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Riassunto "Gli ebrei nell'Italia fascista" di M. SARFATTI, Appunti di Storia Contemporanea

Riassunto "Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende identità e persecuzioni" di Michele Sarfatti, per il corso di Storia Contemporanea.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 27/03/2023

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Scarica Riassunto "Gli ebrei nell'Italia fascista" di M. SARFATTI e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! GLI EBREI NELL’ITALIA FASCISTA. VICENDE, IDENTITÀ, PERSECUZIONI – MICHELE SARFATTI CAP 1 – GLI EBREI ALL’AVVENTO DEL FASCISMO 1. L’eredità dell’Ottocento Nel 1848, nel corso della guerra contro l’Austria, Carlo Alberto di Savoia concesse i diritti civili agli ebrei piemontesi e liguri, sia orientamenti che sentimenti che poi vennero abbandonati dal governo della comune patria. La persecuzione iniziata nel 1938 ebbe termine con la guerra. Arnaldo Momigliano asserì nel 1933 che la storia degli Ebrei di qualsiasi città italiana dal XVII al XIX secolo era essenzialmente la storia della formazione della loro coscienza nazionale italiana. Il processo di costruzione di uno Stato unitario nazionale e indipendente e il processo di emancipazione giuridica degli ebrei furono in effetti paralleli, coincidenti e intrecciati. Già nel 1865 vari ebrei avevano acconsentito all’inserimento nel nuovo Codice civile del Regno d’Italia del divieto di divorzio. Gli ebrei anticiparono di oltre cento anni la maggioranza della popolazione nell’inizio della riduzione dei tassi di mortalità e natalità. Riguardo all’istruzione nel 1901 gli ultra-quindicenni analfabeti erano solo il 5,7 per cento tra gli ebrei e ben il 49.9 per cento nel complesso della popolazione. Vi era un’elevata presenza ebraica in campo elettorale, infatti risultavano possedere le condizioni fissate per l’elettorato attivo (saper scrivere e possedere un determinato censo o svolgere una professione qualificata) e nei collegi elettorali il loro voto era influente o senz’altro determinante. Gli ebrei d’Italia divennero italiani parallelamente al resto della popolazione. Il processo di italianizzazione si manifestò, in misura generalizzata e con cronologia e caratteristiche specifiche. Allo svilupparsi della partecipazione alla vita sociale e politica del paese corrispose una trasformazione e una riduzione della partecipazione alla cita religiosa ebraica. Nel primo Novecento le risposte alle varie comunità sull’osservanza del culto del neocostituito Comitato delle comunità israelitiche italiane misero in luce che vi era una scarsissima osservanza delle prescrizioni alimentari ebraiche e un sostanziale rispetto della circoncisione, il sentimento ebraico va riferito più alla sfera dell’identità che all’ambito della vita privata. In Italia non si verificò una divisione ideologica e organizzativa tra riformati e ortodossi. È stato valutato anche che dal 1800 al 1900 gli ebrei d’Italia, pur aumentando da 34000 a 43000, sono passati dal 10 al 4% della popolazione ebraica d’Europa occidentale e dal 13 al 11 % della popolazione ebraica mondiale. Alla base della crescita numerica vi fu un basso accrescimento demografico naturale e dall’altro il ruolo marginale dell’Italia relativa alle ampie correnti migratorie ebraiche del tardo Ottocento. La dimensione del flusso diretto in Italia rafforzò l’accettazione nazionale degli ebrei italiani, riducendo le agitazioni antiebraiche. D’altra parte, la Santa Sede procedette a una revisione del ruolo attribuito agli ebrei in relazione alla rivoluzione che alla fine del Settecento aveva modificato la società cristiana. (?) dagli anni Settanta li presentò come principali responsabili e veri fruitori di esso. Revisione in relazione alla nascita e all’affermazione dell’Alliance israélite universelle (1860), prima organizzazione internazionale creata da ebrei ed ebbe un’influenza sui governi e le opinioni pubbliche dell’Europa liberale. L’Europa cristiana antiebraica la definì una sede organizzativa per la conquista ebraica del mondo. L’antiebraismo della chiesa cattolica costituì nell’Italia di fine Ottocento il punto di riferimento per altre correnti e tendenze ostili o avverse agli ebrei; ceto dirigente civile della nazione mantenne un’impronta antiebraica. Impostazione ribadita anche nel Consiglio dei ministri Giovanni Giolitti in un messaggio durante la guerra italo-turca del 1911-12. 2. Nazione, religione e politica alla vigilia del fascismo Primo ventennio del Novecento ebrei presenti nei massimi vertici della società italiana, anche in ruoli delicati a livello nazionale: presidente del Consiglio dei ministri (Luigi Luzzatti); ministro della Guerra (Giuseppe Ottolenghi); ministro di Grazia e giustizia e dei Culti (Ludovico Mortara); sindaco di Roma (Ernesto Nathan). Le donne non potevano partecipare alla vita istituzionale del paese, al contrario non era raro trovare donne ebree impegnate nell’ideazione e realizzazione di progetti educativi e culturali: Aurelia Josz e Emma Modena, fondatrici una della prima scuola agraria femminile italiana a Milano, e l’altra di una rivista per l’igiene della donna e del bambino. L’ebreo di fine XIX secolo viveva la vita nel quadro della nazione e non come membro della collettività ebraica, altri abbandonarono le comunità, proclamando il laicismo, portando le comunità ebraiche a semplici associazioni di culto. Così facendo si concretizzarono nuove esperienze e identità ebraiche condotte da gruppi di intellettuali. Secondo decennio del 900 ebrei affrontarono il rafforzarsi e lo stabilizzarsi di interrelazioni delle idee nazionalistiche e con le vicende politiche e belliche italiane ed euromediterranee. La partecipazione alla guerra (1914-18), il riconoscimento del popolo ebraico, la posizione dello Stato italiano nel contesto ebraico del Mediterraneo centrale e orientale, sono eventi che costituirono per gli ebrei d’Italia stimoli alla ridefinizione della propria appartenenza ebraica, italiana, ebraico-italiana. Nel 1909 riunito un nuovo congresso delle comunità ebraiche della penisola e nel congresso del 1914 fu deciso di costruire un Consorzio delle università o comunità israelitiche italiane. Il consorzio aveva il compito di occuparsi delle comunità che vivevano la stagione finale o iniziale della propria vita e di tutto ciò