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Riassunto fino a pagina 75 del libro "teatri del corpo", Schemi e mappe concettuali di Psicologia Dinamica

Riassunto del libro "teatri del corpo" fino a pagina 75

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019
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Scarica Riassunto fino a pagina 75 del libro "teatri del corpo" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! Spesso è il medico di famiglia che può consigliare di rivolgersi ad uno psicoanalista, cosa che si verifica di frequente con soggetti che soffrono di malattie considerate comunemente di origine psicosomatica. Spesso questi pazienti non sono consapevoli di qualche dolore mentale e possono anzi negare ogni legame potenziale tra la sofferenza fisica e quella psicologica. Difficile psicoanalisi con questi individui. Sulla base delle mie osservazioni cominciò a pensare che a causa di una scissione tra psiche e soma, i pazienti affetti da problemi di somatizzazione non percepivano i loro stati emotivi in situazioni angosciose: le idee associate ad ogni effetto conflittuale importante non venivano rimosse come nelle nevrosi ma direttamente cancellate dal campo della conoscenza. Sembra che i pazienti si comportassero come bambini piccoli che non potendo utilizzare le parole come veicolo del pensiero, fossero costretti a reagire psicosomaticamente ad un’emozione dolorosa. Le strutture psichiche più antiche del bambino si articolano intorno a significanti non verbali in cui le funzioni corporee e le zone erogene assumono un ruolo preponderante. Se un bambino è stato brutalmente separato dalla madre per un periodo prolungato o ha subito un grave choc, non ci sorprendiamo che reagisca con un iperfunzionamento gastrico o una colite. Quando un adulto, in circostanze psichiche analoghe, cade anch’egli malato somaticamente, siamo tentati di pensare che si tratti di una forma arcaica di funzionamento mentale che non si serve del linguaggio. A quei tempi accettava la posizione di freud, il quale, pur sapendo che spesso esistono ragioni psichiche nascoste dietro le malattie organiche, aveva deciso di tenerle fuori dal campo della ricerca e del trattamento psicoanalitico. Ma poi iniziò a notare che c’erano sentimenti dolorosi che non entravano nel discorso associativo della seduta e che invece si scaricavano in un atto fuori dall’analisi. Si rese conto che ci si scarica nell’azione solo quando il sovraccarico affettivo e il dolore mentale oltrepassano la capacità di assorbimento delle difese usuali. Siamo tutti portati a fare qualcos’altro: mangiare troppo, bere troppo, fumare troppo, distruggere l’auto, prendere l’influenza. Tutte queste ESPRESSIONI IN ATTO, il cui fine è quello di DISPERDERE l’affetto il più rapidamente possibile, sono spesso all’origine di cure analitiche interminabili. La conversione isterica e i suoi fraintendimenti: Il sintomo isterico classico si esprime in una disfunzione corporea quando una parte del corpo, un organo di senso ad esempio, diviene il supporto di un significato simbolico inconscio. Ma il problema ha iniziato a complicarsi quando occorreva rendere conto di disturbi fisici come la stitichezza, l’insonnia, la sterilità psicogena, l’impotenza sessuale. In questi casi assisteva ad una specie di salto tra mente e corpo, erano diverse dall’isteria. Le espressioni somatiche come l’ulcera gastrica, la rettocolite emorragica testimoniano dell’iperfunzionamento e della scarica diretta che seguono eventi investiti d’affetto ma non elaborati psichicamente, mentre manifestazioni come l’asma o la tetania si situano al polo opposto della ritenzione. Nelle affezioni psicosomatiche il danno fisico è reale e la descrizione di esso nel corso di un’analisi non rivela a prima vista alcun conflitto psicotico o nevrotico. Il “senso” è d’ordine presimbolico e fa entrare in corto circuito la rappresentazione di parola. Negli stati psicosomatici è il corpo che si comporta in modo delirante; esso iperfunziona oppure inibisce le funzioni somatiche normali, e questo in un modo che riesce insensato sul piano fisiologico. Il corpo è divenuto folle. A forza di scrutare i pazienti è giunta alla