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Riassunto libro Era Veramente Uomo - Teologia I (prof. Varsalona), Sintesi del corso di Teologia

Riassunto libro Era Veramente Uomo (Maggioni B.) - Teologia I (prof. Varsalona) (obbligatorio per non frequentanti)

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 28/01/2023

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Scarica Riassunto libro Era Veramente Uomo - Teologia I (prof. Varsalona) e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! Capitolo 1: figlio di Dio e figlio dell’uomo 1.1 Gesù come figlio di Dio La convinzione alla base della fede cristiana e che in Gesù si è rivelata la verità di Dio, dell’uomo e il senso della storia; Gesù è l’immagine del dio invisibile. Quando Gesù si rivolge a Dio lo chiama Padre, definizione più importante di Dio. Davanti a Dio, Gesù ha sempre la coscienza di essere il figlio che può rivolgersi a lui con semplicità e immediatezza; particolarità è che anche i discepoli usano lo stesso tono. Inoltre, l’obbedienza di Gesù è la trascrizione storica e visibile della sua condizione di figlio; Gesù sembra annullare la propria volontà in una totale obbedienza. Comprendiamo la profondità della nostra relazione con Dio guardando quella di Gesù, il quale distingue sia il “padre mio” dal ”padre vostro” sia padre e Dio, un rapporto di dipendenza. 1.2 Mite e umile di cuore Nel passo di Matteo “Inno di giubilo” si distinguono 3 parti: 1. Gesù ringrazia Dio perché rivolge la sua rivelazione ai semplici 2. Gesù si dichiara figlio, unico conoscitore del padre e unico rivelatore di lui agli uomini 3. Gesù invita alla sequela tutti coloro che sono stanchi e oppressi (“I piccoli“) Le prime due parti si trovano anche nel Vangelo di Luca, quindi provengono da una fonte comune, mentre la terza è propria di Matteo. Matteo, nel suo Vangelo, usa tre volte l’aggettivo “miti”: a volte sembra indicare la beatitudine dei poveri (mite è il povero non violento che confida in Dio) e mentre in altri casi va ad indicare un Gesù che entra a Gerusalemme come un messia Pacifico. Mite e umile indicano quindi l’atteggiamento di Gesù verso Dio (atteggiamento di confidenza, obbedienza e docilità) e verso gli uomini (atteggiamento di accoglienza, pazienza e disponibilità al perdono). Il “di cuore“ sta ad indicare che le affermazioni di Gesù coinvolgono tutta la sua persona, sono frutto di un amore profondo e personale. Gesù quindi è il figlio a cui tutto è stato dato ed è l’unico che conosce il padre e proprio per questo si rivela ai piccoli; quindi, Dio ha manifestato il suo amore attraverso la vicenda di un piccolo. 1.3 La parola di Gesù Nel Vangelo di Giovanni si afferma che Gesù è il figlio obbediente e le sue vocazioni più importanti sono l’obbedienza e l’ascolto. Molto importante nel Vangelo è lo stile con cui Gesù parlava alle folle; era una parola autorevole, chiara, convincente e coinvolgente. Il modo di parlare di Gesù attraverso le parabole, come affermato da Matteo. 1.4 Il silenzio di Gesù Quando si parla del silenzio di Gesù, subito si pensa al silenzio della passione che dice più della parola, ma i Vangeli non parlano solo di questo, infatti c’è anche il silenzio dell’uomo di fronte a Gesù e il silenzio di Gesù di fronte alle domande inutili di chi finge di interrogarlo, oltre al silenzio che Gesù impone a chi vorrebbe parlare di lui prima di conoscerlo. Ad es. Marco annota che molti restavano meravigliati dalle parole di Gesù al punto che non lo interrogavano più. Il momento più espressivo del silenzio di Gesù è la passione; si tratta del silenzio del giusto, che di fronte alle accuse non si difende perché ha posto interamente la sua fiducia nel Signore. Nei racconti della passione, è sempre presente la figura del giusto sofferente di cui Gesù ne è espressione più grande; è la figura dell’uomo che annuncia la verità. É quindi un silenzio che non esprime indifferenza, ma dignità. 1.5 L’eucarestia (pane spezzato) Particolarmente rivelatore dell’identità di Gesù è il gesto eucaristico e i testi che lo riguardano sono: • “Prendete e mangiate” (Marco), elementi importanti sono: 1. La Cornice Pasquale della cena; la sala ben preparata, il banchetto e il vino caratterizzano la cena di Gesù in compagnia dei discepoli come un pranzo di gioia, è la Pasqua del signore, la festa della salvezza e della liberazione. Al tempo di Gesù la Pasqua aveva un doppio significato: uno rivolto al passato, con il ricordo di come Israele fosse stato liberato dall’Egitto 1 e come le case segnate dal sangue dell’agnello fossero state risparmiate dalla grazia di Dio, e l’altro al futuro, con una certezza di liberazione ancora più grande. 