Scarica Riassunto di storia terza superiore e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! DECLINO E CADUTA DELL’IMPERO ROMANO SITUAZIONE INIZIALE A partire dal III secolo L’impero romano è in grave crisi; nascono nuove epidemie e popoli minacciosi tentano di penetrare il confine: • Il vaiolo ridusse la popolazione, diffondendosi ovunque; • Il territorio dell’impero subì molteplici attacchi: da est facevano pressione i Sassonidi, da nord le tribù germaniche Crisi del terzo secolo DIOCLEZIANO E COSTANTINO A partire dal IV secolo questi due imperatori riuscirono a risollevare la sorte dell’impero. Diocleziano (284-305 d.C.) lanciò una feroce persecuzione contro il cristianesimo, giustificato dal fatto che i cristiani non adoravano le divinità protettrici dell’impero. Tuttavia la nuova fede si era radicata talmente tanto, che non poteva più essere estirpata. Punto di svolta = COSTANTINO Nel 313 d.C. cioè l’editto di Milano, l’imperatore Costantino pose fine a tutte le persecuzioni, legittimando il cristianesimo come religione. Più avanti, nel 380 d.C. con l’editto di Tessalonica, emanato dall’imperatore Teodosio, la fede cristiana divenne religione di stato. 476 d.C. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTEA Causa di un cambiamento climatico che inardì i pascoli, gli Unni, che erano un popolo nomade, che viveva di pastorizia e allevamento, furono costretti a spostarsi. Essi cominciarono a varcare il fiume Volga, trascinandosi anche i Visigoti, i quali nel 376, varcarono il Danubio, si stabilirono nell’impero, minacciando Costantinopoli. Ciò condusse, nel 395, l’Imperatore Teodosio a dividere l’impero in due parti, affidandone il governo ai suoi due figli, Onorio e Arcadio. Al primo fu assegnato l’Occidente con capitale a Milano ( e poi Ravenna) e al secondo fu affidato l’ Oriente con capitale a Bisanzio/ Costantinopoli. Roma fu saccheggiata per ben due volte: dai Visigoti; nel 410 d.C.; e dai Vandali nel 455 d.C.. Durante questi anni l’impero romano aveva perso anche il suo dominio in Africa e in Gallia (406 d.C.) a causa dell’irruzione dei Vandali. Ciò aveva determinato una grande perdita economica, poiché l’Africa era la principale produttrice di grano di tutto l’Occidente. DIVISONE DELL’IMPERO Odoacre (generale delle truppe germaniche) sferrò un colpo di stato militare a Ravenna nel 476 d.C. con il quale depose il giovane imperatore; Romolo Augustolo. Tuttavia Odoacre non assunse il titolo di imperatore, ma consegnò le insegne imperiali a Zenone, sovrano d’Oriente. Fino all’800, ossia all’incoronazione di Carlo Magno, non ci fu un’autorità imperiale in Oriente. A Costantinopoli l’impero romano sopravvisse fino al 1453, quando la città fu conquista dai Turchi. In occidente si crearono due gruppi etnici, romani e germanici, che non si fusero quasi mai, soprattutto a livello giuridico, in quanto ciascuno obbediva alle proprie leggi. In questo modo il contadino rinunciava ad essere padrone delle proprie terre, che cedeva al latifondista; questi permetteva al contadino di continuare a coltivare il suo vecchio campo, ma solo in qualità di affittuario. Questi contadini, chiamati accomandati, si aggiunsero agli schiavi. In tal modo venne a crearsi la signoria, perché caratterizzata dal rapporto di dipendenza che legava i lavoratori della terra al signore della terra stessa. Il numero degli schiavi diminuì nel corso del medioevo, ma la maggior parte dei lavoratori liberi finì per trasformarsi in mano d’opera servile o semi-servile. Per indicare questa nuova situazione, in cui la differenza tra contadini liberi e schaivi si stava riducendo si usa il termine servitù della gleba. La libertà di movimento era il primo dei diritti di cui il servo era completamente privo. IL NUOVO ASSETTO POLITICO DELL’OCIDENTE LA FINE DEL RENGO LONGOBARDO SITUAZIONE INIZIALE Dopo il 568 i territori della penisola italiana furono divisi tra longobardi e bizantini. Gli arabi avevano sottratto a Costantinopoli tutti i possedimenti in Africa e in Asia. L’Impero bizantino non riuscì più a difendersi e dovette abbandonare l’Italia, rinunciando definitivamente a combattere contro i Longobardi. Il papato a Roma trovò un nuovo alleato nel regno dei franchi. Carlo Martello nel 732 respinse a Poiters un incursione dei musulmani di Spagna. La nuova alleanza fra il papato e il regno franco fu conclusa nel 751, quando Pipino il Breve, figlio di Carlo Mango, decise di prendere con la forza il titolo regale. In quel periodo la situazione politica dei franchi era piuttosto confusa, poiché i sovrani ufficiali non esercitavano alcun potere effettivo, detenuto invece dai maggiordomi di palazzo, cioè funzionari incaricati di amministrare il palazzo reale. Pipino il Breve si rivolse a Papa Zaccaria per ricevere il consenso; quest’ultimo accolse il principio secondo cui il titolo regale spettasse di diritto a colui che esercitava effettivamente il potere. Pipino fu consacrato al nuovo potere regale tramite l’unzione con l’olio e questo atto lo trasformerà in una figura sacra che riceveva il suo potere da Dio. Il sovrano non doveva più rendere conto del proprio operato al popolo, ma solo a Dio. PIPINO, ZACCARIA E CARLO Nel 754 Papa Zaccaria si recò in Francia per chiedere a Pipino il suo aiuto militare. Il sovrano venne unto per la seconda volta, ma in questo caso il rito fu compiuto dal papa in persona, che poi lo ripeté su due figli di Pipino, Carlo e Carlomanno. Tutti e tre ricevettero il titolo di «patrizio dei romani» cioè protettori della città e difensori della chiesa di Roma. In cambio del suo riconoscimento, Zaccaria ottenne la promessa dell’appoggio militare franco contro i longobardi. Pipino intervenne in Italia per ben due volte e costrinse Astolfo (re dei longobardi) a lasciare Ravenna e altri territori, che tuttavia non tornarono all’imperatore di Costantinopoli, ma furono assegnati al papa e alla chiesa di Roma. Si trattò di una donazione che Pipino offrì al papa, o meglio a San Pietro e ai suoi successori. CARLO, RE DEI FRANCHI Nel 757, alla morte di Astolfo, Desiderio divenne re dei longobardi, il quale, approfittando della morte di Pipino e dell’eredità tra i suoi figli, provocò i franchi per la conquista del trono. Egli fece sposare sua figlia con Carlo. Inizialmente il quadro sembrava vantaggioso ma cambiò bruscamente nel 771 con la morte di Carlomanno. Da momento che non aveva più bisogno del sostengo longobardo, Carlo ripudiò la principessa longobarda. Nel 773 Desiderio decise di attaccare Roma ma Papa Adriano I invocò l’aiuto di Carlo che sconfisse i longobardi, catturando il re e le figlie nelle mani di Carlo. Sempre nel 774 prima ancora che Pavia cadesse nelle mani di Carlo, il sovrano franco effettuerà una solenne donazione dei territori al pontefice Adriano I, che proseguì la linea di Papa Zaccaria. Questi territori furono denominanti patrimonio di San Pietro, ma poi assunsero il nome di Stato della Chiesa. L’IMPERO DI OTTONE E LA SACRALITA’ DEL POTERE SITUAZIONE INIZIALE L’Europa è in balia dei nuovi invasori: normanni, ungari, e mussulmani terrorizzano le popolazioni del continente senza che nessuno riesca a fermarli. Sul finire del X secolo un nuovo tentativo di unità imperiale viene da Ottone I. L’impero è molto diverso da quello di Carlo: si estende su Germania e Italia, mentre la Francia ne è esclusa. Inoltre, secondo Ottone I, l’imperatore è il vero capo della Chiesa ed ha il potere di eleggere e deporre il papa. Le autorità periferiche cominciarono ad opporsi ai nuovi barbari, imponendo la propria supremazia e facendo costruire castelli e varie fortificazioni difensive. Sia in Francia che in Germania il potere centrale fu affidato ai signori locali, che organizzarono la resistenza contro gli invasori ungari e normanni. OTTONE E UGO CAPETO In Germania fu il duca di Sassonia Ottone a compiere la scalata al potere. Eletto, nel 936, re dei Teutoni (tedeschi), riuscì nel 951 a sottomettere anche l’Italia settentrionale. Nel 962 Ottone riuscì ad ottenere il titolo imperiale: nasce così il Sacro romano impero germanico. In Francia, invece, i discendenti di Carlo Magno regnarono fino al 987, quando re Ugo Capeto, discendente della stirpe di conti, salì al potere. La nuova dinastia regnò fino al XIV secolo. Ottone I si considero il vero capo supremo della Chiesa, rivendicando il diritto di eleggere e di deporre i pontefici. Fino alla metà del secolo XI si verificò una completa dipendenza del potere spirituale da quello temporale, cioè la subordinazione del papa all’imperatore. Ottone credeva di aver ricevuto il compito da Dio di garantire la pace, assicurare la giustizia e difendere i cristiani da tutti i nemici. A ciò si aggiungeva anche il compito di garantire alla comunità dei credenti, guide degne del loro delicato ruolo di ministri del culto. Sotto questo aspetto il sovrano tedesco si presentava come uno strumento divino, cioè una figura sacra, più simile ad un vescovo che ad un capo di stato. Egli credeva di aver il compito di guidare i cristiani verso il paradiso. Inoltre, per contrastare la potenza dei grandi signori laici, Ottone iniziò ad investire i vescovi del titolo e dei poteri di conte, per governare nelle regioni sotto il suo dominio. Egli non solo sceglieva i candidati alla carica del vescovo, ma procedeva personalmente alla loro consacrazione, consegnando loro l’anello e il pastorale. IL RE TAUMATURCHI IN FRANCIA In Francia il consolidamento del potere fu molto diverso, poiché vigeva una credenza secondo la quale il re di Francia, in virtù della sua consacrazione, che lo trasformava ne vicario di Dio in terra, era capace di operare delle guarigioni miracolose. Tale credenza cessò di esistere con la rivoluzione del 1789. IL POTERE DELLA VIOLENZA LA SOCIETA’ DEI TRE ORDINI I cavalieri, in