Scarica Riassunto di letteratura greca 1 (5 anno liceo classico) e più Sintesi del corso in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! Riassunti di Letteratura Greca Parte prima ● L’Età Ellenistica La civiltà ellenistica: Il termine Ellenismo indica quel periodo della civiltà greca che inizia con la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e termina con la sconfitta di Cleopatra e la conquista romana dell’Egitto (31 a.C.). Il centro di maggiore diffusione della cultura ellenistica fu la città di Alessandria. L’età ellenistica rinchiude l’età alessandrina (regno di Alessandro) e l’età dei diadochi (i generali più fidati alla morte di Alessandro) Alla sua morte, l’impero di Alessandro viene diviso in 4: Egitto, Siria, Pergamo e Macedonia, affidati ai 4 diadochi, 4 dinastie diverse e grandi monarchie. L’età ellenistica segna il definitivo trapasso dalla cultura orale a quella della scrittura, identificando nel libro il veicolo privilegiato di trasmissione del sapere e nella biblioteca il luogo della sua tesaurizzazione (conservazione di ricchezze). Con la caduta delle poleis greche, muoiono anche i dialetti e nasce una lingua comune a tutti i popoli, la Koinè, quindi tutti possono avere accesso alla cultura ellenistica e partecipare alla divulgazione del sapere. Biblioteca di Alessandria → luogo più importante per studio e conservazione della cultura. Circa 500.000 volumi di opere di letteratura greca, catalogate, annotate e pubblicate da grammatici e filologi. Hanno salvato moltissimi testi antichi che sono arrivati a noi oggi. Anche a Pergamo vi era un centro di cultura simile. Alessandro, dopo aver conquistato ed unificato la Grecia, concepì e portò a termine un progetto ancora più audace, cioè quello di conquistare un vastissimo territorio che si estendeva dall’Egitto all’Asia Minore, alla Mesopotamia, alla Persia, fino alla remota India. Sotto il suo impero, era riuscito a controllare un’area geografica vasta quanto il mondo conosciuto, unificata da una sola lingua ed una mescolanza di culture diverse. L’esportazione della civiltà ellenistica in regioni così lontane, infatti, favorì l’interscambio fra mondo greco e civiltà orientali, facendo nascere un mondo totalmente nuovo per il cittadino greco, che è costretto ad uscire dalla vita confinata della propria polis. Egli si trova quindi disorientato dalla consapevolezza della perdita di quegli antichi valori collettivi, in uno spazio senza più confini, e da ciò viene indotto a chiudersi in se stesso e a cercare dentro di sé l’equilibrio perduto. In questa atmosfera, cosmopolitismo e individualismo finiscono paradossalmente col coesistere come aspetti opposti e complementari della stessa realtà. Inoltre, con la morte delle poleis e l’arrivo delle monarchie, il cittadino che prima poteva 1 esprimere le proprie opinioni e contribuire alla vita politica adesso deve sottostare al volere del sovrano e non ha alcuna influenza nella vita pubblica. I caratteri culturali della civiltà ellenistica sono: - In campo filosofico, dominato dalla crisi dei valori e dall’incertezza del futuro, l’uomo si pone più interrogativi teologici, né ambisce a trovare le spiegazioni sull’origine dell’universo, ma cerca una formula che gli garantisca le felicità e l’impermeabilità ai turbamenti: tra le varie dottrine filosofiche troviamo l’Epicureismo, basato su una visione individualistica dell’esistenza, e lo Stoicismo, che al contrario proponeva un forte legame tra singolo e collettività. - La scienza conosce una grande fioriture in tutti i campi e viene non solo separata dalla filosofia ma anche apprezzata, al punto che i sovrani decidono di finanziare gli studiosi e offrire loro strutture che gli garantiscono le migliori condizioni di ricerca. - Se le nuove dottrine filosofiche appagano le esigenze delle classi più elevate, i ceti più bassi si rivolgono ai culti religiosi misterici di tipo esoterico e salvifico. Tale nuova religiosità trova anche espressione nel divinizzazione del sovrano. - L’architettura è ora tendente al grandioso; il palazzo del re costituisce il centro della nuova città e l’agorà, spogliata di ogni funziona politica, diventa solo un elemento urbanistico e di commercio. - Le arti, specialmente la scultura, rifiutano definitivamente lo stile ‘classico’, inteso come gusto per l’ordine e la misura, oscillando tra realismo esasperato e ‘barocco’. - La produzione letteraria non ha più come destinatario la comunità cittadina, ma il sovrano e la sua corte, cosicché essa diviene espressione di un’arte sempre più raffinata ed erudita, una letteratura edonistica, dal greco “edoné”, “di piacere”. Menandro e la Commedia Nuova: Il tramonto della civiltà della polis ebbe grosse conseguenze anche sul teatro, sia tragico che comico, che di quella civiltà e dei suoi valori era stato l’esponente più alto. La tragedia scomparve, mentre la commedia subì un lento e costante processo di trasformazione nelle forme e nei contenuti. Contemporaneamente al mutare delle reali circostanze esterne, il protagonista del teatro cominciò progressivamente a perdere le distanze dalla polis, che finì poi per scomparire del tutto. Dopo Aristofane scomparve la tematica politica e, conseguenzialmente, gli spunti offerti agli attacchi personali da parte del commediografo. Strutturalmente, all’interno del genere comico venne a mancare la parabasi e vi fu una drastica riduzione degli intermezzi corali. Per avviare e consolidare tali modifiche sostanziali, però, vi fu un lungo spazio di tempo, di circa settant’anni, che potrebbe costituire la prova di una fase “di mezzo” della commedia, caratterizzata principalmente dall’assenza di satira politica e dalla presenza della parodia mitologica. Da cui nasce la tradizionale tripartizione della storia della commedia, divisa in fase antica, fase di mezzo, e fase nuova, il cui principale esponente fu Menandro. 2 Gli inni → 6 componimenti dedicati ad altrettante divinità. Stile e lingua oscillanti tra tradizione formale dell’epica omerica e volontaria violazione di essa. Continua innovazione, nei contenuti, nei personaggi e nel rapporto Dio-sovrano ellenistico. Gli epigrammi → una sessantina, giunti a noi attraverso l’Antologia Palatina. I temi trattati in questi componimenti sono i più diversi (erotici, funerari, dedicatori, encomiastici, ecc) così come assai ricca è la gamma di sentimenti e di stati d’animo che riflettono. Varia l’estensione dei singoli carmi, alcuni composti da un solo distico, altri dall’ampiezza di brevi elegie. Apollonio Rodio e la poesia epico-didascalica: Non si sa molto della vita di Apollonio, forse nato ad Alessandria e probabilmente fu per un periodo il direttore della biblioteca. Inizialmente allievo di Callimaco e poi suo contestatore, molti studiosi moderni interpretano il suo poema epico Le Argonautiche come un fallimento nel contrastare la tesi callimachea della “morte dell’epos” e un tentativo di manifestare il valore della poesia tradizionale. In realtà non fu così, perché non si può affermare che l’opera di Apollonio sia una ripresa pura e semplice del poema di tipo omerico, né rappresentano una violazione dei principi callimachei, ma ne costituiscono al massimo una deviazione “eretica”, il tentativo cioè di andare oltre la frammentarietà dell’epillio, utilizzandolo come elemento cellulare per la costruzione di una struttura più vasta: un nuovo tipo di poema epico, sperimentalistico, “modernizzato” e adattato all’atmosfera politica e sociale dell’età ellenistica, un’opera in cui l’archetipo omerico venisse impiegato come base su cui innestare moduli narrativi e procedimenti stilistici propri della poesia alessandrina. Infatti Apollonio intrattiene un ambiguo rapporto col modello omerico, oggetto costante di imitazione, ma anche di vistose violazioni delle sue norme. La saga degli Argonauti, divisa in 4 libri, si colloca in un tempo mitico e in un’atmosfera surreale anteriore alle vicende narrate da Omero, dato che il carattere dell’impresa rimanda ad antichissime leggende mediterranee ed i protagonisti precedono di almeno una generazione rispetto a quella degli antichi poemi epici. A determinare una relativa svalutazione presso i moderni, che l’hanno spesso considerato un tentativo fallito di far rivivere l’epica tradizione, fu sicuramente la scarsa attenzione dedicata alla struttura di insieme del poema e il parallelo interesse rivolto solo a singole parti di esso. Infatti, il poema risulta molto frammentario e poco approfondito rispetto ai poemi epici originali, proprio perché si tratta di un genere diverso. Lo