2. Il banchetto, contesto quotidiano ma con valore simbolico (fraternità e amicizia). 3. Il clima di ringraziamento; Gesù prende il calice e ringrazia, da qui il termine eucarestia, che significa ringraziamento. Gesù ringrazia per le opere di Dio e discepolo è colui che riconosce che tutto è dono, quindi fare eucarestia significa riconoscere i doni di Dio e saper ringraziare. 4. La cornice di tradimento nella quale Marco ha collocato il gesto di Gesù; l’eucaristia si trova tra la constatazione del tradimento di Giuda e la profezia dell’abbandono dei discepoli. La comunità però è invitata a non scandalizzarsi quando scoprirà il tradimento e allo stesso tempo Marco afferma che il peccato è sempre possibile, quindi la celebrazione eucaristica é sia avvertimento sia consolazione, mette in luce sia l’amore del Cristo sia il peccato e le divisioni della comunità. 5. I gesti e le parole di Gesù, cioè il pane spezzato il vino distribuito, oltre a “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, sparso per le moltitudini”. Questi si trovano su un triplice sfondo: l’alleanza stipulata da Dio con Israele (di cui parla il libro dell’esodo), la profezia di Isaia e il pane spezzato e il vino versato che rappresentano la croce. Tutto ciò porta ad indicare la vita di Gesù come una comunione, una vita donata; il gesto eucaristico svela la verità di Gesù, il quale si dona per tutti, senza emarginati. Inoltre non basta celebrare l’eucarestia, ma occorre prendervi parte, è questo il senso di fare la comunione, cioè condividere l’esistenza di Gesù. • “La presenza che unisce“ (Paolo). Al centro di questo brano si trova la fede tradizionale, non si può essere cristiani se non si ricorda l’ultima cena del signore e non si continua a celebrarla. La conclusione di Paolo è che il modo con cui a Corinto si celebra l’eucaristia è scandaloso, vuole ricordare ai fratelli di Corinto il senso autentico dell’eucarestia. Ci sono quindi due livelli nel ragionamento di Paolo: un livello più profondo che ricorda che cosa è l’eucarestia e uno più superficiale che ne trae le conseguenze per la celebrazione e per la vita. La cena del signore è un memoriale, ma può esserci la buona e la cattiva memoria, dove quella cattiva è quella di chi riduce il sacramento ad un simbolo o chi crede in Gesù ma poi non ne trae le conseguenze, come i Corinzi che celebravano l’eucaristia nella divisione. È proprio su questo che Paolo si sofferma, la morte del Cristo è la manifestazione di un amore gratuito e senza distinzioni e di tutto questo il gesto eucaristico é memoria e attuazione, quindi se la comunità che celebra l’eucaristia accetta le divisioni, smentisce ciò che vuole celebrare. Anche le divisioni di oggi sarebbero ritenute da Paolo scandalose. • “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Luca). Luca racconta l’eucarestia riportando un discorso di Gesù da cui si deduce, a partire dalla cena, il comportamento che la comunità deve tenere se vuole essere fedele al comportamento del servizio. Le parole di Gesù si riferiscono sia alle autorità della Chiesa sia alla comunità. L’atteggiamento delle comunità deve distinguersi da quello dell’autorità mondana, infatti non deve apparire come un potere, ma deve somigliare “al comportamento del ragazzo che serve a tavola“. Luca sottolinea che il servizio non deve essere solo un fatto interiore, ma un atteggiamento concreto di chi non si riserva privilegi. È qui che si trova il collegamento tra gesto eucaristico e servizio: il gesto eucaristico è la memoria di Gesù che si è donato, cioè il servizio è il donarsi. Capitolo 2: Gesù e i suoi discepoli. (Solo Vangelo di Marco) 2.1 Le strutture della sequela evangelica 1. Primo passo da cui partire è la chiamata dei primi discepoli, costituito da due scene parallele: a. L’iniziativa libera e gratuita di Gesù nei confronti dei discepoli, in cui si ribadiscono tratti essenziali, cioè: la libera e gratuita iniziativa di Gesù, il distacco radicale e profondo che l’appello di Gesù comporta, l’urgenza della risposta e il verbo “seguire“ utilizzato per i discepoli. b. La prospettiva sul futuro, cioè la sequela non è mai una chiamata per se stessi, ma un cammino verso la missione. 