Scarica Riassunto di Storia della Letteratura Russa – Dalla Rivoluzione d’ottobre ad oggi Di Guido Carpi e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! Storia della Letteratura Russa – Dalla Rivoluzione d’ottobre ad oggi Di Guido Carpi Capitolo 1 - Anni Venti (1917-27) Dopo l’Ottobre Il 25 ottobre 1917 a Pietrogrado i bolscevichi prendono il potere a nome dei soviet e promulgano il decreto sulla pace e quello sulla terra, che legittimavano la disgregazione dell’esercito e l’appropriazione violenta delle terre signorili da parte delle masse rurali. Nelle settimane che precedono l’apertura dell’Assemblea costituente il caos regna sovrano. Gli intellettuali d’antan sono già demoralizzati dalle turbolenze seguite alla caduta della monarchia in febbraio e si muovono in ordine sparso. C’è anche chi entra negli organi politico-culturali bolscevichi, come Vladimir Majakovskij. Il 5 gennaio si apre la Costituente con una larghissima maggioranza di deputati non bolscevichi, per lo più membri o simpatizzanti del Partito socialista rivoluzionario. Il potere sovietico chiude la Costituente dopo un solo giorno. La grande maggioranza dell’intelligencija ha un atteggiamento sospettoso nei riguardi del bolscevismo, mentre il gruppo degli Sciti saluta con entusiasmo la rivoluzione in nome di una poetizzazione della barbarie. Il movimento si dissolve presto, non prima di aver incluso nei suoi ranghi il poeta simbolista Aleksandr Blok che pubblica nel 1918 la poesia Gli Sciti (Skify) e il poemetto I dodici (Dvenadcat’). Molti scrittori giovani come Zoscenko e Mandel’stam salutarono I dodici come un prototipo di una poesia nuova. Le prime infrastrutture culturali Nella primavera 1918 il governo sovietico impone il calendario gregoriano in vigore in tutto il mondo, una nuova ortografia e inizia a investire nel campo della cultura le scarsissime risorse che riesce ad accantonare dai fronti della guerra civile. Nasce così nella primavera del 1918 il Reparto teatrale (TEO) del Narkompros, che diventa presto un’incubatrice di idee e progetti culturali a raggio ampio. Per gli intellettuali attestati su una linea di opposizione al bolscevismo, le cose iniziano a mettersi male. La nazionalizzazione delle imprese e delle banche, l’abolizione della proprietà privata immobiliare e la liquidazione dei patrimoni – unite alla progressiva chiusura di università, istituti di ricerca, case editrici e periodici – privano l’intelligencija dei propri tradizionali cespiti di reddito. Solo la casa editrice di Stato (Gosizdat) ha ora il diritto di pubblicare. Prima o poi, a tutti quelli che non emigrano tocca collaborare con le istituzioni del nuovo regime e fare atto di lealtà. “Chi non si sottomette non mangia” è il riassunto di Trotzkij. A fine 1919 il paese è allo stremo. Col passaggio generale dell’Armata rossa al contrattacco su tutti i fronti e con l’allentarsi della stretta bianca sulle due metropoli, i rapporti fra bolscevichi e intellettuali non allineati si fanno più distesi. Nasce un centro intellettuale pietrogradese, la Casa delle arti (Dom iskusstv, detta Disk). Nasce come pensionato e mensa per intellettuali ridotti alla miseria e finisce per raccogliere ciò che resta del mondo artistico e letterario della ex capitale. Il cruciale 1921 Con il potere sovietico ancora impegnato sui lontani fronti della guerra civile si creano le condizioni per un ultimo atto della cultura tradizionale: il 1921. Nel mese di febbraio vi è la rivolta di Kronstadt, repressa dai bolscevichi, che però decidono di allentare la tensione sociale consentendo un parziale ritorno all’imprenditoria privata: inizia la cosiddetta NEP, con un’immediata normalizzazione del commercio e della vita quotidiana in generale. Nelle stesse settimane cominciano ad emergere gli autori che faranno la letteratura degli anni Venti: Majakovskij, Zamjatin, Esenin, Zoscenko, Pil’njak, Babel’. Il 7 agosto muore Blok, il 22 Gumilev viene fucilato per attività controrivoluzionaria; in novembre Gor’kij si trasferisce a Berlino. Sono smottamenti simbolici e non che indicano la fine dell’età d’argento della letteratura russa. Dall’aprile 1921 al maggio 1922 si dipana un annus mirabilis della poesia russa. Nell’aprile 1921 Anna Achmatova con Piantaggine, in marzo Majakovskij con 150.000.000, a fine anno Mandel’stam con