tempo di pace, agivano in modo violento contro i contadini e le proprietà della chiesa, per procurarsi le risorse necessarie al loro mantenimento. In Gallia molti vescovi si assunsero il compito di fermare tali violenze. Era un elemento di assoluta novità in quanto i vescovi, così facendo, entravano nella sfera del potere temporale di competenza del re e dei signori locali. I vescovi della Francia iniziarono a convocare grandi assemblee, nel corso delle quali obbligavano i cavalieri a prestare giuramenti solenni e vincolanti: chi avesse violato l’impegno preso sarebbe stato punito con la dannazione eterna. Ai guerrieri fu imposto di risparmiare le chiese e i contadini e i mercanti. Questi divieti venivano denominati «la pace di Dio». Tuttavia «la pace di Dio» non fu in grado di fermare le contese e le guerre fra i signori. Tuttavia questo esperimento temporale da parte dei vescovi fu molto importante dal punto di vista storico, perché pose il clero sullo stesso piano del re, presentandolo come arbitro supremo della vita politica. Il popolo cristiano, per rispondere ella volontà di Dio avrebbe dovuto articolarsi in tre ordini: coloro che pregano, coloro che combattono e coloro che lavorano. Tale modello fu elaborato da due ecclesiastici francesi, che non approvavano il movimento della pace di Dio. A loro giudizio, solo il re aveva il compito e il dovere di garantire la pace. Nel 1054 si arrivò ad u vero e proprio scisma, cioè ad una separazione delle due chiese. A livello dottrinale non ci furono grandi differenze, ma il contrasto riguardava solo l’organizzazione, che assunsero nomi differenti: chiesa ortodossa (Bisanzio) guidata dal patriarca di Costantinopoli e la chiesa cattolica (guidata dal papa) LA RIVOLUZIONE DEL PAPA SITUAZIONE DI PARTENZA Ottone I (X secolo) vuole controllare l’operato del papa perché il pontefice è subordinato all’imperatore. SITUAZIONE DI ARRIVO Nel 1075 Papa Gregorio VII emana un documento, il Dictatus Papae, in cui teorizza la supremazia del pontefice sugli altri vescovi e sui sovrani (compreso l’imperatore). A partire dal XI secolo ci fu una rivoluzione pontificia, che investì il rapporto con l’impero. Nel 1059 papa Nicolò II emanò un documento ufficiale (bolla) ne quale precisava che l’elezione del vescovo di Roma era riservata ai cardinali, cioè a quei membri del clero che guidavano le chiese. Con tale decreto venivano esclusi gli imperatori dalla sfera decisionale. L’anno seguente iniziò la così detta lotta per le investiture, ossia l’atto con cui l’imperatore conferiva ad un vassallo un feudo o una carica pubblica. Nel 1060 Nicolo II condannò la pratica dell’investitura dei vescovi da parte dei sovrani. Tale investitura era stata estesa a partire dal X secolo con Ottone I, il quale decise di ampliarla ad un grande numero di vescovi. In realtà Niccolò II voleva condannare la pratica della simonia con cui un membro del clero versava una somma di denaro all’imperatore, in cambio del titolo di vescovo-conte. In altre parole il pontefice negava ai laici la facoltà di amministrare i sacramenti della chiesa. L’elemento rivoluzionario nel decreto di Niccolò II consisteva nel fatto che rifiutava completamente il carattere sacro della monarchia. I re non sono dei sacerdoti e nemmeno dei vescovi: il rito dell’unzione non mutava la condizione dei laici, che non erano autorizzati a compiere un rito sacramentale. UMILIAZIONE DI CANOSSA nel 1077 a Canossa Enrico IV fu costretto ad umiliarsi pubblicamente, davanti a Matilde, la contessa Toscana, chiedendo perdono al pontefice e il ritiro della scomunica, per evitare la rivolta dei suoi feudatari. Tuttavia, dopo questa pace apparente, si verificavano episodi violenti. Roma fu occupata dall'imperatore e fu creato un antipapa, dopo che Enrico quarto era stato scomunicato una seconda volta. Gregorio VII, dopo essere stato imprigionato e poi liberato , morirà nel 1085. CONCORDATO DI WORMS La lotta per le investiture si concluse con il concordato di Worms, col quale Enrico V rinunciò all'investitura dei vescovi e degli abati, con la consegna dell'anello e del pastorale. MATILDE CONTRO ENRICO Matilde fu accusata di aver distrutto l'impero. Alla fine però fu celebrata dai suoi sostenitori con un esempio di coraggio, come l’incarnazione del vero principe cristiano. Nel 1081 Gregorio VII inaugurò una nuova polemica nei riguardi della sacralità del potere del re, affermando che il sovrano è un semplice laico ed è dunque impuro e indegno. Nella lettera che è Gregorio VII inviò al vescovo di Metz, emerse un'immagine negativa del potere del re, che veniva posto addirittura sotto la tutela dell'autorità del papa. LA CROCIATA SITUAZIONE DI PARTENZA Alla metà dell’XI secolo; in territori dell’Asia Minore erano bizantini. SITUAZIONE DI ARRIVO A partire dal 1050; i turchi, una popolazione nomade che viveva in Asia Centrale, prima conquistano l'impero e poi sconfiggono i bizantini. L'espansione dei turchi in Oriente interessò anche Gerusalemme 1078, dove si recavano numerosi cristiani per pellegrinare. Ma prima di raggiungere Il luogo sacro, l'esercito bizantino tentò di frenare la loro avanzata, quando conquistarono l'Armenia. Tuttavia nel 1071 l'esercito bizantino subì una disfatta nella battaglia Manzikert. I bizantini reagirono sono del 1081, quando capirono che i turchi non avevano costituito un solido stato centralizzato e politicamente ben organizzato, ma erano divisi in numerosi principati di varia grandezza. In altre parole il loro fronte non era compatto. Per questa ragione l'imperatore bizantino chiese al Papa di mediare con i turchi, mettendo a disposizione un contingente di cavalieri. Il papa accettò, sperando di ricucire lo scisma con la chiesa greca, apertosi nel 1054. Così Papa Urbano II lanciò alla cristianità latina una sorta di appello alla mobilitazione generale contro i Turchi, con l’obiettivo di reclutare un grande esercito. IL DISCORSO DI URBANO II Papa Urbano II il 27 Novembre del 1095 tenne un discorso, di cui non c’è più traccia, ma si sono diffuse circa quattro redazioni. La più attendibile e quella del Fulcherio di Chartres la quale riportava che Papa Urbano II aveva esortato i cristiani dell’Occidente latino a portare aiuto ai loro fratelli, greci, d’oriente. Non viene riportata alcuna menzione a Gerusalemme. URBANO II Urbano II era convinto un sostenitore delle idee di Gregorio VII; chiamare i cavalieri cristiani a combattere i musulmani, significava proclamare che il pontefice era la guida anche politica e militare della cristianità. Partire per la terra Santa significava sottostare alla volontà del pontefice e per questo nessun principe si mosse dalla Germania. PELLEGRINAGGIO ARMATO Tutti i recenti studi tento un ad affermare che la spedizione di Papa Urbano secondo sia stata concepita in origine come un pellegrinaggio armato. Cioè è testimoniato dal fatto che i cavalieri latini fossero contrassegnati da una croce di stoffa sul petto. Da qui deriva il termine «crociati». INNOVAZIONI AGRICOLE E CRESCITA DEMOGRAFICA Tra il 1200/1300, nonostante la crescita demografica esponenziale, non si verificarono carestie, poiché furono introdotti nuovi strumenti che sostenevano la crescita dei propri abitanti. Uno dei fattori che contribuì a tale crescita fu il dissodamento di terre nuove cioè la lavorazione di nuovi apprezzamenti che furono utilizzati per coltivare cereali e prodotti alimentari. Si crearono vere e proprie imprese dove si investiva un capitale e si chiedeva una mobilitazione massiccia da parte dei contadini, che dovevano trasferirsi sulle proprietà dei signori o degli abati. In alcune regioni d’Europa le terre furono dissodate direttamente dai monaci: in Francia fu creato l’ordine dei cistercensi, ossia monaci che pregavano e lavoravano CLIMA, ARATO E ROTAZIONE TRIENNALE Tra i fattori determinanti si annovera anche il clima. Nell’anno 1000 le temperature salirono di un grado centigrado. Una simile variazione garantiva l’assenza di gelate precoci (in autunno) o tardive (in marzo), che avrebbero potuto provocare la perdita del raccolto. Le estati erano più lunghe e più calde. Inoltre l’agricoltura fu ottimizzata grazie al supporto di altre innovazioni. La più significativa fu l’aratro in ferro molto pesante, ma dotato di ruote che ne agevolavano la maneggevolezza. Il problema della pesantezza fu risolto da un nuovo tipo di collare, che venne montato sulle spalle dell’animale, permettendo l’utilizzo del cavallo nel lavoro dei campi. Il nuovo collare a spalla migliorò la respirazione del cavallo, garantendo un eccezionale salto di qualità. Infine, in alcune regioni europee, fu introdotto un diverso sistema di rotazione delle culture nei campi, che venne chiamato sistema di rotazione triennale. Il campo veniva diviso in tre porzioni: una era lasciata a riposo ogni anno, una era destinata al frumento e l’altra all’avena e ai legumi. In questo modo l’aumento del raccolto era garantito e potevano beneficiare sia gli esseri umani che gli animali. I COMUNI IN ITALIA L’EVOLUZIONE POLITICA DEI COMUNI IN ITALIA Durante l’Alto Medioevo le città poco popolate erano amministrate da vescovi o da signori feudali. Tra l’XI secolo e il XVIII secolo le città italiane settentrionali conoscono l’esperienza dei comuni, ossia alleanze tra cittadini. I comuni non fiorirono in Italia meridionale perché il regno normanno era piuttosto solido. Le alleanze tra i cittadini implicavano anche fedeltà militare. In un primo momento furono istituiti i consoli, affiancati da un consiglio esercitava il potere legislativo. Successivamente il comune frenò il proprio esercito addestrato a combattere, obbligando i signori feudali a trasferirsi nelle città. Tutti i comuni italiani furono caratterizzati da una violenta lotta politica per il controllo