attività di traduzione di Bruni, prevede: ⦁ Una particolare attenzione al corpus aristotelico ⦁ La produzione di nuove opere latine volte a superare le precedenti ⦁ Interesse per i commenti allo Stagirita (Aristotele). In questo scenario particolare importanza assume Pietro Pomponazzi che nel 1516 pubblica uno dei suoi scritti maggiori "Il trattato sull'immortalità dell'anima". In questo scritto egli, pur sostenendo la religione cristiana con la sua dottrina dell'immortalità dell'anima, afferma che sul piano filosofico la tesi della mortalità dell'anima è quella più probabile. Dunque, in Pomponazzi, l'anima inizialmente è sia mortale che immortale. Successivamente egli tenterà di capire quale tesi assumere come definitiva. Come partenza, in questo autore si trovano 3 modi di conoscere: ⦁ Al livello più alto si trovano le intelligenze, che essendo separate dalla materia, non assumono il corpo né come oggetto né come soggetto. ⦁ Al livello più basso vi sono le Facoltà sensitive, che entrando in contatto con la materia, assumono il corpo sia come oggetto che come soggetto. ⦁ Nella posizione intermedia vi è l'intelletto, che non operando attraverso un corpo non lo assume come soggetto, ma lo assume invece come oggetto. In Aristotele invece : ⦁ Le intelligenze sono atto di un corpo non nella conoscenza, ma nel muovere i corpi celesti ⦁ L'anima sensitiva, atto di un corpo fisico in senso assoluto ⦁ L'intelletto umano, che occupa una posizione intermedia, perché da un lato può dirsi legato al corpo, mentre dall'altro no. Per comprendere se l'anima sia mortale o immortale Pomponazzi afferma che l'anima attraverso il pensiero partecipa in modo imperfetto ad una attività compiuta pienamente solo dalle intelligenze, e da questo punto di vista, sembrerebbe assumere una posizione di immaterialità ( immortale). Ma, richiedendo la presenza di una immagine fantastica per pensare, l'anima rimane legata al corpo. Si deduce dunque che l'anima è una forma materiale e mortale. Affermata la mortalità dell'anima, Pomponazzi rivaluta altre questioni come il fine ultimo dell'uomo, la sua possibilità di perseguire la felicità e le nozioni di premio e pena. Considerare l'anima mortale non impedisce all'uomo di raggiungere la felicità. Infatti il fine ultimo dell'uomo non consiste nè nella scienza speculativa, propria di una piccola cerchia di uomini ( filosofi), nè con l'esercizio di semplici attività manuali ( intelletto fattivo) ma con il solo intelletto operativo, che riguardando propriamente l'uomo gli permette di distinguere il bene dal male. Per quando riguarda i concetti di premio e di pena, egli identifica il premio con la virtù ( Fonte di beatitudine e premio più grande) e la pena con il vizio (pena più grave). Gli uomini onesti, in grado di perseguire la virtù e di fuggire dal vizio per Pomponazzi sono pochissimi. Il resto degli uomini sono spinti a seguire lodi, vantaggi, punizioni, premi o pene eterne. Per questo motivo, i legislatori finalizzati al bene della società, hanno sostenuto la tesi dell'immortalità dell'anima, utile sul piani civile, ma senza un fondamento filosofico. Altri scritti sono: 1) Il de fato: In questo scritto Pomponazzi affronta il rapporto tra fato e libero arbitrio. Oltre alla felicità, Dio ha riservato a pochi eletti , una forma più eccellente di felicità, raggiungibile solo per mezzo di una grazia speciale da lui rilasciata. Tra gli eletti, tuttavia, saranno glorificati solo chi è riuscito a usare al meglio questa grazia e che dunque potranno essere definitivamente predestinati. Chi invece si è lasciato persuadere dal libero arbitrio verrà punito. 2) Il De incantationibus: In questo scritto Pomponazzi critica la concezione cristiana dei demoni, per cui questi demoni operano nel nostro mondo. Numerosi argomenti, tuttavia, mostrano l'impossibilità di assegnare a questi enti spirituali la conoscenza degli enti individuali. Gli effetti magici di questi enti possono essere spiegati piuttosto con: ⦁ Le leggi di natura, ovvero le azioni degli uomini sapienti che sanno sfruttare al meglio le infinite virtù occulte degli enti naturali ⦁ L'immaginazione, la quale, come può operare all'interno del soggetto, in alcune situazioni può adoperare anche al di fuori di esso. IL CINQUECENTO La nuova cultura e l’Europa L’umanesimo, pur essendo nato in Italia e pur avendo qui avuto le sue più appariscenti manifestazioni, non è un fenomeno solo italiano. -ERASMO DA ROTTERDAM (1466 – 1536) Erasmo da Rotterdam è la figura più eminente dell’Umanesimo europeo nel Cinquecento. La sua influenza è decisiva per le nuove tendenze educative e culturali europee. Il suo grande ideale è il ritorno al cristianesimo delle origini: sia nel senso di un ritorno alla lettura della Scrittura; sia nel senso del ritorno alla vita semplice dell’autentico messaggio cristiano, in opposizione alle degenerazioni della Chiesa cattolica. Lo strumento resta sempre quello dell’umanista: lo studio dei Padri della Chiesa e l’analisi filologica del Nuovo Testamento. Pur proponendosi come riformatore, Erasmo non diventa mai un ribelle nei confronti della Chiesa, tanto che le rimane fedele nello scontro con Lutero, non condividendo tuttavia la condanna del luteranesimo: suo altro ideale fu sempre la pace, sia politica che religiosa, basata su un’estrema tolleranza in fatto sia di filosofia che di religione. Erasmo non elabora una propria filosofia originale quanto una forma di saggezza pratica, rifacendosi ai precetti dell’etica antica (specie Socrate, Platone, Cicerone, Seneca) e della morale cristiana, che considera perfettamente compatibili fra loro. Lo separa da Lutero, fra le altre cose, l’affermazione del libero arbitrio, grazie al quale l’uomo può scegliere tra la salvezza e la dannazione eterna. L’Elogio della pazzia mescola satira e paradosso. La ‘pazzia’ è l’autentica saggezza, quella che quasi nessuno ascolta, perché non conduce al piacere, al denaro o al potere, ma porta a una vita cristiana semplice. Personificazione di questa saggezza è per lui l’amico Tommaso Moro, al quale dedica l’opera. Facendo parlare la follia, Erasmo ha modo di mettere a nudo le debolezze degli uomini in generale e del suo tempo in particolare; nello stesso tempo, espone le sue verità morali e religiose. -TOMMASO MORO (1478 – 1535) Moro è la figura più importante dell’Umanesimo inglese. Studioso degli autori antichi, politico di grande valore, sarà cancelliere del regno di Enrico VIII e verrà poi da lui condannato a morte per essere rimasto fedele alla Chiesa cattolica nel momento in cui il re vi si ribellò (a causa del divorzio da Caterina d’Aragona). In “Utopia”, Moro immagina la costituzione politica ideale realizzata in un’isola chiamata appunto ‘Utopia’ (non-luogo, ovvero inesistente). Malgrado la sua profonda fede cristiana, non pone la rivelazione cristiana alla base della costituzione ideale, bensì la pura ragione, in quanto espressione dell’autentica natura umana. Questa conduce gli uomini ad ammettere un Dio trascendente e a dar vita a una società politica fondata sulla famiglia – ma non sulla proprietà privata, bensì sulla comunanza dei beni. La proprietà infatti è causa di tutti i conflitti e di tutte le guerre, ed è perciò contraria all’amore che deve regnare tra gli uomini: perciò va abolita assieme al denaro. Gli uomini e le donne eserciteranno quindi tutti un lavoro manuale di sei ore al giorno per provvedere ai beni necessari alla propria esistenza. Resta così molto tempo da dedicare all’educazione, che dà particolare attenzione alle scienze naturali e alla filosofia morale, a svantaggio di discipline astratte come logica e metafisica. L’uguaglianza economica non comporta tuttavia una democrazia politica: il governo migliore è quello del principe, eletto a vita da un senato. Il potere politico va distinto da quello religioso (contrariamente a quanto voleva Enrico VIII), e va assicurata a tutti i cittadini la più ampia libertà di opinione e di fede; il cristianesimo è solo l’espressione più alta della religione naturale. Moro riprende la concezione della ‘costituzione mista’, con elementi all’inquisizione per i suoi dubbi circa la funzione della religione. In un primo tempo Bruno riesce a evitare la condanna con una parziale ritrattazione, ma nel 1593 viene trasferito all’inquisizione di Roma e, dopo sette anni di carcerazione, viene condannato al rogo nel 1600. - La filosofia della natura. Bruno accoglie entusiasticamente la dottrina copernicana, non considerandola tuttavia una mera ipotesi matematico-astronomica, ma una verità metafisica gravida di importanti conseguenze teoriche. La più importante è l’infinità dell’universo: crollata la fede nella centralità della Terra, l’universo – che Copernico concepiva ancora come finito – appare composto di infiniti mondi, rispetto ai quali il nostro pianeta perde ogni priorità sia fisico-astronomica che assiologica. Ma questa infinità Bruno la giustifica più con argomentazioni metafisiche che con dimostrazioni scientifiche: l’universo è infatti l’effetto infinito, nello spazio e nel tempo, di un’unica causa infinita, cioè di Dio. L’infinito dell’universo si differenzia da quello divino perché in esso si distinguono parti finite – ance se appartengono tutte a un’unica totalità - , mentre Dio è l’assoluto in cui, come aveva insegnato Cusano, gli opposti coincidono e le differenze svaniscono. La tesi di Bruno da un lato interrompe la tradizione aristotelica (rigetta geocentrismo e differenza fra fisica celeste e fisica sublunare), dall’atro si riconnette al filone neoplatonico, che vedeva nell’Uno la causa di un’infinita emanazione. Insieme alla sua infinità, infatti, l’unità dell’essere è un tema dominante in Bruno: nel mondo si dà un’unica materia, sebbene essa si presenti sotto diverse specie; contro questa unità non vale addurre come obiezione il continuo mutare delle cose, in quanto si tratta di un mutamento del modo di essere – ovvero delle forme – e non dell’essere – ovvero della materia. L’unità del mondo è ribadita anche in chiave puramente fisica: ogni parte dell’universo ricerca il contatto con le altre in una coesione universale, che giunge a escludere la possibilità del vuoto. La materia che conferisce unità all’essere è quindi attiva, materia vivente dalla quale zampilla la vita degli esseri, che poi ad essa ritornano. Non si può parlare propriamente di esseri inanimati, tutto vive e l’anima è forma di tutte le cose. Questa vita della materia non differisce dalla divinità da cui deriva: Dio non trascende il mondo, è il principio che inerisce all’effetto [influenza neoplatonica: in ogni parte dell’universo vi sono anima e vita, e dunque vi è Dio.]. E’ appunto l’onnipresenza di Dio a determinare l’infinità e l’unità dell’universo - se la divinità è infinita, infinito deve essere l’universo in cui essa si manifesta – e la stessa identificazione fra Dio e ogni altro esistente. L’infinita potenza di Dio è potenza di essere qualsiasi cosa, e poiché una potenza che non si traduca in atto è potenza di essere nulla, potenza ed atto devono coincidere. Allora Dio è “tutto quel che può essere”; e resta plausibile la possibilità che Dio non sia altro che la materia, visti i suoi caratteri di vitalità e di attività [panteismo: la divinità è intesa come natura o sostanza del mondo.]. - La morale. Se Dio è il tutto o in tutto, ogni essere, compreso l’uomo, deve tendere a ritornare in Dio. La ‘contemplazione’ con cui i neoplatonici intendevano farsi uno con l’Uno assume in Bruno il carattere di un ‘eroico furore’, una sorta di eros platonico, che spinge a farsi uno con Dio. Risolvendosi l’agire umano nei ritmi della natura, la morale di Bruno si fonda sul principio della necessità ed esclude la possibilità del libero arbitrio. La vera libertà consiste nell’agire come è richiesto dalla necessità della natura. L’etica di Bruno, dunque, né appoggia la religione né cerca appoggio in essa, mancando di alcun riferimento alla dimensione della trascendenza - al più, la religione riveste una limitata funzione di edificazione morale e di controllo sociale riservato al popolo rozzo e riottoso. Per un verso, la filosofia di Bruno presenta quindi un carattere aristocratico, poiché implica una consapevolezza della natura che non è di tutti; ma per altro verso, la sua esclusione del riferimento alla trascendenza e il suo risolversi nell’immanenza della vita naturale fa sì che essa non si traduca in una contemplazione riservata a pochi, ma si esplichi in un’etica mondana che esalta l’operare dell’uomo e condanna il torpore e l’ozio come negazioni della vitalità della natura. [contro l’acme aristotelico nella vita contemplativa fine a sè stessa, quindi. Reinterpretazione di quella neoplatonica.] TOMMASO CAMPANELLA (1568 – 1639) - Il mondo naturale Campanella ha in comune con Telesio il principio di sensibilità universale: ogni manifestazione della natura è dotata di senso e della consapevolezza del proprio sentire. In Campanella, tuttavia, questo assunto si trasforma con più forza nel principio dell’universale animazione della natura. Il mondo naturale è permeato da una forza di attrazione che induce tutti i corpi a ricercare il contatto vicendevole e a godere di esso, in modo da eliminare il vuoto. Studiando tale connessione e le proprietà naturali degli enti, che da essa conseguono, l’uomo può intervenire sulla natura per mezzo della magia (tema invece assente in Telesio). L’universale interazione delle cose implica il principio dell’unità della natura. La molteplicità è mera apparenza, non si fonda su una distinzione reale e metafisica, ma soltanto sulla distinzione degli individui a livello logica e formale. Ogni cosa si differenzia dalle altre, non è le altre; in questo senso, essa contiene il non-essere, cioè il nulla. Ma tale non-essere, insieme con la molteplicità, è un’astrazione che può essere colta soltanto dalla ragione e non tocca la sostanza del mondo, che è unitaria. Nella natura operano tre princìpi fondamentali, che Campanella definisce ‘le primalità dell’essere’: la potenza, in virtù della quale gli enti possono essere e agire; la sapienza, intesa, in base al principio della sensibilità universale, come un senso di sé che permette agli enti di conoscere sia se stessi che i propri contrari, in modo da diventare principio di azione e di ordine in tutto il mondo naturale; l’amore, inteso sia come principio di unificazione che come tendenza alla conservazione di sé e della propria specie. Queste primalità hanno pari dignità e valore, ma esse sembrano assumere di volta in volta una posizione preminente. Nel mondo, si trovano in forma impura, frammiste coi rispettivi predicati negativi dell’impotenza, dell’insipienza e dell’odio. Ma nell’ente supremo si trovano allo stato puro e definiscono i tre predicati essenziali della divinità. Il rapporto tra le primalità allo stato puro e le loro manifestazioni impure definisce anche il rapporto insieme di immanenza e di trascendenza tra Dio e il mondo: pur essendo “a tutte cose interno”, principio vivificatore della natura, Dio non si risolve né nelle singole manifestazioni di essa né nella loro somma Quantitativa. - La conoscenza. Campanella mutua da Telesio il privilegiare la sensibilità su ogni altra forma di sapere, ma presenta una gnoseologia più articolata e, soprattutto, strettamente connessa con la dottrina metafisica delle primalità dell’essere. Ciascuna primalità può esprimersi soltanto in virtù di un originario riferimento al soggetto, è potenza di agire e di patire solo in quanto è potenza di essere un soggetto che agisce o patisce. La primalità dell’amore induce gli enti a permanere nel loro stato, in quanto ciascuno di essi ama il proprio essere in quanto soggetto e fonda su ciò il proprio rapporto con gli oggetti esterni; amiamo la luce che ci illumina in quanto ne siamo illuminati. La primalità della sapienza è primariamente conoscenza di sé e solo conseguentemente delle modificazioni che gli oggetti esterni imprimono sul soggetto: non si conoscono direttamente le cose, ma si conosce se stessi modificati dalle cose. La relazione tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto si fonda su un originario rapporto del soggetto con sè stesso. Campanella distingue dunque una forma di conoscenza ‘illata’ – proveniente dall’esterno – da una ‘innata’ – consistente appunto nella originaria consapevolezza che il soggetto ha di se stesso. Il conoscere implica un parziale permanere nel proprio stato e un parziale mutarsi: significa, in certa misura, ‘divenire altro’, morire in parte a sè stessi, implica una perdita parziale di essere, aspetto della caducità degli enti creati. Per ciò stesso, tuttavia, la conoscenza fornisce un accesso alla vita eterna quando come oggetto conoscibile si ponga la divinità, in quanto implica una trasmutazione nella natura divina. Anche nella dottrina della conoscenza, dunque, Campanella conferma la profonda religiosità del proprio pensiero. - Religione e pedagogia. Campanella investe il mondo naturale di sacralità. L’aspetto della vitalità è ciò che maggiormente conta, in esso pone le basi di una rinnovata formazione religiosa e intellettuale dell’uomo. Il ‘libro del mondo” rappresenta il testo originario al quale rivolgersi, perché sommo è il suo autore, mentre i libri dei filosofi sono trascrizioni inficiate da molteplici errori. Campanella fa un energico richiamo all’importanza dell’esperienza diretta: la figura di Pico della Mirandola, per quanto stimabile, rappresenta l’archetipo dell’intellettuale da biblioteca, nutrito di libri, ma solo di quelli. L’esigenza dell’istruzione – fermo restando che deve fondarsi sull’esperienza – è costantemente ribadita da Campanella, da un lato come nuova formazione dell’intellettuale, sollecitato a sottrarsi ai condizionamenti della cultura tradizionale, dall’altro come vera e propria istruzione popolare – grande attenzione presta all’educazione dei fanciulli, sviluppata secondo criteri collettivistici e basata sul richiamo alla pratica, all’esperienza. Il programma pedagogico è essenziale per Campanella: al lettore si propone una missione di rigenerazione del mondo umano, la quale non potrà realizzarsi se innanzi tutto non si provvederà a divellere l’ignoranza – questa è infatti la radice dalla quale nascono i tre grandi mali del mondo, ovvero la tirannide (degenerazione dell’arbitrio umano che ha smarrito il rapporto con l’autorità divina), i sofismi (degenerazione della cultura in un verbalismo che ha perso il rapporto con la realtà) e l’ipocrisia (degenerazione di una religiosità che ha dimenticato il rapporto con l’interiorità, unica garanzia dell’unione tra divino e umano). Il vero filosofo persegue il fine ultimo dell’universo - Il pensiero politico e l’utopia. Connesso all’esigenza di rinnovamento è il pensiero GIOVANNI CALVINO Giovanni calvino è l'autore de "L'Istituzione della religione cristiana " suddivisa in 4 libri. 1)La dottrina di Dio. Per Calvino ogni individuo possiede naturalmente in sé una percezione divina che Dio stesso gli ha trasmesso affinché l'ignoranza non si tramutasse nell'uomo in una scusa per non dedicare la propria vita alla divinità ed obbedirgli. 2) Redenzione. Il peccato di Adamo ha reso l'uomo incapace di poter raggiungere la salvezza da solo, per questo motivo non può esistere una forma di riconciliazione che non provenga da Dio stesso. L'azione salvifica però risulta efficace solo se l'uomo è dotato di fede, la quale permette che Cristo abiti in noi occupando ogni aspetto della vita del credente. 3)Predestinazione. La predestinazione consiste in ciò che Dio ha deciso per ogni uomo. Infatti Dio non crea gli uomini tutti allo stesso modo, ma ad alcuni affida la vita eterna, altri invece li condanna. 4) Vocazione. Dio ha attribuito ogni uomo una condizione, un punto fermo. Gli uomini dunque non devono temere le angosce, le difficolta, perché devono tenere presente che " Nessuna porta altro fardello all'infuori di quello che Dio gli ha messo sulle spalle ". Per quanto riguarda i sacramenti, Calvino vede il battesimo nella pratica ebraica, esattamente come Zwingli, e considera la santa cena l'unione tra i fedeli e cristo attraverso la mediazione dello spirito santo. 