Scarica Riassunto di Psicologia generale Anolli e Legrenzi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Psicologia generale (manuale) Capitolo 1: Origini e sviluppi della psicologia scientifica Nell’approcciare per la prima volta allo studio della psicologia sorgono spontanee alcune domande di base, a cui dobbiamo dare una risposta per poter poi affrontare uno studio più impegnativo ed elaborato delle varie teorie psicologiche. Queste domande sono: 1) Quando e come è comparsa la psicologia? 2) Che differenza esiste tra psicologia ingenua e psicologia scientifica? 3) Di che cosa si occupa la psicologia? 4) Quali son i principali modelli di spiegazione della mente e del comportamento che la psicologia ha sviluppato finora? Quando e come è comparsa la psicologia? Per la nostra specie il passaggio dalla biologia alla psicologia è iniziato con l’ominide Sahelanthropus tchadensis, detto Toumai, nel deserto del Ciad, circa 7 milioni di anni fa. Fino ad allora eravamo un gruppo unico con gli scimpanzé con cui condividevamo lo stesso genoma. Questa biforcazione risulta essere avvenuta no per addizione, cioè aggiungendo DNA al nostro corredo genetico, bensì per sottrazione, cioè eliminando “pezzi” di DNA da quello condiviso con gli scimpanzé. Detto ciò, a quale periodo possiamo far risalire la comparsa della psicologia nella nostra specie? È evidente che non vi è nessuna data precisa. Tuttavia, attorno a circa 100.000 anni fa la nostra specie è diventata una specie simbolica, cioè in grado di “maneggiare” simboli, intesi come entità che rappresentano mentalmente altre entità. Gli studiosi sono concordi nell’affermare che proprio l’acquisizione di capacità simboliche e di abilità linguistiche ha consentito agli umani di diventare una specie psicologica, cioè una specie in grado di riflettere sugli eventi in termini mentali. Andando avanti nel tempo, le capacità psicologiche degli umani hanno avuto un forte incremento circa 10.000 anni fa, quando si è verificata la cosiddetta rivoluzione del Neolitico. È in questo periodo che gli uomini da nomadi, raccoglitori e cacciatori, sono diventati agricoltori stanziali e locali. Non sappiamo se tale rivoluzione sia avvenuta solo a seguito di importanti pressioni ambientali, o se sia dovuta anche ad una riorganizzazione del cervello, ma un fatto è chiaro: è la configurazione di base delle nostre competenze psicologiche e rappresenta la nascita della cultura nelle sue diverse forme. È evidente che la mente di oggi, pur nella continuità con allora, presenti un diverso impiego delle capacità psicologiche sotto la massiccia influenza di un’enorme quantità di artefatti sempre più sofisticati e avanzati, che sono in grado di modificare la configurazione delle connessioni nervose a nostra disposizione. Psicologia ingenua e psicologia scientifica Gli empiristi sostengono che ogni forma di conoscenza a nostra disposizione deriva dall’esperienza per il tramite delle sensazioni (non vi sono idee innate). In questa sede, parliamo di esperienza come della totalità delle singole esperienze sia esplicite (formali), sia implicite (tacite), acquisite nel corso del tempo tramite il coinvolgimento personale nelle azioni (apprendimento individuale) e l’imitazione nei comportamenti altrui (apprendimento sociale e culturale). Le conoscenze acquisite tramite l’esperienza hanno un valore eminentemente pragmatico: sono utili per prendere decisioni e agire in modo efficace in una data situazione, e consentono altresì di elaborare teorie per spiegare il comportamento nostro e altrui. Detto ciò, è importante sottolineare il fatto che l’esperienza non è una dimostrazione, e che queste teorie sono teorie ingenue, fondate su conoscenze poco attendibili e valide. Tali teorie applicate alla spiegazione della condotta umana conducono alla psicologia del senso comune (o psicologia ingenua). Invece, se introduciamo processi di verifica rigorosi, otteniamo conoscenze dotate di maggiore validità e attendibilità. È la psicologia scientifica fondata sul metodo sperimentale, che offre una garanzia elevata sulla robustezza delle spiegazioni fornite. A questo punto ci chiediamo, quali sono le connessioni fra psicologia ingenua e psicologia scientifica, dato che entrambe si occupano degli stessi ambiti dell’esperienza? La psicologia scientifica, come ogni altra scienza naturale, non parte da zero, ma si fonda sul sapere della psicologia ingenua. Dunque, come conseguenza della psicologia ingenua, la psicologia scientifica