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Riassunto Economia pubblica moderna Brosio, Sintesi del corso di Economia

Ottimi riassunti del manuale riferito ai cap. 1-2-3-4-5-9-10-11-12-13

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Edo.27
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Scarica Riassunto Economia pubblica moderna Brosio e più Sintesi del corso in PDF di Economia solo su Docsity! CAPITOLO 1: IL SETTORE PUBBLICO COME SISTEMA DI ALLOCAZIONE DELLE RISORSE L’economia Pubblica è la disciplina che studia il funzionamento del settore pubblico. 1.Settore pubblico e sistema politico. Il settore pubblico è identificato con lo Stato nazionale. Lo Stato si caratterizza per il monopolio della forza, cioè per la capacità di attuare con la coazione sul suo territorio le decisioni prese. Seguendo quest’impostazione, il settore pubblico sarebbe un meccanismo di allocazione delle risorse non di mercato, che si differenzia da altri meccanismi allocativi perché è in grado di imporre con la coazione l’applicazione delle regole stabilite. È eccessivo attribuire al potere di coazione la caratteristica distintiva del settore pubblico generale. E questo per tre motivi. In primo luogo, il potere di coazione è molto imperfetto anche negli Stati. Il secondo motivo è che esistono componenti del settore pubblico che sono sempre più importanti, ma che non dispongono della forza per attuare le decisioni (es. ONU). In terzo luogo, gli Stati, soprattutto quelli democratici, non vogliono e non possono imporre le loro decisioni solo con la forza. L’attenzione è invece posta sulla ricerca del consenso, sulla convinzione, sugli stimoli per indurre i cittadini ad attuare spontaneamente i comportamenti che si desiderano. È dunque opportuno considerare il settore pubblico come una componente del sistema economico all’interno della quale le decisioni di allocazione vengono prese e applicate in maniera collettiva. Nei sistemi democratici le decisioni collettive vengono prese sulla base di costituzioni e leggi. Il settore pubblico è un sistema di allocazione delle risorse basato su regole stabilite collettivamente. 2. Le dimensioni del settore pubblico negli Stati moderni: differenze fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Le dimensioni del settore pubblico possono essere misurate in modi diversi. L’indicatore più usato è il rapporto fra la spesa pubblica, G, e il prodotto interno lordo, PIL. In generale, l’importanza del settore pubblico è correlata alla ricchezza dei Paesi. Di conseguenza, nei Paesi in via di sviluppo il peso del settore pubblico è più contenuto che nei Paesi ricchi. Comunque, la quota della spesa statale sul PIL varia dal 18,5 per cento nei Paesi più poveri al 38,1 per cento dei Paesi più ricchi. Oltre al reddito influiscono sulle dimensioni del settore pubblico anche fattori politici, culturali, storici. Per la difesa, i Paesi poveri spendono proporzionalmente di più di quelli ricchi. È nella spesa per la salute che esplodono le differenze fra Paesi poveri e ricchi: la quota percentuale passa dallo 0,9 per cento al 6 per cento. Le differenze di quota sul prodotto nazionale fra Paesi ricchi e Paesi poveri sono più limitate nel settore dell’istruzione. 3. Organizzazione del settore pubblico. Il settore pubblico ha nel mondo moderno una struttura molto complessa. Nella maggior parte dei pesi è articolato i diversi livelli di governo: in Italia in: 1) Governo o Stato centrale; 2)regioni; 3) Enti locali, a loro volta articolati in Province e Comuni. Ogni livello di governo è a sua volta formato da diversi tipi di organizzazione. Si può osservare la struttura del settore pubblico o con un’ottica verticale, guardando alla sua articolazione in livelli, oppure, con un’ottica orizzontale, guardando all’articolazione interna ad ogni livello. Consideriamo quest’ultima. Il governo centrale è composto da diversi livelli di organizzazione: a) il potere legislativo, formato da due camere; b) il potere giudiziario con al vertice la Corte Costituzionale, o Suprema e c) il potere esecutivo. Quest’ultimo ha una struttura più complessa che comprende quattro tipi di organizzazione diversi cioè i ministeri, le agenzie pubbliche, le gestioni fiduciarie e le imprese pubbliche. I ministeri e le agenzie pubbliche sono enti di governo a carattere generale che svolgono attività istituzionali caratteristiche di ogni società politicamente organizzata, quali la fornitura dei servizi di difesa, giustizia, ordine pubblico. Gli enti generali svolgono attività che hanno carattere collettivo, che non sono distribuite sulla base di prezzi e che sono dunque finanziate con sistemi di entrata generali. La forma giuridico/amministrativa tradizionale è quella dei ministeri, associata a procedure burocratiche. Le agenzie pubbliche sono strutture dotate di maggiore flessibilità organizzativa. Le imprese di proprietà, totale o parziale, pubblica assume forme diverse da nazione a nazione. Le imprese producono e/o distribuiscono beni e servizi. La distribuzione dei beni e servizi prodotti avviene tramite un servizio avviene tramite un sistema di prezzi, normalmente di tipo pubblico. Le gestioni fiduciarie trovano applicazione nel settore pubblico soprattutto nel campo della previdenza sociale. Una gestione fiduciaria identifica, da un lato, un gruppo di persone/contribuenti obbligati a pagare determinate somme in relazione a loro caratteristiche e un gruppo di beneficiari che hanno diritto, a determinate condizioni, ad attingere alle risorse della gestione. 4. Le funzioni fondamentali del settore pubblico. Secondo Richard Musgrave le funzioni del settore pubblico si possono distribuire in tre grandi categorie: a) stabilizzazione, b) allocazione, c) redistribuzione. La funzione di stabilizzazione è collegata all’attenuazione delle fluttuazioni del reddito nazionale e può essere attuata – oltre che con gli strumenti monetari- attraverso il bilancio pubblico, cioè attraverso manovre delle entrate e/o delle spese. In un mondo globalizzato le possibilità di stabilizzazione da parte dei singoli paesi si sono considerevolmente ridotte. La funzione di allocazione riguarda l’utilizzo delle risorse e consiste, o nella produzione e messa a disposizione dei cittadini di beni e servizi, quali la difesa, l’ordine pubblico, la sanità, oppure nella regolamentazione dei mercati. Con la regolamentazione, invece di intervenire direttamente in attività produttive, il settore pubblico detta le regole alle quali le imprese e le persone devono attenersi. La funzione allocativa è quella più importante; gli apparati e le burocrazie pubbliche si sono sviluppate soprattutto a questo fine. La tendenza recente è, però, di sostituire l’intervento diretto di produzione con un’attività di regolamentazione. La funzione di ridistribuzione è volta a correggere la distribuzione del reddito e della ricchezza dei cittadini ed è effettuata con una varietà di strumenti. In primo luogo, con gli strumenti del bilancio pubblico; in secondo luogo, viene effettuata intervenendo sui diritti di proprietà. 5. Che cosa produce il settore pubblico? Il settore pubblico ha un peso e un ruolo assai diverso nell’economia dei diversi Paesi. Vi è però una certa uniformità, nel senso che l’esistenza di uno Stato o di un’organizzazione politica obbliga allo svolgimento di alcune funzioni essenziali – i cosiddetti servizi pubblici di tipo istituzionale – senza i quali nessuna organizzazione politica esisterebbe. Quando il settore pubblico si limita a fornire questi servizi abbiamo quello che si chiama lo Stato minimo. Si tratta: a) attività necessarie per garantire la difesa dell’organizzazione politica contro le aggressioni esterne, contro le insurrezioni e i disordini interni; b) attività che sono necessarie per la protezione dei contratti e della distribuzione esistente dei diritti individuali e di proprietà e, infine, c) attività necessarie per la protezione dei cittadini contro le grandi calamità naturali. Lo Stato di mezzo fornisce, in aggiunta a quelli forniti nello Stato minimo, anche servizi essenziali per il benessere dei cittadini, come: istruzione e sanità secondarie, protezione ambientale, comunicazioni e trasporti, servizi di pubblica utilità. Esso inizia a intervenire nella funzione redistributiva con interventi a favore delle famiglie povere e alla creazione di reti minime di protezione sociale. Lo Stato interventista nell’ambito della funzione allocativa fornisce interventi a promozione dello sviluppo economico; interventi diretti nell’economia con imprese pubbliche. Nell’ambito della funzione redistributiva mette a disposizione dei cittadini sistemi estesi di assistenza sociale e pensionistica e redistribuisce la proprietà. 6. I motivi dell’intervento pubblico. Il funzionamento efficiente del mercato presuppone costi di transazione ridotti, un livello sufficiente di concorrenza tra le imprese, assenza di esternalità e adeguata informazione e prontezza degli operatori nell’adeguarsi alle nuove situazioni. Quando questi presupposti non esistono, o esistono in modo adeguato, cioè quando il mercato non funziona o, come dicono gli economisti, fallisce, si apre la necessità esse la propria casa, il giardino, l’orto. La soluzione è probabilmente efficiente solo se adottata da tutti. Una seconda possibilità consiste nell’affittare un elicottero che effettui le irrogazioni per tutto il villaggio. La soluzione collettiva si impone sotto un profilo di convenienza. Non è detto che però essa sia facilmente adottata. Se il numero di membri o aderenti è elevato ognuno si può rendere conto che può, pur rimanendo fuori, beneficiare ugualmente dell’operazione. 9. Cooperazione e azione collettiva. È possibile che un buon numero degli abitanti del villaggio si rifiutino di collaborare. È possibile che tengano un comportamento strategico. Poiché tutti possono essere tentati di comportarsi allo stesso modo, il risultato finale è che l’elicottero non è affittato e tutti si devono aggiustarsi con le bombolette e, che forniscono un servizio di qualità minore e/o ad un costo più elevato. È il classico problema dell’azione collettiva, cioè della contraddizione insita in un comportamento che da un punto di vista individuale è razionale, ma che, se seguito da tutti, conduce ad una sconfitta dal punto di vista collettivo, perché la soluzione migliore non è adottata. 