Tristia. Nell’aprile 1922 si chiude con Mia sorella la vita (Sestra moja zizn’), il quasi esordio di Pasternak. Il 3 aprile 1922 Stalin viene eletto segretario generale del Partito. Il 25 ottobre l’Armata rossa occupa Vladivostok: termina definitivamente la guerra civile. In giugno viene istituita la Direzione generale della letteratura e della stampa (Glavlit), cui spetta l’autorizzazione preventiva di ogni pubblicazione; il regolamento prevede che il vicepresidente del Glavlit sia designato dalla polizia politica (Ceka). I centri della dissidenza pietrogradese vengono chiusi e numerosi intellettuali vengono esiliati a forza in Occidente sulla cosiddetta “nave dei filosofi” (settembre 1922: 225 esiliati). Inizia una nuova era in cui gl i intellettuali non si identificano più nella misura del loro essere pro o contro un modello sociopolitico ormai inevitabile. Il 30 dicembre 1922 nasce l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. L’Avanguardia al potere Fra gli artisti che provengono dall’avanguardia anni dieci prevale fin dal principio un appoggio sostanziale alla rivoluzione. Tipicamente anarchico-libertario è lo spirito della prima uscita collettiva di Majakovskij e compagni: l’unico numero della “Gazeta futuristov” (Giornale dei futuristi, marzo 1918). A partire dall’ottobre 1919 Majakovskij sarà impegnato nella confezione di manifesti propagandistici per l’agenzia telegrafica Rosta: le cosiddette “finestre della Rosta”. Capitolo 2 – La NEP e la cultura (1921-27) Dal 1914 al 1922, fra guerre, carestie e migrazioni, il paese ha perso tra i 9 e i 14 milioni di abitanti. L’agricoltura si è contratta di un terzo rispetto al 1913, mentre la produzione industriale è crollata a un settimo del livello anteguerra. Quel poco di economia privata che sta sorgendo è in mano alla corrotta e vorace casta dei nuovi ricchi, i cosiddetti nepmen. Le brigate della Gioventù comunista (Komsomol) combattono l’analfabetismo nelle campagne e cercano di diffondere le elementari norme di igiene. Nell’Asia e nel Caucaso sovietici si aboliscono la poligamia e l’obbligo del velo, si parificano i diritti delle donne, si fondano scuole, università. Inizia un vigoroso movimento anticlericale e la Chiesa ortodossa è relegata in una nicchia, sottoposta a requisizioni e restrizioni. Nel dicembre 1923 Lenin deve abbandonare l’agone politico per malattia, mentre le polemiche tra Trotzkij e la trojka che gestisce il potere (Stalin, Zinov’ev, Kamenev) continuano e si approfondiscono. Il picco delle polemiche diventa il 1924-25, quando la morte di Lenin apre i giochi interni all’élite del partito. In particolare, le discussioni vertono: a) Sulle prospettive di una “rivoluzione permanente” che coinvolga anche l’Europa (Trotzkij) o, per contro, dell’opportunità di consolidare il “socialismo in un solo paese” (Stalin). b) Sul corso della NEP, sui modi e i tempi dell’industrializzazione, sui rapporti tra città e campagna. Trotzkij e il suo gruppo premono per stornare quote di ricchezza dal settore agricolo e investirle nell’industrializzazione. Bucharin (sostenuto da Stalin) ritiene che tale politica minacci l’alleanza fra operai e contadini. Con la NEP ricompaiono case editrici private e il mercato letterario si diversifica, pur con gravi squilibri. Al gruppo dirigente sovietico si pone il compito di elaborare una politica culturale più organica, non limitata alla pura repressione dei dissidenti. Trotzkij detta così la linea della politica culturale ufficiale con la serie di articoli poi riunita nel volume Letteratura e rivoluzione (Literatura i revoljucija, 1923). Il vero baricentro delle polemiche letterarie di quegli anni sta nelle lotte di potere che si compiono al vertice del partito. A inizio anno prevale l’alleanza tra Stalin e Bucharin e si forma il nuovo blocco di opposizione fra Trotzkij e Zinov’ev/Kamenev. La battaglia decisiva si svolge in aprile nel Comitato centrale, quando la “nuova opposizione” accusa la maggioranza di arrendevolezza verso i contadini ricchi (kulaki) e i nepmen, di burocratico verticismo e di scarso sostegno alla rivoluzione mondiale. In luglio Zinov’ev viene espulso dal Politburo. La messa in scena della riduzione drammatica della Guardia bianca di Bulgakov (poi I giorni dei Turbin) viene stigmatizzata come una pericolosa deriva reazionaria. In ottobre