Scarica Riassunto - La comunicazione verbale - E. Rigotti, S. Cigada e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! Linguistica Generale La comunicazione verbale 1. Lo scambio comunicativo 1.1 UN PRIMO ACCOSTAMENTO AL CONCETTO Comunicazione viene dal latino communicatio, nome deverbale di communico. Contiene il formativo cum- e la radice munus, la quale in latino ha una grande polisemia, tra cui i significati più importanti sono dono e compito. Il valore generico è “qualcosa che spetta- che tocca a”. C’è un collegamento tra i due significati perché un oggetto prezioso richiede cure. Il bene che passa da una mano all’altra è il senso di quanto viene detto, quindi la comunicazione consiste in uno scambio di segni. 1.2 COMUNICAZIONE, COMUNITÀ E CULTURA Mentre la società è un aggregato e prodotto meccanico secondo Tönnies, la comunità è un organismo vivente. La prima valenza precisa è data da Saussure: comunità = massa di coloro che parlano la stessa lingua Il sociolinguista Dell Hymes parla invece di speech communities, spiegando la comunità solo in base a un codice di interazione, e non tiene conto dei processi inferenziali. Tuttavia è più adatto parlare di comunità linguistica come insieme di coloro che comunicano mediante l’uso di una o più lingue naturali. La scuola di Tartu ha definito la cultura come: • informazione non genetica che passa tra le generazioni; • “grammatica” di una comunità come configurazione dei sistemi segnici; • insieme di testi, cioé conoscenze e credenze, che condiziona l’appartenenza alla comunità. Lo scambio di beni che avviene la comunicazione è tanto più alto quanto diversi sono gli interlocutori, ma al contempo rischioso, poiché diminuisce il common ground. 1.3 COMUNICAZIONE E SOCIETÀ CIVILE La comunicazione è particolarmente rilevante in una comunità democratica. Atene basava infatti la sua democrazia sulla pratica della parrhesia nell’ekklesia. C’è una differenza tra: • comunicatore:colui che sa parlare ad arte; • comunicazionista: ha una consapevolezza sistematica degli strumenti della comunicazione e sa come usarli. Possiede i segreti della comunicazione, ovvero le sue leggi, e la padronanza degli aspetti contestuali. Egli agisce lì dove la comunicazione si inceppa. Per Ennio la comunicazione “donava luce” senza impoverire il mittente, mentre oggi non è proprio così. Inoltre la sofisticazione tecnologica ha molto diversificato le tipologie di comunicazione contemporanee. 1.4 COMUNICAZIONE VERBALE E TRADIZIONE DELLE SCIENZE LINGUISTICHE Le scienze della comunicazione sono molto varie. (p. 11) La comunicazione verbale nasce dall’incontro tra le scienze delle comunicazione e quelle linguistiche, viene definita come studio della correlazione delle strutture del messaggio verbale. 1 2. Verso un modello della comunicazione verbale 2.1 IL MODELLO COMUNICATIVO DELLA RETORICA CLASSICA La comunicazione verbale anticamente era studiata nell’ambito della retorica classica, la quale abbracciava inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio. Aristotele nella Retorica I mette in evidenza i tre fattori costitutivi di ogni discordo: il parlante, l’ascoltatore e il discorso. La Retorica nasce con l’esercizio del potere democratico. “Potere” ha un’ampia polisemia: valore primario è essere in grado di fare. Nella democrazia il potere del discorso è l’unica forma di potere ammessa, trasmesso attraverso la comunicazione verbale, la quale convince l’interlocutore ad aderire all’argomentazione perché mosso da un interesse positivo. La parola può però diventare violenza, quando è manipolazione e priva l’interlocutore della capacità di giudizio, poiché è sistematicamente disinformato o informato del falso. 2.1.1 I FATTORI DEL DISCORSO PERSUASIVO Il verbo persuadere rimanda al verbo latino suadeo, stessa radice di suavis, soave. Il prefisso per- indica compimento: persuadere significa consigliare. La persuasione produce nel destinatario un’adesione del cuore, in latino fides. Il decisore sceglie di credere, termine che indica sia l’adesione conoscitiva che la cessione di un bene. Tutti i termini citati in greco corrispondono alla radice pith, da cui pistis, peitho, peithomai.Pístis è il termine all’origine del campo semantico, il credito che il parlante ottiene con il suo dire e al contempo l’adesione del destinatario. Per Aristotele nel processo persuasivo è fondamentale la logica: la componente etica e quella emotiva sono importanti, ma efficaci solo se accompagnano il logos. 2.1.2 LA STRUTTURA DEL RAGIONAMENTO/DISCORSO Nel modelllo della comunicazione in epoca classica ci sono due livelli di organizzazione del discorso: • processo dinamico di creazione, con le 5 parti del discorso ciceroniane; • riflessione sistematica sui contenuti a seconda della tipologia di discorso: politico, giudiziario o epidittico. 2.1.3 LA DESTINAZIONE AL PUBBLICO E LA DINAMICA DELL’INTERESSE Risulta fondamentale anche per i retori il nesso tra azione comunicativa e finalità: gli interlocutori sono coinvolti personalmente nell’argomentazione. Inoltre, oltre alla correttezza logica, sviluppano una prima concezione di dinamica dell’interesse: per attivare un processo persuasivo occorre la percezione che la decisione riguardi me e i miei interessi. 2.2 MODELLI STRUTTURALISTI E FUNZIONALISTI Nella comunità scientifica non c’è un modello della comunicazione verbale condiviso da tutti. Nella storia si sono succeduti sguardi diversi. La comunicazione verbale è ciò che permette di creare joint action. Primi modelli: • Claude Shannon: elabora un modello molto utilizzato in sede informatica e linguistica quando si guarda alla dinamica della lingua in prospettiva matematica, la linguistica computazionale. Dice che un flusso di informazioni da un information source viene inviato ad un receiver. Sia la fonte che il ricevente sono due devices che trasmettono informazioni codificate. Shannon segnala che ci possono essere problemi dovuti a disturbi dovuti al canale di trasmissione, per questo Shannon introduce un ulteriore fattore, la noise source. Per garantire che la trasmissione sia efficace Shannon elabora il Teorema di Shannon (1948) che stabilisce come evitare disturbo nella trasmissione. Bisogna delimitare quale sia la capacità del canale, ovvero la quantità di dati che può essere trasmessa. Una volta stabilità la quantità massima, il problema è risolto. Questo teorema non ha applicazione sulle lingue storico naturali. 