presenta una carattere di contingenza, ma possiede anche un carattere di necessità, che la rende diversa dalla prima. Infatti, i criteri scientifici da essa ammessi, valgono per tutti gli studiosi che vi si riconoscono. Chiunque accetti questi criteri e sia in grado di usare gli strumenti pertinenti è nella possibilità di procedere alla verifica di quanto sostenuto da un altro studioso. È questa condizione (possibilità di verifica secondo criteri riconosciuti validi da tutti) che segna la discontinuità fra psicologia ingenua e psicologia scientifica. La nascita della psicologia scientifica In età moderna il termine psicologia (dal greco psyche = anima e logos = discorso, dunque “discorso sull’anima) compare per la prima volta in un poemetto del 1520 di Marko Marulic. Tuttavia bisognerà aspettare il Settecento affinché si parli di psicologia nel senso attualmente inteso. Christian Wolff operò la distinzione tra psicologia razionale, di natura filosofica, basata su riflessioni teoretiche, e psicologica empirica o “naturalistica” fondata su osservazioni concrete. È questa seconda tipologia, che sarà la radice da cui sorgerà la psicologia scientifica. Tuttavia, esistono alcuni presupposti e contributi che portano alla nascita della psicologia scientifica, poiché lo studio psicologico degli esseri umani attraversa da millenni la storia del pensiero. Prima di ogni cosa è stata la filosofia a fornire un grande contributo alla psicologia. Il primo trattato sistematico di psicologia è il De anima di Aristotele. Nel medioevo la riflessione sull’anima procede soprattutto con la scolastica, ma si arrestò qualsiasi osservazione “naturalistica” del funzionamento corporeo, poiché la religione cristiana vietò ogni studio anatomico e fisiologico. Agli albori della modernità, René Descartes introduce la distinzione fra res cogitans, il pensiero e res extensa, il corpo che occupa spazio, due entità irriducibili l’una all’altra. Il pensiero racchiude idee innate (Dio, io, assiomi matematici..), mentre il corpo è concepito come una macchina, oggetto di indagine naturalistica. In questo dualismo, c’è il primato della ragione sul corpo, poiché Cartesio individua in essa il fondamento della stessa esistenza umana: Cogito ergo sum, cioè Penso dunque sono (di qui la definizione di razionalismo cartesiano). A questa posizione filosofica si contrappone la scuola di pensiero inglese (Bacone, David Hume, Locke) che pone in evidenza l’importanza decisiva dell’esperienza per acquisire le conoscenze. Non vi sono idee innate, bensì ogni informazione deriva dagli organi di senso. È la prospettiva dell’empirismo che consente di studiare la mente non come essenza, ma come insieme di facoltà. L’apertura di Cartesio è la premessa per l’avvio degli studi naturalistici sul sistema nervoso e sul cervello. Così Charles Bell e Francois Magendie, scoprirono che nei nervi periferici le vie sensoriali (afferenti: dalla periferia al centro) erano indipendenti da quelle motorie (efferenti: dal centro alla periferia). Nasce in tal modo la nozione di arco riflesso come forma fondamentale di connessione fra sensazioni e movimenti, fra organismo e ambiente. Nello studio del cervello Franz Gall e Johann Spurzheim, avanzarono per primi una concezione localizzatrice delle strutture celebrali, da loro denominata frenologia. Secondo questi studiosi le varie funzioni mentali (le facoltà) dipendevano da aree del cervello ben delimitate. Tornando alla filosofia troviamo Kant, il quale, oltre a rifiutare l’accettabilità della psicologia razionale di impostazione cartesiana (non esiste un io sostanziale e metafisico, ma solo un io fenonemico), aveva negato altresì la possibilità di una psicologia empirica. Quando la ragione tenta di costruire tale presunta scienza, cade in degli errori trascendentali, detti paralogismi. Questi sono dei sillogismi difettosi, il cui termine medio viene usato per due significati differenti. Nella psicologia razionale, il paralogismo consiste nel fatto che si parte dall’io penso e dall’autocoscienza, e la si trasforma in unità ontologica sostanziale. Ma la sostanza, che è una categoria, può applicarsi ai dati dell’intuizione, ma non all’io penso, che è un’attività formale da cui dipendono le categorie stesse: è soggetto e non oggetto delle categorie. Noi ci conosciamo solo come fenomeni (spazialmente e temporalmente determinati), ma quel “sostrato ontologico” che costituisce ciascuno di noi (l’anima, ossia il metafisico) ci sfugge. La sfida di Kant non