del potere. In tali circostanze era richiesto l’intervento del podestà, che andava a sostituire i consoli. Il podestà doveva essere imparziale e per questo era scelto fuori dalla città. Il suo potere durava un anno. FAZIONI IN LOTTA Siccome spesso il podestà non era in grado di sedare le lotte tra le fazioni, veniva organizzato, al suo fianco un comune del popolo, espressione di tutti i mestieri esercitati dal popolo. Questo organismo conquisto il potere in tutti i centri urbani più importanti, discriminando i nobili che non potevano più accedere alle cariche pubbliche. Tuttavia il popolo non era un’entità omogenea ma si articolava in popolo crasso e popolo minuto, ossia grandi mercanti e piccoli artigiani. Gli artigiani lavoravano al servizio dei mercanti e spesso, per appianare gli scontri, veniva nominato un signore che finiva per imporre la propria autorità assoluta. UOMINI E DONNE IN CERCA DI DIO Verso la metà del XII secolo grazie ad una capillare diffusione della lettura e della scrittura, alcuni fedeli cominciarono a criticare il clero per l'eccessiva ricchezza di cui si circondavano, mentre altri iniziavano a negare addirittura i Dogmi tradizionali. Senza dubbio la figura di spicco fu San Bernardo Il quale a 22 anni entrò nell’abbazia di Citeaux, fondata dai monaci benedettini i quali condannavano lo sfarzo delle chiese . Nacquero alcuni movimenti ereticali che gettarono la chiesa in una profonda crisi. Parallelamente si profilò la figura del lebbroso, considerato il peccatore per eccellenza, espulso dal mondo perché odiato e disprezzato da Dio stesso. Anzi si può affermare che la crisi della religiosità abbia avuto origine qui. Verso il XII secolo la moltitudine di lebbrosi (individui poveri, malati e disperati) era notevole. Tutta la diffusione della professione mercantile favorì l'aumento del numero degli alfabeti. Ciò rese possibile ai cristiani, leggere il Vangelo e riflettere sulla misericordia Di Gesù verso i più deboli e sulla sua umiltà, che sì discostava dal lusso dei vescovi. Pietro Valdo fu un mercante che si spogliò dei suoi beni e cominciò a mendicare. Ebbe un certo seguito tanto da formare un vero e proprio movimento, «i Valdesi». Nel 1184 fu scomunicato e dichiarato eretico insieme ai suoi compagni. Con il tempo i Valdesi respinsero quasi tutti i sacramenti, ritenendo valido solo il battesimo e l’eucarestia. Rimase però solo una minoranza senza diffondersi largamente. Una sorte ben diversa ebbero invece i «cartari» , che si imposero nella Francia del sud, dove si parlava la lingua d’oc. Essi furono screditati e calunniati dalla chiesa che addirittura li accusò di praticare l’Endura ossia un orribile rito che consisteva in una sorta di suicidio assistito, in cui l’individuo si lasciava morire di fame. I Cartari sostenevano che in un mondo dove vige tanta sofferenza non poteva essere opera di Dio, ma di Satana. Secondo i Cartari Dio aveva creato solo l’anima mentre satana aveva creato i corpi. Essi per questo rifiutavano l’Antico Testamento, sostenendo che il padre di Gesù non aveva a che fare nulla con la divinità, che, secondo la genesi, aveva creato il cielo e la terra. Ad un certo punto essi ipotizzarono che per salvare le anime intrappolate nei corpi, Cristo le sottoponeva ad un rito chiamato «consolamentum». CONSOLAMENTUM I Cartari sostenevano che Dio avesse inviato Cristo sulla terra sotto forma di un corpo non reale e pertanto non aveva realmente patito la sofferenza sulla croce. Egli era sceso sulla terra per salvare le anime non per mezzo della sua passione ma attraverso l’insegnamento capace di riportare le anime in cielo, sfuggendo al perpetuo ciclo di reincarnazioni voluto da Satana. Gli uomini si sottoponevano a questo rito che consisteva nell’imposizione delle mani e nel porre il vangelo sopra il capo di un cristiano che voleva convertirsi. Da questo momento in poi il Cartaro si impegnava a non esercitare più la sessualità, a non mangiare più carne e non giurare più. Pur disprezzando il lusso, i cartari non rifiutavano né il denaro né il profitto. Tutti i buoni cristiani dovevano lavorare per mantenersi. Le case dei buoni cristiani erano inserite nelle città, quindi non erano socialmente isolate. Con il tempo il Catarismo creò una struttura organizzativa impeccabile dividendo il territorio della Francia in diocesi. Tutto ciò naturalmente fu reso possibile dalla tolleranza dei signori feudali. I CARTARI La chiesa romana, spaventata dalla risonanza del Catarismo in tutta Europa, con l’aiuto di Innocenzo III, bandì una vera e propria crociata contro i Catari, definiti Albigesi perché erano numerosi nella città provenzale di Albi. Il papa sosteneva che i beni degli eretici fossero da considerare prede di guerra e che chiunque fosse morto in battaglia, sarebbe andato in paradiso. Furono compiuti molti massacri, ma il catarismo sembrava più forte di prima, nonostante si trascinò molte vittime. obbedienza non era considerato un crimine, ma solo legittima difesa. Il 15 giugno 1215 i sovrani inglesi obbligarono Giovanni a firmare e concedere la cosiddetta “Magna Charta Libertatum”, con cui si limitava il potere del sovrano e si tutelavano i diritti dei cittadini. Ad esempio al sovrano fu vietato di imprigionare qualsiasi uomo libero, senza aver istituito prima un regolare processo. Il paragrafo 61 (detto clausola di sicurezza della pace) sanciva la creazione di una commissione dei 25 baroni incaricati di sorvegliare il comportamento del re. Dopo l’approvazione di questo documento, l’autorità del re cominciò ad affievolirsi, tanto che i rapporti tra il re e i suoi subordinati poggiavano solo su una base contrattuale. LE BASI PER LA NASCITA DEL PARLAMENTO INGLESE La Magna Charta gettò le basi della nascita del Parlamento inglese, infatti gli articoli 12 e 14, che vietano al re di esigere tributi superiori a quelli pattuiti, ne costituiscono le fondamenta. Anche il gruppo di 15 baroni, che successivamente, con Enrico III, rivendicò un potere più ampio a fianco del re, può essere considerato il primo nucleo della cosiddetta Camera dei Lords. Le origini della Camera dei Comuni sono riconducibili invece all’assemblea convocata a Westminster da Edoardo I qualche anno dopo, nel 1275. In una di quelle assemblee fu sancito un principio secondo il quale il re non poteva introdurre nuove tasse senza il consenso dei rappresentanti dei sudditi del regno. Il Parlamento stava diventando un vero organo dello stato, a tal punto che anche i vescovi e gli abati scelsero di farne parte. SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE DI ARRIVO NASCITA ED ESPANZIONE DELL’IMPERO MONGOLO Nel XIII Europa e Asia furono investite dall’avanzata dei mongoli Nel 1200 i Mongoli conquistarono un vasto impero che si estendeva dalla Russia all’estremo Oriente fino a conquistare l’impero Cinese Nel XII secolo cominciarono a diffondersi in Europa alcuni documenti che si presentavano come le lettere del prete Gianni destinate ai signori più potenti del mondo cristiano. I cristiani in quel periodo di sentivano minacciati da una controffensiva islamica e, con l’arrivo di questa nuova figura, cominciarono a sentirsi protetti. Il prete Gianni venne visto come un sovrano ricchissimo, ma lontano dalla cupidigia e dalla lussuria, infatti il suo regno si contraddistingueva per virtù, giustizia e rettitudine. LETTERE DEL PRETE GIANNI Negli stessi anni in cui si affermava l’autorità di Federico II, in Asia si impose uno dei più grandi imperi della storia: l’impero mongolo. Gengis Khan (signore assoluto) conquistò gran parte del continente asiatico. Nel 1206 si impose come capo rispettato di tutte le tribù nomadi della steppa. I nomadi abitavano in tende e praticavano l’allevamento dei cavalli, ma erano in gran crescita demografica, per cui le scarse risorse offerte dalla steppa e dall’allevamento equino non erano sufficienti. Tuttavia si trattava di un popolo molto numeroso e dotato di notevole capacità organizzativa, avente un esercito distribuito in gruppi da dieci, cento e mille guerrieri. Ciascuna unità era guidata da un ufficiale responsabile, in una gerarchia al vertice vi era il capo supremo, il Khan. Benché nella società vigesse la poligamia, le donne erano dotate di ampia autonomia e godevano di un notevole rispetto, oltre ad essere coinvolte attivamente nelle operazioni militari. GENGIS KHAN, SIGNORE DEI MONGOLI In ambito religioso Gengis Khan concesse a tutti di professare la propria fede: i suoi sudditi potevano essere buddisti, cristiani, musulmani ecc. Viceversa, il signore oceanico (trad. di Gengis Khan) non tollerò mai resistenze di tipo politico e militare: se un sovrano si sottometteva spontaneamente poteva diventare vassallo. In caso contrario, veniva trucidato e la città veniva rasa al suolo. Nei primi anni del XIII secolo Gengis Khan trovò un ostacolo nella Grande Muraglia, l’imponente sistema di fortificazioni costruito dai cinesi proprio per allontanare i nomadi barbari. Nel 1215 la muraglia fu oltrepassata e Pechino fu conquistata. L’OSTACOLO DELLA GRANDE MURAGLIA NUOVE OPPORTUNITA’ COMMERCIALI Verso la fine del XIII secolo i nuovi signori della Cina abbandonarono la strategia bellicosa, per lasciare posto alla “pax mongolica”, caratterizzata da un clima distensivo che permetteva loro di intraprendere fitti scambi commerciali con l’Europa. In tal modo le carovane potevano tranquillamente percorrere l’Asia e trasportare verso Occidente grandi quantità di seta, di pietre preziose e altre pregiate merci. I mercanti italiani, in particolare i genovesi, capirono che si era aperta una nuova ed eccezionale via commerciale: attraversando tutta l’Asia continentale, da Pechino era possibile arrivare fino al Mar Nero in nove mesi. I genovesi fondarono in Crimea la base di Caffa. DAL MAR