3.5 La riforma radicale I protagonisti della riforma danno vita ad un fenomeno religioso molto complesso che in linea generale può dirsi ispirato ai valori del cristianesimo di cui i radialisti approfondiscono alcuni principi e allo stesso tempo si distanziano da altri a proposito di alcuni questioni, alcune anche delicate. Tra questi rientrano gli anabattisti, ovvero tutti coloro che sono stati battezzati in età adulta. Questi respingono la pratica del battesimo degli infanti, in quanto sostengono che vi sia una assenza di solidi principi scritturali e affermano che vi è' una svalutazione di riti e cerimonie. Gli anabattisti professano la pace e la carità, dando vita ad una comunità di fedeli che sottostà anche alla comunione dei beni. Lelio sozzini critica alcuni passi del Vangelo di Giovanni considerata alla base della trinità e ne ricostruisce i passi. Sèbastien Castellion esprime la sua posizione contro la persecuzione. Si tratta di un atteggiamento per Castellion del tutto contrario alla condotta di vita e all'insegnamento di cristo fondato invece sugli ideali di pace, amore per il prossimo e perdono. L'autore invita a recuperare la fede in Dio, Cristo e spirito santo e di accogliere ciò che è all'interno delle sacre scritture, tollerando tutte le diverse posizioni in termini di trinità, libero arbitrio e rifiutando di condannare la fede deglinaltri8 se è fondata comunque su Cristo. ASPETTO POLITICO: Il pensiero politico della Riforma Oltreché per i suoi aspetti religiosi, il pensiero della Riforma riveste una notevole importanza per gli aspetti politici. La radicale peccaminosità dell’uomo rende difficile la stessa convivenza tra gli uomini e richiede un’autorità secolare coercitiva che costringa gli individui alla pace e all’ordine fino al giorno del giudizio universale, punto focale della concezione religiosa protestante - l’ordine civile in funzione dell’escatologia denota l’influenza di Agostino. Il potere politico, per quanto trovi così la propria legittimazione nella Bibbia e nella volontà di Dio, acquista una sostanziale autonomia rispetto al potere religioso poiché la sua funzione è del tutto diversa da quella del potere spirituale. Questo processo di autonomizzazione del potere politico si traduce da un lato in un suo potenziamento, dall’altro nella negazione di ogni diritto di ribellione e di resistenza da parte dei sudditi. L’obbedienza all’autorità, assoluta perché dipende soltanto da Dio, è uno dei doveri del buon cristiano, ed è quindi legittimo da parte del sovrano reprimere con la violenza ogni tentativo insurrezionale. [Lutero conferma questa dottrina giustificando la repressione sanguinosa della rivolta dei contadini.] Di segno opposta è l’interpretazione politica del calvinismo. Poiché la funzione repressiva del potere politico riceve la sua legittimazione dalla religione, esso deve essere sottoposto all’autorità spirituale. Sotto l’influenza di Calvino, Ginevra assume la forma della teocrazia e si impronta alla più rigida intolleranza religiosa. Il principe deve instaurare un ordine che meglio si confà alla volontà divina; d’altro lato, la negazione dell’autonomia del potere politico presuppone la legittimità della ribellione contro il sovrano, quando questi eserciti arbitrariamente il potere anziché usarlo come braccio della volontà di Dio. Il calvinismo sarà destinato ad avere sbocchi politici rivoluzionari – ne costituisce un esempio l’influenza avuta dal puritanesimo calvinista sia nella Rivoluzione inglese (che porterà alla repubblica teocratica di Cromwell) sia nella Rivoluzione americana. Il pensiero politico in Italia La riflessione politica nel Cinquecento ha un grande sviluppo, soprattutto in Italia e in Francia. A questo sviluppo fa da sfondo la trasformazione della signoria in principato, tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento. Rispetto al comune, la signoria era caratterizzata dalla concentrazione del potere nelle mani di una sola persona o di un unico gruppo di individui, ma restava un fenomeno cittadino, anche quando lo stesso signore estendeva il suo potere su più città. Il principato segna invece il riconoscimento del potere esercitato da uno solo (o da pochi) su un intero territorio. Nasce così progressivamente la nozione moderna di Stato – termine che Machiavelli sarà tra i primi a usare in questo senso – , intesa a indicare appunto un territorio sul quale viene esercitato un potere sovrano e concentrato nelle mani di una singola autorità politica. NICCOLO’ MACHIAVELLI (1469 – 1527) Nuovo è lo Stato e nuove regole servono per reggerlo e conservarlo. Illustrarle è il compito che Machiavelli affida al suo De principatibus. Il fine fondamentale del principe è la conservazione dello Stato e del proprio potere, e per perseguire questo scopo egli deve servirsi di tutti i mezzi più opportuni, non ricusando di ricorrere alle ‘medicine forti’ quando esse si rendano necessarie. Il presupposto teorico fondamentale di Machiavelli è infatti il realismo politico: il suo progetto non si propone di fornire prescrizioni normative fondate su valori diversi dalla conservazione dello Stato, ma si prefigge di enunciare la ‘verità effettuale’ delle cose e di trarne le dovute conseguenze operative. Il suo è anche naturalismo politico: lo Stato è considerato come un organismo naturale, la cui buona o cattiva salute dipende in gran parte dal rispetto di regole inscritte nella sua stessa natura. Le leggi che lo regolano sono le stesse che valgono per la vita degli individui. Ognuno tende soprattutto ad auto conservarsi e il suo unico fine non è la felicità, o il Bene, bensì la sicurezza. La stessa visione pessimistica vale per gli Stati, i quali non hanno come fine il ‘bene comune’ dei cittadini o il ‘vivere bene’ di ciascuno, come voleva Aristotele, bensì la conservazione di sé attraverso l’ordine interno e la pace all’esterno. Cioè il semplice sopravvivere. Machiavelli afferma di conseguenza l’autonomia della politica dalla morale e dalla teologia: quando si tratta di conservare lo Stato, non serve essere buoni né confidare in Dio, ma occorre scegliere i mezzi più adatti per conseguire il proprio scopo. La ‘virtù’ che Machiavelli richiede al principe non è quindi una virtù morale, ma il valore di chi sa destreggiarsi in frangenti mutevoli, sapendo piegarli all’unico fine della conservazione del proprio potere. La realtà politica in cui il principe agisce è infatti retta dalla fortuna, dal caso. La virtù e la fortuna si dividono dunque a metà il campo dell’azione politica: con la prima l’uomo non può far fronte completamente alla seconda, ma può prevenirne le avversità adeguandosi al meglio al corso degli eventi. Resta un terzo elemento da considerare, il quale, se ben sfruttato, diventa uno strumento della virtù: la necessità con gli Stati, quasi organismi naturali, obbediscono alle leggi che presiedono alla loro floridezza e alla loro decadenza. Il principe deve essere come ‘il lione’ e ‘la golpe’, cioè violento e astuto, mezzo uomo e mezzo bestia: deve sapersi avvalere del corso immutabile degli eventi naturali e della fortuna, ovvero prevederli e assecondarli in modo da trarne vantaggio ai propri fini. La capacità di fare questo è la virtù, che non ha alcun significato morale ma è semplicemente intelligenza, spregiudicatezza e abilità politica. La necessità naturale ritorna anche nei “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, ove l’oggetto di studio non è più il principato ma la ‘repubblica’. Dopo il fallimento della Repubblica fiorentina e il ritorno dei Medici, Machiavelli si interroga su quale sia il migliore ordinamento politico; a tal scopo risale alle origini delle società politiche e vede scorrere le diverse forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia) in un ciclo necessario – derivato dagli stoici – nel quale a ciascuna di esse segue la propria degenerazione (tirannide, oligarchia, oclocrazia) per ricominciare poi con il ciclo successivo. Per uscire da questa successione, Machiavelli propone il modello di ‘costituzione’ mista realizzato dalla Repubblica romana, nella quale sono rappresentati insieme il principe, gli ottimati e il popolo. JEAN BODIN (1530 – 1596) Tra Quattrocento e Cinquecento, in Francia esiste già un governo monarchico che si estende su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, la solidità della monarchia francese è stata fortemente compromessa, causa delle divisioni tra cattolici e protestanti. Nel Cinquecento, Entico IV di Borbone procede a una vasta opera di consolidamento dell’istituto monarchico, che nel Seicento sarà continuata dal cardinale Richelieu sotto il regno di Luigi XIII, dal cardinale Mazzarino e infine da Luigi XIV, il quale porterà all’apogeo la potenza francese. Enrico IV persegue la pacificazione religiosa del paese – vedi l’Editto di Nantese del 1598 -, la ripresa di una grande politica estera con la lotta agli Asburgo (di Spagna e d’Austria), ma soprattutto il consolidamento dell’autorità del re contro le pretese degli Stati Generali, della nobiltà e delle forze democratico-repubblicane di ispirazione calvinista: si avvia così in Francia la formazione di una potente monarchia assoluta. Questi sviluppi in senso assolutistico trovano l’appoggio di alcuni scrittori, tra i quali il più rilevante è Jean Bodin. La mente è come uno specchio deformante. La conoscenza inizia non per una assenza di informazione o con una mancanza di informazioni che i sensi devono colmare, ma grazie ad una operazione che deve tenere a bada e revisionare le conoscenze già immagazzinate nella mente. Bacone dunque non ammette nemmeno la teoria della mente come tabula rasa. La conoscenza, infatti, per esercitare la sua funzione, richiede la presenza in un oggetto di qualsiasi tipo. 2.2 Il metodo Baconiano Una volta liberata la mente dai pregiudizi, si può procedere con l'interpretazione della natura. La seconda via permette di procedere in maniera organizzata, e lo fa mediante l'esperienza. Non si tratta di una esperienza qualunque, ma di una esperienza ordinata e matura, ovvero l'esperimento. ⦁ Esperimenti fruttiferi, che danno dei frutti. ⦁ Esperimenti luciferi, che portano alla luce. Dei due tipi di esperimento, Bacone preferisce il secondo tipo, in quanto ritiene che non fallisca. Il metodo di Bacone si compone di due parti: ⦁ Una induttiva, nella quale si ricavano gli assiomi dell'esperienza. ⦁ Una deduttiva, dalla quale si deducono dei nuovi assiomi dall'esperimento. Per mettere a fondo questo suo progetto, Bacon si ripropone di criticare i metodi delle filosofie precedenti, in particolare quella di Aristotele, arrivando così alla stesura di un nuovo Organum, che elabora una nuova induzione, capace di riconciliare la mente dell'uomo con la natura procedendo da assioma ad assioma, ovvero da generalizzazione a generalizzazione. In questo modo la mente tiene a bada l'immaginazione e la volontà. Va tuttavia ricordato, come lo stesso Bacone Ammette, che procedere con un metodo meccanico può portare a dei rischi e a degli errori ( es. metodo tradizionale). Secondo Bacone, è necessario sollecitare nuove domande e mantenere la ricerca attiva. In particolare bisogna mantenere attivo l'autocontrollo mentale e controllare i sensi, ma allo stesso tempo, questa eccessiva attenzione, non deve creare un ostacolo per il corso spontaneo e libero della conoscenza. Sono questi i due punti fondamentali del metodo di Bacone, che egli intende applicare per individuare la conoscenza nella sua totalità. 2.3 La vera induzione e la forma La prima parte del metodo Di Bacone è induttiva, e prevede la raccolta e l'organizzazione delle informazioni, che il filosofo chiama storia naturale e sperimentale. Questa Organizzazione viene fatta mediante l'uso di tre tavole : tavole di presenza, tavola di assenza, tavole dei gradi o comparative. Una volta analizzati i risultati delle tre tavole, si arriva alla formulazione di una prima ipotesi, che dovrà essere verificata mediante degli ulteriori esperimenti, chiamati istanze prerogative. L'obiettivo di questo processo è quello di conoscere le cause delle cose naturali, e in particolare la forma, che per Bacone consiste nella principale delle cause, unica vera causa su cui si basa il sapere scientifico. 3.Morale, politica e religione Bacone individua 3 facoltà della conoscenza: ⦁ memoria, alla quale compete la storia; ⦁ immaginazione, alla quale competono le varie forme di invenzione creativa; ⦁ ragione, alla quale compete la realtà in tutti i suoi aspetti. 1. La memoria è espressione del naturale desiderio umano di conservare i8l ricordo di eventi e cose 2. L'immaginazione nasce dal desiderio di evadere dalle situazioni di costrizione e dalla monotonia. Quest'ultima si realizza negli atti di finzione e invenzione creativa. 3. La ragione nasce dal naturale desiderio di comprendere la realtà e ha la sua massima espressione nella filosofia. Questi 3 elementi sono fondamentali per comprendere i rapporti tra morale, politica e religione. In modi diversi, infatti, la memoria, l'immaginazione e la ragione contribuiscono a determinare le azioni umane. Secondo Bacone la verità (intelletto) e il bene (volontà) si richiamano a vicenda, nonostante il rischio di manipolazione e auto-inganno. In questo scenario, è l'immaginazione a fungere da intermediario. La relazione tra conoscenza ed essere culmina, come già visto, nell'amore, in quanto la tendenza al bene è la forma più elevata di conoscenza. La vera conoscenza ha dunque come fine il bene dell'umanità, e corrisponde alla carità. La conoscenza in ambito morale, politico e religioso è quindi una progressiva ascesa dal bene individuale al bene comune e infine al bene divino. 3.2 Politica In un discorso avvenuto in Parlamento, dove si è affrontato il progetto dell'unione politica dell'Inghilterra con la Scozia , Bacone difende l'uguaglianza dei diritti di produzione e scambio commerciale e propone l'esenzione della cittadinanza a tutti i cittadini dei due regni. Bacone afferma che la grandezza di uno stato dipende dalle virtù dei suoi cittadini e dalle loro armi, piuttosto che dalla prosperità economica del paese e da ampliamenti territoriali. Anzi, Bacone afferma che lo splendore della cultura è la forma più elevata di progresso di un paese. In uno dei suoi primi scritti, Bacone compone per la regina un testo, dal titolo Massime della legge, in cui propone alcune linee guida per una riforma della legge inglese, dove cerca di conciliare la common low con il diritto romano. Tutto ciò sta alla base di una più amplia riforma, ovvero la riforma del sapere e della società. 3.3 La religione Secondo Bacone, una parte importante delle leggi, è quella di regolamentare i riti e le pratiche religiose. La religione è definita come il vincolo primario di ogni unione umana e la fonte principale dell'unità. Interessante è il modo in cui nei "Saggi" viene presentata la figura di Maometto. Maometto è un profeta armato, a cui viene associato un tipo particolare di spada, che Bacone definisce come né temporale, né spirituale, diretta a mantenere l'unità dei fedeli con la violenza. La "Spada di Maometto", dunque, è il mezzo attraverso il quale si diffonde la religione con l'uso della forza e della persecuzione. Il vero potere tuttavia, secondo Bacone, è quello di trasformare i sogni in realtà. << Il potere di far del bene è il fine vero e legittimo di ogni aspirazione, dal momento che i buoni pensieri, nonostante siano graditi a Dio, quando si rivolgono agli uomini sono poco meglio di buoni sogni, a meno che non vengano messi in atto, es essi non possono esserlo senza che si faccia riferimento a potere e rango >> Si tratta di una delle antitesi più famose del pensiero baconiano, ovvero il rapporto tra rappresentazione e realtà ( immaginazione e fatti). Capitolo 4 : La rivoluzione scientifica e Galileo. Tra la metà del '500 e l'inizio del '600la cultura europea è segnata da un radicale mutamento dei modi di indagare i fenomeni naturali. A questo scenario storico viene dato il nome di rivoluzione scientifica. I suoi estremi cronologici sono segnati rispettivamente dal De revolutionibus orbium celestium di Niccolò Copernico e da i Philosophie naturalis principia mathematica di Isaac Newton. Questa rivoluzione è stata definita da molti studiosi come una delle più profonde dopo la creazione dell'idea di cormo da parte dei greci. Tuttavia altri sostengono che il costituirsi della scienza moderna sia un punto di continuità e non di rottura con il medioevo. Nonostante ciò, senza dubbio l'approccio alla natura è cambiato. Tra i vari motivi ritroviamo: 1. La matematizzazione della fisica. A partire alla metà del '500 si iniziano ad utilizzare i metodi e i concetti matematici per spiegare i fenomeni della fisica. La caduta di una pietra, ad esempio, non viene più spiegata attraverso la naturale tendenza dell'oggetto a raggiungere il suolo. A questa spiegazione, tipica della fisica aristotelica e basata sulla qualità dei corpi, si vengono a costituire delle teorie fondate piuttosto sulla quantità. La nuova fisica, quindi, si concentra sempre più su aspetti che possono essere rimandati alla quantità, ovvero ai numeri, e che dunque possono essere matematizzati. 2. La critica al principio di autorità. L'emergere di teorie alternative a quelle del secolo precedente, porta ad una svalutazione e revisione delle dottrine filosofiche\fisiche tradizionalmente considerate indiscutibili. A limitare il peso di queste dottrine è l'uso dell'esperienza e dell'osservazione diretta , cui viene assegnato un ruolo decisivo nella formulazione di nuove teorie. 3. Lo sperimentalismo. L'esperimento è un tipo particolare di esperienza effettuata al fine di dimostrare una teoria. Nel corso del seicento, l'esperimento viene sempre più considerato come una pratica indispensabile, arrivando così alla nascita di ambienti specifici alla ricerca ( laboratori) e di nuovi strumenti scientifici. 4. La ricerca associata. Un aspetto fondamentale dell'esperimento è la sua possibilità di essere ripetuto più e più volte. Il soddisfacimento di questa richiesta è favorito da una comunità di scienziati basata sulla collaborazione reciproca. Lo svilupparsi di questa ricerca associata è dimostrata dalla nascita di alcune accademie scientifiche dove gli studiosi riuscivano a comunicare tra loro grazie all'uso di lettere e giornali. 1.2 Sapere degli antichi La rivoluzione scientifica viene favorita dal recupero del sapere degli antichi. Il movimento scientifico moderno si basa infatti su alcuni scritti che gli umanisti avevano messo a disposizione degli studiosi di tutta Europa. 1.3 Copernico Di Copernico ricordiamo il " De revolutionibus orbium celestium " dove egli espone la sua rivoluzione astronomica. Nella prospettiva di Copernico il sole si trova al centro dell'universo, attorno al quale ruotano la terra e gli altri pianeti (eliocentrismo). Alla Terra vengono attribuiti 3 moti: 1. Rotazione diurna, ovvero la rotazione che la terra compie in un giorno e che spiega l'alternarsi del giorno e della notte. 2.3 Scienza e religione Secondo Galilei. Dio ha parlato agli uomini con le parole (Attraverso la scrittura) e con le opere (mediante la natura). Queste due espressioni divine (Scrittura e natura) si differenziano però per il loro fine. La scrittura mira a istruire gli uomini sui loro doveri etici e religiosi e si affida ad un linguaggio verbale. Il linguaggio verbale infatti non va sempre preso alla lettera, poiché fa uso di metafore e simboli che non ne permettono una perfetta comprensione. Quando dunque troviamo nei testi sacri delle espressioni contrarie alla scienza dobbiamo reinterpretarle e cambiarne il senso. L'altra manifestazione, la natura, in quanto retta da leggi necessarie, segue il suo corso e non si preoccupa degli uomini (incomprensione umana). Perciò l natura umana esclude ogni possibile reinterpretazione. La natura, infatti, non può adattare le sue espressioni all'intelletto umano, poiché la struttura di queste espressioni è diversa dal linguaggio verbale. Ne deriva una separazione tra scienza e religione, dove bisogna sempre scegliere la scienza. ---> condanna. 2.4 Concezione del moto 1. Legge di caduta dei gravi :Gli spazi passati da un grave in discesa sono proporzionali al quadrato dei tempi necessari a percorrerli. ---> Movimento uniformemente accelerato, in cui un corpo acquista in tempi uguali, eguali incrementi di velocità. Al fine di controllare il risultato dei suoi esperimenti, Galilei afferma di essersi basato sull'osservazione di un piano inclinato arrivando a formulare la teorie delle "Sensate esperienze". Galileo dunque non considera più il moto come processo, ma come uno stato, un dato di fatto di cui si possono osservare solo le variazioni. 2.5 La matematica e il mondo Galilei individua due tipi differenti di qualità dei corpi: ⦁ Le qualità soggettive (i colori, i suoni, gli odori ecc.), realmente inerenti ai corpi, la cui realtà è puramente fittizia. Esse sono definite soggettive perché non appartengono alla effettiva natura dei corpi, ma nascono dall'interazione tra i nostri organi di senso e l'oggetto. ⦁ Le qualità oggettive , reali e universalmente conoscibili, che si identificano con le qualità della matematica e dunque quantificabili, misurabili. In virtù della loro quantificabili, queste qualità sono alla base del tentativo di promuovere una fisica matematica. Allo stesso tempo, sono volte a promuovere una concezione della fisica puramente meccanica. A ciò si aggiunge che per Galileo la cognizione delle scienze matematiche è la stessa sia per gli uomini che per Dio. Benché infatti l'intelletto divino conosca tutte le verità matematiche, l'uomo afferra gli enti matematici con la stessa evidenza con cui sono colti da Dio, perché la ragione umana è in grado di cogliere questi enti come evidenti e indiscutibili. Capitolo 7 : Thomas Hobbes 1. Corpo-Movimento Osservando la natura, Hobbes arriva alla conclusione che solo il movimento riempie e governa le parti interne della materia (materialismo meccanicistico). Il moto e i corpi sono dunque le uniche cose vere al mondo. Si viene a creare così l'intero sistema filosofico di Hobbes in cui egli distingue 3 tipi di corpi : naturale, umano, politico. Tutto ciò che esiste è corpo, perchè solo il corpo può muoversi, cioè può agire o subire una azione. Il corpo è il soggetto del movimento, mentre la causa di un movimento è un altro movimento. Movimento significa mutamento, divenire, ed è proprio questa diversità di movimento che permette di distinguere la diversità dei fenomeni che ci circondano. Questi presupposti non lasciano spazio al non corporeo, che appare contraddittorio. Anche Dio, gli angeli e l'anima umana, se vogliono ammettere la loro esistenza, devono pensarsi come corporei. 2. Il corpo. Nella prima sezione degli "Elementa", il "de corpore ", viene precisato che i corpi per divenire studio della filosofia devono possedere una proprietà essenziale : la generazione, cioè un corpo che è generato e ha qualche proprietà. Ne consegue che la filosofia esclude dal suo campo tutte quelle discipline che si occupano di oggetti dai quali non si possa risalire ad alcuna generazione : la storia, che si basa sull'esperienza, la retorica e la poesia. Successivamente Hobbes afferma che esistono due tipi di corpi: ⦁ I corpi naturali, che sono opera della natura -> Filosofia naturale ⦁ I corpi civili, che sono costituiti dalla volontà umana ->filosofia civile Ad accumunare questi due tipi di corpi è l'utilizzo di un metodo che possa condurre alla conoscenza delle cause dei corpi, sia di quelli naturali che di quelli civili. Tale conoscenza deve avvenire nella maniera più breve possibile e deve assumere la geometria come modello da imitare. Richiamando Aristotele, quest'ultimo distingueva due metodi di indagine: ⦁ Metodo deduttivo ( o sintetico), dalle cause agli effetti. ⦁ Metodo induttivo ( o analitico), dagli effetti alle cause. La differenza tra i due metodi sta non solo nel procedimento, ma anche nel risultato: se il primo metodo conduce alla conoscenza delle cause certe, il secondo metodo conduce alla conoscenza delle cause probabile, supposizioni e generazioni probabili. Nel primo caso si ha dunque una scienza, ovvero una conoscenza per cause, nel secondo caso una conoscenza ipotetica. Le discipline che procedono per via deduttiva condividono una proprietà fondamentale: le cause degli oggetti di cui esse si occupano sono costituite dagli uomini, i quali sono pertanto artefici della verità dei principi su cui tali scienze si fondano. Esse sono: ⦁ La geometria, dove le figure sono tracciate dagli uomini che si occupano anche di ricavarne dei principi e dei teoremi. ⦁ la logica, in quanto il linguaggio è una creazione umana. ⦁ La politica e l'etica, perchè lo stato, le leggi, le regole ecc. sono creazioni dell'uomo. Il risultato è che l'uomo può ottenere una conoscenza scientifica, cioè dimostrativa, soltanto delle cose che lui stesso produce. Al contrario, di tutti i corpi non artificiali, può avere solo una conoscenza ipotetica : l'autore della natura è Dio. L'uomo può avvicinarsi alla verità mediante la formulazione di ipotesi, ma non potrà mai comprenderla pienamente. 