Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto di "Romeo e Giulietta" di Shakespeare, Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Riassunto e commento della tragedia "Romeo e Giulietta" di Shakespeare

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 05/12/2016

trulla1
trulla1 🇮🇹

4.3

(9)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto di "Romeo e Giulietta" di Shakespeare e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Romeo e Giulietta (The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet – La tragedia eccellentissima e lamentevolissima di Romeo e Giulietta) è una tragedia di William Shakespeare composta tra il 1594 e il 1596, tra le più famose e rappresentate, nonché una delle storie d'amore più popolari. La vicenda dei due protagonisti ha assunto nel tempo un valore simbolico, diventando l'archetipo dell'amore perfetto, ma avversato dalla società. Innumerevoli sono le riduzioni musicali (per esempio: il poema sinfonico di Čajkovskij, il balletto di Prokof'ev, l'opera di Gounod, l'opera di Bellini I Capuleti e i Montecchi e il musical West Side Story) e cinematografiche (fra le più popolari quelle dirette da Zeffirelli e Luhrmann). TRAMA Nel prologo il coro racconta come due nobili famiglie di Verona, i Montecchi e i Capuleti, si siano osteggiate per generazioni e che «dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella, il cui tragico suicidio porrà fine al conflitto». Il primo atto (composto da cinque scene) comincia con una rissa di strada tra le servitù delle due famiglie (Gregorio, Sansone, Abramo e Benvolio), interrotta da Escalus, principe di Verona, il quale annuncia che – in caso di ulteriori scontri – i capi delle due famiglie sarebbero stati considerati responsabili e avrebbero pagato con la vita; quindi fa disperdere la folla. Il conte Paride, un giovane nobile, ha chiesto al Capuleti di dargli in moglie la figlia Giulietta, poco meno che quattordicenne. Capuleti lo invita ad attendere perché ritiene la figlia ancora troppo giovane, ma alle insistenze di Paride gli permette di farle la corte e di attirarne l'attenzione durante il ballo in maschera del giorno seguente. Anche la madre di Giulietta cerca di convincerla ad accettare le offerte di Paride. Questa scena introduce la nutrice di Giulietta, l'elemento comico del dramma. Il rampollo sedicenne dei Montecchi, Romeo, è innamorato di Rosalina, una Capuleti (personaggio che non compare mai) che – per un voto di purezza e castità – non vuole corrispondere alle attenzioni di Romeo. Mercuzio (amico di Romeo e congiunto del principe) e Benvolio (cugino di Romeo) cercano invano di distogliere Romeo dalla sua malinconia, quindi decidono di andare mascherati alla casa dei Capuleti per divertirsi e cercare di dimenticare. Romeo, che spera di vedere Rosalina al ballo, incontra invece Giulietta. I due ragazzi si scambiano poche parole, ma sufficienti a farli innamorare l'uno dell'altra e a spingerli a baciarsi. Prima che il ballo finisca la balia rivela a Giulietta il nome di Romeo, il quale apprende che la ragazza è la figlia dei Capuleti. Il secondo atto (composto da sei scene) inizia quando Romeo si congeda dai suoi amici e – rischiando la vita – si trattiene nel giardino dei Capuleti dopo la fine della festa. Durante la famosa scena del balcone i due ragazzi si dichiarano il loro amore e decidono di sposarsi in segreto. Il giorno seguente il francescano frate Lorenzo – con l'aiuto della balia – unisce in matrimonio Romeo e Giulietta, sperando che la loro unione possa portare pace tra le rispettive famiglie. Nel terzo atto (composto da cinque scene) le cose precipitano quando Tebaldo, cugino di Giulietta e di temperamento iracondo, incontra Romeo e cerca di provocarlo a un duello. Romeo rifiuta di combattere contro colui che è ormai anche suo cugino, ma Mercuzio (ignaro di ciò) raccoglie la sfida. Nel tentativo di