NERO ALLA CINA: UN ITINERARIO SICURO Per più di mezzo secolo ci furono intensi traffici commerciali in tutta l’Asia centrale. Insieme alle merci, si diffusero anche i batteri della peste che, nel 1346, si propagò nella base genovese di Caffa e da lì si diffuse in tutta Europa. MARCO POLO ALLA CRORTE DI QUBILAI KHAN Marco Polo, mercante veneziano, insieme al padre e a suo zio, nel 1275 giunse in Oriente e rimase alla corte dell’imperatore Qubilah Khan fino al 1292. Dopo il suo ritorno a Venezia, fu catturato ed imprigionato dai genovesi. In prigione dettò le sue memorie a Rustichello da Pisa che le stese in lingua d’oil ne “Il libro delle meraviglie del mondo”. L’ opera è un riassunto dettagliato del suo viaggio in Cina. Fu tradotto successivamente in volgare toscano con il titolo “Il Milione”. L’espressione derivava dal fatto che la famiglia Polo era nota a Venezia con il nomignolo di Emilione. Altri invece sostengono che il milione indicasse il mondo vastissimo descritto nel libro. LO SCONTRO TRA BONIFACIO VIII E FILIPPO IL BELLO SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO Papa Bonifacio VIII emana la bolla Unam Sanctam (1302) in cui proclama la superiorità papale su quella temporale. Papa Bonifacio VIII e Filippo il Bello si scontrano e la sede papale viene trasferita ad Avignone, in Francia (1309-1377). LA RINUNCIA DI CELESTINO V Bonifacio VIII divenne papa nel 1294, in seguito alle dimissioni da parte di Celestino V (Pietro da Morrone, un santo eremita abruzzese) il quale, essendo privo di esperienza in ambito politico, giuridico ed amministrativo, preferì rinunciare all’incarico, causando un’enorme delusione al popolo. Fu succeduto da Bonifacio VII, noto per la sua risolutezza con cui sosteneva l’assoluta superiorità del papa rispetto ai sovrani temporali. IL PRIMO SCONTRO TRA BONIFACIO VIII E FILIPPO RE DI FRANCIA La situazione in Francia alla fine del Duecento era ben diversa rispetto all’XI secolo, in quanto Filippo IV aveva a disposizione molte risorse finanziare che gli garantivano una schiera di funzionari fidati che obbedivano ai suoi ordini. In una simile prospettiva l’arma della scomunica da parte del papa risultava inefficace. Il primo scontro ebbe luogo in seguito ad una decisione del re di sottoporre a tributo anche i beni della Chiesa, così da reperire più fondi possibili. Il papa replicò con una prima bolla in cui minacciava di scomunicare il re se non avesse ritirato i provvedimenti fiscali nei confronti del clero. Filippo il Bello contrattaccò, vietando l’uscita dal regno di qualsiasi forma di denaro diretta alla chiesa di Roma. Bonifacio VIII fu costretto a lasciar cadere la bolla nel 1296. 1300: ROMA CENTRO DELLA CRISTIANITA’ All’inizio del 1300 si diffuse a Roma la credenza secondo cui chi si riceva a pregare nel primo anno di ogni secolo sulla tomba di San Pietro, poteva procurarsi l’indulgenza plenaria, vale a dire la totale remissione delle pene nell’aldilà. I pellegrini affluirono numerosi, al punto che Bonifacio VIII confermò ufficialmente il 22 febbraio 1300 il primo giubileo della storia della Chiesa. Il Giubileo segnò il trionfo della concezione tripartita dell’aldilà, cioè dell’idea secondo cui esisteva un terzo luogo, il purgatorio, dove le anime subivano delle sofferenze purificatrici, prima di giungere in Paradiso. Roma, in quest’ottica, si mostrò come il vero e fondamentale centro della cristianità latina. MARSILO DA PADOVA E LA CONCEZIONE ASCENDENTE DEL POTERE LA BOLLA D’ORO Nel 1314 Ludovico duca di Baviera (noto come Ludovico il Bavaro) fu proclamato Re dei romani ed entrò subito in conflitto con papa Giovanni XXIII, che non voleva riconoscerlo come imperatore legittimo. Il re accusò il papa di essere l’Anticristo e il collaboratore di Satana, dichiarando formalmente che il suo diritto a governare non proveniva né da Dio, né dal papato, ma solo dal popolo romano. Più tardi un’assemblea di signori dell’impero germanico proclamò che il sovrano doveva essere eletto solo dai principi tedeschi e non aveva bisogno di essere consacrato dal papa. Con la Bolla d’oro, editto emanato nel 1356, l’imperatore Carlo IV dichiarò che l’imperatore non doveva essere consacrato dal papa, ma da sette principi elettori tedeschi. In varie regioni della Germania questi principi erano sovrani di stato autonomi, quindi il potere effettivo non era più detenuto dal sovrano. MARSILO DA PADOVA Nella lotta contro il papa, Ludovico il Bavaro fu appoggiato dal filosofo Marsilio da Padova, che, nel 1324, pubblicò il Defensor pacis, con cui sosteneva che fosse il popolo a delegare il potere nelle mani di chi governava. Secondo Marsilio il potere era un mezzo attraverso il quale un gruppo di persone cerca di rispondere alle proprie esigenze. E la legge rappresenta lo strumento che permette di perseguire il bene della comunità. La legge garantisce alla collettività di vivere in pace. Chi governa, oltre ad applicare le leggi per il bene del popolo, detiene il potere coercitivo, cioè il potere di punire chi va contro l’interesse della collettività. Con Marsilio da Padova si ha una visione coerente della concezione ascendente del potere, secondo la quale i governanti esercitano legittimamente la loro attività solo quando rappresentano il popolo e agiscono in suo nome, in vista del bene comune. Quanto alla Chiesa, Marsilio proponeva che si spogliasse di ogni ricchezza e di qualsiasi potere e inoltre aggiunse che il papato doveva porre fine alla monarchia assoluta, accettando altresì di governare con il concilio, includendo anche i vescovi. CATERINA DA SIENA Il papato restò ad Avignone per circa settant’anni in cui regnarono sette papi francesi. In questo periodo il papato cercò di rimpolpare le proprie risorse economiche, rivendicando i tributi da tutti i Paesi dell’Europa. Tutto ciò rovinò il loro prestigio e infatti furono accusati di condurre una vita eccessivamente mondana e sfarzosa. Parallelamente si cominciò a diffondersi in tutta Europa la fama di Caterina da Siena, una giovane borghese che aveva rifiutato la vita del matrimonio, perché convinta di essere stata chiamata alla vita monastica. Caterina iniziò a scrivere delle lettere in cui richiedeva al pontefice di allontanare i cardinali più corrotti e di abbandonare la sede di Avignone, per fare ritorno a Roma. IL GRANDE SCISMA D’ORIENTE Impressionato dalle parole di Caterina, Papa Gregorio XI nel 1377 tornò a Roma. La sua morte, due anni dopo, provocò un grande scisma, in quanto il popolo romano reclamò l’elezione di un pontefice italiano che mantenesse a Roma la sede del papato. In contrapposizione vi erano i cardinali francesi che volevano che il nuovo pontefice tornasse ad Avignone. Furono eletti così due papi: uno romano (Urbano VI) e uno avignonese (Clemente VII) con il risultato che l’Occidente sprofondò nel grande Scisma per ben quarant’anni. IL CONCILIO DI COSTANZA Il concilio di Costanza (1414-1418) pose fine alla frattura, in quanto elesse un nuovo papa, Martino V, obbligando i due pontefici a rinunciare all’incarico. Fu inoltre proclamata la superiorità del concilio rispetto al papa, ribaltando completamente la posizione accentratrice introdotta nel 1075 da Gregorio VII. Da questo momento si diffuse in Europa il movimento conciliarista che chiedeva una gestione più collettiva della chiesa, tramite la convocazione di concili a cui potessero partecipare tutti i vescovi cristiani. Tuttavia verso la metà del 1400 il papato riuscì ad imporre di nuovo la propria autorità. LA CRISI DEL XIV SECOLO E LA PESTE NERA SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO Il periodo compreso tra i due secoli XI-XIII fu caratterizzato da un esponenziale sviluppo demografico ed economico. Nel XIV secolo l’Europa fu investita da una serie di carestie. Nel 1346 una terribile epidemia di peste nera causò la morte di milioni di persone. IL FLAGELLO DELLA PESTE NERA Verso la fine del 1200 l’Europa entrò in una fase climatica fredda. In Islanda fu abbandonata la coltura dei cereali e in Inghilterra la viticoltura regredì notevolmente, poiché l’uva non giungeva più a maturazione. Il mar Baltico gelò interamente nel 1296, nel 1306 e nel 1323. Nel 1315 giunse la prima catastrofe: per tre anni consecutivi la pioggia abbondante distrusse i raccolti e la carenza di cereali colpì anche le zone più fertili. Il raccolto scadente era sintomo di un netto peggioramento del clima, che era uno dei fattori determinanti per i buoni raccolti. L’intero Occidente fu in presa alla carestia. LE RIVOLTE POPOLARI DEL XIV SECOLO I VILLAGGI SCOMPARSI RIVOLTE NELLA CITTA’ Uno dei maggiori effetti dell’epidemia fu il fenomeno dei villaggi scomparsi, ovvero l’abbandono, da parte dei contadini, di insediamenti che risultavano dapprima abitati. Le terre furono abbandonate perché rendevano poco e non risultava più conveniente coltivarle. La peste aveva decimato soprattutto la popolazione delle città e ciò permise ai contadini di emigrare verso il centro urbano. In molte città i mercanti e gli artigiani cercarono di compensare le spese maggiori allungando la giornata lavorativa. Essi si servirono di un’apposita campana che scandiva il tempo di lavoro. Si fissò un preciso orario di lavoro che non coincideva più con i tempi della Chiesa, legati alle esigenze della liturgia e della preghiera. Il tempo della Chiesa fu sostituito dal tempo del mercante, con una precisa suddivisione della giornata in parti uguali, non soggette al variare delle stagioni. Il risultato più maturo di questo tentativo fu l’orologio meccanico a suoneria che a partire dal XIV secolo si affiancò alle campane ecclesiastiche. Il 1300 fu un secolo di violenti scontri sociali fra i grandi mercanti, che fornivano la materia prima e la vendevano, e gli artigiani, ossia padroni delle botteghe in cui la