2.2 Geometria ed ottica. La geometria serve a chiarire la tesi per cui la mente umana possa concepire e immaginare solo i corpi. Ciò avviene non solo perchè i corpi sono le uniche cose esistenti, ma anche perchè la mente umana è in grado visualizzare ( "figurare" ) solo immagini di corpi, ovvero figure in uno spazio. Hobbes ammette la distinzione tra immagine dell'occhio e immagine mentale, ma afferma che tra loro c'è un legame. In altre parole, la visione non si conclude con l'immagine a livello dell'occhio, ma continuano in profondità fino alle immagini mentali, le quali, nonostante il loro carattere ingannevole , costituiscono, secondo Hobbes, l'unica conoscenza che il soggetto ha del mondo circostante. Tutti gli oggetti possiedono una figura e delle dimensioni proprie, ovvero un'esenzione chiamato spazio reale. Al contrario, quando vediamo un oggetto e lo richiamiamo alla memoria sotto forma di immagine , si viene a costituire uno spazio che non è reale, ma immaginario : esso non è l'immagine dello spazio, ma un fantasma, cioè l'immagine di un corpo particolare così come appare o appariva al soggetto percipiente. Un corpo, inoltre, non occupa solo uno spazio, ma in questo spazio si muove, ovvero impiega del tempo. Si viene a costituire un altro punto fondamentale : il tempo immaginario. La conclusione di questo ragionamento è che solo ciò che ha dimensioni, cioè solo ciò che è finito, può occupare uno spazio e muoversi nel tempo. Spazio e tempo immaginari sono le componenti indispensabili a porre dei limiti al contenuto della nostra mente : se ciò che esiste è sempre "figurato" e le nostre immagini non possono che riprodurre queste figure, allora noi possiamo conoscere solo ciò che è corporeo . Ecco perché Dio è impensabile : essendo al di là di ogni limite spazio-temporale, non posso " figurare" la sua immagine, e dunque non posso conoscerlo. 3. L'uomo 3.1 LA SENSAZIONE Hobbes non ammette le idee innate ed afferma che tutta la nostra conoscenza proviene dai sensi. In particolare si ha conoscenza nel momento in cui i nostri organi di senso entrano a contatto con gli oggetti esterni. I protagonisti della conoscenza sensibile sono il soggetto conoscente ( l'uomo con i suoi cinque sensi) e l'oggetto conosciuto (i corpi esterni). Affinché si produca in noi un concetto, ossia una rappresentazione mentale delle cose di cui si fa esperienza, è necessario che l'organo venga stimolato\mosso dagli oggetti esterni. La conoscenza si compone di due fasi: 1. L'oggetto esterno colpisce l'organo di senso. Il movimento non si esaurisce ma passa all'interno del corpo, attraverso i nervi, i muscoli ecc. fino al cuore, principio della vita. 2. Nel cuore inizia la seconda fase. Qui si produce una controreazione al movimento iniziale, che porta alla formazione di un fantasma, ovvero di una sensazione immediata delle qualità dell'oggetto esterno. Questo fantasma è ciò che viene definito come fantasia o immaginazione, vale a dire un concetto che permane anche quando i sensi non sono più presenti e svanisce poco a poco. L'immaginazione di cui parla Hobbes non va pensata in senso moderno, ma si riferisce alla capacità di trattenere le immagini della sensazione. Tutto ciò accade quando siamo svegli, cioè quando i sensi sono in funzione : facciamo continuamente esperienza di nuove cose aggiungendole a quelle già immagazzinate nella nostra mente. Eppure, anche quando dormiamo, ovvero quando i nostri sensi non sono in funzione, abbiamo a che fare con delle immagini : i sogni. La caratteristica dei sogni, è quella di essere delle immagini molto più forti di quelle dell'immaginazione. Questo accade perché quando dormiamo siamo liberi da ogni limite, facendo si che i sogni appaiono con delle immagini così chiare che molto spesso non riusciamo a distinguerle dalla realtà. 1. La prima legge si divide in due enunciati: Il primo afferma di ricercare la pace e di perseguirla. Il secondo di difendere noi stessi con tutti i mezzi disponibili , qualora la pace non possa essere ottenuta. --> universalità del diritto di vita 2. La seconda legge afferma che si deve riconoscere agli altri tanta libertà, quanta libertà vorremmo che gli altri concedessero a noi -> non fare agli altri ciò che non vorresti essere fatto a te. 3. La terza legge deriva dalle prime due e invita gli uomini a seguire le due leggi precedenti, altrimenti essi ritorneranno nella precedente situazione di guerra. LO STATO IN HOBBES: Per creare un potere comune, che si impegni a difendere gli uomini, quest'ultimi decidono di sottomettere la loro volontà sotto il potere di un unico uomo. Lo stato, esattamente come l'uomo, è un corpo artificiale, dotato di una struttura e di una forza più grande rispetto allo stato naturale : infatti è stato creato al fine di proteggere gli uomini. La forma di governo che Hobbes riconosce dunque come la migliore tra tutte è la Monarchia. Il potere del sovrano è assoluto, cioè illimitato e non soggetto alla legge, anzi al di sopra di essa. Ciò non è di poco conto, perchè il sovrano rappresenta l'unica figura non soggetta alle leggi, e dunque l'unica figura che è rimasta nello stato di natura. Sarebbe infatti contraddittorio che la persona che detiene il potere, costringa se stessa a seguire le regole. La legge civile è infatti l'insieme delle regole dello stato in cui il sovrano decide ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Questa capacità di scelta, assente nello stato di natura, conduce gli uomini verso una meta comune, ovvero il volere del sovrano. E poichè la volontà del sovrano coincide con quella dei cittadini, quest'ultimi non possono opporsi, perchè sarebbe come contraddire se stessi. All'interno dello stato, i cittadini sono liberi solo nelle cos decise dal sovrano. Il potere del sovrano è indivisibile, ovvero spetta alla stessa persona fare le leggi, farle eseguire e amministrare la giustizia. Connessa all'autorità vi è l'autorità religiosa, ovvero il compito di interpretare le sacre scritture. Sebbene assoluto, il potere del sovrano non deve mai assumere le sembianze di quello di un tiranno : nessuno può ordinare ai cittadini di compiere dei gesti estremi, come uccidersi. Inoltre nessun uomo può sentirsi obbligato a confessare un crimine di cui è colpevole o meno, perchè nessuno in generale è obbligato ad accusare se stesso. La politica dunque è la conclusione di un lungo percorso iniziato con l'analisi del coro per poi passare a quello dell'uomo. Il sovrano che vuole governare uno stato non può ritirarsi dal fare lo stesso : deve imparare a leggere se stesso, per poi passare, anche se difficile, a tutto il genere umano. << Tutte le volte che l'uomo è contro la ragione, la ragione sarà contro l'uomo >> CAPITOLO 8 : Cartesio 1. Il metodo La filosofia di Cartesio si pone come un'impresa di rifondazione del sapere, attraverso il metodo. Ciò è possibile perchè l'uomo è dotato di un ingegno che è stato progressivamente oscurato nel corso dell'esperienza ed ha dunque bisogno di un metodo per poter funzionare correttamente. Il metodo consiste in un insieme di regole certe e facili, che dirigono questo ingegno alla ricerca della conoscenza. Sono due le forme certe di conoscenza: ⦁ L'intuito ha per oggetto le conoscenze immediatamente evidenti alla ragione, le ‘cose semplici’, che possono essere comprese senza venire ricondotte ad altre evidenze più immediate: sono l’estensione, la figura, il movimento, l’esistenza, il dubbio. La natura di queste cose è chiara immediatamente, senza bisogno di ricorrere ad artificiose definizioni sostanziali. ⦁ La deduzione, invece, concerne la congiunzione necessaria delle cose semplici in modo da formare ‘cose composte’, ovvero consente di passare dall’intuizione di verità immediatamente evidenti a verità costruite razionalmente mediante un ragionamento scandito da passaggi intermedi, fino a comprendere l’intera scienza umana. Poichè la maggior parte delle conoscenze sono caratterizzate dalla non-evidenza, la deduzione si rende necessaria. Questa deduzione, può essere anche certissima, a condizione che si svolga con un movimento continuo del pensiero, che consentirà di ricordare agevolmente tutti gli anelli della catena dimostrativa. Quando le conclusioni sono poi immediatamente dedotte dai concetti primi, il principio e la conclusione sono colti con uno sguardo, sia per intuizione, che per deduzione. In questo scenario, Cartesio deve determinare che cosa si intende per scienza. Per Cartesio la scienza è definita dalla certezza e dall'evidenza. Per il Cartesio delle regole, se una conoscenza è evidente, ossia chiara e indistinta, essa è necessariamente vera. Ne consegue che per raggiungere la verità è necessario, ma anche sufficiente, indagare quali sono le discipline caratterizzate da chiarezza e per quale motivo lo siano. Fra tutte le discipline individua soprattutto l'aritmetica e la geometria. Una volta individuato il motivo per cui queste discipline sono evidenti, si saranno individuate le modalità con cui qualsiasi altra scienza può essere ricondotta a questa evidenza. ⦁ La matematica non si basa sull'esperienza, in quanto si basa totalmente o sull'intuito o sulla deduzione. Questo è dovuto dalla natura dell'oggetto della matematica, determinazioni quantitative, perfettamente misurabili, e che cadono cioè sotto misura. Di conseguenza è possibile ricondurre le altre discipline alla certezza, rendendo il loro oggetto misurabile e tralasciando le proprietà qualitative. ( Meccanicismo) Per Cartesio la matematica consiste nella fondazione del sapere ma non lo esaurisce. Cartesio afferma infatti l'esistenza di una scienza generalissima, detta Mathesis Universalis, che ha per oggetto non solo la misura, ma anche l'ordine, ovvero il fatto che le cose che vogliamo conoscere, possono essere conosciute mediante un altro oggetto ( Si pone di spiegare tutto ciò che può essere indagato riguardo all’ordine e alla misura, senza riferimento ad alcuna materia speciale). Infine, il metodo si compone di 4 regole: ⦁ Evidenza : non accogliere come vera nessuna cosa che non sia conoscibile con evidenza. ⦁ Analisi : scomporre il tutto in parti più semplici. ⦁ Sintesi : partire dalle cose più semplici alle più complesse. ⦁ Enumerazione : Fare delle enumerazioni così complete da avere la certezza di non omettere nulla. La teoria della creazione delle verità eterne : Dio è il creatore non solo delle cose esistenti, ma anche delle loro essenze e delle verità eterne, e dunque, anche delle verità matematiche. Ma se le verità matematiche sono create da Dio, allora esse sono inferiori alle verità metafisiche, in quanto dipendono da un principio metafisico, cioè Dio. 2.La Filosofia La filosofia è definita come lo studio della saggezza, e come accadeva in Aristotele, ha come fine ultimo l'uomo e la sua felicità. LA FISICA La fisica cartesiana puramente meccanicistica si basa su due dottrine metafisiche. ⦁ IDENTITA' TRA METERIA ED ESTENSIONE. Da tale identità ne consegue: 1. ELIMINAZIONE DELLE FORME SOSTANZIALI. Secondo Cartesio nella materia non esiste nulla che noi non possiamo conoscere nella maniera più perfetta perchè la materia si basa solamente nell'essere un corpo esteso in lunghezza, larghezza e profondità. 2. LA SOGGETTIVITA' DELLE QUALITA' SENSIBILI. Le qualità definite come oggettive in Aristotele, in Cartesio ora sono identificate come soggettive. In genere crediamo che le idee che abbiamo nel nostro pensiero siano simili agli oggetti da cui provengano, ma non vi è alcuna ragione che mi assicuri che sia così, anzi, molte esperienze devono farci dubitare. 3. LA CONTRADDITORIETA' DEL VUOTO E DEGLI ATOMI, che Cartesio rifiuta. 4. INDEFINITEZZA DEL MONDO. Pensare il mondo come finito, significa porre dei limiti. Ma, oltre quei limiti, vi è sempre materia. ( Dottrina eliocentrica) Si arriva così ad un geometrizzazione della fisica, necessaria per spiegare la legge del movimento. ⦁ IMMUTABIITA' DIVINA. Dato che la causa universale del movimento è Dio, e dato che uno degli attributi è l'immutabilità, allora anche il suo movimento dovrà essere immutabile. Si arriva così alla formulazione di 2 leggi fondamentali della fisica: 1- Principio di inerzia : un corpo continua a muoversi di un moto rettilineo uniforme, almeno che non vi sono delle forze esterne che cambiano il suo moto. 2- Legge di conservazione del movimento. Un corpo se si scontra con un altro corpo, non perde il suo movimento. Se ne urta uno meno forte , perde tanto movimento quanto ne trasferisce all'altro. In un mondo dove non esiste il vuoto, il moto di una particella è ostacolato dal moto di altre particelle, ed è dunque soggetto costantemente ad un urto. Per effetto di questo urto, il moto della particella è sempre circolare. Questi cerchi, in base alla loro grandezza, si distinguono in pianeti, stelle e cieli. La luce è definita come una pressione esercitata su una fonte luminosa che si propaga attraverso le particelle dell'aria. Cartesio si impegnò a dimostrare che sono soggettive non solo le qualità uditive, tattili ecc. , ma anche quelle visive. La diottrica ci insegna anche che sono soggettive anche la percezione di grandezza, larghezza ecc. L'UOMO Lo scopo dell'uomo è quello di dimostrare che le sue funzioni vitali si spiegano esattamente come i fenomeni del mondo. Ne risulta una profonda critica all'idea che il principio della vita risieda L'ERRORE L'inganno è una imperfezione, dunque non può provenire da un ente sommamente perfetto come Dio. Con la dimostrazione dell'esistenza di Dio Cartesio giunge dunque alla caduta del Dio ingannatore. Ma se Dio è verace, come mai io posso cadere in inganno? Si giunge così alla teodicea dell'errore, ossia una giustificazione di Dio dall'accusa di essere l'autore dell'errore. Cartesio afferma che i fini di Dio non devono essere indagati, perchè Dio è colui che genera infinite cose che io non posso comprendere. Cartesio procede con una critica al finalismo dove individua come unica soluzione il libero arbitrio. La volontà umana è infinita e di conseguenza può estendersi al di là di ciò che noi possiamo conoscere mediante l'intelletto, così da creare giudizi non solo attraverso delle idee chiare, ma anche con quelle confuse. 2.2.5 L'essenza delle cose materiali. Regola di verità: Tutto ciò che è chiaro e distinto è vero. E' così possibile arrivare alla conoscenza delle cose materiali, ovvero della res extensa. Cartesio identifica la sua essenza con l'estensione, che si traduce in termini di lunghezza, larghezza e profondità. FISICA: In questo modo, Cartesio può giungere alla fondazione della fisica meccanicistica in quanto: 1- Tutte le proprietà che percepisco come chiare e distinte sono quantitative e appartengono al corpo 2- Queste proprietà costituiscono delle essenze . Ne deriva che la fisica non può dipendere nè dalla nostra mente, nè dall'esperienza, ma da essenze. E' così fondata la fisica come scienza di proposizioni logicamente necessarie. La fisica è così ridotta alla matematica, sia per l'oggetto (estensione) che per il metodo a priori. L'oggetto della matematica sono infatti essenze eterne e immutabili, date empiricamente. LA DIMOSTRAZIONE A PRIORI DELL’ESISTENZA DI DIO: Le nozioni di fisica ci portano ad una ulteriore dimostrazione dell’esistenza di Dio : Se si percepisce una qualità come appartenente all'essenza di un determinato oggetto, questa proprietà può essere concepita come appartenente in maniera necessaria alla medesima essenza. Allora poiché io affermo che l'esistenza è una qualità dell'essenza di Dio, essere perfettissimo, allora io potrò dire con certezza che Dio esiste. ( nuova prova a priori esistenza di Dio). 2.2.6 DUALISMO CARTESIANO La sostanza è “una cosa che esiste in tal modo da non aver bisogno che di se medesima per esistere”. In senso proprio, dunque, il termine compete solo a Dio. Si distinguono due tipi di sostanza: la sostanza pensante (res cogitans), priva di estensione e indivisibile, e la sostanza estesa (la materia)(res extensa), divisibile. La materia corporea ha due tipi di qualità. Alcune sono oggettive (grandezza, figura, movimento, durata); altre sono soggettive (colore, odore, sapore). Le qualità materiali sono tuttavia riconducibili al solo attributo fondamentale dell’estensione in lunghezza, larghezza e profondità, il che garantisce in questo modo l’unità della materia. La molteplicità di aspetti sotto cui si presenta la sostanza estesa dipende esclusivamente dalla sua divisione in parti e dal movimento. Non esistono spazi vuoti all’interno della materia: ciò che sembra vuoto è in realtà riempito da materia fluida (es. dall’aria). Ogni fenomeno naturale è quindi spiegato secondo un rigido meccanicismo. Mente e corpo sono 2 sostanze, e non due principi della medesima sostanza. Ne risulta una critica al concetto di anima di Aristotele : per Cartesio poichè le funzioni vitali e sensoriali dipendono dal corpo, la mente non va intesa come parte dell'anima, ma come quell'anima tutta che pensa. Cartesio procede con la prova dell'esistenza dei corpi. ESISTENZA CORPI: Successivamente Cartesio dimostra la prova dell'esistenza dei corpi a partire dal carattere di passività : sperimento al mio interno alcune idee in maniera passiva, come se fossero prodotte da alcuni corpi esterni a me. Ora, Dio sarebbe ingannatore se ponesse in me questa passività senza che i corpi esistano realmente. E dato che Dio non è ingannatore, i corpi esistono necessariamente. Esistono 2 tipi di corpi : il mio corpo, e i corpi degli altri. Nonostante l'essenza sia la medesima, vi è una differenza : mentre il mio corpo è indipendente dagli altri corpi, io sono dipendente dal mio corpo, sono unito ad esso. Inoltre, mente e corpo, non solo agiscono l'uno sull'altra, ma sono anche unite sostanzialmente ( unione sostanziale). La res cogitans e la res extensa due sostanzi indipendenti ed eterogenee, non si vede come l’una possa influire sull’altra. La soluzione di Cartesio è che al centro del cervello esiste un organo particolare – la ghiandola pineale – in cui l’anima trova la sua sede specifica; gli spiriti che provengono dagli organi sensoriali o dal corpo in generale giungono attraverso i nervi alla ghiandola pineale, e mettono in moto le parti del corpo senza l’intervento della volontà 2.3 LE PASSIONI Le passioni dell'anima si dividono in : 1- Passioni primitive, da cui derivano le altre passioni ( meraviglia, odio, tristezza, amore desiderio, gioia) 2- Passioni particolari o derivate. Tra le passioni, la più importante è la meraviglia, che è la passione che si produce quando ci imbattiamo per la prima volta in un oggetto, e, sorprendendoci, lo giudichiamo. La meraviglia è anche la prima passione dell'anima, perchè è la passione che ha luogo ancora prima di conoscere l'oggetto. La cura dalle passioni, è la morale. Secondo l'immagine dell'albero della filosofia, dalla fisica nascono altre discipline tra cui la medicina, la meccanica e la morale. 1. La meccanica è intesa come lo studio delle macchine e del suo funzionamento 2. La medicina è la finalità della meccanica. La conoscenza del meccanismo umano permette di poter agire con il medesimo meccanismo delle macchine. Tuttavia, siccome trovare un modo per allungare la vita è difficile da trovare, bisogna allora iniziare a non temere la morte. Si giunge così alla morale, una morale provvisoria non ancora perfetta come la vera morale. 3. La morale provvisoria ha tre regole : 1-obbedire alle leggi e ai costumi del paese. 2-essere più fermi possibile nelle proprie azioni. 3-cercare sempre di vincere i propri desideri e capire che non esiste niente di più nostro se non i nostri pensieri. Si potrà così essere certi che una volta aver fatto il nostro meglio nelle cose al di fuori di noi, al nostro interno nulla potrà risultarci come impossibile. 4. La morale perfetta rimane un progetto incompiuto. Cartesio parte con una distinzione tra sommo bene e beatitudine. Il sommo bene è il fine e scopo ultimo a cui devono tendere le azioni umane e coincide con la virtù. La beatitudine è la felicità, appagamento del nostro animo nel contenere il sommo bene. ( sintesi tra stoicismo ed epicureismo) Il motivo per il quale il sommo bene coincide con la virtù consiste nel fatto che la virtù è l'unico bene , e dipende dal nostro libero arbitrio, il quale però è l'unica cosa che ci da una ragione di stimarci perchè è esso che ci rende simili a Dio. Si introduce il concetto di generosità: unione di passione e virtù mediante la quale usiamo bene il nostro libero arbitrio. Il generoso dunque non solo sarà l'autore di grandi cose, ma anche l'unico a saper gestire le proprie passioni ( concetti che si fondano sull'io) Capitolo 10: Pascal 1. Il metodo scientifico e il principio di autorità. Pascal si interroga sulla natura e sulle diverse forme di sapere. In particolare, nella prefazione per un “Trattato sul vuoto”, Pascal distingue due tipi di discipline: ⦁ Le discipline storiche si fondano sulla memoria. Per conoscere queste discipline, infatti, bisogna conservare nella memoria ciò che hanno scritto gli altri autori così da raggiungere una conoscenza completa e definitiva. ⦁ Le discipline che si basano sui sensi e sul ragionamento. Al contrario, queste discipline, non si basano sulla memoria ma assicurano un progresso infinito, in quanto non si tratta di ricordare ciò che gli altri hanno scritto, ma di scoprire verità nuove. Tra queste discipline rientrano l'aritmetica, la geometria e soprattutto la fisica. 1.2 Antichi e moderni L'intera storia dell'umanità può essere dunque paragonata a quella di un solo individuo, che invecchiando impara sempre di più. Gli antichi, afferma Pascal, " sono una sorta di infanzia dell'umanità". L'uomo moderno ha aggiunto nuove conoscenze a quelle degli antichi, salendo così in un gradino più in alto rispetto al loro, per scoprire delle verità che gli antichi non conoscevano e talvolta contraddirli. Da ciò derivano due atteggiamenti opposti nei confronti del principio di autorità sulla base del tipo di disciplina adottata. ⦁ Nelle discipline storiche il rispetto per il PA è totale ⦁ Nelle scienze, che si basano sull'esperienza e sui sensi, l'autorità non ha nessun peso. Una dottrina o una tesi di un autore passato può essere smentita da nuove scoperte e nuove conoscenze. 1.3 Il metodo della fisica. "Le nuove esperienze sul vuoto" è un piccolo trattato diviso in due parti. La prima parte è costituita dalla descrizione degli esperimenti ideati da Pascal, mentre la seconda parte tratta dei risultati di questi esperimenti, dai quali si trae l'esistenza del vuoto. Per Pascal, le esperienze sono i soli principi della fisica. Da una parte, esse permettono di rifiutare le tesi precedenti, dall'altra, se le esperienze sono gli unici principi ammessi dalla fisica, le teorie che si 1- Se Dio esiste, ricompensa con una vita infinita e felice tutti coloro che rinunciano alla felicità terrestre e punisce con l'infelicità chi agisce nella maniera opposta. 2-Al contrario, se Dio non esiste, non vi è che altra felicità se non quella terrena, che termina con la morte. La decisione si basa su quella che viene definita speranza matematica, ovvero il prodotto del guadagno, moltiplicato per la probabilità. La scommessa è vantaggiosa se la speranza matematica è > alla somma che si punta. Riassumendo: la ragione non può dirci se Dio esiste o meno, ma ci impone di riconoscere che è più ragionevole, ossia più vantaggioso secondo la speranza matematica vivere come se Dio esistesse. 