separarli Romeo permette inavvertitamente a Tebaldo di ferire Mercuzio, che muore augurando «la peste a tutt'e due le vostre famiglie» e nell'ira Romeo uccide Tebaldo per vendicare l'amico. Giunge il principe che chiede chi abbia provocato la mortale rissa e Benvolio racconta di come Romeo abbia tentato invano di placare le offese e le angherie di Tebaldo. Donna Capuleti mette in dubbio però tale racconto poiché fatto da un Montecchi e allora il principe condanna Romeo solo all'esilio, dato che Mercuzio era suo congiunto e Romeo ha agito per vendicarlo. Romeo deve quindi lasciare la città prima dell'alba del giorno seguente e non più tardi del cambio della guardia, altrimenti sarebbe messo a morte. Giulietta apprende intanto dalla sua balia della morte di Tebaldo (suo cugino) e del bando per Romeo e chiede disperata alla balia di trovare Romeo, portargli il suo anello e chiedergli di incontrarla per l'ultimo addio. La balia si reca quindi da frate Lorenzo, dove Romeo ha trovato rifugio e insieme concordano di far incontrare i due sposi. Nel frattempo il conte Paride incontra i Capuleti per chiedere delle nozze con Giulietta e questi decidono di fissare la data per giovedì, così da sollevare il morale alla figlia, credendo si stia disperando in lacrime per la morte di Tebaldo. I due sposi riescono a passare insieme un'unica notte d'amore e all'alba, svegliati dal canto dell'allodola, messaggera del mattino (che vorrebbero fosse il canto notturno dell'usignolo), si separano e Romeo fugge a Mantova. La mattina dopo Giulietta apprende dai suoi genitori della data delle nozze con Paride e al suo rifiuto viene verbalmente aggredita dal padre, che minaccia di diseredarla e cacciarla dalla sua casa. Giulietta chiede invano conforto alla sua Balia e poi, fingendo un ravvedimento, manda questa a chiedere ai suoi il permesso di andare a confessarsi con frate Lorenzo per espiare il torto fatto con il suo rifiuto. Il quarto atto (composto da cinque scene) inizia con un colloquio tra frate Lorenzo e Paride, che gli annuncia il matrimonio con Giulietta per giovedì. Poco dopo giunge la ragazza, la quale si trova quindi di fronte al conte e per congedarlo è costretta a farsi baciare e poi, una volta uscito quest'ultimo, si rivolge disperata al frate. Frate Lorenzo, esperto religioso in erbe medicamentose, escogita una soluzione al dramma e consegna a Giulietta una pozione-sonnifero che l'avrebbe portata a uno stato di morte apparente solo per quarantadue ore, in realtà un sonno profondo con rallentamento del battito cardiaco (impercettibile), per non sposare Paride e fuggire. Nel frattempo il frate manda il suo fidato assistente, frate Giovanni, a informare Romeo affinché egli la possa raggiungere al suo risveglio e fuggire da Verona. Tornata a casa Giulietta finge la propria approvazione alle nozze e una volta giunta la notte beve la pozione e si addormenta nel profondo sonno. Al mattino la balia si accorge sconvolta della "morte" di Giulietta. La giovane viene sepolta nella tomba della famiglia dove riposa anche Tebaldo. Nel quinto atto (composto da tre scene) Romeo viene a sapere dal suo servo Baldassare (che ha assistito al funerale di Giulietta inconsapevole del retroscena) della morte della sua sposa. Romeo disperato si procura quindi un veleno (arsenico) con l'intento di tornare a Verona, dare l'estremo saluto alla sua sposa e togliersi la vita. Nel frattempo frate Lorenzo apprende da frate Giovanni la mancata consegna a Romeo poiché Mantova è sotto quarantena per la peste e gli è stato impedito di recapitare la missiva. Romeo raggiunge precipitosamente Verona e in segreto si inoltra nella cripta dei Capuleti ordinando al suo servo Baldassare di andarsene e lasciarlo solo, determinato a unirsi a Giulietta nella morte. Qui si imbatte però in Paride, anch'egli in lutto venuto a piangere Giulietta. Paride riconosce Romeo e vorrebbe arrestarlo: ne nasce un duello nel quale Paride rimane ucciso. Il paggio di Paride (che era rimasto fuori di guardia) corre a chiamare le guardie, mentre Romeo – dopo aver guardato teneramente Giulietta un'ultima volta e sul punto di raggiungerla nella morte – si avvelena pronunciando la famosa frase: «E così con un bacio io muoio». Nel frattempo giunge frate Lorenzo che si imbatte in Baldassare e apprende che il suo padrone Romeo è già da mezz'ora nella cripta. Il frate intuisce che qualcosa di nefasto sta accadendo e si affretta affannosamente nella cripta, dove scorge i corpi ormai esanimi di Paride e Romeo. Giulietta intanto si sveglia e il frate cerca in un primo tempo di nasconderle la verità, ma poi pronuncia la frase: "Un potere più grande, cui non possiamo opporci, ha frustrato i nostri piani", sentendo quindi delle voci che si avvicinano supplica Giulietta di seguirlo, ma al rifiuto di lei fugge impaurito. Giulietta, alla vista di Paride e Romeo morti accanto a lei, si uccide trafiggendosi con il pugnale di quest'ultimo e si unisce a lui nella morte. Nella scena finale le due famiglie e il principe Escalo accorrono alla tomba, dove frate Lorenzo gli rivela infine l'amore e il matrimonio segreto di Romeo e Giulietta. Le due famiglie, come anticipato nel prologo, sono riconciliate dal sangue dei loro figli e pongono fine alle loro sanguinose dispute, mentre il principe li maledice per il loro odio che ha causato la morte delle loro gioie. Infine il principe si allontana pronunciando l'ultima frase della tragedia: « Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo. Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo. » domenica mattina di luglio alla successiva notte del giovedì. Il percorso drammaturgico si brucia in una sorta di rito sacrificale, con i due giovanissimi protagonisti travolti dagli avvenimenti e (come scrive Silvano Sabbadini in una sua introduzione all'opera) dall'impossibilità di un passaggio all'età adulta e alla maturazione. Nonostante la diversità di impostazione, nel Romeo e Giulietta shakespeariano è possibile ravvisare citazioni quasi letterali da Brooke, che sembrano dimostrare come prima della composizione Shakespeare dovesse conoscere il poema quasi a memoria. Tuttavia vi sono anche influenze dirette da altri autori, seppure in misura minore: oltre a echi del già citato Palace of Pleasure vi sono anche quelli del Troilo e Criseide di Geoffrey Chaucer, che Shakespeare doveva conoscere molto bene, derivati a loro volta dal Filostrato boccaccesco che Shakespeare sembra però non avere mai letto. Al tempo in cui Shakespeare iniziava la sua carriera drammaturgica la storia dei due amanti infelici aveva ormai fatto il giro dell'Europa, riempiendo non solo le librerie, ma anche gli arazzi delle case. Brooke stesso ci parlava già, trent'anni prima dell'esordio di Shakespeare, dell'esistenza di un famoso dramma sull'argomento, non specificandone però l'autore. La popolarità di questo protodramma, anche se non ci sono pervenuti copioni né adattamenti, induce facilmente a pensare che molti autori minori avessero già messo in scena la storia un gran numero di volte prima che Shakespeare si cimentasse con la propria versione. Di solito, gli attori erano talmente presi dalla trama che, per non essere feriti dagli oggetti lanciati dalla platea (se il romanzo non era di loro gradimento) improvvisavano e facevano finire bene la storia. L'opera è stata scritta tra il 1594 e il 1596. Nel testo del dramma, in una battuta della balia, si afferma come siano passati esattamente undici anni da un terremoto che avrebbe scosso la città di Verona Atto I, Scena III, Balia: «[...] ma, stavo dicendo, la notte della vigilia lei compirà quattordici anni, ci giurerei, non ho dubbi io, me lo ricordo bene... Sono passati undici anni da quel terremoto e fu proprio allora, tra tutti i giorni dell'anno che cominciai a toglierle il