Scarica Riassunto di 'Letteratura latina: manuale storico dalle origini alla fine dell'impero romano' di Gian Biagio Conte e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! ALTA E MEDIA REPUBBLICA Le origini Forme comunicative non letterarie 1. Leggi e trattati - Leges regiae - Leggi delle XII Tavole 2. I fasti e gli annales 3. Commentari 4. Oratorio: Appio Claudio Cieco Forme pre-letterarie → carmina (modo di scrivere a effetto) 1. Poesia sacrale: ➢ Carmen Saliare ➢ Carmen Arvale 2. Poesia popolare ➢ Versi Fescennini (produzione orale e improvvisata con caratteri di motteggio e comicità) ➢ Carmina Triumphalia 3. Canti eroici (scarsa rilevanza, grecizzazione di Roma e tramonto) Questione del saturnio → indigeno e puramente italico? Epoca già imbevuta di cultura greca, ma non riconducibile a nessun verso greco. (+) verso quadratus Il teatro romano arcaico Diffusione del teatro nella Roma arcaica fra 240 a.C. e gracchi Generi teatrali romani in origine prodotti di importazione: a. Principale genere comico: la palliata → togata o trabeata b. Principale genere tragico: la cothurnata → praetexta Mediazione etrusca Teatro romano e festività pubbliche (intrattenimento collettivo): ➢ Ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo ➢ Età di Plauto e Terenzio: ludi Megalenses, ludi Apollinares, ludi Plebeii Influsso di committenti < influsso pubblico Non ha contatti con sfera politica ma realismo 207 a.C. - confraternita degli autori e degli attori Oneri finanziari dello stato (magistrati) 55 a.C. – primo teatro in pietra. Scena (riproduce quella greca): ➢ Esterno, di fronte a due o tre case ➢ Strada che porta al foro e fuori dallo spazio urbano Maschere per far riconoscere il tipo Le forme: a. La commedia Palliata latina Commedia Nuova (Nèa) Plauto Menandro Non divise in atti Divise in atti Composte di parti cantate e recitate o, meglio, tre distinti modi di esecuzione: ➢ Parti recitate senza accompagnamento musicale (senari giambici) ➢ Parti recitative con accompagnamento musicale (settenari trocaici) ➢ Parti cantate (molti metri) Composte solo di parti recitate o recitative Impressione di ricchezza e vitalità Effetto di realismo borghese, struttura più lineare e uniforme (vs commedia antica di Aristofane) b. La tragedia Tragedia latina Tragedia attica del V secolo Scomparsa della lirica corale Alternarsi di parti dialogate, recitate e recitative, e di parti liriche → presenza di cori (fusione fra testo e coreografia) Vuoto di stile e di immagini → alzano tutto il livello stilistico dei drammi vs lingua quotidiana Cori hanno funzione di commento. Stile separato da quello delle parti individuali Soluzioni metriche dalle più forti temperature stilistiche e sentimentali (poco il senario): recitativi in settenario trocaico e i vari tipi di cantica Colloquiale trimetro giambico: veicolo della comunicazione ‘razionale’ Generali carenze strutturali del teatro latino → sistema teatrale ‘alla greca’, ma manca passato letterario (+) genere popolare dell’Atellana (sorta di commedia dell’Arte): ➢ Canovacci ➢ Maschere fisse e ricorrenti III. per la parte storica utilizza un linguaggio concreto, semplice → tecnicismi (vs poesia epica classica PLAUTO (255-250 a.C. – 184 a.C.) • genere letterario: commedie palliate, ispirate a modelli greci • aspetti chiave: rovesciamento burlesco della realtà e dei rapporti sociali; intrecci basati su beffa, equivoco, caricatura o parodia di tipi umani; rottura dell'illusione scenica; personaggi dai caratteri fissi e centralità della figura del “servo astuto” • stile: artefatto, espressionistico, ricco di forme colloquiali, neologismi e figure retoriche, grande creatività verbale • pubblico: persone di varia estrazione sociale, che assistono agli spettacoli teatrali organizzati dallo Stato nell'ambito delle festività religiose • fortuna: dopo l'oblio medievale, diventa uno dei principali modelli del teatro comico moderno Primo autore della letteratura latina di cui si leggono opere intere. Derivò le sue commedie dai modelli greci, attuando una sintesi originale della commedia ellenistica e di elementi attinti dalla tradizione popolare della farsa italica. Ebbe straordinarie capacità fantastiche ed espressive, tanto che i suoi temi e i suoi tipi vennero ripresi ed imitati in tutto il teatro comico europeo. Della persona storica, tuttavia, si conosce ben poco. Gli stessi nomi che gli sono attribuiti dalla tradizione, Tito Maccio Plauto, sono dubbi: si suppone che egli abbia utilizzato in momenti diversi della sua carriera nomi differenti, prima Maccus (non M. Accius: sicuramente cittadino libero, ma non romano) dalla sua attività di attore di atellane, poi Plautus, nome d'arte o soprannome scherzoso (romanizzazione dell’umbro Plotus). Si sa che nacque qualche anno prima del 250 a.C. a Sàrsina (ai tempi in Umbria, oggi in Romagna) e che morì nel 184 a.C. Iniziò l'attività di commediografo a partire dagli anni della Seconda Guerra Punica e le sole commedie di cui è certa la datazione sono lo Stichus (200 a.C.) e lo Pseudolus (191 a.C.) (scritto da senex – cfr. Cicerone); sulla base di alcuni riferimenti ai culti bacchici, si collocano le Bacchides e la Casina nell'ultimo periodo della sua vita. Le ventuno commedie “varroniane”: Marco Terenzio Varrone (erudito del I secolo a.C.) si occupa del problema dell'autenticità delle opere plautine (forte attività editoriale): conta 130 commedie sotto il suo nome (la fama di Plauto era tale che, attribuendo le opere a lui, il successo era garantito), riesce ad individuarne 21 (De Comoedis Plautinis) di cui l'autenticità metteva d'accordo tutti gli studiosi; queste commedie vennero lette e trascritte nel corso dei secoli e giunsero fino a noi (della Vidularia restano però solo pochi frammenti, quindi ne rimangono intere solo 20). → Anfitrione; La commedia degli asini; La commedia della pentola (Aulularia); Le Bàcchidi; Càsina; Gorgoglione o Pidocchio (“parassita”, nome parlante del protagonista, allude di per sé al carattere del personaggio); Menecmi; Il soldato fanfarone (Miles Gloriosus); La commedia del fantasma (Mostellaria); Psèudolo (“bugiardo”, nome parlante); I prigionieri; La commedia della cassetta/cestella (Cistellaria); Epìdico; Il mercante; Il persiano; Il piccolo cartaginese (Poenulus); La gòmena; Stico; Le tre monete; Il tanghero. NB: le commedie più ricche di ritmi variegati e ricercati sono più tarde di quelle più semplici. Intrecci e personaggi ricorrenti: trame tipiche e prevedibili della commedia nuova greca, con intrecci complicati ma ripetitivi, con situazioni e personaggi convenzionali. Importante anche la presenza di prologhi espositivi per evitare qualsiasi colpo di scena. → Adulescens, giovane innamorato di una donna e ostacolato nel suo amore (ostacolo = mancanza di denaro per ottenere i favori della ragazza se questa è una cortigiana; impedimenti di carattere familiare e sociale se la ragazza è onesta). È dipendente economicamente dal padre, ma cerca di fare valere i diritti della gioventù e dell'amore, sostenuto da uno o più aiutanti (giovane amico, vecchio comprensivo, parassita, servo intelligente e audace). → Spesso la trama consiste nella lotta fra due antagonisti per il possesso di un bene: serie di espedienti, trovate ingegnose, finzioni e inganni messi in opera dal servus callidus (servo scaltro) per raggirare gli antagonisti (padre avaro e severo, lenone cinico, soldato mercenario prepotente e stupido). → Il lieto fine è presente senza eccezioni in quanto elemento strutturale del genere comico; il giovane e i suoi aiutanti hanno la meglio sugli antagonisti, l'adulescens realizza i suoi desideri amorosi conquistando la cortigiana o sposando la ragazza libera, o che alla fine della commedia si rivela tale grazie al “riconoscimento”, topos frequente nella commedia nuova greca per cui una trovatella o una ragazza povera o caduta nelle mani di un lenone si scopre alla fine libera e di buona famiglia, figlia di un rispettabile cittadino, perduta o rapita da bambina, quindi fidanzata ideale per il giovane che la ama. La vittoria finale è giustificata quindi dall’opposizione fra realtà iniziale e realtà finale: giustificata anche l’azione immorale del servo. Importante: forza onnipresente della Fortuna che rappresenta un quoziente imprevedibile, ostacolo all’altezza del servus. Le commedie del servus callidus (forma preferita – cfr. Commedia Nuova): Pseudolus, Bacchides, Mostellaria e Miles Gloriosus rientrano nello schema generale precedentemente delineato, ma senza il matrimonio finale, in quanto le ragazze amate sono cortigiane. La coppia è quindi giovane desiderante – servo raggirante, ma il vero protagonista è il servus callidus, che svolge il ruolo di aiutante ma che è in realtà l'eroe comico su cui si concentrano attenzione e simpatia di autore e pubblico; egli è abile orditore d'inganni, è sicuro di sé fino all'insolenza, sempre pronto a prendersi gioco di amici e avversari inventando battute e giochi di parole (inventore dell’azione scenica e portavoce della creatività verbale). → Gli antagonisti spesso tendono all'esagerazione caricaturale e grottesca, sono dotati di travolgente comicità. Si sviluppa in tre momenti: 1 Il servo medita l’inganno 2 Agisce 3 Trionfa Il servo è l’equivalente e il rispecchiamento del poeta drammatico, da cui si produce l’effetto meta- teatrale. Rappresenta una figura centrale e un forte punto di attrazione anche se è personaggio socialmente debole (anti-realistico). La “commedia di carattere”: commedia incentrata sulla delineazione di un tipo psicologico (numero veramente limitato di ‘tipi’); ad esempio, nell'Aulularia è presente il consueto amore ostacolato che alla fine si realizza felicemente e la figura del servo, tuttavia lo spazio maggiore è però occupato dal personaggio del vecchio, magistrale raffigurazione dell'avaro; la comicità nasce dall'accentuazione iperbolica del difetto del personaggio, ma nei meccanismi psicologici che il poeta gli attribuisce il pubblico riconosce la rappresentazione deformata di atteggiamenti/spunti/tentazioni presenti in tutti gli uomini (attaccamento al denaro, paura della povertà,, diffidenza verso gli estranei). L'avaro, pur spingendosi oltre i confini della verosimiglianza, appare vivo, reale, credibile. La beffa: commedia caratterizzata da una comicità spiccatamente farsesca e licenziosa, connessa soprattutto al motivo delle “nozze maschie” (la sposa viene sostituita con uno scudiero travestito); ad esempio nella Casina è presente il solito schema di base che si conclude col matrimonio, ma la vicenda passa in secondo piano, in quanto il vero protagonista è il senex libidinosus, il vecchio ridicolmente innamorato che viene meno ai suoi doveri di padre di famiglia e diventa rivale del figlio per la conquista della fanciulla, subendo dunque, da parte della moglie offesa e dei suoi aiutanti, una punizione esemplare. La “commedia dell'equivoco”: fondata sullo scambio di persona. In Menaechmi i gemelli uguali di nome e d'aspetto compaiono uno in scena al posto dell'altro e viceversa, trovandosi ad agire in un contesto predisposto per l'altro, scaturendo così il divertimento del pubblico. L’agnizione finale risolve la trama. Nell'Amphitruo al tema dell'equivoco si accompagna quello dello sdoppiamento dell'io, della paura di aver perso la propria identità, scatenata dall'incontro con il proprio doppio. Rapporti con i modelli greci: Plauto adatta, riprende, rielabora commedie greche di cui non possediamo il testo originale, attingendo dai principali rappresentanti della commedia nuova greca, senza particolari preferenze (Menandro, Filèmone, Dìfilo, Demòfilo, Alessi). Non fa mai riferimento esplicito ai modelli (vs Terenzio) e mantiene una coerenza di stile e maniera (non grandi variazioni) che ci danno l’idea che non si rifaccia a troppi modelli. Libera rielaborazione e “contaminazione” Quelle di Plauto non sono semplici traduzioni: egli si mantiene fedele agli originali conservandone l'ambientazione greca, assimilando il codice formativo, col vantaggio di attribuire comportamenti deplorevoli ai Greci e non ai Romani (stravolge alcune qualità fondamentali del modello); tuttavia il poeta ha anche apportato modifiche ogni volta che gli è sembrato necessario e opportuno per raggiungere con efficacia lo scopo di divertire il suo pubblico, le cui attese ed esigenze erano sotto molti aspetti diverse da quello greco. Egli fa inoltre uso della “contaminazione”, ovvero l'inserzione in una commedia (derivata da un originale greco) di una o più scene, talora anche di uno o più personaggi, tratti da un'altra commedia greca. → Trattamento libero dei modelli, come materia per significati nuovi. Il canto e le allusioni a Roma Dà uno spazio molto più ampio alla musica e alle parti cantate, riscrivendo alcuni dialoghi o monologhi in metri diversi (‘numeri innumeri’). Vi sono inoltre frequenti riferimenti a usi e costumi romani, con voluti effetti di “spaesamento”: i personaggi (che nella finzione scenica sono greci) citano politici romani o alludono a leggi, istituzioni e costumi romani, menzionano alcuni luoghi di Roma e vengono inseriti giochi di parole che non hanno corrispondenti in greco. Tocca problemi reali e quotidiani, ma i dettagli greci mantengono lo straniamento dall’azione, che avviene altrove. La comicità plautina Plauto dimostra meno interesse e cura per la coerenza e l'organicità dell’azione drammatica: egli sacrifica alla comicità immediata della singola scena sia gli equilibri della struttura • Rapporto con la Grecia (nuovi libri in circolare per affermazione del dominio romano sulla Grecia) 1. Partito filoellenico 2. Partito antiellenico → Catone il censore — non ripudio della cultura greca ma selezione per fare argine alle spinte illuministiche e di corruzione vs la morale tradizionale Cfr. Annales — celebra mores antichi come basamento per la res publica ma visione eroica della storia ed esaltazione grandi personalità ➢ Dibattito sui temi etici (cfr. antiche antilogie (discorsi contrapposti) sofistiche) ➢ Per partito catoniano pericolo della relativizzazione della morale (vs carneade) ➢ In Terenzio: ripropone ideale menandreo della philantropia • Circolo degli scipioni (Scipione l’Emiliano) — non in radicale contrasto con ideale catoniano di conservazione delle antiche virtù romane ➢ comunanza di interessi e di tendenze ellenizzanti in alcuni membri eminenti dell’aristocrazia romana (cfr. Idealizzazione di Cicerone) ➢ Apertura alla cultura ellenistica (per sprovincializzazione della classe dirigente romana, per assolvere a vocazione imperiale): a. Panezio: teoria giustificativa dell’imperialismo romano b. Polibio: razionalismo che introduceva nella valutazione degli eventi storici (schema della costituzione mista era giustificazione del regime aristocratico + religione come forza etico-politica) (+) Rapporto tra Lucilio e il circolo: legato al gusto aristocratico, propone modelli di comportamento dotati di una forte carica innovativa. Si percepiscono toni e ideali catoniani, ma emerge problema di un gusto individuale, sintesi fra gusto raffinato e morale tradizionale ENNIO (239 a.C. – 169 a.C.) • condizione socio-culturale: di origine straniera, gode della protezione di influenti famiglie romane • generi: epica storica in esametri; tragedia e commedia (non comico di rilievo, ma è l’ultimo che si cimenta in entrambi i generi teatrali); prosa e poesia di argomento filosofico; satira • aspetti chiave: ellenizzazione della cultura romana; concezione individualistica della storia Primo poeta latino a scrivere un poema in esametri (metro di Omero), poi utilizzato da tutti gli epici successivi (fu modello stilistico principale del De rerum natura di Lucrezio e dell’Eneide di Virgilio). In età augustea viene considerato il vero fondatore e “padre” della letteratura latina. Abbiamo solo frammenti di tradizione indiretta, ma è citatissimo. È il più amato dei poeti arcaici (tradizione anche figurativa) e per secoli rappresenta il poeta nazionale (sostituito da Virgilio). Quinto Ennio fu originario della Magna Grecia: nacque nel 239 a.C. a Rudiae, nei pressi di Taranto, e conosceva perfettamente tre lingue: il latino, il greco e l'osco (lingua italica molto diffusa nell'Italia meridionale). Durante la Seconda Guerra Punica combatté in Sardegna tra le truppe ausiliarie, per poi essere condotto a Roma nel 204 a.C. da Catone. Qui svolse attività di insegnante e conquistò il favore di illustri personaggi schierati su posizioni diverse da quelle di Catone, fautori del processo di ellenizzazione della letteratura e cultura romane (tra cui Scipione l'Africano e Marco Fulvio Nobiliore, che lo volle con sé nella campagna militare contro gli Etòli). Ottenne la cittadinanza romana romana nel 184 a.C. Morì nel 169 a.C. Gli Annales: poema epico-storico (una delle pochissime opere poetiche di età medio-repubblicana) diviso in 18 libri, composto nel corso di molti anni. Se ne conservano solo frammenti, per un totale di 600 versi superstiti. Ennio prosegue il filone, inaugurato da Nevio, del poema epico-storico d'argomento romano (riassunta la parte sulla seconda guerra punica per confronto con modello). Il titolo indica l'ordine cronologico della narrazione (vs Nevio, che oltretutto compone per blocchi) e insieme l'intenzione di non raccontare soltanto un episodio della storia romana, ma tutta la storia di Roma, dalle origini all'età contemporanea; esso inoltre rimanda sia ai documenti ufficiali (Annales Maximi) in cui i pontefici registravano, anno per anno, i principali avvenimenti politico-militari, sia alle prime opere storiografiche, iniziate a Roma negli anni della Seconda Guerra Punica. È più selettivo di uno storico, riprende soprattutto avvenimenti bellici. La funzione celebrativa è infatti fondamentale. Sappiamo che compose dirette celebrazioni e che la poesia di corte era tipica dell’età ellenistico. Ritroviamo il modello poesia + panegirico con Nobiliore che sottolinea il vincolo stretto fra letteratura e politica. L'estensione del dominio di Roma sui popoli via via assoggettati era giustificata dai valori politici e morali di cui i Romani erano portatori. Oltre al racconto di gesta, infatti, egli propone esempi di comportamento e modelli culturali, attraverso i quali avviene il trionfo dell’ideologia aristocratica. I mores antiqui, “virtù tradizionali”, sono impersonate dai viri, cioè grandi condottieri e uomini politici, di cui ritroviamo i ritratti, a discapito di celebrazioni anonime e collettive (vs Nevio). Proprio l'esaltazione di nobili e valorosi personaggi doveva caratterizzare il racconto enniano, secondo una concezione individualistica della storia (“la storia viene fatta dai grandi uomini”). Ha una concezione colta e umanistica delle virtus: non solo elogia virtù guerriere ma anche virtù di pace (la poesia deve portare incivilimento). ➔ Annales come testimonianza di un mutamento, anche se non fa un consolidato bilancio o una sintesi compiuta dell’imperialismo romano (non visse abbastanza) Attua un’articolazione in 18 libri, unità narrative. Libri Contenuto I Caduta di Troia e arrivo in Lazio di Enea. Storia della figlia di Enea, Ilia (la Rhea Silvia di Livio) e dei suoi figli Romolo e Remo: salvataggio dei gemelli dalle acque del Tevere, conflitto per la fondazione di Roma, uccisone di Remo da parte del fratello, regno di Romolo fino alla sua morte e divinizzazione. II – III Storia degli altri re di Roma fino alla caduta della monarchia. IV - XVIII Vicende dell'età repubblicana, con la progressiva espansione di Roma fino al 171 a.C. Il piano originario era un’opera di 15 libri (che quindi sarebbe terminata con la figura di Nobiliore). Modelli 1. Epica ellenistica (diverso per ampiezza e respiro) 2. Fabio pittore 3. Omero 4. Nevio Esemplifica le sue idee di poetica nei due grandi poemi: 1. Libro I – riprende i motivi del sogno e dell'investitura poetica di due celebri autori greci (Esìodo e Callìmaco): Ennio reincarnazione di Omero 2. Libro VII – spazio alle muse dei grandi poeti greci + Ennio primo poeta filologo (al pari della cultura alessandrina e della poesia greca) Ennio, infatti, per primo abbandona il saturnio per adottare l'esametro, il metro dell'épos greco, con l'intenzione di inserirsi nella tradizione epica e greca, pur scrivendo un'opera totalmente nuova e diversa. Stile: forte sperimentalismo → Numerosi grecismi, non solo parole o costrutti ma anche desinenze (citato da grammatici per peculiarità) → Esametri particolari: ➢ tutti in dattili ➢ tutti in spondei ➢ con pause sintattiche in quasi ogni punto ➢ tutti allitteranti e nello stesso fonema → Forte presenza di figure di suono → Stile allitterante tipico dei carmina antichi: sottopone il verso greco agli effetti dello stile romano → Adatta la lingua latina all’esametro e viceversa + elabora regole precise → Esametro verso più uniforme e regolare di quelli latini come il saturnio e applicando lo stile allitterante risulta monotono e cadenzato → aspetto più arcaico del suo stile infatti: dopo di lui si usano meno le figure di suono e più giustificate In generale, lo stile è elevato e solenne: Ennio ricorre spesso ad arcaismi presenti nell'épos romano fin da Livio Andronìco, conferendo ai versi del poema una patina letteraria di preziosa antichità. L'originalità di Ennio emerge anche nel modo in cui si accosta ad un altro procedimento tipico dell'epica greca, ossia la formularità, usando formule da lui stesso create sul tipo di quelle omeriche. → Formula = espressione di ampiezza variabile che ricorre invariata in contesti differenti, con la funzione di facilitare la memorizzazione dei testi. uno dei frammenti più lunghi tratto dal I libro Ilia, figlia di Enea, racconta alla sorella (nata dalla prima moglie di Enea) un sogno profetico, allusivo alla seduzione di Ilia da parte del dio Marte, alle successive persecuzioni e alla salvezza trovata nel fiume Tevere. Il tono nel passo è patetico, il tema del pianto compare all'inizio e alla fine. La presenza di una giovane donna che confida le proprie pene alla sorella sarà ripresa da Virgilio nell'episodio dell'Eneide in cui Didone apre il suo cuore alla sorella Anna. Le opere teatrali: Ennio eccelleva nella commedia (ma rimangono solo 5 versi) e soprattutto nella tragedia, il genere teatrale più alto e vicino all'épos; di esse si conservano una ventina di titoli (di cui 2 tragedie praetexte, Sabinae, sul ratto compito da Romolo, e Ambracia, sulla storia contemporanea) e circa 200 frammenti e si sa che ebbero un successo tale da essere rappresentate fino al I secolo a.C. Allusioni alle sue tragedie ritroviamo in Plauto. Nonostante venga spesso rappresentato diversamente dalle nostre fonti, era un uomo di teatro moderno, attento alle preferenze del pubblico, a critiche e giudizi, che si aggiorna, preoccupato del vivo fare teatro contemporaneo. Tratti salienti dello stile tragico di Ennio: → tensione stilistica dei suoi versi • pubblico: persone di varia estrazione sociale, che assistono agli spettacoli teatrali organizzati dallo Stato nell'ambito delle festività religiose • fortuna: apprezzato per le sue qualità linguistiche dall'antichità classica al Medioevo cristiano; per stile semplice e regolare e gli intenti morali, trova posto importante nei programmi scolastici fin dall'età imperiale • fonti: Svetonio Nacque a Cartagine nel 185/184 a.C. (dubbia perché anno della morte di Plauto) e giunse a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano, arrivando ben presto a stringere stretti rapporti con Scipione Emiliano e Lelio, dei nobili che furono sicuramente suoi protettori. Terenzio, autore di sei commedie, tutte integralmente tramandateci, sarebbe morto nel 159 nel corso di un viaggio in Grecia (cfr. tour culturali). Le controverse notizie biografiche inseriscono Terenzio nella cosiddetta “età degli Scipioni”, e il suo debutto teatrale avvenne subito dopo la battaglia di Pidna (168) e la definitiva vittoria romana sui Macedoni: → periodo di pace → la Grecia penetra in Roma (arrivo ostaggi – cfr. Polibio, Panezio di Rodi): modificazioni nel gusto e nella mentalità, crescita dei consumi di lusso e dei consumi d’arte, interessi per nuovi modelli culturali e ideologici Confronto con Plauto e innovazioni terenziane: il teatro plautino rappresenta un momento di intrattenimento popolare. Plauto, infatti, non sottoponeva il pubblico a sforzi di approfondimento e meditazione e a particolari scavi nella psicologia dei personaggi, ma offriva soltanto un tradizionale canovaccio di riferimento. Il teatro di Terenzio accetta l’inquadramento convenzionale e ripetitivo di queste trame, senza produrre alcuno sforzo di originalità, ma la dominante dell’autore è l’interesse per i significati, per la sostanza umana che è messa in gioco dagli intrecci della commedia, al fine di creare un genere fondamentalmente popolare per comunicare anche sensibilità e interessi nuovi. Le vicende delle commedie terenziane sono un riflesso del declino del teatro popolare latino e del progressivo divaricarsi dei gusti del pubblico di massa e della élite colta di cultura greca, mettendo in scena gli ideali di rinnovamento culturale dell’aristocrazia scipionica e in risalto l’approfondimento psicologico dei personaggi. l’autore rinuncia all’esuberanza comico-fantastica. Gli intrecci terenziani sono quelli consueti alla Commedia Nuova e alla “palliata”: giovani innamorati, servi indaffarati, e, quasi sempre, alla fine, come in Plauto, vi è il “riconoscimento” che risolve la situazione. La scelta sostanzialmente innovativa di Terenzio è quella dell’approfondimento della psicologia del personaggio, anche se, più che alla rappresentazione psicologica dell’individuo, Terenzio sembra interessato a quella del “tipo”. Tuttavia, anche se tipizzati o non dotati di forte personalità individuale, i personaggi terenziani sono spesso anticonvenzionali e innovativi rispetto alle aspettative del pubblico, ma, d’altra parte, l’approfondimento psicologico comportava una notevole riduzione della comicità, fattore che senz’altro contribuì allo scarso successo di Terenzio verso il pubblico di massa. Titolo Data Trama Andria “La fanciulla di Andro” 166 a.C. Il giovane Pànfilo ama Glicerio, una ragazza originaria di Andro, che vive presso una cortigiana, ma il padre di lui lo vuole sposo della figlia del vicino di casa, amata a sua volta da Carino. Il lieto fine si ha per mezzo del riconoscimento finale di Glicerio da parte del vicino. Hecyra “La suocera” 165 a.C. Al ritorno da un viaggio, Pànfilo scopre che la moglie Filùmena è tornata dai genitori a causa degli screzi con la suocera; in realtà ella sta per dare alla luce un figlio, frutto di una violenza subita prima delle nozze e Pànfilo, una volta scoperto ciò, decide di separarsi dalla moglie. Per mezzo di un anello si viene a scoprire che il violentatore era Pànfilo stesso, il matrimonio quindi si ricompone. (+) ebbe sorte esemplarmente infelice: solo alla terza rappresentazione poté arrivare al termine la recita. Heautontimorumenos “Il punitore di sé stesso” 163 a.C. Il vecchio Menedemo conduce una vita di privazioni e fatiche per punirsi di aver ostacolato il figlio Clìnia nel suo amore per una ragazza povera e di averlo così indotto ad arruolarsi come mercenario. Clìnia fa ritorno senza avvisare il padre ed è ospitato da un amico, innamorato di una cortigiana. Il lieto fine si ottiene tramite il riconoscimento: la fanciulla amata da Clìnia è sorella del suo amico (il quale lascerà infine la cortigiana per sposare una ragazza di buona famiglia). Eunuchus “L'eunuco” 161 a.C. La cortigiana Tàide è contesa tra un soldato (il quale le regala una schiava, Pànfila) e un giovane; il fratello di quest'ultimo, aiutato da un servo, s'introduce in casa della meretrice fingendosi un eunuco e seduce Pànfila, che alla fine si scopre di nascita libera e che quindi potrà sposare, mentre Tàide resterà col giovane. Phormio “Formione” 161 a.C. La vicenda ruota attorno agli amori di due adulescentes che, aiutati da uno schiavo e dal parassita Formione, riescono l'uno a conquistare una cortigiana, l'altro a sposare una ragazza senza dote che alla fine si scopre essere di buona famiglia. Adelphoe “I fratelli” 160 a.C. I fratelli Dèmea e Micione hanno allevato secondo metodi educativi opposti (rispettivamente autoritario e permissivo) i due figli di Dèmea, Ctesifone ed Eschino. Il primo, allevato da Dèmea, è innamorato di una cortigiana e riesce a sottrarla al lenone con l'aiuto di Eschino. Questi a sua volta ha una relazione clandestina con una ragazza povera e sta per avere un figlio da lei. Dopo una serie di equivoci, entrambi gli adulescentes riescono a realizzare il loro amore. (+) è considerata la più significativa dal punto di vista del dibattito ideale e dell'impegno etico: la tesi che l'autore si propone di dimostrare è che, ai fini della formazione della personalità dei giovani e della serenità dei rapporti famigliari, è preferibile che i padri assumano verso i figli un atteggiamento non severo, rigido, repressivo e autoritario, bensì indulgente, comprensivo e affettuoso. In questa e altre commedie, Terenzio riflette la crisi del modello educativo patriarcale, tipico del mos maiorum: la meta a cui tendere è la solidarietà fra le generazioni e una nuova legittimazione morale del ruolo paterno, fondato non sulla paura ma sull'amore. Stile: ▪ prima impressione di apparente piatta uniformità (rispetto a Plauto) ▪ linguaggio ‘censurato’ (nelle sue commedie tutte incentrate su intrighi d’amore la parola bacio compare solo due volte, e in Terenzio gli innamorati non si baciano, e non ci sono insulti né riferimenti sessuali) a favore, invece, delle parole astratte, che rendono possibile e interessante l’analisi psicologica ▪ stile più quotidiano di quello plautino. I personaggi non si abbandonano a scenate imprevedibili con parodie letterarie, doppi sensi e metafore: sacrifica consapevolmente la ricchezza dell’inventiva verbale e delle trovate comiche estemporanee a favore di un purismo lessicale. Non manca tuttavia di calore e vivacità, soprattutto nei monologhi ‘patetici’ ▪ costante preoccupazione e attenzione verso il verosimile (non realistica riproduzione della parlata quotidiana): rimanda ad una lingua settoriale, quella parlata dalle classi urbane di buona educazione e cultura ▪ forte riduzione della varietà metrica (mancanza quasi assoluta dei pezzi cantati) Poetica e modelli: Terenzio è uno dei letterati latini più professionali, più consapevole degli aspetti tecnici del proprio lavoro, e il suo principale modello, culturale e letterario, fu Menandro. Se Plauto non è particolarmente vicino alla poetica menandrea, essa è portatrice del valore della verosimiglianza, cardine per Terenzio. In Terenzio lo sviluppo dell’azione non prevede mai sviluppi “meta-teatrali”, per favorire il coinvolgimento del pubblico (commedia come forma chiusa), e spazi di autocoscienza. Questi momenti di riflessione vengono tutti concentrati nello spazio del prologo. Terenzio rinuncia alla funzione informativa dei prologhi (cfr. Plauto) e li usa come personali prese di posizione, dove, cioè, chiarisce il rapporto con i modelli greci che lo hanno influenzato e risponde a critiche dei suoi avversari su questioni di poetica. Presuppone un pubblico più avanzato e selezionato, più attento ai problemi tecnici. La soppressione del prologo espositivo rivela anche una ricerca di effetti di suspense e di sorpresa. Questo aspetto della poetica di Terenzio lo rende avvicinabile a figure come Ennio, Accio e Lucilio e all’ideale alessandrino del poeta-filologo: fu lo stesso Terenzio a sottolineare, infatti, il suo distacco dalla vecchia generazione letteraria di Plauto, di cui viene criticata principalmente la farsa popolare. Per quanto ritroviamo maggior fedeltà ai modelli greci rispetto a Plauto, anche Terenzio adotta la tecnica della contaminazione, che non è però un processo di trasposizione meccanica: contrappone un tipo di commedia ‘statica’ ad una commedia piena di effettacci e con azioni assai movimentata. Opponeva un ideale di arte più riflessiva e attenta alle sfumature, anche più ‘verosimile’ fondata sull’azione drammatica del dialogo e non sul movimento scenico o sul clamore. Terenzio si attiene alle linee degli intrecci menandrei, senza mai rinunciare ad approfondire interessi che più lo toccano: caratteri e problemi di un’umanità borghese. I temi, i personaggi e il messaggio morale: la palliata latina è sempre stata ancorata alle situazioni familiari, ma la differenza è che in Terenzio questi rapporti diventano veramente rapporti umani sentiti e problematici, in sincera adesione al modello di Menandro e agli ideali umanistici di origine greca. Pur L’indipendenza di giudizio, la verve polemica, l’interesse curioso per la vita contemporanea si adattano all’immagine di un eques colto e benestante che non vive del proprio lavoro letterario. La satira: scrisse trenta libri di satire, orientandosi progressivamente verso l’esametro, ma in direzione ironica, in quanto al verso tipicamente eroico adattò una materia quotidiana e colloquiale (poi diventerà metro canonico della satira). È probabile che il termine saturae possa risalire a Lucilio stesso, anche perché Orazio utilizza questo termine per designare quel genere di poesia inaugurato dall’opera di Lucilio. Lo stesso Lucilio in realtà preferì chiamare le sue composizioni col nome di poemata o di sermones (chiacchiere scherzose). A tal punto, le origini del genere chiamato ‘satira’ sono piuttosto incerte: la connessione etimologica col satiro greco è del tutto falsa, mentre è invece sicura che la satura lanx indicasse nella Roma arcaica un piatto misto di primizie offerte agli dei, dando, quindi, al termine il significato di mescolanza e varietà. Il nome non è greco: Quintiliano dirà che ‘la satira è un genere integralmente romano’ ed è effettivamente così, per quanti apporti culturali greci abbia via via accolto. La satira, inizialmente, parve dover rispondere all’impulso di una ricerca di un genere letterario disponibile ad esprimere una voce personale del poeta, secondo l’esempio degli alessandrini (cfr. Callimaco e la poikilìa). Questi caratteri sono già presenti nella produzione letteraria di Ennio, con la differenza che non sappiamo se la sua satira contenesse già alcuni spunti di polemica e veri e propri attacchi ai personaggi politici contemporanei (che ritroviamo invece forse in Nevio). Il nucleo centrale di una tematica variegata è l’attenzione divertita e spiritosa per gli aspetti più quotidiani della vita: l’osservazione del reale è per Lucilio il punto di partenza per considerazioni moralistiche. Questa nuova forma di poesia varia (per metro e per temi) e personale, aperta alla voce del poeta e al realismo quotidiano, si offrì a Lucilio come un ideale mezzo di espressione da veicolare ad un nuovo tipo di pubblico ‘medio’, interessato alla poesia scritta e desideroso di una letteratura più aderente alla realtà contemporanea: l’importanza fondamentale di questo autore sta proprio nell’essersi concentrato unicamente alla satira (vs Ennio, che l’ha subordinata all’epica o alla drammaturgia). Temi delle satire: a. parodia del Concilium deorum (I libro), narrati dai poeti epici. Lucilio prendeva di mira un certo Lentulo Lupo, personaggio inviso agli Scipioni, mescolando parodia letteraria e contenuto libellistico. Il poeta fece sì che gli dei si riunissero a concilio per discutere di povere cose umane, proprio alla maniera del senato romano, quindi mostrandolo come un motivo assolutamente comune, una convenzione stilizzata della maniera epica: contro la concezione della letteratura come vuota convenzionalità voleva reagire con l’ironia la poetica realistica di Lucilio. b. Descrizione di viaggi (III libro) c. Il filone gastronomico (libri XXX e XX). d. L’amore: precursore della poesia personale d’amore (libro XVI dedicato all’amata) e. Definizione di virtus: che domina il buon tempo antico, descritto contrapponendolo al potente e cupo quadro della corruzione dei senatori e del popolo di Roma. f. Le questioni letterarie: disquisizioni su problemi letterari, giudizi su questioni di retorica e di poetica, analisi critico-letterarie e grammaticali + critica di generi poetici elevati (+) Il contenuto e il lessico dimostrano una buona conoscenza del pensiero filosofico greco, in particolare quello dello stoico Panezio, cioè l'idea della coincidenza dell'utile con l'honestum: la validità morale e l'utilità di un'azione sarebbero cioè aspetti diversi di un'unica realtà. La mancanza totale della religione nella visione etica del poeta rivela un atteggiamento razionalista di stampo filosofico. Stile: a. Aggressività espressa negli attacchi personali b. Carattere soggettivo (sceglie talvolta di raccontare in prima persona i casi trattati) c. Spirito, fondamentale per intrattenere il suo pubblico Mantiene un programma letterario decisamente unitario e innovativo, sostenuto da una personalità di vivace anticonformismo. La sua poesia rifiuta un unico livello di stile e si apre in tutte le direzioni, racchiudendo tanto il linguaggio elevato dell’epica, in senso parodico, quanto i linguaggi specializzati e settoriali e forme di linguaggio quotidiano. In quest’ottica, Lucilio è con Petronio quanto di più vicino al realismo moderno possa offrire la letteratura latina (tende all’improvvisazione). La disarmonia dello stile è una scelta meditata, rivolta a un preciso programma espressivo, che fonde insieme vita e arte: non manca un impegno educativo (poesia destinata alla privata fruizione dei lettori vs occasioni pubbliche e grandi celebrazioni). Politica e cultura fra l’età dei Gracchi e la restaurazione sillana Tensioni politiche (porteranno all’inizio della crisi) • questione agraria al centro delle vicende politico-sociali romana: fallimento dei gracchi • importanza eserciti quasi personali: conflitti fra mariani e sillani e dittatura di Silla Oratoria • fioritura in un’età segnata da tali conflitti • Cicerone, massimo esponente, tenta di delineare l’evoluzione dell’eloquenza romana: a. Circolo scipionico (resistenza ai progetti graccani) 1. Scipione Emiliano (gravitas) 2. Lelio (stile garbatamente pacato) Gracchi (misericordia sociale) Gaio: ubertas, esuberanza dello stile, e irruenza della sua actio b. Antonio (appello alle emozioni) e Crasso (gradua abilmente tonalità ed effetti), entrambi del partito aristocratico - cfr. De oratore di Cicerone. c. Scuola di Plozio Gallo (chiusa) e la Rethorica ad Herrenium: tendenze democratiche, graccane e mariane. Asianesimo • Nata a Pergamo (IV-III a.C.) • Pathos • Musicalità • Stile fiorito e ridondante • Actio istrionicamente affettata 1. Ricerca di sequenza ininterrotta di frasi civettuole e sofisticate, ricche di metafore e giochi di parole, strutturate secondo artificiosi schemi ritmici 2. Tumida sovrabboindanza di parole colorite Atticismo • Schierati vs Cicerone • Stile semplice, discorsivo e scarno (cfr. Lisia) • Ideale di un periodare nitido e conciso Sviluppo della storiografia ➔ Interesse per vicende contemporanee + nuovo metodo storico: - Penetrazione razionale degli eventi - Spiegazione causale di essi (narrazione dei dibattiti politici) a. Sempronio Asellione vs annalistica – eventi a cui ha assistito personalmente b. Calio antipatro – monografia seconda guerra punica + elementi fantastici, miracolosi, pathos traico per diletto del lettore + lunga serie di annalisti tradizionali ❖ Sisenna e la storiografia ‘tragica’ – vicende contemporanee + particolari romanzeschi e favolosi Autobiografia → commentari sulla propria vita e sul proprio operato di aristocratici (autoapologia politica o presenza di elementi carismatici) Studi antiquari (Fulvio Nobiliore, Giunio Graccano) → inizia consapevolezza degli apporti delle diverse culture italiche per civiltà romana Nascita filologia con Elio Stilone → pubblicazione e commento testi + compilazione opere enciclopediche Uso della lingua 1) Scuola filologica di Alessandria • Tendenza analogista (cfr. Cesare) • Purista e conservatrice • Lingua fondata su ratio e analogia (rispetto dei modelli – no neologismi) 2) Scuola filologica di Pergamo • Tendenza anomalista • Lingua come libera creazione dell’uso • Ammette deviazioni o anomalie, consuete del sermo cotidianus La commedia dopo Terenzio Palliata sempre più genere all’antica (i grandi classici continuano ad essere rappresentati e imitati) ➔ Diffusione di generi che rispondevano a esigenza di ‘verismo’ e libera flessibilità strutturale: - Atellana • Non più comica finale, ma genere autonomo • Mantiene aspetti popolareschi e di umorismo grasso • In età sillana Novio e Pomponio: impronta di repertorio di maschere ma commistione con palliata e addirittura situazioni di parodia della tragedia e del mito CATULLO (84 a.C. – 54 a.C.) • opera e genere: brevi componimenti di genere lirico, in metri diversi, confluiti in un'unica raccolta dopo la morte del poeta • aspetti chiave: soggettivismo e centralità del tema amoroso; brevitas e raffinatezza formale (la scelta di componimenti brevi è finalizzata alla ricerca della perfezione formale, secondo i principi della poetica alessandrina); poesia come lusus, “gioco” dotto; rifiuto dell'impegno politico e civile • stile: raffinato ed estremamente vario, a seconda dei temi trattati; la mescolanza di registri diversi è ricercata talora all'interno dello stesso componimento • pubblico: colto, costituito da intellettuali in grado di cogliere la raffinatezza formale dei componimenti • fortuna: esercita una profonda influenza sulla poesia lirica europea di tema amoroso ed è uno degli scrittori latini più noti al vasto pubblico dei lettori contemporanei • fonti: Svetonio, Apuleio, Cicerone (Pro Caelio) + notizie autobiografiche Catullo è considerato uno dei più grandi poeti d'amore di tutti i tempi. Il suo liber rivela la piena assimilazione da parte della cultura romana della poetica alessandrina, da cui riprende le principali istanze, come il rifiuto della magniloquenza tipica dei generi alti. Tuttavia, il suo apporto più originale consiste nell'aver dato, nell'ambito latino, piena dignità letteraria ai sentimenti e alle relazioni private, rifiutando sdegnosamente l'impegno in una scena politica sempre più degradata e corrotta. L'ambiente culturale: le istanze avanzate da Callimaco vennero pienamente accolti dai poetae novi, come dimostrano i generi letterari da loro coltivati e le caratteristiche formali della loro poesia. Canoni fondamentali della poetica neoterica sono infatti: ➢ la raffinata elaborazione stilistica: la poesia è “leggera” e disimpegnata solo per quanto riguarda i contenuti, mentre sul piano formale l'impegno è massimo; ➢ la dottrina (mitologica, geografica, linguistica) di cui i poetae novi fanno sfoggio; ➢ la brevità dei componimenti, conseguenza della convinzione che solo un carme di piccole dimensioni può essere composto con la cura necessaria per farne un'opera raffinata e preziosa. La vita: Gaio Valerio Catullo nacque a Verona, nella Gallia Cisalpina (Italia settentrionale), da una famiglia di alto rango sociale (Svetonio racconta che talvolta essi ospitavano persino Cesare). San Gerolamo (che si rifà a Svetonio) indica nell'87 e nel 57 a.C. le date di nascita e di morte, ma quest'ultima è incompatibile con alcuni carmi del poeta in cui si fa riferimento al secondo consolato di Pompeo (55 a.C.) e all'invasione cesariana della Britannia (55-54 a.C.), quindi è più probabile che le date di nascita e di morte siano 84 e 54 a.C. Egli si trasferì a Roma da giovane e s'inserì perfettamente nella società mondana della capitale, formando un cenacolo letterario assieme ad alcuni brillanti poeti, come Licinio Calvo ed Elvio Cinna, i quali condividevano i suoi gusti ed orientamenti culturali. Tuttavia, rimase sempre legato alla sua terra d'origine, facendo ritorno alla villa paterna di Sirmione (Lago di Garda) nei momenti di malinconia e stanchezza. Alcuni suoi componimenti accennano al suo soggiorno in Asia Minore al seguito del propretore Gaio Memmio; durante questo viaggio in Oriente, Catullo si recò a rendere omaggio alla tomba del fratello, sepolto della regione della Troade (v. carme 101). Evento cruciale della sua vita fu l'incontro con una donna di cui il giovane poeta s'innamorò perdutamente e che nei suoi versi cantò con lo pseudonimo di Lesbia. Il suo vero nome era Clodia, identificabile con la celebre sorella di Clodio, tribuno della plebe nel 58 a.C. e alleato di Cesare. Donna eccezionalmente bella, intelligente, colta e spregiudicata, aveva una decina d'anni in più di Catullo, fu moglie di Quinto Metello Cèlere (morto nel 59 a.C.) e tra i suoi numerosi amanti vi fu anche Celio Rufo (difeso da Cicerone nella Pro Caelio rappresentando Clodia come una prostituta di alto rango). La storia d'amore tra Lesbia e Catullo si sviluppò per alcuni anni tra entusiasmi, ingiurie, abbandoni, litigi e riappacificazioni. L'ultimo messaggio indirizzato da Catullo all'amata è del 55 o 54 a.C. (carme 11) e potrebbe essere anche una sorta di commiato anche dalla vita. Il liber catulliano: corrisponde alla raccolta delle poesie conservate dalla tradizione manoscritta; certamente non contiene tutto ciò che il poeta scrisse e non fu da lui strutturato come ci è pervenuto, ovvero suddiviso sulla base dei metri usati: Carmi Metri Caratteri 1 – 60 Vari, soprattutto endecasillabi faleci, ma anche trimetri giambici, coliambi, metri “lirici” Componimenti brevi di vario argomento, di carattere leggero, molti dei quali incentrati sull'amore per Lesbia 61 – 68 (carmina docta) Vari Componimenti più ampi dei precedenti, più impegnati stilisticamente, con riferimenti al mito 69 – 116 Distici elegiaci (quasi tutti epigrammi, alcune elegie) Componimenti brevi di vario argomento, molti di carattere satirico o sentimentale Tale ordinamento, ispirato a criteri estrinseci, prescinde quindi sia dall'ordine cronologico dei componimenti, sia dagli argomenti (i più tendono a credere che questo ordinamento sia opera di altri). I carmi brevi: insieme dei polimetri e degli epigrammi, in cui l’esiguità dell’estensione rivela essa stessa la modestia dei contenuti, occasioni e avvenimenti della vita quotidiana, e favorisce insieme il paziente lavoro di cesello, la ricerca della perfezione formale. Il carme 1, che apre la raccolta, è una dedica all'amico Cornelio Nepote; Catullo definisce la sua opera libellus e le sue poesie nugae (“inezie”, cioè “poesie leggere”). La dedica è da intendere riferita non all'intero liber come ci è pervenuto, ma solo ad una parte di esso oggi non più identificabile, e contiene un'importante dichiarazione poetica: Catullo definisce il libellus inviato all'amico lepidus (= piacevole, amabile, spiritoso, divertente), novus (= nuovo, perché appena pubblicato ma anche perché ispirato ad una nuova concezione di poesia) ed expolitus; le poesie sono nugae in quanto volutamente e provocatoriamente non impegnate sul piano dei contenuti, ispirate alla concezione alessandrina della poesia come gioco, un gioco raffinato ed elegante, che segue regole ben precise e che può essere apprezzato solo da chi ne conosce e ne condivide i presupposti ideali ed artistici (cfr. carme 95, vero e proprio ‘manifesto’). Vita mondana e vita interiore: Catullo ed in generale i neòteroi erano per educazione e tradizione famigliare conservatori; il poeta infatti sceglie come suoi bersagli Cesare (nei cui confronti dichiara assoluta indifferenza) e gli uomini legati a quest'ultimo, attaccati come parvenu disonesti e corrotti. L'indignatio di Catullo è umana e morale, estranea ad ogni logica che non sia quella dell'individualismo: nella sua poesia trovano posto insulti contro la corruzione dei potenti, ma anche il rifiuto del tradizionalismo dei vecchi moralisti (egli infatti attacca anche