la XV conferenza del partito approva la tesi di Stalin sull’edificazione del socialismo in un solo paese. Trotzkij viene espulso dal Politburo per attività frazionistica e perde la propria influenza. Il 1 ottobre 1928 inizia il primo piano delle fabbriche e degli stabilimenti (Istorija fabrik i zavodov). Dato che la cultura staliniana non distingue psicologia individuale, lavoro materiale (collettivo) e sfera spirituale, un aspetto dell’universale riforgiatura riguarda la sfera estetica, ovvero: o L’arte come ingegneria delle anime umane. A farsi promotore di tale concezione dell’arte sarà Andrej Zdanov (1896-1948), supremo responsabile della politica culturale staliniana della metà degli anni trenta alla morte. Tale formula è riassumibile come realismo socialista, la cui definizione canonica è “la rappresentazione veridica e storicamente veritiera della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario”. La letteratura, e in genere l’arte sociorealista, hanno una funzione allo stesso tempo epistemologica (come descrizione dei processi storici e previsione del loro esito) e catalizzatrice (come stimolo pedagogico che educa le masse e le spinge all’azione trasformatrice nella direzione auspicata/pianificata dai detentori dell’ortodossia. Il ruolo dell’artista sarà definitivamente codificato nel Breve corso di storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS (Kratkij kurs istorij Vkp(b) SSSR, 1938), soprattutto nel capitolo Materialismo dialettico e materialismo storico, detto Diamat. La Guida (ovvero l’artista) prevede ciò che può venire a essere; attraverso il partito, la Guida pianifica ciò che deve avvenire; su impulso della Guida, il partito mobilita il popolo perché realizzi ciò che sarà, in una continua lotta contro le forze del caos e dell’entropia. Molti elementi del ritualismo socialrealista erano già disseminati nella letteratura degli anni Venti: il collettivismo, l’ossessione pedagogica, la futurologia, l’orientamento polemologico (la rappresentazione del mondo e di ogni aspetto della vita sotto le categorie della lotta, dello scontro), la ricerca di un eroe positivo che catalizzasse la spinta rivoluzionaria delle masse. Ma tali elementi vengono adesso riuniti in un canone totalizzante. Il realismo socialista viene canonizzato ufficialmente da Gor’kij, Bucharin e Zdanov nell’agosto 1934 al congresso di fondazione dell’Unione degli scrittori, di fronte a più di 500 delegati di ogni classe sociale, regione e nazionalità dell’Unione. Il congresso persegue due scopi: sul piano ideologico, superare la dicotomia fra scrittori proletari e poputciki e riunire tutte le forze letterarie sotto la comune bandiera del realismo socialista. Sul piano organizzativo, ufficializzare e rendere certificabile lo status di scrittore superando il concetto spesso di censura, caotico e funzionante solo in negativo. L’intero processo creativo viene sottoposto alle istanze di verifica, controllo e indirizzo dall’alto in tutte le sue fasi di realizzazione. A regolare il movimento del sistema sono i rituali di critica/autocritica (kritika/samokritika). Tali rituali sono organizzati in discussioni apparentemente libere intorno a un tema posto dal rappresentante del vertice e culminanti nella pubblica ammenda di un reprobo. I valori sociali sono definiti nella pratica e nella teoria del partito. A essere predeterminati dal partito non sono tanto i risultati delle varie discussioni, quanto le modalità, il contesto culturale e ideologico e gli schemi retorici, sul modello del congresso di partito, il che garantisce anche l’inappellabilità delle decisioni prese. Mistica staliniana Il realismo socialista ha ufficialmente caratteri folkloristici e infantili, codici artistici semplici e lineari, un’emozionalità irrazionale, ed è improntato a un’ossessione pedagogica. Una variante della narrativa epica è il romanzo storico, soprattutto nella seconda metà degli anni Trenta, quando la cultura staliniana passa dall’enfatizzazione del conflitto sociale a quella della continuità nazional-popolare. A parte va trattata l’epopea di Nikolaj Ostrovskij Così fu forgiato l’acciaio (Kak zakaljalas’ stal’, 1934), che comprende tutte le tematiche del genere socialrealista (formazione dell’eroe, lotta rivoluzionaria, lavoro collettivo d’assalto, militanza politica), riassumendole