Scarica Riassunto Libro Giustizia amministrativa e più Dispense in PDF di Giustizia Amministrativa solo su Docsity! CAPITOLO 1. Lezioni introduttive: p. 4-5 1. Premessa... Li 4 2. Gliistituti della giustizia a amministrativ: 4 3. Le ragioni di un sistema di giustizia amministrativa. 4 4. Le origini della giustizia amministrativa: cenni al sistema a francese .5 5. La giustizia amministrativa in Italia: caratteri generali............ i CAPITOLO 2. Le origini del nostro sistema di giustizia amministrativa: p. 6-9 1. La giustizia amministrativa nel Regno di Sardegna............ i 6 2. Il declino dei tribunali del contenzioso amministrativo. 2.6 3. Lalegge 2248/1865.. de 2.7 4. Il bilancio dell’ allegato En nei primi anni successivi al 1865. .8 5. La legge sui conflitti del 1877................ .9 CAPITOLO 3. L’affermazione di una giurisdizione amministrativa: p. 10-13 Spar L'istituzione della Quarta sezione La riforma del 1907 La riforma del 1923 e l'istituzione della giurisdizione esclusiva. L'entrata in vigore della Costituzione e l’istituzione dei Tar... Li Le innovazioni successive e il “codice del processo amministrativo”................. 0 13 CAPITOLO 4. L’interesse legittimo: p. 14-23 LAS PRRONT Considerazioni introduttive L'interesse legittimo e il ‘potere’ della PA Il contributo specifico della giurisprudenza; la questione dei d ‘costituzionalmente tutela L'interesse legittimo come posizione soggettiva differenziata e qualificata... ...................... L'interesse legittimo come posizione di diritto sostanziale Quale ‘interesse’ nell’interesse legittimo? L’identificazione del ‘© bene della v vita! Interessi legittimi e diritti soggettivi Interessi legittimi e risarcimento del dann Li Interessi legittimi e interessi semplici; gli interessi ‘super-individuali”............ CAPITOLO 5. I principi costituzionali sulla tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della PA: p. 24-28 1. DURÒ I principi dei Trattati UE e della CEDU. I principi costituzionali in generale... I principi sul giudice... I principi sull’azione giusto processo: vl art. 24, c. s1- 2 ela art. t II 6 c. 2 Cost Il principio sull’azione: l’art. 113 Cost....... I principi sull’assetto della giurisdizione amministrativ: CAPITOLO 6. La giurisdizione ordinaria nei confronti della PA: p. 29-34 IIUMPRONT I criteri accolti per il riparto fra giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa. I limiti interni della giurisdizione ordinaria nel processo di cognizione... La disapplicazione degli atti amministrativi.. Il giudice ordinario e i procedimenti speciali n nei si confronti dell'a amministrazione.. Le disposizioni processuali particolari per il giudizio in cui sia parte una PA statale. Il giudice ordinario e le controversie di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni L'esecuzione forzata nei confronti dell’amministrazione......................... 1 CAPITOLO 7. I ricorsi amministrativi: p. 35-41 Spar Principi generali... . Il ricorso gerarchico: | procedimento e decisione Il ricorso gerarchico: il problema del ‘silenzio Il ricorso gerarchico improprio e il ricorso in opposizione Il ricorso straordinario...................... CAPITOLO 8. Quadro generale della giurisdizione amministrativa: p. 42-46 Spar Premessa... Le classificazioni generali: la giurisdizione di legittimit (segue): la giurisdizione esclusiva.............. La giurisdizione esclusiva nel c.p.a.: problemi aperti e nuove prospettive Li Le classificazioni generali: la giurisdizione estesa al merito... ............ i CAPITOLO 9. L’azione nel processo amministrativo: p. 47-54 IOMREONT Le condizioni generali per l’azione nel processo amministrativo La tipologia delle azioni nel processo amministrativo L'azione di annullamento....... L'azione di mero accertamento L'azione di condanna... . La tutela nei confronti del silenzio; hi azione è di ‘adempimento; la tutela del diritto dia accessi . L'azione per l'efficienza dell’amministrazione............ CAPITOLO 10. Elementi preliminari per lo studio del processo amministrativo: p. 55-61 SpupOANT Il giudice amministrativo e la sua competenza............ i 85 Le parti: le parti necessarie.. (segue): le parti non necessarie La capacità processuale e il patrocinio legale I principi generali del processo.. . Il rapporto con la disciplina del p processo civile. Lie 60 CAPITOLO 11. Il giudizio di primo grado: p. 62-69 QLIDIDURLAONIT L'introduzione del giudizio... .......... i I motivi aggiunti... La costituzione delle altre parti e e n ricorso )incidental L'istruttoria: i principi.. (segue): i provvedimenti is istruttori e i ‘singoli n mezzi istruttori Gli incidenti del giudizio. La decisione... Il rito camerale. CAPITOLO 12. La tutela cautelare: p. 70-73 SUIpREONT I caratteri generali della tutela cautelare nel processo amministrativo La tipologia e i contenuti delle misure cautelari......................... La procedura ‘ordinaria’. . La tutela cautelare nei casi si di particolare n urgenz: Irimedi ammessi nei confronti delle ordinanze cautelari L'esecuzione delle ordinanze cautelari... ................. contenzioso amministrativo modellato su quello francese! a un sistema di giurisdizione unica e poi a un sistema articolato in una giurisdizione del giudice ordinario e in una giurisdizione del giudice amministrativo. Negli ultimi decenni si è manifestata una spinta a una maggiore omogeneità fra i giudici ordinari e i giudici amministrativi. Due sono i motivi che identificano la dialettica presente in ogni sistema di giustizia amministrativa: le ragioni di specificità della PA nell’ordinamento e l’esigenza di una tutela effettiva del cittadino anche nei confronti dell’amministrazione autorità. 4. LE ORIGINI DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. CENNI AL SISTEMA FRANCESE. Dopo la Rivoluzione francese e l'affermazione del principio della separazione dei poteri, in Francia si era affermata l’esigenza che il potere esecutivo, nel quale era inserita la PA, dovesse essere un potere distinto dagli altri, anche se non superiore agli altri: l’esecutivo non poteva arrogarsi i poteri del giudice ordinario, ma i suoi atti non dovevano neppure essere soggetti al sindacato dei giudici. Tutto ciò non comportava però l’esclusione di ogni possibilità di tutela per il cittadino. Nella Rivoluzione francese si affermò il principio della responsabilità dell’amministrazione nei confronti dell’assemblea legislativa. Nell’amministrazione erano poi previste forme di controllo a garanzia della legalità degli atti amministrativi, che trovavano fondamento nell’ordinamento gerarchico. A favore del cittadino era conservato un rimedio specifico costituito dal c.d. ricorso gerarchico. Con questo ricorso il cittadino si rivolgeva all’organo gerarchicamente sovraordinato a quello che aveva emanato l’atto lesivo e richiedeva, all’organo sovraordinato, la verifica della legalità dell’atto. Per rendere più attento e serio l’esame del ricorso gerarchico, l’ordinamento francese prevedeva frequentemente che i ricorsi venissero decisi dalle autorità competenti solo dopo aver acquisito il parere di alcuni organi consultivi. Tra questi il più importante era senz'altro il Consiglio di Stato. Istituito nel 1799, in seguito, nel 1872, al Consiglio di Stato fu riconosciuta anche formalmente la competenza a decidere il ricorso, attribuendo allo stesso i caratteri di organo giurisdizionale. Ciò non comportava un’attenuazione del principio di separazione dei poteri. Il principio era salvo perché competente a sindacare gli atti della PA era il Consiglio di Stato, autorità distinta dai giudici ordinari e non inserita nell’ordine giudiziario. 5. LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA IN ITALIA: CARATTERI GENERALI. L’assetto della giustizia amministrativa in Italia è stato notevolmente influenzato, nelle sue origini, dal modello francese. Nella seconda metà dell’Ottocento si sono poi affermate tendenze diverse e in ampia misura originali che, dopo l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato nel 1889, hanno orientato il rapporto tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo secondo la distinzione fra le posizioni qualificate del cittadino nei confronti della PA. A fondamento del riparto fra le due giurisdizioni vi è infatti la distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi: la giurisdizione amministrativa giudica degli interessi legittimi, mentre la giurisdizione ordinaria giudica dei diritti soggettivi. In alcuni ambiti però la competenza del giudice amministrativo non dipende dalla configurabilità di una posizione soggettiva come interesse legittimo, ma dipende dall’inerenza della controversia a una certa materia (giurisdizione esclusiva). Inoltre, nei casi in cui si controverta se la giurisdizione sulla controversia spetti al giudice ordinario o al giudice speciale, si demanda alla Corte di Cassazione di decidere il conflitto o la questione di giurisdizione. 1 Sistema di contenzioso amministrativo nel quale le controversie tra il cittadino e la PA sono sottratte al giudice ordinario e devolute a un giudice speciale. È un giudice con uno stato giuridico diverso da quello dei magistrati ordinari. È inquadrato nel potere esecutivo e non gode di tutte le garanzie del giudice ordinario. La sua giurisdizione è separata da quella ordinaria. 5 CAPITOLO 2: LE ORIGINI DEL NOSTRO SISTEMA DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. 1.LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NEL REGNO DI SARDEGNA. L’ordinamento unitario seguì svolgimenti determinati dai caratteri e dai problemi propri dell’ordinamento del Regno di Sardegna: la continuità tra i due ordinamenti è sostanziale anche per quanto concerne la giustizia amministrativa. Il modello del contenzioso amministrativo francese fu accolto anche in Italia in epoca napoleonica. Successivamente il modello fu soppresso con la Restaurazione, ma non cessò comunque di rappresentare un modello significativo. Nel 1831 Carlo Alberto istituì nel Regno di Sardegna un Consiglio di Stato, con funzioni consultive, articolato in tre sezioni: sezione dell’interno; sezione di Giustizia, Grazia e di affari ecclesiastici; sezione di Finanza. A partire dal decennio del 1840 fu istituito un vero e proprio sistema di contenzioso amministrativo. Il sistema si fondava sulla distinzione fra controversie riservate all’amministrazione — per le quali si ammetteva solo il ricorso all’amministrazione e non all’autorità giudiziaria- e controversie di “amministrazione contenziosa”, per le quali era prevista la possibilità di un ricorso in primo grado a un Consiglio di intendenza e in secondo grado alla Camera dei Conti. A questi ultimi la giurisprudenza civile riconobbe il carattere di organi giurisdizionali. Il ruolo di questi giudici speciali fu però oggetto di critiche, specie considerato il fatto che lo Statuto Albertino enunciò poi la regola di riserva della funzione giurisdizionale al giudice ordinario. Nonostante ciò, una serie di decreti reali del 1859 accolse e confermò il sistema del contenzioso amministrativo, articolato in Consigli di governo — organi di primo grado, designati come giudici ordinari del contenzioso amministrativo- e Consiglio di Stato, organo di secondo grado. Da notare che: A. era esclusa da qualsiasi tipo di sindacato la c.d. amministrazione economica (attività connotata da discrezionalità); B. in alcune materie elencate dalla legge, la tutela dei cittadini nei confronti della PA era demandata a giudici ordinari del contenzioso amministrativo (ossia a Consigli di governo e Consiglio di Stato); C. in altre materie individuate specificamente da leggi speciali, la tutela dei cittadini era demandata a giudici speciali del contenzioso amministrativo (speciali solo perché diversi da quelli ordinari, ossia Consigli di governo e Consiglio di Stato. Es Corte dei Conti). D. negli altri casi la competenza spettava al giudice ordinario, ossia ai giudici civili. Un sistema del genere lasciava ampio spazio alla possibilità di conflitti, positivi o negativi, fra amministrazione e giudici e fra giudici del contenzioso amministrativo e giudici ordinari. Nel 1859 fu introdotta una legge per risolvere detti conflitti: la decisione sul conflitto era assunta con decreto reale, previo parere del Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno, sentito il Consiglio dei Ministri. La necessità del decreto reale trovava ragione nello Statuto, che riconosceva al Re entrambe le funzioni, quella giudiziaria e quella amministrativa. Era però evidente che la decisione effettiva spettava al Ministro dell’interno. In sostanza, questo modello sanciva una prevalenza dell’autorità amministrativa su quella giurisdizionale. Ai giudici ordinari del contenzioso amministrativo (sub b) non erano conferiti i poteri di annullamento rispetto agli atti amministrativi dedotti in giudizio. 2. IL DECLINO DEI TRIBUNALI DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO. Le discussioni sul sistema in atto, caratterizzato dall’esistenza di giudici speciali, non furono superate dalla riforma del 1859. A sostegno del sistema del contenzioso amministrativo risultavano invocati particolarmente tre ordini di considerazioni: a) la tutela dell’interesse pubblico. Sembrava essenziale che l’attuazione dell’interesse pubblico non fosse ostacolata da un intervento del giudice; attraverso un sistema di contenzioso amministrativo, invece, si avvertiva che questa esigenza fosse meglio garantita. b) l’esclusione delle garanzie di inamovibilità e imparzialità previste per i giudici ordinari era per alcuni un fattore positivo, perché avrebbe consentito di far valere in modo più efficace la responsabilità dei giudici del contenzioso amministrativo. c) la specialità del diritto dell’amministrazione. Le controversie demandate ai giudici del contenzioso amministrativo riguardavano istituti profondamente diversi da quelli del diritto comune. Questi argomenti erano criticati dagli oppositori dei modelli di contenzioso amministrativo. Sostenevano l’esigenza che anche le controversie fra la PA e il cittadino fossero assegnate a un giudice ordinario. Solo un giudice estraneo alla PA e dotato di tutte le garanzie previste per i giudici ordinari avrebbe potuto assicurare l’imparzialità necessaria per una decisione. Nei giudici speciali si vedeva ancora un possibile privilegio per la PA 3. LA LEGGE N. 2248/1865 Alcuni degli argomenti sopra riportati conservano una loro attualità. Da un lato, si afferma l’esigenza di un giudice speciale, che abbia un’esperienza specifica in un settore del diritto diverso da quello comune. Dall’altro si teme che l’introduzione di un giudice speciale si risolva in un regime processuale privilegiato per la PA. Il dibattito raggiunse il suo culmine con l’adozione della 1. n. 2248/1865, allegato E (c.d. legge di abolizione del contenzioso amministrativo). Dei temi della giustizia amministrativa si interessano l’allegato D e l’allegato E. - l'allegato D disciplinava l’assetto del Consiglio di Stato. Fu confermata l’articolazione in tre sezioni, che in taluni casi operavano collegialmente in adunanza generale. Al Consiglio di Stato erano state assegnate tipicamente competenze consultive: in alcuni casi il parere del Consiglio di Stato era obbligatorio. Nella normativa sul Consiglio di Stato si faceva riferimento al ricorso al Re, designato spesso come ricorso straordinario, perché poteva essere proposto solo dopo l'esaurimento dei rimedi ordinari, ossia i ricorsi gerarchici. Il ricorso al Re era formalmente coerente con il dettato dello Statuto Albertino, che riferiva all’autorità del Re il complesso dell’amministrazione. Non rappresentava però uno strumento di tutela giurisdizionale, continuando a collocarsi nell’ambito dei ricorsi amministrativi. In alcune ipotesi tassative il Consiglio di Stato esercitava, inoltre, funzioni giurisdizionali, come giudice speciale. In questi casi il procedimento aveva carattere tipicamente contenzioso e la decisione poteva comportare l’annullamento dell’atto amministrativo. Inoltre, al Consiglio di Stato fu conferita la competenza di risoluzione dei conflitti tra la PA e l’autorità giurisdizionale. => l’allegato E viene frequentemente designato come legge di abolizione del contenzioso amministrativo, perché l’art. 1 prevedeva la soppressione dei c.d. giudici ordinari del contenzioso amministrativo. Si delineava il seguente assetto della giustizia amministrativa: - tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile e politico furono assegnate al giudice ordinario. La giurisdizione del GO non