che costituiva interesse generale dell’ebraismo. Nel frattempo, la politica espansionistica dell’Italia nel Mediterraneo, aveva avviato una politica ebraica, di cui si proponeva un’associazione italianizzante degli ebrei sefarditi (abitanti della penisola iberica), per contrastare le influenze tedesche, francesi e inglesi. Se da una parte portò consenso, dall’altra portò ad una nuova linfa per l’antisemitismo, che già nel conflitto italo-turco vennero accusati ebrei di ostacolare la guerra. Altra linfa per l’antisemitismo la trova nelle inquietudini postbelliche. Nel 1919 un proclama ai croati, emanato dal Comando italiano della città di Fiume, asserì che la Lega delle Nazioni era stata inventata da banchieri ebrei internazionali per mascherare le loro speculazioni contro tutti i popoli del mondo. D’Annunzio che era a capo dell’iniziativa militare per l’annessione alla città si manifestò contrario ed estraneo a questo proclama di fronte ai suoi commilitoni ebrei, ma non pronunciò pubblicamente una parola di giustizia per gli ebrei. Dante Lattes, fondatore nel 1916 del settimanale “Israel”, polemizzò su questo fatto e anche suoi soldati ebrei sotto il comando di D’Annunzio che avevano il dovere di chiedere e ottenere una ritrattazione pubblica, ma nessuno si fece avanti e questo dimostra come il processo di secolarizzazione e coinvolgimento nei movimenti culturali ì, ideologici e politici dell’epoca avessero ormai portato gli ebrei a perdere sensibilità per l’antisemitismo. Gennaio del 1921 il Consorzio dette vita al Comitato italiano di assistenza agli emigranti ebrei, con sedi principali Venezia e Trieste. Quest’ultima venne scelta per l’intenso transito nel porto e dal fatto che l’ebraismo locale aveva già intrapreso un’opera di soccorso efficace e fattiva e costituì un contributo ebraico alla ripresa economica cittadina per l’afflusso di passeggeri e dello sviluppo di nuovi legami col Mediterraneo orientale e con l’Europa centrosettentrionale. Oltre che alla propria vita ebraica, gli ebrei partecipavano alla vita politica generale del paese, avendo elevata presenza nei vari movimenti politici: anche nel PNF, costituito nel novembre del 1921, arrivando a 590 iscritti. Non ce ne fu nessuno ai vertici e uno solo partecipò ai governi mussoliniani (Guido Jung). Tre furono gli ebrei che parteciparono come relatori al Convegno per la cultura fascista a Bologna il 29/30 marzo del 1925: Gino Arias, Margherita Sarfatti e Angelo Olivetti, che probabilmente si impegnarono nella costruzione dell’ideologia e del mito fascista. Molti altri intellettuali ebrei stavano dal fronte opposto e firmarono il manifesto antifascista di Benedetto Croce del 1° maggio del 1925. In sintesi, gli ebrei italiani erano fascisti come gli altri italiani e più antifascisti degli altri italiani. Altri assistettero alle vicende senza prendere una posizione o orientamento. Per alcuni fu una scelta obbligata In questi anni la politica portò riguardo verso il cattolicesimo riattribuendo della qualità di “giorni festivi a tutti gli effetti civili” ad alcune solennità cattoliche e abrogando il diritto al divorzio. Negli anni successivi ci furono provvedimenti di carattere organico e generale: il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1926 e il nuovo Codice penale stabilirono la diversa tutela giuridica dell’una e delle altre fedi; il trattato del 1929 tra Santa Sede e Regno d’Italia, che torno a definire il cattolicesimo sola religione dello Stato, pose l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica a fondamento e coronamento di tutta l’istruzione pubblica. Le normative del 1929 e il 1930 sugli altri culti, definiti “ammessi nel Regno”, lì assoggettò a controlli, limitazioni e divieti più forti rispetto a quelli per il cattolicesimo. Questi provvedimenti configurarono in un quadro persecutorio dell’uguaglianza religiosa. Gli ebrei espressero le loro proteste e preoccupazioni. Il senatore Vittorio Polacco definì la riforma Gentile un “pogrom morale”. Nel 1923 diversi intellettuali si interrogarono sul destino dell’insegnante ebreo; manifestarono il timore che entro la scuola italiana non vi sarà più posto per gli scolari ebrei; predissero che agli ebrei verrà proibito l’esercizio di insegnamento nelle scuole pubbliche. Pochi giorni prima del 6 aprile 1924 arrivò alla polizia l’informazione di una larga astensione dal voto degli ebrei di Roma per protesta contro la politica religiosa governativa. Le preoccupazioni e le proteste provenivano dalla comunità di Roma, dalla cerchia raccolta attorno al settimanale “Israel” dalla borghesia colta. Sul campo scolastico si ebbe una risposta alla politica mussoliniana. Nel dicembre del 1912, al convegno giovanile ebraico di Torino, Elia Samuel Artom aveva riferito che le scuole elementari ebraiche accoglievano pochi studenti e per lo più poveri, al contrario di Firenze e Livorno. L’insegnamento ebraico costituiva una parziale estensione del principio di assistenza e beneficenza. I sostenitori del movimento di risveglio ebraico erano convinti della necessità di una attivazione qualificata e generalizzata. Con l’arrivo della riforma Gentile, tale impegno propositivo si coniugò con la nuova necessità di difendere la libertà di educare all’ebraismo i propri figli e da tale intreccio si realizzò la costituzione della scuola elementare israelitica di Roma. La svolta politica dell’autunno del 1922 non comportò solo l’avvio della persecuzione governativa della parità religiosa. Essa fu affiancata e seguita da una certa diffusione nel paese della propaganda antiebraica e da alcuni episodi di violenza. Nella colonia africana (Tripoli), il clima di tensione tra ebrei libici e autorità italiane e organizzazioni fasciste originò improvvisamente una concatenazione di incidenti, comprendenti anche una “spedizione punitiva” fascista nel quartiere ebraico. A Padova, l’azione verificatasi fu incruenta ma non meno grave: un’ondata di violenze seguita all’attentato a Mussolini del 31 ottobre 1926, una cinquantina di squadristi, sfondarono le porte della sinagoga principale della città e arrecarono danni gravi agli arredi e agli oggetti sacri. La crescita della propaganda antiebraica era stata rilevata anche all’estero: Chaim Weizmann, presidente dell’Organizzazione sionistica mondiale manifestò in un discorso la propria preoccupazione per l’antisemitismo in Italia determinato dalla “tremenda ondata politica, chiamata fascismo”. Mussolini nel novembre del 1923 dichiarò che “il Governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita”. Il rabbino Angelo Sacerdoti segnalò altri attacchi antiebraici sulla stampa fascista e fu convinto della svolta ufficiale antiebraica e indica al capo fascista una strada utile e benefica da aggirare la sua ostilità verso il sionismo. Il rabbino sviluppò una proposta in due memoriali inviati a Mussolini nel gennaio del 1927 proponendo un progetto per contrastare l’influenza filofrancese dell’Alliance israélite universelle e nell’aprile dello stesso anno, si dichiarò contrario allo sviluppo di un ente che abbia lo scopo di svolgere opera di propaganda e di penetrazione spirituale presso i nuclei ebraici e favorevole a una riforma centralizzante del Consorzio delle comunità. Entrambi non vennero accolti da Mussolini. 