10. La cooperazione fra due individui: prova unica. Vi sono due abitanti: due agricoltori con proprietà confinanti; entrambi sono assaliti dalle zanzare; per abbatterle e necessario che entrambi facciano un intervento. Data la prossimità fra i due, l’irrogazione del veleno da parte di uno di loro ha effetti positivi anche sul secondo. Vi è spazio per comportamenti strategici. Il primo, ad esempio, può essere tentato di non fare nessun intervento, di risparmiare il costo, avendo comunque un beneficio sostanziale che gli proviene dall’azione del secondo. Per studiare il modo con cui gli individui risolvono questi tipi di problemi le scienze sociali hanno sviluppato una disciplina: la teoria dei giochi. Primo può comprare il liquido e fare l’intervento e cioè cooperare, oppure non fare nulla, non cooperare, e aspettare gli eventuali benefici dell’azione di Secondo. I risultati delle due scelte dipendono dalle scelte di secondo, che può decidere di fare l’irrorazione oppure no. Se Primo coopera e anche Secondo coopera, entrambi hanno un vantaggio di 1. Se Primo non coopera e Secondo invece coopera, Primo avrà un beneficio di 1,5 ( non spende nulla e ha il beneficio dell’azione di Secondo). Secondo, di contro, ha un beneficio negativo di -0,5, perché spende ma parte della disinfestazione va a vantaggio di Primo. La situazione si ribalta se Primo coopera e Secondo no : -0,5 e 1,5. Mentre se entrambi non cooperano avranno un beneficio netto di 0. Il dilemma della cooperazione è rappresentato dalla matrice dei pagamenti. Se Secondo non coopera la scelta/strategia migliore per Primo è quella di non cooperare. Se Secondo coopera per Primo la strategia migliore è quella della non cooperazione. In definitiva qualunque scelta faccia secondo la condotta migliore per Primo – la strategia dominante secondo la teoria dei giochi – consiste nel non cooperare. Pertanto anche la scelta migliore per Secondo è quella di non cooperare. Entrambi scelgono di non cooperare e il risultato ottenuto sarà quello peggiore :0 di beneficio netto a testa. È il paradosso della non cooperazione. In termini tecnici si afferma che in questo caso i due individui hanno raggiunto un equilibrio di Nash, detto anche equilibrio non cooperativo. Ognuno ha seguito la strategia ottimale dato il comportamento dell’altro. Purtroppo così facendo entrambi gli individui raggiungono un risultato che è per loro il peggiore. 11. Cooperazione fra due individui: prove ripetute, ma in numero certo. La cooperazione è possibile solo se il numero di occasioni future di collaborazione non è conosciuto. Esempio: ci sono due occasioni di collaborazione. Primo prova a immaginare in che modo la sua decisione oggi può influire su quella di secondo alla prossima volta. Se gli fosse evidente che la sua scelta di oggi potrebbe condizionare quella successiva – ad. Es. se collaborasse oggi, indurrebbe Secondo a cooperare domani – allora potrebbe essere indotto a collaborare. Ma non è così. Ognuno dei due sa che la prossima è l’ultima volta. Vi è un problema di scelta senza effetti successivi, perché non ci saranno più altre possibilità di cooperazione. Poiché il risultato della seconda scelta non può essere influenzato da quello della prima, questa diventa l’unica e ognuno quindi non coopera. Il ragionamento vale aumentando il numero di occasioni di scelta. Se sono 3, Primo inizia a immaginare che cosa succede alla seconda scelta se lui collaborasse alla prima; ma si rende conto che la seconda scelta dalla terza; ma la terza è l’ultima e quindi non può influenzare la seconda. Il gioco si riduce a due scelte e si riproduce esattamente il caso di prima. Le prospettive di cooperazione rimangono allora senza speranza. 12. Cooperazione fra due individui: prove ripetute in numero incerto. Se c’è incertezza sulla lunghezza della cooperazione la prospettiva può cambiare. Dato che i due non sanno se l’occasione di collaborazione è unica ognuno di loro sarà tentato di provare. Questa strategia è stata definita da Axelrod come strategia del tit-for-tat. Essa è una strategia di collaborazione condizionata, o se vogliamo di reciprocità. Si inizia con un tentativo di cooperazione e poi nelle occasioni successive si fa quello che ha fatto l’altro la prima volta: se ha cooperato, si continua a cooperare; diversamente si smette. La strategia del tit-for-tat può anche evolvere nella direzione opposta, invece di avviare comportamenti migliori fra gli individui, li può fare peggiorare continuamente. Un fattore importante nell’assicurare la cooperazione fra due parti è l’azione svolta da una parte, un giudice, la polizia, un arbitro; cioè l’azione di quello che si chiama lo Stato o il settore pubblico. L’esistenza di una terza parte è essenziale ma non è sufficiente o meglio non rende automatica la soluzione. 14. La cooperazione con un numero ampio di persone. Abbiamo un gruppo ampio di persone che devono decidere se cooperare oppure no. Quando i numeri sono elevati, la cooperazione diventa il tipico problema dell’azione collettiva. Distinguiamo due casi. Nel primo il risultato dell’eliminazione delle zanzare dipende dalla collaborazione di tutti. Se ogni abitante è interessato alla soluzione è probabile che vi sia collaborazione. La non cooperazione da parte di uno solo mette totalmente in gioco la soluzione collettiva. In realtà, in questa situazione non vi è spazio per comportamenti egoistici, perché chi coopera non può trarre vantaggio dalla cooperazione degli altri. La seconda soluzione è quella dove l’attuazione della soluzione collettiva non richiede che tutti siano d’accordo, ma più semplicemente che sia d’accordo un dato numero q (detto normalmente quorum). Il risultato netto di primo dipende da 3 situazioni diverse. La prima è quella in cui si raggiunge il quorum. La seconda è quella in cui la decisione di Primo è cruciale per approvare la decisione. La terza riporta il beneficio netto quando si supera il quorum richiesto. In due casi su tre, se cioè meno di q o più di q persone cooperano, a primo non conviene cooperare. Gli conviene cooperare solo quando il suo voto è determinante per raggiungere il quorum richiesto. Ma non è facile sapere per Primo in anticipo come si comporteranno gli altri abitanti. Il comportamento di Primo come quello degli altri abitanti dipende dalle dimensioni di q. Nel caso in cui la cooperazione richiede la partecipazione di tutti, cioè il quorum è fissato a 100 per cento, l’incentivo a partecipare è molto forte e la cooperazione è probabile. Se riduciamo il quorum da 100 a 98 il ragionamento che fa Primo, e che fanno gli altri, è che per avere il risultato positivo della cooperazione pochi possono fare i free riders. Quindi Primo e gli altri saranno indotti a cooperare e probabilmente si otterrà un risultato di q o superiore. Se q diminuisce, passa a 90 e poi a 80, Primo e gli altri iniziano a pensare che il loro voto non è essenziale , cominciano a rendersi conto che un piccolo numero di defezioni è compatibile con l’ottenimento del risultato. Più si riduce il quorum, più paradossalmente diminuiscono le probabilità dell’azione collettiva. Forse soltanto quando q diventa piccolissimo le probabilità di riuscita della cooperazione tornano a salire. Sulla cooperazione influiscono altri fattori quali cultura moralità ecc. 15. Il ruolo fondamentale dell’imprenditore politico nell’assicurare la collaborazione. L’imprenditore politico è colui il quale vede nella società un bisogno non soddisfatto e offre la sua azione per soddisfare questo bisogno. Serve a porre in essere l’azione collettiva cioè a convincere un numero sufficiente di persone a cooperare. Parte terza: La dimensione spaziale dei beni pubblici 16. Lo spazio come criterio classificatore dei beni pubblici. Le caratteristiche dei beni determinano il raggio di azione o la dimensione spaziale dei loro effetti. Questa dimensione ha un’estrema variabilità. Alcuni beni hanno un raggio di azione universale: i loro effetti riguardano tutte le aree e tutti gli abitanti della terra. Essi sono denominati beni pubblici globali. 17. Tecnologia dell’aggregazione. Molti problemi del settore pubblico devono essere risolti su scala sopranazionale o internazionale, tout court. Ciò rende necessaria la produzione di beni pubblici globali e regionali. Questi beni sono prodotti da un numero non molto elevato di soggetti, gli stati nazionali. Le interazioni fra stati relative alla produzione dei beni pubblici globali sono diverse fra quelle fra individui per la produzione di beni pubblici nazionali o subnazionali. Per studiare queste interazioni è stata sviluppata la tecnologia dell’aggregazione. La tecnologia dell’aggregazione indica il modo in cui i contributi individuali alla sua produzione determinano la quantità totale del bene che sarà messa a disposizione dei consumatori. Secondo la tecnologia della somma il contributo di un agente – sia esso individuo o stato – è perfettamente sostituibile con quello di qualsiasi altro e quindi la quantità del bene disponibile per il consumo è la somma semplice dei contributi individuali. In simboli Q = ∑qi (dove Q è la quantità totale del bene pubblico e q sono i contributi individuali). Un caso più generale di tecnologia è quello della somma ponderata, dove non vi è sostituibilità completa fra individui o Stati. Non si possono quindi sommare tout court i contributi individuali, ma per ognuno di essi va fatta una ponderazione dello sforzo effettuato. In simboli possiamo rappresentare per ogni Stato i, la tecnologia della somma ponderata nel modo seguente: Q = ∑ A q (dove Q è la quantità del bene pubblico che viene fornito allo Stato i; a è la quantità del bene pubblico prodotto dallo Stato j che ha messo a disposizione dello Stato i; q è la quantità del bene pubblico prodotto dallo Stato j). Per ogni Stato avremo la stessa equazione. Se mettiamo assieme tutti gli Stati avremo, in forma matriciale, la tecnologia di aggregazione per somma ponderata. Se sommiamo: Q=A q dove : Q è il vettore (n x 1) delle quantità del bene pubblico ricevuto da ogni Stato; A è la matrice dei coefficienti a; q è il vettore (n x 1) della quantità del bene pubblico prodotta da ogni Stato. Se tutti i coefficienti sono uguali a 1 abbiamo un bene pubblico puro. La quantità prodotta da ogni Stato è messa a disposizione di tutti gli Stati e la quantità messa a disposizione di ogni Stato è la somma di quella messa a disposizione da ogni Stato. Se tutti i coefficienti sono uguali a zero abbiamo un bene privato: ogni Stato produce per sé e non mette nulla a disposizione degli altri. Nella tecnologia dell’anello più debole è l’agente che dà il contributo minimo che determina il livello di bene pubblico disponibile per la collettività. Ad es. nella lotta all’epidemia sarà il Paese che esercita lo sforzo minore nella vaccinazione collettiva a determinare il successo della prevenzione al contagio. Q = min ( q”,….., q ) Effetti opposti ha la tecnologia del tiro ottimo o della sua variante, chiamata tiro migliore. In questa situazione il livello di fornitura del bene collettivo dipende dall’agente che esercita lo sforzo più elevato. Ad es. nella ricerca medica contro le malattie il Paese che esercita lo sforzo massimo per finanziare la ricerca sarà quello che otterrà i risultati migliori. Q = max (q”, … , q ) Nella tecnologia della soglia la fornitura di un bene di tipo pubblico arreca effettivamente benefici solo se il livello del bene prodotto supera una certa soglia. (es. operazioni di mantenimento della pace). CAPITOLO 3: ALCUNI CONCETTI ESSENZIALI DELL’ECONOMIA PUBBLICA NORMATIVA: EFFICIENZA ED EQUITA’ L’economia normativa viene chiamata economia del benessere. Per gli economisti lo strumento