subiva deroghe per il fatto che la vertenza riguardasse un’amministrazione (art. 2). - gli affari non compresi nell’ipotesi precedente furono riservati alle autorità amministrative (art. 3). In questo ambito riservato all’amministrazione erano introdotte però alcune garanzie per i cittadini, segno che il legislatore aveva percepito la delicatezza della loro posizione in un ambito escluso dalla tutela giurisdizionale. Si prevedeva in primo luogo che le 7 CAPITOLO 3: L'AFFERMAZIONE DI UNA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 1.L’ISTITUZIONE DELLA QUARTA SEZIONE. I risultati della riforma non diedero i risultati sperati: la tutela del cittadino si era rivelata comunque inefficace. Emerse così un’esigenza di revisione. Il tema presentava due profili fondamentali, tra loro connessi: a) l’attuazione di una tutela più ampia ed incisiva del cittadino nei confronti dell’amministrazione; b) l'individuazione dell’organo cui affidare tale tutela. Sotto il primo profilo, si confermò la giurisprudenza emersa prima dinanzi al Consiglio di Stato, poi dinanzi alla Corte di Cassazione a sezioni unite, che affermava una tendenziale incompatibilità tra il diritto soggettivo e il provvedimento amministrativo. Il diritto soggettivo era riconosciuto e garantito nei confronti della PA solo quando essa agiva iure privatorum. Quando la PA, invece, interveniva con un provvedimento amministrativo si avevano di regola solo interessi. Di conseguenza si delineava una contrapposizione tra i diritti, che erano passibili di tutela giurisdizionale, e gli interessi diversi dai diritti soggettivi, che erano privi di una tutela giurisdizionale. Sorgeva così l’esigenza di tutelare questi interessi, configurabili nel momento in cui la PA agiva iure imperio. Ci si convinse che la tutela degli interessi dei cittadini, lesi da atti dell’amministrazione, dovevano essere tutelati con strumenti più efficaci dei ricorsi gerarchici. La garanzia di tali interessi andava perciò demandata a un’autorità specifica, con un prestigio paragonabile a quello del giudice civile, ma dotata di un potere di annullamento e perciò non inquadrata nel potere giudiziario. Con la 1. 5992/1889 la tutela degli interessi fu demandata al Consiglio di Stato, con la precisazione, però, che questa funzione contenziosa era affidata a una nuova sezione, la quarta (le altre tre avevano funzione consultiva). La quarta sezione aveva la cognizione delle controversie che avevano ad oggetto un interesse, a condizione che il ricorso non sia di competenza dell’autorità giudiziaria (GO) o di altri giudici speciali. Il ricorso non è ammesso se si impugna un atto emanato dal Governo nell’esercizio di un potere politico. Ne deriva che alla quarta sezione dovevano essere presentati i ricorsi in caso di lesione degli interessi da parte degli atti della PA. La giurisdizione della Quarta sezione non poteva interferire con quella del giudice ordinario. Al centro del contenzioso amministrativo si collocava il provvedimento amministrativo, a differenza di come sembrava nella 1. del 1865, che dava maggior rilievo alla relazione inter-soggettiva tra PA e cittadino. Nella legge del 1889 la posizione centrale riconosciuta all’atto amministrativo rifletteva la convinzione dell’incompatibilità tra diritto soggettivo ed esercizio del potere di imperio, di cui era espressione tipica il provvedimento amministrativo. La tutela del cittadino si configurava quindi come tutela contro il provvedimento amministrativo. I ricorsi alla Quarta sezione erano mezzi di impugnazione del provvedimento e producevano, come utilità, per il ricorrente, l'annullamento dell’atto impugnato. Il ricorso poteva essere proposto dal cittadino per impugnare il provvedimento affetto da vizi tassativamente indicati dalla legge: incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. Con il termine incompetenza la giurisprudenza intendeva un vizio degli elementi soggettivi (ossia: l’organo che aveva emanato l’atto impugnato non era quello titolare della competenza a provvedere). L’eccesso di potere era identificato non con lo straripamento del potere, cui faceva riferimento la legge per la soluzione dei conflitti di giurisdizione, ma con un uso gravemente scorretto del potere discrezionale da parte della PA. La violazione riguardava essenzialmente l’inosservanza dei principi generali, vincolanti per la PA. Se però la violazione di questi principi generali non era in discussione, il sindacato sulla discrezionalità amministrativa non era possibile neppure per la Quarta sezione e rimaneva riservato solo all’autorità amministrativa e ai ricorsi gerarchici. Questo ambito, estraneo al sindacato della Quarta sezione venne poi designato spesso come merito dell’atto amministrativo. 10 Per violazione di legge fu inteso il vizio specifico rappresentato dal contrasto fra un elemento del provvedimento o del suo procedimento e una disposizione contenuta nella legge o in un’altra fonte del diritto. Come anticipato, la tutela del cittadino nei confronti della PA nella riforma del 1889 fu ricondotta a uno schema imperniato sulla distinzione tra posizioni soggettive. La tutela nell’ambito dei diritti soggettivi era demandata al giudice ordinario. Ai diritti soggettivi si contrapponevano gli interessi legittimi, la cui tutela sarebbe stata demandata alla Quarta sezione. Infine permaneva un ambito di attività riservata alla PA. In questo quadro non era chiara la collocazione del ricorso gerarchico, perché il suo ambito non era circoscritto a nessuna delle ipotesi menzionate. La 1. del 1889 però introduceva un rapposto preciso tra il ricorso alla Quarta sezione e il ricorso gerarchico: il ricorso alla Quarta sezione era ammesso solo contro un provvedimento definitivo, ossia per un provvedimento per il quale fossero stati esperiti tutti i gradi della tutela gerarchica. Per quanto riguardava il ricorso straordinario al Re, la legge del 1889 stabiliva la regola dell’alternatività con il ricorso alla Quarta sezione (così da garantire l’equi-ordinazione fra le sezioni consultive e la quarta sezione del Consiglio di Stato). Dalla tutela imperniata sulla Quarta sezione erano esclusi gli atti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico (atti politici). L’obiettivo era quello di sottrarre al sindacato di autorità esterne determinati atti che non avevano carattere legislativo. Si trattava di atti riconducibili a funzioni superiori di governo, ma non necessariamente solo di atti politici di rilevanza costituzionale. La competenza della Quarta sezione si incentrava nel sindacato di legittimità sull’atto amministrativo. Solo in alcuni casi particolari la legge attribuiva alla Quarta sezione anche un sindacato in merito. Fra le ipotesi di sindacato anche in merito, la legge prevedeva quello dei ricorsi diretti a ottenere l'adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei tribunali che hanno conosciuto la lesione del diritto civile o politico (giudizio di ottemperanza). 2. LA RIFORMA DEL 1907 La 1. del 1889 non affrontava la questione della natura amministrativa o giurisdizionale della Quarta sezione. Nella legge le pronunce della Quarta sezione erano designate non come sentenze, ma come decisioni, termine che indicava anche certe pronunce delle autorità amministrative. La tesi del carattere giurisdizionale della Quarta sezione fu accolta dalla Cassazione: la Corte di Cassazione dichiarava ammissibili i ricorsi in materia di giurisdizione proposti contro le decisioni del Consiglio di Stato, riconoscendo così al Consiglio di Stato il carattere di giudice speciale e alle decisioni di essa il valore di sentenze. In seguito, la legge n. 62/1907 riconobbe formalmente il carattere giurisdizionale alla Quarta sezione. Inoltre istituì la Quinta sezione del Consiglio di Stato, con funzioni giurisdizionali. Il coordinamento fra le due sezioni era affidato alle Sezioni Unite (oggi Adunanza Plenaria), composte dai componenti di entrambe le sezioni. Fu poi emanato il R.D. 642/1907 con il regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. 