latte...». Per quanto non si possa fare affidamento sulla buona memoria di un personaggio, parte della finzione scenica, questo elemento ha suscitato riflessioni e non è dunque chiaro se Shakespeare si riferisce alla città nella quale realmente si svolge la rappresentazione (quindi Londra) o a quella fittizia, la Verona cinquecentesca rappresentata sulla scena. Nel primo caso, quello in cui ci si riferisca al terremoto che colpì Londra nel 1580, la data sarebbe prematura perché porterebbe la composizione al 1591, anno precedente all'attività letteraria di Shakespeare, iniziata non prima della chiusura dei teatri da parte della Città di Londra nel 1593. Più adatto cronologicamente sarebbe il riferimento di Sidney Thomas al terremoto europeo del 1584, ma il fatto che la scossa fosse avvertita in modo molto intenso tra le Alpi – come afferma Sarah Dodson – non avrebbe aggiunto colore locale alla tragedia, non potendo il pubblico inglese disporre di informazioni di prima mano su Verona, città di cui lo stesso Shakespeare avrebbe avuto solo una conoscenza indiretta e sommaria attraverso opere scritte, ma probabilmente non italiane. Altro elemento è l'epidemia di peste avvenuta a Mantova nel 1399 e che spinse Francesco Gonzaga, quarto capitano di Mantova, a far voto di erigere in quel luogo una grande chiesa in onore della Vergine Maria se il disastroso flagello fosse stato allontanato, di cui si parla nell'Atto V, Scena II. Frate Giovanni: «[...] andavo in cerca d'un fratello scalzo, uno del nostro ordine, che mi facesse compagnia, qui, in città, a visitare i malati, e l'avevo appena trovato, che gli ufficiali sanitari, sospettando che venissimo da una casa dove regna la peste contagiosa, chiusero le porte e non ci lasciarono uscire...». Per fare più luce sulla data di composizione è utile tenere in considerazione il lasso di tempo che intercorre tra il 1594 (la riapertura dei teatri) e il 1597, data della stampa non autorizzata del cattivo in-quarto (si veda sotto). Gibson e altri notano comunque che prima del 1597 l'opera era già stata rappresentata e che prima di mettere in scena qualsiasi rappresentazione occorrono diversi mesi di prove e di preparazione: tale considerazione porterebbe la data al 1596 circa. Una data che si situa tra il 1594 e il 1596 sarebbe confortata dall'esame di opere stilisticamente affini a Romeo e Giulietta. I due gentiluomini di Verona, (che C. Leech attribuisce al 1593-1594) e La commedia degli errori che probabilmente la precedette di poco. Ambedue le commedie attingono abbondantemente al poema di Brooke e ne I due gentiluomini di Verona sono già contenute molte situazioni rivisitate in Romeo e Giulietta: Valentino raggiunge la finestra dell'amata con una scala di corda, il padre di Silvia vuole sposarla contro la sua volontà a uno sciatto pretendente, Thurio, Valentino è bandito da Verona e si rifugia a Mantova, compare perfino un frate di nome Lorenzo accanto a frate Patrizio e così via. Secondo i critici I due gentiluomini di Verona sarebbe il passo decisivo verso Romeo e Giulietta, essendo ragionevole supporre che Shakespeare si cimentasse in una versione drammatica del poema di Brooke solo dopo avere tastato il terreno con una versione comica. Nei primi mesi del 1597 l'opera è per la prima volta data alle stampe da Edward Allde e John Danter in una edizione fraudolenta: è frutto di una ricostruzione mnemonica di qualche attore che ha partecipato alla rappresentazione probabilmente con l'aiuto di uno stenografo. Secondo H. P. Hoppe, in seguito alla stampa non autorizzata di un altro testo (Jesus Psalter), Danter avrebbe subìto la distruzione della sua tipografia tra il 9 febbraio e il 27 marzo dello stesso anno. La tragedia prende le sue mosse dal contesto storico dell'epoca: nel periodo in cui il dramma è ambientato l'Italia non esisteva ancora come Stato unitario e i suoi comuni erano divisi, in