in una concezione totalizzante della vita come milizia. Per quanto riguarda la poesia “ufficiale”, l’evento cardine di questo periodo è la canonizzazione di Majakovskij, definito nel dicembre 1935 da Stalin in persona “il migliore, il più talentuoso poeta della nostra epoca sovietica”. Nel Grande terrore del 1937 il tritacarne macina tutti, sia gli ex poputciki che i rappisti più intransigenti. La grande guerra patria del 1941-45 libera nuove energie creative che tentano di esprimersi nella breve distensione del dopoguerra, subito bloccata dalla stretta ideologica imposta da Zdanov. Cupo e sterile è l’autunno del sistema letterario a fine anni Venti nel clima entusiastico del velikij perelom: il clima dei primi anni Cinquanta è dominato da nuove repressioni, da abiette campagne antisemite mascherate da “lotta contro il cosmopolitismo senza radici” e da un conformismo letterario che suscita l’apprensione dello stesso establishment. La prosa dei poeti Verso la fine degli anni Venti il temporaneo abbandono della lirica e l’attrazione per la prosa è un fenomeno generale per tutti i poeti: l’acmeista Mandel’stam, il futurista Pasternak e la Cvetaeva. Tace anche l’Achmatova e perfino Majakovskij. Il temporaneo abbandono della lirica è motivato dall’esaurirsi dello specifico contesto linguistico nel quale i poeti di quella generazione si erano formati. I poeti nati negli anni Novanta condividevano una cultura della lingua propria di quell’ambiente e di quell’epoca. Alla fine della lunga serie di catastrofi che segnano il paese dal 1914 al 1921 non resta più pietra su pietra. Di qui il fenomeno della “prosa dei poeti”, che proprio in questo periodo germina negli interstizi fra fiction, saggistica e memorialistica, di pari passo con una tendenza alla ricostruzione autobiografica incentrata sull’infanzia, e quindi implicitamente sulla riflessione riguardo alla società prerivoluzionaria, identificata con sicurezza da Pasternak con la daca suburbana estiva, l’allest imento dell’abitazione per l’inverno, i viaggi in treno, il collegio, il leggere e far musica come forma di socializzazione domestica, i giochi, i pasti, la cameretta, le malattie infantili e le cure caserecce. I rituali della quotidianità medio-borghese d’inizio secolo. Pasternak ne parla in terza persona, a nome dell’eroina eponima nell’Infanzia di Ljuvers (Detstvo Ljuvers, 1922), ma elude o quasi il tema nel posteriore, autobiografico Salvacondotto. Certamente il suo capolavoro in prosa, Il salvancondotto (Ochrannaja gramota, 1929-31) descrive il passaggio dell’eroe dall’adolescenza alla maturità e alla militanza poetica, in un rapporto assai tormentato con l’amico-rivale Majakovskij. La prosa del Salvacondotto è impulsiva, frammentaria, ellittica. Pasternak negli anni Trenta E dire che Pasternak (che non amava particolarmente Mandel’stam) aveva provato a metterci una buona parola quando il 13 giugno 1934 Stalin in persona gli aveva telefonato in merito al destino dell’autore dell’invettiva contro “il montanaro del Cremlino”. Boris Pasternak aveva preso un po’ troppo sul serio le sue prerogative di poeta di corte: atteggiamento simpatetico nei confronti delle grandi opere in pieno svolgimento nel paese, ma difesa della propria autonomia spirituale e del proprio diritto a preservare il retaggio inerte del passato. La poesia deve lasciare vacante il proprio posto accanto al potere, pena il suo snaturamento e la sua trasformazione in uno strumento di dominio: tesi alquanto attuale negli anni di massima egemonia rappista sulla disorientata cultura russa. Nel marzo 1934 viene sostanzialmente “incoronato” primo poeta da Bucharin al primo congresso dell’Unione degli scrittori. Nel giugno 1935 lo mandano con Babel’ a Parigi, al congresso della cultura antifascista, ma le polemiche fra trockisti e scrittori sovietici mandano a monte l’iniziativa. Nel 1936 si moltiplicano i segni d’insofferenza. Da quell’anno Pasternak e famiglia si trasferiscono quasi in pianta stabile nella daca di Peredelkino, la cittadina degli intellettuali fatta edificare da Stalin vicino alla capitale. L’anno successivo lo scrittore assisterà allo stillicidio inesorabile di arresti ed eliminazioni dei propri colleghi di penna. Nel contesto del Grande terrore, Pasternak si dedica alla traduzione dell’Amleto. La guerra appare