3. LA RIFORMA DEL 1923 E L'ISTITUZIONE DELLA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA. La legge del 1907 ha orientato la distinzione tra giurisdizione civile e giurisdizione ordinaria nei termini di una distinzione fra posizioni soggettive. Al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale era assegnato il compito di tutelare posizioni soggettive particolari, che la giurisprudenza definiva come posizioni giuridicamente qualificate di interesse legittimo. Un sistema improntato sulla distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi comportava la necessità di identificare puntualmente i caratteri delle due diverse posizioni soggettive. 11 Il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (r.d. n. 1054/1924) introdusse due importanti innovazioni: a) al giudice amministrativo, nei giudizi di sua competenza, fu riconosciuta la capacità di conoscere, in via incidentale, le posizioni di diritto soggettivo, fatta eccezione per le questioni riguardanti lo stato, la capacità delle persone e la querela di falso. La possibilità di una cognizione incidentale dei diritti consentiva di evitare che, in un giudizio amministrativo, la necessità di esaminare una questione inerente ai diritti soggettivi comportasse sempre la sospensione del giudizio e la rimissione delle parti davanti al giudice civile. b) in alcune materie particolari al giudice amministrativo fu attribuita la possibilità di conoscere e di giudicare in via principale anche di diritti soggettivi. In queste materie la tutela giurisdizionale era devoluta interamente al giudice amministrativo. Dalla riforma emergeva quanto segue in tema di giurisdizione esclusiva: o nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva il riparto fra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria seguiva il criterio della distinzione per materie (la più importante tra le materie affidate alla giurisdizione esclusiva: il pubblico impiego). © nelle vertenze per diritti soggettivi il giudice amministrativo disponeva degli stessi poteri di cognizione e di decisione che gli spettavano nel caso di giurisdizione sugli interessi legittimi. Il giudizio non era sottoposto alle regole del codice di procedura civile sulla tutela dei diritti ma era la tutela dei diritti che veniva assoggettata alle regole del giudizio amministrativo. © Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, la tutela dei diritti era aggiuntiva rispetto a quella degli interessi. o Il giudice amministrativo poteva conoscere in via incidentale delle situazioni di diritto soggettivo, non inerenti alla materia devoluta alla giurisdizione esclusiva, che fossero però rilevanti per la decisione. Restavano sempre escluse le pronunce su questioni inerenti allo stato e alla capacità delle persone, o per questioni di falso. © AI giudice ordinario, anche nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, erano riservate le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di legittimità dell’atto o del provvedimento contro cui si ricorre. I diritti patrimoniali consequenziali furono identificati dalla dottrina e dalla giurisprudenza con il diritto al risarcimento del danno che assumeva rilevanza in seguito all’annullamento di un provvedimento amministrativo che avesse inciso su un diritto soggettivo. La giurisdizione del giudice ordinario per il risarcimento dei danni era prevista anche in caso di danno arrecato a un diritto devoluto alla giurisdizione esclusiva del GA. Questa posizione rimase valida sino alla fine del secolo. 4. L’ENTRATA IN VIGORE DELLA COSTITUZIONE E L'ISTITUZIONE DEI TAR L’incidenza della Costituzione nella giustizia amministrativa non fu colta nell’immediato. Nel 1948 venne istituita la Sesta sezione del Consiglio di Stato. Con la 1. 1034/1971 furono istituiti, nei capoluoghi di ciascuna regione, i Tribunali Amministrativi regionali. Nei confronti delle sentenze del TAR fu previsto l’appello alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. Con il dp. 1199/1971 fu dettata per la prima volta una disciplina organica dei ricorsi amministrativi: il ricorso gerarchico e gli altri ricorsi ad esso assimilati e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. 12 C) Funzionalità alla realizzazione dell’interesse pubblico: Di conseguenza NON si ha potere quando l’attività amministrativa sia diretta istituzionalmente a soddisfare un interesse privato. È il caso della determinazione dell’indennità di esproprio. Questo non può accadere nel caso dell’attività discrezionale, che è sempre volta alla realizzazione dell’interesse pubblico. Invece, per questa tesi, tale situazione potrebbe realizzarsi nel caso dell’attività vincolata. Rimane però oscuro come capire quando l’attività vincolata sia diretta al perseguimento di un interesse pubblico e quando invece un interesse privato. Infatti se l’attività è vincolata, alla PA è precluso ogni apprezzamento degli interessi. D) Infungibilità del potere amministrativo: Per altre interpretazioni la caratteristica essenziale del potere amministrativo sarebbe la sua “infungibilità”: mentre l’adempimento di un’obbligazione è di regola fimgibile. Il “potere” dell’amministrazione è riservato a uno specifico apparato e solo a tale apparato è consentito l’esercizio di esso. E) Produzione di effetti giuridici in termini costitutivi: Potere significa capacità di assumere atti produttivi di effetti giuridici propri. Per questo motivo si accoglie la distinzione fondamentale tra: - procedimenti dichiarativi: accertano o certificano situazioni già identificate dalla legge e nei confronti di essi sarebbero identificabili i diritti soggettivi; - procedimenti costitutivi: hanno un carattere dispositivo, perché sono idonei a produrre effetti giuridici specifici che vengono enunciati nel provvedimento finale e nei confronti di essi sarebbero identificabili interessi legittimi. Tuttavia l’identificazione del carattere costitutivo di un provvedimento non è sempre pacifica. a) un orientamento dottrinale individua come discriminante per la nozione di “potere” il fatto che la legge riservi all’amministrazione una competenza esclusiva, intesa come capacità di operare effettuando valutazioni che possono essere compiute solo dall’amministrazione e non da altri soggetti (Es. discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa). Questa riserva attiene non tanto alla tipologia degli effetti prodotti, ma alle modalità attraverso le quali l’amministrazione opera ed assume i suoi atti. Quando la PA è chiamata a fare questo tipo di valutazioni l’attività della PA presenta caratteristiche particolari: 1) la valutazione introduce elementi muovi rispetto a quelli già determinati nella previsione normativa; 2) se la valutazione è riservata alla PA, non è possibile un sindacato pieno sull’attività amministrativa da parte del giudice; 3) nei casi in cui la legge attribuisca alla PA la capacità di compiere queste valutazioni, essa è in grado di “innovare” l’ordinamento, nel senso di poter produrre regole nuove rispetto a quelle sancite nell’ordinamento (poco importa se queste regole riguardino situazioni generali o casi particolari) => Quest’ultima situazione si verifica quando la PA agisce in via discrezionale, perché ha la possibilità di introdurre una regola nuova, determinando l’assetto degli interessi nel caso concreto. Quando invece l’attività è vincolata, la PA si deve limitare ad applicare una regola già presente nell’ordinamento, senza aggiungere nulla di ulteriore. Secondo questa tesi se l’attività è vincolata, il cittadino è titolare di un diritto soggettivo. Invece, se l’attività è discrezionale, ciò che spetta al cittadino non è determinabile a propri in base alla legge, ma dipende da una scelta dell’amministrazione. => In questo caso si può ammettere solo un interesse legittimo. 15 Questa ricostruzione NON viene accolta dalla giurisprudenza prevalente: essa riconosce la presenza di interessi legittimi a fronte di un’attività amministrativa discrezionale, ma esclude che quando l’attività sia vincolata siano configurabili solo diritti soggettivi. Infatti, in quest’ultimo caso, si ammettono interessi legittimi a condizione che l’attività sia indirizzata a un interesse pubblico specifico; altrimenti identifica diritti soggettivi. Non si può non tenere conto dell’impatto del diritto dell’Unione europea sul nostro ordinamento. Il diritto dell’ unione europea non contempla l’interesse legittimo, posizione che è utilizzata solo nel diritto italiano. In ambito europeo quindi i privati vantano nei confronti della PA sempre diritti soggettivi. => Il legislatore italiano ha dovuto adeguarsi all’impostazione delle norme europee (es. prima della sentenza 500/99, l’ordinamento nazionale, per adeguarsi a quello europeo, ha ammesso il risarcimento di alcune ipotesi particolari di interessi legittimi, evidenziando così la disparità di trattamento rispetto agli interessi legittimi non interessati dal diritto dell’UE). In questo quadro finisce con l’assumere rilievo determinante la casistica elaborata dalle Sezioni Unite della Cassazione, quale giudice della giurisdizione. 