Cicerone, membro degli ottimati, dedicandogli un elogio ironico). Scherno, derisione e prese in giro sono molto frequenti, e non si può tacere una vena di provocatoria ed esibita oscenità nei frequenti riferimenti alle equivoche abitudini sessuali degli avversari del poeta, bollati come pervertiti e incestuosi. Altrove si trovano contesti umoristici e autoironici e anche alcune brevi poesie in cui Catullo canta il suo amore per un ragazzo, Giovenzio, toccando temi come quelli della gelosia e dei baci. Molti componimenti di Catullo prendono spunto da concrete situazioni che attestano un'intensa vita mondana, caratterizzata da amicizie, inimicizie, pettegolezzi, rotture, ripicche; ne emerge un variegato mosaico di frammenti di “vissuto”, rielaborati letterariamente secondo gli schemi della poesia “d'occasione” epigrammatica o giambica. ➔ La cerchia di amici assume importanza fondamentale: essi sono spesso i destinatari di carmi nati da esperienze comuni di vita e di poesia, in cui Catullo non solo elogia o saluta con entusiasmo i loro versi e le loro pubblicazioni, ma gli offre anche il proprio appoggio e conforto, con toni intimi e profondi (es. consolatio a Calvo per la morte della moglie Quintilia). (+) Lepos, venustas, urbanitas sono i principi che fondano questo codice etico e insieme estetico. La poesia d'amore per Lesbia: il centro ideale del liber è nel gruppo di poesie dedicate a Lesbia, le quali si leggono disseminate nella raccolta e vengono ordinate dagli interpreti secondo la successione logica e cronologica più probabile, ottenendo così una complessa vicenda d'amore, la storia di una passione esaltata e tormentosa che non viene narrata direttamente dal poeta, ma che emerge dall'espressione dei suoi più profondi ed intimi sentimenti (sottraendosi ai rischi del biografismo). Lesbia è incarnazione della devastante potenza dell’eros: oltre alla grazia e a una bellezza non comune, sono soprattutto intelligenza, cultura, spirito brillante, modi raffinati a farne il fascino. L'inizio della storia d'amore si identifica col carme 51, modellato su una lirica di Saffo, che descrive gli effetti sconvolgenti destati nell'innamoramento dalla vista della donna; il metro usato è l'ode saffica, lo stesso usato per il carme 11, che contiene un amaro e accorato messaggio d'addio. → Si suppone che questa corrispondenza non sia casuale, ma che Catullo abbia usato il metro tipico della grande poetessa per greca per i due carmi che segnano il sorgere e la fine del suo amore. Se tale ipotesi è fondata, vi è la conferma di una volontà da parte del poeta di raccontare, attraverso una serie di poesia autonome ma collegate idealmente tra loro, una vera e propria storia d'amore, dal suo inizio alla sua fine. In alcuni componimenti l'amore appagato divampa gioiosamente, ma subito la gioia è offuscata dalla gelosia e dalla dolorosa consapevolezza che la donna non contraccambia la totale dedizione dell'innamorato. È da sottolineare la novità rivoluzionaria, nella letteratura romana, di un amore (non solo fisico, ma anche tenero e profondo, spirituale) concepito e presentato come un'esperienza fondamentale nella vita di un uomo, valore primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana. La realtà biografica è sempre rielaborata e trasfigurata alla luce della tradizione poetica, anche se i sentimenti vivono con fervore ed intensità eccezionali, tali da accostarlo ai lirici arcaici greci (tra cui Archìloco e Saffo, suoi modelli). Quello che vuol sembrare un sospiro sfuggito al poeta è in realtà un carme costruito preziosamente su precisi rapporti formali → un bilanciato gioco di antitesi o di richiami simmetrici si cela dietro quelle parole che vogliono apparire dettate dalla passione più immediata. La sapiente circolarità di certe strutture, che pure racchiudono un contenuto sentimentale incandescente, vale a conferire forma perentoria e forte a quello che, a prima vista potrebbe apparire puro magma affettivo. La lingua e lo stile attingono abbondantemente al linguaggio colloquiale, tuttavia anche questa è un'operazione letteraria guidata da consapevoli intenti artistici (es. accosta termini dello stile “alto” a quelli del sermo familiaris o vulgaris per ricavarne effetti di contrasto; usa diminutivi non solo per esprimere l'idea di piccolezza o grazia, ma anche delle sfumature affettive come tenerezza, ironia, sarcasmo, disprezzo). Inoltre, Catullo utilizza molti grecismi, attinti per lo più dalla lingua parlata (es. moecha = adultera), mentre i carmina docta accolgono grecismi dotti (es. pelagus = mare), conformandosi a quello stile elegante e prezioso a cui mirava la poetica alessandrina. Vitalità del linguaggio affettivo e intensità del pathos non sono assenti nemmeno nei carmina docta: vari elementi concorrono a dare ad essi un carattere più spiccatamente letterario. LUCREZIO (98/94 – 55/50 a.C.) • genere: poema epico-didascalico in esametri, di argomento filosofico-scientifico • aspetti chiave: esposizione poetica della fisica, dell'antropologia e della cosmologia; finalità di divulgazione della filosofia epicurea nel mondo romano; esaltazione della ragione come strumento di conoscenza della realtà; polemica contro la religione e le passioni che distolgono l'uomo dal raggiungimento della felicità • stile: elevato, con la ripresa di alcune caratteristiche della tradizione epica latina (lo stile ripetitivo, il gusto per le figure di suono, la patina arcaizzante della lingua); creazione di un lessico filosofico-scientifico latino • pubblico: colto (perché in grado di leggere un testo poetico) ma inesperto di filosofia • fortuna: avversato dagli scrittori cristiani, il poema lucreziano si diffonde ed esercita un'influenza determinante nella cultura europea solo a partire dall'Illuminismo. • fonti: S. Girolamo, Svetonio, Donato La vita: nacque intorno agli anni 90 e morì verso la metà degli anni 50. La testimonianza più importante è quella di San Gerolamo (IV secolo d.C.), secondo la quale il poeta sarebbe nato nel 94 a.C. e, divenuto folle per un filtro d'amore, sarebbe morto suicida a 43 anni, dopo aver scritto negli intervalli della pazzia alcuni libri di cui Cicerone curò poi la pubblicazione. Molti studiosi, tuttavia, ritengono opportuno anticipare la data di nascita al 98 a.C. e quella di morte al 55 a.C., anno indicato da Donato, grammatico del IV secolo d.C., come quello in cui Lucrezio morì e Virgilio assunse la toga virile; data di morte che sembra confermata da un giudizio sul poema contenuto in una lettera di Cicerone al fratello Quinto del febbraio del 54 a.C.: i due fratelli si stavano occupando dell'opera in vista della pubblicazione postuma, quindi la data di morte si accorda a quella indicata da Donato. Nulla di concreto vi è nemmeno sulla provenienza dell’autore (forse era campano) e sulla sua classe sociale di provenienza, ovvero se fu un aristocratico o un liberto. Con ogni probabilità va anche respinta la notizia della presunta follia di Lucrezio, un’accusa nata in ambiente cristiano nel IV secolo al fine di screditare la polemica antireligiosa dell’autore. Rapporto con epicureismo: Lucrezio fu un fervente sostenitore dell’epicureismo, che, nel I secolo, era riuscito a diffondersi negli strati elevati della società romana (e in tutte le fazioni politiche), malgrado, in quel periodo, la via scelta dalla classe dirigente romana nei confronti della penetrazione del pensiero greco era stata quella di un filtraggio attento, che eliminasse gli elementi potenzialmente pericolosi per l’assetto istituzionale della res publica o corrosivi nei confronti del mos maiorum (distoglie cittadini dall’impegno politico e vs religione, strumento politico essenziale). Lo scopo del poeta è liberare gli uomini dalle tenebre dell'ignoranza e della superstizione, dimostrando che la paura degli dei e della morte è infondata ed eliminando le passioni perturbatrici che impediscono di vivere serenamente. Lucrezio, per divulgare a Roma la dottrina epicurea, scelse la forma del poema epico-didascalico: il De rerum natura, in esametri, suddiviso in sei libri, dedicato all’aristocratico Memmio e composto intorno agli anni successivi al 59 (Memmio non può sottrarsi alla cura del bene comune ‘in un momento così difficile per la patria’). Ma ciò deve destare sorpresa, perché lo stesso Epicuro aveva condannato la poesia, soprattutto quella omerica, per la sua stretta connessione col mito, che allontanava gli individui dalla realtà. Lucrezio nella sua scelta fu probabilmente guidato dal desiderio di raggiungere gli strati più elevati della società romana e, a differenza del suo maestro, egli ostentava grande ammirazione per Omero, ma anche verso tutta la tradizione epico-didascalica, in particolare per Empedocle di Agrigento (V secolo a.C.), (vs la sua ispirazione misticheggiante, ma pro il suo atteggiamento profetico di rivelatore della verità), autore di Sulla natura, poema in esametri, elogiato nel I libro. Nello stesso libro rende omaggio anche ad Ennio, il poeta che ha creato l'epica latina in esametri e che si pone come punto di riferimento per la lingua e lo stile del De rerum natura. Rapporto con Cicerone: Cicerone fu editore dell’opera lucreziana, ma evidentemente non poteva condividere gli ideali filosofici di Lucrezio. Anni dopo la pubblicazione, quando intraprende una polemica vs l’epicureismo non accenna al poema di Lucrezio. Forse proprio l’eccezionalità della forma poetica lo spingeva a non tenere conto di Lucrezio o comunque vi era la volontà di non concedere credibilità a chi aveva scritto un’opera con forti valenze disgregatrici. De rerum natura: il titolo traduce fedelmente quello dell’opera perduta più importante di Epicuro, il Perì physeos (Lucrezio fa forse riferimento a una Grande Epitome, tratta dal testo originario). Libro Tema Contenuto I Atomi Dopo l’introduzione con l’inno a Venere (omaggio alla tradizione letteraria e come una forma di captatio benevolentiae nei confronti del pubblico di lettori romani), sono esposti i principi della fisica epicurea, secondo cui gli atomi, entità immutabili e infinite, elemento minimo della materia, muovendosi nel vuoto infinito vanno a generare tutte le realtà esistenti aggregandosi tra loro (nascita) e li dissolvono (morte) disgregandosi nei loro incessanti movimenti. Nulla si crea e nulla si distrugge, non esiste alcuna realtà al di fuori della materia costituita dagli atomi, la quale è eterna poiché gli atomi sono indistruttibili. Nell'ultima parte del libro viene affermata e dimostrata l'infinità dell'universo. II Clināmen Proemio che contrappone l'atarassìa (= serenità imperturbabile del sapiente) alla stoltezza e all'infelicità della maggior parte degli uomini, travagliati dalle passioni. Riprende poi con la trattazione del movimento e delle combinazioni degli atomi, resi possibili dal clināmen (= deviazione/inclinazione che modifica le traiettorie verticali secondo cui gli atomi si muovono nel vuoto, permette una grande varietà di aggregazioni e rende ragione della libertà del volere umano), che rappresenta il tratto più originale di Epicuro rispetto a Democrito. Nell'ultima parte del libro, Lucrezio afferma che nello spazio infinito esistono infiniti altri mondi, che si formano, crescono ed evolvono gradualmente finché, giunti al vertice del loro sviluppo, iniziano a declinare e decadono fino a perire. Anche al nostro mondo toccherà la stessa sorte, anzi i segni del suo declino imminente sono già evidenti. III Anima Solenne celebrazione di Epicuro. Trattazione dell'anima e della sua natura mortale: sia l'anima (= principio vitale diffuso in tutto il corpo), sia l'animus (= mente, sede delle facoltà razionali) sono composti da atomi più leggeri e lisci, destinati a disperdersi al momento della morte, come quelli che compongono il corpo. Con la morte cessa ogni forma di coscienza e di sensibilità, quindi l'individuo non prova più sofferenza e la paura della morte è fondata su credenze vane ed errate. È il libro che, più di ogni altro, dimostra la perizia argomentativa di Lucrezio, ed è dedicato alla confutazione del timore della morte. Lucrezio propone ben 29 diverse prove per sostenere la moralità dell’anima. Ma pur avendola dimostrata scientificamente, si rende conto che questo non è sufficiente a distogliere l’uomo dal dolore di dover abbandonare la vita e, per convincerlo, dà voce alla Natura stessa, che si rivolge direttamente all’uomo e afferma che se la vita trascorsa è stata colma di gioie, egli può ritirarsene felice, mentre se al contrario è stata dolorosa e triste, non vi è motivo di sperare che essa prosegua. In questo libro è particolarmente chiaro il contatto con la letteratura diatribica. IV Sensazioni L’autore prende in esame il procedimento della conoscenza, trattando la teoria dei “simulacra”, delle membrane, fatte di atomi sottilissimi, che si staccano dai corpi e arrivano fino agli organi di senso e causano le immagini che vediamo nei sogni. Il finale tratta della fisiologia del sesso e della psicologia dell'amore. V Universo Elogio ad Epicuro. Trattazione dell'universo, il quale non è eterno e non è stato creato dagli dèi (i quali vivono al di fuori del mondo, immortali e felici), ma si è formato dalla casuale aggregazione degli atomi. Sintesi della storia dell'umanità, di cui ne delinea lo sviluppo dalle origini ferine a forme sempre più evolute di civiltà. Una sezione è dedicata alla nascita del timore religioso che sorge spontaneo per ignoranza delle leggi meccaniche o per lo spavento. VI Fenomeni naturali Elogio di Atene e di Epicuro. Descrizione dei fenomeni meteorologici (tuono, fulmini, nuvole, piogge) e naturali (terremoti, vulcani, ecc.) che provocano nell'uomo timore superstizioso degli dèi, da dissipare mediante la spiegazione scientifica della loro origine. L'ultima parte del libro è dedicata alle epidemie e alle loro cause; il poema si chiude con la particolareggiata descrizione della peste di Atene del 430 a.C.: Lucrezio segue da vicino il racconto fatto dallo storico greco Tucidide (V secolo a.C.) dimostrando però una più intensa partecipazione emotiva alle atroci sofferenze descritte. primi uomini conducevano una vita agreste, al di fuori di ogni vincolo sociale: non per questo erano privi di pericoli. (+) confutazione delle tradizioni su esseri mitici che avrebbero popolato l’alba della terra: la saldezza delle leggi naturali della fisica epicurea, dimostrano l’impossibilità che due esseri di natura diversa si accoppino e generino esseri viventi, ma è possibile che la natura a volte commetta alcuni sbagli. Inoltre, fra le tappe del progresso umano Lucrezio tratta quelle: - positive, come la scoperta del fuoco, del linguaggio e dell’agricoltura - negative, come l’attività bellica e il sorgere del timore religioso Il progresso, sino a quando è ispirato al soddisfacimento dei bisogni primari, è valutato positivamente, ma Lucrezio ammette che il progresso ha anche portato al sorgere di bisogni innaturali, come quelli della guerra e della cupidigia personale, che hanno generato decadenza morale e ha corrotto la vita dell’uomo. Non ha una visione sconsolata e pessimistica: l’unica soluzione viene offerta dall’epicureismo, che invita a riscoprire che “di poche cose ha davvero bisogno la natura del corpo” e a evitare desideri non naturali e non necessari. Il progetto sociale che Lucrezio ed Epicuro vogliono offrire è che il saggio deve abbandonare le ricchezze inutili e la vita politica e deve invece dedicarsi a coltivare lo studio della natura, deve tenersi lontano dalle insensatezze della passione amorosa, irrazionale e non è giustificabile dalla natura (cfr. libro IV): immagine del saggio come colui che sulla terraferma guarda il mare in tempesta (libro II). Interpretazione: la figura storica dell’autore e l’immagine del narratore non devono essere meccanicamente sovrapposte: il narratore è una persona fra le altre, che gioca il suo ruolo all’interno del sistema di valori e dei temi del poema. La tensione (‘illuministica’) dell’autore è rivolta a conseguire il convincimento razionale del suo lettore, a trasmettere precetti di una dottrina di liberazione morale in cui lui crede. Hanno una loro parte anche le descrizioni a tinte fosche, violentemente drammatiche, delle quali vanno ritrovate volta a volta l motivazioni contestuali. È radicata l’inclinazione a ricercare un registro stilistico elevato ed efficace che accoglie e brucia nella grandezza di uno stile sublime elementi propri della diatriba e della satira. Il problema del pessimismo sembra a volte separarlo dalla serenità del credo epicureo, ma non si devono ricercare tracce di contraddizioni sistematiche o clamorose rispetto a Epicuro. Lucrezio esalta la ratio, offre al lettore la possibilità di guardare alle cose con occhio indifeso e invita all’accettazione consapevole di ogni cosa in quanto esistente. Questo razionalismo in realtà mostra i suoi limiti: l’invito epicureo al carpe diem del III libro contrasta con la precisa descrizione dell’uomo in preda all’angoscia irrazionale della fine del libro. Queste contrapposizioni incomposte comunque rappresentano arricchimenti del testo: dimensione di insoddisfazione amara. Stile: la critica ha giudicato lo stile di Lucrezio troppo rude e legato all’uso arcaico, a tratti prosaico e ripetitivo (vs Cicerone che ammira la capacità di elaborazione artistica); ma anche lo stile, secondo l’autore, doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore: a. frequenti ripetizioni (che oltretutto rientrano nella formularità tipica dell’epica greca) nelle quali si è visto un segno di immaturità stilistica b. formule di transizione per consentire al lettore di familiarizzarsi con un linguaggio non certo facile, Lucrezio riporta spesso termini e locuzioni tipici della fisica epicurea, nonché i nessi logici di gran uso (adde quod, quod superest), c. tecnicismi: costretto a ricorrere a perifrasi nuove, coniazioni, talvolta calchi diretti dal greco a causa della egestas del latino. (+) arcaismi: sfrutta un gran mole di vocaboli poetici propri della tradizione arcaica enniana e della poesia elevata romana, come l’intenso uso di allitterazioni, assonanze e costrutti arcaici (infiniti in -ier + prevalenza della desinenza bisillabica -ai nel genitivo singolare della I declinazione). NB L’esametro si differenzia da quello arcaico enniano: predilige incipit dattilico + tendenza a comporre il verso di due parti quasi equivalenti che annulla tensione e accentua senso di accumulazione. ❖ concretezza dell’espressione: evidenza e vivacità descrittiva, visibilità e percettibilità degli oggetti intorno a cui si ragiona, corporalità dell’immaginario per mancanza di linguaggio astratto. L’espressione deve supplire i vuoti verbali ricorrendo a una gamma ampia di immagini ed esempi esplicativi, risvolto anche emozionale di un discorso intellettuale che sceglie di farsi soprattutto descrizione di grande efficacia poetica. Al contrapporsi di cose umili e grandi, di statico e dinamico, corrisponde nell’espressione il contrasto efficace tra: - movenze di una lingua viva e colloquiale (soluzione formale coerente con l’intento divulgativo) - scelta di uno stile grande e sublime ➔ registro dell’enthusiasmòs poetico posto al servizio di una missione didattica vissuta con ardore ➔ stile severo, capace di durezze e di eleganze, pronto alla commozione e alla meraviglia, ma anche all’invettiva poetica: sempre grandioso, mai ampolloso. Rapporto con la letteratura greca: dimostra una vasta conoscenza dei greci (Omero, Platone, Eschilo, Euripide e soprattutto Tucidide per la peste) e mostra i segni della frequentazione dei poeti ellenistici più raffinati. CICERONE (106 – 43 a.C.) • generi letterari: oratoria deliberativa e giudiziaria; trattatistica e dialoghi di argomento retorico, poetico, filosofico; epistolografia; poesia mitologica • temi chiave: difesa delle istituzioni repubblicane dalle spinte disgregatrici; difesa del proprio operato politico; formazione culturale e moralità dell'oratore-uomo politico; virtù come dominio razionale delle passioni e impegno civile • stile: vario, legato alle finalità specifiche del testo; tendenza a usare una sintassi ipotattica e un periodare ampio; concinnitas (= ricerca di simmetrie espressive) • pubblico: vario, a seconda dei generi; cittadinanza (Senato, assemblea popolare, giudici); classe dirigente romana; destinatari delle epistole • fortuna: s'impone come principale modello di stile della prosa, sia latina, sia volgare italiana, dall'antichità fino al classicismo rinascimentale e oltre • fonti: le sue stesse opere, Plutarco Dagli inizi alla congiura di Catilina (106 – 62 a.C.): Marco Tullio Cicerone, avvocato, questore, edile, pretore e console, nacque nel 106 a.C. ad Arpino (Lazio sudorientale) da una famiglia “non nobile” (= i cui membri non avevano mai rivestito magistrature a Roma) di possidenti terrieri appartenenti all'ordine equestre, fornita però dei mezzi economici e delle relazioni sociali necessari per avviare i figli alla carriera politica. Egli studiò a Roma con i migliori maestri greci di retorica e di filosofia (Tito Pomponio Attico). A venticinque anni (nell'81 a.C., dittatura di Silla) sostenne la prima causa di cui si conserva la testimonianza, la Pro Quinctio. Poco dopo lasciò Roma per un soggiorno di studio in Grecia e in Asia Minore (dal 79 al 77 a.C.), dove frequentò scuole filosofiche e di retorica. Una volta tornato a Roma, intraprese la carriera politica: nel 75 a.C. fu questore in Sicilia e nel 74 a.C. entrò in Senato come ex questore. Nel frattempo, aveva inoltre sposato Terenzia, che gli darà due figli, Tullia e Marco. Nel 70 a.C. la stima di cui già godeva si consolidò in seguito al processo intentato da alcune città della Sicilia contro l'ex governatore Gaio Verre per malgoverno e concussione, in cui Cicerone assunse il ruolo di accusatore e vinse contro il più celebre oratore di quei tempi, Quinto Ortensio Ortalo. Nel 69 a.C. fu edile e nel 66 a.C. fu pretore; la carriera politica culminò nell'elezione al consolato per l'anno 63 a.C., ottenuta battendo Lucio Sergio Catilina (rappresentante dei populares) e appoggiata dalla coalizione di una parte della nobiltà con il ceto equestre (contando sulla natura moderata di Cicerone). Durante il consolato s'impegnò su posizioni conservatrici, a difesa della Repubblica e degli interessi degli optimates (senatori e cavalieri, ceti socialmente ed economicamente più forti), contro i populares, sostenuti da Giulio Cesare, i quali propugnavano riforme costituzionali, economiche e sociali a favore dei meno abbienti. La questione più spinosa che Cicerone dovette affrontare fu certamente la congiura di Catilina (63-62 a.C.): quest'ultimo, presentatosi nuovamente candidato al consolato per l'anno successivo con un programma accentuatamente “popolare” e di nuovo sconfitto, tentò di impadronirsi del potere con la forza; i suoi piani vennero però scoperti da Cicerone, il quale attaccò il congiurato violentemente con la prima orazione “catilinaria” (inizio novembre) e lo costrinse a lasciare Roma. A dicembre vennero scoperti altri capi della congiura e si discusse in Senato se condannarli a morte o meno; Giulio Cesare si pronunciò contro la pena di morte, mentre Cicerone, assieme a Catone (il futuro Uticense), era favorevole alla pena capitale, ed infine si optò per tale soluzione. Catilina morì poi nel 62 a.C., combattendo a capo delle truppe che aveva raccolto in Etruria. Dal primo triumvirato alla guerra civile (60 – 46 a.C.): negli anni successivi il peso politico di Cicerone declinò sensibilmente, mentre si rafforzava la parte popolare. Nel 58 a.C. Publio Clodio Pulcro (tribuno della plebe sostenuto da Cesare) fece condannare all'esilio Cicerone per aver mandato a morte i catilinari con procedura sommaria. Egli trascorse quindi 16 mesi in Grecia e nel 57 a.C., grazie all'intervento di Pompeo e di Milone, venne