2 • atto illocutivo, compiamo volta per volta un’azione diversa, ad esempio con l’enunciato assertivo Paolo fuma abitualmente, • atto perlocutivo, intende effetti che uno speech act produce nel contesto in cui viene usato un effetto sul destinatario. Supponiamo di avere un comando di un genitore che dice “Chiudi la finestra”: questo speech act è un atto locutivo, che coincide con un atto perlocutivo. • John Searle: riprende la teoria degli speech acts e approfondisce il livello illocutivo. • Paul H. Grice (1913-1988): sviluppa un modello fondato sul principio di cooperazione. In un atto comunicativo i due interagenti cooperano, questa è la ragione per cui quando formuliamo un discorso è più quello che non diciamo, rispetto a ciò che esplicitiamo. Il processo di ricostruzione dei non-detti è il processo inferenziale. Un processo comunicativo adeguato avviene seguendo massime (le massime di Grice non sono normative, non sono dei principi pre-formulati che devono essere applicati nel discorso, naturalmente il processo comunicativo, se è efficace, segue e rispecchia una serie di massime, che dicono della naturalità del processo comunicativo). Egli fonda il cooperative principle : formula una serie di massime ricondotte a 4 categorie: • quantity: il contributo comunicativo deve essere tanto pieno di informazioni quanto è necessario, l’informazione non deve eccedere né deficere; • quality: non dobbiamo dire ciò che crediamo sia falso, devi dire solo ciò di cui hai evidenza adeguata; • relation: sii pertinente, l’informazione è un dato con cui aggiorniamo un database; • manner: evita oscurità nell’espressione, ambiguità, non essere troppo prolisso, persegui brevità e ordine. • Sperber e Wilson: ampliano il modello di Grice, fondano la teoria della pertinenza. Diventa fondamentale il ruolo svolto dal mittente e dal destinatario, e sopratutto il contesto. Il ruolo che hanno mittente e destinatario è importante perché ognuno dei due sottintende cose. Ogni messaggio sortisce effetti contestuali: il processo comunicativo ha un effetto nel contesto, produce un cambiamento dei soggetti coinvolti nel processo comunicativo (cambiamento della intersoggettività). Cambia anche il mittente perché una volta che l’atto comunicativo è stato proferito, il mittente non è più lo stesso di prima. Partono dalla massima “be relevant”, in modo che il messaggio crei involvement. Un messaggio è tanto più pertinente quanto minore è lo sforzo a livello cognitivo nei processi inferenziali che permettono di interpretare il testo. La pertinenza dipende dal rapporto tra effetti contestuali e sforzi cognitivi per interpretarlo. 2.4 PROPOSTA DI SINTESI TEORICA Un messaggio è uno scambio di segni (che producono sensi). L’evento comunicativo è costituito da ciò che riguarda la trasmissione del messaggio. Etimologia di evento: viene da eventum, a sua volta da e-venio, che presenta il prefisso ingressivo e-. L’evento accade improvvisamente ed imprevedibilmente. Il termine tedesco Ereignis (avvenimento) che ha la stessa radice di eigen (proprio) è produttivo anche nel verbo sich aneignen (impossessarsi). L’evento quindi non solo sopravviene ed accade impossessandosi di noi. Un messaggio è un evento comunicativo. L’evento comunicativo produce un habit change secondo Peirce: l’habit change che il messaggio produce è un momento costitutivo del suo senso. Il messaggio ha un senso iniziale (intenzione comunicativa del parlante). 2.5 UNO SCAMBIO DI SEGNI CHE PRODUCE SENSO La parola senso è polisemica: organo percettore, direzione, ragionevolezza. accezione, adesione alla realtà. Un fatto ha senso quando ha un rapporto con la ragione. OSSERVAZIONE: IL NON-SENSO Il non senso esiste a scopo metalinguistico, quando ci si mette a riflettere su una certa lingua. I testi utilizzati per renderci conto dell’insensatezza sono testi artificiali. Esempi: • il non senso si riflette nel teatro dell’assurdo: le piéce sono profondamente ricche di senso, utilizzando la tipologia comunicativa del nonsense per dare l’esperienza di disagio dell’uomo moderno, che ha perso i punti di riferimento. I non sensi linguistici veicolano un messaggio. Di conseguenza a livello di comunicazione reale, e non metalinguistica, esiste il non senso. 5 • testi dei soggetti psicotici: testi in cui sono lese le regole della testualità, per cui sfugge un senso immediato, anche il terapeuta però certifica che viene comunque veicolato un messaggio. La nostra ipotesi è che il non senso non possa essere il contenuto ultimo di un messaggio, occorre distinguere fra la realtà comunicativa, dove non esiste nessun messaggio insensato, e l’ambito metalinguistico, quando in momenti di laboratorio si ragiona sugli eventi comunicativi. 2.6 COMUNICARE È AGIRE Si ricorre alla comunicazione tutte le volte che si coinvolgono nelle proprie azioni altri soggetti, ovvero si fa una joint action: • è cooperazione, quando i due soggetti condividono lo stesso scopo. Gli atti linguistici hanno la funzione di coordinare le azioni rispettive degli agenti; • è interazione, quando gli obiettivi dei due agenti sono complementari; • è competizione, quando l’azione di un soggetto interferisce con la catena di realizzazione di un altro. Gli atti linguistici hanno la funzione di giustificare la preminenza della propria azione su quella degli altri. La definizione di azione può essere: soggetto come agente, capace di iniziativa nella realtà, dotato di conoscenza e desideri, capace di immaginare stati cose e di decidere di realizzarli. Se la soluzione immaginata è anche desiderabile, si attiva una catena di realizzazione. 2.8 SEMIOSI Gli eventi semiotici sono reali e fisici, non si esauriscono in se stessi ma sono stimoli a cui è associata una precisa intenzione comunicativa. Per questo il segno unisce inscindibilmente il fisico, percepibile con i sensi, che rimanda ad un non-fisico, il senso. 2.8.1 IL SEGNO LINGUISTICO Il segno linguistico è dato dall’unione del suono e del senso, anche se i due piani non sono equivalenti, ma in rapporto gerarchico. Le unità linguistiche segniche riconoscibili nei messaggi nascono dall’incontro della rete di relazioni fisiche e da quella dei segni: sono parole, morfemi, ordine delle parole, strutture prosodiche e sintattiche, etc. I segni hanno riconoscibilità sul versante fonetico: ogni realizzazione di un’unità linguistica è diversa dall’altra e tuttavia è somigliante all’immagine sonora depositata nella nostra memoria. Possiamo riconoscere queste strategie di manifestazione tramite processi di astrazione. Ogni messaggio però rimanda a un senso reale ed unico: emerge la significazione, il senso specifico che un’unità linguistica assume nel testo. I suoni svolgono la funzione precisa di veicolare i valori di cui i segni sono portatori in un determinato contesto comunicativo. Nel momento in cui dobbiamo usare una parola, dimentichiamo tutti le funzioni che quella può svolgere in altri contesti: il valore che le diamo è appunto la significazione. Ripensando al circuit de la parole si può dire che il nesso semiotico è costituente essenziale della comunicazione verbale. OSSERVAZIONE: SEMIOSI E IMPLICAZIONE Ci sono diverse tipologie di eventi: • alcuni possono avere senso perché implicano per me qualcosa di particolare; • altri possono avere senso per via di un rapporto semiotico tra l’evento e il suo senso, ovvero sono io e i miei interlocutori a dare contenuto/significato/senso all’evento. L’evento semiotico inoltre è delimitato da una cornice che indica il confine tra l’oggetto semiotico e l’oggetto non semiotico: indica l’ambito di realtà all’interno di cui opera la semiosi (ad esempio C’era una volta, oppure le sigle dei programmi tv). 2.8.3 LA TRADUZIONE La traduzione evidenzia la possibilità di costruire lo stesso senso avvalendosi di lingue diverse: il traduttore si pone come intermediario del messaggio e ne implementa il senso nel sistema linguistico che i destinatari definitivi conoscono. 