materia veniva lavorata, e i manovali che compivano i lavori più umili. In Fiandra venivano chiamati “unghie blu” (unghie macchiate di colorante blu) e a Firenze venivano chiamati “ciompi” (operai salariati dell’Arte della lana). I conflitti esplosero quando le autorità cittadine emanavano ordinanze con cui riducevano le retribuzioni. A Firenze, nel 1378, ebbe luogo un’importante rivolta, denominata “il tumulto dei ciompi”, che però non apportò alcun vantaggio ai fiorentini. Negli anni successivi alla peste, la diminuzione del numero delle persone influì fortemente sul prezzo dei cereali, che calò costantemente nel periodo compreso fra il 1380 e il 1480. Si verificarono numerose rivolte contadine, la più importante tra le quali ebbe luogo in Francia nel 1358. Le campagne furono saccheggiate dagli eserciti impegnati nella Guerra dei Cent’anni. La rivolta assunse il nome di “jacquerie”, indicando il nome (Jacques Bonhomme) con cui si designò il contadino delle campagne francesi. Notevole risonanza ebbe anche la rivolta dei contadini inglesi nel 1381, appoggiata da numerosi predicatori, tra cui John Ball, il quale richiamava l’uguaglianza originaria di tutti gli uomini, che i nobili avevano calpestato con la violenza. Ball incitava a cacciare con la spada i signori, dando inizio ad una nuova era nella storia dell’umanità. Anche questo tentativo si risolse con un massacro. LA PESTE COME CASTIGO DIVINO SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO La medicina nel 1300 non era in grado di fornire spiegazioni circa le cause dell’epidemia. La peste fu interpretata come un castigo divino per tutti i peccati dell’uomo. Nel 1300 nessuno possedeva gli strumenti culturali e scientifici per trovare una spiegazione alla peste, per cui fu vista dal popolo come una punizione divina per i peccati umani. I peccatori ripresero a flagellarsi, chiedendo a Cristo di non colpirli con il suo severo giudizio e di risparmiare loro l’inferno. La figura divina fu concepita negativamente: Dio assunse il ruolo di un giudice implacabile, sempre pronto a colpire gli uomini. I flagellanti cominciarono a percuotersi e ad infliggersi sofferenze di ogni tipo, invocando la misericordia divina, affinché ponesse fine alla pestilenza. Per limitare il rischio di dannazione eterna, gli uomini avrebbero dovuto disprezzare il mondo e i suoi piaceri, concentrando tutte le loro attenzioni sulla vita spirituale. La mortalità di massa, legata alla peste, riportò in primo piano la salvezza ultraterrena e la morte, che priva l’uomo di ogni bene terreno e segna il suo eterno destino. LA DIFFUSIONE DI NUOVI MOVIMENTI ERETICALI LA STRATEGIA DEL CAPRO ESPIATORIO Gli ebrei erano degli individui socialmente emarginati e per questo si prestavano perfettamente ad essere i presunti colpevoli della crisi che si era abbattuta. Tuttavia la violenza perpetrata non risolse la situazione, perché si trattava di un meccanismo di difesa illusorio. L’immagine degli ebrei si fece sempre più cupa e più negativa. Essi furono accusati di aver trafugato le ostie consacrate e di averle trafitte con pugnali acuminati, così da rinnovare l’uccisione di Cristo. Inoltre furono accusati di omicidio rituale, pratica secondo la quale gli ebrei si servivano del sangue di un bambino cristiano per preparare il pane utilizzato durante la cena pasquale. Sia il papato che le autorità imperiali cercarono di proteggerli da tali infamanti calunnie. L’episodio più grave si verificò a Trento nel 1475, quando quindici ebrei furono accusati di omicidio nei confronti di un bambino e pertanto furono torturati e infine uccisi. La Chiesa fu costretta a proclamare beato Simonino da Trento. La sua venerazione fu cessata solo nel 1965. L’INIZIO DELLA CACCIA ALLE STREGHE Nel corso del 1400 il concetto di strega indicava una donna accusata di aver stipulato un patto con il diavolo, di aver rinnegato la fede e di aver avuto rapporti sessuali con il demonio stesso. In cambio Satana le concedeva di operare il male in modo misterioso. Nel Medioevo nell’immaginario collettivo la strega divenne il capro espiatorio per tutte le catastrofi che si abbattevano su una comunità. Accusare una strega allentava la tensione emotiva e scaricava all’esterno un’aggressività esasperata. In una società in cui il potere era interamente gestito dai maschi, la donna era figura marginale, perfettamente adatta, come gli ebrei, a rivestire il ruolo di capro espiatorio. Le donne divennero oggetto di una violenta propaganda, che le dipingeva come pericolose. Parallelamente in Oriente l’islam divenne di nuovo pericoloso, minacciando la Grecia, la Serbia e Costantinopoli. Accadde una serie di sfortunati eventi che indusse gli uomini ad incanalare la loro aggressività verso individui adatti ad essere colpevoli. LA GUERRA DEI CENT’ANNI SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO UN NUOVO DUELLO TRA FRANCIA E INGHILTERRA Francia e Inghilterra, dal 1337 al 1453, furono impegnate nella Guerra dei Cent’anni. Gli inglesi non avevano mai accettato la disfatta subita a Bouvines nel 1214, rivendicando per sé diversi territori situati in Francia. La situazione si aggravò nel 1328 quando morì il sovrano francese Carlo IV, ultimo figlio di Filippo il Bello. Siccome il re non aveva lasciato eredi maschi, la corona passò a suo cugino, Filippo VI di Valois. Tuttavia anche il re d’Inghilterra, Edoardo III, aveva legami di parentela con la casa regnante di Francia. Il conflitto iniziò nel 1337. Gli inglesi si rivelarono superiori militarmente, sperimentando nuove tattiche di combattimento. I fanti vennero equipaggiati con un nuovo tipo di arco, detto “long bow” (arco lungo), dotato di una grande forza di penetrazione, di una lunga gittata e di un’estrema rapidità di tiro. Il re francese Carlo IV muore nel 1238 senza lasciare eredi maschi. Ciò spinge il sovrano inglese Edoardo III a rivendicare per sé il trono francese, in nome di una parentela con la casa regnante di Francia. Scoppia la Guerra dei Cent’anni (1337-1453) tra Inghilterra e Francia. Vincerà la Francia. LA CROCIATA DEI CAVALIERI FRANCESI IN ORIENTE I cavalieri francesi furono sconfitti dagli inglesi a Crécy, nel 1346, e a Poitiers, nel 1356. Ciononostante continuarono imperterriti ad utilizzare la loro fallimentare tattica dell’assalto frontale, che utilizzarono peraltro anche in Oriente per combattere i turchi. La crociata cavalleresca partì negli anni 1394-1395. Essa non poggiava su fondamenta religiose, ma nacque per indebolire e screditare il re di Francia, limitandone il suo potere. I cavalieri francesi erano convinti che l’Inghilterra non avrebbe avuto risorse sufficienti per vincere la guerra dei Cent’anni, ma, al contempo, essi avevano intuito, in caso di vittoria della monarchia francese, che i nobili si sarebbero ridotti. LA DISFATTA DI NICOPOLI La spedizione si risolse in un totale fallimento. Nel 1396 i cavalieri cristiani furono annientati dai turchi nei pressi della città di Nicopoli, situata in Bulgaria. Come accaduto a Crécy, la cavalleria francese adoperò la tattica obsoleta di attaccare il nemico frontalmente. I turchi, che erano anche in superiorità numerica, li annientarono. FIRENZE E VENEZIA IL CUORE DELL’ECONOMIA EUROPEA SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO La vita in città favorì lo sviluppo di nuove professioni: mercante e banchiere L’economia europea vide l’avanzare di due nuove potenze: Firenze e Venezia I PANNI DI LANA FIORENTINI Alla fine del XIII secolo Firenze divenne il maggior centro di produzione di tessuti pregiati. Se prima i mercanti si erano limitati ad acquistare drappi semilavorati dalle Fiandre, poi le botteghe fiorentine cominciarono a produrre i propri tessuti. Siccome la lana proveniente dalla Maremma non bastava, i mercanti acquistarono lana direttamente dall’Inghilterra e dalla Spagna. La qualità dei prodotti tessili aumentò e i panni di Firenze furono i più ricercati e pregiati del mercato internazionale. LE BANCHE DI FIRENZE Parallelamente Firenze si impose per i suoi banchieri. Si trattava prevalentemente di mercanti che affiancarono il prestito di denaro al commercio di tessuti, giungendo a specializzarsi nel primo caso e ad abbandonare il secondo. Grazie al commercio di vari prodotti, numerosi mercanti fiorentini guadagnarono grandi somme di denaro, che permisero loro di costituire il corpo (capitale di base) di un banco di credito, a cui poteva rivolgersi chiunque avesse bisogno di somme di denaro. Il denaro era restituito alla banca con un interesse, che variava in relazione alle circostanze e al cliente, ignorando i severi divieti della Chiesa, che non tollerava l’usura. Le compagnie più importanti crearono delle filiali all’estero. Nel 1336 la compagnia Peruzzi si componeva di circa 85\95 dipendenti. UN COMUNE INDEBITATO All’inizio del Trecento Firenze era la piazza finanziaria più importante d’Europa. Tuttavia nel 1345 il comune dichiarò bancarotta, non essendo in grado di risarcire i suoi creditori. Ciò accadde principalmente perché Firenze si era impegnata in una serie di guerre, arruolando dei mercenari professionisti organizzati in compagnie di ventura (gruppo di soldati mercenari guidati da un capitano che combattevano in cambio di denaro). Sostenere il re d’Inghilterra nelle sue avventure militari era, per Firenze, un rischio, ma al tempo stesso una necessità nazionale, in quanto il paese inglese forniva quasi tutta la materia prima. Le conseguenze furono catastrofiche. a partire dal 1341 fallirono numerose imprese e compagnie. Nel 1346 fallirono i Peruzzi e successivamente i Bardi. I valori degli immobili crollarono perché tutti cercavano di vendere, pur di racimolare liquidità. VENEZIA E IL COMMERCIO CON LE RAGIONI TEDESCHE Mentre Firenze era precipitata in una grave crisi