2 comunione con Dio, ma anche la possibilità di godere del mondo; l’uomo che fa del mondo il suo idolo è teso solo allo sfruttamento, mentre chi punta verso Dio vede nel mondo un dono. • Il maestro che dona se stesso. La sequela evangelica esige quindi un rinnovamento di sé nel modo di esistere quotidiano, una dimensione nuova dentro la vita ordinaria. Come tutte le scelte di sequela richiede distacco oltre che concentrazione e fedeltà. Ciò conduce ad una scoperta, cioè non è il discepolo che dona se stesso al maestro, ma il contrario. Tutto questo alla condizione che ci sia il coraggio di lasciare che sia Gesù a suggerirci come guardare l’uomo, il mondo e Dio. 2.4 Maria, madre e discepola Il cammino di fede di Maria non è stato un passaggio dalla maternità al discepolato, ma ha seguito il cammino del figlio. Leggendo i racconti dell’infanzia di Matteo, ci si accorge che Maria è presente in tutte le scene, ma non occupa mai il posto centrale. Data la sua condizione di vergine, la maternità di Maria si inserisce in una scelta di fede e di totale disponibilità (discepolato). É madre e serva. C’è una contraddizione su Maria, cioè da una parte c’è la promessa di un messia glorioso e potente, mentre dall’altra c’è la storia con un bambino povero e crocifisso. Anche Giovanni nel suo Vangelo dedica una parte a Maria, con il racconto delle nozze di Cana, dove Maria fa sì che l’attenzione sia concentrata su Gesù. Maria quindi è la figura perfetta del discepolo e quindi anche qui si apre lo spazio per un cammino. L’itinerario di Maria verso la fede è cristologico, sia perché è consistito nel comprendere Gesù come Messia, sia perché è tutto interno al manifestarsi di Gesù. Per essere discepola, Maria non ha bisogno di compiere un passo in più, la sua singolarità è quella di essere la madre. Capitolo 3: tra amici e nemici 3.1 Gesù e le donne Nel suo cammino Gesù ha incontrato diverse donne e interessante è stato il suo comportamento: • Quattro donne emarginate, sia in quanto donne sia perché in situazioni ritenute irregolari. Dal Vangelo di Luca, Gesù è ospite di un ricco fariseo ed entra nella scena una donna considerata peccatrice dal fariseo, mentre Gesù vede in lei il pentimento e l’amore. Questo perché lo sguardo del fariseo è deformato, si lascia condizionare dal fatto che quella donna è una peccatrice ed è convinto che il maestro non debba avvicinarsi ad una donna così; anche Gesù sa che è una peccatrice, ma esprime amore, accoglienza e fiducia. Dal Vangelo di Giovanni invece, si ha un racconto in cui scribi e farisei portano davanti a Gesù una donna colpevole di adulterio e la umiliano, mentre Gesù la difende per perdonarla. Sempre nel Vangelo di Giovanni, si ha il racconto di una donna samaritana, che Gesù avrebbe dovuto evitare perché samaritana, conviveva con un uomo non marito e donna, invece Gesù le parla e la donna è meravigliata dal sentirsi accolta. Infine, dal Vangelo di Marco, si racconta il miracolo della guarigione della donna che soffriva di perdite di sangue, considerata impura e questa donna si sente in colpa perché tocca la veste di Gesù di nascosto. Gesù se ne accorge e lo dichiara pubblicamente, in modo tale da dichiarare che non si sente impuro perché la donna lo ha toccato. • Marta e Maria. Dal Vangelo di Luca, Gesù è in cammino verso Gerusalemme e una donna, Marta, lo ospita in casa sua, stereotipo del ruolo femminile del tempo. Maria invece assume ruolo “maschile”, cioè intrattiene l’ospite e si fa discepolo. Marta non condivide questo atteggiamento e per questo Gesù la rimprovera, rivendicando alla donna la sua dignità e il suo diritto all’ascolto. • Le donne della passione e della risurrezione. In Palestina al tempo di Gesù le donne erano in condizione di inferiorità, ma nonostante ciò Gesù ha accolto al suo seguito molte donne. Dal Vangelo di Marco, si ricordano in particolare tre donne che seguivano e servivano Gesù abitualmente, facevano parte del gruppo dei discepoli. È proprio la presenza di queste tre donne alla croce che farà da collegamento tra l’avvenimento della croce e quello della risurrezione; secondo Marco sono queste donne a dare la continuità alla testimonianza di Gesù nel momento decisivo della sua vita (croce, sepoltura e risurrezione). Queste donne restano a guardare gli avvenimenti quindi i verbi che definiscono il loro discepolato sono: seguire, servire e guardare. I vangeli quindi non si soffermano sui tratti psicologici del comportamento di Gesù, in tutti gli episodi esaminati emerge un atteggiamento costante di Gesù, cioè il suo modo di vedere la donna è del 5 tutto libero dai pregiudizi religiosi e culturali, inoltre non confonde il peccato con la condizione di essere donna. La libertà di Gesù discende dalla sua corretta concezione di Dio. 3.2 Una lieta notizia per i peccatori e per i giusti La storia di Gesù di Nazareth è una buona notizia, perché è storia del figlio di