conclusione che i fenomeni psicosomatici non possono essere da un punto di vista psicoanalitico, limitati alle malattie del soma, e che devono includere teoricamente, tenendo conto dell’economia psichica, tutto ciò che tocca il corpo reale (non il corpo immaginario della conversione isterica). Ha finito così col considerare legato ai fenomeni psicosomatici ogni attacco alla salute o all’integrità fisica in cui entri in gioco un fattore psicologico. Lo psicosoma sulla scena psicoanalitica: L’esperienza clinica mi aveva insegnato non solo che tutti gli analizzandi un giorno o l’altro somatizzano, ma anche che l’irruzione di sintomi somatici coincide per lo più con eventi che superano l’usuale capacità di tolleranza. Ma la mia attenzione era attratta in particolare da quei pazienti che reagiscono a quasi tutte le situazioni che mobilitano emozioni forti (collera, angoscia da separazione…) con fenomeni psicosomatici. Era d’altra parte degno di nota il fatto che queste malattie fossero state sempre presenti, ma che loro ne parlassero solo raramente, perché le ritenevano prive di significato psicologico. Si rese allora conto che tali pazienti, in qualche modo, preservavano inconsciamente la capacità di ammalarsi come se essa costituisse per loro una via d’uscita, quasi avessero bisogno, in periodi di crisi, di saggiare i propri limiti corporei e di assicurarsi così un minimo di esistenza separata da qualsiasi altro oggetto significativo. Alcuni psicosomatologi di orientamento analitico hanno condotto all’elaborazione di due concetti fondamentali e hanno permesso di delineare un quadro della “personalità psicosomatica”. Il primo di tali concetti è il PENSIERO OPERATORIO: una forma di relazione con gli altri e con se stessi, nonché ad un particolare tipo di pensiero ed espressione, descritto dalla scuola psicanalitica di Parigi (Marty, Ulzan, David). Per esempio paziente che ha sintomi fisici ogni volta che si avvicina a casa della madre, quando gli si chiede di descrivere la madre la descrive dall’esterno, come farebbe un estraneo (è alta, robusta, fa sempre un sacco di faccende, ora meno di un tempo, soffre di reumatismi). Era come se questa paziente non avesse avuto accesso alle rappresentazioni di parole capaci di dire ai suoi sentimenti ambivalenti nei confronti della madre, che teneva nascosti, il suo corpo invece riconosceva ciò che lei provava nei confronti della madre. Anni dopo hanno coniato anche il concetto di ALESSITIMIA psicosomatologi di Boston, si intende designare il fatto che il soggetto manca di parole per nominare i propri stati affettivi, o se è in grado di nominarli, non riesce a distinguere gli uni dagli altri. Egli non sarebbe per esempio capace di distinguere l’angoscia dalla depressione, la paura dal fastidio, l’eccitazione dalla stanchezza, la collera dalla fame… Ma nei suoi pazienti MCdougall aveva notato che i fenomeni svolgevano soprattutto una funzione difensiva e ci riportavano ad uno stadio dello sviluppo in cui la distinzione tra soggetto e oggetto non è ancora stabile e può suscitare angoscia. Questa regressione spiegava a suo avviso il fatto che i messaggi inviati dal corpo alla psiche o viceversa si inscrivevano psichicamente, come nella prima infanzia, senza rappresentazione di parole. “l’infans”, prima della parola, è necessariamente alessitimico, questo la ha indotta a parlare di “effetto forcluso” “reietto”, per chi è dotato di parola, il rigetto o la forclusione di un’idea insopportabile esclusa dalla psiche, avviene come dice Freud, sulla rappresentazione di parole, cioè sui pensieri che non possono ricevere il loro quantum di affetto. Per questo ha tentato di aggiungere ai destini dell’affetto inaccessibile al conscio, descritti da Freud, un quarto destino, in cui l’affetto verrebbe congelato e la rappresentazione verbale che lo connota polverizzato, come se non avesse mai avuto accesso al soggetto. Alcuni dei suoi analizzandi rifiutavano di riconoscere il loro dolore psichico, indipendentemente dal fatto che fosse occasionato da affetti penosi o eccitanti. Escludevano dal loro discorso in analisi certe esperienze cariche di affetto, le quali di conseguenza espressione fuori dall’analisi