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Riassunto «Esperienze Pastorali» di Don Lorenzo Milani, Tesine universitarie di Teologia

Elaborato per il seminario di studio: «PERIFERIA GIOVANI» Tra Analisi Sociologica E Riflessione Teologica Nell'anno Del Sinodo «Esperienze Pastorali»

Tipologia: Tesine universitarie

2019/2020
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Scarica Riassunto «Esperienze Pastorali» di Don Lorenzo Milani e più Tesine universitarie in PDF di Teologia solo su Docsity! Istituto Teologico di Assisi aggregato alla Facoltà di Sacra Teologia della Pontificia Università Lateranense Anno accademico 2017/2018 Elaborato per il seminario di studio: «PERIFERIA GIOVANI» Tra Analisi Sociologica E Riflessione Teologica Nell'anno Del Sinodo «Esperienze Pastorali» Candidato: Refael TAYM (ITA2007) Docente: Prof. Mariano BORGONONI Assisi 2018 2 INDICE INTRODUZIONE ........................................................................................................3 1.PARTE PRIMA ..................................................................................................6 1.1. FEDE E VITA QUOTIDIANA ........................................................................................... 6 1.1.1. Fede e Sacramenti.............................................................................................. 6 1.1.2. La ricreazione .................................................................................................... 7 1.1.3. L’istruzione civile .............................................................................................. 9 1.1.4. L’indirizzo politico .......................................................................................... 11 1.2. PRIMA APPENDICE : ....................................................................................................... 13 1.2.1. Lettera a un predicatore ................................................................................... 13 2.PARTE SECONDA ..........................................................................................14 2.1. L’ESODO E I SUOI PRELIMINARI .............................................................................. 14 2.1.1. Il flusso migratorio dalla montagna alla pianura ............................................. 14 2.1.2. Situazione e condizione abitativa delle case .................................................... 15 2.1.3. Esempio di libertà e d’anticoformismo ........................................................... 19 2.2. SECONDA APPENDICE ................................................................................................... 21 2.2.1. Lettera all’oltretomba ...................................................................................... 21 2.2.2. Lettera a Don Piero .......................................................................................... 23 CONCLUSIONE : .................................................................................................................... 27 BIBLIOGRAFIA : .................................................................................................................... 29 5 previsti cercò una prefazione "autorevole", dapprima in mons. Montini (il futuro Paolo VI) ma poi finì per preferire mons. Giuseppe D'Avack, arcivescovo di Camerino. Nella prefazione di mons. D’Avack si legge: Se finalmente con la Grazia di Dio non ci decidiamo da noi a ritornare al Vangelo puro e semplice, se non ci decidiamo a ricollocare nel giusto posto tanti mezzi umani, di cui crediamo oggi di non poter fare a meno per far del bene, e soprattutto e fondamentalmente se noi Sacerdoti non ci decidiamo a fare il passo in avanti, decisivo e supremo, verso la piena attuazione della vita sacerdotale, il Signore permetterà che tutto questo ci sia imposto “con braccio potente” (Dt 5,15): e non sarebbe la prima volta nella vita della Chiesa. E allora ci accorgeremo che senza quei mezzi e proprio perché privati di quei mezzi, ritroviamo l’efficienza dell’opera redentrice, la quale si è compiuta proprio mediante la mancanza di quei mezzi.6 Esperienze pastorali, 477 pagine ricche di strumenti propri dell’indagine sociologica, è suddiviso in due parti: Prima parte: fede e vita quotidiana; è analizzata in quattro capitoli: fede e sacramenti, la ricreazione, l’istruzione civile, l’indirizzo politico e chiude con l’appendice «Lettera a un predicatore». Seconda parte divisa in tre capitoli, dove sono descritti: «l’esodo e i suoi preliminari», la condizione sociale ed economica del popolo di San Donato (il flusso migratorio dalla montagna alla pianura), delle “case” (situazione e condizione abitativa), del lavoro (situazione e condizione, e il lavoro minorile); chiude questa seconda parte la «Lettera dall’oltretomba» e quella bellissima «Lettera a don Piero». Prima dell’indice, in due paginette, viene precisato un ringraziamento affettuoso e ammirato ai piccoli barbianesi, agli allievi Scuola popolare e quella Serale, (nominati tutti) che hanno curato i disegni e i grafici, che hanno gioiosamente donato tutto il loro tempo libero per accollarsi la revisione delle bozze, che hanno collaborato alla stesura dell’opera, e per l’impostazione ideologica dell’opera intera e per l’informazione sull’ambiente operaio e contadino. 