spazio in cui si svolge è circolare, ovvero il punto di partenza del viaggio e la meta finiscono col coincidere. Gli Argonauti compiono un’impresa verso la quale, infine, nessuno di loro si sente realmente motivato; da qui il senso frustrante di incertezza impotente che domina il poema. Persino in protagonista, Giasone, non gioisce delle proprie conquiste e non ha un obiettivo ben preciso da raggiungere o un forte desiderio che lo spinge, come i tradizionali eroi omerici, e non è portavoce di un valore collettivo, ma sente la sua missione solo come un peso da cui liberarsi al più presto. Non è quindi, un personaggio scialbo e mal 5 riuscito, ma solo il coerente eroe moderno di una saga straniante e mistica, paradossalmente più simile all’Ulisse di Joyce che a quello di Omero. Come lo spazio del poema tende a chiudersi in se stesso, a perdere le sue coordinate di riferimento per assumere connotati più psichici che materiali, così il tempo risulta dall’intersezione di diversi piangi cronologici, in cui gli interventi in prima persona del poeta creano un contrasto continuo tra l’asse temporale degli avvenimenti narrati e quello che s’identifica con il punto di vista di Apollonio. Apollonio descrive in modo rigorosamente cronologico la successione dei fatti, ma nello stesso tempo frantuma e complica con frequenti excursus etiologici riferiti al presente, oltre che con continue retrospezioni (analessi) e anticipazioni (prolessi) degli eventi narrati: in tal modo, alla chiusa circolarità dello spazio fa riscontro una struttura temporale segmentata e scandita da un ritmo narrativo che va facendosi sempre più accelerato. Come già detto, la trasgressione forse più vistosa dei canoni epici riguarda quello dell’impersonalità, che Apollonio infrange più volte con l’uso della prima persona e la conseguente inserzione di domande, considerazioni, enunciazioni, interventi di tipo metaletterario, che spezzano il continuum della narrazione e riflettono spesso significativamente il clima culturale dell’età ellenistica, incerto e frammentario, caratterizzato da una riflessione metodica sul fatto artistico. Teocrito e la poesia bucolico-mimetica: Nemmeno della vita di Teocrito si sa molto, visse probabilmente alla corte dei Tolomei, e le premesse estetiche e ideologiche a cui sembra ispirarsi la sua produzione lo collocano di fatto nella schiera di coloro che aderiscono alla “nuova poesia” sperimentale di Callimaco. Teocrito è da considerarsi il creatore di un nuovo tipo di componimento, l’Idillio, destinato ad avere straordinaria fortuna nella successiva letteratura europea. Il termine “idillio” venne usato per designare una un tipo di poesia caratterizzato soprattutto dalla trasognata descrizione di un sereno paesaggio campestre, un “quadretto” di vita pastorale o contadina fortemente stilizzato e iscritto dentro ideali coordinate spaziali e psicologiche. Teocrito è anche questo, ma non solo: in lui si nota una tensione sospesa fra oggettivismo e idealizzazione, tra dichiarata aspirazione a descrivere la realtà e irresistibile tendenza a evadere da essa. La continua sovrapposizione dei due piani fa della poesia teocritea un unicum nella letteratura occidentale. Di “realismo” teocriteo, poi, si può certo parlare a patto di non usare questo termine nella sua accezione storico-culturale. Anche se nasce da una precisa osservazione della realtà, la poesia di Teocrito non presenta i tratti sociologici tipici del verismo o naturalismo. Semplicemente, il suo costante inserimento entro fissi riferimenti temporali (il pieno rigoglio dell’estate, la quiete silenziosa dell’ora meridiana, immersi tra gli alberi ombrosi e i mormoranti ruscelli) ne sottolinea il carattere di stilizzato “luogo ideale” che fa da sfondo alle contese a ai tormenti amorosi dei suoi personaggi con una divertita e distaccata ironia, che ricorda quella di Callimaco. 