centrale utilizzato per confrontare diverse situazioni è l’efficienza economica. La funzione esprime le preferenze della collettività circa la distribuzione del benessere. Sono possibili infinite forme funzionali. Ogni società, in ogni momento, esprime una data funzione del benessere sociale. Questa funzione dipende dalle preferenze dei cittadini e dal modo con cui sono aggregate. Ci sono diverse funzioni del benessere sociale ma non vi è modo di affermare che una di esse è superiore alle altre: la scelta dipende da chi decide e dalle sue preferenze. La funzione del benessere sociale degli utilitaristi. Secondo questa scuola del pensiero non vi è modo per distinguere tra un individuo e un altro: tutti devono avere la stessa considerazione sociale. Il benessere collettivo non è allora che la somma semplice dei benesseri individuali. Una simile funzione è la seguente: W = W (U1 + U2 +... + Un) La funzione del benessere sociale di tipo utilitarista è espressa da ognuna delle semirette inclinate negativamente di 45°. La funzione ci dice che: a) il benessere collettivo è formato dalla somma algebrica del benessere dei singoli individui; b) tutti gli individui hanno lo stesso peso. W ha un livello di 100; nel punto e le utilità dei due sono perfettamente uguali: 50 unità a testa. Se riduciamo l’utilità di Tizio di 10 unità, è sufficiente, perché il benessere collettivo rimanga allo stesso livello, aumentare il benessere di Caio della stessa unità persa da Tizio, cioè 10. Analogamente se si riduce il benessere di Caio di 40 è sufficiente aumentare della stessa cifra quello di Tizio per rimanere con lo stesso livello di benessere collettivo. Questa funzione del benessere sociale è propria di una collettività che non attribuisce nessun peso al modo in cui il benessere è distribuito fra gli individui. Per aumentare il benessere sociale è necessario aumentare la somma dei benesseri individuali. Grafico. La funzione del benessere di tipo rawlsiano, da nome del filosofo Rawls è la seguente: W = Min (U1,U2, … ,Un) La forma funzionale dice che ciò che conta nel calcolo del benessere sociale è il benessere delle persone che hanno il livello minimo di benessere/utilità, mentre il benessere di quelli che stanno meglio non conta. Se tizio e Caio hanno rispettivamente livelli di benessere di 50 e 60, il benessere sociale è pari a 50. Se aumentiamo il benessere di Tizio, a parità di benessere di Caio, il benessere sociale non aumenta. Se invece se diminuisce il benessere di Tizio al di sotto di 50, si ha una diminuzione del benessere della società. Grafico. Una situazione intermedia, rispetto alle due funzioni utilitariste e rawlsiana, è data dalla funzione: W = W(UP + US ) In essa il benessere collettivo è la somma semplice del benessere dei singoli. Graficamente CAPITOLO 4:INTERDIPENDENZE E ESTERNALITA’ 1.Tassonomia delle esternalità. Le esternalità possono essere positive o negative. Le esternalità possono essere prodotte, o subite, da imprese (produttori9 o da individui( consumatori). Esternalità da impresa a impresa. Sono generate dall’attività produttiva di un’impresa sulla possibilità di produzione di una o più imprese. L’esternalità ricevuta da un produttore è collegata al livello della produzione di un’altra impresa. Esternalità da impresa a consumatore (e da consumatore a impresa). Questo tipo di esternalità è rilevante per il benessere degli individui. L’esternalità può essere connessa o direttamente alla produzione effettuata dall’impresa o all’uso da parte di essa di un particolare fattore produttivo, o da entrambe le variabili. Esternalità da individuo a individuo. Concettualmente l’impatto derivante dall’attività di un individuo su quella di un altro può essere di due tipi o fisico o psichico. Nella maggior parte dei casi i due effetti son presenti contemporaneamente. Nella seconda categoria di tipo psichico rientrano i sentimenti di altruismo o di invidia. Interferenze di questo tipo generano una inefficienza allocativa. 2. Origini delle esternalità. L’origine delle esternalità deriva dalla mancata, o imperfetta, definizione dei diritti di proprietà. L’attribuzione precisa dei diritti di proprietà, se possibile, permetterebbe di far sparire l’esternalità. Ma nella maggior parte dei casi la possibilità non esiste per effetto dei costi elevatissimi di transazione e di esclusione necessari all’attribuzione e all’esercizio effettivo del diritto. Il raggiungimento dell’efficienza allocativa non richiede di annullare completamente l’esternalità (ad es. l’inquinamento: qualsiasi attività di produzione è causa di inquinamento; ridurre a zero significa praticamente fermare la vita. La riduzione dell’inquinamento ha inoltre un costo, in questo caso richiede di rinunciare a risorse, e questo costo va confrontato con i vantaggi ricavabili dalla riduzione dell’inquinamento). 3. La correzione delle esternalità quando la tecnologia non è variabile. L’unico modo per ridurre l’inquinamento consiste nel diminuire la produzione; non ci sono congegni o processi la cui applicazione possa ridurre le emissioni prodotte dall’impresa. La tecnologia è invariabile. 3.1. Con le imposte Prendiamo il caso di un’impresa che inquina un corso d’acqua. L’inefficienza deriva dalla possibilità dell’impresa di acquistare un fattore produttivo a un prezzo troppo basso, e quindi potere praticare sul prodotto un prezzo artificialmente basso. Una soluzione consiste in un’imposta specifica sul prodotto dell’impresa inquinante, in modo da correggere il prezzo. L’importo deve essere uguale al danno marginale osservato al livello di produzione efficiente. Esso determina l’aliquota dell’imposta su ogni unità di produzione. Oltre alla produzione efficiente, l’imposta assicura anche un gettito che può servire ad indennizzare coloro che sono danneggiati dall’inquinamento rimanente oppure a finanziare un impianto di depurazione delle acque che abbatta la quantità di inquinamento. Il punto debole della soluzione introdotta con l’imposta sta nella sua applicazione, in particolare nella difficoltà di quantificare il valore del danno (inquinamento) connesso all’esternalità. 3.2. Con il pagamento di un sussidio Un metodo, tecnicamente altrettanto efficiente dell’imposta, è rappresentato dalla concessione di un sussidio all’impresa inquinante, affinché riduca la sua produzione. Il sussidio è discutibile da un punto di vista distributivo: rispetto alla soluzione dell’imposta non vi è gettito aggiuntivo e occorre destinare a questo fine parte del gettito esistente. Dal punto di vista operativo occorre conoscere quale sarebbe stata la produzione dell’impresa senza sussidio ed è ovvio che l’impresa avrà ogni interesse ad esagerare il livello di produzione prima del sussidio. Per questi motivi, la soluzione del sussidio appare operativamente assai poco conveniente. 3.3. Con l’attribuzione dei diritti di proprietà Secondo il teorema di Coase la soluzione efficiente può essere ottenuta mediante l’attribuzione ad una delle due parti, non importa quale, del diritto di proprietà sulla risorsa utilizzata. L’attribuzione del diritto rende perfettamente inutile ogni altro intervento governativo. Cominciamo con l’attribuire il diritto di proprietà sul corso d’acqua all’impresa che inquina; questa sarà disposta a rinunciare alla produzione se riceve un pagamento superiore alla differenza tra ricavi e costi per quella produzione. L’agricoltore che subisce l’inquinamento è disposto ad effettuare un pagamento all’impresa se questo è inferiore al danno dell’inquinamento. Invertiamo ora i dati attribuendo il diritto sul corso d’acqua all’agricoltore; questi sarà disposto a lasciare che l’impresa inquini se il pagamento ricevuto è superiore al danno sopportato. A sua volta, l’impresa può effettuare pagamento solo per livelli di produzione in cui il ricavo è superiore al costo. L’unico livello di produzione al quale entrambe le parti vedono rispettate le loro condizioni è il livello efficiente. Critiche all’applicabilità del teorema: a) costi di transazione connessi alla contrattazione che segue la fissazione dei diritti. Se le parti sono poche, i costi di transazione sono ridotti e il meccanismo può funzionare; ma appena le parti aumentano di numero i costi di transazione diventano così importanti da impedire la soluzione contrattuale. Inoltre perché il sistema funzioni occorre che le parti siano in grado di far rispettare pienamente i diritti che sono stati loro attribuiti. 3.4. Con la regolamentazione L’unica soluzione pratica è la regolamentazione. Si fissano i limiti massimi di quantità di inquinamento che industrie e consumatori possono produrre, pena l’applicazione di sanzioni pecuniarie o legali. Industrie e privati possono attenersi ai limiti o riducendo la propria attività o installando dispositivi che riducano l’inquinamento. 4. La correzione delle esternalità quando la tecnologia è variabile. Caso più realistico – è possibile ridurre l’esternalità, ovvero la quantità di sostanze inquinanti prodotte, attraverso la modificazione dei processi produttivi. In questo caso le soluzioni sono molte e comprendono la regolamentazione, l’applicazione di imposte e altre soluzioni economiche. Tuttavia oggi si preferisce utilizzare un’altra soluzione, che è considerata più semplice e che ha bisogno di meno requisiti informativi, come la vendita all’asta dei diritti di inquinare. 5. La correzione delle esternalità con la vendita all’asta dei diritti di inquinare. Si tratta della soluzione più popolare oggi, soprattutto per ridurre l’emissione di sostanze inquinanti nell’atmosfera e in particolare per l’emissione di gas che contribuiscono al riscaldamento globale. L’autorità pubblica che vuole ridurre alla metà l’inquinamento da 12 a 6 annuncia che le imprese per emettere sostanze inquinanti devono utilizzare dei cosiddetti “diritti” all’inquinamento. Dovrà dunque Quando gli individui hanno preferenze a due punte nessuna alternativa è in grado di prevalere stabilmente sulle altre e la scelta di una di esse, nel caso di faccia una solo votazione, dipende unicamente dall’ordine con cui le alternative sono poste in votazione. Il risultato paradossale dipende da un cambiamento nell’ordinamento delle preferenze di un solo votante. In materia fiscale possono essere possibili i casi di frequenze a due o più punte. In generale si può affermare che la possibilità di maggioranze cicliche diventa tanto più elevata, quanto più distanti fra loro sono le alternative poste in votazione. 