guerra tra loro e con lo Stato Pontificio. Verona e Venezia in particolare furono nel Cinquecento una spina nel fianco della Chiesa cattolica. Invece nel Regno d'Inghilterra nel periodo in cui il dramma venne composto regnava Elisabetta I che – come tutti i sovrani britannici successivi a Enrico VIII (padre di Elisabetta) – era a capo della Chiesa protestante anglicana. È quindi comprensibile che Romeo e Giulietta dipinga l'ambiente cattolico a tinte fosche, evocando sulla scena le paure diffusosi in Inghilterra in seguito al formale distacco della regina Elisabetta dalla Chiesa di Roma (dopo i tentativi di restaurazione cattolica della sorellastra Maria, che la precedette sul trono) che provocò quindi l'uscita dalla coalizione di stati cattolici e l'aperto sostegno a tutti i partiti protestanti europei. In questo periodo si consumarono le guerre di religione francesi (1572-1604), la cui violenza era culminata venti anni prima della composizione della tragedia nella sanguinosa Notte di san Bartolomeo. Dopo lo scisma consumato dal padre Elisabetta fece adottare un catechismo diverso da quello cattolico (Book of Common Prayer), permettendo la traduzione in lingua inglese delle Sacre Scritture. Nel 1588 dopo avere rifiutato la corte insistente del cattolicissimo Filippo II di Spagna sconfigge, complice l'instabile clima Atlantico, l'Invincibile Armata inviata dal sovrano per conquistare l'isola. Se la vittoria sancì la superiorità marittima dell'Inghilterra aprendole la strada alle Americhe, scagliò però contro Elisabetta le ire di tutti i sovrani cattolici, diffondendo soprattutto a Londra un clima di paura, fomentato da intrighi di corte e spie, non certo alleviato dalla discreta presenza di una comunità di drammaturghi italiani. Il gotico inglese muove i suoi primi passi proprio dal teatro elisabettiano, il cui sfondo sono le guglie di chiese e castelli anglosassoni, arricchito di stereotipi mutuati dal mondo cattolico, quali la cripta dei delitti e delle torture, nonché le torbide vicende di amanti perseguitati dentro le mura di conventi spagnoli o italiani. In questo clima frate Lorenzo diventa lo strumento di una provvidenza che opera al rovescio. Benché motivato dalle migliori intenzioni il suo piano, complice il fato avverso, porta al suicidio di Romeo e Giulietta. Le arti magiche del frate, creatore della pozione narcotica, gettano una luce sinistra e provocano nel pubblico lo stesso terrore che si impossessa di Giulietta un istante prima di bere la fiala. Rappresentata sicuramente prima del 1597, si ritiene che l'opera possa esser stata messa in scena dai Lord Chamberlain's Men, la compagnia del ciambellano Hunsdon che 1603 prese il nome di King's Men. Nella compagnia recitavano Richard Burbage e lo stesso Shakespeare. Burbage potrebbe essere stato il primo attore a interpretare Romeo, con il giovane Robert Goffe nella parte di Giulietta. Il dramma sarebbe stato rappresentato nel teatro, costruito nel 1596 dal padre di Burbage e chiamato The Theatre ("Il Teatro", in seguito smantellato dai Burbage e ricostruito come Globe Theatre) e al Curtain, costruito nell'anno successivo, entrambi nella periferia della Città di Londra. I due edifici erano degli anfiteatri di forma simile nei quali il pubblico assisteva alle rappresentazione in una corte interna, scoperta o nei palchetti. Si avvalevano di luce naturale e il prezzo del biglietto era in genere di un penny. Come nella maggioranza delle rappresentazioni del teatro elisabettiano il dramma si svolgeva su un palco centrale, che era circondato per tre lati dal pubblico, mentre la mancanza di effetti speciali e scenografie elaborate lasciava il compito evocativo interamente alla maestria degli attori. Romeo e Giulietta è ancora in gran parte un dramma medievale, ancorché di argomento profano: molte di queste opere, raccontate anche in novelle parlavano dell'ascesa di re, principi