finanziaria, Venezia stava raggiungendo l’apice della propria potenza. L’apertura di nuovi valichi (Brennero e San Gottardo) le consentirono di ampliare i propri affari, entrando in diretto collegamento con le regioni tedesche, produttrici soprattutto di fustagno, di rame, di stagno e anche di argento. L’IMPORTANZA DEL PORTO DI BRUGES E LA COSTITUZIONE DI HANSA Genova, nel 1227, attraverso lo stretto di Gibilterra, raggiunse il porto di Bruges, nelle Fiandre, che in poco tempo toccò l’apice del suo splendore economico e demografico. Il suo sviluppo fu anche una conseguenza della Costituzione di Hansa, istituita nel 1356, dalle città tedesche che si affacciavano sul mar Baltico. Esse acquistavano in Finlandia, in Russia, in Svezia e in Norvegia materie prime di diverso genere. Tali merci venivano poi portate a Londra e a Bruges, dopo essere passate per Lubecca e Amburgo, le due più importanti città dell’Hansa. I mercanti delle città marinare tedesche introdussero un nuovo tipo di grossa nave da trasporto, la Kogge, dotata di uno scafo rotondo, grandi vele, ma priva di remi. Si trattava di una nave rozza e robusta, adatta a resistere alle tempeste oceaniche e alla stagione invernale. L’ITALIA NEI SECOLI XIV E XV SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO L’Italia, all’inizio del Trecento, si presentava in maniera frammentata in tanti piccoli Stati. A partire dal 1400 in Italia si affermano cinque Stati regionali. COLA DI RIENZO, TRIBUNO DEL POPOLO A ROMA Il papato fu l’istituzione che visse l’esperienza più complessa durante il 1300. La lontananza del pontefice da Roma consentì a Cola di Rienzo (Nicolò di Lorenzo), romano di umili origini, di farsi acclamare tribuno del popolo nel 1347. Egli approfittò dell’assenza del papa e proclamò che il popolo romano fosse l’unica autorità abilitata a conferire ad un sovrano la dignità imperiale, estendo questo diritto a tutti gli italiani. Creò addirittura un Parlamento nazionale italico, avente il compito di designare l’imperatore. Il popolo romano abbandonò completamente Cola di Rienzo, che fu costretto a lasciare la città. Il suo progetto non soltanto ignorava il peso che il papato esercitava sul Lazio e su Roma, ma anche la situazione politica, sia della Germania che dell’Italia. Mentre i principi tedeschi volevano riservare a sé stessi il diritto di eleggere un imperatore, in Italia si stava affermando un nuovo sistema politico. DAI COMUNI ALLE SIGNORIE Già nel corso del XIII secolo molti comuni si erano trasformati in signorie, cioè in Stati governati da una figura che deteneva tutto il potere, non tenendo conto dell’assemblea dei cittadini. Quest’ultimi si erano trasformati in sudditi e la repubblica era diventata una sorta di regime monarchico, in cui il potere era concentrato unicamente nelle mani del signore. La nascita delle signorie in Italia fu favorita da due fattori: l’allentamento del controllo imperiale e la necessità di mantenere la pace pubblica in ambiti cittadini. Due furono i casi più importanti: Milano e Firenze. A Milano la signoria si impose senza trovare opposizione all’interno delle istituzioni comunali; a Firenze invece la signoria si insinuò in maniera esterna, rispetto al conflitto interno. IL CASO DI MILANO A Milano nella seconda metà del 1200 si fronteggiarono due fazioni: il partito “di popolo” guidato dalla famiglia Della Torre e quello “aristocratico” capeggiato dalla famiglia Visconti. Quando Ottavio Visconti, in veste di pacificatore, divenne vescovo fece in modo che a suo nipote Matteo Visconti conferissero il titolo di “capitano” di popolo, ovvero la più alta carica del partito di popolo. Quest’ultimo, nel 1294, fu disegnato anche vicario dell’imperatore. Poi nel 1330 il nipote, Azzone Visconti, si fece riconoscere dominus generalis, cioè signore di Milano. Da quel momento la carica divenne ereditaria e il casato dei Visconti resse la città, imponendosi sulla Lombardia e in parte sul Veneto. IL CASO DI FIRENZE A Firenze il passo verso la signoria si compì alcuni decenni dopo, poiché, sino ad allora, i comuni governavano con i magnati e con i guelfi. Questi ultimi, sentendosi minacciati dai ghibellini che abitavano nelle città vicine, chiesero, grazie al consenso del papa, l’intervento di Roberto d’Angiò, un esponente guelfo, che divenne il signore di Firenze. La signoria “esterna” durò fino al 1382, quando i fiorentini ripresero il controllo ed instaurarono un’oligarchia. DALLA SIGNORIA AL PRINCIPATO Nel 1395 Giangaleazzo Visconti si fece conferire dall’imperatore tedesco il titolo di “duca”, cessando di essere semplicemente un “signore”, divenendo il legittimo principe di Milano, che si convertiva in principato. In poco tempo molti altri signori italiano imitarono Giangaleazzo: i Gonzaga di Mantova divennero marchesi nel 1433; gli Este divennero duchi di Modena nel 1452, i Montefeltro divennero duchi di Urbino nel 1474. I MERCENARI STRANIERI E I CONDOTTIERI ITALIANI Parallelamente alla nascita del principato, in Italia si diffuse il fenomeno delle truppe mercenarie, che venivano ingaggiate proprio dai signori per condurre campagne militari. In un primo momento ad offrirsi furono soprattutto soldati stranieri, tra i quali il celebre John Hakwood, un mercenario inglese che combatté al servizio dei signori di Firenze. Col tempo avanzarono anche i condottieri italiani. Siccome duravano in carica solo un anno, in alcuni casi furono proprio i signori a condurre campagne militari. LA FAMIGLIA MEDICI AL POTERE A FIRENZE La famiglia Medici rappresentava una potente dinastia di mercanti e banchieri che, grazie alla loro guida, Cosimo de’ Medici, avevano costituito un vero e proprio impero finanziario e commerciale. Ciò si rafforzò grazie al papa che gli concesse il monopolio dell’allume, un materiale essenziale per la lavorazione dei panni di lana, precedentemente acquistabile soltanto in Asia minore. Cosimo de’ Medici non si proclamò mai signore di Firenze, in quanto il suo dominio era indiretto, cioè avveniva tramite la collocazione di amici e collaboratori fidati nei centri in cui si decideva il destino dell’istituzione fiorentina. Dal punto di vista formale la Toscana continuava ad essere una Repubblica. Ma nei fatti tutte le elezioni erano pilotate, poiché passano sotto il controllo dei Medici. Da circa un secolo l’antica libertà comunale era andata completamente perduta. L’ALLEANZA TRA FIRENZE E MILANO Dal 1434 al 1441 una vasta guerra coinvolse tutti i principali Stati italiani. Da un lato vi era Alfonso V, re d’Aragona e di Sicilia, che aspirava al trono di Napoli, che era, nello stesso tempo, rivendicato da Renato d’Angiò, sostenuto dai Visconti di Milano. La guerra si concluse con Alfonso V e Filippo Maria Visconti che giunsero ad un accordo che consentì al re d’Aragona di ottenere il controllo di Napoli. Successivamente Genova si ribellò a Milano e tornò indipendente. La pace venne stipulata a Cremona nel 1441, dove Venezia (che sosteneva Alfonso V) annoverò tra i suoi possedimenti anche Legnano e Peschiera. L’accordo di pace si raggiunse grazie all’abile mediazione di Francesco Sforza, un condottiero che aveva sposato Bianca Visconti, figlia del duca di Milano. Dopo l’improvvisa morte di Filippo Maria Visconti, lo stato milanese fu oggetto di bramosia di Venezia. Cosimo de’ Medici, appoggiando Francesco Sforza, impedì l’estensione del dominio veneziano. Questo supporto sancì una solida alleanza tra Firenze e Milano. LA PACE DI LODI Il 9 aprile 1454 venne stipulata a Lodi una pace fra il ducato di Milano, ormai guidato dagli Sforza, e la Repubblica di Venezia. All’accordo si aggiunsero anche il papa, il governo di Firenze e quello aragonese, per poi unirsi tutti insieme in una coalizione denominata Lega italica e finalizzata a garantire la pace nella penisola. Tale unione obbligava i suoi membri a sostenersi a vicenda, per ben 25 anni, in caso di aggressione straniera. I governanti dei principali Stati italiani capirono che la monarchia di Parigi avrebbe potuto indirizzare la propria enorme potenza in direzione dell’Italia. LA NOSTALGIA DEL TEMPO CHE FU In quegli anni si sviluppò un nuovo genere letterario, il compianto, che rifletteva una concezione nostalgica di una Italia idealizzata e mitizzata degli anni compresi tra la pace di Lodi e l’invasione di Carlo VIII, re di Francia (1494). Il più autorevole divulgatore fu lo scrittore fiorentino Francesco Guicciardini, che rifiutava di vedere nella frammentazione italiana un pericoloso fattore di debolezza, anzi sosteneva che la dissoluzione territoriale avesse permesso l’esistenza di tante città floride, che non sarebbero potuto sorgere se l’Italia fosse stata uno Stato centralizzato. IL RUOLO DEGLI AMBASCIATORI NEL MANTENERE LA PACE Presso le varie corti si insediò, in maniera stabile, una rete di ambasciatori che avevano il compito di facilitare il dialogo tra i governi ed appianare le controversie o i conflitti armati. Solo un grande Stato come la Francia alla fine del 1400 poteva sostenere tali spese esorbitanti. Il tempo dei piccoli Stati era ormai giunto al tramonto. Qualsiasi tentativo di aumentare la pressione fiscale, compiuto da un governo italiano, fu accolto con rabbia da parte dei cittadini. LA CONGIURA DEI PAZZI Cosimo il Vecchio morì nel 1464, lasciando il potere al proprio figlio Piero. Quest’ultimo morì e gli succedettero due figli, Lorenzo e Giuliano. Soltanto nel 1478, con il sostegno del papa Sisto IV, una famiglia i potenti banchieri, i Pazzi, organizzò una congiura per prendere il controllo della città toscana. Il 26 aprile 1478, al termine di una santa messa, due preti (nemici della famiglia Medici) aggredirono i due figli di Piero: Lorenzo riuscì a fuggire, mentre Giuliano morì. I congiurati tentarono di impadronirsi del Palazzo della