6 L’autore formula il senso (rappresentazione semantico pragmatica) mediante il suo SL1 in lingua L1. Il traduttore recupera il senso dalla L1 e formula il testo in L2 mediante il SL2. Il nuovo testo è a disposizione del destinatario effettivo che dal testo L2 può di nuovo risalire al senso. 2.8.4 PERCHÉ SI PARLA DI LINGUE “STORICO-NATURALI”? Il linguaggio è una dimensione essenziale nella vita di un uomo, quindi una naturale inclinazione. Lingua e cultura inoltre hanno la stessa modalità di trasmissione, ovvero attraverso le generazioni. OSSERVAZIONE: LA LINGUA E LE LINGUE Dante afferma nel XXVI Paradiso che l’uomo parla perché è nella sua natura farlo, ma come parla cioé la lingua storico naturale dipende dall’uomo stesso e dalle sue scelte. 2.8.5 I SISTEMI SEMIOTICI VERBALI E NON VERBALI Il segno si realizza come oggetto, tuttavia non è tale da solo, ma diventa segno solo se entra in alternativa con altri segni che dicono altri significati. Un unico oggetto può creare due segni: la presenza e l’assenza, o segno zero, quando in un codice l’assenza dello stesso funziona da significante. I sistemi di segni sono basati sull’opposizione, cioè sulla diversità tra i segni e la loro vicendevole esclusione. I sistemi possono essere: • verbali (linguistici): sistemi segnici o lingue, hanno la funzione di fornire ai parlanti una serie di strumenti espressivi utili per costruire messaggi. In questo tipo di linguaggio operano, oltre alla semiosi, la deissi, l’inferenza e l’ostensione; • non verbali (non linguistici): sistemi di segni o segnaletica che prevedono un determinato numero di posizioni, sono caratterizzati da un rapporto biunivoco tra i significanti e i significati. 2.9 DEISSI Parole come Io, questo, adesso… sono deittici: assumono valore in rapporto al contesto in cui sono utilizzate, perché il loro significato effettivo non è dato dal sistema. La deissi funziona nell’incontro del linguaggio con l’esperienza, i deittici hanno al loro interno una parte linguistica e una esperienziale. Non si tratta appunto di significare una categoria, ma di dare un’istruzione che funziona grazie all’interazione tra linguaggio/realtà. Le strutture deittiche sono numerose e sono di diverse classi: • deittici personali: indicano colui che parla, ad esempio io; • deittici temporali: indicano il tempo in cui si parla, tra il morfema ho dorm-ito; • deittici testuali: riprendono i denotati di segmenti di testo precedenti. Gli antichi distinguevano i deittici veri e propri dalle anafore: oggi si parla di elementi cataforici (anaforici o cataforici). 2.10 OSTENSIONE In ciascun contesto si comunicano cose che in altri contesti non si comunicherebbero: si dce solo quello che è pertinente. La realtà entra significativamente a costruire il senso dell’evento comunicativo, per cui l’ostensione diventa un elemento costitutivo della comunicazione e ne fa parte perché il discorso non avrebbe senso senza di essa. OSSERVAZIONE: DEISSI E OSTENSIONE La deissi ha una componente linguistica, che è assente nel caso dell’ostensione. Nell’ostensione è la semplice presenza ad avere senso, senza che venga detta. Nella deissi si ha invece un elemento linguistico. 2.11 INFERENZA L’inferenza è il ragionamento, spesso complesso, che usiamo per interpretare i discorsi (scritti e orali) dei nostri interlocutori. L’inferenza può essere tanto più estesa quanto maggiore è l’intesa tra gli interlocutori, fino a far bastare un segno per capirsi. L’inferenza opera in base al principio di cooperazione o di buona volontà, il quale guida il destinatario da un lato, ma dall’altro presuppone che il discorso del mittente venga capito dal 7 OSSERVAZIONE: COME “NASCE” UNA TEORIA Tendenzialmente una teoria scientifica non può essere né totalmente verificata né totalmente falsificata, poiché consta di diversi principi, e la falsificazione di uno di questi, non comporta la falsità degli altri. Diversi esempi: • I casi della declinazione nominale e del connettivo: in tedesco ci sono 4 casi e i sostantivi si organizzano in 4 declinazioni, in dipendenza dalle quali un sostantivo riceve entro un caso una certa forma. Nel Das Buch meines Bruders vediamo come si manifesti il genitivo, non che è il caso genitivo. • I connettivi: molti dei connettivi non vengono manifestati proprio perché tramite l’astrazione inferenziale si possono ricostruire. Ad esempio Mio figlio non guida. Ha 15 anni. il collegamento non viene esplicitato, anche se mentalmente ipotizziamo un infatti. 4. Linguaggio e ragione 4.1 IL LÓGOS La parola logica al giorno d’oggi conserva solo uno dei significati che le davano gli antichi, ovvero quello relativo ai processi del ragionamento e non del linguaggio. I significati sono vari: • discorso/parola/linguaggio, come attività tipiche dell’uomo; • ragione; • calcolo come uso speciale e tipico della ragione. OSSERVAZIONE: OMONIMIA E POLISEMIA Nelle lingue si devono distinguere espressioni omonime e polisemiche: • omonimia: due parole distinte hanno lo stesso significante (la parola fiera); • polisemia: presenta significati diversi, ma evidentemente imparentati (la parola capo intesa come “testa” o “dirigente”). Le tre accezioni di logos sono omonime o polisemiche? Tra ragione e calcolo c’è sicuramente polisemia in quanto il calcolo è un particolare uso della ragione. 4.2 I SENSI COME ORGANI PERCETTIVI RELATIVI A DIMENSIONI PARTICOLARI E LA RAGIONE COME ORGANO RELATIVO ALLA REALTÀ NEL SUO INSIEME Nel paragonare la ragione ai sensi possiamo parlare della ragione come organo che rapporta l’uomo con l’insieme dell’esperienza e della realtà. questo rapporto è fortemente connesso con il linguaggio. La ragione diventa organo del tutto perché permette di guardare alla totalità delle cose, oltre i dati. 4.3 PLATONE E L’ “INTRECCIO” DI NOMI E VERBI I grammatici antichi vedono la caratteristica del linguaggio umano nella vox articulata, l’articolazione tocca al tempo stesso il significante e il significato. Quando si dividono le sillabe invece l’articolazione tocca solo il significante ma non il significato. Già Platone osserva che il discorso non è fatto solo dalla successione di elementi: ci vuole una ragione che tenga insieme gli elementi. La tematica della coesione si sviluppa in Platone con la scoperta della composizionalità: il linguaggio non ha solo espressioni linguistico-semiotiche ma anche strutture composte, dall’unione di più strutture linguistiche che vengono a formare un senso unitario. La lingua ci permette di costruire un numero infinito di messaggi: questa è la creatività linguistica. Il discorso nasce dalla combinazione significativa di espressioni: questa combinazione è fondata sulla differenziazione semantica delle parole. Platone distingue: • nomi: segni che indicano coloro che compiono le azioni; • verbi: segni che si riferiscono alle azioni. 10 La linguistica del ‘900 ha frainteso la composizionalità con l’idea che il testo sia fatto di parti, ma già Platone intendeva il linguaggio come articolazione inscindibile di due componenti: un elemento che dice un modo d’essere e l’altro che dice un essere che può essere in quel modo. Parlare sensatamente significa quindi combinare concetti congrui (nella semantica si parla di nesso predicativo-argomentale). I predicati sono i modi d’essere. Gli argomenti sono gli esseri che sono coinvolti. 