e in un certo senso fuori psiche. Queste esperienze si scaricavano nell’azione, o sull’ambiente esterno, divenivano accessibili alla parola solo per il tramite di una preoccupazione controtransferale. D’altra parte questi analizzandi si lamentavano spesso di un’assenza di vuoto, di un’assenza di contatto con gli altri, o trovavano che la vita fosse priva di senso. Solo dopo lunghi anni di analisi potè rendersi conto che era in situazioni di stress che essi si rivelavano alessitimici o operatori e ciò la indusse a pensare che quelle reazioni equivalessero a misure per contrastare dolori mentali non elaborabili o angosce psicotiche. Questa riflessione ci porta alla patologia cardiaca e ai concetti ci causalità e di personalità di tipo A proposta dai ricercatori americani. Il suo paziente Tim ebbe un infarto al miocardio nel periodo dell’analisi, egli manifestava una struttura psichica che corrispondeva stranamente, ad un primo sguardo, al ritratto clinico delineato dagli psicosomatologi. Ma il modo di funzionare della sua mente, pur essendo per certi versi conforme alle ipotesi degli psicosomatologi, mostrava che alcuni fattori inconsci contribuivano ad esso. Al di là di un’economia psichica caratterizzata da un modo di funzionamento operatorio e alessitimico, scoprimmo uno stato di traumi precoci che rimandava alla primissima infanzia e alla relazione primordiale dell’analisi, alcuni meccanismi di difesa arcaici alla portata di ogni bambino, giacché la parte infantile primitiva rimane “incapsulata” all’interno della personalità adulta ma è sempre pronta a occupare la scena psichica quando le circostanze generano uno stress eccessivo. Tutti hanno tentato di concettualizzare i modi in cui i bambini reagiscono di fronte alle esperienze e agli oggetti dell’ambiente e la maniera in cui finiscono per appropriarsi psichicamente del proprio corpo, della propria identità sessuale e della propria mente. Bion ha parlato di trasformazione degli elementi beta in funzioni alfa, la mancanza ad essere di Lacan, lo spazio transizionale di Winnicott…. I problemi che lei vuole approfondire provengono dall’attenzione nel corso degli anni, in occasione di varie empasse verificatesi in analisi e protrattesi a lungo e ostacolate nel loro svolgimento da “fughe” somatiche prodottesi in sostituzione di fantasie arcaiche di tipo a volte psicotico. In esse la problematiche dell’alterità si rifletteva nel fatto che il corpo proprio del soggetto era poco o nulla distinto dal corpo dell’altro. La realtà psichica di ognuno deve fare i conti per tutta la vita con il desiderio primitivo di ritorno allo stato di fusione con la madre-universo, cioè in altri termini, con il desiderio del non-desiderio. La lotta contro questo desiderio e il lutto che essa impone, sono compensati dall’acquisizione della soggettività, il che presuppone che il bambino abbia potuto investire, da un punto di vista libidico e narcisistico, quelle ferite fondamentali e inevitabili che sono le esperienze di separazione e di riconoscimento delle differenze sessuali ed esistenziali. Ogni volta che non vengono vissute come acquisizioni psichiche dovute all’accettazione dell’alterità, la separazione e la differenza vengono temute come perdite, lutti che minacciano l’immagine di sé. Viene allora mantenuta l’illusione di un’unione fusionale con l’immagine madre arcaica della prima infanzia. La maggior parte degli autori sopra citati concorderebbe nell’affermare che per approdare ad un senso di sé solidamente fondato, il lattante ha bisogno di stabilire una relazione con una madre che svolga in modo adeguato il suo ruolo di scudo protettore contro potenti stimoli provenienti dall’esterno e che sia capace di decodificare i messaggi del piccolo e di comprendere il suo bisogno ricorrente di stimolazione e quiete. Con la lenta introiezione dell’ambiente materno il lattante comincerà a stabilire la differenza tra sesso e la madre e a ricorrere a lei con piena fiducia, perché rechi conforto e sollievo alla sua sofferenza fisica e mentale. Ma quando una madre, specialmente quando il bambino soffre, non riesce per ragioni inconsce a proteggerlo contro un’iperstimolazione traumatica o lo espone