richiamato a Roma. Dopo l'esperienza dell'esilio, Cicerone si avvicinò a Cesare e Pompeo, appoggiando la proroga del comando di Cesare nelle Gallie (56 a.C.). Negli anni successivi rimase ai margini della vita politica, ma difese comunque in tribunale alcuni personaggi vicini ai due triumviri sopracitati (es. Milone, accusato di aver ordinato l'uccisione di Clodio in una zuffa avvenuta nel 52 a.C., ma l'imputato venne condannato all'esilio). Nel 51 a.C. esercitò con onestà ed efficienza i compiti di proconsole in Cilicia (provincia dell'Asia Minore, al confine col territorio dei Parti). Quando tornò in Italia, la guerra civile tra Cesare e Pompeo stava per scoppiare: Cicerone s'illuse in un primo tempo di poter favorire una rapida pacificazione, mantenendosi neutrale; poi nel 49 a.C. si schierò con Pompeo, rappresentante della legalità repubblicana e del Senato, e raggiunse i pompeiani in Grecia e dopo la sconfitta a Farsàlo (48 a.C.) tornò in Italia e si riconciliò con Cesare (47 a.C.). Dalla dittatura di Cesare alla morte (46 – 43 a.C.): durante la dittatura di Cesare, Cicerone cercò conforto nell'attività filosofica e letteraria, limitando i suoi interventi pubblici a discorsi in cui elogiava la clemenza provvidenziale per Roma. Conclude con una commovente perorazione, che però non impedì a Milone di venir condannato (fiasco di fronte ai giudici). Deliberative Pro Lege Manilia 66 a.C. Nel 66 Cicerone parlò in favore del progetto di legge presentato dal tribuno Manilio, che prevedeva la concessione a Pompeo di poteri straordinari su tutto l’Oriente, un provvedimento reso necessario per affrontare la minaccia di Mitridate. Cicerone, appoggiando Pompeo, insiste soprattutto sull’importanza dei tributi delle provincie orientali, di cui la popolazione di sarebbe privata se Mitridate avesse vinto. Alcuni hanno visto qui il suo punto di massimo avvicinamento alla politica dei populares, ma più che gli interessi del popolo, Cicerone difendeva tutti quelli dei pubblicani, un gruppo di leader all’interno dell’ordine equestre, del cui sostegno aveva bisogno, data la sua figura di homo novus, per cementare quella concordia dei abbienti (cavalieri e senatori). La proposta di Manilio viene approvata. Catilinariae 63 a.C. Le più celebri delle orazioni consolari sono le quattro Catilinarie con le quali Cicerone svelò l’ordito del congiurato. In particolare, nella prima Catilinaria Cicerone attacca l’avversario con toni veementi, minacciosi e ricchi di pathos e con un artificio finora mai praticato, ovvero quello della prosopopea, cioè la personificazione della Patria che viene immaginata rivolgersi a Catilina con toni di biasimo. Essenziale anche il ritratto di Catilina e dei suoi seguaci corrotti da lusso e da vizi nella seconda Catilinaria. Orazioni dopo il ritorno dall’esilio 57 a.C. • Discorsi di ringraziamento al Senato e al popolo tenuti subito dopo il rientro a Roma (con spiccata tendenza all'autoelogio e all'autocelebrazione). • Orazione De domo sua (“In difesa della sua casa”) pronunciata davanti al collegio dei pontefici per ottenere la restituzione del suo terreno sul Palatino (consacrato da Clodio alla dea Libertas). Philippicae 44-43 a.C. Dopo l’uccisione di Cesare, Cicerone, che era tornato ad essere un uomo politico di primo piano, cercò di staccare Ottaviano, per riportarlo sotto la protezione del senato, da Antonio, contro il quale pubblicò circa 18 orazioni, dette Filippiche dal nome delle orazioni di Demostene contro Filippo di Macedonia. In esse, con attacchi veementi e toni indignati di denuncia, Cicerone presenta Antonio come un tiranno dissoluto e un ladro del denaro pubblico, con una violenza satirica inaudita. Ma la manovra politica di Cicerone non ottenne gli esiti aspettati*, poiché Ottaviano si legò ad Antonio, e il nome di Cicerone venne inserito nelle liste di proscrizione. *A Cicerone mancarono le condizioni per crearsi il seguito clientelare o militare necessario a far trionfare la sua linea politica. Sottovalutò il peso che gli eserciti personali avrebbero avuto nella soluzione della crisi e forse si fece troppe illusioni sui boni. (+) Pro Murena: tra la prima e la seconda Catilinaria si trova a dover difendere da un’accusa (mossa da Servio Sulpicio Rufo) di corruzione elettorale Lucio Licinio Murena, console designato in cui Cicerone sperava di trovare un valido continuatore della sua politica di resistenza all’eversione. L’accusa era sorretta da Catone il Giovane che assumeva una posizione intransigente nelle questioni che riguardavano il rapporto fra lo stato e gli interessi economici privati. Cicerone sceglie la via dell’ironia e dello scherzo. Trova i toni di una satira lieve e arguta, che non scade mai nella derisione o nella beffa volgare. OPERE RETORICHE Nascono dal bisogno di una risposta politica e culturale alla crisi. De Oratore 55 a.C. Composto in forma di dialogo dopo un periodo di ritiro dalla scena politica ed è ambientato nel 91, al tempo dell’adolescenza dell’autore, una data che ha un significato ben preciso: è l’anno della morte di Crasso, uno dei personaggi dell’opera, e precede di poco le guerre sociali nelle quali moriranno molti degli interlocutori principali, tra cui Marco Antonio (nota tragica ai proemi dei singoli libri). Crea un’opera viva e interessante, basata su una perfetta conoscenza della letteratura specialistica greca, ma che si nutre dell’esperienza romana e conserva stretto rapporto con pratica forense. Si è sforzato di ricreare l’atmosfera di pace degli ultimi giorni della repubblica attraverso il modello del dialogo platonico. Nel I libro i due sono sostenitori di due teorie diverse per quanto riguarda la figura del perfetto oratore (già introdotto in un precedente trattatello di retorica, De inventione): Antonio sostiene l’ideale di un oratore più istintivo, con doti naturali e pratico del foro, ma sembra prevalere la tesi di Crasso, secondo cui il talento, la tecnica della parola e la conoscenza delle regole retoriche e la sua versatilità e capacità non sono sufficienti all’oratore, ma devono essere accompagnate da una vasta formazione culturale e da un insieme di virtù che lo mantengano ancorato al sistema di valori tradizionali (insiste perché probitas e prudentia siano salde nell’animo del retore, senza le quali la sua arte può diventare pericolosa). La formazione dell’oratore viene quindi a coincidere con quella dell’uomo politico della classe dirigente, che deve servirsi della sua abilità non per blandire il popolo con proposte demagogiche, ma per piegarlo alla volontà dei boni. Cicerone attacca i retori greci che pretendono di formare il perfetto oratore solo per mezzo di regole ed esercizi, ma anche quelli che pensano siano sufficienti le doti naturali (ingenium) e l'esperienza. Riprende quindi Isocrate e il suo ideale dell'oratoria come scienza che rivendica a se stessa l'universalità del sapere. Subordina inoltre la filosofia all'eloquenza, in quanto quest'ultima è una facoltà che abbraccia ogni competenza e dottrina. Si esaminano poi le “parti” della retorica: nel II libro vengono trattati inventio (ricerca degli argomenti da svolgere + digressione sul comico e sui suoi meccanismi), dispositio (ordine secondo cui gli argomenti devono essere disposti nel discorso), memoria (tecniche per memorizzare ciò che si deve dire), mentre nel III libro vengono trattati elocutio (elaborazione stilistica, con ampia esposizione delle figure retoriche) ed actio (modo in cui l'autore deve porgere il discorso). Il De oratore è esempio della grande eloquenza di Cicerone, la quale è anche oggetto della sua trattazione. Gli argomenti trattati verranno poi ripresi nove anni dopo, nel Brutus e nell'Orator. Brutus 46 a.C. Nella sua polemica nei confronti della tendenza atticista, Cicerone venne accusato dai suoi detrattori di essere troppo legato all’asianesimo e di non preferire lo stile semplice e asciutto degli oratori attici e in particolare di Lisia. Su questo contrasto Cicerone prese posizione nel dialogo Brutus dedicato a Marco Bruto, uno dei maggiori rappresentanti delle tendenze atticistiche. Nel dialogo, Cicerone, parlando con Bruto e Attico, disegna una storia dell’eloquenza greca e romana, dando prova delle sue grandi capacità di critico e storico, e poi della storia della sua carriera oratoria (carattere apologetico), dal ripudio dell’asianesimo al raggiungimento della piena maturità dopo la questura in Sicilia. Cicerone delinea l’ideale pratica oratoria che deve essere caratterizzata dall’alternanza di registri diversi in base alle esigenze e valutata principalmente a seconda dell’effetto che ha sul pubblico. Gli atticisti sono considerati troppo freddi e intellettuali e di rado riescono a trascinare il pubblico, mentre il modello ideale è nell’oratoria senza schemi di Demostene, anch’egli attico, ma di tendenze ben diverse da quelle di Lisia. Sostiene l’eccellenza di Demostene anche nell’opera contemporanea De oprimo genere oratorum (introduzione alla versione altina di due orazioni contrapposte, Sulla corona di Demostene e Contro Ctesifonte di Eschine, che non sappiamo se egli tradusse). Orator 46 a.C. Illustra le differenze tra lo stile oratorio e quello di filosofi, storici e poeti, tratta della prosa ritmica che è consigliabile adottare di preferenza nella chiusa dei periodi e delle frasi e sottolinea i tre fini ai quali la sua arte deve indirizzarsi, probare, delectare e flecte, e che corrispondono ai tre registri stilistici: umile, medio ed elevato o patetico. Topica 44 a.C. Ispirati all’opera omonima di Aristotele che trattano dei topoi, i luoghi comuni ai quali può fare ricorso l’oratore alla ricerca degli argomenti da sviluppare nel discorso (se ne può servire anche il filosofo, lo storico, il giurista e persino il poeta). OPERE POLITICHE De re publica 54-51 a.C. Basandosi ancora una volta sul modello del dialogo platonico, non cerca, tuttavia, di costruire uno stato ideale come aveva fatto Platone, ma di identificare la migliore forma di stato nella costituzione romana degli Scipioni. Ambientata nel 129, si svolge nella villa suburbana di Scipione Emiliano, che con l’amico e collaboratore Lelio è uno dei principali interlocutori. I. Scipione parla della dottrina aristotelica delle tre forme di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia, che, se non controllate, generano rispettivamente in tirannide, oligarchia e oclocrazia. Riprendendo la tesi del regime misto di Polibio, Cicerone mostra come lo stato romano ha saputo unire e affrontare le tre forme di governo con l’istituzione del consolato (monarchia), del senato (aristocrazia) e dei comizi (democrazia) → Il tema del regime ‘misto’ si risolve in realtà in un’esaltazione della repubblica aristocratica dell’età scipionica. II. origine e sviluppi dello Stato romano, da Romolo ai tempi recenti intervento politico. Trasfigurandosi in una figura del passato, l’autore ha modo di rifugiarsi in un passato ideale, in cui si armonizzano gusto per l’otium e tenacia dell’impegno politico. • Laelius de amicitia: è un dialogo che accompagna il rientro di Cicerone sulla scena politica, immaginato svolgersi nel 12. Gaio Lelio, dopo la morte dell'amico Scipione Emiliano, ne rievoca la figura e tratta il valore e la natura dell'amicizia, il bene più grande per l'uomo dopo la sapienza, alla quale s'accompagna sempre (la vera amicizia sussiste solo tra uomini buoni e virtuosi). Il dialogo muove sulla traccia delle scuole filosofiche greche, e la novità ciceroniana consiste soprattutto nello sforzo di allargare la base sociale delle amicizie al di là della cerchia ristretta della nobilitas. Infatti, l’amicizia del Lealius non è solo un’amicizia politica, quanto il bisogno di un rapporto sincero, che Cicerone potè forse provare solo con Attico. De officis Trattato del 44 dedicato al figlio Marco e contemporaneo alla composizione di alcune Filippiche. Mentre combatteva colui che stava portando la patria alla rovina definitiva, Cicerone cercò consolazione nella filosofia per una morale della vita quotidiana che permettesse all’aristocrazia romana di riacquistare il controllo della società. La base filosofica gli venne offerta dallo stoicismo moderato di Panezio, fondato sul rifiuto dell’edonismo epicureo, sul rispetto della tradizione e dell’ordine politico-sociale, senza tuttavia sfociare in fanatismi arcaici: aveva dato alla dottrina stoica una svolta aristocratica e ne aveva addolcito il rigorismo morale. È un’opera pedagogica, perché l’autore si rivolge soprattutto ai giovani (illustrata con molti esempi): vuole mostrare come l’assolvimento dei doveri non sia possibile senza aver assorbito e meditato la riflessione filosofica dei Greci. I. chiarisce il concetto di honestum (= bene morale), in relazione al quale si stabiliscono i comportamenti moralmente validi (“doveri”); esso scaturisce da tendenze naturali insite nell'uomo, e si esplica in quattro virtù fondamentali (sapienza, giustizia, fortezza, temperanza); II. la tesi è che i doveri che si stabiliscono in base al criterio dell'utile sono gli stessi già dedotti dal criterio dell'honestum e s'identificano anche essi nell'esercizio delle virtù; III. svolge un argomento che Panezio aveva tralasciato, ovvero il conflitto tra l'onesto e l'utile, che però è solo apparente poiché nessuno può trarre vera utilità da azioni che mirino solamente al tornaconto personale e non al vantaggio comune. Seguendo il modello di Panezio, che affermava che nella società romana, insieme alla giustizia, agiva, nella virtù fondamentale della socialità, la beneficenza, cioè l’atto degli aristocratici di dare gli officia per ottenere vantaggi politici, Cicerone sottolinea con forza che la beneficenza non deve essere posta al servizio di ambizioni personali. Alla virtù cardinale della fortezza Panezio aveva sostituito la magnanimità, virtù che scaturisce da un naturale istinto a primeggiare sugli altri. A fondamento di questa virtù Cicerone pone però un disprezzo quasi ascetico per tutti i beni terreni, come gli onori, la ricchezza e il potere (largitio mezzo pericoloso nelle mani sbaglaite). È compito della ragione regolare gli istinti naturali e di trasformarli in virtù, così da poterli mettere al servizio della collettività e dello stato. Il regolatore generale di istinti e virtù è la temperanza, che si manifesta nel decorum, ideale di aequabilitas, quasi di uniformità, un’apparenza di appropriata armonia dei pensieri, dei gesti e delle parole, possibili solo per chi abbia saputo sottomettere i propri istinti al controllo della ragione. Non rifugge da una minuta precettistica relativa ai comportamenti da tenere: dà inizio a una tradizione di ‘galateo’. Il concetto di decorum permette di fondare anche la possibilità di una pluralità di atteggiamenti e scelte di vita, propri di tutte le diverse vocazioni e attività dei boni dell’Italia. Ognuno dovrà recitare nella vita la parte che meglio si addice al proprio talento: rivalutate scelte di vita largamente ‘sospette’ e conferita dignità a molteplicità di figure sociali (compito di ritesse la trama dei valori, di trasformare e rendere duttile l’antico modello). 1la stessa ideologia della humanitas invitava a un atteggiamento intellettuale di aperta tolleranza, che rispecchia i comportamenti della buona società romana, che elabora un proprio codice di ‘buone maniere’. Antiepicureismo: l’eclettismo ciceroniano mostra una chiusura radicale solo verso l’epicureismo, per due motivi: 1. la filosofia epicurea conduce al disinteresse verso la politica 2. l’epicureismo esclude la funzione provvidenziale della divinità e rompe quindi con la religione tradizionale (base fondamentale dell’etica, secondo Cicerone). Lingua e stile di Cicerone prosatore: grazie alla chiarezza espositiva, alla competenza giuridica e all'eccezionale abilità dialettica, Cicerone assolve egregiamente le tre funzioni che nelle opere retoriche assegna all'oratore, ovvero: 1 docēre = informare chiaramente e dimostrare la sua tesi nel modo più convincente e razionale; 2 delectare = dilettare il pubblico, ricorrendo alle doti di narratore vivace e di ritrattista psicologicamente acuto e penetrante, all'arguzia e all'ironia; 3 movēre o flectĕre = trascinare gli uditori al consenso suscitando commozione, sdegno, ira, compassione, ricorrendo agli effetti “patetici” che potrebbero svolgere un ruolo decisivo per l'esito della causa. Ciascuna delle tre gradazioni di stile sa convenientemente essere impiegata a seconda delle esigenze discorsive corrispondenti. Ad ogni livello corrisponde una collocazione delle parole adeguata. La disposizione verbale è sempre accuratamente tale da realizzare il numerus, che agisce come un sistema di regole metriche adattate alla prosa in modo che i pensieri gravi trovino un andamento solenne e sostenuto, e invece il discorso piano un’intonazione familiare. La sede specializzata per questi effetti metrico-ritmici è la clausola (parte finale del perioso): varietà efficace ed abilissima delle clausole ciceroniane. Lo stile di Cicerone oratore è vario, duttile, multiforme: tende alla solennità, sconfinando talora nella ridondanza e nell'ampollosità, ma è anche capace di brevità, stringatezza, essenzialità. Il periodo è articolato in modo complesso e armonioso, con abbondanza di preposizioni subordinate (sostituzione della paratassi con l’ipotassi), ed è costruito secondo criteri di coesione e compattezza, fondato su un perfetto equilibrio e rispondenza delle parti. Elimina le incongruenze nella costruzione che la prosa latina arcaica aveva ereditato dal linguaggio colloquiale. ➔ Concinnitas (= “armonia”, “eleganza”), ottenuta con il parallelismo e l'equivalenza fonico-ritmica dei membri, con l'abbondanza dei nessi sinonimici e con le figure della ripetizione. Per quanto riguarda l’inadeguatezzza della lingua romana a rendere la terminologia filosofica dei greci, la posizione di Cicerone è puristica: evita i grecismi e sperimenta le traduzioni dal greco. Introduce così in latino molte parole nuove e getta le basi del lessico astratto. OPERE POETICHE Cicerone fu autore anche di numerose opere in versi, che però gli antichi non giudicarono all'altezza del suo valore e della sua fama da prosatore e che per questo motivo non ci sono state tramandate. Ne rimangono solo frammenti, parecchi dei quali citati dall'autore stesso, per lo più nelle opere filosofiche. Opere giovanili: si ha notizia di due operette alessandrineggianti di carattere mitologico, Glaucus e Alcyones (protagonisti di storie di metamorfosi), scritte in età giovanile e che sembrano rinviare al genere ellenistico dell'epillio. Sempre da giovane fece anche una traduzione in esametri di un poema didascalico ellenistico, i Fenomeni di Arato di Soli (III secolo a.C.), di argomento astronomico (Aratea). Tali opere sono riconducibili al gusto e alle tendenze legate all'alessandrinismo, che si affermarono a Roma con i poetae novi (precursore dei neoterici?); tuttavia in età matura Cicerone li criticò severamente, rimproverando loro il distacco programmatico e ostentato dalla tradizione della poesia romana arcaica, rappresentata in primo luogo da Ennio. Opere epico-storiche della maturità: nel filone dell'epica storica di carattere celebrativo, che aveva avuto in Ennio il massimo esponente, Cicerone s'inserì con un poema, Marius, dedicato alle gesta del concittadino Gaio Mario. Inoltre, dopo aver vanamente sperato che altri poeti celebrassero il suo consolato, prese l'iniziativa di celebrarsi da solo e compose due poemi epico-storici sulle proprie gesta (De consulatu suo, De temporibus suis). Influenza di versificatore: • Contributo nella regolarizzazione dell’esametro metro (ne uscì più elegante, più duttile e vivace nel ritmo) • Conquista di una maggiore libertà espressiva nella disposizione delle parole e spinta impressa al discorso oltre i rigidi confini del verso: sviluppo dell’enjambement e della tecnica dell’incastro verbale • Traduzioni dai poeti greci: costante programma di latinizzazione della cultura greca EPISTOLARIO Di Cicerone si è inoltre conservato un imponente corpus di epistole ad amici e conoscenti, comprendente in totale 864 lettere, risalenti agli anni dal 68 al 43 a.C. e suddivise in 4 raccolte: Raccolta Destinatari e contenuti Epistulae ad Atticum (16 libri) 68-44 a.C. Ad Attico, l'amico più caro, intimo e fedele di tutta la vita. Epistulae ad familiares (16 libri) 62-43 a.C. A parenti (come la moglie Terenzia e i figli) e amici (tra cui uomini politici come Pompeo, Cesare, Catone, ecc.); tale raccolta comprende inoltre una novantina di lettere di suoi corrispondenti. rerum rusticarum libri: forma dialogica, concezione varroniana della produzione agricola (cfr. Catone), ma non istruzione pratica → compiace ideologia del ricco proprietario e estetizza la vita agricola • vasta fortuna nell’antichità, ma stile sciatto e spesso oscuro Nigidio Figulo • Interessi scientifici • Accostamento argomenti grammaticali e antiquari • Interessi filosofici, cosmologici, storico-naturali • Neopitagorico • Ammirazione dei posteri per figura di erudito-filosofo-scienziato-mago (cfr. Lucano) Cornelio Nepote • Compilazioni storico-aneddotiche Cronicha: esposizione sistematica della cronografia universale, con particolare attenzione al sincronismo fra gli avvenimenti della Grecia, di Roma e dell’Oriente. De viribus illustribus: raccolta di biografie, ma confronto sistematico fra civiltà greca e romana, raffrontando romani e stranieri (raggruppati per categorie ‘professionali’) ➔ Epoca in cui ci si interroga su caratteri originali della civiltà romana e ci si apre all’apprezzamento dei valori di tradizioni diverse: relativismo culturale, che non corrode le basi ideologiche della società romana NB influenza sulle Vite Paralle di Plutarco. Per il resto autore mediocre: esposizione semplificata e fatta di curiosità aneddotiche, senza accuratezza dell’informazione e giudizi critici e meditati → pubblico poco preparato. CESARE (101/100 – 44 a.C.) • generi: Commentarii (genere particolare, accostabile alla prosa memorialistica e autobiografica); oratoria e trattatistica (ma le opere sono andate perdute) • temi chiave: esaltazione delle proprie doti carismatiche e militari (nel De bello Gallico); difesa del proprio operato politico e militare durante la guerra civile (nel De bello civilis); propaganda politica di riconciliazione (clementia) e denigrazione degli avversari • stile: grammatica regolare e sintassi rigorosamente logica; lessico puro e selezionato (con l'esclusione di vocaboli troppo alti, poetici o arcaici, oppure troppo bassi); sobrietà nell'uso delle figure retoriche e nel ricordo al pàthos; concisione espressiva • pubblico: vasto, costituito dall'insieme dei cittadini romani da cui ottenere consenso politico • fortuna: alla sua fortuna come personaggio-simbolo del potere assoluto corrisponde, a partire dal Cinquecento, una pari fortuna come scrittore apprezzato per il rigore e la sobrietà espressiva • fonti: le sue stesse opere, Svetonio, Plutarco, Cicerone, Appiano, Dione Cassio Cesare occupa un posto un primo piano nella storia di Roma poiché fu il principale responsabile e artefice del passaggio decisivo dalla repubblica al principato. Non minore è il rilievo che egli assume nella letteratura, di cui coltivò campi svariati: fu eccellente oratore, libellista pungente e polemico, autorevole studioso della lingua latina e narratore delle vicende di cui fu protagonista. La vita: Gaio Giulio Cesare nacque a Roma nel 100 a.C. Apparteneva alla gens Iulia, di antica origine patrizia, ma era anche legato da rapporti di parentela con Mario e Cinna, importanti esponenti del partito dei populares, e per questo perseguitato dai sillani. A tale partito diede tutto il suo appoggio quando, dopo la morte di Silla, intraprese l'attività giudiziaria, impegnandosi in particolare nella battaglia per la restaurazione delle prerogative dei