5. L’intensità delle preferenze. La regola della maggioranza, permette a ogni elettore di dichiararsi a favore o contro un problema, ma non di esprimere l’intensità delle sue preferenze. L’elettore tiene cioè lo stesso comportamento votando sì o no nei confronti di problemi che sente in maniera diversissima. Questa impossibilità di esprimere l’intensità può condurre la decisione di voto a maggioranza ad allontanarsi ulteriormente dall’ottimo Paretiano, ma la soluzione più ovvia – quella di assegnare ad ogni elettore un punteggio totale da distribuire fra le alternative soggette al voto – può condurre a risultati ancora peggiori. È facile immaginare una situazione in cui il guadagno della maggioranza è inferiore alla perdita della minoranza, cosicché questa sarebbe in grado di convincere la maggioranza a votare per l’alternativa preferita. La vittoria della minoranza sarebbe efficiente secondo la teoria paretiana. Il problema è risolvibile con l’introduzione di un voto a punteggio anziché a maggioranza. La regola del voto a punteggio fa prevalere l’alternativa che ottiene il punteggio massimo. Poiché il punteggio è maggiore, ci siamo avvicinati maggiormente a una situazione Paretiana. Ma questa offre la possibilità di un comportamento strategico, gli elettori potrebbero dichiarare in modo non sincero le proprie preferenze. 6. Il commercio dei voti. Il problema dell’intensità delle preferenze viene anche risolto con il commercio dei voti. Una parte, che ha scarso interesse ad un problema, premette il suo voto, ad un’altra parte, molto interessata, a patto che quest’ultima voti a favore di un problema che sta a cuore alla prima. La pratica del commercio dei voti è stata additata da alcuni studiosi come causa principale della crescita della spesa pubblica. Anzi essa sarebbe causa di un aumento inefficiente provocato da un’errata valutazione dei costi/benefici associato allo scambio dei voti .Il commercio dei voti è molto frequente nelle assemblee elettive. I candidati e i membri di queste ultime, che hanno necessità di radunare un numero di elettori sufficiente ad essere eletti e rieletti, sono incentivati al commercio dei voti e dunque alla formazione di maggioranze necessariamente interessate a problemi diversi. In questa situazione, la probabilità di risultati complessivi inefficienti in seguito al commercio dei voti diventa assai più elevata, poiché i singoli elettori hanno poche possibilità di controllare efficacemente le scelte operate dai loro rappresentanti. Nel gergo politico americano la pratica del commercio dei voti è indicata come Pork barrel politics e viene riferita al sostegno reciproco che si danno i parlamentari per fare approvare progetti che concentrano i benefici e la spesa sulla propria circoscrizione elettorale e abbassano i costi all’intero elettorato nazionale. 7. Le decisioni in un sistema di democrazia rappresentativa: il modello di Downs. Nel mondo moderno la maggior parte delle decisioni sono prese da assemblee rappresentative, quali i parlamenti. Secondo Downs vi sono due categorie di attori: gli elettori e i partiti, o meglio rappresentanti dei partiti, che cercano di essere eletti. I partiti sono due. Gli elettoti votano per il partito che offre loro quella combinazione di politiche –entrate e uscite – che permette di ottenere la massima utilità. Cioè votano per il partito che permette di curare meglio i loro interessi. Gli uomini politici hanno come obiettivo diretto l’ottenimento della carica e quindi la vittoria elettorale. Più precisamente Downs assume che i politici cerchino di massimizzare i voti, ciò che permetterà loro di rimanere al governo, se già vi sono, o di accedervi se sono all’opposizione. L’ottenimento della carica permette di ottenere prestigio, potere, reddito e anche la possibilità di realizzare le proprie politiche. Questa concezione della politica è stata sviluppata inizialmente da Schumpeter nel suo Capitalismo, socialismo, democrazia, con un parallelismo fra uomini politici e imprenditori. Allo stesso modo in cui gli imprenditori mirano a massimizzare i profitti sforzandosi di capire i gusti dei consumatori e offrendo loro prodotti che li soddisfano, così i politici massimizzano i voti offrendo agli elettori piattaforme politiche in grado di soddisfare i loro interessi. Downs afferma : “L’ipotesi fondamentale del nostro modello è che i Partiti elaborano politiche per vincere le elezioni e non vincono le elezioni per formare politiche”. Date queste premesse, vincerà il partito che è in grado di formare una piattaforma capace di soddisfare le preferenze di una maggioranza almeno di elettori. Secondo Downs le preferenze degli elettori possono essere allineate lungo una dimensione unica, da sinistra verso destra. Un modello di questo tipo è stato sviluppato da Hotelling ipotizzando che i cittadini siano distribuiti in maniera perfetta uniforme lungo una scala che va da sinistra a destra. Il risultato sarà un movimento convergente dei partiti politici verso il centro. La piattaforma scelta sarà quella dell’elettore mediano e i partiti otterranno percentuali molto simili di voti; indipendentemente dall’identità del partito al governo, verrà attuata la piattaforma che corrisponde alle preferenze dell’elettore mediano. Downs ha sviluppato il modello di Hotelling includendovi ulteriori ipotesi sulla distribuzione degli elettori attorno alle piattaforme, ma sempre considerando un ipotetico allineamento dei problemi da sinistra a destra. Il primo caso è quello di una distribuzione di tipo normale: le posizioni estreme sono tenute da pochi elettori, la maggior parte di essi converge su posizioni centrali. In questa situazione la concorrenza fra i partiti conduce a risultati perfettamente analoghi a quelli previsti dal modello Hotelling. Il secondo caso è quello di una distribuzione bimodale: le preferenze sono accentrate attorno a due posizioni prossime agli estremi. In questa situazione, il partito che vincerà applicherà una piattaforma molto diversa da quella proposta dall’opposizione. I cambi di maggioranza condurranno dunque a modificazioni di rilievo delle politiche svolte. Un terzo caso è quello rappresentativo della società accidentale al tempo della stesura del libro, in cui la classe di lavoratori è più numerosa della classe media a reddito più elevato. Una situazione di questo tipo dovrebbe condurre a un governo che è espressione delle classi lavoratrici e che attua politiche di intervento pubblico incisive. 8. Le scelte di democrazia quando vi sono due dimensioni politiche distinte. Grafico: Quando la decisione riguarda la combinazione di due politiche che sono completamente indipendenti l’una dall’altra non è possibile prevedere il risultato finale. Certo se le persone, o i partiti, assegnano peso diverso alle politiche, o l’intensità delle loro preferenze varia fra politica e politica, il processo decisionale è meno instabile e si può immaginare il risultato al quale condurrà. 9. Processi di decisione non elettorale in materia di scelte finanziarie. Le votazioni non esauriscono i meccanismi attraverso cui vengono prese le decisioni di finanza pubblica. Le elezioni hanno luogo ogni anno, ma negli intervalli i cittadini/elettori hanno continue opportunità di influire sulle decisioni politiche e dunque di parteciparvi. Queste opportunità, cioè forme di partecipazione politica diverse dal voto, includono le pressioni sui propri rappresentanti tramite contatti diretti, lettere ai giornali, azioni di sostegno tramite finanziamenti o prestazione di lavoro volontario, partecipazione attiva alla vita dei partiti politici. Anche i sondaggi di opinione sono strumenti per arrivare a decisioni e non solo per orientare le decisioni. A livello locale, cioè di attività svolte dai governi locali, il problema della rivelazione delle preferenze verrebbe superato, secondo il teorema di Tiebout dalla mobilità dei cittadini. Quelli non contenti della combinazione di spese/imposte offerta dal governo locale dove risiedono possono trasferire la loro residenza in una località che offre una combinazione più gradita. Se non esistono ostacoli alla mobilità delle residenze lo spostamento della residenza diventa un meccanismo di voto ( il cosiddetto voting by feet, letteralmente il voto mediante i piedi). Un altro meccanismo capace di influire sui processi di decisione è stato descritto con i termini exit, voice and loyalty, cioè “abbandono, protesta e lealtà” da parte di Hirschman. L’abbandono può consistere semplicemente nel rivolgersi al settore privato se la qualità o le caratteristiche dell’offerta pubblica non sono considerate sufficienti. La protesta è invece la trasmissione di un messaggio critico da parte di chi non può, o non vuole abbandonare l’offerta pubblica. Le lealtà è anche un modo di condizionare l’azione dei politici. Consiste nel votare a favore di essi, anche quando non mantengono le promesse e rafforzerebbe il senso di obbligo morale che i politici hanno nei confronti dei loro sostenitori leali. CAPITOLO 9: DISUGUAGLIANZA E POVERTA’: POLITIVHE PUBBLICHE PER LA LORO CORREZIONE Tutti i Paesi, e soprattutto quelli in via di sviluppo, devono affrontare il problema della diseguaglianza e della povertà. 1. Concetti e misure di disuguaglianza e povertà. I due concetti sono strettamente collegati ma ben distinti. Disuguaglianza = si riferisce alla posizione relativa dei singoli individui rispetto ad una variabile, oppure alla posizione relativa di gruppi di individui rispetto alla popolazione. Povertà = si riferisce alle condizioni individuali che stanno al di sotto di uno standard definito come essenziale (e diverso da Paese a Paese). Quindi mentre la disuguaglianza fa riferimento alla distribuzione, la povertà fa riferimento al raggiungimento di una soglia. 1.1 Disuguaglianza rispetto a cosa? In questa sede prendiamo in considerazione solo le disuguaglianze economiche, anche se è evidente che spesso esse originano non da fattori economici ma da altri fattori quali ad esempio l’appartenenza a caste, l’appartenenza di genere, etc. Per calcolare la dimensione delle disuguaglianze ci sono moltissime variabili rilevanti (reddito, istruzione, condizioni di salute, terra a disposizione,…) tutte fortemente correlate tra loro. Tuttavia le due variabili che vengono comunemente prese in considerazione sono: - il reddito; - la spesa per il consumo In particolare il consumo è più facile da calcolare e rappresenta un indicatore più diretto delle condizioni di vita di un individuo. Inoltre la letteratura distingue tra due diversi tipi di disuguaglianza: - disuguaglianza nei risultati; - disuguaglianza nelle possibilità In particolare la disuguaglianza nei risultati è spesso concepita come dipendente da comportamenti individuali come la propensione al lavoro e al risparmio, dunque in generale si ha una sensibilità minore nei suoi confronti. Al contrario la riduzione della disuguaglianza nelle opportunità gode di maggior consenso, quindi in generale si tenta maggiormente di correggere questo tipo di disparità. 1.2 Disuguaglianza rispetto a chi? Le statistiche fanno sempre più riferimento alle disuguaglianze tra famiglie, soprattutto rispetto alla variabile dei consumi. Tuttavia è importante sottolineare che anche all’interno delle famiglie vi sono notevoli disuguaglianze individuali. Un altro livello di confronto è quello delle disuguaglianze tra gruppi di dalla povertà in senso relativo, ovvero dispone di una capacità di spesa inferiore rispetto allo standard italiano. CAPITOLO 10 IL WELFARE STATE: LE SPESE PER LA PROVVIDENZA ED ASSISTENZA Il Welfare State non ha una precisa definizione. Sotto la sua denominazione sono genericamente compresi tutti gli interventi del settore pubblico che migliorano il benessere delle persone. 