ad un’iperstimolazione anch’essa traumatica, la cosa può portare ad una incapacità di distinguere tra la rappresentazione di sé e la rappresentazione dell’altro, e di conseguenza può suscitare una rappresentazione corporea arcaica in cui i contorni del corpo, l’investimento delle zone erogene e la distinzione tra il corpo materno e quello del bambino rimangono confusi. Freud in al di là del principio di piacere scrive che nell’apparato psichico esiste verso l’esterno una protezione dagli stimoli tale per cui le quantità di eccitamento in arrivo avranno un effetto considerevolmente ridotto. Verso l’interno una simile protezione è impossibile; si instaura quindi la propensione a considerare come se non agissero all’interno, ma dall’esterno, al fine di poter usare contro di essi gli stessi mezzi di difesa con cui il sistema si protegge contro gli stimoli esterni. Possiamo così capire il modo in cui certi pazienti psicosomatici esposti nella prima infanzia a traumi continui (in quanto gli stimoli esterni sono divenuti talmente forti da spezzare lo scudo protettivo) tendono ad attribuire i loro disturbi a circostanze esterne, nella misura in cui stati emotivi primitivi non hanno potuto realizzare nell’elaborazione mentale di natura simbiotica o verbale. Ci sono due tipi di soluzioni: il primo porta ad una patologia autistica in cui il corpo e il suo funzionamento rimangono intatti mentre la mente si chiude al mondo esterno; il secondo mantiene inalterata la relazione con la realtà esterna, ma correndo il rischio di vedere il soma reagire e funzionare su un registro che potremmo definire “autistico”, distaccato dai messaggi affettivi della psiche in termini di rappresentazioni verbali, ridotto a rappresentazioni di cose assai forti e quindi ad un’espressione non verbale. Per questo, più tardi nella vita, il dolore psichico e il conflitto mentale, legati ad una fonte di stress interno o esterno, invece di essere riconosciuti a livello del pensiero verbale, e quindi possibili di essere evacuati da forme di espressione psichica quali il sogno, la fantasticheria, la meditazione o altri modi di attività mentale capaci di annullare o ridurre la tensione, potranno dar luogo ad esiti psicotici di tipo allucinatorio, o scaricarsi in manifestazioni psicosomatiche come nella prima infanzia. Ma il corpo, al pari della mente, è sottomesso alla propria specifica forma di coazione a ripetere. Come intendere questi segni? Come decodificarli per renderli simbolici? E come possiamo sperare di renderli simbolici e quindi comunicabili attraverso il linguaggio? Presto o tardi ci accorgiamo che i pazienti psicosomatici rifiutano con veemenza di cercare i fattori psichici che alimentano la vulnerabilità psicosomatica: la resistenza è troppo forte e il desiderio di saperne di più sulle cause è assente. In alcuni scritti precedenti McDougall ha cercato di isolare gli elementi che si riscontrano più di frequente nei pazienti che presentano una netta tendenza alla somatizzazione: 1) L’anello mancante tra gli stati isterici e psicosomatici può essere individuato nella concezione elaborata da Freud delle “nevrosi attuali” 2) Questo “anello mancante” è strettamente legato alla metapsicologia dell’affetto. Freud indicò tre trasformazioni possibili dell’affetto inaccessibile al conscio: conversione isterica, nevrosi ossessiva e nevrosi attuale. Le sembra plausibile aggiungere una quarta eventualità: secondo la forclusione psichica di certe rappresentazioni mentali un affetto può essere soffocato per ciò che riguarda la sua espressione, senza alcun compenso per la perdita dell’esperienza. In questa eventualità possiamo postulare che la psiche si trovi in uno stato di privazione 3) La maggior parte degli analizzandi che tendono a somatizzare i propri conflitti psichici sembrano aver raggiunto uno stadio normale di organizzazione edipica e sono in grado di condurre in modo adeguato una vita sessuale e sociale da adulti. Tuttavia, il processo analitico tende a rivelare, con qualche accezione, che questa struttura edipica si è innestata su un’organizzazione assai più primitiva in cui l’imago paterna sembra sommersa, se non completamente assente, sia dal mondo simbolico della madre che da quello del figlio. Quest’ultimo sembra credere che il sesso e la presenza del padre abbiamo avuto solo un ruolo insignificante nella vita della madre, e questo padre si presenta spesso come un essere che è proibito amare o che non merita di essere stimato (diceva anche Ranieri colpa). Così la presenza del padre sembra aver svolto un ruolo strutturante minimo nell’organizzazione psichica del bambino. 