Dio. Quindi le domande da porsi sono due: come ha guardato Gesù tutti gli uomini ritenuti peccatori ai margini della società (considerati ai margini dell’attenzione di Dio)? Come ha guardato gli uomini giusti e religiosi (ritenuti i primi nell’attenzione di Dio)? • Zaccheo e altri peccatori. Zaccheo Era un uomo basso che per vedere Gesù si arrampica su un albero, Luca lo descrive come uomo ricco, ma per i farisei è un peccatore. Gesù lo richiama, quindi non accoglie solo il suo desiderio di vederlo, ma lo allarga. Nel vangelo di Luca, dove si hanno le 3 parabole della misericordia, si parla della gioia di Dio per la conversione del peccatore e nell’episodio di Zaccheo si ha la gioia del peccatore convertito. Ma questo non era un episodio isolato, infatti Gesù sedeva e mangiava con i peccatori, tanto che fu accusato di essere amico di pubblicani e peccatori, quindi la sua accoglienza esprimeva amicizia e affetto. Di fronte ai peccatori il primo sentimento di Gesù non è giudizio, ma cordialità. • Gli uomini giusti: il fratello maggiore e gli operai della prima ora. Gesù è lieta notizia anche per i giusti. Gesù ha detto parole molto dure nei confronti dei giusti, in modo tale che essi trasformassero la loro giustizia in un dono e non più in dovere. Quando Gesù parla della giustizia che distingue il discepolo dagli scribi e dai farisei, intende un comportamento che si rifà all’amore misericordioso di Dio. L’incontro con Gesù conduce a una scoperta che tutto capovolge, è Dio che si dona al discepolo, non viceversa. Nella parabola di Luca del padre e dei due figli importante è il dialogo tra padre e figlio maggiore, il quale rappresenta la figura del giusto che si lamenta perché Gesù riceve i peccatori e mangia con loro. Il figlio maggiore rifiuta di partecipare alla festa per il fratello perduto e ritrovato ritenendo ingiusto che il padre faccia una festa per il figlio peccatore e non per lui che è sempre stato giusto. Il padre non si arrabbia, ma gli spiega che per lui non ci sono figli diversi e cerca di fargli capire tre cose: che non gli è stato tolto nulla di ciò che gli spetta, che lui ha sempre potuto godere della sicurezza di stare col padre e che il figlio tornato è suo fratello. Tema principale è che la conversione del giusto é a volte è più difficile di quella del peccatore. Tema simile viene trattato da Matteo, di fronte alle proteste degli operai della prima ora, quando il padrone spiega le ragioni per cui le lamentele sono ingiustificate; il motivo che lo spinge ad agire così non è perché egli non ama i primi, ma perché ama anche gli ultimi. L’uomo quindi può condividere la gioia di Dio, ma può esserci l’invidia; per gli invidiosi il Vangelo non è più lieta notizia. • La gratuità dell’amore. Elemento essenziale di Dio è la gratuità dell’amore, a cui l’uomo comune oppone resistenza per due motivi: il primo sta nella novità (teologica e radicale), mentre il secondo viene indicato dalla parabola di Matteo del servo spietato. Se si legge solo la seconda parte della parabola dove il servo vuole farsi restituire il proprio denaro, conclusione è che è giusto che il denaro prestato venga restituito. Ma osservando la prima parte, dove si spiega che a lui per primo è stato condonato un debito molto alto, allora ci si chiede come dopo ciò non possa avere lo stesso comportamento. Così ciò che prima appariva normale diventa ingiusto. Quindi si devono guardare le cose a partire dall’inizio, cioè dalla gratuità di Dio, bisogna ricordare che noi siamo stati gratuitamente amati per primi. L’incontro con Gesù è incontro con una novità che sorprende, cioè la scoperta del peccatore che incontra un perdono e la scoperta del giusto dell’incontro con un Dio che lo porta aldilà delle differenze per inserirlo nella bontà gratuita. Quindi la lieta notizia per entrambi è la gioia di essere gratuitamente amati e di amare gratuitamente. 3.3 Gesù e i malati (Vangelo di Matteo) Al primo posto della missione di Gesù c’è la parola (insegnamenti), ma accanto ad essa c’era la guarigione dei malati. Nel suo percorso, una grande folla correva attorno a lui, portando malati di ogni genere e Gesù non fa differenze fra malati giudei e stranieri. Gesù non dice che non ci sarà più sofferenza, ma afferma la certezza di un futuro mondo nuovo dove si vive la sofferenza in una luce diversa. Si vuole trovare un senso alla sofferenza. Ci sono 3 episodi fondamentali in cui singole persone malate si avvicinano a Gesù: 6 1. Un lebbroso, che Gesù guarisce senza invocazione a Dio, per volontà propria, anche se il lebbroso era anche impuro, Gesù lo