3. (SEGUE) IL CONTRIBUTO DELLA GIURISPRUDENZA; LA QUESTIONE DEI DIRITTI COSTITUZIONALMENTE TUTELATI. Per distinguere gli interessi legittimi dai diritti soggettivi, la giurisprudenza ha accolto una serie di criteri. Si possono richiamare quelli più significativi, con la precisazione che essi risultano invocati talvolta in via “cumulativa”, come se l’individuazione dell’interesse legittimo discendesse in definitiva, più che da un principio univoco, da una serie di “indici” da valutare complessivamente. A) Distinzione tra norme di azione e norme di relazione: L'ordinamento comprenderebbe norme di azione, che disciplinano un potere e il suo esercizio, e le norme di relazione, che disciplinano un rapporto inter-soggettivo e i suoi effetti. A questa coppia di norme corrisponderebbe, nel caso di violazione, la coppia di qualificazione degli atti in termini di “illegittimità- illiceità” e quindi, sul piano delle posizioni soggettive, la coppia “interesse legittimo- diritto soggettivo”. B) Distinzione tra attività vincolata nell’interesse pubblico e attività vincolata nell’interesse privato: Uno dei problemi maggiori è rappresentato dalla valutazione delle posizioni soggettive di fronte all’attività vincolata della PA. Per la giurisprudenza, l’interesse legittimo si caratterizzerebbe per il suo confronto con un interesse pubblico. - Se il potere della PA è discrezionale, sarebbe sempre configurabile un interesse legittimo; - Se invece il potere della PA è vincolato, allora si dovrebbe distinguere se il potere sia attribuito nell’interesse del cittadino o nell’interesse legittimo. Pertanto, per la cassazione, in certi casi di attività vincolata il cittadino sarebbe titolare di un diritto nei confronti dell’amministrazione al rilascio del provvedimento. Mentre in altri casi, a fronte di provvedimenti vincolati, si ammettono interessi legittimi. L’elemento più controverso di questo orientamento è la bipartizione delle posizioni soggettive in presenza del potere vincolato. È impossibile capire in quali casi l’attribuzione di un potere vincolato sia funzionale a un interesse pubblico o a un interesse privato, poiché la funzionalità di un potere vincolato non si può ricavare dalla norma che lo prevede. 16 C) Cattivo esercizio del potere e carenza di potere: È una tesi accolta dalla giurisprudenza a partire dal secondo dopoguerra. Non è sufficiente valutare la titolarità dell’esercizio del potere per identificare la posizione giuridica vantata dal cittadino come interesse legittimo. La valutazione deve anche coinvolgere il vizio prospettato rispetto all’atto amministrativo. Infatti: - nel caso di cattivo esercizio del potere (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge) l’illegittimità del provvedimento non incide sulla sua efficacia sino all’annullamento ed è configurabile una posizione di interesse legittimo. - nel caso di carenza di potere (come straripamento di potere o incompetenza assoluta, carenza dei presupposti necessari) il vizio preclude la stessa efficacia giuridica dell’atto e la posizione soggettiva del cittadino rimane quella originaria.3 Il legislatore, nel 2005, ha codificato i vizi dell’atto amministrativo (artt. 21 septies e 21 octies 1. 241/90). Secondo un orientamento il legislatore avrebbe recepito la ricostruzione della Corte di Cassazione facendo coincidere le ipotesi di nullità con quei vizi identificati come carenza di potere. Di conseguenza, di fronte a un provvedimento affetto da nullità, la posizione giuridica vantata dal cittadino sarebbe di diritto soggettivo. D) Teoria dei diritti costituzionalmente tutelati: Nei rapporti con l’amministrazione disciplinati dal diritto pubblico il cittadino non è sempre titolare di un interesse legittimo. In alcuni casi, è stato escluso che gli atti della PA potessero essere qualificati come esercizio di un potere amministrativo e si riconosce al cittadino la titolarità di un diritto soggettivo. Es. diritti personalissimi: in questi casi la PA non avrebbe mai il potere di incidere dette posizioni giuridiche. La rilevanza della posizione soggettiva implicherebbe una sorta di rigidità originaria, tale da precludere per legge qualsiasi compressione ad opera della PA. Per questo motivo, si parla anche di “diritti incomprimibili” o “perfetti”. La giurisprudenza negli anni aveva operato una selezione delle posizioni giuridiche, individuandone alcune come dotate di una protezione giuridica qualitativamente maggiore e perciò non modificabile neppure per effetto dell’esercizio del potere amministrativo. Era così delineata la figura dei c.d. diritti costituzionalmente tutelati. => La Cassazione si proponeva così di offrire anche a queste posizioni soggettive tutti gli strumenti di tutela previsti per il processo civile. L’obiettivo sembrò compromesso nel momento in cui alcune delle materie in questione furono assegnate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la Corte costituzionale ritenne legittima tale scelta. In questo modo, la figura dei diritti costituzionalmente tutelati non rappresentò più una linea di confine insuperabile fra le due giurisdizioni, ma divenne compatibile anche con la giurisdizione amministrativa. => Questa conclusione è stata accolta dal c.p.a. (art. 133). Non è chiaro comunque il fondamento della figura, dato che in alcune di queste materie alla PA sono attribuiti i poteri tipicamente amministrativi, che comportano il compimento di valutazioni discrezionali. Né è chiaro in base a quale criterio i diritti enunciati nella costituzione possano poi essere discriminati. 3 La Corte di Cassazione, nella casistica della carenza di potere, ha elaborato anche la categoria della “carenza di potere in concreto”, che si realizza nelle ipotesi in cui la PA titolare del potere emana un provvedimento in assenza dei presupposti o di fatto o di diritto richiesti da legge. Es decreto di esproprio emanato in assenza della dichiarazione di pubblica utilità. 17 evitare di confondere la modalità di un interesse con il contenuto dell’interesse. Tuttavia, la legittimità dell’azione amministrativa non è un bene della vita proprio di un soggetto determinato. b) Spesso nella figura di interesse legittimo si tende a ravvisare una distinzione. Sarebbero configurabile un interesse materiale, che è proprio del titolare dell’interesse legittimo ma che esorbita dalla rilevanza giuridica riconosciuta dall’ordinamento all’interesse legittimo stesso, e un interesse diverso, ossia l’interesse legittimo vero e proprio, passibile di tutela. L'interesse materiale costituirebbe solo il presupposto di fatto dell’interesse legittimo. Sarebbe solo la pretesa all’esercizio legittimo del potere amministrativo”. c) È stata avanzata anche una concezione diversa, spesso respinta dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Secondo questa concezione l’interesse c.d. materiale non va considerato come un elemento pre-giuridico, estraneo all’interesse legittimo, ma costituisce una componente essenziale di quest’ultimo, perché identifica il bene della vita cui l’interesse legittimo è funzionale. 