Signoria, ma il complotto fu sventato. LA CONGIURA DEI PAZZI A FIRENZE I congiurati furono linciati dalla folla, mentre l’arcivescovo Salviati e Francesco Pazzi furono impiccati senza essere processati. Altri esponenti della famiglia furono condotti in tribunale e condannati a morte, all’esilio o alla prigione. La casata dei Pazzi subì vari oltraggi e, attraverso un decreto, ne fu cancellato l’emblema da tutti i luoghi pubblici. Inoltre si stabilì che chiunque avesse sposato una donna dei Pazzi, sarebbe stato escluso dagli incarichi pubblici. Giuliano de’ Medici ricevette funerali solenni e fu accostato a Giulio Cesare, anch’egli vittima di congiura. Nel 1484 Colombo espose il suo progetto a Giovanni, re del Portogallo, che lo sottopose alla supervisione del comitato di Lisbona, il quale dichiarò che il viaggio era inattuabile. I calcoli circa le dimensioni del globo erano errati. Colombo affermava che il Giappone distasse 2400 miglia nautiche dalle Canarie, ma in realtà la distanza era quattro volte superiore e, dunque, la commissione decretò che nessuna nave avrebbe potuto raggiungere il Giappone, navigando verso occidente, senza scalo, in mare aperto. I CALCOLI ERRATI DI COLOMBO COLOMBO E I RE DI SPAGNA Colombo non rinunciò al progetto e qualche mese dopo si rivolse ai sovrani di Spagna, dai quali ricevette sia l’autorizzazione che i finanziamenti. Egli si recò al porto di Palos, dove gli furono offerte due navi, in segno di risarcimento per gli atti di pirateria ai danni delle navi portoghesi. Le due imbarcazioni erano caravelle di piccola stazza, chiamate “Pinta” e Nina”, a cui si aggiunse una più grande, denominata “Santa Maria” e guidata dallo stesso Colombo. Complessivamente furono reclutati 90 marinai. I VIAGGI DI COLOMBO Le navi lasciarono Palos il 3 agosto 1492 e arrivarono alle Canarie il giorno 12. La navigazione in mare aperto durò 33 giorni. Nessun marinaio aveva mai viaggiato così a lungo, senza raggiungere una meta. Dopo circa un mese di navigazione, l’equipaggio cominciò a mostrare i primi segni di malcontento. Il 12 ottobre 1492 comparve all’orizzonte l’isola di Guanahani, che Colombo ribattezzò San Salvador. Gli europei furono accolti cordialmente da un gruppo di indigeni, i taino, subito dopo denominati indios, convinto di aver raggiunto l’Asia. Ripreso il mare, Colombo incontrò altre isole, cioè Cuba e Haiti. Durante queste tappe, andò perduta la Santa Maria ed egli fu costretto a lasciare 39 uomini ad Haiti. Ma, subito dopo la partenza delle navi dirette in Spagna, un gruppo di marinai spagnoli cercò di violentare alcune donne indigene. Gli indios reagirono ed uccisero tutti gli europei. Nel febbraio 1493 le due navi superstiti ritornarono in Spagna. La nuova scoperta di Colombo destò interesse sia in Spagna che in altri Paesi d’Europa. LE REAZIONI IN EUROPA Colombo era convinto di aver raggiunto le Indie. Cominciò a diffondersi l’idea che le terre occidentali fossero dei remoti isolotti in cui non vi era traccia né di pepe, né di cannella, né di altre spezie. L’oro rinvenuto era così scarso che serviva solo a coprire le spese delle varie spedizioni. Colombo guidò altri tre viaggi di esplorazione nel Nuovo Mondo, che non portarono ricchezze alla Spagna e il suo prestigio decadde, al punto che la sua figura fu quasi dimenticata. Nel 1497 Giovanni Caboto, sostenuto da capitali inglesi, arrivò a Terranova; tre anni dopo il portoghese Pedro Alves Cabral toccò le coste del Brasile. L’ESPANSIONE DELLA CONOSCENZA DEL MONDO IL NUOVO MONDO DI AMERIGO VESPUCCI Numerose navi spagnole partirono in continuazione verso occidente e tra questi avventurieri spagnoli ci fu anche il fiorentino Amerigo Vespucci. Tra il 1503 e il 1511 tutti questi viaggi distrussero definitivamente l’ipotesi di Colombo che le terre raggiunte fossero le Indie. L’esistenza del Nuovo Mondo, d’altro canto, metteva in discussione le competenze dei geografi. Nel 1503 Vespucci scrisse una lettera all’ambasciatore fiorentino a Parigi, descrivendo l’immenso continente da lui visitato. L’anno successivo questo scritto fu tradotto in latino e pubblicato a Venezia con il titolo “Mundus Novus” e successivamente apparvero 11 edizioni, diffondendo in tutta l’Europa l’idea che fosse Vespucci il vero scopritore del Nuovo Mondo. IL PRIMO GIRO DEL MONDO Nel 1519-1522 Ferdinando Magellano compì il primo giro del mondo. Partito da Siviglia il 10 agosto 1519, raggiunse l’estremità meridionale del continente americano, attraversando lo stretto che poi prenderà il suo nome. Siccome le acque che incontrò gli apparvero tranquille, battezzò il nuovo mare con il nome di Oceano Pacifico. Giunto alle Filippine, Magellano fu ucciso da alcuni indigeni. Dopo l’ultima avventurosa circumnavigazione dell’Africa rimase una sola nave superstite, guidata da Antonio Pigafetta, che l’8 settembre 1522 rientrò a Siviglia. Francesco Petrarca è considerato il fondatore del cosiddetto “umanesimo”, un movimento culturale che svolse una funzione propedeutica nei confronti del Rinascimento pienamente maturo. Il termine “Umanesimo” indica un rinnovato interesse che, a partire dalla metà del XIV secolo, innumerevoli intellettuali europei nutrirono per la letteratura classica (greca e latina), considerata maestra di humanitas, ovvero di tutte quelle caratteristiche che distinguono l’essere umano dalle bestie e lo elevano al di sopra degli animali. Secondo Petrarca i misteri di Dio sono troppo elevati e del tutto imperscrutabili per la mente umana. Proprio perché la teologia rischia di essere un’impressa assurda, quasi inutile, l’oggetto privilegiato dell’interesse dell’intellettuale deve essere l’uomo. PETRARCA L’UMANESIMIO Petrarca enuncia un vero e proprio progetto culturale, che il proprio nucleo essenziale nello studio delle humanae litterae, cioè testi antichi così chiamati perché contrapposti alle Sacri Scritture, di origine divina. Le humanae litterae coincidono con gli studia humanitas, con l’arte di imparare a vivere in maniera pienamente umana. La conoscenza e il dialogo con i classici sono concepiti come un eccezionale strumento di formazione. Petrarca restò ancora molto legato alla figura di Sant’Agostino; già nel poeta trecentesco comunque è ravvisabile l’atteggiamento, che sarà tipico degli umanisti della generazione seguente: una vera passione che li spinse a riportare alla luce e divulgare testi latini ormai dimenticati, a ricostruire il testo originale delle opere e soprattutto ad imitare lo stile e la lingua di Cicerone e degli altri scrittori del periodo aureo della storia romana. UN INEDITO PROGETTO CULTURALE L’UMANESIMO CIVILE L’opera di Petrarca era stata proseguita da Coluccio Salutati che non solo creò un circolo culturale destinato a divenire l’anima dell’umanesimo fiorentino, bensì fu anche cancelliere della Repubblica, incaricato di stendere lettere e documenti diplomatici per il governo, avvalendosi di un latino elegante e decisamente raffinato. Quanti parteciparono al gruppo fondato da Salutati proseguirono il suo lavoro ricercando codici degli antichi scrittori e copiandoli senza sosta. Da tutti i punti di vista il modello di questi umanisti fiorentini dell’inizio del 400 era Cicerone, che non solo aveva scritto in un latino giudicato sublime, ma si era anche dedicato alla vita politica della Repubblica. Anche nuovi intellettuali volevano mettere il proprio sapere al servizio della patria: per questo, descrivendo la loro azione, spesso si parla di umanesimo civile, per indicare che erudizione, passione e politica erano strettamente correlate. Questi umanisti criticavano l’ascesi e il disprezzo del mondo, su cui di fatto concordavano sia i monaci cristiani più intransigenti sia gli antichi filosofi stoici. A giudizio di molti fiorentini la realtà terrena era buona e la natura del tutto positiva in quanto frutto della creazione di Dio. Non bisognava quindi disprezzare nulla: il corpo, il piacere, il lavoro e perfino le ricchezze vengono rivalutate. CARLO V E LA QUESTIONE DELL’EGEMONIA IN EUROPA SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE DI ARRIVO In Europa alla fine del V secolo vi erano due forti monarchie nazionali, la Spagna e la Francia. Carlo V, grazie alle strategie politiche fondate sui matrimoni, diventa il sovrano di un impero vastissimo, che si estende in Europa occidentale. Durante la guerra dei Cent’anni (1337-1453) la Francia rischiò di essere assorbita dall’Inghilterra. I duchi di Borgogna, manifestando un atteggiamento ambiguo, si schierarono dalla parte degli inglesi, sottomettendo al proprio potere numerosi territori, sottratti al re di Francia e all’imperatore della Germania. Intorno al XV secolo, la Borgogna arrivò ad annettere le Fiandre, il ducato di Lussemburgo, il ducato di Brabante e le contee di Olanda e di Zelanda. Si trattava di regioni economicamente floride, caratterizzate da numerose città e numerosi porti. IL DUCATO DI BORGOGNA L’IMPERO VASTISSIMO CARLO V IL REGNO SCONFINATO DI CARLO V Nato nel 1500, il re Carlo era l’erede di due dinastie convergenti: i suoi nonni erano, da un lato, Massimiliano d’Asburgo e Maria di Borgogna, dall’altro Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. In lui, pertanto, si raccolse una gran quantità di titoli e corone: nel 1506 divenne Signore delle Fiandre, nel 1516 re di Spagna, nel 1519, dopo essere divenuto duca d’Austria, fu proclamato imperatore di Germania, con il nome di Carlo V. Ciò fu, senza dubbio, il risultato di importante lavoro di tessitura di alleanze matrimoniali messo in opera da Massimiliano d’Asburgo. IL TITOLO IMPERIALE DI CARLO Il papa cercò di ostacolare l’elezione di Carlo a sovrano del Sacro romano impero, poiché agli occhi di tutti i pontefici sembrava rinascere la figura di Federico II, che era sovrano della Germania, signore di