tribuni della plebe (avvenuta poi nel 70 a.C.). Questore nel 68 a.C., edile nel 65, riuscì nel 63 a.C. a farsi conferire la carica (a vita) di pontefice massimo, battendo competitori più anziani ed influenti. Nello stesso anno, nella seduta del Senato presieduta dal console Cicerone, si pronunciò contro la condanna a morte senza processo per i seguaci di Catilina, adducendo motivi legalitari. Pretore nel 62 a.C., propretore nel 61 in Spagna, provvide a pacificare la provincia con spedizioni vittoriose contro le popolazioni confinanti. Tornato a Roma nel 60 a.C., stipulò con Pompeo e Crasso un accordo privato di collaborazione politica, il primo triumvirato, e fu eletto console per il 59 a.C.; si fece inoltre assegnare il governo proconsolare delle Gallie e dell'Illirico per i cinque anni successivi al primo di consolato. Nel 58 a.C. Cesare affidò il controllo della situazione a Roma al tribuno della plebe Publio Clodio e partì per la Gallia, dove movimenti migratori e ostilità tra tribù celtiche e germaniche mettevano a rischio la provincia romana; vi intraprese quindi una serie di spedizioni vittoriose oltre i confini, le quali si conclusero nel 52 a.C. con la sottomissione di tutta la Gallia. L'organizzazione del vasto territorio conquistato lo impegnò fino al 50 a.C. Intanto a Roma la reazione contro il partito di Cesare acquistò maggior forza a causa dell'uccisone di Crasso (sconfitto durante una campagna contro i Parti, nel 53 a.C.) e di Clodio (nel 52 a.C.). Era evidente che Cesare mirasse ad un potere assoluto fondato sull'esercito, Pompeo si fece quindi campione dell'autorità del Senato. E fu proprio il Senato, ai primi di gennaio del 49 a.C., ad intimare a Cesare un ultimatum: se non avesse congedato l'esercito, sarebbe stato considerato “nemico pubblico”. Cesare non ubbidì all'ordine e, con il passaggio del Rubicone assieme alle truppe armate, diede inizio alla guerra civile (49-45 a.C.). Si assicurò facilmente il controllo dell'Italia e di Roma, dopodiché affrontò Pompeo, il quale nel frattempo si era spostato in Oriente per organizzare la resistenza: lo sconfisse a Farsàlo (Grecia) nel 48 a.C. Il conflitto continuò anche dopo la morte di Pompeo in Egitto (assassinato per volontà dei consiglieri di re Tolomeo), con la battaglia di Tapso (in Africa, 46 a.C.) e di Munda (in Spagna, 45 a.C.). Dopo la vittoria, Cesare fu imprevedibilmente mite con i suoi avversari: non compilò liste di proscrizione, impedì ai suoi seguaci ogni forma di vendetta, fu generoso nel concedere il suo perdono; ciò non fu tuttavia sufficiente a far accettare senza contrasti il programma di riorganizzazione dello Stato e la reazione della nobilitas senatoria sfociò in una congiura da parte di un gruppo di aristocratici di fede repubblicana che gli costò la vita (15 marzo 44 a.C.), ma che non fermò il processo di trasformazione della res publica in impero. Le opere perdute: Cesare ebbe vasti e vari interessi culturali, che spaziavano dalla filosofia (soprattutto epicurea), alla scienza (infatti riformò il calendario), alla letteratura; tutte le sue opere, tranne i Commentarii e alcune lettere dell'epistolario ciceroniano, sono però andate perdute. Si sa che le orazioni di Cesare vennero molto apprezzate nell'antichità, ed è probabile la sua adesione all'atticismo, che prevede purismo lessicale, sobrietà e semplicità stilistica. Inoltre, l'opera De analogia, composta durante l'impresa gallica, è prova dei suoi interessi in ambito linguistico e grammaticale e della sua adesione alla dottrina analogista (ordine e regolarità come aspetti caratteristici della lingua), mentre gli Anticatones, scritti all'epoca della battaglia di Munda, erano la risposta all'elogio composto da Cicerone nei confronti di Catone, nemico irriducibile di Cesare. Commentarii: Il termine indicava un tipo di narrazione a mezzo tra la raccolta di appunti personali e la loro elaborazione in forma artistica, cioè arricchita degli ornamenti stilistici e retorici tipici della vera storiografia. Il commentarius di Cesare, di cui Cicerone sottolinea lo stile unico e semplice, è un tipo di genere che si avvicina molto probabilmente alla historia, come dimostrano la drammatizzazione delle scene e il ricorso a i discorsi diretti, ma l’unicità dello stile di Cesare sta proprio di eliminare dalla propria narrazione drammatica gli artifici retorici eccessivamente plateali (cfr. uso della terza persona). Erano opere composte per offrire ad altri storici il materiale sul quale impiantare la propria narrazione, ma sono più di un semplice canovaccio (possiedono doti formali). Si allontana dal modello storiografico anche per l’assenza della prefazione. De Bello Gallico: probabilmente in origine si chiamava C. Iulii Caesaris commentarii rerum gestarum, è composto da sette libri, che coprono il periodo dal 58 al 52 in cui Cesare procedette alla sistematica sottomissione della Gallia: Libro Anno Contenuto I 58 a.C. Breve descrizione etno-geografica della Gallia; campagne contro gli Elvezi e contro Ariovisto, re degli Svevi, per contrastarne le migrazioni nelle regioni della Gallia. II 57 a.C. Campagna nella Gallia Belgica (rivolte delle tribù) III 56 a.C. Campagne nel nord della Gallia, in Aquitania e nella Gallia Belgica. IV 55 a.C. Campagna contro i Germani e prima spedizione in Bretagna; breve excursus sui costumi dei Germani. V 54 a.C. Seconda spedizione in Britannia, nella quale i Romani affrontano le popolazioni costiere. Al ritorno in Gallia, Cesare deve affrontare le ribellioni di alcune popolazioni della Gallia Belgica. Excursus etnogeografico sulla Britannia. VI 53 a.C. Repressione di popolazioni galliche ribelli (tra cui Nervi e Sènoni); per evitare che i Germani si uniscano ai ribelli, Cesare compie una seconda incursione al di là del Reno. Ampio excursus etno-geografico sui Galli e sui Germani. VII 52 a.C. Resoconto della rivolta generale dei Galli scoppiata sotto la guida di Vercingetorìge, capo degli Averni. La battaglia decisiva si combatte ad Alesia, dove, dopo un lungo assedio, Vercingetorìge si arrende e si consegna a Cesare. Secondo alcuni, sarebbe stato scritto di getto nel 52/51, mentre altri preferiscono pensare ad una composizione anno per anno, durante gli inverni, nei periodi in cui erano sospese le operazioni militari. Questa seconda ipotesi ha a suo favore l’esistenza di alcune contraddizioni interne all’opera e sembrerebbe, inoltre, dare ragione della sensibile evoluzione stilistica riscontrabile all’interno dell’opera. Essa mostra come dallo stile scarno del commentarius vero e proprio, Cesare, nella seconda parte dell’opera, usi molto frequentemente il discorso diretto e una grande varietà di sinonimi, che mostra un significativo arricchimento del patrimonio lessicale. NB esplicita testimonianza di Irzio sulla rapidità con la quale Cesare aveva composto i suoi Commentarii. Un VIII libro fu aggiunto da Aulo Irzio, dopo la morte di Cesare, per colmare l'intervallo tra il De bello Gallico e il De bello civili con l'esposizione degli avvenimenti avvenuti tra il 51-50 a.C. De Bello Civili: si divide in tre libri, di cui i primi due narrano gli eventi del 49, e il terzo quelli del 48, ed in genere si pensa sia stato composto tra il 47 e il 46 a.C. L’opera appare incompiuta. SALLUSTIO (86 – 35 a.C.) • genere letterario: storiografia, di impostazione monografica oppure annalistica • temi chiave: scelta di argomenti emblematici della storia recente; moralismo (l'indagine sulle cause degli avvenimenti si concentra sulle condizioni etico-politiche); pessimismo (il processo storico è visto come un progressivo declino); interesse per i personaggi e per il loro carattere • stile: arduo e “scosceso”, con uno spiccato gusto della concisione e pregnanza espressive (brevitas), dell'asimmetria (variatio) e degli arcaismi • fortuna: esercita un'influenza duratura soprattutto per lo stile, apprezzato dagli scrittori “anticlassici” di ogni tempo, e per la vitalità artistica di alcuni personaggi da lui delineati • fonti: Girolamo, Dione Cassio e stesso Sallustio Sallustio è il primo grande storico latino: con lui la storiografia romana raggiunge la maturità e produce opere in grado di competere con quelle dei grandi storici greci, producendo una prosa d'arte concisa, densa, ricca di variazioni, caratterizzata da una voluta coloritura arcaica che conferisce al racconto solennità. Egli delinea su base moralistica un'interpretazione della storia di Roma in termini di decadenza e individua nei “vizi” (avidità, ambizione, brama di ricchezze) i principali fattori di disgregazione della società. → Visione pessimistica che lo spinge a concentrarsi su momenti oscuri e difficili della storia anziché su periodi di gloriosi successi. Gaio Sallustio Crispo nacque probabilmente nell'86 a.C. ad Amiterno, in Sabina, da una famiglia plebea abbastanza agiata. A Roma intraprese la carriera politica con l'appoggio, indispensabile per un homo novus, di qualche influente personaggio, forse Cesare stesso, di cui fu sempre fedele seguace. Nel 50 a.C., dopo aver esercitato la questura e il tribunato della plebe, legatosi quindi inizialmente ai populares, fu espulso dal Senato per con la generica accusa di probum (“vita scostumata”), ma vi venne poi reintegrato per opera di Cesare nell'anno seguente; Sallustio nel frattempo lo aveva raggiunto in Gallia e fu al suo fianco nella guerra civile, svolgendo alcuni incarichi militari. Dopo la vittoria di Tapso (46 a.C.), Cesare ridusse a provincia il regno di Numidia col nome di Africa Nova e scelse Sallustio come primo governatore del nuovo territorio romano. Tornato a Roma arricchito, nel 45 o all'inizio del 44 a.C. venne accusato di concussione; venne salvato dal processo per intervento di Cesare, e alla morte di quest'ultimo abbandonò definitivamente la carriera politica. Le ricchezze accumulate gli consentirono di acquistare la villa di Cesare a Tivoli e di farsi costruire a Roma un sontuoso palazzo circondato da giardini (horti Sallustiani). In questo splendido ritiro dedicò il resto della sua vita all'attività storiografica, che la morte interruppe nel 35 a.C. Opere: scrisse due monografie storiche: il Bellum Catilinae (o De Catilinae coniuratione) e il Bellum Iugurthinum, composte e pubblicate probabilmente tra il 43 e il 40 a.C. Inizio anche un’opera di più vasto respiro, le Historiae, rimasta incompiuta per la morte dell’autore (ricopriva il periodo fra il 78 e il 67). Le due monografie: ad ambedue Sallustio antepone lunghi proemi in cui si sforza di giustificare il fatto di essersi ritirato dalla vita politica per dedicarsi alla composizione di opere storiche, giustificazioni alla propria attività intellettuale di fronte a un pubblico come quello romano (fare storia > scriverne). Se Cicerone rivendica il suo cambiamento con orgoglio, Sallustio attribuisce alla storiografia un valore di gran lunga inferiore a quello della politica, perché per lui la storiografia è strettamente legata e subordinata alla prassi politica e utile (maggior funzione: formazione dell’uomo politico). Sallustio vuole quindi rivendicare l'importanza dell'opera dello storico, partendo da premesse filosofiche, in particolare dal tema platonico del dualismo dell'essere umano, composto di anima e corpo. Egli proclama la superiorità della parte spirituale dell'uomo su quella fisica, riconducendo all'anima tutte le occupazioni più nobili, apportatrici di fama, che consentono di trascendere i limiti mortali della vita umana. → legittimazione della storia rispetto alla tradizione romana → dimostrazione della dignità del narratore: sublimazione della figura dello storico (personaggio ineccepibile, austero e autorevole, disgustato dalle bassezze della politica e ritiratosi per proseguire nella storiografia, a cui affida l'esposizione, l'interpretazione e la valutazione imparziale dei fatti) Sallustio denuncia l’avidità di ricchezza e di potere come i mali che avvelenano la vita politica romana e configura la sua storiografia come un’indagine sulla crisi attuale. L’impostazione monografica, oltre a risentire dell’esigenza di opere brevi di raffinata fattura stilistica (cfr. esperienza neoterica), serviva a delimitare e a mettere a fuoco un singolo problema storico sullo sfondo di una visione organica della storia di Roma: ❖ con il Bellum Catilinae sottolinea il punto più acuto della crisi, quale il delinearsi di un pericolo sovversivo finora ignoto allo stato romano (cfr. grande paura dei ceti possedenti nei confronti degli strati inferiori) ❖ con il Bellum Iugurthinae, invece, affronta direttamente l’incapacità della nobilitas corrotta di difendere lo stato e insiste sulla resistenza vittoriosa dei populares Bellum Catilinae: Sezione Capitoli Contenuto Proemio e presentazione del protagonista 1 – 5 • Indicazioni programmatiche • Ritratto di Catilina, un personaggio di grande personalità, ma corrotto dalla generale decadenza dei costumi romani, dovuta all’accrescersi della potenza dell’Impero e al dilagare del lusso e delle ricchezze. Catilina aveva intravisto la possibilità di coalizzare una sorta di blocco sociale avverso al regime senatorio, e Sallustio vedeva nel pericolo catilinario uno dei sintomi principali della malattia di cui soffriva la società romana Excursus iniziale 6 – 13 Sintesi della precedente storia di Roma Antefatto e sfondo del complotto 14 – 16 Ritratto dei simpatizzanti di Catilina, trascorsi di quest'ultimo e suoi metodi per reclutare i complici (raggruppa personaggi che per i motivi più diversi auspicano un cambiamento del regime) Prima fase della congiura 17 – 36, 3 • Riunione in casa di Catilina • Notizie su un precedente complotto fallito • Discorso programmatico di Catilina; appendice su talune voci di atrocità commesse durante questa riunione • La notizia della cospirazione si diffonde e favorisce l'elezione al consolato di Cicerone: Catilina prepara un colpo di stato • Ritratto di Sempronia, tipica rappresentante delle donne implicate nella congiura • Nuova sconfitta elettorale di Catilina, che imbocca definitivamente la via della cospirazione e della rivolta • Il console di Cicerone attacca duramente in Senato Catilina, obbligandolo a lasciare Roma e a rifugiarsi in Etruria dove il suo complice Manlio raccoglie le truppe; lettere di Manlio e di Catilina • Il Senato dichiara Catilina nemico pubblico e si prepara a combatterlo Excursus centrale 36, 4 – 39, 5 Condizioni politiche e sociali di Roma ai tempi della congiura di Catilina (motivi della degenerazione della vita politica che hanno favorito l’attività di Catilina) Seconda fase della congiura 39, 6 – 55 Repressione della congiura a Roma • Tentativi sovversivi attuati a Roma dai complici di Catilina per ottenere l'appoggio della popolazione gallica degli Allòbrogi, i cui ambasciatori svelano però il tentativo a Cicerone • Repressione di moti suscitati in varie parti d'Italia • Gli ambasciatori degli Allòbrogi mantengono i contatti con i congiurati e ottengono un documento compromettente; avuta tale prova, Cicerone fa arrestare i capi della congiura • La plebe reagisce favorevolmente agli ultimi sviluppi; tentativi di coinvolgere nella congiura Cesare e Crasso • Cicerone convoca il Senato per giudicare i congiurati; discorsi di Cesare, contrario alla pena di morte, e di Catone, favorevole ad essa • Breve excursus sulle cause della grandezza di Roma • Confronto tra Cesare e Catone, le due più grandi personalità del tempo, dalle virtù opposte e complementari • Esecuzione dei congiurati 56 – 61 Sconfitta dei congiurati in Etruria • In Etruria Catilina si prepara a combattere; discorso di Catilina ai soldati • La battaglia: Catilina, sconfitto, cerca la morte • Descrizione del campo dopo il combattimento e di Catilina moribondo Con ispirazione tucididea, attraverso l’archeologia, l’autore individua nella storia dell’ascesa e della decadenza di Roma il punto di svolta nella distruzione di Cartagine, a partire dalla quale venne meno il timore verso i nemici esterni che teneva salda e compatta la collettività cittadina, e cominciò il deterioramento della moralità romana. In questo processo di degenerazione, il democratico Sallustio attribuisce un ruolo di rilievo alla figura del dittatore aristocratico Cornelio Silla, al quale si aspira lo Dominano le tinte cupe e la corruzione dei costumi dilaga senza rimedio. Sembra quasi che il pessimismo sallustiano si acuisca nell’ultima operta, perché, dopo l’uccisione di Cesare, lo storico non ha più una parte dalla quale schierarsi e non aspetta più alcun salvatore. Stile: favorì un’evoluzione della storiografia latina e, sulla base di Tucidide e Catone il Censore, elaborò uno stile fondato sull’inconcinnitas, cioè il contrario della ricerca ciceroniana di simmetria e il rifiuto di un discorso regolare e proporzionato: stile fondato sull’antitesi, sulle asimmetrie e variazioni di costrutto, che producono un effetto di gravitas austera e un’immagine di essenzialità di pensiero. A ciò va aggiunta una ricca componente arcaizzante (nella scelta delle parole e nella ricerca di una concatenazione delle frasi di tipo paratattico) e, al tempo stesso, innovatrice, perché l’andamento spezzato è del tutto anticonvenzionale, e lessico e sintassi contrastano il processo di standardizzazione della lingua letteraria del tempo. L’esigenza di sobrietà e austerità imponeva la rinuncia a tutta una serie di effetti drammatici tipici della storiografia ‘tragica’. Ma la limitazione approda a una drammaticità più intensa perché più controllata. Opere spurie: Invectiva in Ciceronem, Epistulae ad Cesarem senem de republica (stile più sallustiano di quello di Sallustio). La questione dell’autenticità è ancora molto controversa. L’ETÀ DI AUGUSTO 43 a.C. – 17 d.C.: caratteri di un periodo • Tutte le figure dominanti della nuova poesia hanno rapporti con Augusto e il suo entourage • Periodizzazione dagli inizi di Virgilio alla fine di Ovidio • I generi letterari hanno tempi ‘relativi’ di sviluppo molto diversi • Virgilio e orazio accompagnano le sorti politiche di Augusto e risentono della crisi generale (vittime in prima persona) • Tema dominante della ‘grande paura’ tra morte di cesare e Azio: contrasti e lacerazioni dove si sente la memoria della guerra civile • Effetti delle guerre civili: poeti trovano sostegno e protezione in Augusto • Dopo Azio i nuovi poteri di Ottaviano annunciano una nuova stagione politica: speranza che porti la pace e metta fine alle guerre civili • Fase di concordia e ricostruzione: i più grandi poeti romani erano già legati a Mecenate e al partito di Ottaviano (nessun rimpianto per la res publica di Cicerone) - Ideologia augustea come cooperazione politica-culturale in cui i poeti hanno ruolo attivo e individuale - Formazione comunque non stabile e non priva di contraddizioni → derivate dalla stessa figura di Augusto (Enea cela nel suo animo tormentato tali contraddizioni → non provoca la guerra, ma non può evitare di essere vendiactore) - Ricordo delle guerre civili cancellato dalla propaganda augustea (cfr. Res gestae → iato che corre fra propaganda e ideologia) • Irripetibile densità di capolavori (eccetto l’oratoria, non ha alimento dalla severa ‘pacificazione’ augustea) • Rapporti tra letteratura e ideologia molto meno totalitari (anche se attesi, voluti e quasi pianificati) • Volontà di competere con la Grecia classica: modelli illustri, non sempre imitati → Rapporto di imitazione libero e complesso: volontà di produrre un equivalente romano che sappia porsi insieme come trasformazione del modello e come sua continuazione → Virgilio e orazio sono insieme ‘più fedeli’ e ‘più autonomi’ nei confronti del modello greco → Letteratura greca come viva e compresente, ma sforzo di allargamento dei temi e delle esperienze • A maturazione processo di organizzazione della materia secondo logica dell’argomentazione rigorosa accompagnata ad esigenza alessandrina del libro come unità artistica, segnata da corrispondenze e alternanze (+) gli alessandrini operavano per contaminazioni guadagnando nuove possibilità di espressione, ma avendo i generi letterari come punti di riferimento precisi, modellizzazioni possibili del senso e della forma • Tocca alla generazione di Virgilio e Cornelio Gallo definire i tratti forti pertinenti al genere prescelto, sia dal punto di vista dell’espressione, sia dal punto di vista dei contenuti • I poeti latini lavorano in questo periodo in direzione inversa rispetto ai modelli alessandrini, da cui pure parte la loro poetica → partendo da realtà letteraria mistiforme, senza rinnegare poikilia operano per selezione, cercando dominanti e costruendo generi: → Virgilio lavora su Teocrito. La poesia bucolica si costruisce come genere dotato di sesno e forma autonomi, in cui ogni elemento rispecchia organicamente il mondo pastorale e il suo immaginario → rispetto alla varietà multiforme della poesia elegiaca ellenistica, l’elegia romana diventa poesia d’amore (il poeta può fare della sua passione amorosa la ragione esclusiva della propria esistenza e della propria poesia). Tratti forti della codificazione letteraria saranno il servitium amoris e la scelta di una vita degradanti in cui il poeta-amante rifugge ogni riconoscimento o successo sociale ➔ Mossi da un comune impegno di pianificazione culturale, ma ognuno aveva personali preferenze letterarie. Necessità di dichiarazioni di poetica, di mettere in discorso le proprie scelte, di fare recusationes polemiche → possesso di mature categorie formali • Momenti di valorizzazione del poeta-vate (cfr. Orazio e Virgilio) → cantori ispirati destinati a trovare ascolto emozionato e diffuso, ideale di poeta ispirato dalle cose e fortemente impegnato nella sua società • Augusto condivideva questi sforzi: si richiamano in vita le tradizioni della ‘repubblica dei contadini’, sventolio di bandiere senza effetti pratici • Mecenate mostra come si poteva essere attivi e impegnati negli affari pubblici senza sacrificare l’otium, la cultura, il piacere e il lusso • Sviluppo della dimensione privata → genere elegiaco: divisione di ruoli rispetto a ideologia ufficiale (visto che c’è Augusto che si occupa delle cose serie, l’amore può essere finalmente l’unica cosa seria) ➔ Nuovo modello della vita d’amore non favorito ufficialmente dal regime: rapporto ambiguo e irrisolto con l’ideologia augustea (respingono qualsiasi esaltazione epica del valore nazionale: fanno omaggio al principe solo con la recusatio) • Nell’ultima fase del regno di augusto: dopo Virgilio c’è netta divisione della poesia: o è celebrativa o è apolitica e disimpegnata (teatro nazionale non ricostruibile). ➔ Ovidio è sorridente distruttore, compito di fornire dignità letteraria a una cultura modernizzante per la prima volta libera da moralismi e ritorni alle origini ▪ Finisce per toccare la contraddizione, anticipando difficili rapporti tra letteratura e potere assoluto Autori minori Cornelio Gallo → tramite fra poesie neoterica e poesia d’amore dell’età augustea Vario Rufo (amico di Orazio e citato da Virgilio, che lo loda: sarà lui a pubblicare l’Eneide) → epica, tragedia, poesia didascalica con gusto epicureo, caratteristico del tempo. È coerente adepto del partito di Ottaviano: attacco a Marco Antonio. Mecenate: - centro di attrazione di tutta la generazione poetica augustea - mai cariche ufficiali - rottura con tradizioni della repubblica: intensa attività sottocoperta e ironico disatcco dalle pubbliche virtù del tradizionale uomo politico romano - promuove letteratura ‘nazionale’, non di massa ma a forte impegno ideale - coltiva poesia nugatoria, intimistica e ironica Augusto - politico troppo lucido e disincantato per illudersi sui propri talenti letterari - autobiografia incompiuta - forse senso della propaganda ➔ res gestae → destinato a esser riprodotto in pubbliche iscrizioni → stile asciutto ed efficace, apparentemente semplice ma calcolatissimo nei toni → spiega che la fonte delle