6 Giancarlo PANI, Quaderno, op.cit, pp. 534 – 545.. 6 1. PARTE PRIMA: 1.1. FEDE E VITA QUOTIDIANA 1.1.1. Capitolo primo: Fede e Sacramenti Dall’analisi sociologica dei sacramenti e dei riti somministrati nella parrocchia di S. Donato, Don Milani ricava un quadro desolante del rapporto dei parrocchiani con la religione che essi giudicano «roba da ragazzi e da donne»7. È La questione di fondo riguarda la maturità religiosa del popolo di Dio. Questo campionario dell’ignoranza religiosa fa rabbrividire don Milani. Per i suoi parrocchiani, infatti, «il peccato originale fa meno male di una infreddatura, la confessione serve per fare la comunione» ; cio’è, lo stare in grazia di Dio non è dunque il problema quotidiano fondamentale del cristiano; «l’eucaristia non è un dono ma un obbligo, e serve per celebrare le feste, l'olio santo è un sacramento spaventoso», il buon figliolo cura che i genitori non s'accorgano di riceverlo, le feste religiose sono solennizzate dal clero e vissute dal popolo, ma solo esteriormente e formalmente, superficialmente: e qui viene accusato il sistema degli oratori, che raccolgono i ragazzi, li fanno giocare, ma non sanno suscitare domande, non formano, nulla che vada al di là della pura ritualità.. Il fatto è che manca un elemento indispensabile: un minimo di «istruzione». L'esperienza fatta nella Scuola Popolare [sic] ci dice che quando un giovane operaio o contadino ha raggiunto un sufficiente livello di istruzione civile, non occorre fargli lezione di religione per assicurargli l'istruzione religiosa. Il problema si riduce a turbargli l'anima verso i problemi religiosi. E questo, col lungo contatto assicuratoci dalla scuola, ci è risultato estremamente Iacile.8 Nel suo complesso, la religione è solo un adempimento di rito e non vale “quanto la piega dei pantaloni”9. Perché? Simplicimente don Milani soffermadosi sull’abisso di ignoranza religiosa degli adulti e sul rapporto tra istruzione civile e istruzione religiosa, vede che il problema dell’istruzione religiosa è la mancanza del mezzo indispensabile che 7 Lorenzo MILANI. Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1957, pag. 87. 8 L. MILANI, Op.cit, p. 51. 9 L. MILANI, Op.cit, p. 120. 7 è un minimo di preparazione linguistica e di logica, cioè la parità sociale col resto del mondo. La sua preoccupazione fondamentale è stata sempre quella catechetica: il frutto dell’azione pastorale sarà dunque un popolo di iniziati correttamente alla catechesi. È la tensione finale di tutta l’opera di don Milani, che è espressa alla fine del capitolo: Fondamento della preghiera liturgica è il possesso della Dottrina. Fondamento della Dottrina è (a mio avviso) quel minimo di padronanza del linguaggio che dovrebbe distinguere l’uomo dalla bestia, ma che manca invece a gran parte di questo popolo […] Lasciatemi dunque il tempo di fare le cose per benino, rifacendomi cioè dalla grammatica italiana e su nel giro di venti anni vi riempirò di nuovo la chiesa. Ma questa volta d’uomini ardenti, preparati e coerenti...10 Don Lorenzo trae l’esigenza pastorale di abolire le feste, le processioni e le funzioni tradizionali e di puntare sull’istruzione, perché lo stato di inferiorità culturale impedisce la comprensione del catechismo, della Parola di Dio e delle omelie del sacerdote. e la scuola era il mezzo per colmare questo «fossato culturale» come lo chiama lui. 1.1.2. Capitolo secondo: La ricreazione Dalle analisi precedenti dei comportamenti della gente di S. Donato, supportata nel libro da dati raccolti in grafici e tabelle, riguardanti la frequenza alla messa da parte degli adulti (quanti uomini e quante donne), il numero delle comunioni (in occasione di quali feste, quanti giovani e quanti vecchi), la presenza dei ragazzi alla dottrina (a che età abbandonavano), don Milani decide di puntare sulla Scuola Popolare [sic]: la scuola è il primo segno della pastorale del sacerdote. Don Milani che era nato in una famiglia ricchissima e non gli mancava nulla, lui che ad un certo punto ha intuito che la sua vita sarebbe stata dall’altra parte tra i poveri dell’Oltrarno, tra i contadinelli di Montespertoli, tra gli operai di Calenzano e Prato, tra i pastori del Mugello, tra coloro che non avevano alcuna possibilità di accedere alla parola ed alla conoscenza e volle dare a tutti questi un chance in più per potersela giocare nella 10 L. MILANI, Op.cit, pp. 87,88. 