e imperatori e della loro caduta per opera del fato. Lo stesso vale per le versioni più romantiche di questi racconti a fine edificante, quasi sempre storie di amanti infelici. In generale nel medioevo i difetti personali e l'autodeterminazione non avevano alcun potere nelle vicende degli uomini, regolate solo da una provvidenza spesso crudele e imperscrutabile, controparte letteraria dei vari memento mori custoditi nelle dimore medievali, dai macabri ritratti della morte ricoperta da un manto nero con una falce in mano a varie statuette sullo stesso tema. Il Dio cristiano dei predicatori medievali è tanto imperscrutabile nel suo operato quanto terribile e severo[senza fonte] e così lo ritraggono alcuni tra i più grandi predicatori, da Bonvesin de la Riva a Girolamo Savonarola.[senza fonte] L'individuo quale noi intendiamo oggi è una creazione moderna: ogni persona era considerata non in sé, ma in quanto "parte della comunità da cui dipendeva" e a cui tutto doveva.[senza fonte] In confronto alle epoche successive ben poche sono le opere firmate nel medioevo, che ignorava il diritto d'autore. La mancanza della centralità dell'individuo sia a livello terreno sia escatologico è probabilmente responsabile dello scarso affidamento che fa la cultura medievale sulla possibilità della volontà umana di cambiare i destini del mondo. Tanto per citare un celeberrimo passo della Divina Commedia, in cui Dante chiede a Virgilio cosa sia la fortuna: « Colui lo cui saver tutto trascende, [...] ordinò general ministra e duce che permutasse a tempo li ben vani di gente in gente e d'uno in altro sangue, oltre la difension di senni umani; [...] Vostro saver non ha contrasto a lei: questa provede, giudica e persegue suo regno come il loro li altri dei. Le sue permutazion non hanno triegue; necessità la fa esser veloce; sì spesso vien chi vicenda consegue. Quest'è colei ch'è tanto posta in croce pur da color che le dovrìen dar lode, prima di poter dire: "Eccolo, guarda" (...) » (II, ii,117-124) (EN) « ... her beauty makes This vault a feasting presence, full of light. » (IT) « ... tanto lei è bella che questa cripta si illumina a festa. » (V, iii, 85-86) Il riferimento alla folgore amorosa si avvera drammaticamente nella cripta di Giulietta, quando Romeo ne ammira la bellezza prima di porre fine alla sua vita. L'amore stesso tra i due amanti è un ossimoro, un paradosso vivente che nell'impossibilità di essere risolto vince la morte stessa ed è proprio la morte che dà vita e illumina la notte nell'estasi più grande provata da Romeo alla vista dell'amata. Ciò che il giorno aveva negato ai due amanti, dal riconoscimento della loro unione alla celebrazione di un matrimonio, è alla fine concesso nella cripta, la chiesa sul cui altare trionfa l'amore più profondo che contagia finalmente anche le loro famiglie. L'opera, così ricca di ossimori, è in fondo essa stessa concepita in questa visione in cui i ruoli di luce e tenebre si scambiano continuamente. Il giorno assume la connotazione negativa del tempo ordinario, quello che sancisce i riti della vita sociale borghese e delle sue regole, dalle faide tra i servi alla comparsa di Paride che, promesso in sposo a Giulietta dal vecchio Capuleti, precipita gravemente la situazione dei due amanti. Il giorno anche è il trionfo della ragione economica e degli interessi pratici (l'amore inteso come matrimonio di convenienza), dell'ordine politico che pure è pervertito per garantire unicamente gli interessi materiali dei Capuleti e dei Montecchi anche sfidando il monito di Escalo, principe di Verona, con l'uccisione del suo caro amico e parente Mercuzio. Garante di quest'ordine negativo è Marte, dio della guerra e di quel falso senso di onore che infiamma le due famiglie spargendo di sangue le strade di Verona. La concezione dell'amore di questa società è puramente terreno, anche se ufficialmente negato, rivelato