sue cariche è la volontà del senato e del popolo → densità e capacità persuasiva - commentarii de vita sua: alimenta alone carismatico Asinio Pollione: - parte sbagliata politicamente - si distingue per senso critico, anticonformismo e impegno letterario (prima biblioteca pubblica a Roma) - preoccupato per il crollo della tradizione oratoria - autore di tragedie (cfr. Orazio e Virgilio) - di tendenza atticista (vs Cicerone) - historiae: dal primo triumvirato in poi (indipendenza con principe non diventava opposizione) - velenosi giudizi vs altri scrittori - stile secco, straniato mosaico verbale composto con cura meticolosa Marco Valerio Messala: - legame con poeta Tibullo - uomo politico - auotonomo patronato letterario - notevolissimo oratore - numerosi scritti eruditi, grammatici e retorici - anche poesie bucoliche in greco secondo descrive i riti magici compiuti da una donna per ricondurre a sé dalla città l'amato che l'ha abbandonata. È dedicata ad Asinio Pollione. IV Di ambito completamente diverso: in essa, dedicata ad Asinio Pollione (console nel 40 a.C.), Virgilio profetizza la prossima fine di un ciclo cosmico e l'inizio del successivo, che coinciderà con il ritorno sulla Terra dell'età dell'oro. Tale rinnovamento è collegato con l'imminente nascita di un bambino (puer) le cui fasi della vita vedranno il progressivo realizzarsi del mondo nuovo. → Identificazione del puer: figlio di Pollione, figlio atteso da Ottaviano, frutto sperato dal matrimonio tra Antonio ed Ottavia, Ottaviano stesso, oppure il simbolo della generazione aurea di cui si attende l'arrivo; l'oscurità è voluta dal poeta. → Virgilio esprime inoltre l'attesa e la speranza della cessazione delle guerre civili e dell'avvento di una nuova era di pace, giustizia e benessere; l'ansia di rigenerazione fa apparire il messaggio come universale, tanto da venir interpretato come il preannuncio della nascita di Gesù Cristo. V Riprende il topos del canto amebèo; il tema è la morte e la trasfigurazione di Dafni (prototipo del poeta-pastore appartenente alla tradizione siciliana). VI Svolge il tema del valore e dell'importanza della poesia: due pastorelli costringono scherzosamente Sileno ad intonare un canto dai temi per lo più mitici e naturalistici, al centro del quale si inserisce un omaggio a Cornelio Gallo. L’ecloga è preceduta da una dichiarazione di poetica che serve per introdurre la seconda metà del liber (uso alessandrino). IX Dialogo tra due pastori, entrambi poeti; uno riferisce all'altro di un loro amico, anch'egli poeta, il quale, dopo aver sperato di conservare i propri beni grazie ai suoi carmi, ha dovuto cedere il suo podere ad uno straniero e ha quasi perso la vita nella contesa con questi. Modello di Teocrito e confini del genere bucolico: Teocrito fu uno dei più grandi autori ellenistici (non il più è popolare: non si prestava a manifesti innovatori e sperimentali), portavoce di un mondo semplice, delicato e rurale d’evasione, in cui Virgilio, che disponeva di una riserva sentimentale forte, rileggeva l’ambiente in cui era cresciuto (poesia degli Idilli è rivolta alla ricostruzione, nostalgica e dotta, di un mondo pastorale tradizionale mischiato a una forte patina dorica). Tocchi di realismo e slanci di nostalgia mischiati a una tendenza autoriflessiva. I pastori di Teocrito erano possibilità per approfondire tutta una vocazione letteraria, e, dunque, imitare Teocrito significò una sorta di simbiosi che non ha precedenti nella letteratura romana. Virgilio si trasferì all’interno di questo genere: la presenza di Teocrito è stata risolta in una trama di rapporti talmente complessa che la nuova opera, realmente, sta alla pari con il modello e per questo si può dire che le Bucoliche sono davvero il primo testo della letteratura augustea. Il nuovo Teocrito, Virgilio, per essere veramente bucolico, doveva abbandonare i confini del mondo pastorale ed aprirsi a incursioni nel mondo della città, descrivere particolari occasioni storiche, come fece lo stesso Teocrito (forte varietà di temi) e realizzare una certa varietà di ambientazioni. Per questo Virgilio oltre ad acclimatare le ecloghe nel paesaggio italico familiare al poeta, ricreò il paesaggio ideale dell’Arcadia, un tema caro alla letteratura greca, mondo beato e isolato, frequentato da pastori e presenze divine. In più il dramma dei pastori esuli contiene certamente un nucleo di esperienza personale, come abbiamo visto (varie interpretazioni di tipo allegorico, ma i riferimenti a fatti storici sono espliciti). Ecloga IV: l’obiettivo fondamentale è cogliere l’originalità di ispirazione con cui Virgilio legge attraverso il linguaggio bucolico l’epoca delle guerre civili nelle ecloghe I, IX e, in particolare, IV, datata nel periodo di crisi tra Filippi e Azio. Nell’esordio di quest’ultima, Virgilio parla di un puer che con il suo avvento riporterà l’età dell’oro sul mondo in crisi. L’identificazione di questo puer con Cristo è solo una coraggiosa congettura, poiché sicuramente Virgilio è stato influenzato da fonti non poetiche, ma filosofiche e di dottrine messianiche che speravano in un Salvatore. Dato che l’ecloga è datata 40 a.C, consolato di Asinio Pollione, l’interpretazione migliore è che il bambino fosse atteso in quell’anno, ma non sia nato mai (Antonio e sorella di Ottaviano). In ogni caso, l’ecloga, per il suo linguaggio sfumato e oracolare, non perse di valore. Ecloghe per Gallo: la VI ecloga è forse l’opera più alessandrina di Virgilio (spazia fra immagini mitologiche e cosmologia) ed ha al centro un omaggio al poeta Cornelio Gallo, che l’aveva aiutato a riconquistare la terra confiscata. Gallo ritorna come poeta d’amore anche nell’ecloga X, in cui è rappresentato come l’incarnazione di un’altra poesia: il canto elegiaco. Egli è provato da un amore infelice e cerca un rifugio nella poesia bucolica dell’amico, nello scenario tipico dell’Arcadia, con l’idea che la poesia possa medicare le pene d’amore avvicinando l’uomo alla natura → Virgilio esplora i confini fra i due generi. ➔ Nelle Bucoliche la poesia viene vissuta, in tono epicureo, come un rifugio contro i drammi dell’esistenza, come modo di superare le intense passioni attraverso l’armonia. La poesia elegiaca vuole che il poeta sperimenti sino in fondo le pene d’amore, ma nel genere bucolico il canto d’amore è strumento di consolazione e riconciliazione con la natura. GEORGICHE: poema didascalico in quattro libri di esametri. La composizione delle Georgiche costò a Virgilio quasi dieci anni di lavoro, dato che egli lavorava con accanimento su ogni particolare e si correggeva molto. I modelli d’ispirazione di quest’opera sono molteplici, dalla grande poesia greca classica di Omero, passando per quella ellenistico-alessandrina di Nicandro (cfr. titolo, neutro plurale dell'aggettivo georgicus, ‘relativo alla cura dei campi’) fino alla grande poesia romana di Catullo e Lucrezio. La forte scalatura delle allusioni storiche disseminate ci danno l’idea di come Virgilia abbia voluto inglobare, accanto alla vittoria del nuovo ordine, anche le lacerazioni che l’hanno preparato. (+) problema del finale: Virgilio avrebbe alterato il testo del poema, sopprimendo una parte (‘lodi’ di Gallo), e sostituendovi la storia di Aristeo ma nessuna traccia e lunghezza impegnativa da sostituire. La digressione narrativa su Aristeo in ogni caso non ha nulla di improvvisato. Il genere didascalico: i poeti greci-ellenistici non pretendono di insegnare a un destinatario, figura solo formale, più o meno ideale, mettendo al servizio di grandi contenuti la propria arte letteraria (sforzo di persuadere < passione di descrivere). La raffinatezza della ricerca formale, il virtuosismo del fare versi, sbilanciano queste opere sul versante della forma. Le Georgiche risulteranno ben altro che la ‘messa in poesia epica’ di trattazioni tecniche. Lucrezio si era distaccato da questa tradizione: la sua poesia supera le esigenze di gioco poetico, è veicolo di espressione per messaggio individuale di salvazione attraverso il sapere rivolto a una comunità. È il contenuto che controlla tutta la costruzione del discorso. ➔ Più alessandrino (e neoterico) di Lucrezio, Virgilio si sente comunque più vicino a Lucrezio che agli alessandrini: comune gusto delle cose tenui e lo sforzo per trasformare in poesia dettagli fisici e realtà minute. Lucrezio e Virgilio: l’impulso alle Georgiche è partito proprio da un dialogo tra Virgilio e Lucrezio: Virgilio riprende da Lucrezio il tema del contadino saggio che lavora con generosità la terra arrivando all’autosufficienza materiale e spirituale per affrontare la crisi sociale e culturale della repubblica romana, ma vi si differenzia perché lo spazio georgico di Virgilio accoglie più largamente la religiosità tradizionale e la ricerca dei meccanismi cosmici lucreziani cede il posto ad un sapere più incentrato sulla vita quotidiana (si misura rispetto alla dottrina di Lucrezio, andando a occupare uno spazio più ritirato e modesto). Se Lucrezio guarda alle cause naturali come retroscena della cultura umana, Virgilio sembra interessarsi a tutto ciò che incivilisce e umanizza la natura. Sfondo augusteo: L’unico che può salvare questo mondo civilizzato dalla guerra civile è il giovane Ottaviano, trionfatore e portare di pace. Egli assicura le condizioni di sicurezza e prosperità entro cui il mondo dei contadini può ritrovare la sua continuità di vita: le Georgiche possono considerare come il primo vero documento della letteratura latina nell’età del principato. Nel proemio Augusto compare come sovrano divinizzato insieme al consigliere Mecenate. I due personaggi non sono solo gli illustri dedicatari, ma hanno il ruolo che Epicuro ha avuto per Lucrezio, ovvero di ispiratori dell’insegnamento. E se il destinatario della comunicazione didattica è la figura collettiva dell’agricola, il destinatario reale dell’opera è il pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi. Il poema finisce quindi per affrontare i più generali problemi del vivere attraverso la figura di un eroe, ovvero il piccolo proprietario agricolo, il coltivatore diretto, la cui idealizzazione ha il significato morale di esaltazione delle tradizioni dell’Italia contadina e guerriera sullo sfondo del clima di tensione della guerra civile → ispirato al programma augusteo di risanamenti del mondo agricolo, ma pura convergenza con propaganda ideologica augustea. Libro Tema Proemio Digressione finale I Cerealicoltura, stagioni e segni celesti (lavoro nei campi) Ampia esposizione dell'argomento dell'opera, dedica a Mecenate, invocazione agli dèi e ad Ottaviano La morte di Giulio Cesare e le guerre civili che seguirono II Coltura degli alberi Breve invocazione a Bacco Elogio della vita nei campi III Allevamento del bestiame Ampio passo incentrato sulla celebrazione di Ottaviano (l'intenzione di celebrarlo in futuro in un'opera di poesia ‘alta’) La morìa, peste degli animali nel Nòrico (attuale Austria) IV Apicoltura Breve apostrofe a Mecenate e indicazione dell'argomento del libro La favola di Aristeo (lieto fine: miracolosa resurrezione delle api) → I libro: pericoli e avversità sempre in agguato rischiano di vanificare la fatica del contadino con spiegazione di tipo provvidenzialistico, la teodicea (“giustizia divina”) del lavoro: Giove volle che l'umanità si risvegliasse dal torpore in cui viveva in tempi primitivi, quando la terra produceva da sola i suoi frutti, e creò ostacoli e difficoltà affinché la civiltà progredisse, inventando le tecniche e le arti. La fine dell'epoca dell'oro non è quindi una punizione divina, bensì un mutamento voluto da una divinità benefica per il progresso dell'umanità. Nella chiusura del libro, il poeta introduce una descrizione dei → lodare Augusto partendo dai suoi antenati Il poema di Virgilio si distacca dal presente augusteo: gli antichi ponevano un intervallo di circa quattro secoli tra la guerra di Troia e la fondazione di Roma e gli eventi dell’Eneide, nonostante siano trattati come storici, sono in realtà immersi nel mondo omerico. L’Eneide è attraversata da scorci profetici che conferiscono alla storia un orientamento ‘augusteo’ (storia recuperata o come profezia del futuro o, con procedimento eziologico individuando nell'antichità mitica la causa remota di avvenimenti, riti, costumi moderni) e questo spostamento permette a Virgilio di guardare il mondo augusteo da lontano, ma sono omeriche le tecniche narrative: ▪ Nell’Iliade Zeus profetizza il destino degli eroi e la distruzione di Troia e nell’Eneide profetizza il destino di Enea e la futura grandezza di Augusto; ▪ Nell’Odissea Odisseo scende agli Inferi per avere visioni sul suo destino, e lo stesso fa Enea che ottiene notizie non solo sul suo futuro ma anche sui grandi momenti che faranno la storia di Roma; ▪ Nell’Iliade la descrizione dello scudo di Achille introduce una sorta di visione cosmica, e nell’Eneide la descrizione dello scudo di Enea è finalizzata all’immagine della città di Roma. ➔ Difficile equilibrio fra la tradizione dell’epos eroico e il bisogno di un’epica storico-celebrativa La leggenda di Enea: l’Italia conosceva una serie di leggende di fondazione che collegavano Roma alla guerra di Troia. Fra il IV e il II secolo a.C. aveva maggior risalto quella di Enea, il quale in Omero era importante ma non principale eroe troiano e che, nonostante non sia mai stato considerato il fondatore di Roma, a Roma godeva di grande popolarità principalmente per: ❖ motivazioni politiche: il più nobile eroe troiano scampato alla catastrofe sarebbe stato connesso per via genealogica a Romolo, un espediente che permetteva alla cultura romana di rivendicare una parità con i Greci, in un momento in cui Roma acquisiva l’egemonia del Mediterraneo greco. ❖ circostanza di politica interna: attraverso la figura del figlio di Enea Ascanio/Iulo, la nobile casata romana della gens Iulia rivendicava nobili origini, grazie alle quali due suoi grandi esponenti come Cesare e Augusto avrebbero poi potuto dominare Roma. Parte Libro Contenuto I Proemio; furiosa tempesta scatenata contro i Troiani da Giunone. Scampati dal naufragio e approdati sulla costa africana, Enea e i compagni giungono a Cartagine e sono accolti amichevolmente dalla regina Didone. Durante un banchetto, ella chiede ad Enea di narrare le sue vicissitudini. II Enea rievoca la caduta di Troia: inganno del cavallo, vana resistenza dei Troiani, perdita della moglie Creùsa, decisione di partire (per volontà divina) per cercare una nuova terra al di là del mare. III Enea narra il viaggio dei profughi troiani verso l'Italia, terra destinata loro dal fato. In Sicilia (tappa prima di Cartagine) egli perde il padre Anchise, stroncato dalla fatica del viaggio. Odissìaca IV Interamente dedicato all'amore tra Enea e Didone e alla morte di quest'ultima. La regina si unisce all'eroe abbandonandosi alla passione, che però diventa rancore ed odio nel momento in cui Enea, sollecitato dagli dèi, riparte alla volta dell'Italia. Dopo aver maledetto Enea e la sua stirpe, Didone si toglie la vita. Per questo libro: influssi da Apollonio Rodio per analisi delle psicologia della donna innamorata e dalla tragedia. V Per la gran parte occupato dalla descrizione dei giochi funebri che Enea, giunto in Sicilia,celebra in onore del padre. VI Sbarcato a Cuma, Enea e la Sibilla entrano nel regno dei morti. Qui si imbatte nell'ombra di Didone, che riserva alle sue parole un ostinato silenzio. Dopo altri incontri, egli giunge ai Campi Elisi, sede dei beati, dove il padre gli mostra, tra le anime destinate a reincarnarsi, i suoi futuri discendenti. Virgilio ha così occasione di passare → in rassegna i più illustri personaggi della storia di Roma, da Romolo a Cesare Augusto. Iliàdica VII Approdo presso la foce del Tevere. Giunone suscita nuovi ostacoli eccitando all'ira Turno, re dei Rutuli, che aspira alla mano di Lavinia (figlia di Latino, re del Lazio) e che vede in Enea un avversario per le nozze e il trono. Scoppia quindi la guerra e il poeta presenta gli eserciti e i condottieri troiani che combatteranno contro i Troiani. VIII Enea risale il corso del Tevere e si reca da Evandro, re della regione su cui un giorno sorgerà Roma, per chiedere la sua alleanza; questi gli affida il suo unico figlio maschio, Pallante, che parteciperà alla guerra. Il dio Vulcano, su richiesta di Venere, forgia per Enea un'armatura; sullo scudo sono effigiati episodi della futura storia di Roma (compreso il trionfo di Ottaviano ad Azio). IX Vari fatti di guerra, tra cui l'impresa di Eurìalo e Niso, i quali tentano una sortita notturna attraverso l'accampamento nemico, ma vengono sorpresi ed uccisi. X Durante i combattimenti muoiono Pallante e Lauso (figlio di un alleato etrusco dei Latini); quest'ultimo aveva sfidato arditamente Enea, che l'aveva dovuto uccidere. Anche il padre di Lauso, disperato, perisce poi sotto le armi dell'eroe troiano. XI Evandro piange sul cadavere del figlio Pallante e chiede ad Enea di vendicarlo uccidendo Turno. Dopo una tregua per seppellire i morti, riprendono le ostilità. Camilla, valorosissima vergine guerriera, fa strage di Troiani finché cade colpita da una freccia nemica. XII Duello decisivo tra Enea e Turno. Quest'ultimo, ferito, supplica Enea di graziarlo; l'eroe esita, ma poi compie il suo dovere verso Evandro ed uccide l'avversario. La guerra è stata rappresentata da Virgilio come scontro tra Troiani, coalizzati con gli Etruschi e con una piccola popolazione greca, e Latini, coalizzati invece con numerosi popoli italici, proprio sforzandosi di narrare di tutte le grandi forze da cui nascerà l’Italia ‘moderna’, perché nessun popolo è escluso da un contributo positivo alla fondazione di Roma. Gli stessi Latini saranno riconciliati e anche i Greci, tradizionali avversari dei Troiani, forniranno loro un alleato, Pallante. ➔ opera di denso significato storico e politico tesa a creare una vera epica nazionale romana, ma non è un’opera storica, dato che non traccia nemmeno un quadro completo della biografia di Enea: selezione ‘drammaturgica’ del materiale che ricorda più Omero che Ennio. Enea: sul piano ideologico Enea, progenitore di Romolo e della gens Iulia, è il rappresentante delle virtù romane originarie, di quei valori che Augusto si proponeva di restaurare. Al loro centro c'è la pietas, ovvero il rispetto e la devozione verso gli dèi, la patria, la famiglia, la quale si manifesta nella sottomissione dell'eroe alla volontà degli dèi, nella disponibilità a sacrificare le sue esigenze personali per farsi strumento del destino e compiere la missione che gli è stata affidata. Virgilio accentua in Enea la dimensione religiosa e insieme sottolinea ed esalta il significato provvidenziale e universale della missione storica di Roma: le sofferenze e i travagli patiti dal protagonista e dai suoi compagni assumono valore positivo alla luce del grandioso disegno divino, del destino di ordine, pace e civiltà che l’Impero Romano apporterà. In Enea si trovano infatti, oltre alle virtù tradizionali dell'eroe epico e condottiero romano, i tratti tipici dell'humanitas e della sensibilità virgiliane (tristezza della solitudine, angoscia del dubbio, istintiva ripugnanza per la violenza, compassione per infelici e vinti, malinconia). Lo stile: concilia il massimo di libertà con il massimo di ordine. • Lavora sul verso epico dell’esametro portandolo al massimo della regolarità e della flessibilità, plasmandolo come strumento di una narrazione lunga e continua (vs rigidità = monotonia neoterica) • La struttura ritmica del verso si basa su poche cesure principali e sulla loro combinazione con cesure accessorie → notevole varietà di sequenze e situazioni espressive, ampie descrizioni o battute concitate • L’allitterazione diventa un uso regolato e motivato e forte uso degli enjambement • Senso della misura e perfetta fusione di forma e contenuto • La brevitas, ideale stilistico alessandrino a cui Virgilio rimane fedele, contribuisce a rendere la sua poesia simbolica ed evocativa • Le tradizioni del genere epico richiedevano un linguaggio elevato, non la lingua d’uso, e per questo l’Eneide è l’opera virgiliana più ricca di: - arcaismi, alcuni omaggi a Ennio, altri facenti parte del linguaggio istituzionale - poetismi (quelli non arcaici sono i calchi dal greco e i neologismi) • Inventa un nuovo ‘manierismo sfuggente, né gonfio, né sottile, ma fatto di parole normali’, non marcatamente poetiche e la novità sta nei nuovi collegamenti fra le parole → rivelazione di nuove possibilità nel linguaggio e sperimentazione sintattica su un lessico che sa mantenersi semplice e diretto, ma rinnovato nei suoi effetti (polisemia) • Largo spazio a procedimenti ‘formulari’: azioni ricorrenti e ripetute si prestano a ripetizioni verbali + epiteti stabili, naturali accompagnano oggetti e personaggi quasi a fissarne il posto nel mondo • Tendenza a conservare moduli e a caricarli di nuova sensibilità → cfr. epiteti tendono a coinvolgere il lettore. La narrazione suggerisce più di quello che dice esplicitamente • Aumento di soggettività, poiché maggiore iniziativa viene data al lettore, ai personaggi e al narratore, ma la funzione oggettivante garantita dall’intervento del poeta unisce e rende coerenti i singoli punti di vista soggettivi La soggettività ideologica: lo sviluppo di questa soggettività, che può essere contrapposta all’oggettività omerica, interessa non solo lo stile epico e la tecnica narrativa, ma anche l’ideologia: il poeta è garante e portavoce del progetto e focalizza il suo racconto su Enea, portatore della missione stabilita dal Fato: Poesia civile • Gli epòdi 7 e 6 si riferiscono alla medesima situazione e trattano temi simili: la confusione e lo scompiglio successivi alla battaglia di Filippi. Nel 7 l'autore rimprovera i concittadini che combattono tra loro ed individua la causa remota delle guerre civili nell'antico fratricidio commesso da Romolo; nel 16, considerando ormai certa la rovina della patria, invita i migliori tra i Romani a seguirlo in un'utopistica fuga verso le isole dei beati, dove permane la condizione dell'età dell'oro. In entrambi i componimenti, Orazio assume il ruolo del vates (= poeta ispirato dalla divinità), amplificando la sua angoscia e la sua disperazione per la situazione politica. • Ad un momento successivo (preparativi per la battaglia di Azio) riportano gli epòdi 1 e 9: nel primo, che funge da dedica a Mecenate, il poeta assicura amicizia e lealtà al patrono e ad Ottaviano, mentre nel nono schernisce gli avversari di Ottaviano e si prepara a brindare alla sua vittoria nella battaglia di Azio . Erotico • L'epòdo 14 svolge, sul modello del lirico greco Anacreonte (VI-V secolo a.C.), il motivo dell'amore che domina completamente il poeta impedendogli di comporre versi. Lo stesso motivo apre l'epòdo 11, che sviluppa poi altri spunti topici della poesia erotica, come l'avidità della donna e la povertà del poeta. • Nell'epòdo 15 il poeta si rivolge ad una donna infedele con un tono risentito ma meno violento rispetto agli altri componimenti: nei carmi amorosi domina infatti un pathos leggero e sentimentale, agli antipodi rispetto all'aggressività espressionistica rilevata negli epòdi contro la vecchia libidinosa. Epòdo 2 Si fonda sul procedimento dell'aprosdoketon (“imprevisto”) ed offre uno splendido elogio della vita dei campi, tuttavia gli ultimi versi ci fanno sapere, con un rovesciamento sarcastico, che a pronunciarlo è un usuraio incapace di rinunciare ai suoi impegni cittadini. Epòdo 13 Tratta motivi simposiaci (= si riferisce alla parte conclusiva del banchetto, durante il quale si beveva vino e si recitavano carmi) e gnomici: il poeta, durante una tempesta, invita gli amici al banchetto e porta l'esempio mitico di Chirone, che così insegnava ad Achille a sopportare la sua sorte gloriosa ma triste. Contestualizzazione: la produzione giambica di Orazio, come il poeta stesso dichiara, è legata alla fase giovanile della sua attività poetica e alle particolari condizioni di vita che caratterizzarono il periodo immediatamente successivo all’esperienza di Filippi (“privato della casa e del fondo di mio padre, la povertà mi spinse a far versi”): situazione di disagio che produce asprezze polemiche, toni carichi e linguaggio poetico violento. Archiloco: rappresentano un caso isolato nella produzione oraziana e ci consegna un’immagine diversa da quella dello stereotipo, ma bisogna valutare quanti tratti distintivi risalgano all’imitazione dei modelli. Orazio rivendica il merito di aver trasferito in poesia latina i metri di Archiloco, ma allo stesso tempo rivendica anche i diritti di originalità, dato che egli stesso afferma di aver mutuato da Archiloco i metri e l’ispirazione aggressiva, ma non i contenuti, e, probabilmente, ci tiene a sottolineare non solo che gli Epodi non sono traduzioni e che egli attinge alla realtà romana e personale, ma anche a segnalare le sue particolari ispirazioni archilochee. Mentre Archiloco, infatti, dava voce agli odi e ai rancori, alle passioni civili e alle tristezze di un aristocratico greco del VII secolo, Orazio, ormai prossimo ad entrare nell’entourage di Ottaviano, non poteva che rivolgersi a bersagli, per così dire, minori, anonimi e fittizi. Epodo 10: seguendo il modello di Archiloco, Orazio augura a Mevio di fare naufragio (vs propemptikon, carme di buon viaggio). Ma Orazio si distacca nettamente dal modello non perché non è capace di riprodurre la serietà dell’invettiva archilochea, ma perché a differenza di Archiloco, il cui nemico è un ex amico che lo ha tradito, Orazio lascia in sordina il carattere personale dell’invettiva (la violenza suona a vuoto e può sembrare quasi giocosa). Ma non vi è alcun dubbio che lo spirito archilocheo dovette sembrare ad Orazio il modello opportuno per esprimere le ansie e le passioni, le paure e le indignazioni. I Giambi di Callimaco: lavorando insieme a Satire ed Epodi, Orazio sembra riservare a quest’ultimi quella molteplicità di temi, toni e stili che la tradizione romana assegnava piuttosto all’ambito della satira (cfr. gruppo degli epodi ‘erotici’). La poesia giambica di Orazio può però ospitare anche una dizione più sorvegliata: accanto al poeta degli eccessi intravediamo il poeta della misura. SATIRE: il primo libro di 10 componimenti, dedicato a Mecenate, viene pubblicato forse nel 35. Nel 30 appare il secondo libro (8 satire). Libro Satira Impostazione Contenuti I 1 Discorsive L'incontentabilità umana, dovuta spesso all'avidità di denaro. 