subito a Pasternak parte di un grande processo di rigenerazione nazionale, dove russo (necessità di difendere la patria e il suo retaggio culturale) e sovietico (forma storica in cui qui e ora lo spirito nazionale si manifesta) cessano finalmente di contrapporsi, giungendo a una sintesi. Con un ex marito fucilato nel 1921 e un secondo marito e un figlio pluricondannati, Anna Achmatova ha negli anni Trenta un’esperienza assai più diretta della macchina repressiva stalinana di quella che può vantare Pasternak. Capitolo 4 – La Russia fuori dalla Russia Il mito dell’emigrazione Mentre la Russia sprofonda nella barbarie, tutti i russi normali (gruppi dirigenti, ceto medio- alto) si trovano rovesciati fuori dal paese a seguito del grande esodo dei quadri militari dell’Armata bianca (autunno 1920) e si disperdono per il mondo libero. La genesi delle comunità russofone al di fuori dei confini sovietici è molto variegata in realtà: o Vaste comunità residenti nelle aree coloniali (Manciuria); o Residenti nei territori di confine che nel 1918 raggiunsero l’indipendenza (paesi baltici, Polonia, Finlandia); o Esuli veri e propri fuggiti dalle aree meridionali dell’allora impero in maggioranza di ucraini, cosacchi del Don e nord-caucasici; o Relativamente pochi erano gli esuli delle due capitali, ossia quei gruppi che avrebbero fatto la cultura dell’emigrazione. Ancora non appare chiaro quale sia lo status di emigrante: o Chi si trova all’estero allo scoppio della rivoluzione e lì è rimasto; o Chi nel 1918-19 si trovava nelle zone controllate dalle forze antibolsceviche e di queste aveva seguito il destino (Bunin, Nabokov); o Chi risiedeva in aree di controllo semicoloniale o nelle aree periferiche che nel 1918 avrebbero conquistato l’indipendenza dalla Russia; o Chi si reca in Occidente legalmente col passaporto sovietico; o Chi viene espulso; o Chi va via illegalmente dall’Unione Sovietica. L’emigrazione russa si distingue per il carattere diffuso ma i centri di cultura sono subito pochi e ben definiti. Tra la corona di capitali dell’Europa dell’Est spicca subito Praga, che poi verrà seguita dall’emigrazione spontanea a Berlino. La metropoli tedesca ospita la grande maggioranza dei russi presenti in Germania nel 1922-23. Con l’aggravarsi delle difficoltà economiche in Germania, alla fine del 1923 la massa degli emigrati si sposta altrove, soprattutto a Parigi, dove risiede ora la comunità più numerosa e dove fin dal 1919 si sono agglutinati i nuclei politici più importanti. Vladimir Nabokov Nabokov lotta contro il senso di sradicamento, praticando una radicale cosmopolitizzazione degli strumenti espressivi. Costruisce nei propri testi una sorta di modello bispaziale del mondo, dove l’altrove della Russia prerivoluzionaria e il qui e ora dell’esilio in Occidente possano coesistere e compenetrarsi anziché entrare in cortocircuito come nelle opere della maggior parte degli altri autori. La vocazione cosmopolita e il temperamento assai versatile erano la cifra inconfondibile di Nabokov fin dall’infanzia, e come tali vennero da lui enfatizzati nella copiosa memorialistica. Da subito il giovane si pone al di fuori dell’immaginario e del comportamento tradizionali dell’intelligencija russa. Dopo un esordio lirico di buon livello con il romanzo Masen’ka (1926) Nabokov inizia a percorrere le tappe di una ricerca espressiva ispirata a un assai calcolato cerebrale equilibrismo stilistico che recepisce le correnti occidentali più in voca (Proust). Costruisce le trame narrative sul modello esplicito delle parole crociate e dei problemi scacchistici, dove – a detta dello stesso Nabokov – la vera lotta non è fra bianchi e neri, ma fra chi ordisce il rompicapo e chi poi sarà chiamato a risolverlo. Il motore profondo dei suoi romanzi si configura: una condizione di assenza, isolamento, menomazione impossibile da sanare nella realtà, e la necessità di proiettare tale condizione sull’asse di un altrove compensatorio. Talvolta i protagonisti sono émigrés e i due assi sono semplicemente l’Europa dell’esilio presente e il ricordo della Russia perduta nel dall’establishment culturale in patria quanto dai circoli di émigrés, il primo bloccò subito la pubblicazione dell’opera e reagì poi all’edizione estera (in lingua italiana, presso Feltrinelli, nel novembre 1957) e al conferimento