4. L'uomo. Tramite lo studio dell'uomo, la ragione giunge a comprendere le caratteristiche che la religione deve avere per risultare accettabile. Questo primo momento permette di trasformare l'odio degli uomini in un approccio rispettoso e benevolo verso la religione. Solo a questo punto si può dimostrare che la religione oltre ad essere amabile è anche vera. 4.1 Miseria dell'uomo L'uomo è un essere paradossale : è sia miseria che grandezza. La miseria è evidente nella vanità dell'uomo. La vanità consiste, secondo Pascal, in una sproporzione tra la realtà delle cose e il valore che diamo a quest'ultime. La ricerca della gloria ci pota a sovrastimare la vita immaginaria, tanto che gli uomini sono anche disposti a morire per raggiungerla. Un esempio è la vita politica, dove le leggi e le istituzioni sono mutevoli e non si basano su un principio universale di giustizia. Dall'altra parte, Pascal parla dei principi di errore: non vi è alcuna proporzione tra noi e le cose che vorremmo conoscere. Questa sproporzione vale: ⦁ Per il nostro corpo, perso tra l'infinità grande dell'universo e l'infinità piccola della materia. ⦁ per la nostra intelligenza, incapace di trovare una conclusione alla ricerca di principi primi e conclusioni ultime. ⦁ per i rapporti infiniti, che rende impossibile la conoscenza del tutto senza conoscere le singole parti. 4.2 Grandezza dell'uomo. Tuttavia, tutti quei giudizi vani, sono ciò che rendono l'uomo grande, tramite l'istinto, il cuore o il sentimento. Vi sono dunque dei caratteri di grandezza che contro-bilanciano quelli di miseria. Anzi la prima grandezza è quella di renderci conto della nostra miseria. 4.3 Il divertimento e la ricerca del sommo bene Il fine ultimo dell'uomo è la ricerca del sommo bene. L'uomo anche qui adotta una strategia opposta per giungere alla felicità. Da una parte si affida alle cose esteriori moltiplicando le distrazioni. Per questo motivo, fin dall'infanzia, l'uomo deve pensare ad altro, allontanando ogni distrazione. L'attività vale più della conclusione : non ci interessa la conclusione, ma solo , l'affanno stesso, che in qualche modo ci stordisce momentaneamente e non ci permette di pensare alla nostra condizione miserabile. Questa strategia tuttavia risulta molto fragile : basta una malattia che ci costringe a rimanere a letto pe riportare alla nostra mente tutti i pensieri negativi. 5. Fede e ragione La felicità è dentro o fuori di noi ? La filosofia è in grado di scegliere questo enigma, perchè esalta o solo la miseria o solo la grandezza dell'uomo. La religione cristiana, al contrario, è in grado di risaltare la duplice natura umana. La dottrina del peccato originario permette di infatti di riconoscere nella miseria e nella grandezza dell'uomo le conseguenze della storia. L'uomo è stato creato grande e dopo il peccato è diventato miserabile per questo aspira sempre alla grandezza, ma non può raggiungerla con le sue forze. La felicità non è nè fuori nè dentro di noi, ma in Dio, fuori e dentro di noi. La dottrina del peccato originario è un principio inaccettabile all'intelletto, ma senza questa dottrina noi non siamo in grado di comprendere noi stessi. Il cristianesimo è una religione saggia e folle e per questo la sottomissione e l'uso della ragione sono due esigenze inseparabili : la ragione non si deve sottomettere all'autorità della parola, ma rientra nel suo campo riconoscere che ci sono infinite verità. 5.2 la critica delle prove metafisiche di Dio. La dottrina cristiana, secondo Pascal, permette di spiegare perchè l'uomo è in grado di conoscere Dio e al tempo stesso di non riuscire a raggiungerlo con le proprie forze e la propria ragione: Gesù è il mediatore tra Dio e gli uomini che si ritengono degni e indegni allo stesso tempo di Dio. 5.3 Dio sensibile al cuore. Le prove dell'esistenza di Dio possono convincere la ragione, ma risultano inutili se non convincono il cuore. Il termine cuore, per Pascal, indica la sede della volontà più profonda e dell'amore che lo dirige verso la felicità. ⦁ I ragionamenti non bastano a convincere il nostro spirito, vittima del corpo. Occorre la forza dell'abitudine per trasformare le verità conosciute in evidenze immediate e in sentimenti e ripudiare le pulsioni viziose. ⦁ Le prove che si presentano alla ragione non possono condurre il cuore alla conoscenza di Dio. Occorre distinguere 3 ordini di cose : ogni ordine prevede un suo regime di evidenze specifiche, invisibili negli altri ordini ( corpo, spirito, carità). 1- Le grandezze carnali non hanno alcun valore per quelli che sanno vedere le grandezze spirituali, e da tutti i corpi e tutti gli spiriti non si può trarre una vera carità. L'eterogeneità degli ordini permette al contempo di pensare la loro autonomia e la loro limitazione. Questo consente a Pascal di salvaguardare l'evidenza delle certezze razionali affermando al contempo che esse sono valide unicamente nel loro ordine, quello degli spiriti, mentre appaiono certe ma inutili, cioè prive di senso, nell'ordine della carità e agli occhi della fede resa possibile dalla grazia. Capitolo 11 : Gli occasionalisti e Malebranche 1. Occasionalisti Uno degli aspetti della filosofia cartesiana a cui i successori di Cartesio guardano è quello del rapporto anima-corpo. Se l'anima e corpo sono sostanze realmente distinte, come è possibile la loro interazione? Cartesio per primo aveva tentato di dare una soluzione, attraverso l'unione sostanziale, soluzione che però non chiuderà la questione. Il tentativo di trovare una vera soluzione vede come protagonisti alcuni filosofi, detti occasionalisti, per il fatto che, ritenendo possibile che l'anima e il corpo agiscano l'uno sull'altro, vedono il frutto della loro interazione altrove, ovvero in Dio. Gli occasionalisti non trattano solo il tema anima-corpo, ma anche il rapporto corpo-corpo. 1-Arnold Geulinex. La formulazione più completa si trova negli scritti di Arnold Geulinex. Il principio di fondo della sua dottrina è che ogni agente, per poter agire, deve essere cosciente del modo in cui si produce la sua azione, in caso contrario non può agire. L'uomo perde così ogni potere causale, perchè non è consapevole di come l'azione del suo corpo possa causare una sensazione della sua anima, non comprende il movimento degli altri corpi nè il modo in cui la sua volontà possa determinare il movimento di un corpo. Dio, essendo l'unico ente consapevole del suo movimento, non può essere che lui la causa di tutto. Le altre sono solo cause occasionali, cioè le occasioni attraverso le quali Dio muove gli altri corpi. E' Dio che produce nell'anima la sensazione in occasione di un mutamento che avviene nel corpo e che produce il movimento corporeo in occasione di una volizione dell'anima. 2-Louis De la Forge Dopo aver letto un trattato di fisiologia, La Forge afferma che l'unione tra mente-corpo consiste nella loro reciproca dipendenza, cioè nell'azione della mente sul corpo e viceversa. La forge individua due tipi di cause: ⦁ Causa univoca, in cui l'effetto assomiglia alla causa ⦁ Causa equivoca, in cui non vi è rapporto di somiglianza. Ora, procedere secondo la causa univoca, sarebbe uno sbaglio. Questo perchè la mente non può pretendere che il corpo riesca a pensare, così come il corpo non può pretendere che la mente si muova. Bisogna dunque procedere secondo la causa equivoca dove la mente attraverso il pensiero, muove il corpo, e questo muovendosi fornisce l'occasione alla mente di produrre i pensieri. Causa efficiente di questa reciproca dipendenza è Dio, ovvero colui che governa tutte le cose. La Forge fa anche notare che questo meccanismo tra mente e corpo, riguarda anche il modo in cui un corpo riesce a muovere un altro corpo. La natura ci ha abituato a credere che un ente muove un altro ente, ma non ci ha mai dato la spiegazione di come questo movimento si trasferisca da un corpo all'altro. Che si tratti del rapporto anima-corpo o corpo-corpo la causa è sempre Dio, ovvero colui che ha creato la legge del movimento e della natura dei corpi. 3-Geuraud De Cordemoy. ( Il discernimento del corpo e dell'anima). Egli sceglie di proseguire in modo geometrico, procedendo attraverso una serie di serie di principi, assiomi e conclusioni. Il filosofo stabilisce che la materia non abbia in se il movimento : essa potrebbe perdere il movimento senza cessare di essere ciò che è. Passa poi a dimostrare come, sia 2.3 Visione in Dio e visione di Dio La teoria della visione di Dio è la teoria attraverso la quale si afferma che la conoscenza dell'uomo, quando è vera, non è diversa da quella divina, perchè la mente contempla le stesse idee della divinità. Tuttavia ciò non significa vedere Dio: la mente vede solo il modo in cui Dio conosce le cose, non Dio stesso. 2.6 I quattro modi della conoscenza Malebranche stabilisce 4 modi di conoscere: 1. In se stessi. Nella prima maniera conosciamo Dio. La mente umana conosce Dio solo per visione diretta, e non attraverso l'idea. Questo accade perchè Dio è capace di illuminare la nostra mente, sia perchè è impensabile che un ente perfetto come Dio possa essere rappresentato da un qualcosa di imperfetto come l'idea. 2. attraverso le loro idee. Nella seconda maniera conosciamo i corpi. Dei corpi noi conosciamo solo l'essenza, ma non la loro esistenza. Crediamo che i corpi esistano perchè sci fidiamo dei sensi, ovvero perchè vediamo e tocchiamo le cose materiali. Tuttavia, dato che i sensi ci sono stati dati non per conoscere, ma per sopravvivere, possiamo trarre la conoscenza del mondo solo attraverso il messaggio biblico, che ci assicura la creazione e l'esistenza del mondo. 3. per coscienza o per sentimento interiore. Nella terza maniera l'anima conosce se stessa. Questa è una forma di conoscenza imperfetta, perchè ci permette di accedere solo alle sensazioni dell'anima e non alla sua essenza. Sappiamo infatti che l'anima è capace di provare dolore, solo perchè abbiamo sperimentato quel dolore. Se non lo avessimo fatto, non saremmo consapevoli di questa sensazione dell'anima. Se vedessimo l'anima di Dio, potremmo vedere tutte le sue proprietà. Nei corpi invece, possiamo conoscere solo la loro esistenza, ma non la loro essenza. 4. per congettura. Nella quarta maniera, possiamo conoscere le anime degli altri uomini. Ipotizziamo che gli altri ci somiglino, sulla base di quello che sentiamo accadere in noi ( sensazione, passione ecc.). Questa è senza dubbio la forma di conoscenza meno certa, 2.7 L'occasionalismo radicale Con Malebranche il problema dell'occasionalismo, cioè spiegare come interagiscono sostanze eterogenee viene allargato al problema di voler chiarire come un qualunque ente creato, quindi finito, agisca su un altro ente creato. Dato che ogni azione che produce un cambiamento è considerata una nuova creazione, potere che spetta solo a Dio, bisogna ammettere che nessun ente finito goda di un potere causale. Qualunque sia il rapporto tra i vari enti sono solo l'occasione con cui si svolge una azione divina. Dio è l'unica causa efficace, cioè l'unica causa vera di tutti questi fenomeni. ---> Dio è il solo e unico dio + si elimina distinzione qualità reali e forme sostanziali dell'Aristotelismo. 2.8 Ragione e fede La vera filosofia e la vera religione viaggiano l'uno accanto all'altra, per raggiungere l'obiettivo di dimostrare che accedere alla ragione divina permette di mostrare ciò che Dio ha voluto o non ha voluto fare. Capitolo 13 : Baruch Spinoza 1.Deus sive natura La tesi centrale del pensiero di Spinoza la ritroviamo all'interno del celebre scritto deus sive natura, in cui Spinoza indica che tutte le cose esistenti costituiscono l'Uno-tutto. Quest'ultimo non va inteso come la somma di due enti distinti, ma come una sola ed unica entità perfetta, definita indifferentemente "Natura o Dio". Si tratta di una forma di panteismo, secondo il quale tutte le cose sono in Dio, ma non si confondono con Dio. IL PENSIERO SPINOZIANO SISTEMATIZZATO NELL'ETICA: ⦁ prima parte = concezione di Dio o della natura ⦁ seconda parte = concezione della natura umana, ovvero del corpo e della mente ⦁ terza parte =origine e natura degli affetti ⦁ quarta parte = schiavitù umana, ovvero la forza degli affetti ⦁ quinta parte = la liberazione dalla schiavitù come via per raggiungere la Beatitudine e la libertà. PRIMA PARTE: 1.1 Sostanza (Dio) Spinoza da 8 definizioni della sostanza (qui riportati 6) : ⦁ La prima riguarda la “causa sui “ definita come ciò la cui essenza implica l'esistenza, ossia ciò la cui natura non si può concepire come se non esistente. ⦁ La seconda sul “ finito nel suo genere “ precisa che ogni cosa può essere delimitata da un'altra cosa della medesima natura : un corpo da un altro corpo maggiore e un pensiero da un altro pensiero maggiore. ⦁ La terza definisce la sostanza che come “ ciò che è in sè ed è compito per sé”, ovvero ciò il cui concetto non ha bisogno di un altro concetto di un'altra cosa. Da queste definizioni sono ricavate le 4 proprietà della sostanza: 1. Increata, perchè per esistere non ha bisogno di altro 2. eterna, in quanto increata 3. infinita, perchè se fosse finita non esisterebbe in sè, ma contenuta in altro 4. unica nel suo genere, i quanto è infinita. TEORIA UNICITA' DELLA SOSTANZA: La dimostrazione che la sostanza è unica si basa sulla definizione tradizionale di Dio come ente perfetto, in contraddizione con la concezione di Dio come pensante infinito. Per essere perfetto, Dio deve contenere in sè non solo un unico grado di perfezione ( pensiero), ma tutte le perfezioni esistenti. Dio è dunque una sostanza a cui appartengono una infinità di attributi ( pensieri o essenze). Ogni attributo ( essenza) è in sè stesso infinito, ossia è tutta intera in Dio. L'essere perfetto, e dunque Dio, è una sostanza assolutamente infinita ed è la sola sostanza esistente in quanto comprende tutte le essenze. 1.2 Attributi (4) L'attributo è l'essenza della sostanza. L'attributo è identico alla sostanza : è infinito, eterno, immutabile esattamente come la sostanza. Identificata la sostanza con Dio, Spinoza afferma che tutti gli attributi si trova compiutamente in Dio, al quale appartengono tutte le perfezioni in tutti i suoi generi e tutte le essenze e al quale nulla può mancare per definizione. L'uomo conosce solo due attributi, il pensiero e l'estensione, che sono infiniti e non hanno nulla in comune tra loro. PENSIERO = esprime la perfezione del pensiero di Dio ( i cui modi sono le idee) ESTENZIONE= esprime la perfezione dell'estensione di Dio ( i cui modi sono i corpi) La medesima sostanza, e dunque Dio, è allo stesso tempo tutta estesa e tutta pensante. 1.3 Modi (5) Modi sono ciò che è in altro, per mezzo del quale è anche concepito, modificazioni, affetti della sostanza senza la quale non potrebbero essere concepiti. Se gli attributi sono proprietà essenziali della sostanza, i modi sono modificazioni accidentali della sostanza degli attributi della sostanza ( nel senso che possono essere pensati dall'uomo solo in riferimento all'esenzione e al pensiero). In altre parole i modi sono le manifestazioni particolari degli attributi, e si identificano con i singoli corpi, come modificazione dell'esenzione, e con le idee, come modificazioni del pensiero. In questo senso i modi non hanno sostanzialità in quanto esistono e possono essere concepiti sono in virtù degli attributi della sostanza. Esistono due tipi di modi: ⦁ I modi infiniti seguono direttamente o indirettamente dagli attributi , nel senso che sono proprietà strutturali degli attributi stessi. Ad esempio, dato l'infinito attributo dell'esenzione ne segue sempre il movimento o la quiete, cos' dato l'attributo del pensiero segue sempre l'intelletto e volontà- ⦁ I modi finiti sono invece esseri particolari esistenti nel tempo, ovvero quel corpo o quella idea. 1.4 Natura naturans e natura naturata (6) Siamo giunti così alla senza definizione dell'anima nella quale la sostanza viene identificata con Dio. Di Dio si può dire che: 1. Essendo ciò che si concepisce da sè attraverso gli attributi è natura naturans, cioè Dio e gli attributi visti come causa 2. In quanto è tutto ciò che segue gli attributi attraverso i modi, è natura naturata, cioè l'insieme dei modi visti come effetto Da ciò deriva che Dio è causa in 5 sensi: 2-ATTIVI (agiamo) quando segue dalla nostra natura qualcosa in noi o fuori noi di cui siamo causa adeguata, ossia causa il cui effetto può essere percepito chiaramente distintamente. La mente quando ha idee adeguate è necessariamente attiva in certe cose. 3.1 Affetti primitivi e conatus Quello che noi chiamiamo emozioni o passioni, Spinoza le definisce affetti, ovvero le affezioni del corpo, dalle quali la potenza d'agire del corpo stesso è accresciuta o diminuita, assecondata o impedita, e insieme nelle idee di queste affezioni. -AZIONI : affetti di cui siamo causa adeguata -PASSIONI : affetti di cui siamo causa inadeguata Ogni ente, tra cui l'uomo, tende all'autoconservazione. Nell'uomo la tendenza a mantenere integro se stesso si trasforma in una resistenza a ciò che minaccia di distruggerlo. Questo sforzo ( ovvero il conatus) è l'essenza di ogni cosa, e prende il nome di volontà quando è riferito alla mente e di appetito invece quando è riferito al corpo. La consapevolezza di questo conatus si chiama cupidità, la quale spiega come mai l'uomo desidera una cosa, la brama, perchè la ritiene buona, ma allo stesso tempo, definisce un qualcosa come buona solo per ottenerla. Oltre alla cupidità, Spinoza individua altri due effetti primari : -Gioia, che consiste nel passaggio da una perfezione ad una più grande. -Tristezza, passaggio che consiste da una perfezione maggiore ad una minore. Gli affetti sono eventi naturali. Come tali, non esistono affetti sbagliati o giusti, sono solo manifestazioni necessarie dell'uomo in quanto parte della natura. 3.2 Schiavitù dell'uomo L'uomo è sempre necessariamente soggetto alle passioni e segue l'ordine comune della natura e vi obbedisce e per quanto lo esige la natura delle cose, vi si adatta. Proprio la natura non ha alcun fine, in natura non esiste il bene, il male, il giusto e l'ingiusto, in quanto questi termini non sono altro che creazioni dell'uomo. L'uomo li concepisce confrontando oggetti dello stesso genere e li usa come modelli per giudicare delle perfezioni o imperfezioni. Si può parlare di: ⦁ Il bene è ciò che sappiamo con certezza che ci è utile, cioè ciò che ci permette di perseverare nell'essere. ⦁ il male è ciò che sappiamo con certezza che ci impedisce di appropriarci di un certo bene ⦁ la perfezione è l'essenza di una cosa che opera in un certo modo senza tener conto della sua durata. E' dunque in quanto la natura di una cosa è aumentata o diminuita che sarà detta più o meno perfetta. ⦁ Il fine è l'appetito grazie al quale tendiamo verso ciò che sembra aiutarci a perseverare nell'essere. ⦁ la virtù è l'essenza dell'uomo e consiste nell'agire, vivere e conservare il proprio essere secondo le leggi della natura. Da una parte l'uomo è passivo, dall'altra grazie alla ragione è attivo e agisce secondo virtù. La vita della regola razionale segue due precetti: 1. ciò che aiuta la conoscenza è un bene, ciò che la ostacola è un male 2. Gli uomini sono utili gli uni agli altri, avendo tutti la stessa natura. Agire secondo la propria natura significa seguire la ragione, e non le passioni. Queste ultime infatti, ci obbligano ad agire per causa di forze esterne, e non per causa della natura. Tuttavia è raro trovare un uomo che agisce solo mediante la ragione. La vera e propria soluzione si ha con lo stato, che impone agli uomini di sottostare ad una legge comune e che li porta alla concordia senza la necessità della ragione. Questo significa che lo stato e la concordia sono gli unici mezzi con cui ciascuno può sviluppare il suo potere di comprendere. La concordia di Spinoza è fondamentale perchè per l'uomo non può esserci salvezza fuori dallo stato. 3.3 Il potere dell'intelletto e la libertà umana. Si arriva a questo punto alla via che conduce alla libertà, ossia alla maniera nella quale la ragione governa gli affetti e si realizzano la libertà della mente e la beatitudine. La mente conosce gli affetti in modo adeguato : una affetto cessa di essere una passione appena ci formiamo di esso una idea chiara e distinta. Chi conosce in modo chiaro sè stesso e gli affetti, ama Dio e li conosce sempre più, perché riversa questi affetti nell'idea di Dio. : la potenza della mente, ovvero la sua capacità di agire, è definita dalla conoscenza adeguata, mentre l'impotenza è determinata dalla conoscenza inadeguata. Patisce di più la mente che è composta da idee inadeguate e agisce di più quella che è composta da idee adeguate --> riferimento terzo momento conoscenza. La mente va poi considerata nella sua eternità : tutto ciò che la mente comprende sotto forma di eternità, fa riferimento non all'esistenza del corpo, ma alla sua essenza. Con la morte del corpo andranno perdute immaginazione e memoria, ma di essa rimane qualcosa che è eterno, ovvero l'intelletto. Di conseguenza, se la mente ha questa struttura, la morte sembra insignificante: la morte è tanto meno nociva quanto maggiore è la conoscenza chiara e distinta della mente e di conseguenza quanto più la mente ama Dio. L'eternità fa riferimento alla parte attiva della mente : quanto più una cosa ha perfezione, tanto più è attiva, e dunque più perfetta. Eternità però non significa immortalità. L'immortalità consiste solo nel credere che dopo la morte del corpo, rimanga il ricordo del corpo stesso, cosa che per Spinoza è inadeguata. Alla conoscenza eterna, fa riferimento solo e unicamente l'amore intellettuale di Dio. 4.Politica Spinoza nel suo scritto trattato teologico politico esplica la sua concezione di libertà o libertà di filosofare. Lo scritto si divide in due parti: 1. Nella prima parte viene messo in atto un metodo per interpretare la scrittura. La conoscenza della scrittura va ricercata nella scrittura stessa, così come la natura va ricercata all'interno della natura. In questo modo, la scrittura si pone come una guida attraverso la quale gli uomini raggiungono la salvezza e la beatitudine. La fede dunque non va giudicata in rapporto alla verità e all'errore, ma in rapporto all'obbedienza e alla disobbedienza. Spinoza inoltre afferma che la scrittura non deve mantenere un rapporto diretto con la ragione, in quanto ognuna si occupa del proprio campo. La filosofia e la religione sono diverse non solo per il loro fondamento, ma anche nel loro scopo : scopo della filosofia è la verità, mentre quello della religione è l'obbedienza. Fondamento della filosofia è la sola natura, mentre quello della religione sono i racconti e la lingua. 