2 La misura e la discrezione che devono caratterizzare i comportamenti nel campo dell'eros (contro l’adulterio). 3 L'inevitabile imperfezione umana, che deve indurre a considerare con comprensione ed indulgenza i difetti degli amici. 4 Argomenti letterari e motivi autobiografici: la formazione ricevuta dal poeta nella sua fanciullezza e la rievocazione affettuosa della figura paterna. 5 Narrativa Relazione di un viaggio da Roma a Brindisi compiuto da Orazio nel 37 a.C. in compagnia di alcuni amici, tra cui Mecenate e Virgilio (modello: iter Siculum di Lucilio). 6 Discorsiva L'amicizia di Mecenate, ottenuta grazie alle qualità acquisite con un'ottima educazione; la superiorità del merito sulla nobiltà di nascita, la follia dell'ambizione, la serena accettazione della propria condizione di vita. 7 Narrative Racconto dello scontro in tribunale tra due personaggi. 8 Descrizione da parte di una statua di Priapo di una scena di stregoneria, in cui due laide fattucchiere sono impegnate in repellenti pratiche magiche. 9 Racconto dell'incontro con un seccatore; gli sfortunati tentativi del poeta di svincolarsi dall'importuno e la contrapposizione tra il proprio ideale di vita equilibrato e il rozzo arrivismo del suo interlocutore. 10 Discorsiva Argomenti letterari: la poetica della satira. 1 Argomenti letterari: la poetica della satira. II 2 Discorsive Il contadino Ofello pronuncia l'elogio della frugalità contro il lusso della mensa. 3 “Predica” di Damasippo, che tratta in termini stoici dei vizi e delle follie umane (es. avarizia, ambizione, amore del lusso, superstizione), non senza precisi riferimenti del poeta stesso, che la subisce (paradosso stoico: tutti gli uomini sono pazzi, tranne il filosofo). 4 Il poeta ascolta con compunta (ed ironica) attenzione alcuni precetti di saggezza culinaria. 5 Narrativa Ulisse nell'oltretomba chiede consiglio all'indovino Tiresia su come recuperare le sue sostanze, dilapidate dai Proci: Tiresia gli propone il mestiere di cacciatore di eredità, dilungandosi sulle tecniche di questa difficile arte. 6 Discorsiva Il dono da parte di Mecenate di una villa in Sabinia introduce il tema del contrasto tra la vita affannosa e vuota della città e la modesta serenità dell'esistenza in campagna. 7 Narrative Lo schiavo Davo, approfittando della tolleranza concessa durante i Saturnali, rimprovera al suo padrone Orazio di essere incoerente, incostante e soggetto a una schiavitù più dura della sua: quella delle passioni (paradosso stoico: tutti sono schiavi, meno il saggio). 8 Resoconto spiritoso di una cena svoltasi a casa di un tale Nasidieno. Rapporto con Lucilio: Innanzitutto, Orazio indica in Lucilio l’inventore del genere (cfr. Quintiliano, entrambi non nominano Ennio), identificandolo come colui che aveva fissato i tratti costitutivi della poesia satirica, come la scelta dell’esametro come forma metrica della satira, la pratica di questo genere letterario come strumento dell’aggressione personale, della critica mordace (rappresentazione della società contemporanea, soprattutto del ceto dirigente), ma anche la grande varietà di temi e l’elemento autobiografico. La morale oraziana: La satira di Orazio era ‘luciliana’ perché da Lucilio ereditava i due segni distintivi dell’aggressività e dell’autobiografia, ma Orazio stesso sottolineava le differenze che lo separavano dall’inventor del genere, soprattutto relative allo stile e alla forma dei contenuti, criticando in Lucilio l’abbondante facilità e il poco chiaro collegamento tra diatriba e aggressività. In Orazio invece l’attacco personale è sempre collegato con una intenzione di ricerca morale: al piacere gratuito dell’aggressione, Orazio sostituisce l’esigenza di analizzare i vizi, gli eccessi, come l’avidità, tramite l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone. Una tale ricerca morale non si pone l’obiettivo di riformare il mondo, ma soltanto di individuare, in una società in crisi, una strada per pochi, tra cui se stesso. Inoltre, un’altra differenza è che mentre Lucilio attaccava con violenza i cittadini eminenti, di cui condivideva la condizione, Orazio guarda piuttosto personaggi dalla condizione più umile, come cortigiani e artisti, poiché: ▪ non sarebbe stato possibile ad un figlio di un liberto attaccare ceti superiori Brevità della vita Il punto centrale delle Odi è la coscienza della brevità della vita, che comporta la necessità di appropriarsi delle gioie del momento (carpe diem, quam minimum credula postero, ‘cogli il giorno, e non credere al domani’), senza perdersi nell’inutile gioco delle speranze, dei progetti o delle paure. Secondo Orazio, sereno, moderato e distaccato dalle passioni, il saggio deve affrontare gli eventi vedendoli solo nel presente, e deve comportarsi come se ogni giorno della sua vita fosse ultimo. Il carpe diem non va quindi frainteso come un banale invito al godimento, perché il piacere stesso in Orazio è qualcosa di caduco, come la vita dell’uomo (‘vivrà padrone di sé e felice chi di giorno in giorno potrà dire di aver vissuto’). Si traduce in canto della propria serenità: la felicità dell’autàrkeia, la condizione del poeta-saggio, libero dai tormenti della follia umana e benedetto dalla protezione degli dei e delle Muse. Faticosa conquista della saggezza Eppure, la saggezza, la serenità e l’equilibrio non sono un possesso sicuro, e Orazio di certo non ignora la forza delle passioni, le debolezze dell’animo: la saggezza si scontra così con dei dati immutabili nel mondo, quali la vecchiaia, la fugacità del tempo e la morte, e nessuna saggezza è capace di eliminarli (contro di essi si può solo ingaggiare una lotta virile). Poesia civile Un altro polo della lirica oraziana è la poesia civile e nazionale con la celebrazione di personaggi e avvenimenti del regime di Augusto. Risulta per molti versi lontano dai temi ‘privati’, pur se in Orazio tutta la sfera privata aspira sempre a una validità generale. L’operazione era ambiziosa e rispondeva anche a profonde esigenze personali: speranza, entusiasmo e angoscia per il principe vincitore e garante della pace. La lirica civile di Orazio conosce la celebrazione e l’encomio, ma non può essere additata come una sorta di propaganda in versi, poiché, sa approfittare della flessibilità di quella stesa ideologia per evitare chiusure dogmatiche ed esaltare il sublime della magnanimità: ad esempio, dimostra lealtà verso la causa repubblicana e i suoi eroi sventurati, o ammirazione per le virtù dei nemici. Orazio, infatti, che è poeta della comunità, sa spesso farsi interprete di timori, sentimenti e turbamenti e poi di improvvise gioie liberatrici della società contemporanea. Dell’ideologia augustea, la lirica civile condivide l’impostazione moralistica. La lirica civile oraziana unisce sfera pubblica con sfera privata, perché Orazio capisce che una pubblica ricorrenza come una festa o una cerimonia può essere anche occasione di una gioia privata, inaugurando una maniera che sarà importante soprattutto per Ovidio. La tematica civile viene svolta in particolare in un ciclo di 6 carmi all'inizio del libro III, le cosiddette Odi romane, in cui la condanna dei vizi contemporanei e l'esaltazione della virtù e degli eroi antichi s'intrecciano con la glorificazione di Roma e di Augusto (che si accentua nel libro IV, dove vengono celebrate le vittorie del principe e dei suoi generali, nonché la pace e la tranquillità che egli ha saputo donare allo stato). Poesia amorosa Questa grande varietà corrisponde spesso alle diverse categorie in cui si articolava l’antica lirica greca, che spesso il poeta ama contaminare. Abbiamo, oltre a carmi conviviali, la presenza di importante aspetto erotico-amoroso. A differenza della poesia di Catullo, questa sembra nutrirsi del distacco ironico dalla passione: l’amore viene qui analizzato come un rituale con un canovaccio scontato, e il poeta osserva con un sorriso ironico i sentimenti e la credulità dei giovani amanti, pur non ignorandone la passione, rievocando questi sentimenti con malinconia. Inno La lirica religiosa oraziana è priva del legame con un’occasione e un’esecuzione rituale (vs lirica greca arcaica): se ne conserva il formulario e l’andamento, ma intessuto di riferimenti e sviluppi di carattere letterario. Un caso particolare è costituito dal Carmen saeculare, in cui viene ripresa la funzione originaria dell'inno: esso ebbe una destinazione ufficiale; infatti al suo interno il motivo religioso e il tema civile sono mescolati (celebrazione di Roma e della sua gloria immortale + esaltazione di Augusto, autore della grandezza e della prosperità dello Stato). Vocazione poetica Il vates si sente in rapporto con le Muse e le altre divinità ispiratrici: egli esprime entusiasmo per la sua missione e orgoglio per la sua opera (cfr. non rifiuta più il suo ruolo di poeta come nelle Satire). Paesaggio La campagna e di solito stilizzata secondo il modulo del locus amoenus, un gradevole paesaggio italico che ospita il riposo, il convito, la semplice vita rustica. Ma Orazio conosce anche il fascino del paesaggio ‘dionisiaco’, una natura montana, selvaggia e aspra. Angulus Lo spazio limitato e chiuso del piccolo podere personale, spazio noto e sicuro è una figura simbolica dell’esistenza e dell’esperienza poetica di Orazio. Questo luogo-rifugio si fa figura letteraria nel tema dell’angulus, il luogo deputato al canto, al vino e alla saggezza. Al questo tema si associano altri due temi: Il tema della morte, il cui pensiero si fa meno amaro in questo piccolo spazio. Il tema dell’amicizia, che fornisce ampio ventaglio di destinatari, ciascuno con la sua specificità di amico. Lo stile: 1. perfezione dello stile, che deriva certamente dagli insegnamenti di Callimaco 2. semplicità e essenzialità: - vocabolario semplice, con accurata scelta dell’aggettivazione - moderato impiego delle figure di suono - sintassi semplice con ellissi e costruzioni tipicamente greche - sorvegliata riduzione dei mezzi espressivi, con dizione libera da ogni ridondanza, asciutta e levigata - virtuosismo metrico - arte della collocazione delle parole 3. arte collocazione delle parole usuali, i cui significati, liberati dalla patina opaca dell’abitudine, trovano nuova luminosità: arte della callida iunctura 4. sobrietà e limpidezza: nuove analogie, uso parsimonioso di neoformazioni, preferisce affidarsi a nitide corrispondenze contestuali e alla variatio + pluralità di registri EPISTOLE: il I libro è pubblicato nel 20 a.C. e comprende 20 componimenti in esametri. L’epistola proemiale è dedicata a Mecenate ed è una specie di presentazione-giustificazione della nuova forma letteraria. La convenzione epistolare determina talora componimenti d'occasione come lettere di convenienza, biglietti di raccomandazione, inviti a cena, istruzioni ad un servo o liberto per la consegna ad Augusto della sua opera. Assai frequenti sono poi le lettere che svolgono temi morali, spesso intrecciati con spunti soggettivi e personali. Il II libro fu composto fra il 19 e il 13 a.C. e contiene due lunghe epistole di argomento letterario: 1. dedicata ad Augusto, critica l’ammirazione per i poeti arcaici e esamina lo sviluppo della letteratura romana 2. dedicata a Giulio Floro, più personale, è una specie di congedo dalla poesia (si scusa per la scarsa fecondità della sua vena poetica), con un quadro memorabile della vita quotidiana del letterato romano e un’ampia riflessione sulla ricerca della saggezza filosofica Nel II libro molti fanno rientrare l’epistola ai Pisoni, detta Ars Poetica, trattato che espone teorie peripatetiche sulla poesia, soprattutto drammatica. L’epistola in versi: dopo la grande esperienza della poesia lirica, Orazio ritorna all’esametro della conversazione. Tutti i componimenti hanno un destinatario e della lettera vengono talvolta esibiti i segnali caratteristici. Tuttavia, si discute ancora del loro carattere ‘reale’, poiché nessuno crede ad una vera funzione privata, ma non si può neanche escludere che singole lettere siano state inviate ai rispettivi destinatari come omaggio letterario. La componente epistolare assicura al sermo oraziano un’intonazione più personale, nonché la varietà di modi e atteggiamenti nei confronti del destinatario. La forma: la convenzione epistolare determina la netta prevalenza dell'impostazione monologica sul dialogo ed accentua la tendenza a tradurre la riflessione etica nei moduli e nelle immagini della lingua parlata; vengono mantenuti alcuni elementi delle Satire (es. uso di favole e aneddoti), ma viene accentuato lo spirito, che perde le sue punte più marcatamente comiche per assumere il carattere di un fine e leggero umorismo. Ad esso di aggiungono una sottile malinconia e toni più alti e commossi; anche il linguaggio, pur mantenendosi sul livello del sermo, appare più cauto, urbano e privo di elementi troppo accentuati ed energici. Dal punto di vista formale le Epistole sono quasi certamente una novità, in quanto, sappiamo di epistole in versi di Lucilio, Platone ed Epicuro, ma una raccolta sistematica di lettere in versi come quella di Orazio è probabilmente una sperimentazione originale, tanto che l’autore stesso, come altre volte, si dichiara orgogliosamente inventore del genere. Presupposto lucreaziano: il fattore principale che differenzia le Epistole dalle Satire è una distanza fisica, un diverso scenario, poiché, mentre le satire appartenevano essenzialmente ad un ambiente cittadino, tutte le lettere oraziane al contrario presuppongono uno spostamento verso una periferia rustica, che altro non è che l’angulus delle Odi. La vocazione più vera è quella protrettica: trascrive nel lessico oraziano l’esperienza di Lucrezio, il traguardo epicureo del De rerum natura. Il progetto delle Epistole sviluppa il modello di un educatore lucreziano che insegna ai suoi discepoli l’amore di una vita ritirata: il rapporto autore-lettore viene qui imposto dall’evidenza di un impianto comunicativo tutto rivolto verso l’ingiunzione e l’esortazione fino ad assumere forme della consapevolezza metaletteraria. Mostra anche evidenti tratti tipici del classicismo augusteo, ad esempio di Virgilio, in particolare nella perplessità riguardo ad una reale efficacia del proprio messaggio: non sempre i destinatari si mostrano ricettivi alla proposta di un nuovo mondo rurale, appartato e filosofico, affine a quello delle Bucoliche. Ricerca morale: Un’altra importante differenza con le Satire è nella mancanza di quell’aggressività comico-satirica: la morale oraziana sembra vacillare, si rende conto delle sue debolezze e contraddizioni, e l’equilibrio tra autàrkeia e metriotes sembra ormai irrecuperabile. Nelle Epistole, infatti, la ricerca morale ha soltanto bisogno della saggezza, e la sensibilità oraziana per il trascorrere inesorabile del tempo fa sentire la conquista di essa come urgente e necessaria. Orazio non sembra più Il Corpus Tibullianum, struttura e contenuti: Libro I (10 elegie) 1-3 4 5, 6 7 8, 9 10 Amore per Delia e ideale di vita agreste Amore per Màrato Amore per Delia Compleanno di Messalla Amore per Màrato Esaltazione della pace e ideale di vita del poeta Libro II (6 elegie) 1 2 3, 4 5 6 Descrizione della festa rurale degli Ambarvalia, con preghiere agli dèi agresti ed elogio alla vita dei campi Compleanno dell’amico Cornuto, a cui il poeta augura di godere sempre dell’amore della sposa Amore per Nèmesi Ingresso di Messalino, primogenito di Messalla in un collegio sacerdotale Amore per Nèmesi Libro III (20 elegie) 1 – 18 19, 20 Elegie spurie Amore per una puella infedele, di cui non si fa il nome Il libro I comprende 10 ampie elegie di cui: 5 si riferiscono ad una donna amata da Tibullo, cantata sotto lo pseudonimo di Delia; 3 si riferiscono ad un giovinetto di nome Màrato; le 2 rimanenti non svolgono temi erotici. Un’importante differenza rispetto ai poeti elegiaci romani Properzio ed Ovidio (il cui oggetto della passione è sempre e soltanto la donna) è che Tibullo scrive anche poesia pederotica, cantando l’amore per un ragazzo. I 3 carmi per Màrato sono formalmente curati e pregevoli, ma convenzionali: si tratta di eleganti variazioni su temi letterari, con forte influsso della poesia erotica di Callimaco. Nelle elegie per Delia si ritrovano motivi ricorrenti della poesia d’amore precedente (epigramma greco) e contemporanea (elegie properziane), tra cui la gelosia e la sofferenza causate dalle ripulse e dalle infedeltà dell’amata. La donna è volubile, capricciosa, amante del lusso e dei piaceri mondani. Tuttavia, il poeta vi intreccia temi a lui cari, che assumono accenti originali e persuasivi: → Nel carme che apre la raccolta (I, 1) Tibullo affronta il problema topico della scelta di vita, contrapponendo la propria esistenza ‘povera’ (= semplice e modesta), politicamente disimpegnata e confortata dall’amore, alla vita militare, rifiutata in quanto inconciliabile con amore e tranquillità, benché apportatrice di ricchezze. → In I, 3 il poeta, ammalatosi durante la spedizione militare in Asia Minore, rimpiange l’età dell’oro, quando non esistevano viaggi né guerre, ed anticipa con speranza il momento in cui, tornando a casa, ritroverà la sua Delia. Nel libro II, la quinta elegia, scritta in occasione dell’ingresso del figlio di Messalla in un collegio sacerdotale, si apre con un’invocazione ad Apollo Palatino, seguita dalla rievocazione dell’arrivo di Enea nel Lazio primitivo e dalla descrizione delle Palilie, antiche feste dei pastori. Verso la fine di tale elegia il poeta cita la nuova donna, Nèmesi, di cui si presenta innamorato. Anche questa passione è fonte di inquietudine e di sofferenza: sviluppando il tema del servitium amoris, Tibullo raffigura se stesso schiavo di una padrona capricciosa e crudele. Il libro III raccoglie 20 componimenti, di cui solo gli ultimi due sono considerati tibulliani: il carme 19 è una dichiarazione d’amore per una puella di cui non viene fatto il nome, mentre il 20 è un breve epigramma su voci relative a presunte infedeltà dell’amata, le quali tormentano il poeta. Nelle elegie spurie: ❖ III, 1-6: il poeta Lygdamo canta in toni teneri e sospirosi il suo infelice amore per Neèra, rimpiangendo la felicità perduta (fresca sentimentalità insidiata dal pensiero ossessivo della morte). Tra le ipotesi di identificazione, quella che associa Ligdamo al giovane Ovidio è forse la più plausibile, ma i numerosi parallelismi farebbero sospettare piuttosto un influsso di Ovidio su questo poeta, probabilmente della cerchia di Messalla. ❖ III, 7: panegirico di Messalla, unico carme in esametri del Corpus, in cui un poeta esalta le eccelse doti del patrono, seguendo gli schemi retorici dell’encomio (poeta del circolo?) ❖ III, 8-18: cantano vari momenti dell’amore appassionato di Sulpicia, nipote di Messalla e io lirico dei componimenti, per un giovane di nome Cerinto. Caratteri della poesia tibulliana: caratterizzata dalla presenza massiccia di situazioni, motivi, concetti e figure presenti anche in altri testi, greci e latini (soprattutto influssi di Callìmaco e dell’epigramma ellenistico). Inoltre, sono numerosi i punti di contatto con Properzio, senza che si possa però stabilire la priorità dell’uno o dell’altro poeta, attivi nei medesimi anni. Tra i temi comuni ai due elegiaci romani (ripresi poi in seguito da Ovidio) vi sono: ▪ la schiavitù d’amore (servitium amoris) del poeta alla domina ▪ l’infedeltà della puella e le sofferenze della gelosia ▪ la contrapposizione tra amore e ricchezze ▪ il rifiuto della vita militare ▪ il vagheggiamento patetico del momento della morte, confortato dalla presenza dell’amata Il ricorso ai topoi non esclude che alla base della poesia di Tibullo non vi siano reali esperienze di vita, rielaborate secondo schemi letterari preesistenti. Tuttavia, la biografia reale (esclusi pochi e precisi riferimenti a fatti storici) è irrecuperabile, poiché mescolata con elementi inventati e convenzionali. Il carattere soggettivo del genere elegiaco suscita un’impressione di autobiografismo, ma non bisogna dimenticare che l’io lirico non si identifica mai totalmente con l’autore. Delia figura meno evanescente, dai capelli biondi e morbide braccia infedele ma tratteggiata con affettuosa tenerezza, soprattutto quando ne viene rievocato il ricordo o vengono espresse le speranze del poeta di una vita futura a suo fianco, nella pace e serenità agreste Nèmesi pseudonimo che in greco significa “vendetta”, dal significato simbolico, di rivalsa del poeta (che ha sostituito l’infedele Delia con un’altra amante) presenta i tratti letterari della cortigiana avida di denaro e della domina dura e capricciosa, che si fondono con elementi realistici desunti da circostanze di vita vissuta La poesia tibulliana risulta più “vera” ed efficace quando diventa evasione, astrazione e rifugio in un mondo soggettivo ed illusorio, costruito dalla fantasia al di fuori della vita reale. Il tema che Tibullo sente più congeniale è infatti l’aspirazione alla serena vita dei campi (il mondo del mito è assente): la campagna è un luogo idilliaco di evasione, lontano da vizi, corruzione, violenza, politica e guerra, è un mondo di pace e innocenza dove rifugiarsi con la fantasia, abbandonandosi ad un sogno nostalgico di una remota e felice età dell’oro. ➔ rispetto alle Bucoliche di Virgilio si possono rilevare da un lato un maggiore