2. L’Unione delle comunità e la vita ebraica all’inizio degli anni Trenta Gennaio 1925, Mussolini aveva avviato la costituzione della struttura dittatoriale e la fascistizzazione del paese; 26 maggio 1927 proclamò alla camera, nel discorso “dell’Ascensione”: tutti i giornali di opposizione sono stati soppressi, tutti i partiti antifascisti sono stati sciolti. Comunicò che era sua intenzione curare la razza italiana, il popolo italiano nella sua espressione fisica, riferendosi alla maternità e all’infanzia (se si diminuisce non si fa impero, ma si diventa colonia. La razza bianca può venire sommersa dalle altre di colore che si moltiplicano a ritmo ignoto). I provvedimenti del 25 e del 27 non riguardavano espressamente gli ebrei. La legge del novembre del 1925 assoggettava le associazioni di qualsiasi tipo a uno stretto controllo di polizia e vietava ai dipendenti pubblici di appartenere a società segrete. Febbraio del 1926 abolirono l’elettività dei consigli comunali. Il processo di fascistizzazione aveva iniziato a toccare la parte ebraica della popolazione italiana: alle elezioni del 19 novembre 1926 nella comunità di Firenze venne presentata una lista che si dichiarò fascista. Si diffuse tra i dirigenti ebrei la convinzione della necessità di prevenire a una sorta di patto con lo Stato, definendo una normativa giuridica per tutte le comunità della penisola e l’istituzione di un ente ebraico nazionale più forte e centralizzato del vecchio Consorzio. Il rabbino capo di Roma voleva nel nuovo ente una oligarchia e prevedeva per la carica del Gran rabbino d’Italia poteri maggiori di quelli della dirigenza comunitaria amministrativa. I dirigenti dell’ebraismo italiano proseguirono un serrato confronto interno, giungendo all’approvazione nell’ottobre 1927 di una traccia di provvedimento legislativo così caratterizzato: 1 uniformità di condizione e regolamentazione per tutte le comunità israelitiche; 2 riconoscimento delle stesse come persone giuridiche di diritto pubblico e fornite di potere d’imposizione; 3 obbligo di appartenenza a una comunità, a meno di un abbandono della religione ebraica con atto formale; 4 sistema elettivo per la scelta dei componenti del consiglio di amministrazione e per la scelta del presidente; 5 necessità del presidente, di un terzo dei consiglieri, per rabbini e segretari del consiglio, di possedere la cittadinanza italiana; 6 inquadramento obbligatorio di tutte le comunità in una Federazione della comunità ebraiche, incaricata di tutelare gli interessi religiosi e di rappresentarli di fronte al governo; 7 nomina di un Gran rabbino d’Italia 8 riconoscimento della competenza del rabbino negli ambiti della religione, del culto e dell’insegnamento 9 necessità della convalida prefettizia o ministeriale all’elezione di corte d’appello o ministeriale all’elezione dei presidenti comunitari e federale e della convalida dei procuratori di corte d’appello o ministeriale alla nomina dei rabbini capo delle comunità e del gran rabbino. 25 novembre 1928 il presidente del Consorzio presentò al ministero della Giustizia e degli Affari di culto la richiesta di riforma legislativa dell’ordinamento giuridico dell’ebraismo italiano e nel novembre del 1931 venne modificata la proposta ebraica in alcuni punti. La lunghezza del processo di elaborazione dipese dal fatto che la sua emanazione doveva seguire quella delle intese e delle leggi concernenti il cattolicesimo e l’insieme degli altri culti. Il 22 marzo 1929 venne costituita la commissione paritetica incaricata di redigere il progetto definitivo della riforma. Con la nuova normativa l’ebraismo italiano acquisì un riconoscimento e un diritto assai rilevanti: l’opera di regolamentazione governativa significava una dichiarazione ufficiale di “diritto all’esistenza” per gli ebrei nel regime fascista; dall’altro l’obbligo di iscrizione comunitaria consentiva di arginare gli effetti del processo di secolarizzazione e di rafforzare le amministrazioni comunitarie. In cambio le comunità dovettero abbandonare le proprie secolari caratterizzazioni, vennero sottoposte a controlli politici, persero autonomia, divennero organi dello Stato e non più esclusiva espressione del libero volere e del libero essere delle singole collettività ebraiche. Difficile attestare con quale spirito e intenzioni il governo fascista avviò e concluse l’iniziativa legislativa. La riforma varate era centralizzatrice, autoritaria, irreggimentatrice e tale da sollecitare il definitivo e autonomo avvio della propria fascistizzazione. La legittimità data dalla nuova legge ai contatti spirituali e culturali dell’Unione con le altre collettività ebraiche costituiva la definizione dei limiti operativi imposti all’Unione stessa. Fine del 1928 episodio: 29 novembre, congresso sionistico a Milano, Mussolini fece pubblicare sul giornale “Il popolo di Roma” in anonimo un articolo sul sionismo. Lo scritto conteneva considerazioni simili a quelle esposte sul “il popolo d’Italia” in occasione del congresso sionistico a Trieste nel 1920: Speriamo che gli ebrei italiani continueranno ad essere abbastanza intelligenti, per non suscitare l’antisemitismo nell’unico paese dove non c’è mai stato». Ribadiva anche che “L’Italia è una della poche nazioni del mondo senza partiti o movimenti antisemiti”. Negli scritti gli ebrei italiani venivano esortati a non essere sionisti e questo invito lasciava intravedere la disponibilità di Mussolini a una politica contro gli ebrei in quanto tali. Le risposte non mancarono. 