guarisce toccandolo 2. Un pagano. La parola di Gesù non solo guarisce, ma diventa una catechesi (insegnamento) sulla fede 3. La suocera di Pietro, l’iniziativa è di Gesù e la guarisce toccandola. Questi tre episodi sono seguiti da un sommario che ha lo scopo di generalizzare i tre gesti compiuti e di ricordare che nella sua missione Gesù è sempre accompagnato da una folla di sofferenti. Gesù quindi è il grande guaritore che prende su di sé tutto il negativo dell’umanità. Ci sono anche altri episodi di guarigioni: • Il paralitico, che quando chiede la guarigione si vede offrire il perdono, perché secondo Gesù l’uomo ha bisogno di guarigione e di perdono insieme • La risurrezione di una bambina morta, per Gesù nessuna situazione è impossibile • La guarigione di una donna che soffriva di emorragia. Gesù lo guarisce toccandola, una donna coperta di sangue era considerata impura e impuro era ciò che essa toccava • La guarigione dei due ciechi. Gesù domanda la fede in lui, che scaturisce dalla duplice consapevolezza dell’impotenza di fronte alla propria situazione e della fiducia nella potenza di Gesù). Matteo conclude questa serie di miracoli dicendo che i gesti di Gesù suscitano contemporaneamente consenso e dissenso, suscitano l’entusiasmo delle folle, ma anche la netta opposizione dei farisei. Matteo inoltre riassume di nuovo la missione di Gesù, a cui la missione dei discepoli deve modellarsi. Al primo posto c’è la parola che insegna e annuncia, ma subito dopo Gesù guarisce ogni malattia. Gesù si occupa delle folle malate per compassione, un amore senza ragione, ricordato da Matteo in tre passi riferiti a Gesù e due volte nella parabola dei due servi per indicare la misericordia del padrone e la durezza di cuore del servo. Matteo ci ricorda che se Gesù si è preoccupato della sofferenza dell’uomo, non è solo per amore di Dio o per obbedienza, ma per un suo personale coinvolgimento. Anche la missione del discepolo è itinerante e il suo compito è indicato da cinque imperativi: predicare (compito della parola), guarire, risuscitare, mondare (liberare dagli elementi impuri), cacciare i demoni (liberare l’uomo dalle sofferenze) e gratuitamente (Gesù non pretende nulla in cambio). Per capire chi è Gesù occorre guardare con attenzione alle sue opere, le “opere di Cristo“. Gesù incontra in una sinagoga un uomo con la mano paralizzata e non esita a guarirlo di fronte a tutti, questo perché la carità deve essere visible, ma non ostentata. Un altro esempio è la donna pagana che esprime a Gesù la sua sofferenza, la cui miseria supera anche le differenze religiose e a Gesù basta questo per compiere una guarigione. L’ultimo sommario del Vangelo di Matteo non ha paralleli negli altri: Gesù sale su un monte e offre alle folle la liberazione dalle malattie, non c’è dialogo e i malati sono ai suoi piedi, non chiedono nulla e Gesù non chiede nulla a loro, ma li guarisce e basta. Appena scende dal monte, Gesù si trova davanti un padre che chiede la guarigione di suo figlio e viene menzionata tre volte l’incapacità dei discepoli a guarirlo, Gesù spiega che loro fallimento è dovuto alla loro poca fede, non basta solo la generosità. Alla fine, si trova la parabola del giudizio nella quale vengono elencate 6 opere di misericordia. Tra le figure in cui riconoscere Gesù c’è anche la figura dell’ammalato, ma non si dice che occorre guarirlo, anzi con tre verbi Gesù indica il modo di relazionarsi con esso: visitare (un vedere che osserva e si preoccupa), venire (andare a trovarlo) e servire (aiutare il malato in tutti modi). In conclusione, quindi, ci sono alcuni punti sui quali Matteo sembra insistere. In primo luogo i silenzi: Matteo non si chiede se la sofferenza abbia un valore. In seguito afferma che Gesù non si è mai sottratto all’incontro con i sofferenti, non li ha guariti tutti ma li ha sempre accolti: Gesù ha preso le distanze dalla concezione secondo la quale la sofferenza e il peccato sono uniti da un rapporto. Inoltre, è l’uomo sofferente come tale che suscita la sua compassione e fa parte della fede lasciare a Dio la libertà di intervenire. Inoltre, le guarigioni di Gesù avvengono con modalità che non hanno lo scopo di esaltare la potenza di Dio, ma di manifestare la sua passione per l’uomo. 3.4 Gesù, i poveri e i ricchi Ci sono tre tappe per comprendere la cosiddetta “scelta dei poveri“ di Gesù: 1. I poveri nell’Antico Testamento. Per capire il comportamento di Gesù nei confronti dei poveri bisogna partire dall’AT, dove si possono trovare tre linee di riflessione a proposito di poveri: 7 collocato in territorio pagano, non in