7. INTERESSI LEGITTIMI E DIRITTI SOGGETTIVI. Il rapporto fra l'interesse legittimo e il diritto soggettivo è al centro delle riflessioni della dottrina e della giurisprudenza. In origine si osservava che il provvedimento amministrativo realizzava una sorta di metamorfosi nelle posizioni soggettive, ossia una “degradazione” del diritto soggettivo in interesse legittimo. Lo stesso modello fu poi prospettato in modo simmetrico per i c.d. diritti in attesa di espansione, consistenti nella trasformazione di un interesse legittimo in diritto soggettivo, per effetto di un determinato provvedimento amministrativo con effetti costitutivi. => Teoria della degradazione: La degradazione, in genere veniva ricondotta a un carattere del provvedimento amministrativo, la autoritatività, che determinerebbe l’estinzione del diritto soggettivo e quindi la sua trasformazione in interesse legittimo. La teoria della degradazione veniva proposta anche per spiegare come l’annullamento del provvedimento comportasse il ripristino del diritto soggettivo. => La teoria della degradazione NON è però accettabile. Se si considera una procedura espropriativa, è indubbio che il privato che la subisce resta titolare del diritto reale sino al decreto di esproprio. Nel corso del procedimento però il proprietario è già titolare di un interesse legittimo: la PA infatti esercita un potere nei confronti del privato già a partire dal procedimento. Non si verifica alcuna degradazione del diritto soggettivo in interesse legittimo, né tale degradazione è riconducibile al provvedimento amministrativo. Infatti, in tale esempio, nella fase procedimentale il privato è titolare sia del diritto soggettivo che dell’interesse legittimo. 8. INTERESSI LEGITTIMI E DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO. Nel nostro Paese la disciplina della responsabilità dell’amministrazione è ricondotta tipicamente al diritto civile. Prima: Sino agli ultimi anni del ‘900 le vertenze risarcitorie erano riservate al giudice civile e la giurisprudenza civile ammetteva una responsabilità dell’amministrazione solo nel caso di lesione di 5 Caso del concorso pubblico il candidato che partecipa al concorso è senz'altro titolare di un interesse legittimo rispetto agli atti del concorso. Questo interesse però non coinciderebbe con l'interesse materiale del concorrente all'esito positivo del concorso e alla conseguente assunzione. Se il concorrente non vince il concorso, ma non risulta compiuta dalla PA alcuna irregolarità, il suo interesse legittimo è ugualmente soddisfatto. 20 un diritto soggettivo. Perciò, nella lettura del 2043 c.c. danno ingiusto era il danno arrecato solo ai diritti soggettivi. Se il danno quindi era arrecato a un interesse legittimo, si precludeva il risarcimento. => Il privato che subiva un provvedimento amministrativo illegittimo doveva pertanto prima chiedere l'annullamento del provvedimento illegittimo per ottenere il ripristino del suo diritto soggettivo (si andava così delineando un rapporto fra le giurisdizioni). Annullato il provvedimento, la lesione sarebbe stata riferibile a un diritto soggettivo e avrebbe potuto essere risarcita. Applicando questo schema, il risarcimento del danno causato da provvedimenti amministrativi sarebbe stato possibile solo se il cittadino fosse stato titolare di un diritto soggettivo prima dell’esercizio di quel potere da parte della PA; non sarebbe stato possibile, invece, se la posizione del cittadino fosse stata solo un interesse legittimo. Inoltre il diritto al risarcimento era in ogni caso subordinato all’annullamento del provvedimento lesivo. La giurisprudenza tendeva poi a non verificare l’elemento soggettivo (dolo o colpa) della condotta lesiva. Si riteneva che la colpa della PA fosse in re ipsa, stante l’illegittimità del provvedimento. Oggi: La posizione è mutata con la sentenza della C. Cassazione a Sezioni Unite n. 500/1999. La Cassazione reinterpreta l’art. 2043 c.c. sancendo che la norma non va considerata come una forma accessoria di tutela dei diritti soggettivi. => La norma ha una propria portata, perché assicurava in via generale la riparazione del danno ingiustamente subito da un soggetto a causa del comportamento di un altro soggetto. La riparazione ex 2043 c.c. può riguardare tanto i diritti soggettivi quanto gli interessi legittimi. La sentenza riconosce inoltre, la natura sostanziale dell’interesse legittimo e rilevava la coerenza tra la natura sostanziale e la possibilità del risarcimento in caso di lesione. Si possono distinguere: - Interessi oppositivi: l’interesse del cittadino riguarda una posizione di vantaggio che costui intende conservare nei confronti della PA che esercita il suo potere. In questo caso il danno si identifica con il sacrificio della posizione di vantaggio per via dell’azione amministrativa. - Interessi pretensivi: il cittadino ha la pretesa di ottenere un provvedimento favorevole che gli attribuisca un bene o una posizione di vantaggio. In siffatta ipotesi il danno risarcibile si configura concretamente solo se la pretesa del cittadino, sulla base di un giudizio prognostico, sarebbe stata destinata secondo un criterio di normalità, ad ottenere un esito positivo. Quindi non basta l’illegittimità del diniego per ottenere il diritto al risarcimento, poiché nell’interesse pretensivo è necessario dimostrare la fondatezza della pretesa. In questo quadro viene meno la possibilità di subordinare l’azione di risarcimento al previo annullamento del provvedimento amministrativo. Secondo le Sezioni Unite sarebbe stato indispensabile accertare l’illegittimità del provvedimento, non invece il suo annullamento. => Alla responsabilità per danni da lesione di interessi legittimi va applicato il modello della responsabilità extracontrattuale. Si sostenne inoltre che, eccetto l’ipotesi di lesione di diritti soggettivi, non fosse più possibile ritenere accertata la colpa della PA in base alla sola illegittimità del provvedimento amministrativo. Serve pertanto l'accertamento dell’elemento soggettivo. Le Sezioni Unite affermano che la colpa si identifica nel fatto che la PA avesse agito violando le regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede. Nel 2000 si estese la giurisdizione amministrativa alle vertenze risarcitorie. Di conseguenza il risarcimento per danni da lesione di interessi legittimi è stato devoluto alla giurisdizione del G.A. Tale previsione è stata poi confermata dall’art. 7 c.p.a. Nello stesso tempo, su alcuni profili, si è sviluppato un vivace dibattito: 21 a) il legislatore con l’art. 30 c.p.a. riconosce l’autonomia dell’azione di risarcimento rispetto a quella di annullamento. b) La giurisprudenza della Corte di Cassazione, con riferimento al risarcimento del danno per la lesione degli interessi pretensivi, richiedeva come presupposto la dimostrazione della spettanza di un risultato utile. c) La giurisprudenza amministrativa, invece, ammetteva il risarcimento per la perdita di chance, a condizione che fosse dimostrata una congrua probabilità di conseguire un risultato utile, non quindi l’esito favorevole del procedimento. d) Danno da ritardo. Il danno è provocato non da un provvedimento illegittimo ma dalla condotta illegittima della PA che non rispetta i termini per la conclusione del procedimento. Il Consiglio di Stato (ad. Plen. 7/2005) preferì escludere il risarcimento del danno da mero ritardo in mancanza della fondatezza della pretesa di ottenere un provvedimento favorevole.s Si tenga presente inoltre che l’art. 28 dl 69/2013 ha introdotto in via sperimentale per i procedimenti relativi all’avvio o all’esercizio di imprese il diritto all’indennizzo per mero ritardo, in caso di inosservanza del termine di ultimazione del procedimento avviato su istanza di parte. Tale indennizzo può concorrere con il risarcimento per inosservanza del termine per provvedere sancito dall’art. 2 bis L. 241/90. Assume presupposti diversi dal diritto al risarcimento; non è infatti subordinato alla presenza di un danno e di un fatto illecito. e) Elemento soggettivo. Nonostante quanto affermato dalle sezioni unite nella s. 500/99, la giurisprudenza amministrativa sostenne che l’illegittimità del provvedimento giustificava una sorta di presunzione di colpevolezza della PA. L’amministrazione avrebbe potuto superare questa presunzione solo dimostrando di essere incorsa in un errore scusabile (es. incertezze giurisprudenziali, oscurità normative). Tale posizione si deve confrontare con l’indirizzo della Corte di giustizia UE in materia di appalti pubblici. => La Corte ha escluso che l’elemento soggettivo possa condizionare il diritto al risarcimento. Tale ricostruzione, limitatamente alla materia degli appalti, viene recepita dalla giurisprudenza amministrativa nazionale. f) Anche se tradizionalmente la responsabilità della PA per lesione da interesse legittimo è ricondotta alla responsabilità aquiliana, oggi esiste un orientamento che collega la responsabilità della PA al modello del contatto sociale qualificato, ossia alla responsabilità contrattuale. 