15 dicembre 1928, nuovo articolo di Mussolini sul popolo di Roma, sempre anonimo, nella quale scrive che voleva provocare una chiarificazione fra gli ebrei italiani e di aprire gli occhi agli italiani cristiani. La chiarificazione riguardava l’incompatibilità tra quelle che erano l’appartenenza nazionale italiana e l’appartenenza nazionale ebraico-sionistica e il fatto che il sostegno del regime all’opera filoitaliana e parasionistica degli ebrei della penisola nel Mediterraneo non comportava il consenso all’adesione al sionismo degli ebrei nella penisola. Nel corso del 1931 vi furono vari decreti governativi di attuazione del nuovo ordinamento. A marzo nominarono il commissario governativo dell’Unione; in settembre vennero definiti il numero e le circoscrizioni territoriali delle comunità israelitiche. Venticinque vennero riconosciute, le altre comunità ebraiche più piccole cessarono di essere autonome e divennero sezioni di comunità. Più complesso fu il problema di Fiume: si erano costituite due comunità, una di ebrei italiani e di ebrei neolonghi (chiamati così in Ungheria) e una composta da ebrei più osservanti (l’unione israelitica ortodossa). A quest’ultima potevano essere iscritti solo gli uomini maggiorenni e alle sue cariche potevano essere eletti solo quei soci ammogliati, residenti in Fiume. Alla fine, la normativa comportò lo scioglimento delle amministrazioni delle due comunità e la confluenza di tutti gli ebrei nella comunità maggioritaria. Primavera del 1932, mentre le comunità eleggevano i nuovi consigli comunitari, Mussolini dichiarò che l’antisemitismo non esiste in Italia. Gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini. Essi occupano posti elevati nelle Università, nell’esercito, nelle banche. Dichiarazione accolta con favore dalla stampa ebraica. Tra i sionisti italiani si manifestò una presenza di tutt’altra derivazione politica. Accanto ai socialisti, ai liberali e ai religiosi esistevano anche i “revisionisti”, fortemente connotati in senso nazionalistico. Corrente che aveva col fascismo da una parte reali consonanze ideologiche e dall’altra in irrisolvibile contrasto determinato dall’opposizione fascista a qualsiasi altro nazionalismo in Italia. Nel 1930 i revisionisti crearono il mensile “L’idea sionistica”. Nello stesso momento anche altri periodici furono da supplemento culturale e giovanile al settimanale “Israel”, sostenitore della corrente generale e primo giornale ebraico per diffusione. Altri ancora erano orientati verso il sionismo revisionista o porta voci degli ebrei di convinzioni fasciste. Questa piccola espansione pubblicistica segnala una maggiore vivacità, apertura e diversificazione dell’ebraismo italiano o per lo meno di alcune sue zone. Alla crescita nell’ambito culturale si contrappose il declino della ricca esperienza dei circoli culturali noti come Convegni di studi ebraici iniziato nel 1929. Però nel 1927 risaliva la nascita di un’organizzazione del tutto nuova: l’Associazione delle donne ebree d’Italia, impegnata sui terreni assistenziale, educativo e auto formativo. Primi anni Trenta, molti ebrei riorganizzarono gli enti ebraici e loro attività in funzione della nuova normativa. Tutte le comunità dovettero rivedere le strutture amministrative e rabbiniche, definire o ridefinire la questione dei contributi, modificare consuetudini e tradizioni. Quelle che si erano basate sull’adesione volontaria dei singoli intrapresero un’opera di iscrizione. L’aumento del numero degli scritti portò a rafforzare gli enti territoriali, ma anche alla crescita al loro interno delle fasce meno convinte. Il nuovo ente centrale dedicò molta attenzione all’educazione dei bambini e dei ragazzi nelle scuole ebraiche e pubbliche. Nel frattempo, il regime aveva introdotto dall’anno scolastico 1930-31 il libro di testo unico nella scuola elementare, la questione si era sposata sul permesso di utilizzare nelle scuole elementari La transizione alla persecuzione dei diritti degli ebrei italiani riguardò anche i rapporti tra governo nazionale ed ente centrale ebraico. Prima dell’ascesa del nazismo al potere si avviò la costruzione di un’organizzazione rappresentativa ebraica nazionale, avente fine di intervenire in difesa della condizione giuridica o sociale degli ebrei, dove minacciate da governo o economia, combattere propaganda antisemita: l’ultimo incontro del Comité des Délégations Juives e dell’Executive Committee for the World Jewish Congress si tenne il 22 e 23 febbraio 1936 a Parigi. L’Italia inviò Dante Lattes e Angiolo Orvieto. 12 settembre Farinacci avviò una campagna antiebraica. L’editore scrive che la democrazia è condannata e che due forze si contendono l’avvenire: il fascismo e il comunismo; esaminava il comportamento degli ebrei in Italia, avvisandoli che l’Europa diventerà teatro di una guerra di religione. La transizione suscitò in alcune occasioni allarmi o reazioni all’estero. Il ministro dell’Educazione nazionale negò all’Unione il pubblicare per le scuole elementari ebraiche l’edizioni dei libri di Stato depurata dei passi di indottrinamento cattolico diretto o indiretto. In più si osservò che nelle scuole italiane si stava verificando l’obbligo ai bambini ebrei di usare libri con testi cristiani. Due casi del governo italiano che smentivano l’agitazione antiebraica e il coinvolgimento in essa. Il ministro della stampa e propaganda (Dino Alfieri) telegrafò al consolato italiano a New York: non è esatto che stampa italiana abbia iniziato campagna antiebraica. 