è affatto banale, come possiamo misurare i processi mentali? Dopo vari tentativi fu individuato un parametro fisico idoneo: il tempo. A metà dell’Ottocento, Herman von Helmholtz fu in grado di misurare il tempo che intercorreva fra la stimolazione e la contrazione del nervo. Nello stesso arco di anni, Frans Cornelis Donders, mise a punto il metodo della sottrazione, per misurare i tempi di reazione nel loro complesso. Nasceva in tal modo la cronometria mentale: per la prima volta, a definiti processi mentali, corrispondevano misure osservabili in termini di parametri fisici. A questo punto si erano create le condizioni necessarie affinché nascesse la psicologia scientifica. Tradizionalmente si è soliti far coincidere la data del suo esordio con la fondazione del laboratorio sperimentale di psicologia a Lipsia nel 1879, da parte di Wilhelm Wundt, allievo di Helmholtz. Wilhelm Wundt e lo strutturalismo Di che cosa si deve occupare la psicologia come scienza? Per Wundt oggetto della psicologia è l’esperienza immediata (diretta) contrapposta all’esperienza mediata delle altre scienze naturali. Queste ultime sono in grado di fare osservazioni sugli eventi di loro pertinenza, facendo ricorso a strumenti ed apparecchi. La psicologia , per contro, non ha necessità di ricorrere a strumenti di mediazione, poiché gli basta studiare i soggetti stessi. In tal modo il soggetto diventa strumento di se stesso nell’osservare ciò che prova e gli accadimenti dell’ambiente. All’interno di questa impostazione, il metodo privilegiato per rilevare l’esperienza immediata è dato dall’introspezione, intesa come capacità di accertare che cosa avviene nell’istante in cui si esperisce un certo evento. Tuttavia è un metodo non esente da difficoltà. In primo luogo, non possiamo stabilire se i contenuti della coscienza sono gli stessi sia in presenza che in assenza di introspezione; in secondo luogo, nessuno può constatare sugli altri quello che constata su se stesso, rispetto ai contenuti mentali degli altri possiamo fare solo delle inferenze, non necessariamente corrette. Wundt era consapevole di questi due limiti dell’introspezione, ma ritenne Uniti nel 1978, si sono sviluppate grazie alla comparsa delle nuove tecnologie digitali. Fu Kenneth Craik a dare l’avvio alla prospettiva del cognitivismo, proponendo l’immagine dell’uomo come “elaboratore di informazioni”. Il paradigma dell’intelligenza artificiale (IA), la cui nascita risale alla conferenza di Dartmouth del 1956 organizzata da Newell e Simon, si era assegnato lo scopo di indagare i processi computazionali della mente considerandoli come “corrispondenti” a quelli effettuati con i computer. In questa prospettiva il computer è considerato come un simulatore della mente umana. Il prototipo di tali macchine è la macchina di Turing: un dispositivo che consente di compiere numerose operazioni aritmetiche e che rappresenta l’embrione dei computer di oggi. Secondo l’IA, grazie a macchine di questo tipo sarebbe possibile simulare l’intelligenza della mente umana. Se a un esterno che osserva il comportamento di una persona e un computer nell’esecuzione di un compito, il computer risulta indistinguibile dalla persona, si può concludere che, limitatamente a quel compito, esso ha capacità cognitive paragonabili a quelle umana. Questo è il test di Turing. Il paradigma dell’IA comunque è andato incontro a numerose critiche. Modularismo, psicologia evoluzionistica e connessionismo Il cognitivismo aveva posto le premesse per comprendere l’architettura della mente umana. È su questo compito che si sono impegnate le scienze psicologiche negli anni successivi, con il modularismo, la psicologia evoluzionistica e il connessionismo. Jerry Fodor ha sviluppato la sua teoria di una visione modulare della mente. Secondo il modularismo, la mente è organizzata in moduli o “cassetti”, ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in un ambito specifico nell’interazione con l’ambiente. I moduli attribuiscono una specifica struttura alla mente, che può funzionare solo secondo processi predefiniti. È un aspetto che la psicologia evoluzionistica (versione psicologica dell’evoluzionismo) ha sottolineato con forza. I moduli sarebbero il risultato della selezione naturale per affrontare i problemi che la nostra sopravvivenza ci poneva durante il Pleistocene (prima delle due epoche in cui si è suddiviso il quaternario). Tuttavia, la prospettiva modulare è rimasta solo un’ipotesi teorica sul funzionamento della mente, ma