del premio Nobel (ottobre 1958). L’affaire Pasternak discreditò irrimediabilmente il da poco avviato Disgelo sovietico nel campo della cultura. Un giudizio altrettanto politico dettero i circoli dell’esilio, risorti nel dopoguerra e potenziati dal sostegno economico e logistico americano. Un’edizione pirata in lingua russa del romanzo fu stampata dagli emigrati del Tsope di Monaco per la grande Expo di Bruxelles del 1958: presso il padiglione della Santa Sede, il conte Vladimir Tolstoj distribuiva sottobanco le copie ai visitatori sovietici. A cavallo del 1958-59 il presidente degli Stati Uniti Eisenhower ritenne opportuno esaltare Pasternak. Capitolo 6 – Dal Disgelo alla Stagnazione La società sovietica è ormai in uno stato di fibrillazione che le istanze ufficiali non possono controllare. Se era già stato grande l’entusiasmo per il lancio nel cosmo del primo Sputnik (1957), il volo orbitale di Jurij Gagarin nel 1961 consacra una passione di massa per la scienza e la tecnica. Nell’ottobre 1961 al XXII congresso Kruscev torna sul tema dei crimini di Stalin, spingendo le critiche ben più in là di cinque anni prima. Città e istituzioni dedicate a Stalin vengono rinominate e la salma della Guida viene traslata dal mausoleo dove era stata sepolta insieme a Lenin. Negli anni successivi vengono riabilitati 617 ex membri dell’Unione degli scrittori, migliaia di titoli tornano disponibili nelle biblioteche, la lista degli autori proibiti dal Glavlit si contrae da più di 3.000 nomi a meno di 700. Viene pubblicato (col via libera dello stesso Kruscev) Una giornata di Ivan Denisovic (Odin den’ I.D.) di Aleksandr Solzenicyn: la prima povest’ che descrive la vita quotidiana in un campo di reclusione. In tanti sperano che esso segni il punto di partenza per un nuovo e più deciso slancio democratico, ma le cose stanno all’opposto. Kruscev non ha più alcun interesse a proseguire la campagna per la destalinizzazione e né lui o la sua cerchia sono capaci di pensare un modello alternativo di società e di organizzazione dello Stato. Nell’ottobre del 1964 Kruscev viene rimosso dalla carica. Con la salita al potere di Breznev e del suo gruppo, la cultura viene sostanzialmente abbandonata a se stessa. Breznev e i suoi sono sempre più spesso inclini a delegare al normale potere giudiziario la gestione dei conflitti più pericolosi. Già nel marzo 1964 si era svolto il processo contro Iosif Brodskij, ma allora il reato imputato non era politico, bensì quello comune di “parassitismo”. Nel settembre dell’anno successivo Brodskij viene liberato, ma a Solzenicyn viene sequestrato l’archivio e finiscono sotto processo il traduttore Julij Daniel’ e lo storico della letteratura e critico Andrej Sinjaviskij, accusati di pubblicazione di opere sovversive all’estero in tamizdat. Il 1968 è l’anno della Primavera di Praga e della sua repressione, col Disgelo definitivamente finito: i dissidenti e la cultura underground se ne vanno per le loro strade, tutti ormai in diretta opposizione al sistema ma molto differenziati anche al proprio interno. Aleksandr Solzenicyn (1918-2008) Con alle spalle l’esperienza della guerra e otto anni di gulag, quello che allora sembrava dover diventare il fiore all’occhiello del disgelo krusceviano entra nella letteratura russa già interamente formato sia dal punto di vista ideologico che stilistico. Una giornata di Ivan Denisovic e La casa di Matrena (Matrenin dvor, 1963), entrambe scritte nel 1959, rimangono le sue povest’ meglio riuscite. Rovesciano la concezione espressa e celebrata: non nell’impresa bellica, ma nella resistenza quotidiana alla coercizione e nell’istintivo servire il proprio prossimo si esprime il vero spirito popolare, che conserva intatta la propria vitalità ed è pronto a emergere da sotto la crosta del sistema sovietico. L’affinità con Solochov non riguarda solo la scelta della forma-povest’: tradizionalista e spiritualista nella visione del mondo, come scrittore Solzenicyn è pur figlio del suo tempo, da ventenne provinciale ha frequentato i corsi per corrispondenza dell’IFLI di Mosca e ha introiettato profondamente la concezione socialrealista della letteratura come militanza. Si tratta di un realismo socialista alla rovescia: tale impostazione è evidente nel primo romanzo di Solzenicyn, Il primo cerchio. Qui i protagonisti, due