1.Crescita ed importanza della spesa per il Welfare State. Il Welfare State assorbe una massa considerevole di spesa pubblica che è destinata, in assenza di difficili politiche correttive, ad accrescersi, in particolare per la spesa pensionistica e per quella sanitaria, per effetto del crescente invecchiamento della popolazione. Le dimensioni raggiunte da quest’ultimo lo portano ad affrontare una sfida proveniente dal processo della globalizzazione. Tale sfida deriva dal fatto che tutte le economie nazionali sono obbligate a competere su un mercato a scala mondiale e in una situazione di mobilità di beni e persone. La spesa sociale include la spesa per le pensioni e gli altri interventi monetari per la protezione e l’assistenza sociale, la spesa per la salute. La dimensione della spesa sociale è più elevata nei paesi europei, specialmente quelli scandinavi noti come le “democrazie del benessere”, dove la spesa supera il 30% del PIL. L’Italia si situa fra i paesi ad elevata spesa sociale quasi il 30%. Inoltre la crescita è fra le più elevate quasi del 50%. 2. Il Welfare State in Italia. C’è confusione terminologica, soprattutto in Italia, sugli interventi di spesa tramite trasferimenti monetari. Più precisamente si tende a distinguere fra spese previdenziali, sostanzialmente le pensioni di anzianità, e le spese assistenziali, che sarebbero costituite da tutti gli altri trasferimenti monetari. Secondo la terminologia economica è più corretto distinguere fra interventi finanziari tramite contributi e interventi finanziari tramite i servizi di tassazione generale. I primi fanno parte del sistema di sicurezza sociale, mentre i secondi vanno a comporre il sistema di assistenza sociale. L’idea della sicurezza sociale è che le prestazioni sono pagate dai beneficiari tramite prelievi specifici, normalmente calcolati sul reddito da lavoro, i cosiddetti contributi sociali, o dalle assicurazioni sociali. Il modello bismarckiano si fonda sul principio assicurativo e tutela innanzitutto i lavoratori e le loro famiglie e si finanzia con i contributi sui salari. Il modello beveridgiano assicura una copertura universale e si finanzia con imposte generali. Buona parte delle prestazioni dei sistemi di sicurezza e assistenza possono essere fornite dalle assicurazioni private. Per quanto riguarda le pensioni quelle private sono gestite dall’INPS (Istituto nazionale per la previdenza sociale). L’Italia ha la concentrazione maggiore di spesa per le pensioni 16,6 % del PIL. Il nostro paese spende molto per gli interventi in denaro e molto poco per gli interventi che consistono in servizi. 3. Le ragioni dell’intervento pubblico. La maggior parte delle prestazioni erogate dai sistemi di sicurezza e assistenza possono essere fornite anche dalle assicurazioni private (previdenza privata, assicurazione contro le malattie e contro gli infortuni, …). Tuttavia una delle trasformazioni più importanti nel settore pubblico è stata proprio quella di un intervento sempre più incisivo dello Stato nel sistema di sicurezza e assistenza sociale. Perché è necessario l’intervento pubblico quando i servizi di sicurezza e assistenza sociale potrebbero essere erogati da assicurazioni private? Per una serie di motivi, molti dei quali riguardano la mancanza di informazioni: - c’è una incompleta percezione del rischio, ovvero le persone hanno una bassa percezione dei rischi, dunque non sono portate a proteggersi a sufficienza stipulando contratti di assicurazione che li coprano ad esempio per la vecchiaia o per gli infortuni o ancora per la disoccupazione. Quindi l’intervento pubblico va a intervenire su quella che è una percezione del rischio incompleta - a stipulare contratti di assicurazioni sarebbero solo i lavoratori ad alto rischio, con la conseguenza che i costi salirebbero, scoraggiando i lavoratori a basso rischio ad assicurarsi (fenomeno di adverse selection). - dopo aver stipulato un contratto di assicurazione le persone tendono a prestare meno attenzione ai loro comportamenti. Inoltre vi sono importanti problemi distributivi, perché ad esempio chi guadagna poco non ha la possibilità di accantonare denaro per il futuro, quindi l’intervento pubblico è necessario per tutelare tutti, anche i più poveri. 4. La spesa per la pensioni: tipologia dei sistemi pensionistici. Ci sono due tipi principali di sistemi di pensione: a capitalizzazione e a ripartizione. Un sistema a capitalizzazione è basato sull’accumulazione del risparmio in un fondo pensione nel quale sono anche versati i rendimenti provenienti dalle attività del fondo. Il capitale in tal modo accumulato è utilizzato per pagare le pensioni, normalmente attraverso un sistema di annualità. In questo sistema non vi è ridistribuzione, perché la pensione è determinata sulla base del capitale accumulato individualmente. Il sistema di capitalizzazione può essere gestito dal settore privato, trattandosi di un normale schema assicurativo. Nel sistema a ripartizione non vi è accumulazione di risparmio e le pensioni vengono pagate dal reddito prodotto al momento prelevando imposte, o contributi, alla generazione di persone che lavorano e trasferendo il ricavato alla generazione di quelli che non lavorano più, cioè i pensionati. I sistemi a ripartizione sono normalmente gestiti dallo Stato, che dispone del potere di tassazione e si fondano su un patto intergenerazionale: i lavoratori di oggi finanziano i pensionati di oggi nella presupposizione che quando essi andranno in pensione saranno a loro volta finanziati dalla nuova generazione di lavoratori che prenderà il loro posto. Un terzo sistema è quello contributivo, anzi più precisamente è il sistema basato su “contributi definiti su base nazionale”, per cui: a) ogni lavoratore paga un contributo calcolato come percentuale del suo reddito, che è accumulato in un conto aperto a suo nome nell’ente che gestisce le pensioni; b) i contributi accumulati sono rivalutati annualmente secondo un tasso d’interesse definito dal governo; c) al momento dell’andata in pensione i fondi accumulati sono trasformati in annualità di pensione, secondo i normali principi attuariali; d) le annualità sono però pagate a partire dai contributi versati dai lavoratori presenti. Dunque, il sistema funziona come un normale sistema da ripartizione e i conti individuali sono puramente nozionali e strutturati in modo da assicurare l’equilibrio del sistema pensionistico. La variabile chiave è il tasso di interesse. La scelta fra i diversi sistemi pensionistici è cruciale, perché conduce a risultati molto diversi. Con quello ad accumulazione la pensione dipende dalle contribuzioni individuali. Con quello a ripartizione la pensione dipende dalle decisioni del governo, come pure dipende da esse anche in un sistema a contribuzione. Tutti i sistemi affrontano rischi elevatissimi, anche se differenziati. I sistemi ad accumulazione soffrono i rischi connessi ai mercati finanziari. Le somme accumulate possono perdere anche molto valore in seguita al crollo dei mercati azionari, oppure in seguito all’inflazione che decurta il valore dei titoli obbligazionari e simili. Inoltre, questi sistemi possono avere costi di amministrazione elevati. I sistemi a ripartizione soffrono i rischi demografici e quelli connessi ad una cattiva gestione della finanza pubblica. Resta da sottolineare che quello che conto è la produzione reale. La pensione permette di continuare a consumare quando si è finito di lavorare. Ciò che interessa non sono i soldi ma i beni reali. Se non si sono questi, la pensione non serve a nulla dal punto di vista della soddisfazione delle necessità di consumo e quindi di vita. Chi rende disponibili i beni di consumo sono i lavoratori. Se non ci sono lavoratori che producono a sufficienza la pensione non vale. 5. Cenni sul sistema pensionistico italiano. Una riforma con caratteri strutturali è stata introdotta nel 1995 dal governo Dini tramite l’introduzione del cosiddetto sistema contributivo, quello che viene definito sistema basato su “contributi definiti su base nazionale”. In base ad esso le pensioni sono calcolate in proporzione ai contributi versati, che sono rivalutati ogni cinque anni applicando il tasso di crescita a prezzi correnti del prodotto interno. A partire dalla riforma Amato, e con maggiore incisività con la riforma Dini è stato dato impulso alla cosiddetta pensione integrativa privata. Con essa e su base volontaria i lavoratori possono costruirsi sistemi privati di pensione, basati su contribuzione volontaria. 6. Tipologie delle pensioni pagate in Italia. La pensione di vecchiaia è il principale strumento pensionistico e spetta a coloro che hanno raggiunto l’età pensionabile e che sono, o sono stati, iscritti ad un qualsiasi degli istituti previdenziali obbligatori per legge, come ad es. l’INPS. La pensione di anzianità si può ottenere prima di aver compiuto l’età pensionabile dopo aver soddisfatto obblighi contributivi minimi (35 anni di contribuzione e 57 anni di età anagrafica, o alternativamente 39 anni di contribuzione prescindendo dall’età del richiedente). La pensione di reversibilità viene pagata dal coniuge sopravvivente con un importo pari al 60 per cento massimo. La reversibilità riguarda tutti i trattamenti pensionistici di cui beneficia il coniuge: pensioni di anzianità, di guerra, di invalidità e si cumula con quelle che il coniuge superstite percepisce o sui cui ha maturato i diritti. Alla pensione sociale (o pensione minima) accedono le persone oltre i 65 anni di età prive di reddito, che non hanno versato contributi, o che hanno versato contributi per una pensione inferiore al minimo sociale. La pensione sociale funziona come strumento per proteggere le fasce più deboli della popolazione anziana. Le pensioni di invalidità si compongono di due strumenti diversi. Il primo sono le pensioni vere e proprie che vengono versate a coloro che hanno una condizione di invalidità totale dal lavoro. Il secondo strumento è costituito dall’assegno ordinario di invalidità, che spetta ai lavoratori dipendenti ed autonomi affetti da un’infermità fisica o mentale. Si possono ottenere quando si verificano le seguenti due condizioni: 1. Un’infermità fisica o mentale che provochi una riduzione permanente della capacità di lavoro a meno di un terzo; 2. Un’anzianità contributiva di almeno cinque anni, di cui almeno tre versati nei cinque anni precedenti la domanda di pensione. L’assegno ordinario di invalidità dura per tre anni ed è rinnovabile su domanda del beneficiario, che viene quindi sottoposto ad una nuova visita medico-legale. Dopo due conferme consecutive l’assegno diventa definitivo. CAPITOLO 11: LE POLITICHE DI SPESA PER LA SALUTE E L’ISTRUZIONE Nella maggior parte dei Paesi sviluppati, e no, l’istruzione e la sanità sono i settori di spesa pubblica quantitativamente più importanti. Parte prima: La salute 1.La domanda. Le