non ha mai ricevuto conferme empiriche. Rispetto alla prospettiva modulare della mente, il connessionismo pone in relazione l’architettura biologica del cervello con l’architettura funzionale dell’attività cognitiva e fa riferimento a modelli chiamati reti neurali artificiali, ispirati alla struttura neurale del cervello. Le reti neurali sono “simulazioni” che riproducono le proprietà e i processi di funzionamento del sistema nervoso. L’elaborazione delle informazioni avviene all’interno di ogni rete, composta da un numero molto elevato di unità che procedono in modo parallelo. Ogni rete presenta un’architettura a tre strati: a) strato di unità di input; b) strato di unità nascoste; c) strato di unità di output. Vi sono reti che prevedono solo connessioni unidirezionali “in avanti” (feedforward), altre sono caratterizzate da connessioni bidirezionali sia “in avanti” sia “all’indietro” (feedback). In altre ancora vi possono essere percorsi connettivi orizzontali entro lo stesso strato (connessioni laterali). Questi ultimi due tipi di reti consentono anche la cosiddetta retro-propagazione dell’errore mediante la quale è possibile andare a ritroso al fine di conseguire un funzionamento più efficiente. Il connessionismo apre pertanto la strada verso una concezione dinamica e attiva della mente, in grado di adattarsi, di volta in volta, alle condizioni del momento e di autocorreggersi. Mente situata e radicata nel corpo Siamo giunti ai giorni nostri. Dove sta andando oggi la psicologia? Ha preso molte strade, il ventaglio delle scienze psicologiche di oggi è molto ampio. Gli studiosi di psicologia devono stare attenti nel non cadere nel cosiddetto errore dell’essenzialismo, che consiste nel considerare gli stati mentali come entità fisse, regolari, corrispondenti a fenomeni circoscritti e isolati. Si tratta dell’incapacità di vedere l’importanza decisiva del contesto, cosa che conduce alla semplificazione e all’astrattezza, soprattutto nell’ambito delle teorie scientifiche. Si deve invece tener conto, che il funzionamento della mente umana è soggetto a una gamma molto estesa di vincoli biologici ed ecologici: non può esserci una mente astratta e fuori da una situazione concreta. La nostra mente è una mente “situazionale”, fondata, momento per momento, sull’interazione senso-motoria con l’ambiente. È una mente situata, immersa in un contesto immediato e, in quanto tale, è fondata sull’esperienza, intesa come il motore di ogni attività mentale. Legata ai dati forniti dalle modalità sensoriali, la mente è vincolata dal funzionamento del cervello e del corpo. È una mente radicata nel corpo e modale, fondata sull’elaborazione dei dati da parte delle singole modalità sensoriali e di controllo motorio. Capitolo 2: Metodi della ricerca in psicologia Metodo, dal greco meta= per e odos= strada, significa letteralmente “andare per strada”, nel senso di “fare un percorso”. Dunque è necessario che, anche il ricercatore, nel suo percorso da compiere delinei un disegno di ricerca, ovvero una mappa delle attività che deve svolgere. Consideriamo ora, le principali tappe di tale percorso nella ricerca psicologica. Percorso standard della ricerca in psicologia All’inizio dell’attività di ricerca vi è la meraviglia. L’interesse di partenza è fondamentale nello spingere il ricercatore a individuare nuovi modelli di spiegazione o a stabilire soluzioni innovative rispetto a teorie già consolidate. L’interesse di avvio, quindi, implica la domanda di ricerca: “Che cosa voglio studiare? Perché? Qual è il traguardo che desidero raggiungere?” La domanda di ricerca, tramite questi interrogativi, fornisce un’impostazione globale alla successiva attività di indagine. Detto ciò, è bene considerare che, poiché ogni ricerca (per quanto originale) parte sempre da altre ricerche, il ricercatore non piò ignorare l’insieme delle conoscenze scientifiche oggi disponibili (lettura di riferimento). Queste sono le premesse per l’avvio di qualsiasi ricerca. Il secondo passaggio, consiste nel tradurre la domanda di ricerca in ipotesi di ricerca, ovvero in enunciati provvisori che, sia pure in forma probabilistica, stabiliscono una relazione esplicita e accurata fra più fatti osservati. Le ipotesi di ricerca sono formulate in modo da essere verificate tramite operazioni sperimentali, che consistono in azioni documentabili, osservabili da più ricercatori indipendenti e rispettose dei criteri di protocollarità ammessi da una data scienza. La verifica sperimentale