10 allora questi operai verranno che lasceranno in esso le ricreazioni del mondo, che s’arrenderanno nelle mani del loro prete per lasciarsi costruire da lui.18 Don Milani si convince che sia dovere della Chiesa occuparsi dell’istruzione dei suoi fedeli, soprattutto dei più deboli. Maestro, dunque, prima ancora che prete: è l’intuizione di Don Milani, partire dalla scuola. In Italia gli analfabeti sono 5 milioni, il 13% della popolazione italiana. Don Milani decide di partire dalla lettura dei giornali in classe, analizzando i temi dell’attualità e soffermandosi a lungo sui termini difficili: «Con la scuola non li potrò far cristiani ma li potrò far uomini». Egli è convinto che solo la cultura possa aiutare i contadini a superare la loro rassegnazione e che l’uso della parola equivalga a ricchezza e libertà. Deve essere un luogo che accetti tutti; alle parole decide di togliere il crocifisso dall’aula scolastica affinché ciascuno, credente o ateo, si possa sentire a casa sua, perché non doveva esserci alcun simbolo che potesse far pensare ad una scuola confessionale e per ricordare a tutti il compito primario dell’elevazione civile, culturale e morale di ogni essere umano, perché non voleva condizionare nessuno. Così commenta Ernesto Balducci nel suo libro “L’insegnamento di don Lorenzo Milani”: Milani era arrivato persino al punto di togliere il crocifisso dalla scuola, perché non voleva condizionare nessuno. Ciò non significava che egli non portasse dentro di sé tutto il Cristo della sua passione evangelica. Nella scuola, però, il processo formativo specifico non è l’apprendimento delle verità cristiane, bensì la crescita della libertà, dell’autonomia, della capacità di autodeterminarsi. Questa è la teologia della liberazione! Questo è l’essenziale!.19 Milani aveva fatto della scuola che è lo strumento per dare la parola ai poveri perché diventassero più liberi e più eguali, per difendersi meglio e gestire da sovrani l’uso del voto nelle elezione e dello sciopero. A S. Donato Calenzano don Milani costruisce una comunità, dove ogni regola gerarchica viene sconvolta. 18 L. MILANI, Op.cit, p. 239. 19 E. BALDUCCI, L’insegnamento di don Lorenzo Milani (d’ora in poi cit. con la sigla IM), a cura di M. Gennari, Laterza, Roma-Bari 1995, p.87. 11 1.1.4. Capitolo quarto: L’inderizzo politico Un capitolo importante del conflitto e contrasto politico tra don Milani e la Chiesa fiorentina erano state le elezioni amministrative del 1951/53. I vescovi toscani avevano emanato/ promulgato un decreto per prescrivere ai cattolici il dovere di votare per quei candidati che difendevano i diritti di Dio della Chiesa e della famiglia cristiana. Don Milani è considerato avversario dalle Sinistre ed una minaccia per la Chiesa fiorentina che mal tollerava il suo schierarsi con gli ultimi, gli umili, i poveri, i diseredati, gli sconfitti, i contadini, gli operai, mentre essa continuava ad essere prevalentemente con i potenti, i ricchi, i padroni; ed infatti il favore di don Lorenzo soprattutto nella sua permanenza a S.Donato non fu mai affidato a quel Partito nè ad altro Partito di Sinistra, preferendo concedere il proprio sostegno alle persone che, rappresentassero davvero i bisogni della povera gente: operai, sindacalisti, contadini, consiglia ai suoi parrocchiani di votare; per la Dc dando la preferenza ai sindacalisti ma non per i partiti laici con i quali era alleata perché li riteneva non cristiani e massoni; criteri strettamente classisti. Alle elezioni politiche del 1953 il ragionamento politico di don Milani si fece più sottile e scomodo per la Curia. Don Milani comincia a percepire nell’anima lo scarto tra le opportunità in cui è cresciuto e la miseria materiale e intellettuale in cui versa il popolo che gli è stato affidato e a maturare una profonda coscienza sociale. Specialminte in questi anni che sono gli anni delle grandi lacerazioni politiche attorno alle elezioni, gli anni dopo la scomunica ai comunisti nel 49. Don Milani Fa scuola perché capisce che chi non ha la cultura minima per leggere un giornale o un contratto di lavoro non è in grado di difendersi dallo sfruttamento né di elaborare un pensiero critico. Si rende conto che senza la comprensione delle parole l’orizzonte della vita umana si riduce alla conquista di un piatto di minestra la sera e che anche l’ascolto della Parola rischia di diventare soltanto una continua celebrazione di riti, di cui non si comprende il significato. La Chiesa inizia a guardare con diffidenza a questo prete irregolare, non rispetta le norme, e pieno di entusiasmo, che essa considera una risorsa ma anché come una sfida per le gerarchia ecclesiastica. Per la Curia fiorentina don Milani era un prete scomodo. Un anno dopo, per punizione, lo esiliò a Barbiana, perché ha un atteggiamento molto 12 diverso, perché concentra le proprie energie solo nella scuola serale laica ed aconfessionale, e viene accusato di confondere le idee politiche dei suoi alievi con discorsi molto complessi. Il libro, che egli getta sul mercato, non è sul giusto binario, non corre nel senso dell’edificazione, non chiarisce le idee, non convalida le buone volontà, ma, al contrario, confonde le menti,esaspera gli spiriti, scalfisce la fiducia nella Chiesa e suggerisce propositi sconsigliati. Ad ogni pagina, o quasi ad ogni pagina, c’è qualche cosa di acido, di stonato, di controproducente. Il cuore si