persone desiderano salute, perché essere in buona salute è una componente fondamentale del benessere personale. Inoltre, la salute è anche una componente importante del capitale umano. Le persone in salute possono lavorare e procacciarsi un reddito. Il mantenimento della salute attraverso le varie fasi della vita permette di lavorare più a lungo e di guadagnare di più. Investire in salute produce dunque benefici a lungo termine. Non vi è una domanda diretta di cure sanitarie ma piuttosto una domanda derivata: si chiedono cure perché si vuole la salute. La salute non si ottiene solo con le cure, ma da una molteplicità di altri elementi, quali: a) lo standard generale di vita, in particolare il livello di reddito. In effetti, le condizioni di salute sono diverse fra Paesi ricchi e Paesi poveri; b)le scelte individuali, quali quelle relative al consumo di alcool e di tabacco; c) l’ambiente fisico in cui si vive, che può essere inquinato o no. privata, che rappresenta circa un quarto della spesa totale. I cittadini infatti sono liberi di rivolgersi al sistema sanitario pubblico gratuito, oppure di adire pagando direttamente, o tramite sistemi assicurativi, al settore privato. Occorre chiarire che il sistema sanitario pubblico non opera unicamente attraverso strutture pubbliche e funzionari pubblici, ma anche comperando servizi dal settore privato e mettendoli poi a disposizione del pubblico. Abbiamo in Italia prestazioni complessive accettabili. Una dimostrazione sintetica è l’elevato valore della speranza di vita dalla nascita. La speranza di vita dalla nascita è molto elevata: non ci sono differenze rilevanti fra le regioni in Italia. Parte seconda: L’istruzione 8. I benefici privati dell’istruzione. L’istruzione, come la cura della salute, è un bene misto. Attribuisce a chi la consuma forte ed evidenti benefici individuali, contribuendo in modo determinante alla formazione del capitale umano. Non si tratta di solo capitale umano fruttifero di redditi monetari, ma anche di capitale umano fruttifero di benefici non monetari percepibili a livello individuale e sociale. 9. I benefici pubblici. L’istruzione è fonte di importanti esternalità (vantaggi). È chiaro che una popolazione più scolarizzata è in grado di dominare meglio la tecnologia. L’accesso generalizzato all’istruzione migliora l’ambiente sociale 10. I rendimenti dell’istruzione. Se dai benefici sottraiamo i costi, abbiamo i rendimenti dell’istruzione. Dobbiamo distinguere fra i rendimenti privati (per arrivare ai quali si calcola la differenza fra benefici e costi privati) e rendimenti sociali (per arrivare ai quali si sommano i benefici individuali e pubblici e vi si sottraggono i costi, anch’essi privati e pubblici). 11. Le giustificazioni dell’intervento pubblico. Le giustificazioni dell’intervento pubblico vanno ricondotte, sotto il profilo dell’efficienza, alle tre categorie classiche dell’imperfetto funzionamento del mercato, delle esternalità e dei beni pubblici. Inefficienza del mercato. La scelta da parte degli individui se proseguire o meno gli studi comporta la disponibilità: a) d’informazione perfetta circa i flussi di reddito futuri connessi ai diversi tipi di scolarizzazione; b)di informazione circa la scelta del curriculum scolastico più adatto alle attitudini individuali. I singoli provenienti da famiglie meno abbienti possono non avere accesso a questa informazione, che deve dunque essere assicurata dal settore pubblico se si vuole che il mercato funzioni efficientemente. Con riferimento ai benefici privati, l’intervento pubblico diretto è necessario per porre i singoli in grado di investire in istruzione. L’efficienza e la possibilità di scelte effettive d’investimento richiedono un efficiente mercato di capitali. Le esternalità e i beni pubblici. Il mercato libero non è in grado di tenere conte delle esternalità. Le persone prendono in considerazione solo i vantaggi individuali e l’accesso alla scuola risulta inferiore alla dimensione efficiente da un punto di vista sociale. L’intervento pubblico s’impone, perlomeno a livello di finanziamento delle attività scolastiche e non necessariamente di fornitura diretta. Alle considerazioni d’efficienza si sommano quelle equitative. 12. Modalità dell’intervento pubblico. Vi sono tre modalità principali d’intervento. La prima è la scuola pubblica, vale a dire la produzione diretta del servizio scolastico con accesso totalmente, o parzialmente, gratuito. La seconda è il finanziamento delle scuole, cioè dei produttori di istruzione. La terza è il finanziamento delle famiglie, precisamente il sovvenzionamento delle spese per l’istruzione sostenute dalle famiglie. La produzione diretta del servizio da parte del settore pubblico è stata ed è tuttora la modalità di erogazione praticata dalle nazioni dell’Europa continentale. Le tasse scolastiche rappresentano una parte molto ridotta del costo totale di produzione del servizio. La sovvenzione delle scuole private è anch’essa una pratica molto diffusa. Nella quasi totalità dei casi, essa si combina con un sistema scolastico pubblico. Quando questo ha difficoltà a coprire tutta la domanda esistente, oppure quando la società è caratterizzata da divisioni religiose, culturali, linguistiche molto forti l’erogazione di sovvenzioni è una politica praticabile. Dal punto di vista finanziario, la soluzione è certamente conveniente, a condizione che le sovvenzioni siano inferiori a quello che sarebbe in alternativa il costo della scuola pubblica. Il finanziamento è condizionato, di norma, al rispetto di condizioni circa la caratteristiche dell’insegnamento, quali l’uniformità sostanziale di studio, le caratteristiche formative degli insegnanti, il rispetto di alcuni standard tipici del servizio fornito, quali le dimensioni delle classi, la qualità dei locali. Il sovvenzionamento delle spese per l’istruzione sostenute dalle famiglie. Milton Friedman ha suggerito di sostituire l’intervento pubblico diretto con un sistema di buoni (vouchers) distribuiti alle famiglie, le quali possono spenderli presso le scuole a loro più gradite, tenendo in considerazione le qualità dell’istruzione fornita ai figli. La proposta equivale a sostituire nella scuola lo Stato con il mercato. La proposta parte da due premesse di valore, che potremmo definire rispettivamente “liberale” e “liberista”. La premessa liberale: si lascia alle famiglie la scelta del tipo di istruzione che si vuole dare ai figli. La motivazione liberista: un sistema che si approssima al mercato dovrebbe essere più efficiente di quello pubblico. Muniti dei vouchers, i genitori si dirigerebbero alle scuole che ritengono migliori, e le buone scaccerebbero dal mercato le cattive migliorando l’efficienza complessiva del sistema. La proposta ha numerosi sostenitori, però si possono avanzare alcuni dubbi sull’efficienza della proposta. Il primo concerne la difficoltà di creare un effettivo mercato della scuola. Inoltre, lasciare la briglia all’iniziativa privata assicura effettivamente la concorrenza, o può invece spartire il mercato fra pochi gruppi di operatori. Il secondo dubbio concerne i rischi di segmentazione connessi ad un sistema di scuola privata alimentato dai vouchers. L’esistenza di buoni scuola non preclude ai ricchi di pagare prezzi addizionali per acquistare servizi scolastici di qualità superiore a quella permessa dal livello dei buoni. Si avrebbe non solo un effetto negativo sotto il profilo dell’equità ma anche un effetto di inefficienza: la società darebbe ai figli talentati delle famiglie povere un capitale umano inferiore di cui si potrebbe invece avvantaggiare anche la collettività. Si spiegano così le esitazioni a adottare il sistema dei vouchers. 13. Intervento pubblico ed equità. Grafico: L’intervento pubblico nell’istruzione attua un processo d’egualizzazione, composto da due componenti: - La scuola pubblica è finanziata da imposte versate in base al reddito ma eroga prestazioni uguali per tutti, quindi i meno abbienti traggono un vantaggio netto da questo servizio pubblico perché il beneficio è superiore a quanto pagano. - L’istruzione garantita a tutti rappresenta un fattore importante di eguaglianza perché permette di distribuire il reddito da lavoro non in base alla ricchezza iniziale delle famiglie ma in base ai talenti individuali. Tuttavia è da sottolineare che il processo di egualizzazione operato dall’istruzione pubblica si realizza solo quando è garantito a tutti l’accesso ai livelli superiori di istruzione, perché sono questi a determinare poi la disuguaglianza di reddito fra le classi sociali. E nel mondo reale, anche nei Paesi sviluppati, l’accesso all’istruzione superiore non è sempre garantito a tutti i ceti sociali. Inoltre la gratuità dell’istruzione non basta, perché nelle famiglie povere e numerose i figli che proseguono gli studi non producono reddito per il sostentamento della famiglia. E l’istruzione dei figli dipende anche dalle tradizioni culturali, dal livello di istruzione dei genitori, e da tante altre variabili connesse allo status sociale. Se i membri delle diverse classi sociali accedono all’istruzione in proporzione diversa, l’effetto distributivo dell’istruzione pubblica non è più progressivo e anzi, se la sproporzione nell’accesso è molto forte, è possibile che le classi più povere vadano a pagare più di quanto ricevono e finanzino quindi gli studi delle classi più ricche. 14. Il sistema dell’istruzione in Italia. L’Italia spende per l’istruzione pubblica la stessa quota di Pil degli altri Paesi europei. Tuttavia ci sono problemi nell’utilizzo di questa spesa perché i risultati raggiunti sono molto meno soddisfacenti. Nel comparare la situazione dei vari Paesi europei prendiamo come riferimento l’accesso alla scuola superiore, perché fino alle scuole medie la frequenza è obbligatoria per tutti. In Italia solo 1 italiano su 2 accede agli studi superiori, ovvero il 51% della popolazione, contro un valore medio molto più alto dell’Unione Europea. Si spende in media di più per la scuola dell’infanzia e molto meno nell’istruzione superiore e universitaria (soprattutto rispetto agli USA, che spendono esattamente il doppio). Il rapporto tra allievi e insegnanti è potenzialmente un buon indicatore della qualità dell’istruzione, perché se il rapporto è basso i docenti possono dedicare più tempo ad ogni singolo studente. In Italia questo rapporto è bassissimo, il più basso tra i Paesi europei. Tuttavia vengono pagati meno che altrove e hanno un impegno orario inferiore. Il test di Pisa è un sistema di verifica delle conoscenze acquisite che si basa sulla sottoposizione a studenti di 15 anni di una serie di domande. È dunque un ottimo strumento di comparazione tra i vari Paesi. Esso mostra purtroppo che gli studenti italiani hanno risultati inferiori a quelli degli altri Paesi industrializzati. CAPITOLO 12: IL FINANZIAMENTO DEL SETTORE PUBBLICO Parte prima: Sistemi tributari e imposte 1.Le principali forme di entrata del settore pubblico La spesa pubblica, E, può essere finanziata tramite cinque categorie di entrate, dove: E = T + NT + ΔD + ΔA + F D + ΔD + ΔA + F A + F T sono le entrate tributarie; NT sono le entrate non tributarie; ΔD + ΔA + F D è l’indebitamento, cioè la variazione di stock di debito pubblico; ΔD + ΔA + F A è la variazione di patrimonio del settore pubblico; F è l’aiuto estero. 