non si costituisce di un procedimento così semplice, poiché in ogni operazione di misura è possibile commettere errori. Per superare questo ostacolo gli scienziati hanno fatto ricorso a una via indiretta di verifica dell’ipotesi. Essi si sentono autorizzati ad accettarla solo se riescono a dimostrare che l’ipotesi opposta (ipotesi nulla) è falsa. La totalità dei risultati in base ai quali ci sentiamo giustificati a rigettare l’ipotesi nulla si chiama ragione critica. La verifica sperimentale si svolge mediante esperimenti, organizzati e realizzati secondo la sintassi del metodo scientifico, che prevede il rispetto rigoroso di specifici standard. Anzitutto, è necessario ottenere la partecipazione di soggetti che rispondano ai requisiti previsti dal ricercatore (età, grado di istruzione..etc). Il gruppo dei “soggetti sperimentali”, detto gruppo target, costituisce la fonte delle informazioni, e in molti casi è affiancato da un gruppo di controllo per verificare l’entità degli scostamenti fra il comportamento “guidato” dei soggetti sperimentali e quello naturale dei soggetti di controllo. Durante l’esperimento i soggetti, seguendo le indicazioni del ricercatore, sono in grado di compiere le opportune azioni in riferimento agli stimoli sperimentali loro presentati. L’elaborazione degli stimoli non è sempre un’impresa semplice, per questo il ricercatore di serve di specifici strumenti che consentono sia la loro determinazione sia la loro misurazione al fine di ottenere i protocolli dell’esperimento. La combinazione di queste varie componenti conduce alla configurazione della situazione sperimentale, questa prevede diverse fasi che variano gradatamente da esperimento a esperimento. Al termine dell’esperimento, i comportamenti di ogni partecipante sono riportati in uno specifico protocollo di ricerca. Prima di procedere alla loro analisi, il ricercatore deve verificare se i soggetti abbiano capito il compito, lo abbiano eseguito secondo quanto indicato dal ricercatore, non abbiano fatto ricorso a trucchi o sotterfugi: è il cosiddetto controllo di manipolazione. Effettuato tale controllo, i dati ottenuti sono sottoposti a elaborazione statistica (descrittiva e inferenziale). Se i risultati della ricerca appaiono soddisfacenti, il ricercatore è interessato a documentarla alla comunità degli studiosi con un’apposita pubblicazione. Ricerca psicologica in pratica Come abbiamo già visto, dopo aver esaminato la letteratura scientifica disponibile, il ricercatore prefigura la sua attività di indagine in base a un progetto (disegno di ricerca), nella realizzazione del quale segue la procedura del metodo sperimentale, basato su regole in grado di condurre a conclusioni basate su evidenze empiriche. A questo riguardo, parliamo di vero esperimento quando il ricercatore è in grado di controllare sia l’assegnazione casuale dei soggetti alle condizioni sperimentali, sia la manipolazione delle variabili grazie alla presenza di un gruppo di controllo. Quando uno di questi requisiti non può essere soddisfatto, parliamo di quasi-esperimento. Le variabili Tutti gli eventi della nostra esperienza sono potenzialmente delle variabili, in quanto entità che variano in quantità o qualità. Il compito fondamentale di un ricercatore è determinare il rapporto che esiste fra le variabili che osserva (es. genere e intelligenza). Occorre distinguere tra variabili indipendenti, che sono controllate (manipolate) dallo scienziato, e variabili dipendenti, che variano in dipendenza delle variazioni delle prime. Il cuore del metodo sperimentale consiste nel manipolare una variabile indipendente per verificare l’effetto sulla variabile dipendente. È evidente che la variabile dipendente varia anche in dipendenza di altre variabili indipendenti non considerate dal ricercatore, le cosiddette variabili estranee. Queste si distinguono in variabili estranee sistematiche (o confondenti), che esercitano un’influenza costante e ineliminabile sulla variabile dipendente come la maturazione e l’apprendimento, e variabili estranee asistematiche, che consistono in interferenze casuali e imprevedibili. Quest’ultime sono pressoché infinite e variano da situazione a situazione: dalle condizioni mentali dei soggetti e del ricercatore, alle condizioni atmosferiche. In tutti i casi, le variabili vanno standardizzate per renderle univoche e costanti. A tal scopo, il ricercatore deve fornire una definizione operativa a ognuna di esse. Per esempio, in riferimento all’età non è sufficiente