4.4 COMPOSIZIONALITÀ E VIRTUALITÀ Platone osserva anche che le parole sono diverse perché hanno funzioni diverse. La composizionalità viene definita come combinazione significativa, cioè che produce senso e quindi da origine alla rappresentazione di una realtà possibile. La symploké è quindi costitutiva della virtualità, luogo nel quale ci sono tutti gli eventi che possono avere luogo. OSSERVAZIONE: LA COSIDDETTA REALTÀ VIRTUALE La realtà virtuale consiste in modelli dinamici di simulazioni di esperienze reali. Ci sono tuttavia due diverse modalità d’esperienza virtuale: • quelle che potenziano il legame con la realtà reale; • quelle che usano il virtuale come surrogato definitivo del reale. Sul piano linguistico, il testo è sempre portatore di un mondo che il testo o menziona o introduce, se non addirittura crea. La composizionalità può non trovare corrispondenza con il vero stato delle cose, poiché crea possibili frammenti di realtà: grazie alla menzogna possiamo però stabilire un criterio di demarcazione tra virtualità e realtà. 4.5 GRAMMATICALITÀ, CONGRUITÀ E COERENZA La domanda è se per la composizionalità basti legare un predicato qualsiasi ad un argomento o si debba legare ciascun predicato ad una precisa classe di argomenti. Nella buona formazione del discorso dobbiamo rispettare: • livello della grammaticalità; • livello della congruità: coesione logico-semantica ( non posso dire L’acqua cammina, ma Il bambino cammina); • livello della coerenza: la sensatezza è la capacità del discorso di fare riferimento alla realtà. Questa non distingue vero o falso, perché il senso contraddittorio è comunque un senso, dato che manifesta la sua inconsistenza. 11 4.6 LA NATURA DEL SIGNIFICATO Il processo di costituzione del senso testuale si determina come: • struttura testuale minima di natura predicativo-argomentale; • un predicato è un modo d’essere, un argomento è un’entità; • la congruità non è garantita dalla combinazione di un predicato qualsiasi con un argomento qualsiasi. Per descrivere un predicato si individuano 5 fattori costitutivi della congruità: numero, qualità e ordine degli argomenti, campo d’azione del predicato e le sue implicazioni. NUMERO Ci sono predicati che si caratterizzano per il numero dei loro argomenti: • monadici: modi d’essere che caratterizzano una sola entità, in logica rappresentati da P x. Ad esempio il verbo passeggiare indica che per avere una situazione di passeggiare basta un solo essere; • diadici: devono essere coinvolte almeno due entità, in logica rappresentati da P (x1,x2). Ad esempio abbiamo il verbo litigare, nessuno litiga da solo. Rientrano tra questi molti verbi transitivi; • triadici (dare), tetradici (tradurre), pentadici (affittare); • predicati che non sono verbi: • aggettivi monadici: bianco, rosso, onesto; • avverbi monadici: nervosamente (caratterizza immediatamente non un’entità, ma un evento-azione), forse (possibile x), probabilmente; • aggettivi diadici: adatto ( Questo vestito è adatto alla stagione invernale), uguale, diverso; • avverbi diadici: davanti, dietro, sopra, sotto e locuzioni avverbiali al di sopra (Luigi gioca vicino alla scuola); • congiunzioni diadiche: hanno come argomento le espressioni che connettono:la natura di predicati diadici emerge se esplicitiamo il loro valore in verbo (Esco se non piove / Il mio uscire è condizionato dal non piovere): • preposizioni diadiche. QUALITÀ DEGLI ARGOMENTI Ciascun posto argomentale ammette certi argomenti e ne esclude altri. Esempio: il p.monadico intelligente ammette molti argomenti, ma non potrò affermare una frase come Questa montagna è intelligente. Struttura argomentale dei predicati dare e dire Sono ambedue triadici e ambedue esigono x1 e x3 come argomenti degli esseri umani. In x2 per dare avremo un soggetto non-umano, in dire un oggetto discorsivo. Un argomento è tipicamente un nome, ma a volte può essere un oggetto discorsivo o un altro predicato. Negli argomenti si racchiude un significato, spesso complesso, che condiziona la congruità della struttura predicativo argomentale. Gli argomenti nascondono dei predicati: uomo può anche essere bipede implume. I predicati interni agli argomenti hanno la funzione di caratterizzare gli argomenti, cioè di stabilire a che condizioni un’entità è di quel certo tipo. Nelle frasi: Quel bambino gioca, Qualsiasi bambino gioca, le espressioni sottolineate sono determinanti i quali possono essere: • indefiniti, che dicono l’esistenza di almeno una x che ha le caratteristiche che il testo enuncia; • definiti, che contengono l’articolo definito “il”; • con pretesa di universalità, come tutti che specifica che questi coincidono con la totalità, qualsiasi e ciascuno specificano un’interpretazione distributiva della situazione, o come nessuno che esclude dal predicato tutti gli elementi dell’insieme. 12 Con il termine passione invece si mette a fuoco la passività, il primo momento del coinvolgimento è una reazione che il soggetto subisce, vede accadere in se. La passione ha esito: • negativo, quando acceca la ragione e diventa unico motivo delle azioni; • positivo, quando indica l’intensità dell’impegno. OSSERVAZIONE: RAGIONE E RAGIONI Conoscenza della realtà e coinvolgimento non sono separabili: Pascal dice che il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce così estendendo il il concetto di ragione dal ragionamento logico alla capacità di valutare la realtà, tenendo conto del fatto che il ragionamento è mosso non da un calcolo, ma dal riconoscimento di un bene maggiore. Cioè la comunicazione prende le mosse dal cuore ma si rivolge ad un altro cuore. Il coinvolgimento si manifesta anche come sentimento, ovvero un coinvolgimento profondo e duraturo, non necessariamente manifestato in gesti, ma capace di muovere il soggetto verso la meta. Il sentimento ha un’alta componente di ragione perché si sviluppa con la riflessione interiore. Ecco che l’errore e la manipolazione si insinuano nella comunicazione semplicemente per una svista, per un errore indotto da falsità, per assolutizzazione di un particolare… La stesso parola sbaglio ha la stessa radice di abbaglio, in effetti si prende un abbaglio dovuto a diverse cose: • debolezza tecnica, come scarsa conoscenza della lingua; • scarso investimento di attenzione; • automanipolazione che il soggetto opera su se stesso e poi riverso nella persuasione; • distorsione della pertinenza e dell’interesse. Esempio: nel telegiornale viene usato il potere dell’agenda setting che vincola in modo assoluto la scelta delle notizie. In questa caso la comunicazione diventa manipolazione perché il TG dice “This is the news for today”, ovvero il particolare viene a occupare tutto lo spazio disponibile imponendosi come totalità. OSSERVAZIONE: LA CULTURA ALESSIMITICA Molte ideologie condannano il desiderio e inducono l’uomo a sentirsi in colpa nel momento in cui desidera: questa concezione annulla la dinamica costitutiva dell’essere umano: noi ci comportiamo in un determinato modo perché riconosciamo cose che sono un “bene per noi” e che desideriamo. Plantin critica la comunicazione alessimitica, ovvero quella di soggetti patologicamente incapaci di esprimere verbalmente le proprie emozioni, e critica l’ideale di un discorso puramente razionale che elude il desiderio. In questo modo recupera l’emozione, intesa come energia per l’azione. 