2. La seconda parte afferma che il diritto naturale consiste nelle regole che la natura impone a ciascun individuo. Il diritto naturale non è determinato dalla ragione, ma dalla cupidigia e dalla forza. Ciascun individuo a perciò ciascun diritto di vivere nello stato. E' per vivere in maniera più sicura che i cittadini si riuniscono nel patto il patto ha forza solo in termini di utilità, se questa manca il patto viene annullato. Se venisse sciolto si arriverebbe ad un pieno potere del sovrano il quale costringerebbe i cittadini con la forza e con la pena capitale a rispettare il patto. (Lo stato che nasce dal comune accordo tra gli uomini ha nei confronti dei singoli tanto diritto quant'e la sua potenza. Il diritto dello stato limita quindi il potere dell'individuo, ma non annulla il suo potere naturale : sia nello stato di natura che nello stato civile l'uomo agisce secondo le leggi di natura e mira al proprio utile, sicché nella medesima condizione è spinto ad agire per timore o paura. L'unica differenza è che nello stato civile tutti temono le stesse cose perché c'e' una sola garanzia di sicurezza e un solo modo di vivere ) L'unione di tutti gli uomini porta alla democrazia, il governo più conforme alla libertà naturale di ciascuno. Uno stato non può consentire all'uomo solo di sopravvivere, ma anche di sviluppare una conoscenza razionale. Con i patto un individuo rinuncia al suo diritto di agire, ma completa libertà di parola. Di conseguenza nessuno può, senza mettere a rischio il sovrano, agire contro il suo decreto , ma ognuno è in grado di dissentire e di giudicarlo, a patto che ciò si basi su un ragionamento razionale e non sull'odio. Spinoza inoltre afferma che il diritto allo stato non è assoluto e illimitato. Come ogni altra cosa naturale, anche lo stato non può esistere e conservarsi se non si conforma alle leggi della propria natura. Il limite della sua azione è perciò determinato da quelle leggi senza le quali cessa di essere stato Quanto alla religione, il diritto delle cose sacre appartiene al sovrano. La religione infatti acquista la forza del diritto solo grazie allo stato. Capitolo 14 : Gottfried Wilhelm Leibniz 1) La sostanza Che cosa sono le monadi? L'aspetto più caratteristico della filosofia di L. è la tesi secondo la quale il mondo è interamente fatto di monadi. 1. Le monadi (sostanza) sono le componenti elementari di tutto ciò che esiste. La loro caratteristica fondamentale è quella di essere delle sostanze semplici, vale a dire senza parti : L. afferma che se esistono cose composte , cioè aventi parti distinguibili l'una dall'altra, allora devono esistere anche le cose semplici, dalla cui aggregazione nascono le cose composte. Per questo motivo le monadi sono chiamate anche atomi della natura o atomi della sostanza, per sottolineare che non vanno concepiti come atomi della materia. 2. In quanto prime di parti, a differenza degli atomi della materia, sono anche prive di estensione e di figura. 3. Ogni individuo ha una conoscenza diretta e immediata con un tipo di monade, la nostra mente, la quale ci offre un'idea intuitiva del genere di entità a cui L. fa riferimento quando parla di monade. 2.2 Pensiero, linguaggio e logica Un errore molto diffuso è quando pensiamo una cosa, e non ci rappresentiamo la cosa stessa, bensì un simbolo, tipicamente una parola. L.chiama questa modalità pensiero cieco o simbolo. Questa modalità ci porta a credere che ad ogni simbolo corrisponda una cosa reale o possibile. Vi sono, in realtà, espressioni che richiamano cose impossibili o inesistenti, cadendo così in contrapposizione. Esse corrispondono non ad un'idea vera, ma solo ad un'idea falsa. L. fin dalla gioventù ha progettato la costruzione di un alfabeto del pensiero umano, ovvero un catalogo di nozioni semplici, con cui poi andare a costruire tutti i nostri pensieri. Questo alfabeto è solo il primo passo verso una progetto molto più grande, la caratteristica universale, ossia un sistema di simboli capaci di rappresentare in maniera fedele il sistema dei concetti. Il progetto prevede che, una volta individuate le nozioni primitive, si introducano alcuni simboli primitivi che permettano di esprimerle e si stabiliscano delle regole per la combinazione dei simboli. A questo punto le operazioni dell'intelletto potranno essere sostituite da operazioni sui simboli così come le operazioni matematiche vengono fatte da una calcolatrice. In sintesi, si riduce il ragionamento ad un calcolo matematico. 3.Il mondo fisico 3.1 il corpo come fenomeno. La nostra anima percepisce più chiaramente i mutamenti che avvengono nel suo corpo, ma, poiché nell'universo ogni movimento si propaga in ogni distanza, il nostro corpo percepisce anche i piccoli mutamenti di tutti gli altri corpi, che vengono anch'essi percepiti dall'anima. Poiché l'attenzione che l'anima più rivolgere alle percezioni è limitata, le piccole percezioni restano del tutto oscure, oppure sommandosi tra loro danno vita a percezioni confuse. Ma che cosa sono i corpi? La teoria del corpo è una delle più complesse del sistema leibniziano. Da una parte, infatti, la tesi secondo cui il mondo è fatto di monadi porta verso un'ontologia idealistica dove esistono solo le monadi con le loro percezioni, mentre i corpi sono dei fenomeni. L. infatti insiste sul carattere fenomenico dei corpi\oggetti materiali. Egli nega l'impossibilità di tracciare una distinzione tra le proprietà geometriche dei corpi e le loro qualità sensibili ( colore, calore ecc.), poiché ritiene che anche le nozioni di grandezza, forma ecc. non siano ben distinte come affermano i cartesiani, ma abbiano al loro interno un qualcosa di immaginario. Si passa dunque a considerare il 3.2 corpo come sostanza (composta) La tesi secondo cui ogni monade costituisce insieme al suo corpo organico un essere vivente, al punto che non esistono anime separate dai corpi, invita a riconoscere a questi corpi una forma di sostanzialità. In effetti L. parla anche di sostanza composta, per denigrare in generale un essere vivente. A differenza della maniera inorganica, l'essere vivente possiede una forma sostanziale, o anima, che conferisce loro una unità, ovvero l'io. Tuttavia, non dobbiamo pensare che L. pensa al mondo come composto in parte da esseri viventi e in parte da esseri non viventi, anzi l'organismo è ovunque, anche dentro una massa come un blocco di marmo. La materia, essendo predisposta da Dio, è organica ed esiste solo come corpo di una monade, in quanto senza di essa è ridotta a fenomeno. ---> il mondo non è fatto solo di monadi, ma anche dei corpi delle monadi, fatto a sua volta di monadi con i relativi corpi. Ogni sostanza composta ha al suo centro una monade dominante attorniata da una massa composta da un'infinità di monadi, che costituiscono il corpo proprio di questa monade centrale. Questa struttura si manifesta nei corpi viventi o macchine naturali. Sono chiamate macchine perché il loro funzionamento è regolato sia dalle leggi naturali, sia dalle singole parti che compongono il tutto. L. fa una distinzione tra le macchine naturali e quelle artificiali. Le macchine naturali permettono di essere scomposte in parti più semplici all'infinito, mentre le macchine artificiali presentano alla fine di questa scomposizione un'altra macchina. Questa differenza non vuole far altro che sottolineare le capacità infinite del divino contro le capacità limitate dell'uomo. Il vivente dunque, non è altro che un artefatto divino. 3.3 Forza, potere causale e armonia prestabilita. L'essenza dei corpi non può ridursi ad una all'estensione geometrica di Cartesio, che in quanto uniforme infinitamente divisibile non offre nessun principio di individuazione ( Si tratta del fondamento dell'identità e della singolarità di un ente, ossia ciò che caratterizza univocamente un particolare individuo distinguendolo da tutti gli altri individui e più precisamente da tutti gli altri membri della stessa specie ). 1. Infatti, il movimento dei corpi non è riconducibile alla geometria : le leggi fisiche mostrano che nei corpi agiscono forze motrici, come ad esempio la forza primitiva delle monadi. L'estensione stessa risulta nasce dall'impenetrabilità dei corpi, la quale a sua volta è causata da una forza passiva essenziale alla materia tanto quanto la forza attiva è essenziale alla sostanza semplice. Non dobbiamo però considerare la forza attiva come un potere causale che agisce sulle sostanze e sul mondo, in quanto come già affermato le sostanze semplici sono chiuse, così come allo stesso momento anche nel mondo fisico ci sono queste chiusure. Pur essendo descrivibili in termini meccanicistici, due corpi che si scontrano non si trasferiscono movimento, ma in realtà questo movimento deriva dalla loro stessa forza, che agisce in base alle circostanze. L'esercizio della forza sembra essere quindi un'attività interna alla sostanza che ha come unico effetto il mutamento dello stato interno della sostanza stessa. 2. Inoltre L.nega l'interazione anima-corpo, sia perchè inconcepibile, sia perchè viola il principio di conservazione : nel mondo fisico, sia la quantità di forza sia la direzione totale dei movimenti restano sempre costanti. Per spiegare il controllo che l'anima ha sui movimenti del corpo e l'influenza dell'anima sul corpo, L. elabora la tesi dell'armonia prestabilita. E' necessario distinguere tue tipi di versione: 1- Da una parte vi è un'armonia globale che coinvolge tutte le sostanze esistenti, in quanto tutte riflettono le stesso mondo, dunque l'una riflette l'altra senza interagire. 2- Dall'altra ogni sostanza semplice, e in part. ogni anima, mantiene una corrispondenza più stretta con altre sostanze che formano il suo corpo organico ( relazione tra anima e corpo ). In molti testi, questo scenario sembra dare vita ad un parallelismo psicofisico in cui l'anima influenza il corpo e il corpo influenza l'anima : in questo modo le percezioni dell'anima sembrano causate da sollecitazioni sensoriali e i movimenti del corpo da volizioni mentali. In realtà la mente segue delle cause finali, mentre il corpo segue le leggi della causalità meccanica. La ragione per cui anima e corpo sembrano seguire una via parallela, e quindi trovarsi in uno stato di armonia, è che Dio ha creato anime e corpi tali da corrispondersi senza interagire, come due orologi sincronizzati, seguendo piani prestabiliti da tempo. 4.Dio e il possibile 4.1 Libertà e necessità A seguito della teoria sull'armonia prestabilita, L. fu accusato di compromettere i fondamenti della morale per 3 ragioni : 1. Eliminare la casualità psicofisica porterebbe a negare la responsabilità dell'anima per le azioni compiute dal corpo, con la conseguenza di far ricadere su Dio la colpa delle azioni malvagie 2. inserire la volizione nella catena causale delle modificazioni mentali risulta contro il libero arbitrio, ovvero la facoltà di dare inizio ad una nuova serie causale 3. Estendere la casualità meccanica all'intero universo, e dunque anche ai corpi viventi, implica la negazione della contingenza. In risposta agli ultimi due punti, L. afferma che la volontà sceglie sempre in base alle ragioni che l'intelletto le presenta e la sua libertà consiste proprio nello scegliere in modo spontaneo le sue opzioni. Il problema resta tuttavia in relazione alla teoria della verità e al concetto di sostanza individuale : le proposizioni di un individuo sono vere perchè al suo interno contengono tutte le proprietà che sono incuse nel concetto, allora tutte le prop. vere risultano necessariamente vere, come se un individuo non potesse compiere di diverso dalle sue proprietà. L. risponde con due affermazioni: 1- In alcuni scritti propone di distinguere le prop. vere che possono essere dimostrate con un numero finito di passi, e quelle la cui dimostrazione procede all'infinito. Le prime sono necessarie, le seconde contingenti, poichè la loro ragione dipende da un numero infinito di ragionamenti. 2- Difende la contingenza affermando che è possibile tutto ciò che non implica contraddizione. Nelle opere di finzione, abbiamo l'idea che alcune situazioni non possano realizzarsi, ma secondo L. questi eventi alternativi costituiscono altri mondi possibili, dove gli individui si trovano in una relazione di compossibilità, ovvero che fanno parte tutti dello stesso mondo ( come i personaggi che fanno parte dello stesso film). Se l'esistente non esaurisce il possibile e se vi sono delle soluzioni alternative per il corso degli eventi, allora tali eventi non sono necessari , perchè per necessario si intende un qualcosa il cui opposto è impossibile. Quindi ciò che accade, accade contingente, nel senso che altre cose possono accadere. Perchè esiste allora questo mondo? 4.2 Ragion sufficiente e mondi possibili La risposta alla domanda precedente si ritrova all'interno del Principio di ragion sufficiente secondo il quale nessun fatto può risultare vero o esistente, nessuna proposizione veridica, senza che vi sia una ragione sufficiente per cui sia così e non altrimenti. Data una proposizione vera, ad esempio, si deve spiegare perchè è vera. Mentre le proposizioni necessarie ritrovano la loro ragione sufficiente nel principio di non contraddizione, le prop, contingenti devono dipendere da qualcos'altro. Quando noi spieghiamo un vento, facciamo riferimento alle sue cause, procedendo indietro fino a voler raggiungere invano un principio primo. La causa prima deve essere cercata all'interno dell'oggetto, e si configura con Dio, che è causa prima e creatore di ogni cosa. Il principio a cui si fa riferimento nelle prop. contingenti si chiama principio dell'ottimo. Esso afferma che tra diverse possibilità alternative la scelta cade sempre sull'alternativa che appare migliore, e vale sia per l'uomo che per la divinità. Dio infatti, per L, sceglie sempre il meglio, ovvero ciò che ha al suo interno la perfezione. Le verità contingenti trovano dunque la loro soluzione nella volontà divina. Per illustrare la scelta divina, si fa riferimento alla piramide degli infiniti mondi, al cui vertice vi è il mondo esistente. Infatti tra tutti i possibili mondi deve esserci uno migliore degli altri, altrimenti dio non avrebbe una ragione sufficiente per sceglierlo.Per l'imperfezione non vi è limite, dato che si trovano dei mondi sempre peggiori a causa dell'assenza di una base della piramide che procede all'infinito. Negli altri mondi, invece, si trovano tutte gli individui, eventi ecc. che Dio non ha scelto, comprese le realtà contrattuali. A questo punto sorge il dubbio se il principio di RS tolga libertà a Dio. 2. I nomi di idee complesse possono causare confusione a causa elle numerose idee semplici che le compongono e della mancanza di un modello in natura con cui confrontare il significato. 3. I nomi delle sostanze possono essere incerti, perchè noi non conosciamo l'essenza reale delle cose. 4. Le negligenze degli uomini alimentano oscurità e dispute. E' dunque necessario l'uso di definizioni precise al fine di eliminare l'impiego di parole oscure. LIBRO 4 , ultimo La conoscenza. Il quarto libro del Saggio è dedicato alla conoscenza, che L. identifica nella percezione della discordanza o concordanza tra le idee presenti nell'intelletto. La percezione può essere di 4 tipi: 1. Percezione dell'identità o diversità, come nel caso in cui la mente confronta le idee del bianco e del nero 2. Percezione di una relazione, come nell'uguaglianza tra due figure 3. Percezione di una coesistenza, come una sostanza con una sua proprietà 4. Percezione dell'esistenza reale, come nell'idea di Dio. Locke inoltre distingue 3 tipi di conoscenza : ⦁ La conoscenza intuitiva, che si ha quanto la percezione tra accordo e disaccordo in maniera immediata. Questa conoscenza abbraccia però solo una parte del sapere ⦁ La conoscenza dimostrativa, dove la percezione si ha attraverso una serie più o meno lunga di idee intermedie . Queste idee sono chiamate prove. La certezza diminuisce con l'aumentare delle idee intermedie necessarie ai fini del ragionamento. ⦁ La conoscenza probabile, che non è una conoscenza certa, e si ha quando la percezione dipende da connessioni non intuitive. Questa è la conoscenza maggiormente usata a causa dei limiti dell'intelletto. RIASSUNTO: Ogni nostra conoscenza dipende dalla sensazione, ovvero dai sensi. La sensazione ci fornisce le idee solo di ciò che è presente nei sensi. Ne consegue che le nostre idee non riescono a ricoprire la totalità del reale. Noi possiamo avere una conoscenza certa solo dei nostri doveri morali e dell'esistenza di Dio : Dei doveri morali perchè sono creati dall'intelletto e di Dio perchè l'esistenza di un ente supremo e perfetto è evidenziato e reso evidente dai suoi effetti. Obiettivo dell'intelletto è quello di conoscere Dio e il bene perchè sono le uniche due vie in cui non può sbagliare. Anzi, aggiunge Locke, l'imperfezione dell'intelletto è voluta proprio da Dio al fine di indirizzarci su questa strada. 2. Religione, tolleranza, morale Il Dio di Locke, è un Dio che non si preoccupa del modo in cui gli uomini manifestano il loro culto, un Dio la cui bontà non aderisce a pene eterne e all'eredità di una colpa originaria. Il rifiuto della dottrina della dannazione eterna è espressa nel " ragionevolezza del cristianesimo" (1695) : L'opera insiste sulla capacità del messaggio evangelico di persuadere anche le menti più semplici con la forza del suo insegnamento ( ovvero l'affermazione del valore salvifico in un messia che al credente chiede solo una vita buona). Morale e religione si fondono, perchè è con la pratica della virtù che l'uomo manifesta la sua fede e obbedienza a Dio, ottenendo la vita eterna. 2.2La difesa della tolleranza Il rifiuto della persecuzione religiosa e il tentativo di L. di separare la sfera religiosa dalla sfera politica, sono ben evidenziati in due scritti : Scritti sulla tolleranza e Lettere per la tolleranza. Negli scritti sulla tolleranza L. si schiera a favore di un intervento del sovrano in maniera di culto, per favorire la pace , pur negando l'uso della forza contro i dissidenti. Il saggio sulla tolleranza (1667) mostra che le idee del filosofo sono cambiate : L'opera attribuisce alle varie opere di culto un diritto di tolleranza, in quanto sono pratiche che si svolgono all'interno della sfera privata del cittadino, e non in quella pubblica, dove dovrebbe intervenire lo stato. Il sovrano (magistrato) infatti, dovrebbe garantire la gestione dei beni terrieri dei sudditi, e non dei beni eterni, perchè di questi ogni cittadino è in grado preoccuparsene nel modo che ritiene più opportuno. Conseguentemente L. ammette la legittimità dell'intervento del magistrato quando vi è in gioco la sicurezza dello stato : il sovrano ha il diritto di proibire la diffusione di un'opinione che giudica pericolosa. A riguardo, fanno parte i cattolici romani, in quanto politicamente pericolosi, e gli atei, che rifiutando Dio, di conseguenza negano il fondamento della morale ( L. li paragona a bestie selvagge che non riescono ad integrarsi in una società civile). La Lettera sulla tolleranza (1689) mostra differenze importanti riguardo al saggio, in quanto insiste maggiormente sui fondamenti religiosi pronti a punire il dissenso. La vera religione, afferma L. è quella che si basa sul vangelo : vero cristiano è colui che mostra amore verso gli altri e che non li perseguita. L'uso della forza infatti è contraria all'opera di carità e dunque non può essere usata per diffondere la verità. Chiesa e stato sono due società distinte, in quanto alla prima spetta la cura delle anime, e alla seconda la conservazione dei beni civili. Nessuna chiesa ha il diritto di richiamare il potere dello stato per punire i dissidenti, così lo stato non può decidere quale sia la via che conduce i sudditi al cielo. Questa decisione così difficile spetta solo ai credenti, ai quale deve essere concessa la libertà di culto. Questi argomenti rientrano nelle successive lettere. Nella terza lettera sulla tolleranza, L. afferma che l'intolleranza è contraria alla legge di natura : poichè L'uso della forza da parte del magistrato è giustificata unicamente in nome del bene pubblico, e poichè il bene pubblico corrisponde alla legge di natura, ovvero alla conservazione del numero più alto di vite possibile, l'intolleranza risulta contraria alla legge di natura, e dunque al comando divino. Essa è contraria a questo volere anche per il fatto che Dio non ha dato all'uomo una conoscenza certa riguardo al modo in cui i cittadini devono rendergli culto, e dunque il modo del sovrano potrebbe risultare del tutto sbagliato. Di conseguenza, la tolleranza è l'unico metodo coerente sia con gli strumenti del vangelo, sia con i limiti che Dio ha assegnato all'intelletto umano. 2.3 L'evoluzione del pensiero morale Nella terza lettera al sovrano è chiesto di punire i vizi dei sudditi. Ciò rileva sia la crescente preoccupazione di L. per la scadente morale pubblica , da lui concepita come il decadimento della società, sia il suo pessimismo riguardo la capacità degli uomini di conformarsi alla legge morale. Solo il desiderio del potere ( e non la conoscenza di cosa è bene per sè) porta l'uomo ad agire bene. 2.3 IL LIBERALISMO La teoria liberale di L. è espressa nei due trattati sul governo (1681). 3.1 PRIMO TRATTATO Secondo Filmer, dalla sovranità concessa ad Adamo ed Eva, e dal potere che questi hanno dato ai loro successori, i patriarchi, si deduce la legittimazione e l'origine divina della monarchia. Le tesi erano le seguenti: - Nessun uomo nasce libero, ma per natura è soggetto all'autorità paterna -Potere paterno e potere legale coincidono, e dunque è legittimata la soggezione al monarca -E' contro natura che il popolo governi se stesso o elegga i suoi governanti -Il diritto positivo rafforza il diritto paterno del monarca, che è ereditario. L. respinge queste tesi, ed insiste sulla naturale uguaglianza di tutti gli uomini, fondando le loro libertà sulla legge di natura : tutti gli uomini hanno l'eguale diritto di provvedere alla conservazione di se stessi e della propria prole servendosi di ciò che Dio ha creato, e appropriandosi di ciò che è indispensabile alla loro sussistenza. Su tali diritti il sovrano non può intervenire, in quanto sistituiti da Dio. 3.3 SECONDO TRATTATO Il secondo trattato sul governo stabilisce che la società civile è il frutto di un patto stipulato dagli uomini all'interno dello stato di natura. Quest'ultimo non è un perenne stato di guerra, come accadeva in Hobbes, ma uno stato di libertà ed uguaglianza, in cui gli uomini hanno come unico vincolo la legge di natura, che impone di non recare danno agli altri nella loro persona e nei loro averi. Dall'altra parte , lo stato di natura è reso fragile dalla mancanza di un sovrano, in grado di vigilare i cittadini e creare sentenze. Per ricorrere a questo inconveniente, gli uomini sono portati a stipulare un contratto, affidando al sovrano il compito di esercitare il potere esecutivo e alla legge la tutela delle loro proprietà. Il sovrano e la legge dunque non possono privare i sudditi della loro vita e dei loro beni, perchè sarebbe come andare contro la legge di natura, che, come regola emanata da Dio, precede la legge civile. Il tiranno è colui che viola questi diritti. Se il sovrano si comporta in questo modo, il governo e la società civili si sciolgono e i sudditi sono legittimati a opporre resistenza : in particolare, essi ritornano nello stato di natura, con il diritto di deporre il tiranno e di affidarsi a Dio come unico giudice. Riguardo all'accumulo di ricchezza, L. legittima l'accumulo dei capitali in mano ad alcuni cittadini talentuosi, che, grazie alle loro capacità, accomodano beni a vantaggio di tutta la comunità. L. infatti critica la cupidigia di alcuni uomini che accumulano beni andando oltre alle loro necessità. I governanti, per questo motivo, devono tenere sotto controllo l'accumulo di ricchezza dei cittadini punendo coloro che si preoccupano solo del loro profitto. Il secondo trattato, dunque, contiene la definizione di liberalismo: 1. Esistono diritti naturali inalienabili e imprescindibili degli uomini : si tratta del diritto alla vita (ossia alla conservazione della propria esistenza, uno dei comandi della legge di natura), alla libertà e alla prop. privata. 