usare il termine bambino o anziano, ma va prevista un’età specifica (esempio: “bambini da 36 a 48 mesi”). La misurazione Le variabili presentano valori diversi in termini quantitativi o qualitativi. Di volta in volta, occorre la loro determinazione attraverso opportuni procedimenti di misurazione. In questo processo possiamo distinguere quattro livelli, disposti fra loro in modo gerarchico Livello nominale_ Una proprietà dei numeri reali è la cardinalità: ogni numero è differente dagli altri. Allo stesso modo le variabili presentano valori che indicano semplicemente la differenza tra un evento e un altro. Per le variabili dicotomiche possiamo assegnare il valore 1 o 2 (es. femmina= 1, maschio= 2). Per le variabili multiple basta estendere la gamma dei numeri da impiegare. In questo livello di misurazione i numeri hanno il valore di semplici etichette e non è possibile compiere alcuna operazione aritmetica. Livello ordinale_ Un’altra proprietà dei numeri reali è che sono in progressione: 7 indica un valore maggiore di 4. Fra essi esiste una relazione di ordine crescente e decrescente. Le misure ordinali consentono di dire che, data una certa entità, il valore di una condizione è maggiore o minore di quello di un’altra condizione, ma non quanto, poiché non è definita la grandezza tra gli intervalli. Livello di intervallo_ Le differenze tra i numeri reali possono essere definite in funzione della grandezza di un dato intervallo. Assumiamo un intervallo di 4: la differenza tra 11 e 15 è uguale a quella fra 33 e 37. Possiamo trovare tale proprietà numerica in numerosi fenomeni fisici e mentali. Ad esempio, la distanza in gradi centigradi fra 22 e 27 è identica a quella fra 8 e 13. Sono valori arbitrari (per convenzione abbiamo il valore 0 al punto di congelamento dell’acqua e 100 alla temperatura di ebollizione) possiamo fare diverse operazioni aritmetiche, ma non possiamo fare rapporti. Livello di rapporto_ I numeri reali sono regolati fra loro anche dall’esistenza di rapporti. Siamo autorizzati ad affermare che 20 è il doppio di 10, così come 40 è il doppio di 20. Nei numeri reali lo zero non è arbitrario, ma reale: è assenza di quantità. In fisica, molte grandezze sono regolate da una scala di rapporti. I disegni di ricerca (realizzazione di un esperimento) Individuate le variabili cui è interessato, il ricercatore ha il compito di confrontarle, al fine di verificare l’esistenza (o meno) di legami significativi tra loro, in altre parole deve procedere alla verifica sperimentale. Di norma, negli esperimenti sono previste differenti condizioni sperimentali (trattamenti). Esistono due grandi tipologie di esperimenti: entro i soggetti e tra i soggetti. Disegno entro i soggetti_ Nell’esperimento entro i soggetti ogni soggetto è sottoposto a tutte le condizioni sperimentali. Il comportamento del soggetto in una condizione è confrontato con il comportamento dello stesso soggetto in un’altra condizione. Il disegno entro i soggetti ha il vantaggio di essere “economico”, poiché impiega un gruppo solo con un numero ridotto di soggetti, ma è percorribile solo se l’effetto di una condizione non influenzi quello di una (o più) delle altre condizioni, in altre parole se non cade negli effetti dell’ordine e della sequenza. Gli effetti dell’ordine derivano dalla posizione delle condizioni nell’esperimento: qualsiasi condizione sia applicata per prima corre il rischio di produrre una prestazione diversa (superiore o inferiore) rispetto alle condizioni successive: inizialmente i soggetti o sono più attenti, o non hanno ancora sufficiente pratica del compito. Gli effetti della sequenza, invece, dipendono da interazioni fra le condizioni. È il noto effetto àncora (o effetto contrasto): la sensazione dello stimolo antecedente influenza quella dello stimolo successivo. Disegno tra i soggetti_ Gli esperimenti tra i soggetti, in cui a ogni condizione corrisponde un gruppo, vanno previsti nelle situazioni in cui i soggetti non possano essere usati come controllo si se stessi a causa degli effetti di influenza di una prova sull’altra (ordine o sequenza). Nel disegno più semplice abbiamo due gruppi: un gruppo sperimentale, a cui è applicato il vero trattamento e un gruppo di controllo, a cui è somministrato un trattamento “finto”. È molto impiegato in ambito farmacologico: al gruppo sperimentale è somministrato il farmaco con il principio attivo, al gruppo di controllo un placebo (una sostanza inattiva). Se emergono differenze significative tra