5. Le strutture intermedie Nozione di struttura media: correlazione multivoca tra strategie di manifestazione e valori linguistici, caratteristica di sistemi semiotici linguistici, che proprio per la presenza di strutture intermedie, si differenziano da quelli non linguistici. 5.1 LA LINGUA, SAPERE NON SAPUTO Il dato di partenza per lo studio di una lingua è il corpus dei testi prodotti in quella lingua. Non è un sapere esplicito, poiché “sapere” il significato di una parola non equivale a saperne fare l’analisi semantica. Ci sono diversi tipi di conoscenza: • segmenti di conoscenza: dati inseriti nel nostro database. Ad esempio in So come si chiama la via di fianco all’università; • segmenti che non sono dati espliciti della nostra conoscenza: valutazione fatte come semplici parlanti, non a partire da un sapere esperienziale. Ad esempio in So cosa significa gara. La lingua inoltre vive in una particolare dimensione psichica, strutture e procedimenti della lingua vengono attivati nel momento in cui li uso concretamente nel parlare: nella memoria del parlante sono modelli di realizzazione. 15 5.2 QUALI SONO LE STRUTTURE INTERMEDIE Le classi fondamentali delle strutture intermedie sono 5: • lessico: è comunemente inteso come costituito dalle parole di una lingua. In realtà la parola intesa come elemento del lessico è un lessema, alcuni variabili e altri invariabili. Tutte le lingue sono fatte di lessemi; • morfologia: fa parte della grammatica, insieme alla sintassi, e non è universalmente presente. Fa sì che si distinguano lingue isolanti, che non hanno morfologia e usano soprattutto lessico e sintassi, da lingue che hanno strutturazione morfologica. Inoltre non riguarda mai tutti i lessemi (ad esempio sempre non è morfologicamente analizzabile); • sintassi: è l’insieme delle regole per ottenere combinazioni significative dai lessemi, è un aspetto universale del linguaggio. La creatività linguistica dipende largamente dalla sintassi, attraverso di essa si costituiscono possibili frammenti di mondo; • intonazione: insieme dei fenomeni sovrasegmentali o prosodici che sono utilizzati per manifestare diverse dimensioni del contenuto. E’ la struttura intermedia più lontana dalla semiosi e vicina all’ostensione, svolge una funzione rilevante nella comunicazione verbale; • ordine delle parole: anche questo è rilevante più in altre lingue che in altre. In italiano l’ordine non manifesta solo funzioni sintattiche, ma serve anche per distinguere livelli più strategici di senso. In inglese è molto rilevante, essendo una lingua prevalentemente a bassa strutturazione morfologica. 5.3 I TRATTI CHE CARATTERIZZANO LE STRUTTURE INTERMEDIE 5.3.1 POLISEMIA (MOLTEPLICITÀ DI FUNZIONI Va distinta dall’omonimia perché in essa è riscontrabile comunque un livello di motivazione, mentre nell’omonimia si tratta di due strutture intermedie distinte. Tra la molteplicità di concetti che possiamo affibbiare ad una parola, troviamo un valore preferenziale, il concetto a cui tutti gli altri sono riconducibili, anche se con complesse mediazioni. La polisemia non riguarda solo il lessico, ma tutte le strutture linguistiche, ad esempio: • il tempo futuro in italiano: può manifestare un’intenzione, un volere, una previsione, un comando, etc…; • il modo condizionale del verbo: può manifestare un evento condizionato da un altro, una richiesta cortese, il futuro nel passato, etc… La struttura che manifesta un solo valore è un’eccezione: ogni segno è polisemico quando viene usato nei testi, perché la sua funzione si specifica in rapporto al contesto concreto. 5.3.2 VARIANZA (MOLTEPLICITÀ DELLE STRATEGIE DI MANIFESTAZIONE DI UNA STESSA STRUTTURA INTERMEDIA) La varianza è il fenomeno che accade quando la stessa unità di significato presenta diverse strategie di manifestazione. Questo fenomeno concerne la morfologia: • il congiuntivo presente di mangiare è mangi, ma la stessa forma per vedere è veda; • il caso genitivo in latino può essere manifestato in 5 modi diversi; • in italiano il verbo di modo infinito e tempo presente segue le 4 coniugazioni. OSSERVAZIONE: VARIANZA E SINONIMIA Nella varianza un unico segno si manifesta in modi diversi a seconda dei contesti , nella sinonimia invece c’è equivalenza a livello semantico di due strutture intermedie che restano tuttavia distinte. La sinonimia può esserci a livello lessicale e a livello morfologico. L’uso dei sinonimi spesso non è libero, ma dipende dal contesto. 5.3.3 PREFERENZIALITÀ O NATURALITÀ Nel sistema linguistico le strutture polisemiche presentano un valore preferenziale. Ad esempio prestare ha molti valori, ma quello di “dare con l’impegno di resa” resta quello tipico, più immediato, naturale, basilare. 16 La preferenzialità si applica anche alla morfologia: nei sostantivi italiani la desinenza -a si usa preferenzialmente per il genere femminile, ma esistono casi come poet-a, Andre-a in cui si lega al maschile. Si parla anche di manifestazione preferenziale, ovvero la manifestazione più tipica di ciascuna lingua storico-naturale preferibile e immediata. La preferenzialità facilita la comunicazione perché indica al destinatario l’interpretazione più probabile delle strutture intermedie. 5.3.4 ENDOLINGUISTICITÀ Ciascun livello del sistema linguistico presenta una conformazione particolare entra ciascuna lingua: ha natura endolinguistica. Le strutture intermedie cambiano da lingua a lingua: • differenze a livello di lessico; • non si può parlare di tempo passato “generale” nelle lingue; • il genere grammaticale in italiano è su maschile e femminile, in tedesco c’è anche il neutro, in inglese si manifesta solo nei pronomi. 5.4 PERCHÉ INTERMEDIE? Le strutture delle lingue storico-naturali sono caratterizzate dalla flessibilità. La semiosi non è già data di per sé, ma viene determinata volta per volta dal SL. La lingua invece si spiega come sistema di traduzione molto flessibile, che consente il passaggio dai sensi ai testi e viceversa. La traduzione non è biunivoca: un senso può dare origine a molti testi, e ciascun testo può avere molteplici sensi. Questo concetto è stato formalizzato da Igor Mel’čuk che definisce la lingua come funzione multi-multivoca tra sensi e testi. Le strutture sono intermedie perché: • sono a metà strada tra il suono e il senso; • in rapporto alla preferenzialità: sono strutture già predisposte per certi usi, tuttavia ciò non comporta una predeterminazione del senso da parte della lingua, perché i valori delle strategie di manifestazione sono molteplici. Il carattere intermedio è marcato quando la struttura non è immediatamente semantica: per esempio con la deissi, quando il rimando non è al significato ma al contesto enunciativo. Oppure nelle strutture sintattiche: la funzione immediata è quella di manifestare una funzione sintattica, che poi contribuisce alla determinazione del senso. Sono invece strutture semantiche quelle che hanno funzione immediatamente semantiche: ad esempio il plurale in fiori indica una pluralità di elementi, mentre le str. sintattiche consentono di accedere alla semantica con un’interpretazione intermedia di tipo sintattico (fiori gialli non indica “molte giallità” ma