restringe al pensiero che un sacerdote scrive con stile tanto risentito ed incontrollato. [...] Il cuore si restringe al pensiero che un sacerdote scriva con stile tanto risentito ed incontrollato.20 Nella sua scuola denigra governo e partito cattolico. Ma per lui il voto rimane un dovere di coscienza per i suoi effetti interiori. Il pensiero e l'opera di don Milani sono stati oggetto di continui tentativi di cattura ideologica, confessionale e politica. Il valore politico della sua lotta è la guerra contro la cultura borghese, la scelta dell'anticultura, la scelta degli sfruttati come compagni di strada, la necessità di cambiare, l'analisi spietata della scuola e del suo classismo» (Scuola documenti, 1975). Sarebbe proprio assurdo cercar di deformare questo sacerdote, farne "uno dei nostri". Non è marxista, si capisce. Non gli interessa che i "poveri" non siano più "poveri", gli interessa che si salvino («Rinascita 1970). Queste diverse utilizzazioni degli scritti e dell'opera di don Milani sono state rese possibili in quegli anni, come si è accennato, soprattutto dalla mancanza di studi che, più che ad esaltare la "correttezza" di certe prese di posizione del Priore di Barbiana, mirassero ad offrire una interpretazione unitaria del suo pensiero ed a rendere conto delle "contraddizioni" individuate nella sua opera.21 20 Antonino BENCIVINNI, (Civiltà Cattolica», 1958). Don Milani: esperienza educativa, lingua, cultura e politica, P.17. 21 A. BENCIVINNI, Op.cit, pp. 17,18. 15 si sa se la bocca che le dice appartenga a una persona viva che vive quello che dice oppure a un anonimo incaricato? Non sono più tempi in cui la gente credeva alla parola solo perché la sentiva infocata e rotta dal pianto. Nessuno si fida più di nulla che non sia vissuto prima che detto. Ed è giusto. E Gesù stesso ha molto più vissuto che parlato. E molto più insegnato col nascere in una stalla e col morire su una croce che col parlare di povertà e di sacrificio".24 È uno dei molti argomenti d’indagine affrontati nella Scuola di Barbiana, cio’è i motivi che spingevano tanti contadini e pastori ad abbandonare la terra e la montagna e riversarsi in città alla ricerca di migliori condizioni di vita. Era un esodo biblico che interessò, dalla fine degli anni cinquanta a tutti gli anni sessanta, tante zone d’Italia. A Barbiana la sofferenza nell’assistere alla partenza verso il piano dei ragazzi così indifesi divenne per don Lorenzo più acuta. Usò tutta la sua forza di persuasione per convincere le famiglie a fermarsi per permettere ai loro figli di attrezzarsi di una istruzione superiore. Alcune accettarono di rimanere, nonostante la fatica dei papà che magari avevano già il lavoro nei comuni sottostanti e che quindi partivano col buio e tornavano col buio, altri rifiutarono e partirono. Il prete di montagna continua a raccontare che ora non fa altro che scuola perchè nonostante non li possa far cristiani sa di poterli fare uomini, anche i suoi predecessori lo sapevano ma hanno preferito continuare a parlare con i muri. Egli si sente parroco solo nel far scuola perché ora quei ragazzi li sente vibrare alla cultura, al pensiero, alla fede, e guardano i loro genitori con una pietà accorata di giudici e superiori. 2.1.2. Capitolo secondo: Situazione e condizione abitativa delle “case” ... «La cultura dei poveri è diversa e non è inferiore a quella dei ricchi»25. Questa frase è un riferimento alle parole di don Milani di una sua lettera al Direttore del “Giornale del Mattino”, affronta tutto il secondo capitolo riguarda la situazione e condizione abitativa della montagna e il discorso della miseria, intesa non come mancaza di pane o di un tetto sotto cui abitare, ma la miseria d'istruzione: 24 L.MILANI, Op.cit, p. 339. 25 A. BENCIVINNI, Op.cit, p.77. 16 Caro direttore, il tuo giornale si prende spesso a cuore la sofferenza dei disoccupati e dei senza tetto e te ne siamo tutti grati. Tetto e pane sono fra i massimi beni. Mancarne è dunque una delle massime miserie. Eppure l'uomo non vive di solo pane. C'è dei beni che sono maggiori del pane e della casa e il mancare di questi beni è miseria più profonda che il mancare di pane e di casa. Questo tipo di beni chiamerò ora per comodità di discorso « istruzione », ma vorrei che tu prendessi questa parola in un senso più largo, comprensivo di tutto ciò che è elevazione interiore. A questo punto qualcuno insinuerà che presto al povero sentimenti che sono miei e che nulla al mondo preme al povero quanto la casa e il pane. Lo cheterò allora con un argomento che non ammette repliche perché è un dato di fatto. Sono parroco di montagna non molto lontano da Firenze. Il mio popolo contava 230 anime nel 1935, ora ne conta 124. Solo dall'anno scorso in qua ne ha perse 24. Su 25 case ce n'è 7 vuote. Diglielo a La Pira, 7 case vuote! E non manca neanche un boccone di pane per chi ci volesse tornare. Sudato, strappato, ma insomma bene o male quando c'erano quei 106 in più hanno mangiato e non sono morti di fame. E la terra allora rendeva meno d’ora. Vedo