nella sua crudezza solo dalle battute erotiche di Mercuzio alle oscenità popolane della balia. Il discorso della regina Mab è una presa in giro all'amore e Mercuzio stesso viene punito da Venere dalle stesse fate e dagli elfi da lui evocati con sarcasmo. Mercuzio non conosce l'amore e solo l'amore tra Romeo e Giulietta, protetti da Venere, sarebbe poi riuscito, seppur a caro prezzo, a trascendere l'erotismo senza negarlo, sublimandolo in un sentimento più alto, perfetto nell'eternità, eterno come quest'opera che ha acquistato ormai un valore universale. Come tutte le tragedie di Shakespeare Romeo e Giulietta è scritto in versi, anche se qui non è il pentametro giambico a prevalere, ma il verso rimato, specialmente il sonetto, utilizzato ad esempio nel prologo dal coro (I, i, vv. 1-14), o nel dialogo fra Giulietta e Romeo nella scena in cui si incontrano per la prima volta: (EN) « ROM. – If I profane with my unworthiest hand This holy shrine, the gentle fine is this: My lips, two blushing pilgrims, ready stand To smooth that rough touch with a tender kiss. JUL. – Good pilgrim, you do wrong your hand too much, Which mannerly devotion shows in this; For saints have hands that pilgrims' hands do touch, And palm to palm is holy palmers' kiss. ROM. – Have not saints lips, and holy palmers too? JUL. – Ay, pilgrim, lips that they must use in pray'r. ROM. – O, then, dear saint, let lips do what hands do! They pray; grant thou, lest faith turn to despair. JUL. – Saints do not move, though grant for prayers' sake. ROM. – Then move not while my prayer's effect I take. Thus from my lips, by thine my sin is purg'd. [Kisses her.] JUL. – Then have my lips the sin that they have took. ROM. – Sin from my lips? O trespass sweetly urg'd! Give me my sin again. [Kisses her.] JUL. – You kiss by th' book. » (IT) « ROMEO – Se con indegna mano profano questa tua santa reliquia (è il peccato di tutti i cuori pii), queste mie labbra, piene di rossore, al pari di contriti pellegrini, son pronte a render morbido quel tocco con un tenero bacio. GIULIETTA – Pellegrino, alla tua mano tu fai troppo torto, ché nel gesto gentile essa ha mostrato la buona devozione che si deve. Anche i santi hanno mani, e i pellegrini le possono toccare, e palma a palma è il modo di baciar dei pii palmieri. ROMEO – Santi e palmieri non han dunque labbra? GIULIETTA – Sì, pellegrino, ma quelle son labbra ch'essi debbono usar per la preghiera. ROMEO – E allora, cara santa, che le labbra facciano anch'esse quel che fan le mani: esse sono in preghiera innanzi a te, ascoltale, se non vuoi che la fede volga in disperazione. GIULIETTA – I santi, pur se accolgono i voti di chi prega, non si muovono. ROMEO – E allora non ti muovere fin ch'io raccolga dalle labbra tue l'accoglimento della mia preghiera. (La bacia) Ecco, dalle tue labbra ora le mie purgate son così del lor peccato. GIULIETTA – Ma allora sulle mie resta il peccato di cui si son purgate quelle tue! ROMEO – O colpa dolcemente rinfacciata! Il mio peccato succhiato da te! E rendimelo, allora, il mio peccato. (La bacia ancora) GIULIETTA – Sai baciare nel più perfetto stile. » Questo sonetto (a cui si aggiunge una quartina conclusiva) raffigura Romeo come un pellegrino che arrossisce e che prega su un'immagine della Madonna, come facevano molte persone nella prima metà del XVI secolo in Inghilterra nei santuari come quello di Nostra Signora di Walsingham. Per il suo uso abbondante delle rime il ricercato linguaggio dell'amor cortese che si accompagna a un ricco repertorio eufuistico pieno di manierismi, per la prevalenza del carattere patetico su quello tragico, ma anche per alcune inconsistenze della trama, Romeo e Giulietta è considerato facente parte del periodo lirico di Shakespeare, a fianco di altri drammi poetici come I due gentiluomini di Verona, La commedia degli errori, Sogno di una notte di mezza estate e Riccardo II.