accorda l’aggettivo al sostantivo). OSSERVAZIONE: PARADIGMA E LIBERTÀ Secondo la concezione strutturalista il parlante selezione una combinazione precostituita in un paradigma piuttosto che un’altra. Ciò vuol dire che a parlare non è il parlante, ma il sistema. Bisogna stabilire se il sl è deterministico o flessibile. Se si sostiene la flessibilità: il senso non può essere generato dal sistema, poiché occorre una strategia che adatti gli elementi del sistema alle concrete circostanze di ciascun contesto. Bisogna modificare l’ipotesi semiotica di Saussure: il vero segno linguistico non è la singola parola, ma il testo nel suo insieme, all’interno del quale ciascuna delle strutture linguistiche acquista un valore particolare. Sebbene la lingua non possa essere considerata un generatore di testi, alcuni livelli linguistici sono analizzabili come generatori. Il lessico genera le unità lessicali: le forme di parola così generano i sintagmi minimi. I sintagmi minimi vengono analizzati dalla sintassi dando luogo a sintagmi complessi e frasi. All’uscita di questo processo troviamo gli enunciati, e parte l’utilizzo delle strategie testuali. 17 COMPOSIZIONE La composizione è il processo di formazione lessicale che crea un nuovo lessema fondendo insieme due basi (due lessemi elementari) oppure un prefisso e una base. Casi più frequenti sono quelli di base+base: • Verbo+Nome: designa talvolta un agente o uno strumento tramite l’esplicitazione dell’azione e del suo oggetto. Di solito risulta un nome. Ad esempio apriscatole, cavatappi, montacarichi… Piuttosto rari sono i nomi d’azione come crepacuore, battibecco ed esistono anche esiti aggettivali come strappalacrime e mozzafiato; • Nome+Nome: indica generalmente una specificazione e può dare origine o a nomi o aggettivi. Ad esempio capostazione, ferrovia oppure cuneiforme; • Aggettivo+Nome: decisamente trasparente, da origine ad un nome. Ad esempio buonumore, altorilievo; • Avverbio+Participio: Dà origine alcune volte ad un nome, altre ad un aggettivo. Ad esempio benvenuto,malaccorto oppure altoparlante. OSSERVAZIONE: ORDINE DELLE BASI E DETERMINAZIONE Dal punto di vista semantico una delle basi è il determinato, l’altra il determinante. Ad esempio in capoufficio: “capo” è il determinato, mentre “ufficio” è il determinante che specifica di che cosa è il capo. In italiano l’ordine determinato-determinante è regolare nella prefissazione, mentre raro nella composizione base+base. Ci sono composti formati da prefisso+base: • formazione parasintetica: che a sua volte comprende le prefissazioni di: • Prefisso+Nome—>Verbo: allagare, incanalare, incoraggiare; • Prefisso+Aggettivo—> Verbo: ingiallire, decurtare, impallidire. • Prefisso+Nome: dà origine a nomi e aggettivi. Ad esempio pregiudizio, retrogusto oppure prenatalizio, postrivoluzionario; • Prefisso+Aggettivo: dà origine a aggettivi. Ad esempio disumano, metalinguistico; • Prefisso+Participio: incompleto, derelitto, deodorante; • Prefisso+Verbo: gruppo molto esteso. Ad esempio apportare, deportare. Bisogna osservare che parecchi lessemi composti sono costruiti a partire da lessemi latenti: con- durre è formato dal prefisso con- e da durre, lessema latente dal latino dúcere. In altri casi il significato non è trasparente: astrarre, asportare presentano il prefisso ab(s)- che deve essere trattato in prospettiva diacronica e in termini di etimologia. OSSERVAZIONE: LO SCAMBIO INTERLINGUISTICO Secondo il concetto di speech communities di Dell Hymes il contatto tra lingue avviene entro comunità che comunicano usando più di una lingua storico-naturale. Dallo scambio nascono: • prestito: quando un lessema passa nel suo insieme - significante e significato- nell’altra lingua; • calco: si traducono le basi e si trasferisce il procedimento di strutturazione (ad esempio vorschreiben in tedesco è un calco del latino prae-scribere). Nell’inglese e nelle lingue romanze prevale il prestito, come per il greco filosofia, democrazia oppure l’inglese fast-food, computer. Lo scambio comunicativo presuppone il contatto fra lingue, che avviene secondo due modalità: • bilinguismo: situazione in cui uno o più parlanti sono in grado di servirsi di due lingue diverse; • diglossia: fenomeno per cui una certa comunità di parlanti uso nel suo insieme una lingua per certi tipi di comunicazione e un’altra per altri. Ad esempio diglossia italiano-latino, durata per molti anni. Ci sono anche casi di triglossia: dopo la battaglia di Hastings (1066) gli inglesi parlavano inglese e latino, mentre i Normanni parlavano il francese di Normandia e il latino. Si creò un popolo in cui la classe nobile parlava francese, gli sconfitti il sassone, ma entrambi usavano il latino per usi colti. 20 COMBINAZIONE Procedimento di formazione del lessico dato dalla semplice giustapposizione di del lessemi appartenenti alla stessa classe del lessico, tra i quali si stabilisce un rapporto di tipo attributivo. Le due basi vengono ancora abbastanza distinte e nella grafia i due elementi possono essere congiunti o no. Esempi di combinati: • Nome+nome: bambino prodigio, giocoforza, uomo ragno. Per lo più il plurale si forma variando il primo termine, mentre il secondo resta invariato. • Aggettivo+aggettivo: agrodolce, grigioverde. Il plurale si manifesta variando il secondo termine; • Verbo+verbo: danno origine ad un nome come saliscendi, bagnasciuga oppure si formano ripetendo il verbo come lecca-lecca, fuggi fuggi. ALTERAZIONE Procedimento di formazione del lessico che non modifica l’appartenenza ad una classe di lessico, ma ne modifica il il significato secondo categorie standard. Si realizza con l’aggiunta di un suffisso. In italiano esistono: • diminutivi: cas-in-a, libr-ett-o; • vezzeggiativi: car-ucci-o; • accrescitivi: om-on-e, libr-on-e; • peggiorativi o dispregiativi: post-acci-o, liber-col-o. Spesso l’alterato si usa per creare un effetto di atmosfera, la dimensione è quindi pragmatica e non semantica, poiché non modifica il contenuto, ma la posizione dei soggetti che comunicano. L’alterazione ha infatti a che fare con la valutazione soggettiva. Ci sono numerosi lessemi che pur presentandosi come alterati, sono lessemi derivati con funzione nominativa autonoma. Ad esempio il ciabattino, spazzino, gommone, pennino. OSSERVAZIONE: L’ANALISI DEI LESSEMI STRUTTURATI Spesso i processi di formazione sono applicati a lessemi già strutturati: occorre risalire fino al lessema elementare. Ad esempio da fidelizzazione < nome deverbale di fidelizzare < verbo deaggetivale di fedele < aggettivo denominale di fede. In altri casi i processi si sommano, cioè intervengono contemporaneamente: sonnecchiare < verbo denominale da sonno che al contempo ha un valore alterato diminutivo. 