poi nel tuo giornale che pagate la legna a 1200 lire il quintale. Penso che i vostri disoccupati devono aver patito un gran freddo quest'inverno. Noi invece s'è tagliato quercioli e querci quanto c'è parso. Nel focolare dei più poveri dei miei figlioli brucia ogni giorno certi ceppi che a voi altri vi basterebbero due inverni. Qui dunque case a scialo, legna a scialo, e un boccone di pane per tutti. E a Firenze La Pira a arrabattarsi coi barroccini degli sfrattati da un uscio all'altro. Perché non ce li manda quassù? Ecco, vedi, anche lui, che i dolori dei poveri in città li ha ben presenti, lui che di montagna non se ne intende, l'ha fiutato però che quella parola non la poteva dire. « Vacci te! » « Perché io? Vacci te! » griderebbe ognuno a Firenze dal più grande al più piccolo. Lo direbbe chi lavora al disoccupato, lo rinfaccerebbe il disoccupato a chi lavora. La Pira non è di quelli che dicono che i montanari scendono al piano per andare al cinema. Lui non offende così un popolo intero che migra. Un popolo intero, non due o tre giovani sconsiderati e avventurosi. Un popolo intero, coi saggi vecchi e le donne di casa che non hanno più grilli per il capo. Sono scesi al piano e son disposti anche a morirvi di fame, di freddo e d'altri stenti, ma ai monti non risaliranno mai. Qualcuno dice che se i disoccupati e i senza tetto non vi salgono è solo perché non sanno più i mestieri dei monti. Eh sai, ce ne sarà di molti dei vostri disoccupati che non sanno i mestieri dei monti! Fate un po' una statistica sui luoghi di nascita dei vostri manovali disoccupati. Al più lungo saranno scesi da una generazione. Ma i più sulla terra e sui monti ci son nati e saprebbero ancora guadagnarsi il pane con l'accetta nel bosco e anche adattarsi al nostro tipo di stenti perché l'han lasciato da poco e ci son cresciuti. Saprebbero, ma non s'adattano. C'è dunque qualcos'altro. Questo qualcosa è ciò che ho detto di voler chiamare istruzione e comprende tutte le infinite piccole grandi cose che pongono un montanaro in condizioni di inferiorità e d'umiliazione di fronte al cittadino. 17 Sull'analisi di questo fatto non ho bisogno di dilungarmi. Mi basta per ora averne dimostrato l'esistenza. Dicono che l'esodo dai monti è un salto dalla padella nella brace. Ma nessuno ritorna indietro, dunque quel qualcosa che brucia più della brace esiste. E quel qualcosa è per forza il dislivello culturale perché non vedo cos'altro possa essere se non è né il pane né la casa. Ciò che dico dei montanari rispetto a quelli di piano vale poi coll'identico peso, anche se a livelli diversi, per i contadini rispetto ai pigionali, per i campagnoli rispetto ai cittadini, per gli operai rispetto ai diplomati. Le conseguenze di questi quattro dislivelli culturali sono gravissime, e si estendono ai campi più vari e imprevisti. Mi basti qui accennarti che su chi sa meno gioca bene il propagandista politico, il commerciante, 1'imprenditore, la Confindustria, il distruttore di religione, il corruttore, lo stregone... Ma ti risparmio il quadro doloroso che potrei tracciarti di questa che è la miseria più grave dei miseri e che riassume tutte le altre loro miserie, perché suppongo che tu ne sia già compreso da tempo. Veniamo piuttosto a analizzarne l'intima essenza. Credi proprio che uno dei miei ragazzi di montagna abbia un numero di cognizioni molto inferiore di un suo coetaneo di città? Dieci anni di occhi di ragazzo spalancati sul mondo sono dieci anni qui sul Monte Giovi come in via Tornabuoni. E nel tempo che i vostri figlioli posavano gli occhi su un mucchio di cosette scelte, i miei non li tenevano mica serrati, li posavano su altre cosette. I vostri conoscono il dinosauro e il puma ma non conoscono un conigliolo maschio da una femmina. I miei non sanno i colori del semaforo né se un rubinetto si giri a destra o a sinistra, ma in compenso sanno tutto sulla vita del bosco coi suoi infiniti nidi, rettili, piante, col volgere delle stagioni e delle ore. Dieci anni valgon dieci anni, credi a me. Va bene che sui libri c'è una concentrazione di osservazioni che con gli occhi nostri e basta non si potrebbe raggiungere. Ma qui in compenso, nel grande libro del bosco e del campo, c'è una concretezza di osservazioni che sui libri non si raggiungerà mai. Ma oltre al libro del bosco c'è anche quello delle famiglie. Sulle famiglie e le loro leggi e i loro rapporti sa troppo di più un ragazzo di qui che uno dei vostri. Passa un trasporto e non sapete chi è morto, come è morto, se ha lasciato dietro di sé pianto e litigi. Cosa volete dunque saperne della vita all'infuori del ristretto cerchio di casa vostra o di quello dei libri che leggete e vi ingannano perché di solito lì ha scritti gente isolata nel guscio come voi? Tutto questo discorso solo per concludere che è da presumersi a priori che per es. un boscaiolo di vent'anni sia ricco di cognizioni e d'una visione del mondo pari a quella d'un universitario di vent'anni. Non voglio dire eguale, ma equivalente si. Più ricca da una parte, più povera