2. La complessa preparazione governativa e la difficile preparazione ebraica Fin dall’inizio il periodo di persecuzione dei diritti degli ebrei si caratterizzò per una complessa commistione di pubblicità e riservatezza. Mussolini in un articolo anonimo del 31 dicembre 1936 definì l’antisemitismo una conseguenza inevitabile del troppo ebreo. La scarsa pubblicità rende difficile ricostruire e valutare i significati e le intenzioni caratterizzanti gli atti persecutori oggi. Le politiche di distinzione, definizione di inferiorità, gerarchizzazione, separazione e revoca dei diritti venivano concretizzate in vario modo. Gennaio 1937 svolta politica e normativa: 4 gennaio il ministro delle Colonie presentò un progetto di legge che vietava le relazioni d’indole coniugale tra cittadino italiano e un suddito dell’Aoi o persona assimilabile. Progetto approvato pochi giorni dopo. Provvedimento improntato al razzismo puro ed esplicitamente definito di difesa della razza. Mussolini, il fascismo, la monarchia e il paese aveva compiuto una svolta terribile. Primo semestre del 1937 venne ratificata l’esistenza del partito governativo alla quale venne affidata la politica della razza. Già nel 1935, Mussolini aveva voluto istituire nel ministero dell’interno, presso direzione generale della sanità pubblica, un ufficio speciale per lo studio dei problemi demografici, avente il compito di occuparsi di nuzialità, aborti, mortalità infantile e dei problemi della popolazione. Marzo del 1937 il gran consiglio del fascismo decise di rinnovare e intensificare l’azione, indicando vari provvedimenti, tra i quali sostegno economico nuove coppie e quelle con molti figli, priorità d’impiego ai padri di famiglia, costituzione di un organo centrale di controllo e di propulsione della politica del Regime nel settore demografico. L’ufficio istituito nel 1935 venne ridenominato ufficio centrale demografico, autonomo e più ampio. Fine marso 1937 pubblicati due scritti antiebraici. Il primo di Paolo Orano, “gli ebrei in Italia”, ideato mesi prima. Assegnava la qualifica di nemici dell’Italia fascista totalitaria agli ebrei ebraizzanti, quelli che non si caratterizzavano unicamente per l’osservanza della ritualità religiosa ebraica, bensì conservavano un’identità ebraica e una coscienza collettiva e soccorrevano i profughi tedeschi, criticavano la Germania nazista, contestavano l’alleanza tra due dittature. Il secondo scritto era di Telesio Interlandi. Articolo dedicato alla polemica contro i dissidenti dal razzismo anti-nero, affermando però nell’ultima parte che erano mossi dal sangue. Scritti con impostazioni diverse: Orano crede alla possibilità che gli ebrei stessi potessero contribuire ad abolire il problema, Interlandi certo della diversità biologica del sangue ebraico prospettava provvidenze legislative contro chi lo possedeva. L’equazione ebrei = razza aveva iniziato a diffondersi nel paese e nella dirigenza del partito. Giugno 1937 risale la consegna a Mussolini di una lista di posizioni politiche, amministrative, economiche e sociali di ebrei della città di Trieste, identificati per razza e non per religione professata. Gli ebrei percepirono il progressivo deteriorarsi della propria condizione nella società italiana, ma accettarono con difficoltà l’idea dell’approssimarsi della persecuzione. Ad ostacolare questa comprensione contribuirono un quindicennio di dittatura, una fiducia acritica nel progressivo incivilimento dell’umanità, la profonda italianità di tutti, il fascismo di alcuni e il consenso di molti alla patria, l’ambiguo comportamento pubblico del dittatore. Nel corso del 1937 il comitato degli italiani di religione ebraica si diffuse nella penisola. Costituì una sorta di zattera, costruita dai bandieristi a ospitante anche ebrei poco fascisti, che tentava di salvare il diritto dei singoli a conservare la propria italianità, il proprio fascismo e il proprio ebraismo. Nel quinquennio 1933-38 le adesioni di ebrei effettivi al Pnf aumentarono e riguardavano ormai il 27 per cento dell’intera popolazione ebraica di cittadinanza italiana. Tra gli italiani che accorsero in Spagna a fianco degli antifranchisti, ci furono anche alcuni che combatterono al fianco di Franco. Nelle comunità cominciarono a manifestare segni di crisi. Gli ebrei fascisti percepivano il progressivo venir meno dell’accettazione pubblica della loro identità. Inizio di settembre il rabbinato italiano si rivolse a tutti gli ebrei con un testo a stampa dedicato al nuovo anno ebraico. Incitava a difendere l’identità e la tradizione ebraica contro il Comitato e manifestava una forte inquietudine per le prospettive della situazione italiana. Sempre ad inizio settembre il consiglio della comunità di Firenze incluse alcune donne nel coro della sinagoga, questo perché gli ebrei fascisti volevano mostrare la loro volontà di interessarsi alla vita sociale e religiosa comunitaria, con approccio riformatore. I rabbini furono oggetto di discriminazione legislativa del fascismo, limitata e inavvertita: inizio luglio il ministro dell’Educazione nazionale aveva vistato un progetto di decreto di riforma del prestito bibliotecario che escludeva i rabbini maggiori dal novero di coloro che ne avevano automaticamente diritto, inserendo in loro vece gli abati ordinari e i cardinali. Le autorità si impegnarono a smentire di avere intendimenti antisemiti. 3. 1938 Autunno 1937 antisemitismo diffuso nel paese e nell’apparato del ministero dell’Interno. Ultimi mesi di quell’anno e prime settimane del 1938 venne dato il via ad una nuova fase delle persecuzioni dei diritti, quella delle necessarie operazioni preliminari al varo della nuova normativa: identificazione e censimento degli ebrei, varo di prime misure di arianizzazione settoriale, intervento ufficiale dei massimi organi del governo e del partito, elaborazione della definizione giuridica di ebreo e dell’impostazione della normativa persecutoria definitiva. Queste azioni si svolsero in un intreccio di pubblicità e segretezza, autonomia e interrelazioni, all’interno di un quadro generale di aggravamento progressivo e non omogeneo. Selezione di date di quelle attuate nel febbraio del 1938: - 10 febbraio: nuovo settimanale di propaganda antisemitica “il giornalissimo” - Prima metà di febbraio: Mussolini fa controllare i cognomi ebraici nei ruoli di ufficiali nelle forze armate - 14 febbraio: ministero dell’Educazione nazionale chiede ai rettori delle università di censire gli ebrei tra studenti e professori, italiani e stranieri - 14 – 15 febbraio: ministero dell’Interno chiedi ai direttori generali del ministero e ai prefetti di comunicare presenza di impiegati di religione israelita nei vari uffici - 16 febbraio: diffusione a stampa dell’Informazione diplomatica, dichiarazione ufficiale del regime sulla questione antiebraica. - 16 – 17 febbraio: il ministero della cultura popolare avverte i giornali che essa deve essere pubblicata in prima pagina con questa nota: tutte le discussioni sul problema ebraico in Italia devono cessare. Ovvero, assoluto divieto interessarsi alla questione ebraica in Italia. - … febbraio: nel corso del mese Mussolini chiede a Dino Alfieri di istituire nel suo ministero della