Israele, questo perché l’indemoniato è prototipo dei pagani, che vivono nelle ombre di morte e che dopo la risurrezione accoglieranno Gesù. In questo modo l’episodio si trasforma da un esorcismo in un racconto di missione. Il nome del demonio è “legione“, poiché può essere uno, ma anche tanti. Ci sono inoltre una serie di opposizioni, ad es. prima dell’incontro con Gesù l’uomo è asociale e violento, ma dopo l’indemoniato ritrova se stesso. Seconda opposizione è quella tra Gesù e la folla: Gesù riesce a liberare l’uomo, ma la folla pur riconoscendone la potenza, la teme e lo invita ad andarsene; Gesù accetta il rifiuto e non resiste. Altro fattore riguarda il comportamento di Gesù nei confronti dell’uomo liberato: non lo accetta alla sua sequela, ma lo invia alla sua gente, lascia un suo testimone. Quindi, intenzione di Marco è una lezione sulla salvezza che Gesù è venuto ad offrire, ci sono due importanti fattori: una descrizione totale della liberazione (l’uomo all’inizio è fuori di se, mentre dopo l’intervento di Gesù si ricompone) e di fronte alla novità della liberazione da parte di Gesù, gli uomini possono sentirsi minacciati e opporre resistenza alla stessa parola che è in grado di liberarli. 2. L’esorcismo del fanciullo indemoniato. La composizione si sviluppa in tre tempi: l’incontro di Gesù con la folla e il primo dialogo con il padre del ragazzo, la presentazione dell’ammalato e il secondo dialogo di Gesù con il padre, infine l’esorcismo e il dialogo di Gesù con i discepoli. Lo schema tipico degli esorcismi è visibile ma ormai ha perso valore; non è l’esorcismo che interessa a Marco, ma il duplice dialogo. I discepoli, infatti, avevano provato a guarire il fanciullo senza riuscirvi, poi compare Gesù e inizia il dialogo con il padre del fanciullo, scandito da tre affermazioni riguardanti la fede. Il vero tema del racconto è appunto la fede, da considerarsi in rapporto alla salvezza (liberazione dal demonio) e ai discepoli, i quali gli chiedono il motivo della loro impotenza e Gesù gli ricorda la preghiera, così come prima li aveva rimproverati per la loro mancanza di fede. Ecco perché l’esorcista deve ricorrere alla preghiera: non deve fare affidamento sui propri poteri, ma sulla potenza di Dio. Il nome Satana ricorre nel Vangelo di Marco in quattro occasioni: • Nella tentazione, quando Gesù viene spinto nel deserto, dove sarà tentato da Satana per 40 giorni; il racconto resta incompiuto, poiché tema fondamentale è il fatto che Gesù fu tentato, dopo il battesimo. • Nella discussione con gli scribi, dove Gesù spiega i suoi esorcismi agli scribi che li ritengono operazioni di magia per sedurre le folle e Gesù afferma che è arrivato il “più forte“ (Messia) che vince il “forte“ (Satana). • Nella parabola del seminatore, dove Gesù considera Satana come l’oppositore che bisogna assolutamente vincere per condurre gli uomini a Dio. Gli esorcismi sono segno di questa vittoria. • Nel rimprovero a Pietro, dove c’è l’opposizione a Dio e l’intenzione di distogliere Gesù dalla via messianica. È questo il contenuto essenziale della tentazione che Gesù ha incontrato; tutta la sua vita fu un sì a Dio e un no al tentatore, visse sempre nell’obbedienza. Quindi Gesù vince Satana con la potenza dell’obbedienza e dell’amore disinteressato che raggiunge la sua pienezza sulla croce. Esiste quindi una connessione fra esorcismi e segreto messianico: Gesù non vuole che sia subito una spiegazione dei suoi esorcismi, perché per comprenderli a pieno occorre aspettare la croce. Tutti questi dati dal Vangelo di Marco devono essere collocati entro il quadro teologico e antropologico: • La credenza nei demoni è un dato culturale. In contrapposizione alla demonologia giudaica, il Gesù di Marco non va a svelare la natura degli spiriti maligni, ma ad annunciare che Dio si confronterà con il male. Inoltre considerava il mondo dei demoni come frammentato, mentre Marco lo considera come unità. • È possibile ordinare i dati di Marco secondo lo schema storico-salvifico: il tempo di Cristo e quello della Chiesa. Gesù con la croce ha vinto Satana, anche se esso continua ad essere il tentatore che toglie la parola dal cuore dell’uomo. Satana cerca di separare il Messia dal crocifisso e l’obbedienza dell’amore. Nel tempo della Chiesa la possibilità della vittoria su Satana resta possibile: Gesù invita i suoi discepoli ad annunciare il regno e a liberare gli uomini dagli spiriti maligni, a due condizioni: la fede e la via della croce. • È possibile ordinare i dati di Marco in linea verticale. Gesù guarisce l’uomo dalla malattia, difficile da distinguere