3.2 L'azione e il dominio di Dio Nello scolio generale N. nega che l'ordine dell'universo derivi da caos e dalle leggi ordinarie della natura, come affermava Cartesio. La varietà delle cose non deriva da una cieca necessità metafisica, ma l'effettiva struttura dell'universo e il suo ordine deriva da il disegno di un ente intelligente e potente. L'azione principale di Dio è il suo dominio. Il Dio di N. non è il Dio indifferente di Cartesio , ma è un Dio signore, che si comporta da Re, e che non lascia abbandonato l'universo ai suoi meccanismi, come accadeva sempre in Cartesio. Inoltre, è un Dio onnipotente, regolatore del mondo da lui creato, che con la sua onnipotenza garantisce armonio all'universo. 3.3 Contro le spiegazioni meccanicistiche Alla luce di questa concezione, N.nega che le spiegazioni meccanicistiche sino in grado di dare spiegazione della realtà. Tali spiegazioni infatti si limitano a farci cogliere la superficie dei fenomeni. La sostanza delle cose invece ci appare inconoscibile, in quanto appartenente a Dio. Noi possiamo solo cogliere l'ordine e la regolarità delle cose, che sono appunto il segno della perfezione divina. 3.4 La gravità non è una forza meccanica In poche parole, l'azione della gravità risulta indispensabile per la regolarità dell'universo, tuttavia la causa di questa forza non può essere ricercata mediante i fenomeni, o, almeno, N. afferma di non esserci riuscito. CAPITOLO 17 : George Barkley 1.La teoria della visone e "l'esse est percipi" La fama di Barkley è legata soprattutto all'immaterialismo : B. vuole dimostrare l'impossibilità dell'esistenza della materia, insensibile, immaginabile e inconcepibile. Dire che ogni nostra percezione è soggettiva e priva di riferimento a qualità che esistano “fuori della mente”, per Berkeley, equivale alla negazione di ogni sostanza materiale extramentale da cui derivino le idee. L’esistenza delle cose si esaurisce nel loro essere percepite: “esse est percipi”. L’affermazione di una sostanza esistente al di fuori della mente nasce da un falso processo di astrazione: dalle singole qualità percepite sensibilmente (colore, odore) si astrae illegittimamente un sostrato metafisico che funge da loro elemento comune. 1.1 La vista e il tatto Lo scopo del "Saggio" è del tutto tecnico, ed riprende la lunga tradizione della "prospettiva " : come si percepiscano con la vista, la distanza, la grandezza, la posizione degli oggetti nello spazio. Secondo B., con la vista, non si percepiscono sono le grandezze qui elencate . le cose che percepiamo al di fuori di noi, in realtà non sono altro che il risultato di un'inferenza. Queste non si trovano a nessuna distanza da noi, risultando in questo modo interne ( come con le immagini retiniche, con le quali però non devono essere confuse). In parole più semplici, gli oggetti della vista non si trovano ad alcuna distanza da noi, bensì nel nostro occhio. Quelli che noi siamo abituati a considerare oggetti visibili sono in realtà oggetti tangibili ( che si possono toccare) : tra gli oggetti che si possono vedere e quelli che si possono toccare vi è una eterogeneità sostanziale. Con la vista percepiamo solo una varietà di luci e colori, bidimensionale, caotica. E' solo il tatto che ci permette di percepire gli oggetti unitari, con una determinata grandezza e ad una certa distanza da noi. Quando noi crediamo di percepire gli oggetti con la vista, è solo perché abbiamo l'abitudine di far inferire i dati tangibili con quelli visivi, esattamente come quando non riusciamo a separare i suoni dalle parole. Nell'esperimento del cieco nato che recupera la vista, B afferma che il cieco non riesce a distinguere nessun oggetto, tanto che è convinto che tutto tocchi i suoi occhi. 2. L'immaterialismo ( pag.308) Con l'immaterialismo si intende la teoria che esclude ogni presupposto materiale dall'esperienza conoscitiva. << L'intera realtà è costituita dalle idee passive, dagli spiriti umani (finiti e creati) e dallo spirito divino, infinito ed eterno, che pensa a tutte le idee, garantendo sempre continuità e coerenza al mondo sensibile. Nel "trattato" B. afferma che non è la materia, ma l'occhio di Dio ad essere sempre aperto, la cui volontà viene trasmessa di volta in volta a gli umani >> Locke si era limitato a negare la conoscibilità della sostanza, ora Berkeley rifiuta la possibilità stessa della sua esistenza. Col termine “materialisti”, Berkeley indica coloro che invece la sostengono. In questo senso, la sua filosofia si propone come un radicale spiritualismo, secondo il quale non esiste altro che lo spirito. L’argomentazione contro l’esistenza di realtà extramentali non si riferisce infatti alla sostanza in generale, ma soltanto a quella materiale. Il fatto che l’uomo abbia coscienza di idee che non è in grado di produrre da sé prova che esse provengono da uno spirito infinito. In questo modo l’uomo ha “nozione” (conoscenza intellettiva indipendente dai sensi) di una “mente divina”, la quale comunica con le menti umane mediante un linguaggio i cui “segni” sono costituiti dalle idee – ripresa del tema della visione delle cose in Dio di Malebranche. Fonte di ogni conoscenza umana, Dio è causa non soltanto delle idee, ma anche della loro connessione; egli è infatti ciò che ci permette di distinguere la realtà del sogno, in cui le idee sono invece congiunte arbitrariamente. L’unico fondamento dell’oggettività della conoscenza è la sua congruità con lo spirito infinito da cui proviene ogni forma di pensiero. Ciò consente a Berkeley di riconoscere la validità delle leggi della natura, scoperte dalla scienza umana ma stabilite dalla mente di Dio; esse tuttavia sono soltanto espressioni del “linguaggio” con cui Dio provvede alle loro necessità concrete; non sono quindi conoscenze teoricamente certe, ma rivestono esclusivamente un valore pratico in vista dell’orientamento dell’azione umana. A sostegno dell'immaterialismo vengono date, nel "trattato " e nei "dialoghi", alcune prove a priori e a posteri. PROVE A PRIORI: ⦁ Non c'è nessuna idea della materia: essa non è concepibile con l'aiuto dei sensi, dell'immaginazione, della ragione. Dunque, poichè ogni parola deve rimandare a un'idea che ne costituisca il significato, quella di materia è una parola priva di significato. ⦁ Le qualità primarie sono soggettive, al pari delle qualità secondarie, perchè sono inscindibili da esse : solo in virtù della cattiva dottrina dell'astrazione si può credere di poter separare nel pensiero ciò che in realtà è inseparabile, come il colore di una superficie e la sua estensione. ⦁ anche ammesso che il concetto di materia sia possibile, esso è inutile sia per il filosofo, sia per l'uomo della strada. PROVE A POSTERIORI: ⦁ La materia produce errori e difficoltà nelle scienze, nella filosofia e nella religione : gli unici a sostenere questo concetto sono gli atei, gli scettici e i liberi pensatori. DUNQUE, GLI ARGOMENTI A FAVORE DELL'IMMATERIALISMO POGGIANO: ⦁ sulla critica Lockiana delle idee astratte, ritenute una forma di errore, abusi concettuali ed incomprensioni linguistiche. ⦁ assioma empirismo : ogni parola significante deve essere ricondotta ad un'idea corrispondente. Se tutte le idee sono particolari, allora ve ne è una priva di significato, ovvero la materia. L'immaterialismo risulta una dottrina mai rinnegata, ma che al tempo stesso presenta dei caratteri paradossali. B. inoltre rivendica, con la sua teoria, la perfetta conciliazione tra senso comune e filosofia moderna (il carattere soggettivo della realtà che esperiamo. Ciò accade perchè tutto ciò che percepiamo è al tempo stesso soggettivo e reale, le cose sono idee, la cui oggettività è garantita dalla mente divina. La materia, concetto inutile, viene eliminata, e nessuno ne sente la mancanza: uomo = non si interroga sulla conformità tra la sensazione che riceve e ciò che pensano i filosofi a riguardo. Strada = interpretazione fenomenista. 3. Barkeley e le scienze Oltre ad essere un filosofo ed un vescovo, B. è anche un uomo di scienza. Lo dimostra il suo scritto "sul movimento" in cui egli critica i concetti newtoniani di gravità, spazio e moto assoluti. SPAZIO ASSOLUTO =insensibile e inconoscibile, un puro nulla, ovvero una idea stratta, che, in quanto inesistenti, sono del tutto prive di senso. MOTO ASSOLUTO= per essere comprensibile deve essere inteso come relativo al cielo e alle stelle fisse, in quiete. GRAVITA'= I termini forza e spazio non spiegano il moto perchè sono mere voci astratte e generali usate dai filosofi a scopi comunicativi e per praticità. Ogni tipo di forza, come quella del sole o dei pianeti, sono solo ipotesi matematiche, come afferma lo stesso Newton. La proposta di B. si rifà alla dottrina immaterialistica: il principio del moto non è corporeo, nè può essere considerato una qualità dei corpi, solo gli spiriti sono attivi e fonte di attività. Come confermano gli auctoritates, solo Dio è il principio universale del movimento. Le menti umane, capaci di muovere i corpi solo tramite la volontà, sono corpi secondari e subordinati. ................ Il <<De motu>> termina con una distinzione tra fisica e metafisica: FISICA= regno delle cause seconde, nel cui ambito è lecito affermare che un corpo comunica il suo movimento ad un altro corpo. METAFISICA= irrimediabile passività dei corpi -------------- ⦁ La memoria, ovvero la facoltà che ci permette di riportare alla mente impressioni pregresse nella forma in cui si sono originariamente presentate. ⦁ L'immaginazione, invece ci permette di unire e separare le idee, senza un ordine preciso. Il principio della copia Le idee e le impressioni dunque si corrispondono a vicenda dato che sono le stesse percezioni considerate in due momenti diversi della loro penetrazione della mente. Dal momento che le idee sono copie delle impressioni, non è possibile avere una idea che non corrisponde a nessuna impressione. Ciò che differenzia l'idea dall'impressione è il gradi di vivacità : più intenso per le impressioni, meno intenso per le idee. Di conseguenza, H. nega l'esistenza delle idee innate, affermando che tutto ciò che appare nella nostra mente proviene dall'esperienza e consiste solo di percezioni. H. nega anche l'esistenza delle idee astratte : le impressioni sono necessariamente particolari – si percepiscono sempre singoli uomini, non l’uomo in generale – e dunque particolari saranno anche le idee che da esse derivano. L’idea astratta è solo un nome con cui indichiamo tutte le idee particolari reciprocamente somiglianti. Il principio di concepibilità Quando non è possibile individuare l'impressione o le impressioni da cui deriva un'idea, l'idea perde di significato. D'altra parte, niente di ciò che noi immaginiamo è impossibile. Di conseguenza, tutto ciò che è concepibile, e dunque immaginabile, può esistere e tutto ciò che è concepito in un dato modo, esiste solo in quel modo. Il principio di separabilità Tutto ciò che è differente, è distinguibile, e tutto ciò che è distinguibile, è separabile per mezzo dell'immaginazione. 2.2 La casualità + 2.3 credenza CASUALITA': Hume definisce la causa come << un oggetto seguito da un altro oggetto e dove tutti gli oggetti simili al primo sono seguiti da oggetti simili al secondo, dove se il primo oggetto non è esistito, non è esistito nemmeno il secondo>> Nella nostra quotidianità siamo portati a sentire che dato un determinato effetto, deve esserci una determinata causa. Ma non vi è nessuna necessità in questa relazione. Come affermato già dal principio di concepibilità, è possibile concepire una determinata causa, senza un determinato effetto, e viceversa. Rifacendoci all’esempio delle palle da biliardo di Malebranche, l’esperienza ci testimonia solo che: quando A è in contatto con B, B si mette in movimento; tra il movimento di A e quello di B sussiste un rapporto di successione temporale. Queste osservazioni, certificate dall’esperienza, non sono tuttavia sufficienti a giustificare l’azione causale di A su B: B potrebbe essere privo di causa oppure, esso potrebbe essere prodotto da un’altra causa a noi sconosciuta. Quello che ci è dato osservare è la contiguità tra causa ed effetto e la priorità temporale della prima sulla seconda. Causa ed effetto sono congiunti, ma non connessi : non vi è nessuna necessità intrinseca. ABITUDINE: Noi organizziamo la nostra esperienza secondo l'ordine causale sono per mezzo dell'abitudine. Tanto più vediamo eventi simili susseguirsi in maniera regolare per mezzo della congiunzione costante tra causa-effetto, tanto più crediamo che gli eventi che seguono siano collegati a quelli che precedono. In sostanza la relazione causa ed effetto, non è altro che frutto della nostra mente, una necessità interna alla mente stessa. CREDENZA L’abitudine ad associare tra loro due fenomeni genera la “credenza”. Per H. concepire e credere sono due termini distinti. L'idea di un qualcosa che noi crediamo e l'idea di un qualcosa che noi concepiamo, possono riferirsi alla medesima idea, ma ciò che li contraddistingue è il grado di vivacità, più forte nel credere, meno forte nel concepire. La credenza è più forte perchè possiede un sentimento, il quale dipende solamente dalla costituzione umana, ed è originale, indefinibile. CREDENZA = idea vivace associata ad un'impressione precedente. Attraverso i legami associativi nella nostra mente, una volta sviluppata l'abitudine ad associare idee ad impressioni, quando abbiamo una certa impressione, la mente ci porta naturalmente a credere all'esperienza che abbiamo trovato congiunta a quell'impressione. 2.4 L'io e L'identità personale Ognuno di noi tende a percepire l'idea dell'io, ovvero la propria identità personale, come una sostanza invariabile e sempre uguale nel corso del tempo. Ciò accade, perchè spesso gli uomini non riescono a distinguere le idee di identità e di diversità. Queste idee sono distinte, ma l'immaginazione riesce a passare facilmente da una idea all'altra, facendo si che un oggetto venga considerato invariabile, quando in realtà non è altro che una successione di parti. La nostra identità personale, viene in tal modo ricondotta alle percezioni della mente, le quali consistono in un flusso di percezioni in movimento, e dunque incorporee = non c'è più nulla che mi garantisca che la nostra esperienza si strutturi come l'esperienza unitaria di un individuo specifico. APPROFONDIMENTO: Hume procede a esaminare criticamente l’idea di sostanza, considerata sia nella forma degli oggetti che appaiono fuori di noi (sostanza materiale), sia nella forma di io quale soggetto delle percezioni (sostanza spirituale). Per quanto riguarda la sostanza materiale, Hume riprende Locke e Berkeley: noi abbiamo impressioni solo di singole qualità degli oggetti, ma, poiché siamo abituati a percepirle insieme, pensiamo che esse appartengano a un’unica sostanza (es. l’oro). Hume però fornisce una giustificazione dell’uso dell’idea di sostanza materiale che era assente in Locke e Berkeley. L’abitudine a vedere sempre congiunte determinate proprietà genera la credenza nella realtà degli oggetti che le posseggono: pur non essendo fondata razionalmente e non avendo valore conoscitivo, questa credenza è giustificata, in quanto esprime una tendenza naturale dell’uomo. Analoga è la critica alla sostanza spirituale. Anche il nostro io non è mai oggetto di un’impressione: noi ci limitiamo a percepire singoli stati di coscienza, ma non cogliamo mai un loro ipotetico soggetto unitario. Il soggetto non è quindi una sostanza permanente e sempre identica a se stessa, quanto piuttosto un flusso di percezioni continuamente succedentisi le une alle altre. Ancora una volta il sentimento di unità e continuità del proprio io esprime soltanto una credenza connaturata all’uomo 3. Lo scetticismo L'associazionismo sembra contraddire se stesso : come possiamo avere certezza del mondo esterno e delle percezioni? Le nostre percezioni, all'interno della nostra mente, sono dotate di costanza e di coerenza, ma si tratta pur sempre di percezioni. Non è così per gli oggetti esterni a cui esse si riferiscono, i quali si presentano continui e distinti anche quando non li percepiamo. Eppure, la nostra credenza della loro esistenza deriva solo dall'abitudine ad avere percezioni da essi. E' la nostra immaginazione che ci permette di andare oltre la nostra esperienza percettiva e di supporre l'esistenza di oggetti che non possiamo percepire, e di cui dunque non abbiamo un certezza. In sostanza, tramite la credenza (idea vivace), siamo portati a credere in un mondo esterno alla nostra mente, ma la forza di questa credenza è la mente a garantirla, e non il mondo . E dalle nostre percezioni non è possibile inferire altro che le percezioni stesse. Da qui deriviamo: ⦁ scetticismo radicale, che nega ogni credenza. In questo caso l'analisi filosofica è spinta fino al punto di voler dare una giustificazione ai presupposti dell'analisi stessa, cadendo in un circolo vizioso dal quale è possibile uscire solo negando lo scetticismo radicale. ⦁ scetticismo moderato (Hume), ovvero una osservazione attenta e un distanziamento dai luoghi comuni non illuminati dall'esperienza. 1- Presa d'atto che non conosceremo mai le fonti ultime della nostra analisi. 2- Questo non corrisponde alla fine del ragionamento, nè del nostro rapporto con il mondo esterno e con sè stessi. Ciò ci conduce ad un approccio naturalistico, come superamento del delirio filosofico. H. ribadisce che le attività umane vanno sottoposte alla stessa analisi utilizzata per gli eventi naturali. Per questo motivo, gli uomini non possono sospendere la loro credenza sul mondo esterno, se non in brevi periodi, come nella meditazione in solitudine. Per capire come funziona la natura umana, bisogna andare al di là delle contraddizioni che inevitabilmente la riflessione sull'intelletto umano produce, e focalizzarci su un sistema più amplio, come quello delle relazioni degli uomini gli uni con gli altri. 4.Le passioni e la morale : ( libro 2 Trattato) Approfondimento: Le passioni sono impressioni, e quindi esperienze, dati di fatto la cui realtà non può essere approvata né condannata, ma soltanto constata. La sola differenza tra percezione di un oggetto e passione è che la percezione è un’”impressione” di sensazione (cioè deriva direttamente dall’esperienza esterna), mentre la passione è un’”impressione” di riflessione” (esperienza interna che deriva da una precedente impressione di sensazione). Su questa assimilazione delle passioni alle impressioni si fonda l’antirazionalismo etico di Hume. La ragione ha una funzione conoscitiva, non pratica. Essa opera sulle idee e decide della loro verità mediante il confronto delle une con le altre; ma le passioni non sono idee, bensì impressioni: non ha quindi senso confrontarle per giudicare del loro valore. In quanto impressioni, cioè dati di esperienza, le passioni non sono né vere né false, né giuste né ingiuste, ma semplicemente ‘sono’. Le passioni si dividono in: 1.1. Vantaggi Obiettivo dell'ordinamento degli studi è la conoscenza della verità. Essa si raggiunge grazie a 3 strumenti: ⦁ La critica pone la certezza del "primo vero" (contrario di verosimile) nell'atto del dubitare ed ha debellato lo scetticismo. ⦁ L'analisi ha risolto in maniera semplice alcuni problemi geometrici rimasti irrisolti dagli antichi. ⦁ Il metodo geometrico ha dato la spiegazione delle cause per cui Dio è il creatore del mondo. 1.2 Svantaggi ⦁ La critica libera la verità non solo dall'errore, ma da anche ogni sospetto di errore. In particolare, la critica tiene lontano, non solo il falso, ma anche il verosimile. Non solo, rifiuta anche il senso comune e la prudenza dei giovani, non rispettando di conseguenza la progressione nella formazione dei giovani. Quest'ultimi devono essere abituati alla ragione, senza fare violenza sulla loro natura, ma solo rispettano i loro tempi e capacità. ⦁ L'analisi per la sua funzione di semplificazione del complesso, finisce per riempire gli ingegni di cose facili. ⦁ Il metodo geometrico risulta: 1- Inadeguato per la medicina (le malattie sono molteplici e le diagnosi hanno bisogno di lunghe indagini), la morale ( a causa del libero arbitrio), in poesia e in giurisprudenza. 2-Non è adatto all'eloquenza (capacità di persuadere), in quanto impone una stile rigoroso e una catena di ragionamenti, che vanno contro il significato stesso di eloquenza. 3- Inaccettabile nella pretesa di spiegare le cose fisiche. Spiegare = fare, e solo Dio è in grado di crearle. In sintesi, l'ordinamento dei moderni risulta inadeguato. I giovani dovrebbero: ⦁ Studiare la topica per: 1- imparare ad argomentare 2-Progredire nella pratica dell'eloquenza 3-Imparare a far emergere pro e contro di un problema ( dell'uomo, società ecc.) ⦁ Conoscere i "secondi veri" o "verosimili". Gli uomini sono stolti. Per questo chi si pone il fine di ricercare la verità, non conosce come sono realmente gli uomini. 2.La metafisica La metafisica, esposta nel primo libro del De antiquissima italorum sapientia, è rappresentata da Vico come una restaurazione della sapienza degli antichi italici, ritrovata attraverso l'analisi etimologica di alcune parole latine : verum, factum, intelligere, cogitare, ratio. ⦁ Verum e factum hanno una relazione di reciprocità : il vero si identifica con il fatto. ⦁ Intelligere consiste nel leggere e comprendere perfettamente ed appartiene ad una mente divina. ⦁ Cogitare si riferisce al pensare tipicamente delle mente umana. ⦁ Ratio è il calcolo aritmetico ed è ciò per cui l'uomo, facendo uso della ragione, si distingue da bruti. Per i cristiani, per i quali il mondo è stato creato da Dio, la relazione di identità si colluca tra verum creatum factum, mentre il vero increatoè il generato (genitum). Ne consegue che : ⦁ Dio, essere infinito e perfetto, conosce tutte le cose, perchè ha nella sua mente ciò che compone tutte le cose. ⦁ Poichè tutte le cose sono al di fuori dell'uomo non avendo nella sua mente tutto ciò che costituisce le cose, la conoscenza dell'uomo si configura come anatomia delle opere della natura. Per questo difetto l'uomo: ⦁ E' capace di immaginare un mondo di forme e numeri, abitato da due entità, L'umo e il punto, andando così a costituire due scienze certissime, che sono la geometria e l'aritmetica. ⦁ Stabilire i nomi del punto ( privo di parti), della linea (prolungamento punto) e della superficie (priva di profondità), dal nulla e ad imitazione di Dio. Argomenta Vico, se il criterio della verità consiste nel <<aver fatto un qualcosa >>, allora l'Idea chiara e distinta della mia mente, e cioè l'idea chiara e distinta di Dio, non può essere criterio di verità della mente, perchè la mente quando si conosce , non <<si fa>>. Dunque, il cogito ergo sum cartesiano, penso dunque esisto, è solo coscienza del pensare, non è scienza dell'essere. Infatti, se io penso, dunque esisto, significa che il pensare, è un qualcosa sia mentale, che corporeo, perchè io sono costituito da mente e corpo. Ma il pensiero, non è la causa del corpo, e dunque non è scienza dell'essere. Il pensiero, non è la causa della mia esistenza, ma solo un indizio di essa. Le uniche verità sono quelle di cui noi formiamo gli elementi, ovvero la geometria e la matematica. 