Napoli e della Sicilia. Lo scenario, tuttavia, era molto diverso, poiché Milano, nel 1515, era nelle mani di Francesco I di Francia. Carlo però era riuscito a corrompere il collegio dei principi elettori, spendendo un milione di fiorini, un’enorme somma che fu anticipata da potenti banchieri tedeschi. RIVOLTA IN SPAGNA Appena Carlo V partì per la Germania, le Cortes della Castiglia (un organismo rappresentativo simile al Parlamento inglese o agli Stati Generali in Francia) si ribellarono, accusando il sovrano di non avere a cuore i bisogni della Spagna e di servirsi delle sue risorse per curare i propri interessi nelle terre straniere. La rivolta si diffuse nelle principali città, colpendo sia la nobiltà che il potere centrale. Il 29 giugno 1520 varie città della Castiglia si unirono in una Santa Junta. I ribelli non erano contro la monarchia, infatti rivolsero al sovrano solo delle richieste: prima di tutto volevano che non si allontanasse dal regno e che il luogotenente fosse spagnolo e non straniero; inoltre esortavano il re a sposarsi con una principessa portoghese; infine chiedevano al re una minore pressione fiscale, una diminuzione delle spese di corte e una migliore amministrazione della giustizia. Furono necessari due anni affinché si sedassero le rivolte, che si esaurirono solo nel 1522. I LIMITI DEL POTERE IMPERIALE Carlo V fu incoronato solennemente ad Aquisgrana il 23 ottobre 1520, oltre un anno dopo la sua elezione. Carlo giurò di rispettare la Capitolazione imperiale, un dettagliato documento in cui gli elettori avevano fissato i diritti e i doveri del nuovo sovrano. Tuttavia l’imperatore non governava per diritto divino e neppure per diritto ereditario, ma solo come sovrano eletto e vincolato da precisi patti stipulati con gli elettori. Eppure, almeno in apparenza, il Sacro romano impero era risorto con una grande estensione: dai tempi di Carlo Magno nessun sovrano europeo aveva mai esercitato il proprio potere su tante terre contemporaneamente. UNA CRISTIANITA’ IN PREDA ALL’ANSIA SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO All’inizio del 500 la Chiesa è accusata di corruzione e di approfittare della diffusa ignoranza. Erasmo da Rotterdam e Lutero criticano il papato e le indulgenze. ERASMO DA ROTTERDAM LA CULTURA UMANISTICA IN AIUTO ALLA FEDE CRISTIANA All’inizio del XVI secolo l’Europa era profondamente religiosa, ma in alcune regioni, come le Fiandre o i Paesi Bassi, avanzava il desiderio di una radicale purificazione morale della Chiesa. Gli intellettuali più esigenti chiedevano un ritorno alle origini, alla purezza dottrinale dell’epoca degli apostoli e dei Padri della Chiesa. In Italia le persone più colte, a partire dal 400, stavano riscoprendo i testi classici e il mondo greco-romano. L’olandese Erasmo da Rotterdam cercò una sintesi originale tra i due orientamenti: quello basato sulla riscoperta del cristianesimo delle origini e quello che ammirava le humanae litterae di Cicerone e degli altri scrittori latini. Erasmo si sforzò di trasformare la cultura umanistica in uno strumento per la riforma cristiana. LA LETTERA AI ROMANI Nel 1512, Lutero divenne professore di Sacra Scrittura all’università di Wittenberg; negli anni 1515-1516 fu incaricato di tenere un corso sulla Lettera ai Romani dell’apostolo Paolo, in cui trovò la risposta al suo dramma angoscioso. In quello scritto trovò espresso un pessimismo antropologico simile a quello che aveva maturato. All’inizio del V secolo Sant’Agostino aveva elaborato il concetto teologico del “peccato originale”, secondo cui la caduta di Adamo ed Eva avesse cancellato nell’uomo ogni capacità di attuare bene, costringendolo a compiere solo azioni malvagie. L’eredità del peccato originale consiste proprio nell’irresistibile tendenza verso il male che Martin Lutero sentiva vivissima nel proprio cuore. LA RIVOLTA DI LUTERO IN GERMANIA SITUAZIONE DI PARTENZA SITUAZIONE D’ARRIVO Martin Lutero sviluppa le sue idee in campo religioso, assumendo posizioni in contrasto con la Chiesa cattolica. Lutero viene scomunicato dal papa, ma riceve l’appoggio di alcuni principi tedeschi. LA DOTTRINA DI MARTIN LUTERO Lutero, come San Paolo, sosteneva l’impossibilità da parte dell’uomo di giungere alla salvezza ultraterrena, facendo leva solo sulle sue forze. Entrambi ammettevano l’impossibilità di essere trattati come giusti da Dio (=essere salvati) sulla base dei propri meriti, delle proprie opere buone, a dimostrazione del fatto che l’uomo, per natura, tendeva al male ed era incapace di compiere il bene. Di conseguenza Dio trattava gli uomini da giusti, giustificandoli e dando a loro un premio che spettava ai buoni; in altre parole salvava gli uomini, anche se erano peccatori e pertanto la salvezza si configurava in una grazia. Per Lutero la salvezza era un dono da accogliere con gratitudine e fiducia, ma soprattutto con fede. LA GIUSTIFICAZIONE PER SOLA FEDE E LA SALVEZZA COME DONO RISCOPERTA DELLA MISERICORDIA DIVINA Nel processo di riscoperta della misericordia divina da parte di Luder, un ruolo importante è stato svolto da Johannes von Staupitz, che era diventato il confessore del giovane monaco e cercava di confortarlo in varie maniere. Un giorno gli disse che l’immagine terrificante non era Cristo, in quanto il vero Cristo non induceva il peccatore alla disperazione, ma era il Redentore che offriva sé stesso agli uomini per il perdono dei peccati. A CHE SERVE IL PURGATORIO Nel 1517 Luder aveva ormai superato la propria crisi spirituale e riacquistato una nuova serenità. Tuttavia si accorse ben presto di un problema, cioè che la giustificazione mediante la sola fede non era coerente con l’idea secondo cui l’uomo doveva subire, nel purgatorio, un processo lungo di purificazione. Infatti nel momento in cui si proclamava che Dio trattava l’uomo da giusto (quindi lo salvava), anche se era un peccatore, l’idea che l’anima dovesse purificarlo, prima di accedere al Cielo, non aveva alcun senso. Il rifiuto dell’idea che l’uomo potesse salvarsi da solo con le sue azioni, unito alla cancellazione del purgatorio, fece sì che il primo bersaglio di Lutero diventasse la vendita delle indulgenze, che avevano lo scopo di abbreviare il soggiorno in purgatorio. L’INIZIO DELLA RIFORMA PROTESTANTE Lutero, ponendosi in contrato con Roma, affermò che le rivendicazioni della supremazia del papato all’interno della Chiesa non erano sostenibili sulla base della Sacra Scrittura. Egli ammetteva solo due sacramenti: il battesimo e l’eucarestia, perché istituiti da Gesù, come racconta il Vangelo. Al contrario, fin dal 1519, Lutero fece propria la tesi secondo cui ogni cristiano, in virtù del battesimo e tramite la lettura personale della Bibbia, era “sacerdote di te stesso”, nel senso che poteva porsi in contatto diretto e immediato con Dio. Si profilò il secondo concetto sui cui avrebbe poggiato l’intero protestantesimo: il principio della sola Scrittura. Secondo questa concezione soltanto la Bibbia poteva essere presa come valida fonte per costruire la dottrina e la prassi della Chiesa. IL PRINCIPIO DELLA «SOLA SCRITTURA» LA CHIESA DELLE ORIGINI Per Lutero la Chiesa ai tempi del Nuovo Testamento era un modello perfetto e insuperabile, perché non era stata deformata dagli esseri umani. Pertanto egli proponeva di ripulire la dottrina cristiana, procedendo ad una Riforma della Chiesa. Lutero aveva rifiutato le indulgenze seguendo il criterio della sola Scrittura: il purgatorio infatti non è mai menzionato nei Vangeli e nelle lettere di Paolo. Una simile impostazione rendeva inutile anche la mediazione dei Santi e della Vergine. Una volta recuperata la misericordia divina, l’uomo non aveva più alcun bisogno di mediatori, terreni o celesti: una volta ascoltato, grazie alla personale lettura della Bibbia, la salvezza divina mediante la sola fede, il credente si trovava in dialogo diretto e personale con Cristo e Dio. LA SCOMUNICA CONTRO LUTERO Nel 1520, con la bolla Exsurge Domine del 15 giugno, Lutero fu condannato da papa Leone X. Il monaco rispose bruciando la bolla che gli notificava la scomunica e poi, nel 1521, proclamò apertamente che il papato era un’istituzione non solo priva di ogni fondamento religioso, ma addirittura incarnava l’anticristo, ovvero il principale strumento di cui il diavolo si serve per agire nel mondo, opponendosi a Dio. Alla condanna della Chiesa seguì quella dell’impero di Carlo V d’Asburgo, che convocò il 18 aprile 1521 la dieta di Worms con cui ripudiò le affermazioni eretiche di Lutero. SUCCESSO DI UN ERETICO FUORILEGGE Lutero fu considerato un fuorilegge, che chiunque doveva denunciare alla giustizia e poteva uccidere con le sue mani. Ma la sua sorte fu diversa dai diversi dissidenti, perché le sue idee si erano diffuse in tutta la Germania e nell’Europa intera. Tale successo fu legato innanzitutto all’esistenza della stampa a caratteri mobili e poi ai diversi principi che si schierarono con lui. Dal momento che Lutero si era ribellato al papa, ai signori tedeschi si offriva una straordinaria opportunità: quella di non versare più una tassa a Roma, accusata di essere avida e troppo desiderosa di denaro. LA TRADUZIONE DELLA BIBBIA IN TEDESCO Tra i principi che sostennero Lutero, quello che si mosse per primo fu Federico III (il Saggio), duca di Sassonia, che disobbedì a Carlo V e, invece di arrestare il monaco, lo protesse all’interno dei suoi castelli, a Wartburg. Qui, negli anni 1521-1522, Lutero procedette alla traduzione della Bibbia in tedesco, così che ogni cristiano potesse entrare in contatto diretto con la Parola di Dio, che gli annunciava il vangelo della misericordia del Creatore e della salvezza mediante la fede. Lutero era riuscito a trovare una risposta appagante e biblicamente fondata al problema della salvezza eterna.