dalla possessione demoniaca, poiché era diffusa l’opinione che i demoni fossero 10 all’origine di molte malattie (es. fanciullo caso di epilessia), mentalità seguita anche da Marco. In realtà, il vero luogo della presenza di Satana non è la malattia, ma il nucleo profondo della persona (es. indemoniato geraseno). Ma Satana si impossessa dell’uomo anche in forme più indolori, ad es. nell’indifferenza di fronte alla parola del regno e nel rifiuto della croce. • I dati di Marco rivelano una lettura teologica dell’esistenza umana. Gli esorcismi di Marco sono esemplificativi della situazione dei comuni uomini peccatori. Come tutta la Bibbia, anche Marco concepisce l’uomo come essere unitario: appartiene a Dio nel corpo e nello spirito, proprio dove viene colpito da Satana. L’esistenza dell’uomo è strettamente legata a Dio, condizione per la libertà; il contrasto quindi non è mai solo tra Dio e Satana, ma anche con l’uomo. Il contrasto fra Gesù e Satana è un’opposizione che si manifesta a tre livelli: Il contrasto tra Gesù e i suoi oppositori, tra Gesù e gli indemoniati e tra Dio e Satana. Capitolo 4: la Pasqua rivelazione di Dio e dell’uomo 4.1 Gesù e la sua croce Gesù ha compreso la sua passione e la sua morte come una necessità. Il Vangelo di Marco spiega che Gesù ha donato la vita per gli altri, quindi necessità, libertà e dono. Gesù sa che sono gli uomini a volerlo condannare e sa che la ragione dietro a questa condanna è proprio la verità di Dio (se dicesse bugie non lo condannerebbero). La necessità della condanna di Gesù e quindi dietro la libera scelta di vita che gli ha fatto, la verità di Dio. La sofferenza di Gesù rivela una profonda libertà, perché sceglie consapevolmente un modo di vivere che lo espone alla contraddizione, alla sofferenza e anche alla morte violenta. Oltre a questo primo livello di comprensione, ce n’è un secondo più profondo: oltre la consapevolezza di aver scelto una vita che porta con sé il rischio della morte, Gesù è anche consapevole di una necessità divina. La croce di Gesù è frutto di una duplice libertà: di Dio e di Gesù insieme, la croce è sapienza. La sapienza di una libera scelta di Dio che ha deciso non solo di salvare il mondo, ma di salvarlo con la sua alleanza. Con la croce Gesù ha salvato il mondo e ha rivelato il padre obbedendo al suo disegno di condivisione, la forma più alta dell’amore. Gesù è andato incontro alla sua morte in croce come ad un compimento, “Tutto è compiuto“, si è posto di fronte alla morte come si è posto di fronte alla vita, cioè con la fiducia del padre e nel totale dono di sé agli uomini, per questo si dice che la croce è ciò verso cui l’esistenza di Gesù si è protesa fin dall’inizio. Nonostante Gesù sia andato incontro alla croce nella certezza che la potenza di Dio avrebbe trionfato, aveva angoscia e paura dell’abbandono. Questo perché la potenza di Dio non ha liberato Gesù sottraendolo alla morte né all’angoscia dell’uomo, ma facendolo risorgere dopo una morte uguale a quella degli uomini. Le testimonianze evangeliche parlano della compassione di Gesù per la sofferenza altrui, ma non c’è traccia del fatto che egli abbia provato la sofferenza, la quale è tutta raccolta nella sua morte in croce. É una sofferenza legata ad una libera scelta di vita, anche se nella sua vita ha provato solitudine, paura, angoscia. 4.2 La proclamazione di Gesù La proclamazione di Gesù (Giovanni) vede due punti importanti: il contesto missionario e la centralità della croce, temi che si intrecciano, cioè la missione afferma l’universalità della croce e la croce afferma il contenuto della missione. • “Vogliamo vedere Gesù“. Alcuni greci a Gerusalemme per Pasqua affermano di voler vedere Gesù, hanno il desiderio di conoscere e di credere; questo episodio mostra l’universalità del Vangelo, la prospettiva missionaria. Per rispondere al desiderio di sapere chi egli sia, Gesù racconta l’evento della croce quattro volte: con la parabola del chicco di grano, con il detto di sequela rivolto ai discepoli, con la descrizione del dibattito che avviene nel suo animo e con la solenne proclamazione conclusiva. • “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me“. L’innalzamento è una figura che riguarda le modalità della sua morte e il significato del suo morire (verso Dio). Riguardo “attirerò tutti a me“, significa che la forza di attrazione della croce raggiunge ogni uomo, è il punto dove gli uomini lontani da Dio si incontrano, la croce riunisce. Il crocifisso innalzato è la rivelazione della novità del volto di Dio, Dio che appare capovolto, perché è Dio che muore