4) Di conseguenza l’immagine della madre interna diviene estremamente pericolosa. Il bambino corre il rischio, a questo punto, di proiettare su questo fondo, su questo vuoto, tutte le espressioni della sua megalomania infantile senza incontrare alcun ostacolo. La fantasia dello spazio interiore materno fa così ritorno nel suo immaginario assumendo un aspetto terrifico e mortifero, anche se sempre attraente. 5) Un’altra conseguenza di questa strutturazione fantastica è che il pene del padre, staccato dal suo ruolo fallico simbolico, viene scisso: da una parte si ha un pene idealizzato, che si pone al di là della capacità del bambino di desiderarlo o di identificarsi a esso, dall’altra un pene che è un oggetto parziale distruttivo e persecutorio onnipotente 6) Questa costellazione familiare introiettiva, squilibrata e ansiogena, riflette i conflitti inconsci e le contraddizioni esistenti nei genitori stessi. Il bambino predisposto alla vulnerabilità psicosomatica fa riaffiorare spesso sulla scena psicoanalitica ricordi di un’autonomia precoce legata ad un’oggettivazione prematura dei primi oggetti. Quando per esempio la madre non è introiettata nell’universo psichico del lattante come un “ambiente”, quindi confusa con il bambino, in modo tale da creare un ambiente fatto di funzioni rinconfortanti e protettrici, ma raggiunge troppo presto lo statuto di un oggetto totale e separato, questa immagine mentale viene investita di qualità onnipotenti e di ideali inaccessibili, e si accompagna all’instaurarsi di una forma di autonomia troppo precoce che lascia il bambino e il futuro adolescente in preda a sentimenti di inadeguazione totale. È la fusione illusoria che permette a certi bambini piccoli di dormire, di digerire e di eliminare il cibo, in altre parole di funzionare somaticamente senza problemi, nella convinzione che la madre-universo provvederà a tutto. Mary nota che una rappresentazione della madre ideale crea uno scarto tra la rappresentazione di sé e della madre che si esprime in un conflitto interno disorganizzante. 7) Un’altra conseguenza del disturbo della comunicazione madre-lattante è la rottura nel susseguirsi dei normali fenomeni transizionali propri dell’infanzia, quali sono stati descritti da Winnicott. Questo spazio transizionale potenziale comincia a costruirsi durante il primo anno di vita, permettendo al bambino di crearsi lentamente uno spazio psichico personale. Nella prima fase anche una parte della madre viene a fondersi con il lattante, il che fa si che in un certo senso essa condivida la stessa illusione di essere una parte dell’unità madre-lattante. Pure certe madri vivono i figli piccoli come corpi estranei, distinti da loro. Questi bambini si sentono abbandonati e presentano spesso reazioni psicosomatiche precoci. Altre madri invece da parte loro non possono rassegnarsi ad abbandonare la relazione fusionale, favorendo così l’insorgere di una situazione propizia a disturbi di tipo allergico e a turbe del sonno e del comportamento alimentare. Se non riesce a creare nel suo piccolo l’illusione che la realtà esterna e interna siano una sola e medesima cosa, se non è capace di intendere di volta in volta i desideri di fusione, di differenziazione e di individuazione del bambino, la madre rischia di metterlo di fronte a condizioni che potranno portarlo alla psicosi o psicosomatosi. E ciò impedirà al bambino di appropriarsi psichicamente del proprio corpo, delle proprie emozioni e della capacità di pensare o di collegare pensieri e sentimenti. In coloro che non sono in nessun senso psicotici ma soffrono di malattie psicosomatiche ha constatato che certi pensieri investiti da affetti intollerabili per la madre divengono per il figlio pensieri totalmente proibiti e reietti (forclusi), costituisce per il bambino piccolo un tentativo di impedire la rottura dell’indissolubile legame madre- lattante. L’immagine della madre, ancora una volta, si sdoppia da una parte in una figura onnipotente e onnipresente, dall’altra fragile e facile da spezzare. L’identificazione ad una madre amorevole e piena di attenzioni rimane assente e ciò fa spesso sorgere la convinzione che un individuo non sia responsabile del benessere del proprio corpo. La fantasia di non essere veramente padroni del proprio corpo, fantasia inconscia che il proprio corpo sia sotto il comando di un altro. Ci accorgiamo che questi pazienti tendono ad ignorare i segnali della sofferenza del corpo e non riescono a cogliere i segnali di soccorso della mente. Dal punto di vista della teoria clinica, possiamo innanzitutto chiederci quale relazione ci sia tra i fenomeni psicosomatici e la sintomatologia della nevrosi e della psicosi. Si può parlare come ha fatto lei di “isteria arcaica”? e della psicosomatosi come di “psicosi attuale”? Contrariamente a quanto accade con le formazioni nevrotiche e psicotiche, quando si hanno pochi sintomi di recupero di quanto è stato escluso dalla coscienza, possiamo immaginare che la psiche possa veramente essere stata deprivata di qualche esperienza che in passato avrebbe fatto parte di essa, lasciando così il corpo esposto alla necessità di decifrare e di trasformare in atti alcuni segnali primitivi, non verbali, provenienti dalla psiche stessa? A questo problema della deprivazione psichica potenziale sarà dedicato il prossimo capitolo. CAP 3: SULLA PRIVAZIONE PSICHICA Questo capitolo si propone di esplorare, da una parte, la relazione tra il venir meno della funzione sogno e i fenomeni psicosomatici, dall’altra l’eventuale rapporto di tali fenomeni con la relazione precoce tra madre e figlio. Caso: Christophe, docente universitario, molto legato a moglie e figli, vita di successi. Tutti i suoi ricordi, come i suoi sintomi facevano pensare che i rapporti con la madre fossero disturbati. Figlio unico, si era sentito dire per tutta la vita che la sua nascita non era stata desiderata e che a causa sua i genitori erano stati costretti a sposarsi. Da piccolo aveva sempre paura di essere perduto e si attaccava alla madre, si ricordava del suo “terrore di perdersi” prima che la madre ricomparisse, quando quest’ultima si chiudeva nel bagno ed egli tempestava la porta di pugni. A 12 anni una tubercolosi polmonare lo portò al sanatorio, la separazione di un anno dai genitori è stata per lui salutare, aiutandolo a divenire un ragazzo attivo e sveglio. Christophe si sentiva inadeguato e confuso di fronte ai problemi quotidiani, e perplesso sulle legate al timore di perdere la propria identità soggettiva, o addirittura la vita. Le mire libidiche del lattante possono essere concepite come un movimento perpetuo tra il desiderio di fondersi con il corpo materno e il suo opposto, il desiderio di indipendenza totale. Gli verrà inoltre necessariamente impedito di potere un giorno identificarsi a questa “madre interna”; questa mancanza di immagine protettiva interna persisterà sino all’età adulta per tutta la vita. Il linguaggio del corpo: il disfunzionamento psicosomatico come risposta a conflitti di qualsiasi ordine può essere concepito come un sintomo in cui (come nell’isteria nevrotica classica) la psiche cerca, con mezzi primitivi e infraverbali, di inviare messaggi che saranno interpretati somaticamente. Così in certi stati psicosomatici, un organo o una funzione corporea, in assenza di qualsiasi disturbo di tipo organico, possono agire come se fossero chiamati a rispondere psichicamente ad una situazione conflittuale sentita come biologicamente minacciosa. Il corpo di un individuo può, ad esempio, comportarsi come se cercasse di sbarazzarsi di una sostanza tossica anche se non è stato esposto ad alcun veleno (la retticolite emorrogica è un buon esempio, l’intestino si svuota in modo irrefrenabile). In altri casi è la funzione respiratoria ad essere inibita (nell’asma bronchiale il soggetto è incapace di espellere l’aria dai polmoni). Per quale motivo l’intestino continuerebbe a svuotarsi in assenza di ogni patologia