9. INTERESSI LEGITTIMI E INTERESSI SEMPLICI - Interessi semplici: NON sono tutelati dal nostro ordinamento. Si tratta di interessi che non assurgono né al livello di diritti soggettivi né a livello di interessi legittimi. => (Es: interesse dei cittadini alle modalità di svolgimento di un servizio pubblico). La tutela di detti interessi è prevista solo in casi eccezionali, da disposizioni che hanno una portata tassativa (es. azioni popolari). - Interessi collettivi: Gli interessi c.d. collettivi o di categoria sono gli interessi tipici dei soggetti appartenenti a una categoria (utenti, professionisti...). Nei confronti degli atti della PA che riguardano la categoria possiamo configurare sia l’interesse qualificato del singolo componente della categoria, sia l’interesse proprio dell’ente esponenziale dell’interesse della categoria. Il riconoscimento da parte della giurisprudenza della legittimazione delle associazioni a rappresentare l’interesse legittimo della categoria ha comportato una tutela più assidua degli interessi collettivi. 6 Intanto la tutela del tempo come bene della vita si faceva spazio nell'ordinamento. Es: art. 2 bis I. 241/90 che riconosce il diritto al risarcimento del danno provocato da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, a prescindere dall'esito del procedimento. 22 Vanno assicurate poi rispetto ad ogni singolo componente dell’organo giurisdizionale, che deve essere indifferente sul piano personale rispetto alla vertenza in cui è tenuto a pronunciarsi (incompatibilità, astensione, ricusazione). Indipendenza: L’indipendenza del giudice inerisce alla relazione dell’organo giurisdizionale con soggetti estranei al rapporto processuale ma che potrebbero comunque influire sulla sua decisione (governo e potere politico in generale). La caratteristica dell’indipendenza non riguarda solo il giudice ordinario ma anche il giudice amministrativo e gli altri giudici speciali8. Il criterio per la distinzione fra giudice ordinario e giudice speciale non è costituito dall’indipendenza o meno del giudice rispetto all’organo politico, ma solo dall’appartenenza o meno del giudice all’ordine giudiziario (assetto ex 104-107 cost)9. I giudici amministrativi non sono soggetti al Consiglio superiore della magistratura, che è organo di autogoverno solo dei magistrati ordinari. Presso il Consiglio di Stato è istituito un apposito organo di autogoverno dei giudici amministrativi (Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa). Il Consiglio di Stato esercita funzioni giurisdizionali e consultive. => La Corte costituzionale ha ritenuto che tali funzioni non si pongano in contrasto con il principio di indipendenza. Peraltro il cumulo di funzioni del Consiglio di Stato è previsto direttamente dalla Costituzione. 4.I PRINCIPI SULL’ AZIONE. L’ART. 24 C. 1 E 2, L’ART. 111 C. 2 COST. I principi generali sulla giurisdizione amministrativa che aprono il c.p.a. (artt. 1 e 2) richiamano l’importanza di alcuni principi enucleati negli artt. 24 e 111 cost., fondamentali anche per la tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione. L’art. 24 c. 1 cost garantisce il DIRITTO DI AZIONE, sia per la tutela dei diritti soggettivi che per la tutela degli interessi legittimi. La norma ha suscitato una serie di vincoli e di problemi: a) la tutela nei confronti della PA è articolata in tutela dei diritti soggettivi e in tutela degli interessi legittimi. b) collocazione sullo stesso piano dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi: l’interesse legittimo va inteso come una posizione qualificata di carattere sostanziale, come appunto il diritto soggettivo, ma tale idea non è imposta dalla norma costituzionale. ART. 24 COST. ha consentito di affermare l’effettività della tutela giurisdizionale anche dinanzi al giudice amministrativo. Inoltre, l’art. 24 Cost è stato la ragione per alcuni interventi significativi della Corte Costituzionale su singoli istituti della giustizia amministrativa: => Rilevanza del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale rispetto alla tutela cautelare. Il soggetto deve essere messo in condizione di poter trovare tutela non solo tramite l’impugnazione del provvedimento amministrativo, ma anche tramite la possibilità di chiedere al giudice amministrativo misure cautelari volte a evitare che le tempistiche del processo producano un danno irreparabile al suo interesse. Es. l’impugnazione del provvedimento non ne blocca l’esecuzione ma la parte può proporre domanda cautelare di sospensione del provvedimento. (esempi pag. 98 e 99) 8 Invero la legge prevede che una parte dei consiglieri di stato sia nominata direttamente dal governo in assenza di alcuna procedura di selezione. La Corte costituzionale ha affermato che una tale previsione non viola il principio di indipendenza. 9 Pag. 94: il principio costituzionale di indipendenza del giudice ha determinato la soppressione di quasi tutte le giurisdizioni amministrative speciali (es. a pag. 94 su dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni sulla composizione della Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale; dichiarazione incostituzionalità delle norme sulla composizione delle Sezioni per il contenzioso elettorale; dichiarazione incostituzionalità disposizioni sulla composizione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. 25 => Rilevanza del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale nel giudizio in materia di pubblico impiego. Si era resa evidente la necessità di assicurare ai pubblici dipendenti una tutela equipollente a quella ammessa in situazioni analoghe in favore dei dipendenti con rapporto di lavoro privato. Dal 1985 la Corte Costituzionale ritenne incostituzionale la mancanza della possibilità per il giudice amministrativo di adottare in sede misure cautelari analoghe a quelle ex 700 cpc. Successivamente si ritenne incostituzionale anche l’impossibilità di disporre dei mezzi istruttori contemplati nel processo del lavoro anche per le controversie in materia di pubblico impiego. Oggi, in base al codice, la tutela cautelare non incontra più i limiti derivanti dalla tipicità dei rimedi. => Rilevanza del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale e limiti della c.d. giurisdizione condizionata. Per giurisdizione condizionata si intende l’accesso alla tutela giurisdizionale che risulti subordinato al previo esperimento di un ricorso in via amministrativa. A partire dalla fine degli anni Ottanta è maturato un diverso indirizzo della Corte costituzionale, che ha considerato con maggiore severità le disposizioni che condizionavano l’ammissibilità della tutela giurisdizionale al previo esperimento di un ricorso amministrativo. Nei casi in cui sia prescritta la presentazione di un ricorso amministrativo come condizione di mera procedibilità e non di ammissibilità dell’azione giurisdizionale, se l’azione è stata proposta senza aver prima esperito il ricorso amministrativo, il giudice amministrativo non può decidere subito la controversia respingendo la domanda perché non era stata preceduta dal ricorso amministrativo. Deve quindi sospendere il giudizio ed assegnare un termine per dar corso all'adempimento omesso. Solo conclusa la fase del ricorso amministrativo, il giudizio può riprendere. In casi d’urgenza, va sempre garantita la possibilità di richiedere subito al giudice una misura cautelare. Il rimedio amministrativo inoltre dovrebbe condizionare l’esercizio del diritto d’azione giurisdizionale soltanto nei termini di mera procedibilità. => Rilevanza del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale e la subordinazione della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi al previo espletamento di un procedimento amministrativo. In materia di indennità di esproprio sono configurabili posizioni di diritto soggettivo, come tali affidate alla giurisdizione del giudice ordinario. In passato il giudizio sull’indennità di esproprio poteva essere attivato solo dopo la determinazione dell’indennità in via amministrativa. Di conseguenza sino al momento in cui la PA non avesse emanato il provvedimento di determinazione dell’indennità, il proprietario espropriato, pur essendo titolare del diritto all’indennità, non avrebbe potuto farlo valere in giudizio. La Corte costituzionale ha affermato l’incostituzionalità di tale meccanismo: l’effettività della tutela ex art. 24 Cost. era incompatibile con un espediente che rimetteva la possibilità di agire in giudizio all’arbitrio della PA. => Illegittimità dell’arbitrato obbligatorio. Alcune leggi speciali avevano previsto forme di arbitrato obbligatorio, nel senso che al privato era precluso il ricorso al giudice nei confronti della PA ed era ammessa la tutela solo davanti a un collegio arbitrale, pur in assenza di compromesso o di clausola compromissoria. La Corte costituzionale ha ritenuto tali previsioni illegittime poiché l’esclusione della competenza del giudice può trovare fondamento solo in una scelta voluta dalle parti. L’arbitrato obbligatorio è in contrasto con l’art. 24 cost. che garantisce l’accesso alla tutela giurisdizionale. 