6.4 PROCESSI FRASEOLOGICI: SINTEMI E FUNZIONI LESSICALI Ci sono processi di strutturazione che assumono come base delle strutture sintattiche. I sintemi sono combinazioni sintattiche che in forza del loro uso prolungato, vengono percepite come un’espressione lessicale unica. Al momento della sua origine ha una particolare espressività che colpisce l’immaginazione: ad esempio non ho una lira, il passaggio all’euro ha fatto diventare quest’espressione un sintema, depositato nella lingua italiana. I fraseologismi sintematici possono essere: • nominali: come gatto delle nevi, piede di porco, stella di Natale; • verbali: come fare la spola, gettare la spugna, avere la luna storta, dar fuori di matto; • avverbiali: come si deve, in quattro e quattr’otto; • preposizionali: a forza di, a furia di. Il sintema è caratterizzato dal fatto che il significato non è quello composizionale, ma si ricostruisce con un processo motivazionale. Le funzioni lessicali furono studiate per la prima volta da Mel’čuk, che ne individuò circa 50. Ad esempio abbiamo: • Oper1 esprime il rapporto tra il nome di una situazione e il verbo indicante l’azione di chi mette in atto quella decisione. Ad esempio per decisione avremo come verbo prendere. Il valore dei 21 diversi elementi lessicali resta invariato (tra prendere, arrecare, formulare, etc) ma la scelta dell’uno dipende dal nome della situazione. Il valore di questi verbi non è il significato canonico, ma serve per “attivare” la funzione. La funzione si esprime con: Oper1 (x) = y dove x indica la situazione, y il verbo, e Oper1 la “realizzazione di una situazione) Oper1 (aiuto) = prestare • Magn realizza l’intensificazione dell’aggettivo. Per esempio l’intensificazione lessicalizzata di ricco è sfondato, secondo la funzione: Magn (ricco) = ricco sfondato OSSERVAZIONE: COMPOSIZIONALITÀ E MOTIVAZIONE NEL LESSICO Se consideriamo ad esempio sbobinare, ovvero “trascrivere una registrazione”, attualmente non prevede più l’uso di nastri su bobina: la composizione sfugge alla generalità dei parlanti. Il significato può essere colto tramite l’etimologia. Lo stesso avviene per tranne da trai + ne. Solo quando il legame semantico è trasparente siamo in presenza di veri e propri processi di formazione lessicale. Quando questo è trasparente si distinguono a livello semantico la composizionalità e la motivazione. Ad esempio per riscrivere il rapporto con la base scrivere è evidente, si parla di composizionalità. Con il termine descrivere si intende uno scrivere ma non necessariamente: ci si riconduce allo scrivere in modo indiretto, attraverso un processo di motivazione. 6.5 ALL’USCITA DEL COMPONENTE LESSICALE All’uscita del generatore lessicale troviamo materiali lessicali non autonomi, che servono per costruire i processi di strutturazione: • lessemi canonici: hanno destinazioni diverse: quelli invariabili vanno direttamente al componente sintattico, quelli variabili devono prima passare attraverso il componente morfologico; • fraseologismi. 7. La morfologia 7.1 LESSICO E MORFOLOGIA La morfologia opera in diretta correlazione con il lessico, per i medievali, insieme alla sintassi, formava la grammatica, un ars obligatoria. Compito specifico della morfologia è quello di trasformare il lessema variabile in forma di parola, ovvero in sintagma minimo. La morfologia studia le diverse strategie di manifestazione della forma di parola e il rapporto tra le strategie e le funzioni sintattico-semantiche. Nei lessemi variabili la forma di parola presenta un componente lessicale (trasparente rispetto al significato) e un componente morfologico (l’insieme dei morfi presenti in una forma di parola, da solo non comunica nulla). Si crea così un reparto di produzione morfologico: il lessema variabile entra nel reparto morfologia e a seconda della classe di lessico a cui appartiene, assume delle alternative dette morfemi. L’assunzione di un morfema comporta l’attivazione del morfo che lo manifesta. Mentre il lessico evolve celermente e non stravolge il sistema linguistico, nella morfologia i cambiamenti sono rari e lenti e comportano trasformazione radicale del sistema linguistico. La morfologia presenta il carattere dell’obbligatorietà (che il lessico non ha): è un sistema chiuso e molto sistematico. Per esempio in italiano molti verbi, ma non tutti, hanno degli alterati, ma tutti i verbi hanno un congiuntivo. 22 7.7.5 IL SUPPLETIVISMO MORFOLOGICO Il suppletivismo morfologico è il fenomeno per cui si utilizzano significanti lessematici totalmente diversi per lo stesso lessema, in determinato forme di parola. Ad esempio in italiano sono e fui, oppure in tedesco per il verbo sein abbiamo Ich bin e Ich war. 7.7.6 L’ALLOMORFÍA L’allomorfia si presenta quando la stessa funzione morfologica si può manifestare in modi diversi, cioè quando morfi diversi rappresentano lo stesso morfema. Ad esempio in italiano il morfema del modo verbale infinito ha 4 manifestazioni diverse: -are, -ere, -ére, -íre. Il morfema si può manifestare attraverso desinenze, ma anche attraverso modificazioni della vocale del lessema dette apofonie. Ad esempio in italiano abbiamo fac-evo e fec-i. 7.8 FUNZIONI DEI MORFEMI: MORFEMI INTRINSECI (SEMANTICI) ED ESTRINSECI (SINTATTICI) I morfemi possono veicolare due tipi di informazioni: semantiche e sintattiche. Esaminando l’espressione person-a buon-a, notiamo che i due morfi non sono equivalenti. Il singolare del sostantivo è semantico o intrinseco, perché dice che si sta parlando di una sola persona, mentre il morfo -a di buona indica solo il nesso sintattico che buona è attributo di persona, quindi è sintattico o estrinseco. Il morfema estrinseco è segnale di manifestazione della sintassi: serve per comunicare non un modo d’essere, ma una concordanza o reggenza sintattica. Il valore semantico della morfologia in questo caso è mediato dalla sintassi. Il morfema intrinseco invece concerne direttamente il contenuto. 7.9 GLI ORNITORINCHI DEL SISTEMA LINGUISTICO OVVERO NOTA SUI MORFOLESSEMI I morfolessemi si trovano nell’intersezione tra la classe delle strutture lessicali e quella delle strutture morfologiche. Caso tipico di morfolessemi sono gli articoli: parole perché hanno autonomia articolatoria, ma che non sono in grado di figurare nei testi senza i sostantivi a cui si riferiscono. Un altro caso è il verbalizzatore essere, quando la sua funzione è quella di manifestare il nesso tra una proprietà e il suo argomento che coincide con il soggetto sintattico. Ad esempio Luigi è biondo. I morfolessemi rientrano nelle indeterminatezze classificatorie del sistema linguistico: la lingua ne ha molte altre come aggettivi usati come sostantivi (i buoni e i cattivi) e come pronomi (Quelle mele sono aspre, queste no), etc… 7.10 LA POLISEMIA DEL MORFEMA Parlando delle categorie morfematiche bisogna riconoscere che il loro apporto semantico non coincide con i concetti che le loro denominazioni richiamano. Ad esempio libro, albero, badile sono maschili, ma non maschi, mentre donna, madre non sono solo femminili, ma anche femmine. 9. Dalla struttura sintattica all’organizzazione testuale Per comprendere la struttura testuale bisogna tener presenta la gerarchia dei predicati. Il testo nella sua interezza va intesa come gerarchia di predicati. 