2. Terminologia essenziale delle imposte. Un’imposta viene definita in base a quattro elementi. a) Il contribuente è colui, persona fisica o persona giuridica, che in base alla legge tributaria ha l’obbligo di pagare l’imposta. Si distingue tra contribuente di diritto – che è individuato dalla legge - e contribuente di fatto, che è chi sopporta il peso dell’imposta in seguito al processo di traslazione. b) La base imponibile, R, è la grandezza economica sulla quale si applica l’imposta. La base imponibile può essere identificata in termini monetari oppure in termini fisici. Le imposte la cui base imponibile è definita in termini monetari si chiamano imposte ad valorem. Le imposte la cui base imponibile è definita in termini fisici si definiscono imposte specifiche. c) L’aliquota, t, è la parte di base imponibile che viene prelevata dall’imposta. Quando le basi imponibili sono identificate in termini monetari, l’aliquota è definita in termini percentuali. Quando la base imponibile è definita in termini fisici, l’aliquota viene definita in termini monetari. d) l’imposta da pagare, o debito d’imposta, I, è l’applicazione dell’aliquota alla base imponibile: I = t R Prendiamo un punto Y sulla curva di domanda, per la quantità di ore corrispondente, PY, gli imprenditori sono disposti a pagare al massimo PO in totale e PO – I ai lavoratori. La stessa operazione si può ripetere per ogni punto della curva di domanda. Si può dunque ricavare una nuova curva di domanda, D – I, che comunica ai lavoratori quanto gli imprenditori sono disposti a pagare loro per le varie quantità scambiate al netto del contributo. Il punto di incrocio fra questa nuova curva di domanda e quella di offerta determina il punto nuovo di equilibrio, E’. esso ci dice che una parte dell’imposta, E’F, è pagata dalle imprese e una parte, FF’, è pagata e incide sui lavoratori. La quantità di lavoro scambiata è diminuita. Grafico: Se tutti cercano di sfuggire all’imposta, sfuggirà di meno chi potrà di meno, cioè ha meno potere contrattuale, o di mercato. Questo è indicato dall’elasticità della curva di domanda o di offerta. Incidenza di un’imposta sulla vendita di un bene a domanda rigida. Chi domanda ha poco potere contrattuale perché ha una curva di domanda completamente rigida e quindi verticale. Viene domandata una sola quantità quale che sia il prezzo. Se viene quindi introdotta un’imposta che fa aumentare il prezzo d’offerta a O + I, al consumatore non rimarrà altra soluzione che pagare il prezzo maggiorato dell’imposta. Il nuovo punto di equilibrio, E’, è distante da E dell’intero ammontare dell’imposta. Grafico: Incidenza di un’imposta sulla vendita di un bene a domanda elastica. Caso opposto, cioè potere del compratore, avremo nel caso di domanda elastica. Qualsiasi aumento del prezzo farebbe scomparire la domanda; non resta altra possibilità al venditore/produttore se non quella di accollarsi l’intero ammontare dell’imposta. Grafico: 6. Criteri per valutare le imposte. 6.1 Efficienza/ neutralità La neutralità asserisce che le imposte non devono interferire con le decisioni economiche. Le imposte hanno due effetti principali: - effetto reddito, dovuto al fatto che, quando pagate, le imposte sottraggono reddito ai contribuenti per trasferirlo nelle mani del fisco. - effetto di benessere (detto anche eccesso di pressione) delle imposte, che consiste nel fatto che le imposte modificano i prezzi dei beni. Per questo effetto, modificano le scelte dei consumatori spostando i loro acquisti verso i beni che sono diventati relativamente meno costosi. Il criterio della neutralità suggerisce di ridurre al minimo la perdita di benessere provocata dalle imposte. 6.2 Equità L’etica e il senso comune ci dicono che le imposte devono essere ripartite in maniera equa, cioè giusta. Il dibattito sull’equità ha prodotto due principi il cui contenuto è però limitato. Il principio dell’equità orizzontale afferma che le persone che si trovano in situazione uguale per quanto concerne le imposte devono pagare quantità uguali. In altre parole, a capacità uguale di pagare le imposte deve corrispondere uguale tassazione. Il principio dell’equità verticale afferma che le imposte devono trattare in maniera diversa coloro che sono in situazione diversa, cioè che hanno capacità diversa. Per definire la capacità di pagare le imposte dobbiamo considerare una combinazione fra il reddito, il consumo e il patrimonio. Ma ci sono altri elementi che sono importanti per determinare il carico fiscale specifico di ogni persona. Quello che l’elaborazione teorica ci suggerisce è che ci sono condizioni, situazioni, e caratteristiche personali che non sono in alcun modo collegate con la capacità contributiva e che non dovrebbero mai essere considerate per la distribuzione del carico fiscale. E’ assai difficile stabilire, una volta che ci siamo messi d’accordo su che cosa dobbiamo considerare come indice di capacità contributiva, come dobbiamo trattare le diversità. È più agevole trovare consenso su qualche criterio di equità orizzontale, ma è assai più difficile metterci d’accordo su criteri di equità verticale. 7. La tassazione del consumo. Il consumo e la spesa per esso possono essere tassati in svariati modi che possono essere combinati fra loro. 7.1 Con i dazi doganali all’importazione e all’esportazione I dazi presentano significativi vantaggi sotto il profilo della fattibilità amministrativa. La determinazione dei dazi, o tariffe, da pagare è piuttosto semplice se si adotta la tecnica dell’imposta specifica. Basta infatti individuare la categoria merceologica e applicare la tariffa. Anche sotto il profilo distributivo i dazi presentano alcuni vantaggi. I dazi doganali all’entrata sono lo strumento principe della politica protezionistica. In alcune situazioni la protezione delle industrie locali, temporaneamente limitata, si giustifica con la necessità di ripararle, nella fase critica della loro crescita iniziale, dalla concorrenza delle imprese dei Paesi più ricchi. 7.2 Con le imposte di fabbricazione Consiste nel tassare i beni al momento in cui escono dalla fabbrica che li ha prodotti. In questo caso si possono applicare aliquote specifiche, cioè riferite alle unità fisiche dei beni tassati e non al loro valore. 7.3 Con le imposte sul possesso o sull’uso Questa imposizione è riservata ai beni cosiddetti di consumo durevole, cioè capaci di sopportare svariati atti di consumo. I beni tipicamente tassati in questo modo sono i mezzi di trasporto, soprattutto le auto. Un caso molto importante di tassazione del possesso è l’imposta sui servizi delle abitazioni. Si tratta di un’imposta fatta pagare a chi occupa un’abitazione, indipendentemente dal titolo di occupazione e il cui importo è commisurato al valore e/o alle caratteristiche dell’abitazione. Si paga l’imposta perché si usufruisce dei servizi di abitazione. 7.4 Con imposte su attività preliminari o accessorie al consumo Ad esempio la tassa sulla pubblicità, la tassa sul credito al consumo, le imposte di licenza sulle attività commerciali. Si tratta di imposte che possono sfruttare un gettito considerevole, e con amministrazione relativamente facile. 7.5 Con imposte sulle vendite Sono lo strumento più efficiente per tassare il consumo, dato che la vendita è effettuata ad un prezzo, che indica il valore dei beni consumati. Da un punto di vista legale/amministrativo le imposte sulle vendite non sono propriamente imposte sul consumo, dato che sono pagate, legalmente, da produttori e consumatori. Diventano imposte vere e proprie sul consumo nella misura in cui i venditori sono in grado di trasferire il loro onere sui consumatori, attraverso il processo di traslazione. inoltre le vendite di per sé stesse non riguardano solo beni di consumo, ma anche beni intermedi e capitali utilizzati da imprese e da consumatori. Sono dunque necessari accorgimenti per trasformare le imposte sulle vendite in vere e proprie imposte di consumo. Vi sono numerosissime imposte sulle vendite: - IMPOSTA SUI SOLI BENI DI CONSUMO PRELEVATA AL MOMENTO DELLA PRODUZIONE, la sua base imponibile è uguale al valore delle vendite, in questo caso vi sono pochi contribuenti da controllare; - IMPOSTA SULLE VENDITE ALLA FASE DELL’INGROSSO la base imponibile è più ampia; - IMPOSTA SULLE VENDITE AL DETTAGLIO, da queste si può trarre un grosso vantaggio, l’imposta si applica esattamente sul prezzo pagato dai consumatori. Queste imposte sono dette tutte e tre monofase, si applicano dunque su una fase sola del processo produttivo/distributivo. Tra le imposte plurifase troviamo L’IMPOSTA GENERALE SULLA CIFRA D’AFFARI, che si applica su tutte le vendite effettuate nell’economia. 7.6 Con l’imposta sul valore aggiunto (IVA) Si tratta dell’imposta più moderna fra quelle in uso attualmente. Il suo gettito è molto importante, rappresenta circa il 27% delle entrate tributarie di svariati paesi, ovvero il 5% del PIL. L’IVA è un’imposta applicata su tutte le fasi del processo produttivo distributivo. La tassazione del solo valore aggiunto è attenuta richiedendo ad ogni venditore di applicare l’aliquota dell’IVA sul suo prezzo di vendita, ma permettendogli al tempo stesso di detrarre l’IVA, che ha pagato sui suoi acquisti, da quanto deve versare al fisco. L’IVA può tassare tutti i beni prodotti sia di consumo che di investimento e in questo caso la sua base imponibile è rappresentata dal prodotto interno lordo. In quasi tutti i paesi del mondo viene utilizzata l’IVA consumo. Non si applica l’IVA sulle esportazioni ma vengono tassate le importazioni. 8. La tassazione del reddito. Vi sono due grandi categorie di contribuenti: le persone fisiche e le imprese. Le persone fisiche possono essere tassate sul reddito o con l’imposta personale, o con le imposte reali. Le imprese, a loro volta, possono essere tassate o con l’imposta personale che si applica alle persone fisiche, oppure con l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, detta anche imposta sulle società, o imposta sui profili delle società. 