cultura popolare un ufficio dedicato allo studio e alla propaganda razzistica. - 24 febbraio: il ministero dell’Africa italiana comunica a quello degli Affari esteri che non può essere consentita un’immigrazione di masse ebraiche, di qualsiasi nazionalità, nei territori dell’Impero. Il 1938 fu un anno cruciale e terribile per l’ebraismo europeo: alla vigilia solo la Germania nazista aveva una legislazione antiebraica, al suo termine era ormai divenuta una delle caratteristiche continentali. Si era ormai verificata una maturità continentale persecutoria che si manifestò con maggior pesantezza nei confronti degli ebrei profughi, in continua crescita numerica proprio a causa del moltiplicarsi dei provvedimenti di espulsione e di revoca delle cittadinanze varati dai diversi governi. Esempio nazionale di provvedimenti e decisioni del governo fascista: - 18 marzo: il ministero dell’Interno comunica ai prefetti di confine terra il divieto di ingresso agli ex sudditi austriaci ebrei - 24 ebrei: il ministero degli affari esteri Ciano comunica all’ambasciatore statunitense che l’Italia non parteciperà all’iniziativa internazionale con scopo di facilitare l’emigrazione di rifugiati politici (= ebrei) dell’Austria e della Germania - 20 aprile: ministero delle corporazioni avoca a sé la concessione di nuove licenze commerciali a stranieri e chiede, insieme alle domande, di comunicare il luogo di provenienza e la religione professata - 31 maggio: ministero degli affari esteri chiede ai rappresentanti italiani di registrare anche l’origine etnica e la religione degli stranieri che domandano di iscriversi all’università in Italia per poter evitare l’afflusso di giovani che vengano in Italia col proposito di rimanervi anche dopo la laurea. In questo quadro e anno, l’Italia varò un sistema normativo antiebraico che era il più articolato dopo quello tedesco, con norme specifiche. Le prese di posizione di Mussolini mostrano come abbia modificato più volte l’impostazione della persecuzione tra il primo annuncio e la sua attuazione definitiva. Dapprima fu caratterizzata come parziale e più precisamente articolata secondo fasce quantitative e qualitative, ossia in misura diversa a una popolazione ebraica precedentemente suddivisa in quote numeriche e scomposta in categorie. In un secondo tempo, con provvedimenti legislativi e la dichiarazione sulla razza del gran consiglio del fascismo, Mussolini le confermò limitandole alle fasce qualitative. Infine, ridusse gli effetti concreti di questa articolazione tra gli ebrei italiani a tal piccolo punto che i due gruppi nei quali essi erano stati suddivisi furono assoggettati a una persecuzione divenuta largamente uniforme. Così, la decisione di espellere dal Pnf tutti gli ebrei il 19 novembre 1938, fu l’atto finale di un breve, ma intenso processo nel corso del quale Mussolini si accorse che gli era possibile elaborare e far accettare soluzioni persecutorie ben più aspre, più totalitarie e più coerentemente razzistiche-biologiche di quelle del mese precedente. 17 luglio trasformazione dell’ufficio centrale demografico nella direzione generale per la demografia e la razza. Dicembre 1937 approvata proposta di censimento degli individui di colore presenti in Italia. In agosto dato vita ad un ufficio studi del problema della razza, dotato di compiti e funzioni consultivi e operativi. La prima (17 luglio, nota come Demorazza) effettuò il lavoro di preelaborazione e poi di gestione della normativa razzistica; il secondo (Ufficio razza) operò principalmente nei campi dell’orientamento, della propaganda e della documentazione, organizzando i centri per lo studio del problema ebraico. Il 5 agosto iniziò le pubblicazioni “la difesa della razza”, diretto da Telesio Interlandi. Fino ad allora la campagna antisemita era stata sostenuta soprattutto dal quotidiano “il Tevere” dello stesso Interlandi e dal mensile di Giovanni Preziosi. Il 22 agosto 1938 venne effettuato un censimento speciale degli ebrei allo scopo di identificare i potenziali perseguitati. L’operazione, gestita dalla Demorazza e imposta su criteri razzistici, portò ad accertare che nel regno vi erano più di 50 mila residenti da genitore ebreo o ex ebreo. Divisi anche tra italiani e stranieri. Più di 46 mila erano ebrei effettivi i restanti di altre categorie. A novembre venne varata la definizione giuridica di appartenente alla razza ebraica che determinò un insieme si assoggettati alla persecuzione di entità intermedia tra due totali suddetti. Lo sviluppo della persecuzione proseguì con atti di diversa natura. 13 luglio ultimato il documento teorico “Il fascismo e i problemi della razza”, presentato come opera di un gruppo di studiosi fascisti. In realtà fu steso da Guido Landra sulla base di precisi orientamenti comunicatogli da Mussolini e Alfieri. Il documento si riferiva al razzismo nella sua complessità; affermava l’esistenza delle razze umane e di una razza pura italiana, definita di origine ariana e di civiltà ariana. Il concetto di razza è un concetto puramente biologico. Il 6 ottobre il gran consiglio del fascismo intervenne sul tema con una Dichiarazione sulla razza introducendo la definizione di appartenente alla razza ebraica e precisava che gli ebrei italiani non accettavano il regime perché era antitetico a quella che è la psicologia, la politica, l’internazionalismo d’Israele. Il testo annunciava una persecuzione parziale limitata alle sole fasce qualitativa. Enti operanti nel teatro, nella musica, nel cinema, nella radio, ecc., licenziarono tutti i dipendenti stabili ebrei e annullarono tutti i contratti temporanei ad artisti ebrei. Opere di autori ebrei escluse dai programmi di teatri, eliminate le trasmissioni radio, escluse dalle sale dei cinema. Case editrici cessarono di pubblicare nuove opere di autori ebrei e il ritiro di quelle in commercio. Dicembre del 1938 la stampa ebraica cessò di esistere, nel 1942 divieto di letture in sede e prestito di opere ad ebrei. Espulsi da tutte le istituzioni culturali della penisola. Espulsi anche dalle società e dalle competizioni sportive. 