3. Diritto universale (1720-1722) 3.1 De uno e De constantia DE UNO Il De uno tratta inizialmente del diritto naturale, per poi trattare dell'equità (che deriva dalla socievolezza dell'uomo). Il diritto naturale non nasce in una nazione - altrimenti si chiamerebbe diritto civile- ma è di natura emanato da Dio in tutte le nazioni. Dunque, se Dio è l'unico principio del diritto naturale e il suo unico fine, ne consegue che la giurisprudenza è la scienza delle cose divine (cose che l'uomo conosce attraverso la ragione) e delle cose umane (l'autorità, volere del legislatore). Nella giurisprudenza, di conseguenza, vanno tenute sempre unite la ragione e l'autorità, tenendo conto di entrambe all'interno delle leggi. La scienza delle cose divine e umane comprende: 1- La filosofia ( De constantia 1), che insegna la vera cognizione di Dio e Dell'uomo, e i principi del diritto. 2- La storia\filologia (De constantia 2), ovvero la conoscenza del libero arbitrio umano. 3- Equità, ovvero l'arte di accomodare ingegnosamente le leggi ai fatti. Si tratta dunque di stabilire un legame tra filosofia (verum) e filologia (certum), stabilendo che : ⦁ il verum ha come suo elemento la ragione e stabilisce il legame tra mente umana e ordine naturale delle cose. ⦁ Il certum ha come suo elemento l'autorità ed è la coscienza assicurata dalla dubitazione. ⦁ il certum (autorità), ha come oggetto della persuasione e dunque si avvale della ragione. La persuasione sarà infatti vera o falsa a seconda che siano v o f i suggerimenti dei propri sensi e di quelli altrui. Nell'ambito della filosofia sappiamo che l'ordine eterno è Dio, che Adamo contemplava prima del peccato originale in una condizione di naturale socievolezza. Tale contemplazione non è più sentita dall'uomo a causa del peccato e del predominio dei sensi sull'uomo. Tuttavia, dato che l'uomo al suo interno contiene dei semi dell'eterno vero, riesce a vedere comunque Dio in qualsiasi punto egli volga lo sguardo : l'uomo si indirizza alla verità grazie alla provvidenza, per poi fondare la società, condividendo con gli altri uomini le verità e le cose utili (utilità). Quindi l'utilità e la necessità non sono la causa della divina provvidenza, ma le occasioni con cui questa si manifesta e conduce l'uomo verso il giusto e l'equo. L'equità non è dunque un principio politico, ma un principio naturale. E' la natura che ha fatto si che gli uomini si comunicassero a vicenda il giusto, il vero e l'equità. Tutto ciò è ancora più accentuato dalla natura stessa dell'uomo. Di conseguenza, l'uomo capisce che senza Dio non si possono avere nè leggi, nè società civile, ma solo solitudine e ferocia. DE CONSTANTIA Il De constantia approfondisce la filosofia e la filologia, due parti della giurisprudenza. Con il termine constantia, Vico intende che ciò che rimane costante (l'universale) dentro il diritto positivo e l'equità civile, è il diritto naturale delle genti. De constantia I Dimostra che i principi del diritto sono conformi ai principi della storia sacra e della teologia rilevata e assume una verità che riprende da alcune filosofie, come la metafisica di Platone, Epicuro ecc. De constantia II Indaga le prime forme in cui si è manifestato il diritto delle genti. A questo scopo, Vico introduce una nuova scienza, La filologia, che suddivide in Etimologia ( storia delle parole ) e mitologia (storia delle cose), dove lla mitologia viene prima dell'etimologia, perchè le cose vengono prima delle parole. La mitologia si estende su 3 età: ⦁ Età degli dei o dei regni divini, in cui ogni cosa veniva trattata sulla base del diritto divino (epoca oscura) ⦁ Età degli eroi e dei regni eroici o degli ottimati, in cui ogni cosa veniva trattata sulla base del diritto alla guerra ( evoca favolosa o eroica) ⦁ Età degli uomini o delle monarchie o delle repubbliche, in cui ogni cosa veniva trattata sulla base del diritto all'umanità, nella vita sociale e pubblica ( epoca storica). La filologia consente di confrontare fatti, favole e poesie delle prime due età, con la storia sacra, la più vera e antica di tutte, dimostrando che i fatti sono incerti, le favole attendibili, e le poesie naturali. La poesia, infatti, si pone come esigenza naturale, dove i poeti, per ignoranza delle cauuse, hanno tentato di spiegare i fenomeni naturali come se fossero delle divinità. Si distingue di conseguenza una religione falsa, dettata dall'ignoranza, ed una religione vera, data per beneficio divino. 4.4 Corsi e Ricorsi storici Le favole danno testimonianza del diluvio universale, attraverso il quale l'uomo passa dallo stato ferino, a quello eroico e infine a quello umano. Vico prospetta che il corso della civiltà umana possa essersi interrotto a causa della corruzione degli stati popolari (es. roma) e dello scetticismo. Anche in questo caso interviene la divina provvidenza che con il diluvio universale riporta gli uomini in una condizione di barbarie più gravi della barbaria originaria, dalla quale gli uomini possono uscire solo dopo secoli, e ritornare così in uno stato di civiltà. CAPITOLO 20: Gli illuministi. 1.Caratteri generali L'illuminismo è una corrente filosofica che si sviluppa nel 18esimo secolo, definito come "il secolo dei Lumi". L'illuminismo non va inteso come una unità, ma possiamo osservare come in base alle diverse zone d'Europa, assume delle caratteristiche e degli scopi differenti : ILLUMINISMO INGLESE = Il suo scopo non è la tolleranza religiosa, ma si batte per dimostrare la razionalità del cristianesimo. ILLUMINISMO FRANCESE = Conducono numerose battaglie che hanno come scopo la tolleranza e sviluppano radicali forme di materialismo ateo. ILLUMINSMO TEDESCO = è una linea di pensiero che coinvolge principalmente i teologi e le università. ILLUMISMO ITALIANO = Si sviluppa più tardi rispetto alle altre forme di illuminismo. Propone una riforma politico-amministrativa e sviluppa una riflessione nell'ambito del diritto e dell'economia. Tuttavia, non si deve rinunciare a parlare di "unità di lumi", in quanto tutte queste forme differenti presentano dei tratti comuni: ⦁ La fine della metafisica. Come già affermato da J.Locke, le idee sono generate dalle impressioni dei sensi. Dunque non ha più senso parlare di sostanza e di essenza, in quanto conosciamo solo i fenomeni. Viene decretata la fine delle idee innate, e con esse la prova ontologica dell'esistenza di Dio. Riguardo al soggetto, L'uomo è considerato all'interno di una evoluzione animale, e la storia dell'uomo all'interno di una più ampia storia del mondo. ⦁ L'idea di progresso. Si smette di guardare alla storia come una riserva da cui trarre degli esempi per il presente. La storia viene solo considerata come un movimento continuo che si estende alla filosofia e alla società. ⦁ Nuove forme di dogmatismo. La tolleranza è un principio che nasce dalla messa in discussione di principi conoscitivi e religiosi, e che non esclude un rispetto dogmatico per la ragione. ⦁ La fine del regno delle matematiche. Dopo un secolo totalmente immerso nelle scienze, il 18esimo secolo pone fine al regno delle matematiche. Diderot afferma che ora a dominare sono le scienze naturali e le lettere. Non solo, egli è convinto anche che tutte le nostre conoscenze derivino solo dalle nostre facoltà : dobbiamo la storia alla memoria, la filosofia alla ragione e la poesia all'immaginazione. ⦁ Il materialismo. Si aprono le porte ad un materialismo dinamico. Per alcuni questa natura Dinamica ha bisogno di un ente supremo, un Dio demiurgo, che la metta in movimento. Per altri, Dio non è necessario, creando così una forma di ateismo. ⦁ Sorgere di nuovi miti. Si sviluppa il mito dell'oriente e si manifesta un'attenzione crescente nei riguardi della giovane federazione d'USA. E' nel 1784 che gli illuministi troveranno una vera e propria identità comune, grazie a Kant. Egli scrive: <<L'illuminismo è l''uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve amputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro (...). Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza!>> ILLUMINISMO TEDESCO 1-E' un movimento caratterizzato da un'esigenza di rinnovamento della vita spirituale 2- Coinvolge pastori, professori universitari e funzionari. 3-Si sviluppa in ambito teologico, metafisico e logico. Può essere suddiviso in 3 periodi: ⦁ Scuola thomasiana, nelle università tedesche. ⦁ Scuola razionalista, nelle università verso metà secolo. ⦁ Filosofia popolare, fine secolo, fuori dalle università. SCUOLA THOMASIANA: Christian Thomasius Christian Thomasius è considerato il padre dell'illuminismo tedesco. Egli difende l'autonomia della ragione dalla tradizione filosofica e religiosa. Afferma che la logica fa conoscere la verità, smascherando pregiudizi ed errori del passato. Il primato spetta alla ragione pratica, che guida l’uomo alla verità, liberandolo dalla sensibilità e conferendogli la virtù, ovvero amare il prossimo. Nel <<Fondamenti del diritto di natura e delle genti >> si orienta verso una forma di pensiero puramente illuministica, affermando che diritto, politica ed etica trovano il loro fondamento nelle 3 tendenze umane : vivere a lungo e felici, sfuggire alla morte, ricercare proprietà e dominio. E' in tale cornice che si inseriscono alcuni valori fondamentali dell'illuminismo, come la tolleranza religiosa, libertà di pensiero, lotta ai pregiudizi, tortura ecc. Christian Crusius C.C. sottolinea la necessità di procedere in maniera deduttiva da fatto a fatto, e non da principi astratti a conclusioni possibili. Secondo C. la logica consiste nel pensare all'essenza di una cosa, non alla sua esistenza. Quest'ultima è solo una realtà extramentale di cui facciamo esperienza solo tramite la sensazione. SCUOLA RAZIONALISTA: Christian Wolff (imp.) C.W. secondo Kant, è stato uno dei più grandi filosofi dogmatici di tutti i tempi. Nell' ontologia, egli struttura l'intero sistema della conoscenza su due principi fondamentali: ⦁ IL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE, secondo il quale non è possibile che una cosa sia e allo stesso tempo non sia. Questo principio stabilisce che solo ciò che non contiene alcuna contraddizione è possibile, e dunque può esistere. Tutto ciò che contiene in sè una contraddizione è impossibile e dunque non esiste. ⦁ IL PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE, il quale stabilisce che ogni cosa che "é", ha una ragione sufficiente per cui "sia" piuttosto che "non sia". Pone cioè la possibilità reale dell'esistenza dell'ente : ciò che può esistere, può esistere perchè l'esistenza non ripugna. La non ripugnanza è la possibilità di esistere. E la possibilità è la ragion sufficiente per esistere. Da ciò si può ricavare come W. poni la logica alla base del sapere. Compito della filosofia è infatti, fornire all'uomo concetti chiari per fornire la verità e per determinare le proprie azioni in vista del fine ultimo che è la felicità. La capacità dell'uomo di raggiungere la felicità dipende dal grado di conoscenza della filosofia. FILOSOFIA POPOLARE Moses mendelssohn Ebreo di nascita, sostiene che lo stato debba tutelare la libertà di coscienza, che ogni chiesa e religione debbano essere private di potere politico e tenute separate dallo stato. Gotthold Ephraim Lessing Il suo pensiero è che tutte le religioni si equivalgono. Nell'Educazione del genere umano rielabora, in senso religioso, il l'idea illuministica della storia. Egli sostiene che la rilevazione educa l'intera umanità comunicandole la verità che non è ancora in grado di intendere fino a quando essa non sarà in grado di farlo in maniera autonoma. La rilevazione dunque accompagna l'intero corso della storia. Ogni religione positiva è in grado di questa rivelazione. Perciò ogni religione può comprendere in se stessa tutte le altre religioni ed unificarle nel corso della storia. Poichè la religione cristiana è la più alta religione positiva, si pone come verità di ragione. CAPITOLO 21 : Jean-Jacques Rousseau 1.Musica R. descrive se stesso come un musicista professionista. Egli propone una nuova struttura musicale ispirata alla musica degli italiani, che danno maggiore al ritmo e alla melodie rispetto alle parole del testo musicale. Per il filosofo, infatti, la musica è fondamentale per la società ed è la prima forma di linguaggio. Ma ancora più imp., R. stabilisce un legame stretto tra teorie musicali e teorie politiche. 2. Politica I testi filosofici che riassumono il pensiero fondamentale di R. sono "I Discorsi" (1750 e 1755) e il "Contratto sociale ". Il tratto che caratterizza il filosofo è quello di muoversi controcorrente rispetto a tutti gli altri filosofi. CAPITOLO 22 : Kant Il periodo precritico Kant è fortemente influenzato da Leibniz e Wolff, per quanto essi costituiscano per lui soltanto un punto di partenza. Il periodo precritico può essere interpretato come il lento processo attraverso cui rimedita questi autori, fino a emanciparsene completamente. Nel corso di questo sviluppo Kant passa da una fisica leibniziana, dinamico-finalistica, a una descrizione meccanicistico-causale di ascendenza newtoniana. Più lentamente si allontana, in filosofia, da Wolff, specificatamente in ambito di metafisica e gnoseologia. Dichiara in seguito l’insofferenza per il suo metodo sillogistico, che pretende di costruire astrattamente l’intero edificio della metafisica, connettendo le singole conoscenze sulla base della loro non contraddittorietà formale e senza preoccuparsi di trovare un riscontro nell’esperienza: questo metodo “sintetico” (accresce il sapere collegando conoscenze vecchie con conoscenze nuove sulla semplice base della loro non contraddittorietà logica) va bene per la matematica, ma non per la filosofia e la metafisica. Esse non si occupano di ciò che è solo logicamente “possibile”, bensì di ciò che è effettivamente “esistente”. L’esistenza per Kant – e questo è il punto di maggior contrasto con il wolffismo – non è mai deducibile dal pensiero, sulla base dell’assunto che ciò che è pensabile (=non contiene contraddizione logica) è anche esistente. L’esistenza è invece una “posizione assoluta”, qualcosa che non è costruibile con il pensiero, ma deve essere dato per via extralogica, quindi necessariamente dall’esperienza. Se la filosofia non può procedere per semplice sintesi, dovrà procedere per analisi: dovrà cioè partire da un concetto dato, scomporlo nei suoi elementi in moto da renderlo evidente; e solo conseguita l’evidenza, si potrà procedere alla sintesi. Anche se non ha ancora dato soluzione al problema della conoscenza, Kant alla metà degli anni Sessanta ha ben chiaro che cosa la filosofia non debba fare. Ovvero abbandonarsi all’illusione, come aveva fatto Wolff, di poter costruire con certezza l’intero edificio della metafisica semplicemente applicando un principio di coerenza formale; piuttosto, il compito della metafisica (che qui corrisponde pressoché a “filosofia”) è di essere “la scienza dei limiti della ragione”. E questi limiti sono chiaramente individuati nell’ambito dell’esperienza: ciò che va al di là, anche i problemi della metafisica tradizionale, non può essere oggetto di conoscenza. Gli scritti precritici si occupano prevalentemente di gnoseologia e metafisica (già intesa come disciplina metodologica); ma toccano anche problemi di filosofia morale. Kant critica la “morale della perfezione” di Wolff, che definisce buona l’azione volta al perfezionamento dell’uomo: la nozione di perfezione è puramente formale e non dà alcuna indicazione sul contenuto dell’azione. Per il momento, Kant protende invece per la dottrina del sentimento morale di Shaftesbury, stabilendo una netta distinzione tra il piano della ragione, che riguarda la conoscenza, e quello del sentimento, che concerne la dimensione etica ed estetica. La Dissertazione del 1770 Lo scritto che anticipa alcuni argomenti poi riportati nella critica della ragion pura, è la Dissertazione del 1770, all'interno della quale Kant afferma che alcuni problemi metafisici derivano dalla confusione che si fa tra conoscenza sensibile e conoscenza intellegibile. La conoscenza sensibile riguarda il fenomeno (= ciò che appare al soggetto”) , ovvero le cose "come appaiono" al soggetto, considerate non già nel loro essere in sé, ma nel loro essere modificate dalle forme della sensibilità. La conoscenza intellettuale riguarda il noumeno , le "cose in sè" (le cose come sono) , nel loro vero essere, che può essere colto solo con il pensiero. Noi non percepiamo le cose come sono in sé, ma necessariamente le modifichiamo nel procedimento percettivo, adattandole alle “forme soggettive” della nostra intuizione. Queste forme percettive, che sono a priori, perché non dipendono dall’esperienza, sono lo spazio e il tempo. Sotto questo aspetto la Dissertazione compie pienamente, nell’ambito della sensibilità, la nuova “rivoluzione copernicana” che esprime l’essenza del criticismo: la conoscenza non consiste nell’adeguazione del soggetto all’oggetto, bensì nella modificazione dell’oggetto secondo le forme a priori del soggetto. Tutt’altro discorso vale per la seconda parte della Dissertazione, relativa alla conoscenza intellettuale. Qui Kant si mantiene fedele al “dogmatismo” e non compie alcuna rivoluzione copernicana. I concetti dell’intelletto, qui chiamati “idee pure”, non dipendono dalle rappresentazioni della sensibilità; in virtù di questa indipendenza, le idee pure possono cogliere la realtà nella loro essenza noumenica, senza le alterazioni fenomeniche comportate dalla percezione - radicale contrapposizione della conoscenza ideale a quella sensibile, di sapore platonico. CONOSCENZA SENSIBILE (fenomeni): Più nello specifico, nell'ambito della conoscenza sensibile, si distingue una materia ( il dato della sensazione) e la forma (spazio e tempo), che ha una funziona ordinatrice. Spazio e tempo sono presupposti della sensibilità, e non derivano dunque dalle sensazione, ovvero i dati esterni. Non sono dunque prop. della cosa in sè, ma rappresentano delle condizioni soggettive. Questo non significa che sono arbitrari. Anzi, proprio perchè sono indipendenti dalla sensazione, spazio e tempo sono, nell'uomo, delle condizioni universali e necessarie per raccogliere tutti i dati sensibili. Sullo spazio e sul tempo così concepiti si fonda la matematica, sullo spazio la geometria e sul tempo la meccanica. CONOSCENZA INTELLETTUALE (noumeno): Viene distinto un uso reale ( per cui vengono dati i concetti delle cose e le loro relazioni, e ci si rivolge dunque alla realtà) e un uso logico (in cui i concetti dati sono solo subordinati l'uno all'altro e unificati secondo le regole della logica, come il principio di non-contraddizione). La nostra conoscenza intellettuale non è mai intuitiva : senza la conoscenza noi possiamo conoscere solo in termini universali. La conoscenza intellettuale è solo di origine divina, in quanto è indipendente dagli oggetti di cui è costituita. La critica della ragion pura Il criticismo: Nel 1781 esce la prima edizione della critica della ragion pura, in cui Kant si pone l'obiettivo di rispondere alla domanda "Che cosa mi è possibile conoscere?". In particolare, Kant si riferisce a ciò che noi possiamo conoscere scientificamente, ovvero con assoluta certezza. . Il programma metodologico di delineare una “scienza dei limiti della ragione” trova la sua realizzazione nella Critica della ragion pura. “La ragione umana in una specie delle sue conoscenze ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le sono posti dalla sua stessa natura, ma dei quali non può trovare la soluzione, perché oltrepassano ogni suo potere”. L’ambito in cui la ragione dibatte questi problemi, facendo ricorso a “principi che oltrepassano ogni possibile uso empirico” e incorrendo così in “oscurità e contraddizioni”, è la metafisica. Ma anche lo statuto gnoseologico delle scienze esatte (matematica e fisica) non è del tutto chiaro, poiché, se nel loro caso è indubitabile che siano possibili, non è perspicuo in che modo siano possibili. Occorre dunque instaurare un “tribunale della ragione” in cui quest’ultima, insieme giudice e imputato, determini i limiti e le possibilità della conoscenza umana. La filosofia critica si apre con tre domande fondamentali: “Com’è possibile una matematica pura? E una fisica pura? E la metafisica come scienza?” La filosofia critica Kantiana diviene dunque: -Una filosofia autoriflessiva : cioè di conoscenza delle regole secondo le quali procede la conoscenza stessa. -Una filosofia del limite : in cui non si può mai andare oltre l'esperienza. I TIPI DI GIUDIZIO Nella critica della ragion pura, la conoscenza si esprime nei giudizi sintetici a priori. Kant precisa che : 1)un giudizio consiste nella connessione tra soggetto con un predicato, 2) che tale connessione può essere di due tipi : 1-Analitica, quando il predicato è contenuto nel soggetto, come nella frase "il corpo è esteso". Non esiste infatti corpo che non sia esteso. 2-Sintetica, quando il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto, es. "il corpo è pesante ". Inoltre, il legame può essere: -A priori, necessaria e universale, ovvero che avviene prima dell'esperienza. -A posteriori, ossia ricavato\dopo l'esperienza. Dunque i giudizi sintetici a priori possiedono la caratteristica di accrescere il sapere (sintetici) e al contempo di essere universali e necessari (a priori). Le connessioni necessarie che costituiscono il carattere universale della conoscenza non provengono quindi dall’oggetto, che ne è di per sé privo, ma dal soggetto stesso, il quale nell’atto del conoscere, proietta sull’oggetto la propria capacità sintetica. Questo ribaltamento di prospettiva, che sposta dall’oggetto al soggetto il fondamento della conoscenza, è paragonato da Kant alla “rivoluzione copernicana”, che ha spostato il centro dell’universo dalla Terra al Sole. La filosofia deve occuparsi non più degli oggetti in se stessi, bensì degli elementi a priori che nel soggetto rendono possibile la costituzione e la conoscenza di quegli oggetti. A questa filosofia Kant dà il nome di “filosofia trascendentale”. La partizione della Critica della ragion pura. Come le altre opere maggiori di Kant, la Critica della ragion pura ha la forma di un trattato sistematico. Questa è per Kant un’esigenza intellettuale e metodologica irrinunciabile: l’unità sistematica è ciò che prima di tutto fa di una conoscenza comune una scienza, cioè di un semplice aggregato di essa un sistema. Dopotutto, la ragione umana, che è oggetto oltreché soggetto dell’indagine, ha una struttura “architettonica”. Questa prima Critica è divisa in due parti: La dottrina degli elementi e la Dottrina del metodo. ⦁ la Dottrina degli elementi, contiene la scomposizione della ragione nelle sue componenti o, appunto, nei suoi elementi ⦁ la Dottrina del metodo, che riguarda il metodo di applicazione di tali elementi. -La Dottrina degli elementi si distingue a sua volta in : Estetica trascendentale e Logica trascendentale. 