da un'altra. In conclusione: certo non inferiore. Anzi, se proprio dovessi dire la mia opinione sono incline a credere che Dio abbia voluto dare piuttosto qualcosa di più al diseredato che all'altro: in buon senso, equilibrio, realismo ecc. Ebbene, ora questi due uomini che abbiamo detto certo non inferiori l'uno all'altro per ricchezza interiore, mettiamoli di fronte l'uno all'altro in discussione. Oppure di fronte ai problemi quotidiani che la vita moderna impone, e vedremo il mio figliolo cadere al primo colpo. Umiliato, battuto in mille occasioni dal primo bellimbusto di studentello cittadino. Forse che il semaforo o il rubinetto (opere di mano d'uomo) valgono più del bosco (opera di Dio)? Forse che fra le cognizioni c'è una gerarchia di valori? Alcune (quelle di città) nobili e utili; altre (quelle del bosco) ignobili e vane. Se quella 20 Non si può ammettere che esista ancora una casta inferiore e tanto meno che non se ne possa uscire. La nostra proposta [certamente era una proposta provocatoria] più moderata sarebbe una legge così redatta: Art. 1. La terra appartiene a chi ha il coraggio di coltivarla. Art. 2. Le case coloniche appartengono a chi ha il coraggio di starci. Art. 3. Il bestiame appartiene a chi ha il coraggio di ripulirgli ogni giorno la stalla. Art. 4. I boschi appartengono a chi ha il coraggio di vivere in montagna. CONTINUA: E’ nostra opinione però che una così tardiva giustizia non basterebbe a fermare l’esodo. Bisogna recuperare anche tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla terra verso i salotti cittadini. Rendere queste ricchezze ai loro veri proprietari, trasformarle in bagni, sciacquoni, scuole, strade, trattori, canali. Bisogna buttare tutte queste cose ai piedi dei contadini, supplicarli di perdonarci e di fermarsi. Ma anche per questo è già tardi.27 Ma anché in questi ultimi tre capitoli: «L'esodo e i suoi preliminari», «Le case», e «Il lavoro» esprime oltre il suo punto di vista sociale, politico, quello religioso mettendo in risalto il fallimento della pastorale cattolica in un paese che era cristiano ormai solo d'anagrafe. Molto importante è il capitolo dedicato alla casa, nel quale don Milani dimostra la materiale impossibilità, per questi ceti/classi , d'arrivare ad avere un'abitazione almeno decente per la propria famiglia. Le conclusioni un invito per un impegno che non si può tralasciare o negare, dei cattolici a promuovere una vasta e profonda riforma sociale. In Don Lorenzo Milani esisteva sempre "uno spiraglio di consolazione" di tipo provvidenziale: Certo Dio che ha guidato gli uomini verso la città non negherà a situazione nuova la grazia di nuovi preti e nuovi metodi. Per ora ci si vede molto buio e non si può assistere a queste partenze senza un brivido. C’è però verso di vedere anche uno spiraglio di consolazione. Una popolazione come la nostra, di cui una parte si dice cristiana pur mostrando, come abbiamo visto, la più assoluta indifferenza per la Grazia,e un’altra grossa parte si dice comunista e non è riuscita ancora a spremere neanche un trasporto civile, è malata innanzi tutto di incoerenza. La città le potrà dunque far del bene. Come il formalismo incoerente dei montanari s’è attenuato qui a S. Donato, così sparirà del tutto a contatto del mondo aperto e generoso degli operai cittadini. Quando le loro menti saranno aperte sarà è più facile riparlar loro del Signore. Da un lato dunque vanno verso la mancanza del sacerdote, dall’altro vanno verso l’apertura interiore. Guai a chi si rallegra, guai a chi si dispera. Signore, perdonaci per l’occasione che abbiamo sprecata. 27 L.MILANI, Op.cit, p. 338. 21 L'ultima pagina della trattazione si chiude con una visione di sangue: si scatena l'ira dei poveri contro un clero e una Chiesa che non ha capito e soprattutto non ha praticato: la povertà e lo spirito del Vangelo: si chinde su una frase incompleta macchiata di rosso, con l'annotazione da parte dei missionari cinesi: «Sanguis iste non est venerandus»; «Questo sangue non è venerato». 2.2. Seconda Appendice 2.2.1. Lettera all’oltretomba la Lettera dall'oltretomba, provocatoria richiesta di perdono per un clero accecato dall'amore dell'ordine e della prudenza, che non si rende conto di quanto, «nel dormiveglia» si sia allontanato dagli ideali evangelici. è la lettera immaginaria di un «povero sacerdote bianco della fine del secondo millennio». Qui Milani parla del fatto che i preti abbiano dormito e dormono ancora. E prima di addormentarsi sono stati accecati. Quindi non sono solo intorpiditi, مخّدرين ma sono anche incapaci di vedere la realtà. E questo è l’altro grande principio del metodo pastorale di don Milani: vedere la realtà; cio’è guardare in faccia le persone e attraverso i loro occhi guardare in faccia i problemi. Ma sempre, prima di tutto, guardare le persone. Leggiamo alcune frasi da questa lettera immaginaria: Cari e venerati fratelli, voi certo non vi saprete capacitare, come prima di cadere noi non abbiamo messa la scure alla radice dell’ingiustizia sociale. È stato l’amore per l’ordine che ci ha accecato. (Che cos’è l’ordine? Oltre che essere un principio fascista, l’ordine è un principio irreale, perché la vita è espansione, la vita è slancio, la vita è crescita, la vita è disordine. Voler mettere sempre tutto in ordine significa costruire una realtà immaginaria, in cui le cose vanno secondo ragione, non secondo amore). Continua: Sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest’ultima nostra debole scusa supplicandovi di credere nella nostra inverosimile buona fede «ma se non avete come noi provato a succhiare col latte errori secolari non ci potrete capire». 