scienziati reclusi, si trovano a dover scegliere se collaborare col regime nella risoluzione di un caso spionistico o rassegnarsi a venir spinti in zone più atroci dell’inferno del Gulag. Divisione cancro (Rakovyj korpus, 1963-67) si avvicina maggiormente a un romanzo psicologico. Epopea in quattro cicli La ruota rossa (Krasnoe koleso, 1971-87) è dedicata alla dinamica degli eventi storici in Russia dallo scoppio della Prima guerra mondiale alla rivoluzione bolscevica. Il principio del pastiche fra cronaca documentaria, confessione autobiografica e invettiva ideologica funziona alla perfezione nell’Arcipelago Gulag (Archipelag Gulag, 1958-68), privo di elementi di fiction ma senza dubbio una delle opere cruciali della cultura russa del Novecento. Non a caso lo stesso Solzenicyn definisce il genere del proprio capolavoro “saggio di ricerca scientifica condotta col metodo dell’arte”. Vera e propria enciclopedia dei crimini sovietici, l’Arcipelago Gulag dà conto delle repressioni di massa, dello strutturarsi dello specifico meccanismo dei processi politici, delle diverse istanze punitive e dei loro metodi, delle isole grandi e piccole e dei porti dell’arcipelago concentrazionario, nonché della variegata umanità che vi transita; a cementare il tutto è l’onnipresente voce narrante. In nome di questa totalizzante militanza anticomunista, incassato il Nobel nel 1970, negli anni seguenti Solzenicyn prenderà coerentemente posizione a favore dell’intervento americano in Vietnam e del colpo di Stato del generale Pinochet in Cile. Al pathos enciclopedico di Arcipelago Gulag si contrappone l’approccio intensivo, quasi esistenzialista, nell’altra grande opera del periodo dedicata all’universo concentrazionario sovietico: i Racconti della Kolyma (Kolymskie rasskazy) composti da Varlam Salamov (1907- 1982) nel corso degli anni Sessanta; vedono parzialmente la luce negli anni successivi, fino all’edizione londinese del 1978. Salamov è polemico nei confronti di un Solzenicyn che, secondo lui, se l’era cavata con poco; non predica, non esorta, non scaglia invettive: il mondo della Kolyma è chiuso in se stesso, la vita normale è finita, non esiste. Se è tipica di Solzenicyn la visione panoramica, complessiva, Salamov predilige la tecnica del dettaglio evocativo. Capitolo 7 – I lunghi anni settanta (1968-86) Intesi come epoca della stagnazione brezneviana (Zastoj), in Unione Sovietica gli anni settanta durano quasi un ventennio: dalla repressione della Primavera di Praga (1968) all’avvio della perestrojka gorbaceviana (1986). Non significano solo ristagno economico e perdita di appeal internazionale, ma è un periodo di relativa stabilità e welfare diffuso nella storia sovietica. Con la nuova parola d’ordine del “socialismo sviluppato” s’intende che ci si accontenta di un qui e ora tutto sommato accettabile per la maggioranza della popolazione. Questi anni offrono un panorama letterario assai variegato, anche grazie all’ormai fiorente e ramificato circuito del samizdat/tamizdat. Al circuito editoriale del tamizdat già esistente di affiancano nuovi media: prima fra tutte la casa editrice Ardis, attiva negli Stati Uniti dal 1971 e capace di pubblicare autori scomodi (Limonov, Brodskij, Dovlatov) senza irritare troppo i sovietici. Con la fine della contraddittoria esperienza del Disgelo, era comunque chiaro a tutti come fosse giunta al termine la stagione del diretto impegno civile degli intellettuali, e gli scrittori si trovavano a dover scegliere fra le seguenti opzioni: il catastrofismo apocalittico, proiettato ora in un futuro fantascientifico (i fratelli Strugackij), oppure elevato a metafora totalizzante del mondo moderno (Venedikt Erofeev). Venedikt Erofeev L’opera maggiore dell’intero lungo decennio è già pronta nel 1969: il poema in prosa Mosca- Petuski, pubblicato per la prima volta in Israele nel 1973, di Venedikt Erofeev (1938-1990). Odissea di un barbone alcolizzato in viaggio ferroviario da Mosca al non lontano sobborgo eponimo, Mosca-Petuski è tanto povera di trama quanto ricca di riferimenti al caos che cova sotto l’apparente ordine tardo-sovietico: un popolo disumanizzato, una società frantumata e imponente, ridotta al compulsivo consumo di alcol in forme bislacche e fantasiose. Il povest’ si può leggere come una metafora totale dell’esperimento sovietico: chi