6 Il corpus teocriteo risulta costituito da 30 componimenti, e il termine “idillio”, attribuito successivamente, può essere adattato solo in parte ai componimenti di Teocrito. Solo i primi 10, infatti, sono Idilli bucolici, ed è a questi che è principalmente legata la fama di Teocrito, considerato inventore di questo genere letterario. Particolare rilievo per la comprensione della poetica teocritea assume l’Idillio VII. Non si tratta solo di un’investitura con cui Teocrito rivendica a sé il ruolo di inventore del genere, ma anche di una precisa enunciazione poetica, che riecheggia motivi cari a Callimaco e alla sua scuola: se all'insistenza sul motivo della “verità” si può infatti vedere una ripresa polemica contro la teorizzazione aristotelica della poesia come mimesi, il riferimento a Omero e ai suoi goffi successori equivale al rifiuto dell’epos tradizionale a favore dell’”esilità” del poema. Come in Callimaco, a essere contestato non è tanto il poema, ritenuto immutabile perché inarrivabile, quanto i suoi maldestri continuatori. Se l’ambientazione dei dieci Idilli bucolici è prettamente agreste, il mondo cittadino è lo sfondo in cui si muovono i personaggi dei cosiddetti Mimi Urbani. Sono 3 componimenti, e in particolare nelle Siracusane, la vena di Teocrito non è più quella naturalistica di contenuto agreste, ma attinge essenzialmente a quel filone intimistico e borghese caro a Menandro, che ha anche parte importante nella letteratura ellenistica. Teocrito riprese certamente due mimi del conterraneo Sofrone, proponendosi come continuatore di una tradizione ma nel contempo rivelandosi tipico esponente della poesia del suo tempo nell’impiego di certi mezzi stilistici e formali: esametro al posto della prosa, dorico letterario, elogio cortigiano e soprattutto il tema amoroso, taboo della letteratura antica. L’elemento fondamentale della poesia di tipo bucolica è ovviamente il paesaggio. Sempre uguale a se stessa, la campagna di Teocrito è quella colta nel pieno rigoglio dei frutti e delle messi, da cui l’ombra degli alberi e il fresco mormorio delle fonti offrono un confortevole riparo. E’ in questo paesaggio lussureggiante che levano il loro canto pastori e contadini, e il più delle volte sono canzoni d’amore, che dietro a immagini agresti celano una tecnica elaborata e raffinatissima, a cui è contrapposto il duro lavoro contadino. Insieme al paesaggio, infatti, l’amore è l’altro grande protagonista della poesia teocritea, ed è questo elemento che accomuna il siracusano ai maggiori esponenti del suo tempo, i quali proprio nell’eros trovano larga fonte di ispirazione, compensando il venir meno delle tematiche religiose, civili e morali tipiche del mondo della polis. Di questo sentimento egli sa descrivere ogni sfaccettatura e manifestazione, cogliendolo nel suo progressivo sviluppo fino all’incontenibile prorompere della passione. Il terzo elemento che caratterizza la poesia di Teocrito, soprattutto quella mimetica, è il realismo. E’ infatti fuor di dubbio che i personaggi e le situazioni nascono da un’attenta osservazione della realtà, ma ciò non esclude che sia una realtà filtrata da un’arte di fervida fantasia ed estrema raffinatezza formale, che si manifesta come nesso inscindibile di oggettivismo e soggettivismo. Il realismo dei mimi si manifesta anche attraverso una mistione continua di livelli stilistici e di toni che spesso raggiungono accenti di inaspettata crudezza, specialmente nel tema della passione. In questo prodigioso equilibrio di realtà e 7 fra le ragioni del dominio romano e della caduta macedone non c’era più soltanto una vittoria o una sconfitta, ma l’efficienza di un sistema politico. Per la storiografia si trattava di una svolta epocale: lo storico doveva dotarsi di una dimensione culturale totalmente nuova e porsi in una prospettiva diversa rispetto a quella greca. La cultura antica, infatti, non era più in grado di affrontarne l’analisi di un mondo il cui baricentro politico si era definitivamente spostato verso occidente e Roma. Quindi, se nella cultura greca del periodo precedente tutto era stato visto da un’ottica ellenocentrica, ora il mondo e i suoi confini erano mutati, e quindi anche l’analisi storico politica doveva essere condotta su direttrici diverse, ponendosi al centro delle due culture ed essendo universale. Vivendo a Roma, Polibio imparò a comprendere i motivi profondi che avevano fatto di quella una città diversa e quindi decise di scriverne un’opera storiografica di 40 libri, di cui solo 5 sono pervenuti interi, chiamate le “Storie”. Oggetto della storia polibiana è quindi il racconto delle straordinarie conquiste di Roma, strabilianti se confrontate con quelle