8.1 La tassazione delle persone fisiche con le imposte reali Le imposte reali sul reddito delle persone fisiche si chiamano anche imposte cedolari, cioè su categorie separate di reddito. Consistono in imposte separate sulle diverse categorie di reddito. Abbiamo, ad esempio, un’imposta reale sui salari, sui redditi industriali e commerciali, sugli interessi bancari sui redditi della ricchezza mobiliare, sulla proprietà immobiliare. Per ogni imposta vi sono procedure distinte per determinare il reddito netto da tassare. Per ogni imposta si fissano aliquote e/o scale di aliquote nel caso si voglia introdurre la progressività (o regressività). Sovente, le aliquote sono diverse fra le categorie di reddito. Tradizionalmente, ad esempio, i redditi da lavoro sono colpiti con aliquote inferiori a quelle applicate sui profitti. Il secondo settore si caratterizza per l’evasione elevata: in esso in contribuenti lavorano soprattutto nell’economia informale; poiché l’informazione a disposizione del fisco su di essi è molto carente, i tentativi di ridurre l’evasione sono inefficaci. Parte seconda: Le altre fonti di entrata 11. L’indebitamento. L’indebitamento, ΔD + ΔA + F D, è uguale alla variazione rispetto all’anno prima dello stock, cioè della quantità, di debito posseduta dal settore pubblico. In tutti i Paesi il debito si distingue in due categorie, rispettivamente il debito interno , DI, che fa appello al risparmio nazionale e quello esterno, DE, che viene emesso sui mercati esteri e fa appello ai mezzi finanziari messi a disposizione dai mercati internazionali. Il debito estero è di norma acceso in valuta estera. Per ricorrere al debito interno vi sono due canali principali: Il primo consiste nel ricorso diretto al mercato dei capitali tramite l’emissione di titoli di debito pubblico, di solito chiamate obbligazioni, o Buoni del Tesoro. Questo canale è accessibile quando nel Paese esiste un mercato dei capitali sufficientemente sviluppato. Il secondo canale consiste nel ricorso diretto al credito bancario. In taluni Paesi, sottosviluppati, il sistema bancario si riduce ad una sola banca, sovente di proprietà pubblica o sottoposta a forte controllo pubblico. In questi casi, il settore pubblico si “indebita presso sé stesso”. Questo fenomeno era particolarmente frequente per i governi regionali e per gli stati dei governi federali. Il ricorso al debito da parte del settore pubblico avviene in concorrenza con il ricorso al mercato dei capitali da parte del settore privato, con il rischio che il primo “spiazzi” il secondo, assorba cioè il risparmio disponibile comprimendo le possibilità di investimento da parte dei privati. Occorre dunque trovare una composizione fra le esigenze di risparmio del settore privato. La ripartizione del risparmio disponibile fra il debito pubblico e gli usi privati viene realizzata in due modi diversi. Il primo, chiamato anche sistema del razionamento del credito, presuppone un forte controllo dei mercati finanziari da parte del governo e consiste nel ripartire le risorse disponibili fra i due settori sulla base di quote determinate dal governo. Il secondo modo consiste invece nel far giocare i tassi di interesse, cioè i prezzi. 12. L’aiuto estero. È una fonte di entrata per i Paesi poveri. L’aiuto estero consiste in due tipologie principali: i prestiti agevolati e i trasferimenti a fondo perduto. L’agevolazione dei prestiti consiste nell’applicazione di tassi di interesse più bassi di quelli di mercato e nell’estensione della durata. Il contenuto di agevolazione aumenta con il grado di povertà dei Paesi. I trasferimenti possono essere sia monetari che in natura, cioè in beni e servizi. Il problema più difficile da risolvere nel caso degli aiuti in natura è quello della loro distribuzione. L’aiuto estero ha una distribuzione molto diseguale fra i Paesi beneficiari. CAPITOLO 13: IL SISTEMA TRIBUTARIO ITALIANO 2. La struttura. La struttura del sistema tributario italiano è in linea con quello degli altri paesi industrializzati. Nonostante l’Italia abbia le stesse aliquote della maggior parte degli altri Paesi, il gettito IVA è minore dell’evasione. 3 . Le principali componenti. Le componenti essenziali sono: - l’imposta sul reddito delle persone fisiche IRPEF; - l’imposta sul reddito delle persone giuridiche IRPEG; - l’imposta regionale sulle attività produttive IRAP; - l’imposta comunale sugli immobili ICI. Le imposte indirette comprendono l’IVA; le imposte di consumo o di fabbricazione, applicate su singoli beni (le cosiddette accise); le imposte sui trasferimenti di ricchezza. IRPEF è l’imposta personale progressiva sul reddito delle persone fisiche. La base imponibile è formata dai redditi da salari e pensioni, dai redditi da lavoro autonomo e da attività professionali, dai redditi di impresa e dai redditi fondiari. I redditi da attività finanziarie sono sottoposti a tassazione separate. Per i residenti in Italia il reddito è determinato su scala mondiale, ciò significa che i contribuenti sono tassati sul reddito ovunque maturato. L’IRPEF è un’imposta molto complessa. Per arrivare alla determinazione dell’imposta da pagare sono necessarie parecchie operazioni. La prima è la determinazione del reddito imponibile che viene effettuata sottraendo dal reddito complessivo gli oneri deducibili, costituiti soprattutto dai contributi previdenziali, da alcune erogazioni liberali, dalle spese mediche e dalla rendita catastale dell’abitazione principale. La seconda operazione è la determinazione dell’imposta lorda, che viene effettuata applicando al reddito imponibile la scala progressiva di aliquote. Scala delle aliquote applicabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) REDDITO IMPONIBILE ALIQUOTA Fino a 15.000 euro 23% Oltre 15.000 e fino a 28.000 euro 27% Oltre 28.000 e fino a 55.000 euro 38% Oltre 55.000 e fino a 75.000 euro 41% Oltre 75.000 euro 43% La terza operazione è la determinazione della imposta netta, che viene effettuata diminuendo l’imposta lorda di tutte le detrazioni riconosciute. Quelle più importanti sono relative a : - i familiari a carico; - il reddito di lavoro o autonomo percepito; - una miriade di spese sostenute quali: interessi passivi; spese funebri; spese mediche diverse da quelle ammesse in detrazione dal reddito; erogazioni liberali a favore dello Stato, di altri enti pubblici, organizzazioni senza fini di lucro; spese sostenute per interventi di recupero edilizio. È importante chiarire che non tutto l’ammontare delle spese sostenute può essere detratto dall’imposta lorda, ma solo il 19 per cento delle stesse. I contribuenti con reddito minimo sono esentati dall’imposta. All’imposta dovuta allo Stato si aggiungono le addizionali dovute alle Regioni e ai Comuni. Da notare che l’IRPEF viene dichiarata e pagata direttamente dai contribuenti al Fisco, tranne nei casi in cui l’imposta è calcolata e versata direttamente da chi paga il reddito attraverso il sistema della trattenuta alla fonte. La tassazione separata delle rendite finanziarie I redditi da attività finanziarie sono tassati separatamente tramite il sistema della trattenuta alla fonte. Con esso l’ente pubblico, o finanziario, o impresa che paga il reddito preleva direttamente l’imposta quando effettua il pagamento al possessore del reddito e la versa al fisco. Nel caso delle rendite finanziarie, la trattenuta è “secca”, cioè il pagatore del reddito non ha l’obbligo di comunicare al fisco il nominativo del percettore. IRES è l’imposta sul reddito delle società. la base imponibile è il reddito dell’impresa, cioè l’utile risultante dal conto economico, ma corretto secondo le disposizioni fiscali. La base imponibile, B, è determinata: B = R – L –M – IP – A + ΔD + ΔA + F A +ΔD + ΔA + F W dove: R sono i ricavi; L sono le spese per i salari; M sono le spese per acquisti di beni e servizi; IP sono gli interessi passivi; A sono gli ammortamenti; ΔD + ΔA + F A sono le variazioni delle scorte sia di prodotti finiti che di materie prime; ΔD + ΔA + F W sono le plusvalenze patrimoniali. L’aliquota è attualmente del 27,5 %. IRAP è l’imposta Regionale sulle Attività Produttive, è la fonte di entrata autonoma più rilevante per le Regioni. Si tratta di un’imposta sul valore aggiunto di tipo diretto, congegnata in modo che siano le imprese a sottrarre l’onere e non i consumatori. La base imponibile dell’IRAP è costituita dal valore aggiunto delle imprese al netto degli ammortamenti. L’IRAP tassa dunque le componenti del medesimo e cioè profitti, salari e stipendi, interessi passivi e rendite. La base imponibile viene quindi ricostruita dai dati del conto economico delle imprese con particolare accorgimento per quanto concerne il settore creditizio e assicurativo e le pubbliche amministrazioni. In particolare per queste ultime si fa riferimento al solo costo del lavoro. L’aliquota di base per il settore privato è stata pari del 4,25 % fino al 2008 quando è stata ridotta al 3,9% a fronte di un aumento della base imponibile. Nella pubblica amministrazione essa è invece pari all’8,5%. ICI è l’imposta comunale sugli immobili. Si tratta di un’imposta patrimoniale che si applica ai valori degli immobili determinati catastalmente. A partire dal 2007 è stata abolita l’ICI sulla prima casa, sono assoggettate all’ICI tutte le residenze secondarie, nonché tutti gli edifici ad uso commerciale ed industriale. IVA (imposta sul valore aggiunto). L’aliquota si applica sull’intero valore del bene, ma il venditore ha diritto a detrarre l’imposta pagata sugli acquisti di beni intermedi e d’investimento. L’imposta da versare è quindi pari alla differenza tra l’imposta incassata sulle vendite, V, e quella pagata sugli acquisti, A: T = t V – t A Le aliquote sono tre: a) l’aliquota normale si applica alla quasi totalità dei beni; b) l’aliquota ridotta del 10 % si applica all’elettricità, agli oli minerali, alle medicine e agli spettacoli; c) l’aliquota super ridotta del 4 % si applica ai beni alimentari di base, ai libri, ad alcune apparecchiature mediche e all’acquisto di nuove costruzioni residenziali. Accise: Per accisa si intende una imposta sulla fabbricazione e vendita di singoli prodotti di consumo. È un tributo interno che colpisce singole produzioni e singoli consumi. In Italia le accise più importanti sono quelle relative ai prodotti energetici, all’energia elettrica, agli alcolici e ai tabacchi. L’accisa è un’imposta che grava sulla quantità dei beni prodotti, a differenza dell’IVA che incide sul valore. Mentre l’IVA è espressa in percentuale del valore del prodotto, l’accisa si esprime in termini di aliquote, che sono espresse in termini monetari e che sono rapportate all’unità di misura del prodotto. Nel caso dei prodotti energetici le aliquote sono rapportate al litro, come nel caso della benzina e del gasolio, oppure al chilo nel caso degli oli combustibili e del GPL. L’accisa concorre a formare il valore dei prodotti, ciò vuol dire che l’IVA sui prodotti soggetti ad accisa grava anche sulla stessa accisa. Nel caso dell’accisa sui carburanti vi è anche un’accisa regionale; cioè, le regioni hanno diritto ad applicare una loro propria aliquota che si aggiunge a quella dello Stato. Anche nel caso dell’energia elettrica vi sono due addizionali, comunale e provinciale, che si aggiungono all’accisa, cioè all’imposta di consumo statale. Imposta di sulle successione donazioni: Nel 2001 essa è stata abolita. L’abolizione è stata sorprendente, data la funzione tradizionalmente assegnata all’imposta di equalizzare i punti di partenza, riducendo le disparità patrimoniali trasmesse con le eredità. Nel 2007 l’imposta è stata reintrodotta anche se con aliquote contenute. Le aliquote sono relativamente basse e scalate in ragione del grado di parentela fra beneficiari e donatori.