organica? Per quale ragione un soggetto tratterrebbe il fiato, smetterebbe quasi di respirare senza alcuna giustificazione fisica? Fenomeni somatici di questo genere sono messaggi inviasti dalla psiche quando quest’ultima è messa in pericolo dall’insorgere di eventi dolorosi, colpevolizzanti o minacciosi, la cui rappresentazione comunque viene immediatamente espulsa dalla coscienza. Tali reazioni sono destinate innanzitutto a proteggere il soggetto da un danno psichico. Così nella misura in cui fanno parte del quadro dell’isteria arcaica, questi fenomeni, benchè dotati di un senso psicologico, appartengono ad un ordine presimbolico e costituiscono la risposta somatopsichica che la psiche dà nei suoi sforzi per far fronte ad angosce che sarebbero forse psicotiche se giungessero alla coscienza. Le esperienza ansiogene, mobilitate per un attimo, non sono riuscite a far sorgere una rappresentazione mentale verbale, in altre parole una rappresentazione che sia dell’ordine del pensabile. La funzione del sogno e l’insonnia: Lewin ha osservato che il sogno è simile alla proiezione di un film “sullo schermo onirico” e che questo schermo fondamentale è una rappresentazione dell’ambiente maternizzante, immagine rassicurante di fondo, necessaria ad ogni bambino per poter dormire senza paura. Fondandoci sulla teoria di Lewin, possiamo porci la seguente domanda: cosa può accadere quando questa prima rappresentazione della funzione materna, questo “schermo bianco”, è stato vissuto come instabile, mancante? È probabile che il soggetto esiterà a far ricorso ad esso, nel convincimento che sia troppo fragile e quindi incapace di esprimere conflitti inconsci fortemente investiti di emozioni. Così la scarica normale di tali conflitti non si produrrà attraverso sogni e fantasticherie. Ha riscontrato una rappresentazione simile della madre interna assente, abbandonante, imprevedibile anche in altri malati di insonnia. Hanno capito molto presto nella vita che devono essere i genitori di se stessi. I sofferenti di insonnia devono costantemente vegliare e vigilare sul proprio essere-lattante per essere sicuri che sia fuori pericolo. È il loro modo di mitigare un’angoscia di separazione che potrebbe schiacciarli d’un solo colpo. Nel libro “teatri dell’io, cap 7) ha insistito sull’idea che gli affetti sono i legami d’elezione tra la psiche e il soma. L’affetto in quanto concetto limite (come la pulsione) è a metà strada tra il somatico e lo psichico. Conosciamo le esitazioni di Freud tra la nozione di rappresentazione-rappresentazione e quella che ha definito con il termine rappresentazione-affetto. È probabile che questa rappresentazione si sia in seguito integrata al concetto di “rappresentante psichico”. Questo “rappresentante-affetto” è anche suscettibile di essere mantenuto fuori dalla coscienza. Si è quindi posta la domanda: per dove passa l’affetto che viene respinto (con la rappresentazione associata) fuori dalla coscienza? Secondo Freud gli esiti possibili sono 3: la conversione dell’affetto in sintomi isterici, il suo spostamento su rappresentazioni di qualità differente (nevr ossessiva); la sua trasformazione diretta in angoscia (anello mancante tra stati isterici e sintomi somatici). McDougall propone un altro percorso per il quarto destino: esso ha un rapporto più stretto con l’affetto, che scopriamo essere “strangolato” in quanto non ha trovato espressione attraverso i sintomi nevrotici, psicotici. L’affetto si presenta come congelato nella sua capacità di farsi rappresentare. Il pericolo è che si compia allora una rottura tra psiche e soma, cui si accompagnerebbe un’altra rottura, questa volta tra i processi primari e i processi secondari. Queste interruzioni di legami coinvolgono anche il conscioe l’inconscio, come se il preconscio si vedesse intralciato nel suo funzionamento. La psiche si vede allora costretta a emettere, regressivamente, dei segnali somatopsichici, infraverbali, arcaici per salvare l’Io da una morte psichica. Così le scariche rischiano di prendere la via più breve, quella più vicina al fisiologico. La psiche evacua le sue tensioni senza parole! Il sogno permette al soggetto di delirare e di allucinare in piena salute.