obnubilato della vodka/ideologia vagheggiava la Città del Sole è stato ricacciato nella palude da una nemesi divina. Al caos fa da contrappunto la saturazione di assai eterogenei rimandi intertestuali: da una parte il piano elevato, metafisico delle Sacre Scritture (i Vangeli, il Cantico dei cantici, il Salterio), e dall’altra i clichés della propaganda sovietica corrente, e citazioni desunte dalla crestomazia socialrealista anni trenta-quaranta. A tenere insieme questo è la voce del protagonista-narratore Venicka, con un monologo frammentario e multivettoriale modellato sul dostoevskiano Uomo del sottosuolo. Mentre l’elemento strutturale che permettere di fondere il piano religioso-metafisico con quello quotidiano e degradato è il tema dell’alcol, “generatore di imprevedibilità” come lo è la Zona nel film Stalker di Andrej Tarkovskij. L’ebrezza è interpretata come esecuzione, morte, crocifissione. Il tornar sobrio è la resurrezione. Dopo la resurrezione inizia la vita come progressivo ubriacarsi che conduce infine a una nuova esecuzione. Il comico si va progressivamente rarefacendo, per scomparire dalla metà del capitolo Voinovo-Usad: il clima si fa sempre più allucinato. Gli angeli abbandonano il protagonista, tornato in una Mosca deserta e malefica e cacciato come una preda da quattro persecutori che alludono ai quattro soldati che crocifiggono Cristo, ma anche ai cavalieri dell’apocalisse e ai quattro profili effigiati sulle bandiere: Marx, Engels, Lenin, Stalin. I vati del postmodernismo russo hanno retrospettivamente eletto il poema di Erofeev a proprio antesignano; eppure Mosca-Petuski mantiene insita una concezione profondamente tradizionale per tutta la letteratura russa, del sistema di valori non solo di ordine estetico, ma etico, e dà per scontata una sua condivisione da parte del lettore. Nella sua intertestualità e nel procedere per Leitmotive, nella divaricazione estrema fra alto e basso, nel frammentarismo e nel ritmo associativo della visione e del sogno, il poema in prosa non vuole affatto aprire una nuova poetica, ma porta all’estremo quanto già si dava in classici dei cicli precedenti. Capitolo 8 – La letteratura contemporanea La perestrojka Cresce il divario tecnologico con un Occidente in piena rivoluzione informatica, la produttività delle imprese ristagna, il paese è sempre più dipendente dalle importazioni di prodotti di consumo pagate con la vendita di gas e petrolio, aumentano le spese militari, domina la gerontocrazia a tutti i livelli del potere, il conflitto afghano è un buco nero che inghiotte vite, capitali e prestigio internazionale. Al plenum del Comitato centrale del partito dell’aprile 1985, il neoeletto segretario Michail Gorbacev lancia la campagna per il perfezionamento del socialismo. Quanto al panorama letterario, l’attenzione è tutta per le riabilitazioni postume e per le prime, timide denunce di quello che allora veniva definito il sistema di comando amministrativo. L’evoluzione letteraria immanente si sta bloccando. Il prezzo del petrolio sta cadendo in picchiata, la ridotta possibilità di importare merci dall’estero riduce i consumi della popolazione, e la catastrofe di Cernobyl’ (aprile 1986) assesta un duro colpo alla credibilità del sistema. Gorbacev nel gennaio 1987 proclama la glasnost’ (trasparenza): la censura inizia a mollare inesorabilmente la presa e si ampliano gli spazi di manovra per i gruppi dissidenti. Vengono introdotte le prime forme di economia di mercato. Iniziano tanto una cauta democratizzazione delle strutture del partito e dello Stato, quanto i primi tentativi di convergenza verso l’Occidente. Gorbacev redige il cosiddetto Nuovo pensiero, assai nebulosa miscela di pacifismo, umanesimo e sviluppo sostenibile. Il 1987 segna un’ennesima svolta. L’ideologia comunista funziona ancora a pieno regime, ma nelle riviste culturali in vertiginosa scalata di tirature dilaga la riabilitazione di nomi e opere: da Brodskij a Trockij e Bucharin. Il diluvio di testi provenienti dai contesti storico-letterari più diversi ha eliminato il contesto temporale nostro proprio e allo stesso tempo anche il piano storico, dove fosse possibile inserirla in questa o quella serie evolutiva. Nel 1988 si acuisce il caos economico, e la crisi politica genera le prime tendenze separatiste. Il caos regna anche nella