macedoni, e riconosce che Roma sarà il nuovo centro d’azione della storia e della cultura, e che presto quella greca scomparirà. Al requisito dell’universalità, necessario per avere una visione d’insieme dei fatti, Polibio associa quello della pragmaticità dell’indagine storica. Questa deve fondarsi sulla realtà dei fatti, di cui lo storico è testimone diretto, e da cui devono essere bandite le genealogie mitiche o altre fonti delle quali è difficile accertare il fondamento storico. Fine della storia è la funzione di MAGISTRAE VITAE, nel vero senso della parola: l’uomo tramite la storia può arricchire la propria formazione imparando, attraverso gli esempi altrui, a valutare una situazione perché è possibile, sulla base di ciò che è successo, fare previsioni sicure sul futuro. Per compiere questo importante compito, lo storico ha bisogno di ricercare e portare alla luce le “cause”, cioè gli avvenimenti fondamentali che hanno portato alla realizzazione del fatto storico. Polibio impiega uno schema classificatorio nel quale vengono distinte la “causa vera” (aitìa), la “causa apparente” (pròphasis) e l’ ”inizio concreto” (arché) degli eventi. Nel libro VI, Polibio dà ampio spazio ai motivi che hanno determinato la stabilità politica di Roma con l’analisi delle varie forme di costituzione con le quali le città e gli stati si governano. Polibio enumera sei forme di governo distinte in due gruppi: le forme sane (monarchia, aristocrazia, democrazia) e le forme degeneri (tirannia, oligarchia, oclocrazia). Esse si alternano l’un l’altra determinando un andamento ciclico (teoria dell’anaciclosi). 10 L’andamento ciclico delle forme di governo è quindi diretta conseguenza del principio di decadenza insito in ciascuna di esse, paragonandolo alla costituzione del ciclo biologico degli esseri vivente (nascita, crescita, morte). Nel corso del medesimo VI libro, Polibio dedica ampio spazio all’analisi della costituzione romana, di tipo “misto”, perché le tre forme di governo sane vi coesistono, bilanciandosi reciprocamente ed evitando il prevalere l’una dell’altra. La costituzione romana prevede infatti la presenza del potere monarchico (incarnato dai consoli), di quello aristocratico (rappresentato dal senato) e di quello democratico (costituito dai comitia), e ciò ha garantito a Roma una stabilità senza precedenti. La compresenza della teoria dell’anakyklosis e di quella della costituzione mista ha fatto discutere sulla difficile conciliabilità del concetto naturale di decadenza con la stabilità istituzionale che Polibio istituisce alla res publica. E’ probabile che in quelle pagine coesistano il Polibio giovane, convinto della “singolarità” dello stato romano, e le riflessioni di un Polibio maturo, che ha visto bruciare Cartagine e Corinto, maturando la convinzione che anche Roma subirà la sorte degli altri stati. All’interno della storiografia polibiana, la Tyche svolge un ruolo ambiguo, ora come forza provvidenziale, ora come personificazione di ciò che è inspiegabile, ecc. E’ comunque da intendersi come portato tipico della cultura ellenistica, un surrogato al continuo declino, della credenza nelle divinità tradizionali. Polibio pertanto non crede all’intervento degli dei: è nei fatti naturali e concreti che vanno ricercate le cause degli avvenimenti. Polibio attribuisce alla sua opera doti di aderenza al vero, esattezza, imparzialità e scientificità; esse la caratterizzano ma sono presenti anche alcune eccezioni, come qualche giudizio personale negativo dei consoli di parte democratica, dopo una sconfitta, rispetto a quelli di parte aristocratica. Altro pregio delle Storie è l’avere prospettato la necessità di un metodo d’indagine basato sul rigore dimostrativo e sulla competenza specialistica. A Polibio manca, però, la profondità di Tucidide nell’individuare la causa prima degli avvenimenti, mentre limitanti risultano l’eccesso di schematismo e lo sforzo di individuare la verità effettiva delle cose. Lo stile di Polibio bandisce ogni allettamento della retorica, e le sue opere risultano così volutamente aride nell’espressione. Sempre essenziale, il linguaggio di 11 Polibio esprime una certa prolissità nei momenti di riflessione filosofica. Rarissimi i momenti in cui lo scrittore riesce a creare effetti di pathos. 12