22 Lo dice chiaramente don Milani l’immaginario, rivolgendosi a suoi altrettanto immaginari confratelli missionari in Cina: «Noi non abbiamo odiato i poveri, come la storia dirà di noi. Abbiamo solo dormito». Cio’è Non abbiamo scacciato i poveri dalle nostre chiese. Li Abbiamo semplicemente ignorati. abbiamo fatto finta di non sentire che stavano bussando alla nostra porta. E di più: È nel dormiveglia che abbiamo fornicato/ ci siamo alleati col liberalismo di De Gasperi, coi Congressi Eucaristici Franco [dittatore della Spagna]. Ci pareva che la loro prudenza ci potesse salvare. La prudenza è una qualità umana, la grazia è l’agire divino. Sono due cose diverse. Vedete dunque che ci è mancata la piena avvertenza e la deliberata volontà. «Quando ci siamo svegliati era troppo tardi: i poveri erano già partiti senza di noi». Questo è il dramma a cui Esperienze pastorali vorrebbe trovare una soluzione. I poveri sono partiti senza di loro. Siamo rimasti soli, senza i nostri migliori compagni di viaggio. Invano avremmo bussato alla porta del convito. Insegnando ai piccoli catecumeni bianchi la storia del lontano 2000 non parlate loro dunque del nostro martirio. Dite loro che siamo morti e che ne ringrazino Dio. Troppe estranee cause con quelle del Cristo abbiamo mescolato. Essere uccisi dai poveri non è un glorioso martirio. Perché è così importante viaggiare con i poveri? Perché i poveri sono i contadini e gli operai e – come abbiamo già visto – senza di loro non c’è conoscenza. Senza di loro il nostro sapere è un’erudizione dottrinaria e dogmatica, inutile alla vita e addirittura dannosa. Ed ecco la domanda: Saprà Cristo rimediare alla nostra inettitudine/la nostra Mancanza di attitudine? E’ Lui che ha posto nel cuore dei poveri la sete della giustizia. Lui dunque dovranno ben ritrovare insieme con lei [la giustizia] quando avranno distrutto i suoi templi, sbugiardato i suoi assonnati sacerdoti. 28 L’obiettivo pastorale che si stabilisce don Lorenzo non è quello di riportare la gente in chiesa, ma di incontrare Cristo negli operai e nei contadini. E questo cambia completamente la prospettiva: non una Chiesa che deve evangelizzare e mantenere elevati gli standard di appartenenza: tanta gente alla messa domenicale, un’elevata frequenza ai 28 L.MILANI, Op.cit, p. 437. 25 era avverso al gioco e allo sport. Era convinto che c’è un tempo per ogni cosa. E nel momento in cui il mondo è dei ricchi e la cultura e la sapienza dei poveri viene dimenticata e Gravemente offesa, calunniata, occorre assolutamente fare le cose seriamente. Come? camminando nella direzione inversa. Questa promessa di riprendere a lavorare distrugge l’uomo più ancora del licenziamento. L’una e l’altra possono fare di un uomo un cencio, di un operaio feroce, forte, intelligente e libero un agnellino in gabbia. Ecco cosa ha segnato per certa gente la presa della Bastiglia:la libertà per i ricchi. E per i poveri solo quella di scegliere tra l’offrire le mani alle manette spontaneamente e di morire di fame.31 Che libertà è quella di essere o schiavi o affamati? che diritti sono quelli che prevedono il diritto alla morte, non alla vita, il diritto alla frustrazione, non alla felicità?. Da qui và ad un ponto molto bello, dice che conoscere le persone questo è l’ultimo principio della metodologia pastorale di don Lorenzo: conoscere le persone, mescolarsi con la loro quotidianità. Milani si impasta con la vita dei suoi parrocchiani. È uno di famiglia nelle famiglie della sua parrocchia. Questa seconda lettera aperta racconta di tanti giovani di cui lui è stato fratello maggiore o padre; di donne vedove, madri, mogli di cui è stato un sicuro punto d’appoggio. Ha condiviso le loro fatiche, le loro sofferenze, le loro lacrime. Ecco un enunciato di questo principio: Qui bisogna parlare di uomini in carne e ossa, con un nome e un cognome. Gente che si è vista in viso, di cui si sa come è composta la famiglia. Esca don Enrico dal suo studio, entri in casa di Mauro. S’immerga sotto il peso di tre o quattro disgrazie come le ha lui. Si provi ad alzare gli occhi sul suo viso. Sul viso che Mauro ha ora, mentre mi pedala accanto. Quello che ha in chiesa. Quello che ha sui banchi della scuola popolare.32 E su questo terreno Milani incontra il suo più grande problema, il problema della relazione con la chiesa gerarchica: è il problema dell’obbedienza. A forza di conoscere le persone, don Lorenzo si trova nel bel mezzo di un vortice دوامة . Si sente spinto con forza, conficcato dentro alla tensione contraddittoria di una chiesa che è trainata dal vangelo verso gli operai, ma allo stesso tempo è e rimane una chiesa dalla parte dei ricchi. La via che don Milani ha intuito e che lui ha praticato ha anzitutto una caratteristica esistenziale, 31 L.MILANI, Op.cit, p. 453. 