per l’uomo, non viceversa. Sulla croce, infine, 11 si mostra un ultimo tratto: la croce non salva la debolezza del nostro amore dall’esterno, ma attraversando, cioè l’amore di Dio ha percorso il cammino del nostro amore. C’è quindi un collegamento tra il crocifisso e il cuore dell’uomo, l’amore attrae e allo stesso tempo allontana; questa tensione tra forza e debolezza trova il suo punto principale nel crocifisso innalzato, dove si vede la profondità dell’amore, ma anche la sua debolezza. Quindi, protagonista, oggetto e metodo della missione è il Cristo innalzato e compito della comunità cristiana è renderlo visibile. Per fare ciò Giovanni ha raccolto 3 suggerimenti nel Vangelo, cioè durante l’ultima cena: 1. Gesù lava i piedi ai suoi discepoli (“come ho fatto io“), un’immagine capovolta con cui Gesù spiega la logica dell’amore, di servizio e di dono, oltre alla sua natura di figlio di Dio. La Chiesa, per annunciare al mondo Dio, può solo seguire la strada di Gesù, cioè servire. 2. Gesù dona ai discepoli il comandamento nuovo (“come io vi ho amato“); un amore tra fratelli, ma tutti devono poterlo vedere. La Chiesa deve essere una comunità in grado di mostrare l’amore di Dio a tutti. 3. Si afferma che la comunità cristiana deve essere diversa dal mondo se vuole annunciare Gesù (“come io non sono del mondo“). Il modello da seguire è sempre Gesù, quindi non è una diversità che allontana. Gesù ama veramente e in modo disinteressato, mentre il mondo conosce solo l’amore interessato e di parte. Per essere “segno di contraddizione“ come Gesù, occorre il coraggio di mostrare la gratuità e l’universalità dell’amore. 4.3 lo spettacolo della croce La croce è la grande icona per il credente. La croce è uno spettacolo pubblico e la ragione della condanna di Gesù era scritto in tre lingue in modo che tutti potessero leggerla. É uno spettacolo che sorprende e scandalizza, racconta di uno sconfitto che invece è un vittorioso, per questo la croce dovrebbe avere due facce: da una parte il crocifisso e dall’altra il risorto. Inoltre, in questo episodio emerge anche la malvagità dell’uomo, ma il peccato è superato dal perdono di Dio. Il dramma della croce è uno spettacolo che converte, si comprende che la propria vita deve assomigliare a quella del crocifisso che ama e perdona. Infine, è uno spettacolo pericoloso, per il mondo che viene giudicato (il mondo si vede smascherato nella sua menzogna e si arrabbia), ma pericoloso anche per il credente (perché corre il rischio della solitudine). Come assistere a questo spettacolo? È uno spettacolo che si deve guardare dentro la chiesa, si deve vivere. Come vivere tutto questo nella vita quotidiana? Per inserire questi insegnamenti nella vita quotidiana, si possono riprendere le beatitudini evangeliche, cioè: • “Beati i puri di cuore“, la purezza di cuore è la totalità della ricerca di Dio. Questa è la differenza tra il santo (nella ricerca di Dio) e mediocre (uomo diviso, come l’uomo che cerca di servire due padroni, Dio e denaro). • “Beati i misericordiosi“, la misericordia è quell’amore eccedente che rimane solidale anche se rifiutato, un amore che non esclude nessuno. • “Beati gli affamati di giustizia”, Gesù si rivolge agli affamati, perché trovino la forza di proseguire nel loro cammino, e ai sazi. Avere fame di giustizia significa averne la passione, cioè il rispetto dei diritti di Dio. • “Beati i costruttori di pace”, il Vangelo parla di una pace evangelica, che richiede il superamento delle logiche comuni, la risposta con l’amore, non è possibile senza gratuità e perdono. • “Beati i poveri di spirito“, dove povero di spirito è l’uomo che ha fiducia in Dio e vive per essere libero e condividere. Il povero di spirito è l’uomo che concepisce se stesso in termini di gratuità. L’amore gratuito unisce identità e dialogo; la carità è il cuore di tutto ciò, quindi è il cuore dell’identità cristiana, oltre ad essere un’esperienza che ogni uomo può comprendere. La carità quindi deve imitare l’amore del crocifisso e deve essere universale e gratuità, oltre che eccedente. Esistono comunque delle possibilità di offuscare lo spettacolo, cioè: 1. Quando crediamo che il nostro spettacolo sia capace di ridisegnare completamente quello di Gesù, quando invece è sempre in completo. 2. Dimenticare che lo spettacolo indica un modello, infatti si può parlare della croce percorrendo strade diverse da quelle del crocifisso. 3. L’angoscia della coerenza. Il diritto di invitare allo spettacolo non sta nella coerenza, ma nella bellezza di questo spettacolo; l’importante è annunciare Gesù, non se stessi. 12