1. L’Estetica si occupa della conoscenza sensibile; 2. La Logica è elemento del pensiero. La Logica si divide ancora in : -Analitica trascendentale (relativa all’intelletto) e Dialettica trascendentale (relativa alla ragione). essere applicate esclusivamente ai dati dell’intuizione, anche le categorie, se usate correttamente, saranno riferibili soltanto al mondo fenomenico: oggetto della conoscenza umana è quindi sempre soltanto il fenomeno. La cosa in sé non può essere conosciuta. Lo stesso soggetto pensante conosce se stesso soltanto come fenomeno, cioè come appare a se stesso nell’esperienza interna: l’Io penso comporta soltanto la coscienza trascendentale di sé come soggetto, non la conoscenza di sé come oggetto. Il non fenomeno non può quindi essere “conosciuto”, ma soltanto “pensato” come concetto-limite, come possibilità negativa che serve a definire, per contrasto, la possibilità positiva del fenomeno: questo concetto limite assume il nome di “noumeno”. L’Analitica trascendentale dei principi. La seconda parte dell’Analitica trascendentale, è l’Analitica dei principi. Ma prima; si è detto che l’applicazione alle intuizioni della sensibilità costituisce l’unico uso legittimo delle categorie: ma questa applicazione appare problematica per l’eterogeneità tra le categorie (intellettuali) e le intuizioni (sensibili). A tale questione risponde lo “schematismo trascendentale”, il quale ha la funzione di trovare un termine intermedio, che può essere dato soltanto da una facoltà intermedia tra la sensibilità e l’intelletto: l’”immaginazione pura” (o “produttiva”). Lo schema trascendentale è una determinazione a priori del tempo. Gli schemi sono dunque modalità con cui le categorie dell'intelletto si declinano sensibilmente assumendo una forma temporale. L'immaginazione è ciò che ci consente di intuire i dati empirici non soltanto nel tempo, ma in una determinata modalità temporale (es. contemporaneità o successione) e implica pertanto già una certa forma di connessione. Queste “determinazioni del tempo secondo regole” sono gli “schemi trascendentali puri”, che costituiscono l’elemento di raccordo tra intuizioni e categorie: in quanto determinazioni del tempo, essi sono omogenei con l’elemento sensibile; in quanto determinazioni secondo “regole” di natura intellettuale, essi rimandano invece alle categorie, delle quali quelle regole stanno a fondamento. In questo modo si stabilisce la corrispondenza precisa tra i singoli schemi puri e le singole categorie. Quando l’immaginazione mi dà due fenomeni in successione, io devo connetterli applicando la categoria della causalità, poiché la successione fornitami non è che la proiezione della categoria (intellettuale) della causalità sul piano (sensibile) dell’intuizione del tempo. La Dialettica trascendentale. Nella dialettica trascendentale, Kant si occupa di verificare la possibilità di applicazione dei presupposti fondamentali di ogni conoscenza scientifica, agli oggetti della metafisica speciale, ovvero Dio, l'anima e il mondo. Questi 3 oggetti, rappresentano ciò che Platone chiamava idee. Se le categorie vengono prodotte dai giudizi, questi oggetti vengono dedotti dai sillogismi (Il tipo fondamentale di ragionamento deduttivo della logica aristotelica, costituito da una premessa maggiore affermativa o negativa, da una premessa minore, da una conclusione derivata necessariamente). I sillogismi sono catene di giudizi, che muovono sempre da premesse, le quali però sono dedotte da sillogismi precedenti e sono quindi condizionate. Lo scopo della ragione si manifesta nel tentativo dell'intelletto di andare al di là dell'esperienza possibile, tentativo che risulta ovviamente vano, arrivando a quella che Kant definisce illusione trascendentale. Nello specifico, la critica kantiana all’uso trascendente delle idee coincide con la critica alla metafisica, la cui pretesa di conoscere l’essenza dell’anima, del mondo e di Dio nasce appunto dall’illusione di poter estendere l’uso delle strutture formali del pensiero umano al di là dei limiti dell’esperienza. Tuttavia le argomentazioni critiche della Dialettica trascendentale non potranno mai eliminare dall’uomo la tendenza metafisica, radicata nella sua natura [atteggiamento di Hume], ma dovranno limitarsi a svelare i meccanismi logici dai quali scaturisce l’illusorio sapere Le forme dell'illusione trascendentale sono tre: 1. Anima. Laddove si cerca l'incondizionato da cui derivano tutti i fenomeni psichici interni si originano dei paralogismi, ossia dei sillogismi fallaci. Viene scambiato l'io penso come mera funzione e soggetto delle categorie, con l'anima quale sostanza, dotata di consistenza ontologica. 2. L’idea di mondo mette a capo una serie di quattro “antinomie” : 1 che il mondo sia finito oppure infinito nello spazio e nel tempo; 2 che esso consti di elementi ultimi oppure sia divisibile all’infinito; 3che vi sia in esso una causalità libera oppure che tutto sia determinato in base a leggi naturali;4 che esso dipenda da un essere necessario o che in esso tutto sia contingente. 3. Dio. L’esistenza di Dio si basa storicamente su tre “prove”: ontologica, cosmologica, fisica. La prova ontologica, che risale ad Anselmo d’Aosta, è a priori; essa si basa sull’idea che l’esistenza sia una perfezione e che quindi sia necessariamente un attributo dell’essere perfetto che è Dio – ma l’esistenza non è una perfezione, perciò l’argomento si dimostra infondato. Le altre due prove si riducono a quella ontologica, e al suo stesso modo perdono la loro cogenza. Kant precisa tuttavia che ciò non significa che questi siano concetti privi di senso. Il concetto della totalità incondizionata, a cui sono riconducibili tutte le idee, è infatti indispensabile per promuovere l’unità sistematica del sapere: soltanto mediante il riferimento al tutto è possibile determinare la collocazione specifica delle singole conoscenze. Anche le idee trascendentali ricevono quindi la loro giustificazione, a condizione che di esse non si faccia un “uso costitutivo”, bensì un “uso regolativo” finalizzato alla costruzione di un modello ideale con un valore puramente euristico metodologico. La Critica della ragion pratica La morale Al termine della prima Critica, Kant si trova di fronte al problema di fondare una morale in una filosofia trascendentale che escluda il riferimento al dogmatismo metafisico. Il problema morale si pone quindi in termini analoghi al problema gnoseologico: lì si trattava di fondare la validità della conoscenza non sugli oggetti in sé, ma sulle forme a priori del soggetto; qui si tratta di fondare l’universalità della legge morale non su una dimensione metafisica, ma sulla ragione umana. Ovvero: il problema gnoseologico consisteva nella ricerca di condizioni a priori (soggettive) di una conoscenza valida oggettivamente, mentre il problema morale consiste nella ricerca delle condizioni a priori di un agire valido universalmente. A questo problema è dedicata la “Critica della ragion pratica”. L’oggetto della ricerca sono i “moventi” soggettivi dell’azione umana che possono aspirare a valere universalmente. Questi non saranno certi i moventi della sensibilità, la quale, radicata nella particolarità delle inclinazioni individuali, assume aspetti diversi di caso in caso [contro Hume]. Dunque la “volontà buona” deve essere determinata dalla ragione. Tuttavia, mentre l’uomo tende a seguire spontaneamente le inclinazioni sensibili, i precetti razionali hanno sempre carattere imperativo, ovvero il soggetto vi si sottomette soltanto attraverso una forma di coercizione della volontà da parte della ragione. Gli imperativi della ragione si distinguono in due tipi. Gli “imperativi ipotetici” comandano un’azione in vista di un fine particolare – e quindi non possono avere validità universale. L’”imperativo categorico” comanda invece incondizionatamente: l’azione che esso impone deve essere compiuta in ogni caso, senza riguardo a situazioni o interessi particolari, per il solo fatto che essa viene comandata direttamente ed esclusivamente dalla ragione. Esso vale sempre e per tutti, necessariamente e universalmente. Soltanto l’imperativo categorico, dunque, soddisfa l’esigenza di universalità. Essendo indipendente da condizioni e scopi particolari, questo imperativo non ha un contenuto materiale, ma è puramente formale: esso non dice che cosa si deve fare, ma come si deve agire affinché l’azione possa essere moralmente positiva. Esso bada quindi non tanto al risultato, quanto all’intenzione dell’agire. La sua formulazione più generale recita: “Agisci secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che diventi una legge universale”. La massima che esprime la regola soggettiva dell’azione deve poter valere come “legge universale”, cioè come regola oggettiva dell’agire umano. L’agire morale comporta il massimo rispetto per la legge della ragione. Ma la ragione e l’umanità sono coessenziali: non si può rispettare la ragione senza rispettare l’umanità presente in noi o negli altri (perciò è moralmente riprovevole il suicidio come la violenza verso gli altri): in ciò sta l’”autonomia”, in cui l’uomo, attraverso la ragione, dà a se stesso la propria legge. Viceversa, ogni comportamento in cui la volontà sia determinata da inclinazione sensibili, è espressione di “eteronomia”, poiché l’uomo subisce su di sé una legge diversa dalla sua natura razionale – che è la legge, necessaria e non libera, della natura. - I postulati della ragion pratica. La libertà La legge morale è per Kant un “fatto” che l’uomo scopre nella propria coscienza razionale. Come tutti i dati di fatto essa non ha bisogno di una “deduzione”, ma si giustifica da sé. Anzi, essa consente a sua volta di “dedurre” la realtà pratica di un concetto che nella Critica della ragion pura era ammesso come semplice possibilità: la libertà. Dal punto di vista teoretico, infatti, la sussistenza della libertà cade al di fuori dell’ambito fenomenico. Dal punto di vista pratico, invece, la libertà è una condizione sostanziale della moralità: una moralità priva di libertà non sarebbe possibile, perché verrebbe meno la capacità del soggetto di essere causa prima e quindi responsabile della propria azione: la moralità è dunque la condizione cognitiva della libertà. Pur non potendo mai accertarne teoreticamente la verità, occorre ammettere la libertà umana per non contraddire la realtà di fatto della legge morale: la libertà è un “postulato” della ragion pratica. In Kant, la libertà ha un duplice significato : 1. La libertà è una caratteristica dell'arbitrio, ossia della scelta, e precede l'azione. Ma non tutte le scelte sono libere, e scegliere il male significa rendersi chiavi, e dunque perdere la libertà. 2. La libertà si presenta perciò come esito dell'azione, perchè è l'incondizionatezza da ogni motivo determinante esterno rispetto a quello che la ragione da a se stessa. Per questo legge morale e libertà sono un tutt'uno : la legge morale coincide con l'azione libera, e azione libera non è altro che una azione morale che obbedisce alla legge. Così di deduce la ragion pratica, che è pura e razionale perché è autonoma e priva di ogni fondamento empirico. In virtù di ciò, la legge morale non comanda nessuna azione, ma solo la sua intenzionalità, ovvero la sua conformità alla legge. Certo, esistono delle azioni che sono sempre illecite, ma una azione non deve essere solo esternamente lecita, ma anche coerente con la legge morale. Per questo kant distingue la legalità dalla morale. Solo un sentimento viene ammesso come lecito movente di una azione: il rispetto, sentimento sia razionale che morale, che proviene dalla legge stessa. Esistenza di Dio e immortalità dell'anima. POSTULATO= presupposto necessario per poter pensare compiutamente la morale, e in particolare il sommo bene (virtù + felicità) Accanto alla libertà, Kant riconosce altri due postulati pratici: l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio. Se la virtù è il “bene supremo” (più alto), a essa manca tuttavia la componente della felicità per realizzare il “sommo bene” (perfetto, completo). La giustizia vuole infatti che chi è virtuoso sia anche premiato con la felicità in proporzione al suo merito. Ma tale unione di virtù e felicità, in cui consiste il sommo bene, in questo mondo non è possibile: chi vuol essere virtuoso non può ricercare la Storia e politica Il dovere dell’uomo è quello di sviluppare completamente le proprie facoltà razionali. Attraverso il succedersi delle generazioni, la specie realizza progressivamente la sua destinazione razionale, ovvero la cultura, utilizzando come strumento storico l’”antagonismo sociale” che contrappone gli individui e li induce a sviluppare i loro talenti in una competizione vicendevole: credendo di perseguire i propri interessi soggettivi, realizzano così a poco a poco il disegno di una forza storica impersonale, la Natura-Provvidenza. [Hegelismo a badili] Per essere fecondo, tuttavia, l’antagonismo deve svilupparsi nel contesto di istituzioni politiche che impediscano una sua degenerazione in vera e propria guerra e lo rendano compatibile col diritto – che è definito come l’insieme di condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio dell’altro secondo una legge universale della libertà. Diritto e cultura procedono di pari passo nella storia. La prima tappa storica nel processo di realizzazione del diritto è il passaggio dallo stato di natura, che Kant considera hobbesianamente come stato di guerra, alla società civile. Ma lo Stato potrà realizzare pienamente il diritto soltanto quando assumerà la "forma di governo repubblicana”, nella quale il governo esercita il potere inesclusivo ossequio della legge, ovvero in conformità con la volontà popolare da cui la legge deve emanare. Suoi connotati politici sono il carattere rappresentativo e la dei poteri.Una piena realizzazione del diritto comporta tuttavia una sua estensione dall’ambito statale a quello internazionale. In “Per la pace perpetua”, Kant auspica pertanto la costituzione di una “federazione degli Stati per la pace”, la quale deve respingere per sempre la guerra come strumento per dirimere i conflitti e sottoporre le future vertenze a un Parlamento comune. Nella Francia rivoluzionaria, che si è ispirata al modello della costituzione repubblicana, Kant vede, inizialmente, il primo nucleo attorno al quale potrà progressivamente aggregarsi una simile federazione. Un'ideale cui l’umanità deve tendere sempre, poiché il rifiuto della guerra dell'instaurazione del diritto sono imperativi categorici della ragione pratica Religione. L’affermazione dell’esistenza di Dio dà il destro a Kant di operare il passaggio dalla morale alla religione. Quest’ultima infatti non ha contenuti diversi dall’etica, ma comporta semplicemente il riconoscimento dei doveri morali come comandamenti divini. La volontà di Dio, che comanda all’uomo quelle stesse azioni già prescrittegli dalla legge morale, non è dunque arbitraria, ma conforme alla ragione universalmente legislatrice. La fede religiosa si traduce in “fede razionale”. Cristo assume un valore esemplare per l’uomo non perché si presenti come un essere soprannaturale, ma perché la sua condotta corrisponde all’ideale razionale dell’uomo moralmente gradito a Dio. Analogamente, il cristianesimo è la migliore delle religioni poiché non è contrario a una fede puramente razionale, ma ne promuove anzi la realizzazione. CAPITOLO 23 : I post-Kantiani I post-Kantiani sono tutti quei filosofi, che dopo Kant appunto, tentarono di risolvere alcuni nodi concettuali della filosofia critica di Kant. Questi filosofi partono dal voler risolvere l'ambiguità del concetto di cosa in sè, ciò un oggetto che bobbiamo presupporre come base della nostra conoscenza, ma che possiamo pensare e mai conoscere. Infatti, secondo Kant, noi non possiamo mai vedere come le cose si danno in se stesse e per se stesse : possiamo conoscerle solo come fenomeno, vale a dire senza pretendere di andare oltre ( noumeno) le nostre possibilità di conoscenza a priori. I post kantiani, tenteranno dunque di trovare un principio che risolva non solo questo punto, ma che tenga anche uniti i due momenti quotidiani della pratica e della conoscenza. La soluzione proposta è L'idealismo, che va inteso non come un modello di pensiero in cui un soggetto crea il mondo naturale, ma come una visione del mondo che si sviluppa dall'idealismo trascendentale kantiano. Quest'ultimo è la dottrina che spiega la relazione tra soggetto e oggetto a partire dal soggetto stesso, ma che non dice nulla su chi o casa produca materialmente gli oggetti fuori dal soggetto. In altre parole, se per Kant il noumeno era un concetto limite, ora viene assunto dai post-kantini come punto di inizio della loro indagine. 1. Le prime critiche a Kant. Le filosofie post-Kantiane enfatizzano le insufficienze del criticismo sia in ambito pratico che teoretico. 1. GARVE = Distanza tra il linguaggio del criticismo, espressione dell'idealismo, e quello del senso comune. 2. JACOBI = Necessità della ragione umana ad aprirsi alla trascendenza, ovvero un non-io, una non-identità che può essere colta solo mediante la fede, e di fronte alla quale la ragione è passiva. Infatti vedere Dio come una esigenza della ragione, significherebbe che l'uomo non riesce a vedere oltre sè, finendo per sostituirsi a Dio e negandone l'esistenza. 1. ---REINHOLD = Egli afferma che la filosofia è lo strumento fondamentale per realizzare il passaggio da una condizione di vita ingenua, ad una autonomia. Per compiere questo passaggio, è fondamentale la critica data da Kant, ma questa ha un limite : Kant, infatti, non avrebbe chiarito in maniera adeguata il concetto di rappresentazione. Reinhold elabora dunque " la teoria della rappresentazione " o della facoltà rappresentativa, in cui afferma che la rappresentazione non è la raffigurazione soggettiva di un dato oggetto, ma piuttosto la struttura generale dell'esperienza. La ragione umana, infatti, accede alla realtà mediante: -Forma, espressione forza formativa del soggetto. -Materia, oggetto della rappresentazione, ovvero un elemento materiale dato che viene elaborato dalla rappresentazione. Le diverse maniere in cui forma e materia vengono combinate danno vita a 3 forme diverse di rappresentazione ( intuizione, concetto, idea) e a tre diverse forme con le quali il soggetto rappresentante interagisce con ciò che lo circonda ( desiderio, conoscenza, agire morale). Nella prospettiva di R. la rappresentazione non è creata dal soggetto, ma è data al soggetto per delimitare e definire il rapporto specifico che ha con il reale. Questo rapporto viene definita coscienza. La coscienza dunque, non è una proprietà del soggetto, ma esprime necessità secondo la quale ogni rapporto con l'essere ( Dio, legge morale, mondo) sia figurato in termini rappresentativi, ovvero come sintesi tra soggetto e oggetto della rappresentazione. Non si tratta più dunque di ricercare le condizioni favorevoli alla conoscenza, ma di affermare che alla sua base vi è la coscienza. La filosofia di R. si configura come filosofia elementare, cioè una descrizione a priori degli elementi universali della coscienza, che non ha più come fondamento la cosa in sè, ma la coscienza ( relazione tra rappresentazione e rappresentato). La coscienza, non ci dice come sono fatte le cose, ma come noi possiamo vederle e comprenderle. Noi possiamo conoscere il mondo solo mediante le rappresentazioni di esso, cioè senza filtrare il mondo esterno con la nostra mente. La filosofia è lo studio di queste operazioni. 2. Scetticismo e psicologia. Salomon Maimon e Gottlob Schulze hanno condotto una critica sia alla filosofia Kantiana che alla filosofia elementare di Reinhold. Essi muovono 3 critiche fondamentali: 1. Kant e Reinhold hanno tralasciato la diversità tra intuizione e concetto. Il concetto si crea nel momento in cui un soggetto da una esperienza costante di un tale evento, sul quale poi trae un concetto. Dunque il concetto non può essere considerato una conoscenza a priori. 2. Il principio di rappresentazione di Reinhold deve presupporre un principio di non contraddizione. 3. La filosofia elementare si base sulla relazione tra conoscenza e rappresentazione, ma deve tenere conto anche delle esperienze non rappresentative. Una soluzione può essere trovata sostituendo alla filosofia la psicologia, che studia gli eventi mentali dell'individuo durante la sua esperienza del mondo. CAPITOLO 25 : Johann Gottlieb Fichte 1.Rivoluzione e rivelazione F. è inizialmente interessato alla politica, non alla filosofia. Ciò è visibile in part. in due scritti : ⦁ La rivendicazione della libertà di pensiero dai principi dell'Europa che l'hanno finora calpestata ⦁ Contributi per rettificare giudizi del pubblico sulla Rivoluzione Francese In questi scritti F. denuncia una visione assolutistica ( sovrano con poteri conferitegli dalla divinità, e dunque illimitati) dello stato, e rivendica invece una concezione antidispotica (contraria alla tirannia del sovrano), basata sui principi della rivoluzione francese. Questo cambiamento è possibile in quanto all'interno dello stato, vi sono diritti alienabili ( che nascono dallo stato) e inalienabili, come la volontà e la libertà di parola. Dato che lo stato è un sistema anto dalla volontà dei singoli, e dato che quest'ultima può mutare, è legittimo poter cambiare l'ordinamento dello stato. L'indagine sulla volontà è al centro di un altro scritto, il Saggio, in cui F. riprende alcuni tempi Kantiani: A partire dall'idea di Sommo bene, F. mostra che l'oggetto della nostra conoscenza non sono SOLO le rappresentazioni, ma anche la volontà, definita come pura spontaneità soggettiva, incline a soddisfare i nostri desideri e a ricercare la felicità. La volontà dunque, nelle sue determinazioni, non è interamente pura. Ora, dato che l'idea di Dio non riesce da sola ad orientare la volontà umana ad agire moralmente, deve esistere uno strumento che agisce soprattutto a livello sensibile, e cioè dei sensi. Questo strumento è la rivelazione, che indirizza l'attenzione umana verso l'agire moralmente. La volontà, perciò, può essere definita sia principio pratico che teoretico : ⦁ Teoretica = stabilisce che la nostra conoscenza è rappresentativa.( noi conosciamo le rappresentazioni) ⦁ Pratica = Oltre alle rappresentazioni, noi possiamo conoscere anche l'idea di libertà, ovvero che non siamo controllati meccanicamente da ciò che ci circonda. La Filosofia, in conclusione, deve avere alla base sia un sapere teoretico che pratico, ma soprattutto ,per liberare lo scetticismo, deve avere come fondamento la libera attività dell'intelligenza.