9.1 DAL SINTAGMA MINIMO ALL’ENUNCIATO I sintagmi minimi coincidono con le forme di parola: sono le unità minime che costituiscono la combinazione significativa, sono costruiti da lessemi variabili e invariabili. Il sintagma minimo può costituire da solo un sintagma oppure può unirsi ad altri sintagmi minimi per formare sintagmi nominali/predicativi/verbali/preposizionali… : • sintagma nominale (SN): costruito attorno a un nome con le sue espansioni. Può assumere funzione di soggetto, oggetto, complemento, apposizione, predicato nominale; • sintagma verbale (SV): formato dal verbo e dal determinante a lui associato; 25 • sintagma preposizionale (SPrep): formato da un SN retto da una preposizione (ad esempio sul tavolo o nell’armadio). Può essere incluso nel SV quando completa sintatticamente il verbo di cui è determinante (Luigi litiga con Maria), oppure essere un sintagma a parte (Luigi litiga con Maria per l’auto); • sintagma predicativo (SP): si riferisce al sintagma che ha per nucleo il verbo, nelle sue relazioni sia con i sintagmi che fungono da argomento del predicato semantico del verbo, sia coni sintagmi che rappresentano altri predicati semantici (ad esempio Luigi (SN) litiga con Maria per l’auto (SP)). SN soggetto e SV sono l’articolazione fondamentale per l’organizzazione sintattica del testo. Il SV indica la presenza di una frase, ovvero una struttura sintattica dominata da un verbo. Il verbo funge da vertice dell’enunciato, ed è sempre il vertice sintattico della frase. OSSERVAZIONE: LA NOZIONE DI COSTITUENTE I sintagmi sono costituenti, ovvero gruppi di una o più parole che svolgono funzioni sintattiche unitarie entro l’enunciato. Per delimitare i costituenti si attua il parsing: si procede per sostituzioni, modificando l’enunciato dal punto di vista semantico, ma lasciando intatta la sintassi. Si applicano all’enunciato due tipi di test: • sostituzione: si evidenziano SP sostituibili con altri SP, e SN e SPrep sostituibili con pronomi detti pro-forme; • permutazione: i costituenti si caratterizzano per la possibilità di mutare posizione senza cambiare il proprio significato sintattico. Tramite questi test viene fuori che gli enunciati constano di componenti sintattici o sintagmi: E —> SN + SP I costituenti emergono nella linearità dell’enunciato, manifestandone le relazioni di dipendenza. Queste relazioni si articolano in diversi tipi: • rapporto tra verbo e sintagmi ad esso legati e altre relazioni di determinazione: oggetto- apposizione, nome-modificatori, determinante-modificatore; • dipendenze rette da modificatore. OSSERVAZIONE: IL SOGGETTO L’essere soggetto di un SN costituisce la prima relazione del verbo. Il soggetto in genere è il primo argomento del predicato. Di solito è agente, ma spesso è anche strumento (Questo coltello non taglia bene), o paziente (Il bersaglio è stato colpito). Nel testo il soggetto tende ad essere tema, ma a volte può essere rema, o vertice semantico (Arriva Luigi! ) La dipendenza può essere segnalata in modo diverso: in varie lingue è la posizione nell’enunciato a segnalarla, in altre sono strumenti morfologici come la concordanza e la reggenza. OSSERVAZIONE: LA VALENZA DEL VERBO La valenza indica il numero di attanti di un verbo, ovvero le relazioni di dipendenza che ciascun verbo richiede. Criterio per distinguere argomenti e non argomenti è l’omissibilità. La correttezza sintattica richiede la saturazione delle valenze, non quella dei posti argomentali: vendere per esempio risulta un predicato tetradico ma posso dire anche Questo appartamento è stato venduto (1 valenza saturata). 9.2 LE STRATEGIE DI MANIFESTAZIONE DEL NESSO SINTATTICO Nelle lingue isolanti la sintassi viene manifestata attraverso l’organizzazione reciproca dei lessemi nell’enunciato. Le lingue sintetiche invece presentano fenomeni morfo-sintattici, in cui i morfemi estrinseci hanno la funzione di manifestare la sintassi. I nessi sintattici hanno tre modalità di manifestazione: • concordanza: manifesta i nessi interni a un sintagma, presenza obbligatoria di morfemi omologhi nel nucleo e nell’espansione ( una splendida giornata); 26 • reggenza: i morfemi estrinseci in un sintagma sono determinati da un altro sintagma (Amicum amicus iuvat: il nominativo manifesta la relazione di soggetto, l’accusativo quella di oggetto diretto); • giustapposizione: tramite la posizioni reciproca dei sintagmi distinguiamo le relazioni di soggetto e di oggetto diretto (Luigi ama Maria). Quando c’è giustapposizione, l’ordine delle parole ha una funzione determinante ed è meno libero. OSSERVAZIONE: LA POLISEMIA DELLE STRUTTURE SINTATTICHE Anche le strutture sintattiche sono interessate da polisemia. Ad esempio: • l’oggetto diretto dei verbi ditransitivi (in inglese e latino): manifesta sia il secondo che il terzo argomento con la stessa relazione di oggetto diretto. Ad esempio John gave Mary red wine. La stessa struttura in inglese può essere manifestato con John gave red wine to Mary; • costruzione dei conversivi sintatici di to give: ad esempio c’è polisemia sintattica tra Mary was given red wine by John e Red wine was given to Mary by John; • in italiano l’ambiguità di dire di in rapporto al predicato: la frase Luigi dice di studiare molto ha due interpretazioni: 1. dice nel valore di afferma, per cui di studiare molto rappresenta l’argomento comunicativo; 2. dice nel valore di ordina, per cui di studiare molto è l’oggetto del comando. 9.3 PARATASSI E IPOTASSI Per costruire strutture composte si usano avverbi connettori e congiunzioni, che creano strutture per ipotassi e paratassi. Altrettanto importanti sono i deittici testuali. Nell’ipotassi trionfa la connessione logica, sottolinea la compattezza, l’unità del procedimento testuale. La paratassi invece articola il tempo del testo in momenti dotati di una loro autonomia. Il testo risulta costituito da una molteplicità di atti comunicativi, tra loro legati saldamente: nell’ipotassi il nesso è immediatamente esibito con la compresenza dei relata, nella paratassi si manifesta collegando un relatum a un sostituente testuale che riprende o anticipa. OSSERVAZIONE: LE PRESE FORICHE Quando il testo si organizza in più di un enunciato, si segnala con particolari strutture anaforiche e cataforiche il “ripresentarsi” di elementi già introdotti in altri enunicati. Si usano le prese foriche che garantiscono coesione al testo. A: Pietro ha trovato un buon impiego B: Ho piacere C: Da chi l’hai sentito? D: È una cosa sempre più difficile E: Grazie per la notizia! Il testo quindi si configura come plesso di relazioni predicativo-argomentali gerarchicamente disposte, la logicità è garantita dai connettivi che saldano per presa forica l’impianto testuale in una struttura fondamentalmente ipotattica e quindi unitaria. La linearità del testo ha un rapporto intrinseco con la natura discorsiva del pensiero umano. Ad esempio nei predicati pragmatici, ovvero i verbi che alla prima persona dell’indicativo, non si limitano a rappresentare l’azione comunicativa, ma la realizzano. I predicati pragmatici si incaricano si specificare le azioni comunicative realizzate dalle unità testuali connettendole al mittente, al destinatario e al testo: sono anche detti connettivi sequenziali. Appartengono a questi predicati: • i verbi performativi (promettere, affermare, domandare…); • i predicati retorici: predicati manifestati da congiunzioni coordinative o avverbi speciali: • predicati di spiegazione (Hai lavorato molto? Perché, sai, hai l’aria stanca); • predicati di obiezione (Luigi affidabile? Ma se non ha la patente?) • predicati di richiesta (anche indiretti come in Avrei bisogno di quel libro); • predicati di spiegazione impliciti (Giovanni non ha la patente! Ha tre mesi). 27