4.6. La violenza L’interna campagna giornalistica antiebraica avviata nell’autunno 1936e la normativa persecutoria del 1938 furono attuate e percepite dalle vittime come atti di violenza. La violenza fisica fu inizialmente scoraggiata dall’alto. I primi anni si hanno episodi isolati di percosse e chi fu vittima evitò di parlarne. I fatti di cui si ha notizia sono assalti a vetrine, pestaggi e aggressioni durante manifestazioni, saccheggi di negozi. Settembre-ottobre 1941 azioni squadriste contro sinagoghe (tra queste quella italiana e tedesca a Ferrara, quella di Torino e Trieste). Mesi successivi episodi sempre isolati ma di notevole gravità. Nel settembre del 1941 i nazisti decisero di passare dall’allontanamento allo sterminio. Roma continuò a perseguire l’obiettivo della loro emigrazione e in attesa di realizzarla peggiorò il loro trattamento. 5. I perseguitati Dal 1938 al 1943, gli ebrei d’Italia furono sottoposti a una persecuzione dura, complessa e più grave; per il fascismo la soluzione definitiva della questione antiebraica era rappresentata dall’eliminazione degli ebrei della penisola. Gli ebrei italiani non volevano abbandonare l’Italia, né accettavano l’idea che il governo volesse allontanarli. Tra 1938 e 1941 migliaia di persone uscirono dalle comunità, soprattutto gli ebrei con forti sentimenti fascisti o nazionalisti che volevano svicolarsi dai nemici del fascismo, di Mussolini, dell’Italia. Qualcuno però si ricredette col tempo. La normativa persecutoria determinò altre riduzioni numeriche nelle comunità ebraiche. Vi fu un allontanamento dalla natalità: nel 1941-45 diminuì di 300 nascite rispetto al 1921-38. Una piccola parte decise di rimediare all’insostenibilità della persecuzione con il suicidio (i casi sono più di 30, ma sicuramente saranno di più, quasi tutti uomini). 9 ottobre 1939 venne istituito un apposito dipartimento avente il compito di facilitare con ogni mezzo un apposito dipartimento avente il compito di facilitare con ogni mezzo le emigrazioni dall’Italia degli ebrei stranieri che ancora stavano nel Regno. Gli ebrei che rimasero dopo i vari allontanamenti si riambientarono in modo nuovo. Quelli che avevano famigliari ariani, o che avevano amicizie non ebrei giuste, mantennero legami con la società circostante e in alcuni casi continuarono le attività loro vietate. Il problema più rilevante ad inizio persecuzione fu quello scolastico. In poche settimane dedicarono una frenetica attività per comprendere la questione e reperire attrezzi, censire gli scolari, trovare insegnanti, autofinanziarsi = organizzare una struttura completa. L’obiettivo era quello di garantire il proseguimento di un’istruzione dei giovani, limitare o comunque lenire le conseguenze traumatiche dell’espulsione dal mondo giovanile ariano. Stimolarono gli allievi ad apprendere materie tecniche, pratiche, utili al loro probabile destino da emigrati. Queste difficoltà furono compensate dall’elevato livello del corpo insegnante che comprendeva docenti universitari, artisti noti e studiosi di grande fama. Le scuole e i corsi delle comunità ebraiche furono un atto di autorganizzazione, una dimostrazione delle capacità di reagire al colpo, un’affermazione di dignità. Per il fascismo furono però provvisorie. La persecuzione fascista causò un rallentamento del livello educativo degli ebrei della penisola. Per i genitori la normativa persecutoria portò alla perdita del lavoro senza possibilità di reimpiego. La revoca del 1940 delle autorizzazioni al commercio ambulante colpì molti capi famiglia che aveva diversi figli e persone a carico. La persecuzione comportò un impoverimento del gruppo ebraico nel suo insieme e un forte impoverimento di strati di esso. Tutti gli ebrei si videro d’un tratto respinti e umiliati dalla monarchia e da Mussolini. Molti ebrei si allontanarono dalla politica per valori (o lavori) di solidarietà, approdando all’antifascismo. 6. I quarantacinque giorni dell’estate del 1943 10 luglio 1943 primi reparti angloamericani sbarcarono in Sicilia. Due giorni dopo ci fu l’abrogazione di qualsiasi legge che fa distinzione contro qualsiasi persona o persone in base alla razza, colore o fede. 25 luglio Mussolini venne deposto e arrestato, il re incaricò Badoglio di formare un nuovo governo. Mantenne l’alleanza con la Germania e iniziò a trattare un armistizio con gli Alleati, concluso il 3 settembre e annunciato l’8. Per gli ebrei in quei quarantacinque giorni il governo mantenne la legislazione persecutoria, revocò alcune disposizioni e attuò una politica di non consegna ai tedeschi gli ebrei stranieri nella penisola. La continuità legislativa si protrasse anche dopo l’8 settembre con la fuga del re e di Badoglio al sud. L’annuncio ufficiale dell’abrogazione della legislatura antiebraica reca data 22 settembre. Dopo la guerra Badoglio scrisse: Non era possibile abrogare le leggi razziali, senza entrare in un violento scontro coi tedeschi. Le lasciò, ma inoperanti. Mancando di un’abrogazione ufficiale le leggi rimasero operanti a tutti gli effetti. Badoglio rallentò anche la defascistizzazione del paese. Il governo Badoglio abrogò disposizioni di natura non legislativa. Gli ebrei italiani soggetti all’internamento istituito nel 1940, ne ordinò la liberazione. Nei territori occupati venne bloccata la consegna alla Germania degli ebrei tedeschi in Francia. Gli ebrei italiani o ex italiani in Francia vennero autorizzati al rientro nella penisola e lo stesso per quelli in Grecia. Cap 5 – IL PERIODO DELLA PERSECUZIONE DELLE VITE DEGLI EBREI (193-45) 1. La nuova situazione L’8 settembre 1943 venne diffusa la notizia dell’avvenuta della stipula dell’armistizio tra regno d’Italia e gli Alleati. Ilo territorio italiano si divise in due parti: Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania erano controllati dagli Alleati e dal Regni d’Italia, in tali regioni fascisti e nazisti non avevano modo di adottare nuove misure antiebraiche e gli ebrei residenti vennero liberati. Nelle regioni al nord ebbe inizio la Shoah (persecuzioni delle vite degli ebrei), le persone assoggettate furono circa 43 mila. A Roma la persecuzione durò nove mesi, a Firenze undici e in Italia settentrionale venti. Ci furono varie fighe, alcune avvenute nei giorni successivi all’8 settembre, ma la maggioranza fu dopo l’inizio degli arresti e degli eccidi. 