32 L.MILANI, Op.cit, p. 455. 26 fraterna: è guardare il volto degli operai, specialmente dei giovani che vengono derubati del loro futuro. È Conoscere i volti. Leggere gli sguardi. Amare le disgrazie altrui. Questo è il criterio della vita pastorale. Ma è anche il criterio spirituale di un cristiano e di un prete, che vive per andare incontro a Cristo. Sembrerebbe tutto molto facile. Ma proprio. Ecco come il cappellano di San Donato racconta il suo 1948. Quando quattr’anni fa arrivò l’ordine d’essere severi coi comunisti, io l’ho ubbidito. Per quel decreto mi sono lasciato odiare, abbandonare, disprezzare da tanti miei poveri figlioli. Non ho alzato un lamento contro il Papa perché sapevo che ha ragione. Ma ora che son stato quattr’anni sulla breccia per lui, ora che con tanta sofferenza ho chiarito ai poveri l’assoluto rifiuto del marxismo da parte della chiesa e mia, e ci ho rimesso tanti miei figlioli, sangue del mio sangue, ora non voglio sentirmi dare del demagogo solo perché vo in cerca delle pecorelle smarrite. Voglio essere trattato alla pari dei missionari. A loro si permette di varcare gli oceani e di addentrarsi nella giungla. Nessuno per questo li accusa di spirito d’avventura.33 Potremmo idealmente continuare così questa accorata autodifesa, a cui calza bene il titolo «Voglio essere trattato alla pari dei missionari». Io, don Lorenzo non sono uno che va in cerca di avventure, che fa passi senza valutare le conseguenze. Chiedo semplicemente che mi si riconosca che io continuo ad obbedire alla chiesa e che proprio per questo ho il diritto di gridare contro il Baffi e contro il Governo, non per il pane che strappano al mio bambino. Ma perché strappano il mio bambino dalle mie braccia. E son sacerdote anche proprio in quest’atto. E non ho deviato dalla tradizione apostolica e pastorale [perché vado a cercare le pecore smarrite, ndr]. Perché ho in mano la Pisside sola. Non l’ho deposta sull’altare. Non ho deposto la tonaca per correre sulle barricate. Nelle mie mani consacrate ho solo i Sacramenti e coi piedi do una pedata a un ostacolo caduco che mi sbarra la strada. E son sacerdote più io di te, che perdi il tempo a raccoglier ragazzi col pallone. Di te che t’abbassi a costruire un cine parrocchiale, mentre il mondo va in fiamme. E nessuno ti dice nulla. E nessuno ti trova troppo umano. E nessuno osserva che i ragazzi a 15 anni ti van via per sempre e non li riafferri proprio negli anni più importanti della loro vita. E nessuno nota che non hai affrontato il problema centrale, che non hai adempiuto il tuo obbligo di portare i Sacramenti e il Vangelo agli adulti, ai lontani, ai nove decimi del tuo popolo.34 33 L.MILANI, Op.cit, p. 467. 34 L.MILANI, Op.cit, p. 468. 27 conclusione “I care” Ecco in quest’ultima frase la premura sacerdotale, un ultimo punto è I care, mi sta a cuore, mi interessa. Me ne importa. Su una parete della scuola c’è scritto grande ‘I care’. Senza quell’I care la scuola è solo tecnica e produce indifferenza anche negli scolari: «Il maestro, dice don Milani, dà al ragazzo tutto ciò che crede, ama, spera». I care. È il contrario esatto del motto fascista «Me ne frego»; Colpisce nella vita e nell’opera di Milani (1923-1967) questo instancabile «aver a cuore», la dedizione totale alla propria causa - che poi era la causa di tutti, degli ultimi in primo luogo -, la donazione di sé, il pieno mettersi a servizio che fu all’origine della sua scelta di prete. l’I care pastorale di don Milani: «portare i Sacramenti e il Vangelo agli adulti, ai lontani, ai nove decimi del tuo popolo». È la predica, l’orazione che si conclude con lo stile sincero e graffiante che contraddistingue il suo spirito. ...E nessuno trova a ridire se tu, che sei padre di 5.000 anime, ti dedichi a fare il catechismo a 100 vecchierelle e a curare il piccolo gregge dei sani che non han bisogno di medico, lasciando fuori i 4.900 abbandonati alla tempesta. E ognuno si contenta della tua povera scusa: “Non vengono, non ci posso far nulla, io son qui a attenderli, il catechismo lo insegno, se non vengono è colpa del comunismo”.35 Le fine delle Esperienze pastorali sono dedicate ai preti cinesi, che verranno a riconvertire l’Italia dopo che la ribellione delle plebi oppresse avrà giustamente raso al suolo le chiese e sterminato il clero collaborazionista con l’infame borghesia. Un macabro artificio tipografico rende ancor meglio il concetto: il libro si chiude con una frase troncata a metà, e una visione di uno spruzzo di sangue lo suggella: si scatena l'ira dei poveri contro un clero e una Chiesa che non ha capito e soprattutto non ha praticato: la povertà 35 L.MILANI, Op.cit, p. 468. 30 31