realismo nella descrizione delle occupazioni agricole, dall’altro una maggiore indeterminatezza nei riferimenti alla realtà storica da cui il poeta vuole astrarsi (non c’è una deplorazione specifica delle guerre civili, anzi Tibullo si riferisce sempre a guerre di conquista intraprese per avidità di ricchezze). Il tema dominante della pace, l’antimilitarismo, l’esecrazione della guerra e dei suoi orrori si accordano col vagheggiamento di questo anti-mondo ideale, popolato da persone semplici, riscaldato da dall’amore di una donna fedele. La campagna di Tibullo rivela il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati dall’ideologia arcaizzante del principato: nell’intima adesione ai valori tradizionali, nell’atteggiamento antimodernista, rappresenta il caso più vistoso di quella contraddizione che la poesia elegiaca, dichiaratamente ribelle, cova. Noto come poeta dei campi, non manca lo scenario abituale della poesia elegiaca, la vita cittadina, che fa da sfondo all’intrecciarsi degli amori e degli intrighi. Lo stile: la struttura compositiva delle elegie tibulliane si può definire “aperta” (= basata sulla successione di temi diversi, legati tra loro dall’associazione di idee). Spesso la poesia assume il carattere del monologo interiore (= si riportano in maniera diretta pensieri intimi e segreti del personaggio) o adotta la convenzione di un dialogo immaginario, punteggiato da apostrofi e con frequenti cambi d’interlocutore. Lo stile di Tibullo (poeta doctus – cfr. poesia ellenistica) è semplice, limpido ed elegante (tersus atque elegans, secondo Quintiliano), ma rivela lo sforzo di una scrittura attentissima, dove la semplicità stessa è il risultato di una scelta artistica, il segno visibile della fiducia data alle parole e alla loro forza espressiva. L’espressione limpida sembra frutto di immediatezza a cui corrisponde un tono misurato e “medio”, egualmente lontano dalla sublimità dei generi alti e dalla banalità del sermo cotidianus Caratteristico è il trattamento del distico, dotato quasi sempre di autonomia semantica oltre che ritmica: in esso i poeti elegiaci racchiudono un pensiero concettualmente e sintatticamente compiuto. Il dettato poetico assume cadenze regolari ed equilibrate, seguendo schemi sintattici e metrici ricorrenti (suono che chiude la seconda metà del verso riecheggia la chiusa della prima). Anche l’ordine delle parole segue schemi costanti (es. frequente dislocazione dell’aggettivo rispetto al sostantivo a cui si riferisce). Tali procedimenti creano con la loro ripetitività un andamento prevedibile, con il rischio però di sfociare nella monotonia. Ne deriva un’intonazione caratteristica, una cantabilità armoniosa e fluida, un’impressione di dolcezza e “mollezza” propria dell’elegia. ambizioso programma di poesia celebrativa, perfettamente in linea con gli argomenti della propaganda ufficiale. L’elegia proemiale annuncia il proposito di dedicarsi alla celebrazione di Roma e alle sue tradizioni, senza però sconfessare la sua poetica precedente (contrappone ancora il genere epico a quello elegiaco, dichiarandosi l’emulo romano di Callìmaco). La differenza rispetto alle dichiarazioni di poetica degli altri libri è che prima l’elegia s’identificava con la poesia erotica, mentre ora viene formulato un programma di poesia eziologica (che spiega le cause originarie di feste, riti, nomi di luoghi). Tuttavia, già nella seconda parte della prima elegia si trova una recusatio, in cui Properzio ammette che le sue forze sono impari al progetto ambizioso e ribadisce la sua vocazione di poeta d’amore. Il proemio bipartito, duplice e contraddittorio corrisponde alla situazione rispecchiata nel libro, in cui il programma di poesia eziologica viene realizzato solo in parte, mentre sono ancora presenti carmi erotici. La stessa Cinzia ricompare in due elegie. Le altre elegie sono per lo più una concessione, ma limitata e sorvegliata, alle direttive della cultura ufficiale. Il poeta sembra voler giustificare con tale proemio un’opera mista e composita, che accoglie componimenti di generi ed argomenti diversi. Elegie ‘romane’ Solo le elegie 2, 4, 6, 9 e 10 si possono considerare propriamente eziologiche. → IV, 2: l’antico dio italico Ventumno spiega i motivi per cui viene rappresentato e onorato in modi diversi; → IV, 4: origine del nome della rupe Tarpea; → IV, 6: elegia spiccatamente di carattere celebrativo in quanto esalta la vittoria di Azio prendendo spunto dal tempio di Apollo consacrato da Ottaviano sul Palatino; → IV, 9 e 10: origini del culto dell’Ara Massima e del tempio di Giove Ferètrio. L’elegia 11 rientra nelle elegie romane anche se non ha carattere eziologico, ma tratta dell’elogio funebre di una matrona, Cornelia, ricco di spunti moralistici e patriottici ed esaltazione dell’amore coniugale e degli affetti familiari. Elegie erotiche Presentano tutte importanti elementi di novità e di originalità rispetto alle esperienze precedenti. Un aspetto importante è la rivalutazione dell’eros coniugale, l’esaltazione degli affetti familiari e delle virtù domestiche, della castità e della tenerezza. → IV, 3: patetica lettera d’amore inviata da Aretusa allo sposo Licota, trattenuto in Oriente dalla guerra; → IV, 5: violenta invettiva contro una mezzana, personaggio derivato dalla commedia e dal mimo; Nel carme 8 Cinzia ricompare, viva e vitale, impegnata in un’avventura amorosa fuori Roma; il poeta tenta di reagire organizzando una serata in compagnia di due cortigiane, ma il suo piano va a monte a causa dell’improvviso ritorno della donna, che viene rappresentata gelosa e vittoriosa nella sua affascinante violenza. L’episodio narrato attingendo alla vita quotidiana e ai toni della commedia. Esso costituisce l’esempio più notevole di sviluppo della vena realistica properziana. Nel carme 9 il fantasma di Cinzia appare in sogno, come ombra del regno dei morti, ma sempre amara e aggressiva, al poeta poco dopo la morte, lo rimprovera di averla tradita e dimenticata ed afferma di essergli sempre stata fedele, dopodiché gli detta le sue ultime volontà. Properzio riprende il tema dell’amore e della morte. Le caratteristiche dell’arte properziana: anche Properzio, come Tibullo, costruisce un mondo in cui si mescolano e confondono esperienze autentiche di vita vissuta e fantasie poetiche, circostanze reali e luoghi comuni della tradizione della poesia erotica. Come poeta d’amore, Properzio è più intenso ed appassionato di Tibullo: la passione per Cinzia, benché fonte di sofferenza ed infelicità, è presentata quale unica ragione di vita per il poeta, insostituibile elemento della sua poesia. Anche il personaggio dell’amata è più vivo e concreto: bellissima e spregiudicata, dotata di una forte personalità e di notevoli qualità intellettuali e culturali, che vive da cortigiana negli ambienti mondani, ella suscita con il suo fascino e le sue infedeltà un amore violento e travolgente di cui il poeta esprime gioie, amarezze, conflitti, ansie, delusioni, crisi e riconciliazioni. La poesia civile di Properzio non ha la pesantezza e la seriosità di tanta poesia nazionale: gusto callimacheo che dà spazio alla grazia e all’ironia e talvolta a una leggera e garbata comicità. Per quanto riguarda la struttura compositiva delle elegie, si ritrovano i passaggi da un tema all’altro per associazione di idee e gli improvvisi cambi d’interlocutore ma, tuttavia, i trapassi logici e psicologici properziani sono più bruschi: esordire ex abrupto, movimenti improvvisi, seguendo una logica interna e segreta. Lo stile è più elaborato e ricercato: la poesia è più complessa per la ricerca di novità espressive e di originalità, per la densità dell’espressione, la ricchezza delle allusioni, l’audacia dei nessi e delle figure (iuncture insolite). A tale complessità contribuisce la presenza massiccia dei riferimenti mitologici: Properzio trova nel mito un repertorio inesauribile di exempla con cui mettere a confronto la propria situazione, per proiettare la propria storia personale su un piano più alto, trasfigurandola e sublimandola e quindi sottraendola alla banalità del quotidiano. Il mondo puro del mito nasce dal bisogno di fuga, di evasione dall’insoddisfazione e dalla contraddizione che lacera il poeta tra il fascino della donna amata e la ricerca in lei di semplicità, fedeltà e dedizione assoluta. OVIDIO (43 a.C. – 17 o 18 d.C.) • generi letterari: elegia erotico-soggettiva (Amores), erotico-mitologica (Heroides), erotico- didascalica (Ars amatoria), eziologica (Fasti), autobiografica (Tristia, Epistulae ex Ponto); epica mitologica (Metamorfosi) • aspetti chiave: concezione della poesia come gioco dotto e disimpegnato; gusto per la variazione ingegnosa degli elementi caratteristici del genere affrontato; centralità del tema dell’amore, presentato nelle opere elegiache come gioco galante piuttosto che come passione travolgente; “desublimazione” dei personaggi mitici, ridotti a una dimensione quotidiana • stile: vario e brillante, caratterizzato da una tendenza alla variazione virtuosistica degli stessi motivi • fortuna: incluso nei programmi scolastici a partire dal Medioevo, ha esercitato una vasta influenza sulle letterature moderne grazie soprattutto alla fortuna ininterrotta delle Metamorfosi come repertorio di miti • fonti: Ovidio stesso Con la produzione poetica di Ovidio, la fioritura letteraria dell’età augustea raggiunge il culmine sotto il profilo della perfezione tecnica, ma al tempo stesso segna un’involuzione manieristica: Ovidio, riprendendo generi già sfruttati, tenta di rinnovarli con i metodi della variazione virtuosistica, mantenendosi sulla linea della concezione alessandrina della poesia come lusus (gioco intellettuale, divertimento colto e raffinato). Tale impostazione era a lui particolarmente congeniale per la sua scarsa propensione all’impegno morale e civile. La vita e le opere: Nato a Sulmona nel 43 a.C. in una famiglia di rango equestre, dopo aver frequentato le scuole dei retori più famosi a Roma ed in Grecia, intraprese la carriera politica ma l’abbandonò ben presto per dedicarsi interamente alla poesia. Entrato nel circolo di Messalla Corvino, incominciò giovanissimo a leggere pubblicamente i suoi versi, coltivando il genere dell’elegia amorosa e riscuotendo grande successo. Raccolse quindi le sue elegie in una silloge intitolata Amores, curandone un’edizione in 5 libri (20 a.C. ca), che successivamente rielaborò, riducendoli a 3. A tale opera ne seguirono altre appartenenti allo stesso genere: le Heroides (post 15 a.C.) e l’Ars amatoria (1 a.C.–1 d.C.). Nel periodo successivo (1–8 d.C.) Ovidio passò ad una poesia più impegnativa, coltivando la poesia eziologica di argomento romano nei Fasti (rimasti incompiuti) e l’epica mitologica nelle Metamorfosi, che non poterono ricevere l’ultima mano del poeta a causa della condanna da parte di Augusto alla relegatio (soggiorno obbligato in un luogo lontano da Roma e isolato, imposto a personaggi considerati pericolosi) a Tomi, sul mar Nero. Non si conosce con esattezza la causa della condanna: Ovidio vi accenna sempre con termini vaghi ed allusioni volutamente oscure (duo crimina, carmen et error) ed afferma di aver visto ciò che non avrebbe dovuto vedere. Il carmen è sicuramente l’Ars amatoria, in cui il poeta si era reso maestro di osceno adulterio ma che era stata pubblicata già diversi anni prima; determinante quindi l’error, in cui doveva essere implicata la famiglia stessa del principe (nello stesso anno Giulia Minore, la nipote di Augusto, venne relegata nelle Isole Tremiti). Il poeta rimase a Tomi per quasi dieci anni, fino alla morte, avvenuta nel 18 d.C., senza mai ottenere né da Augusto, né da Tiberio la remissione della pena, implorata per mezzo delle elegie raccolte nei Tristia e nelle Epistulae ex Ponto. Di Ovidio ci è pervenuto anche un poemetto in distici elegiaci dal titolo Ibis, una violenta invettiva contro un nemico, calunniatore e traditore, dall’impianto compositivo callimacheo e dal carattere cripticamente erudito. Esso appartiene alla forma letteraria delle dirae (“maledizioni”, “imprecazioni”). Tra le opere perdute si ricorda la tragedia Medea (scritta prima dell’esilio e accolta con favore dai contemporanei). D’incerta attribuzione il frammento di un’opera didascalica dal titolo greco, Halieuticon, sui pesci e sull’arte della pesca. Una poesia ‘moderna’: Ovidio non vuole delimitare un orizzonte, l’adesione all’elegia erotica non esclude altre esperienze poetiche: fa della pratica poetica il centro della propria esistenza. Vi è in lui la tendenza ad analizzare la realtà nei suoi aspetti più diversi, senza esclusioni, col suo atteggiamento relativistico. Questo spiega l’accettazione convinta, spesso entusiastica, delle nuove forme di vita nella Roma dei suoi tempi. Egli resta estraneo alla sanguinosa stagione delle guerre civili e quanto entra nella scena letteraria la pace è ormai consolidata e cresce l’aspirazione a forme di vita più rilassate, a un costume meno severo, agli agi e alle raffinatezze. Egli elabora quindi un tipo di poesia che corrisponde in maniera sensibile al gusto, a questo stile di vita. La sua concezione di poesia è antimimetica, antinaturalistica e fortemente innovatrice: modernità letteraria che si rivela anche nel linguaggio poetico. Il compiaciuto estetismo, la scettica eleganza sono espressione di un gusto che fa della letteratura un ornamento della vita. Libri Dedicatari Contenuto I Uomini Precetti sulla scelta della donna da conquistare e sulle tecniche di seduzione. II Le tecniche per far durare una relazione: più ancora della bellezza, contano l’intelligenza, la piacevole abbondanza di parola, il carattere mite, la docile sottomissione a tutti i capricci dell’amata. Gli inganni e i tradimenti devono rimanere nascosti; quanto alle infedeltà della donna, meglio fingere di non sapere. III Donne Caratteristiche che una donna deve possedere per piacere agli uomini: saper cantare, danzare, giocare, conoscere la poesia, frequentare i teatri e i conviti; essere affabile, allegra, disponibile, ma capace anche di farsi desiderare frapponendo ostacoli all’amore. Anche le donne devono saper tollerare qualche infedeltà, senza indulgere alla gelosia. Dal poemetto emerge un quadro vivacemente realistico della società galante del tempo. Ovidio dà voce in particolare a quella parte dei Romani che apprezzavano lo stile di vita moderno, agiato, raffinato e libero. La figura del perfetto amante si caratterizza per i suoi tratti di disinvolta spregiudicatezza, di insofferenza e impertinente aggressività nei confronti della morale tradizionale severa e arcaica che la propaganda augustea tentava di restaurare. Il carattere libertino dell’opera, in realtà, ne costituisce solo la veste provocatoriamente seducente. Nel farsi lusus, l’eros ovidiano perde ogni impegno etico, ogni velleità di ribellione contro la morale dominante Il poeta non assume alcun atteggiamento polemico o provocatorio nei confronti del regime, si preoccupa di escludere dal suo discorso le donne “perbene” (fanciulle non sposate e matrone) e ribadisce che la donna sposata deve rispettare e temere il marito, come vogliono “le leggi, l’imperatore e il pudore”, precisando che i consigli sono rivolti alle liberte. Ovidio anzi tenta una sorta di riconciliazione della poesia elegiaca con la società in cui si radica indicando nell’armoniosa complementarità delle forme di vita, della sfera privata e della sfera civile, la via migliore per un’appagata adesione al presente: accettazione entusiastica dello stile di vita di Roma, capitale del bel vivere (individua la contraddizione degli elegiaci che avevano solo mutato moduli dalla tradizione). Tuttavia, l’opera non piacque ad Augusto. Anche dal punto di vista letterario l’opera di Ovidio è anticonformista: l’amore di cui egli si fa maestro è una sorta di negazione dell’amore elegiaco, o meglio, è una simulazione di esso, poiché prescinde dai sentimenti e si serve dalla finzione e dell’inganno come strumenti di conquista. Altre opere erotico-didascaliche: completano tale produzione, che ha come obbiettivo impartire una precettistica sull’amore: ▪ i Remedia amoris, libro di circa 800 versi in cui vengono illustrate le terapie da attuare per liberarsi di un amore non corrisposto, di cui ci si può (vs motivo topico della poesia erotica) e ci si deve liberare se esso comporta sofferenze. Rappresenta l’esito estremo della poesia elegiaca e ne chiude simbolicamente la breve intensa stagione. ▪ pochi frammenti di un’operetta incompiuta in distici elegiaci, Medicamina faciei feminae (“I cosmetici delle donne”), dedicata a consigli e ricette di cosmesi, esaltazione convinta degli agi e delle raffinatezze FASTI: Ovidio si cimentò anche nell’elegia eziologica, che aveva negli Aitia di Callìmaco il suo modello principale e che Properzio, in alcuni carmi del libro IV, aveva applicato alla leggenda e alla storia romane. Appunto a tale esempio properziano si richiamano i Fasti (sott. dies), calendario poetico in distici elegiaci, l’opera con cui Ovidio tentò la strada della poesia celebrativa. Il titolo indica l’elenco dei giorni: seguendo il calendario, Ovidio si sofferma sulle singole ricorrenze e festività, illustrando i fatti della leggenda e della storia di Roma che ne sono alle origini. L’opera, iniziata dell’1/2 d.C., era stata concepita in 12 libri, ma nell’8 d.C. (anno in cui dovette partire per Tomi) Ovidio ne aveva composti solo 6. È dunque un’opera di carattere erudito, secondo il gusto alessandrino, che fonde tratti elegiaci con elementi della tradizione didascalica. Il poeta, prendendo spunto da giorni, riti, feste, attingendo a svariate fonti antiquarie e storiografiche (Verrio Flacco, Varrone, Livio), impartisce lezioni di astronomia, spiega usanze, tradizioni e credenze popolari, narra aneddoti, favole, episodi della storia di Roma, accenni alla realtà e alle vicende contemporanee. Ciò gli permette di ovviare ai limiti imposti dalla natura del poema e soddisfare il suo gusto per il pathos delicato, di far spezio all’elemento erotico e ai toni giocosi e ironici. La trattazione è ravvivata dalle frequenti apostrofi ad Augusto o al lettore e dai dialoghi con varie divinità, che rispondono alle domande del poeta. Nel complesso i Fasti non sono tra le prove migliori di Ovidio: monotoni per la struttura meccanicamente cronologica, appesantiti dalla sovrabbondanza dell’erudizione, risultano un’opera frammentaria, in cui l’intento celebrativo non è sorretto da interesse storico o religioso, né dal senso eroico e patriottico della grandezza di Roma. L’adesione al programma culturale del regime resta piuttosto superficiale: Ovidio pagherebbe ‘stancamente il suo debito facendo il proprio dovere di civis romanus’. (+) secondo un’interpretazione alternativa, però, l’uso che Ovidio fa dello schema eziologico risulta essere più ambizioso di quanto si era pensato: il poeta gioca con il suo compito di antiquario e quando decostruisce e mette in dubbio il rapporto fra presente e passato, il gioco minaccia di diventare serio -> è la romanità espressa dal calendario che viene insediata e decentrata (non solo Augusto in sé). METAMORFOSI: quando partì nell’8 d.C., Ovidio aveva da poco ultimato la composizione di un poema epico in esametri, in 15 libri, intitolato in greco Metamorphoses o Metamorphoseon libri, composti con l’intenzione di inserirsi nel campo dell’epica (e in particolare nell’ambito tematico delle metamorfosi). Nel proemio egli definisce la sua opera perpetuum carmen (“canto continuato”), espressione che designa l’épos. L’impostazione cronologica che il poeta afferma di voler seguire segnala immediatamente al lettore che egli non si impegnerà sul versante dell’épos eroico (che narra di una vicenda unitaria racchiusa in un arco di tempo limitato), ma su quello del poema mitologico ‘collettivo’, che narra le storie indipendenti degli dèi e degli eroi secondo il succedersi delle età e delle generazioni e che ha il suo capostipite nella Teogonia di Esìodo (VIII-VII secolo a.C.), ma che non aveva ancora trovato cultori nella letteratura latina (opera al di sopra dei generi – sorta di galleria dei vari generi letterari). Il poema ovidiano, come quello esiodeo, ha inizio dal Caos originario e segue il succedersi delle età mitiche e delle generazioni eroiche fino all’età contemporanea. L’opera narra più di 250 miti e nell’intreccio è flessibile e variabile, se ne riassumono quindi i principali contenuti: Sezione Libri Contenuti principali Dalle origini del mondo al diluvio universale I-II • Miti cosmogonici, a partire dalle origini del mondo fino al diluvio universale e alla rinascita del genere umano a opera di Deucalione e Pirra. • Storie metamorfiche connesse con varie divinità, spesso incentrate sull’amore di un dio per una donna mortale (es. Apollo e Dafne). Età eroica III-VI • Miti tebani di Cadmo e della sua casa (con l’inserimento di altri miti, es. Narciso, Pìramo e Tisbe). • Episodio dell’eroe Pèrseo. • Leggende ateniesi. • Storie divine (es. ratto di Proserpina, Apollo e Marsia). VII Saga degli Argonauti e imprese di Medea. VIII Storie di Minosse (Scilla, il Minotauro, Arianna) e del cinghiale caledonio. IX-X Episodi incentrati sulle figure di Ercole ed Orfeo (quest’ultimo è la voce narrante di una serie di miti, come quelli di Pigmalione, Mirra e Adone). XI Vicende di Pèleo e del contemporaneo Cèice. Età della guerra di Troia XII-XIII Miti legati alla guerra di Troia, cui si collega il viaggio di Enea verso l’Italia. XIV Episodi che hanno come filo conduttore il viaggio di Enea. Età di Roma XV • Storie e leggende di Roma, con l’inserimento di un ampio discorso del filosofo Pitagora sulla teoria della metempsicosi. • Il finale è dedicato agli ultimi discendenti di Enea (divinizzazione di Giulio Cesare, trasformato in cometa, e celebrazione di Augusto). L’impostazione cronologica si nota solo nella prima parte e nell’ultima, mentre la sezione centrale introduce dislocazioni temporali, collega le storie dei personaggi in base a legami familiari, elabora passaggi e raccordi secondo criteri di contiguità o di separazione nel tempo e nello spazio, di analogia o di diversità, di relazioni e di associazioni tra personaggi e vicende. Le singole scene e i singoli episodi sono dunque le unità elementari della narrazione ovidiana, che il poeta connette nei modi più vari, evitando la monotonia e conferendo ai trapassi la massima naturalezza e scioltezza (continuità della narrazione, armonioso e fluido dipanarsi). La stessa cesura fra i vari libri cade per lo più proprio nei punti ‘vivi’. Ovidio utilizza inoltre la tecnica del ‘racconto nel racconto’, inserendo una nuova narrazione in quella principale (la quale viene quindi interrotta e poi ripresa) e trasformando spesso i personaggi ‘narrati’ (= protagonisti di storie narrate in terza persona dal poeta) in ‘narranti’ (= che rievocano direttamente vicende proprie o altrui), che permette di adattare talora toni, colori e stile del racconto alla figura del personaggio che narra. Il racconto sembra germogliare continuamente da se stesso, creando un effetto di vertigine, di fuga labirintica. La metamorfosi (trasformazione di un essere umano in altra forma) è tema che soddisfaceva anche il gusto dell’eziologia e rappresenta qui il motivo unificatore all’interno di un poema in cui personaggi, tempi, temi e toni variano continuamente, garantendo la coerenza ad una struttura complicata in cui regna un apparente disordine. Il rapporto con i modelli e i caratteri della Metamorfosi: l’ampiezza e la varietà d’impostazione del poema assecondano la propensione di Ovidio verso l’intertestualità (= recupero di altri testi poetici tramite l’arte allusiva). Nei casi in cui il flusso del racconto gli offre uno spunto, egli riprende, all’interno dell’épos mitologico, l’epica eroica, riproponendo parzialmente ed integrando le opere dei suoi illustri