10 settembre Hitler decise un nuovo assetto sulle regioni italiane, suddividendo tre zone di operazione e una zona occupata. Istituite: zona di operazione Prealpi (Bolzano, Trento, Belluno); zona di operazione Litorale adriatico (Udine, Gorizia, Pola, Fiume, Lubiana); zona di operazione comprendente il retrovia del fronte e una zona occupata comprendente le restanti regioni settentrionali e centrali. In queste zone i tedeschi ebbero ordine militare e in alcune anche l’ordine civile. Nelle zone più grandi le responsabilità civili furono assunte dalla nuova amministrazione italiana fascista, che iniziò a configurarsi il 23 settembre quando Mussolini annunciò la composizione del nuovo Stato fascista repubblicano. Del 1° dicembre 1943 prenderà il nome di Repubblica sociale italiana. Da parte tedesca le operazioni antiebraiche erano di competenza di una sezione di polizia specializzata: Gestapo = polizia segreta di stato; SIPO-SD = polizia di sicurezza e servizio di sicurezza; RSHA = direzione generale per la sicurezza del Reich. Gli avvenimenti dell’8/09 e i giorni successivi significarono per gli ebrei il ripristino della persecuzione dei diritti e l’avvio della persecuzione delle vite. È da ricordare che nel corso del quinquennio precedente gli ebrei erano identificati, censiti, schedati ed elencati dai comuni e dalla Demorazza nelle nascite, morti e cambi di residenza. Gli antifascisti erano consapevoli del pericolo che questi elenchi per gli ebrei se finissero nelle mani degli hitleriani o dei fascisti. 2. La politica antiebraica dell’alleato-occupante tedesco Le azioni antiebraiche tedesche iniziarono subito dopo l’8 settembre. Zona di Bolzano gli arresti furono avviati immediatamente, ad opera della neocostituita polizia locale di sicurezza e dell’ordine (SOD) e della SIPO-SD e si intensificarono a seguito dell’emanazione dell’ordine di arresta gli ebrei puri (12 settembre). Il rastrellamento di Ancona invece non ebbe successo perché gironi prima chiusero la sinagoga e dissero agli ebrei di nascondersi. Altre strutture di polizia tedesche procedettero, durante tutta l’occupazione, all’arresto dei singoli ebrei e alle lora consegna alla sezione specializzata. Il 23 settembre 1943 l’RSHA comunicò ai suoi ufficiali dipendenti e periferici che gli ebrei di cittadinanza italiana erano divenuti assoggettabili alle misure di trasferimento (=alla deportazione). La polizia tedesca non arrestava o rilasciava immediatamente anche gli ebrei che avevano il coniuge o un genitore ariano, ma da metà febbraio 1944 furono internati in campi della penisola e in vari casi deportati. Età, sesso e condizioni di salute non costituirono un motivo per eccezioni o esenzioni. Le azioni della polizia segreta e di sicurezza ebbero inizio in ottobre. Ci furono varie retate, ma quella più consistente venne effettuata a Firenze ove il 6 novembre vennero arrestati 300/500 ebrei, che venne deportati ad Auschwitz in due convogli. Nei giorni successivi estesero gli arresti nella penisola, ma anche gli italiani decisero di procedere agli arresti. I tedeschi però cominciarono anche un’azione di impossessamento dei beni degli ebrei. 3. La politica antiebraica della Repubblica sociale italiana La fase di avvio della nuova politica antiebraica italiana è tuttora relativamente poco nota. Ebbe inizio contemporaneamente alla vicenda della Rsi, perché nel settembre del 1943 nella preparazione del nuovo governo fascista, qualcuno degli interlocutori tedeschi di Mussolini gli comunicò che essi ritenevano gli ebrei corresponsabili degli avvenimenti del 25 luglio e dell’settembre e che la Germania lo avrebbe aiutato a combatterli. Il 23 settembre ci fu da parte dei fascisti e dei nazisti l’annuncio del governo repubblicano e la deportazione degli ebrei di cittadinanza italiana. 10 e 11 ottobre la stampa annuncia il ripristino delle norme antiebraiche abrogate il 25 luglio e le ulteriori misure finalizzate a mettere gli ebrei in condizioni di non poter più nuocere agli interessi nazionali. Il 5 e il 6 novembre il ministro degli interni elabora un progetto che si rifà alle leggi di Norimberga tedesche, in esso stabilita la confisca dei beni immobili e mobili degli ebrei, la limitazione della loro attività professionale e la discriminazione raziale. 14 novembre a Verona: prima assemblea del nuovo partito fascista repubblicano approvò manifesto programmatico. Con questo venne proclamato che il nuovo stato era programmaticamente antisemita. Due provvedimenti normativi: - 30 novembre ministro degli interni da l’ordine di arresto di tutti gli ebrei di qualunque nazionalità e il loro internamento nei campi di concentramento e il sequestro dei loro beni, mobili e immobili. In più l’adozione di una vigilanza di polizia dei figli di matrimonio misto che erano stati classificati ariani - 4 gennaio 1944 varato un d.l.d. in cui i capi provincia dovevano procedere alla confisca di beni di qualsiasi natura delle persone di razza ebraica, sia stranieri che italiani. Mussolini in aprile istituì un ispettorato generale per la razza a cui furono affidate le attribuzioni concernenti la razza prima esercitate dalla Demorazza. Ci fu un aumento dei perseguitati, e nel maggio del 1944 si estesero anche alle persone che avevano un bisnonno ebreo. 4. Un terribile segreto? 4 dicembre 1944, a Berlino, la RSHA informa che non ha abbastanza forze per arrestare tutti gli ebrei della penisola. Così il ministero degli Affari esteri tedesco sollecita il governo Rsi ad attuare l’ordine del 30 novembre e chiedergli l’immediata consegna degli ebrei arrestati. Tra fine luglio e inizio agosto 1944 i tedeschi trasferirono il campo di transito da Fossoli (Modena) a Bolzano. Il trattamento fu più duro e venne introdotto l’obbligo di un triangolo colorato (giallo per gli ebrei) sui vestiti. Il destino degli ebrei non conobbe alcuna modifica: italiani e tedeschi arrestavano le vittime e le trasferivano nel campo, i tedeschi li prelevavano e poi deportavano. Gli arresti e gli internamenti finalizzati alla deportazione e uccisione costituirono l’aspetto principale della persecuzione delle vite degli ebrei, affiancato da eccidi e singole uccisioni nella penisola (75 ebrei uccisi per rappresaglia, 56 per rapina …). Va ricordato che alcuni ebrei riuscirono a scappare dai campi e dai carceri, oppure liberati dalla Resistenza o Alleati. Ci furono fughe di singoli o piccoli gruppi dai treni, altri durante il trasferimento da Fossoli a Verona. L’arrivo degli Alleati e l’insurrezione dei partigiani portarono la libertà a più di duecento ebrei detenuti in carcere o in campo. 5. Gli ebrei tra deportazione, clandestinità e Resistenza
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