26 Principio del contraddittorio: L’art. 111 c. 2 Cost. stabilisce che il processo deve svolgersi nel contraddittorio fra le parti: la garanzia costituzionale del contraddittorio è una componente del giusto processo. Il principio del contraddittorio si esprime in primo luogo nella regola secondo cui il giudice non può statuire sulla domanda se le parti nei cui confronti sia stata proposta non siano state regolarmente evocate in giudizio. => La regola trova eco negli artt. 2 e 27 c.p.a.. La garanzia del contraddittorio è completata nell’art. 111 c. 2 dal principio della parità delle parti (vedi art. 2 c.p.a.). In questa prospettiva il principio del contraddittorio integra soprattutto il diritto di difesa. Non vale solo per il processo di cognizione ma si applica ad ogni fase del processo amministrativo. Il principio del contraddittorio ha una portata più generale: esige che ogni parte sia posta nelle condizioni di interloquire su ogni questione rilevante per la decisione della vertenza. In questo senso si veda l’art. 73 c.p.a. che esclude che il giudice possa decidere in base a questioni rilevate d’ufficio che non siano state preventivamente sottoposte alle parti. La giurisprudenza amministrativa ha invocato il principio del contraddittorio anche a favore del ricorrente, come elemento del diritto d’azione, per sostenere, per esempio, che il cittadino deve essere posto nelle condizioni di conoscere con pienezza l’attività amministrativa che intende contestare in giudizio. In questo modo il principio del contraddittorio riesce a richiamare istituti come l’accesso agli atti amministrativi o i motivi aggiunti. Ragionevole durata del processo: Per assicurare la ragionevole durata del processo sancita dall’art. 111 cost, il legislatore è intervenuto in vari modi: - prevedendo riti accelerati (119 c.p.a.); - conla possibilità in alcuni casi di anticipare la decisione del ricorso nella fase cautelare: ma l’art. 60 c.p.a. prevede che se il giudice ritiene di pronunciarsi sul merito del ricorso già nella fase del cautelare, deve prima sentire sul punto le parti costituite e, se una di esse dichiari di voler presentare un ricorso incidentale, motivi aggiunti o regolamento di competenza o giurisdizione, deve rinviare la decisione e assegnare un termine alle parti per presentarlo. 5.I PRINCIPI SULL’ AZIONE: L’ART. 113 COST. Nei confronti della PA va escluso qualsiasi privilegio processuale. Art. 113 c. 1 cost. contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale. La distribuzione della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo deve essere tale da assicurare la pienezza di tale tutela. Art. 113 c. 2 cost.: impedisce di circoscrivere i margini della tutela giurisdizionale in relazione alla tipologia degli atti amministrativi impugnati o alla tipologia dei vizi fatti valere in giudizio. L’art. 7 c.p.a. esclude comunque la possibilità di impugnazione degli atti politici. La nozione di atto politico è interpretata in modo restrittivo: è l’atto che è esercizio del potere politico. È un atto riservato all’autorità cui compete il livello massimo di indirizzo politico e di direzione della cosa pubblica. Sul piano oggettivo, l’atto è espressione di funzioni disciplinate dalla Costituzione o di una libertà di fini incondizionata. Art. Part. 113 c. 3 cost.: rinvia alla legge per l’individuazione dei giudici competenti ad annullare gli atti amministrativi e dei relativi casi ed effetti. Il coordinamento con il primo comma fa sì che al giudice è sempre garantito il potere di sindacare l’atto amministrativo ma non è sempre garantito che tale sindacato si debba risolvere necessariamente in un potere di annullamento. La dottrina ha affrontato il tema della compatibilità con l’art. in esame dell’art. 21 octies c. 2 1. 241/90: tale disposizione esclude la possibilità di annullare il provvedimento se si è in presenza di 27 => Pertanto laddove l’amministrazione non esercita un potere conferitole dalla legge, non si può ammettere alcuna limitazione ai poteri del giudice. La garanzia dell’atto amministrativo trova la sua ragione e la definizione del suo ambito nel principio di legalità: laddove non opera il principio di legalità (nei comportamenti materiali appunto) non può esservi alcuna immunità dall’intervento giurisdizionale. Stesso discorso nel caso in cui l’atto è inefficace perché affetto da un vizio radicale, tale da non poter essere considerato espressione di un potere della PA. Tipologie di sentenze: Altro tema discusso è dato dalle tipologie di sentenze che il giudice ordinario può emettere nei confronti della PA. Prima (leggere): Inizialmente è stata data una lettura estensiva all’art. 4 1. LAC, in base alla quale si vieterebbe al giudice ordinario non solo di incidere direttamente sugli atti amministrativi, ma anche di condannare l’amministrazione a emettere sentenze per la cui esecuzione l’amministrazione fosse tenuta a svolgere un’attività amministrativa. Secondo questa lettura, le uniche sentenze compatibili con l’art. 4 sembravano essere le sentenze di mero accertamento e le sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro. Le altre sentenze di condanna (dare e fare o “pati”) comporterebbero gradi più limitati di fungibilità fra funzione amministrativa e attività del giudice perché la loro esecuzione richiederebbe, necessariamente, un esercizio da parte dell’amministrazione di un’attività amministrativa qualificata. Si escludevano inoltre le sentenze di tipo costitutivo: sembrava infatti che implicassero sostanzialmente una revoca dell’atto amministrativo, o la sostituzione del giudice all’amministrazione nel compimento di una sua attività propria. => Il confronto di questa interpretazione con i principi costituzionali ha portato a un mutamento di percezione delle sentenze pronunciabili dal giudice ordinario. Poi: Era infatti necessario assicurare la pienezza della tutela del diritto nei confronti della PA tramite l’emissione di una pronuncia idonea e adeguata. Questa conclusione è evidente rispetto all’attività di diritto privato della PA. => Se la PA infatti usa il diritto comune è assoggettata necessariamente alla disciplina privatistica. Pertanto, per ciò che concerne il livello processuale, il giudice può pronunciare nei confronti della PA che agito secondo iure privatorum sia sentenze di condanna sia sentenza costitutiva. Questa evoluzione ha faticato ad affermarsi. Ad esempio, a lungo è stata negata la possibilità di agire ex 2932 c.c. nei confronti della PA che lascia inadempiuto il contratto preliminare. La logica era la seguente: non si ammetteva la possibilità che il giudice potesse sostituirsi alla PA nella manifestazione della volontà negoziale di quest’ultima. Solo successivamente tale obiezione è stata superata. Azioni cautelari e possessorie: In origine si tendeva escludere infatti la possibilità di esperire tali azioni nei confronti della PA. Oggi, invece si sottolinea come l’intervento del giudice sia escluso solo quando si richieda un provvedimento d’ugenza in grado di incidere direttamente su un provvedimento amministrativo. In conclusione, oggi NON si può più ammettere una preclusione generalizzata per il giudice ordinario di pronunciare sentenze costitutive o di condanna nei confronti dell’amministrazione. AI giudice civile è preclusa la possibilità di annullare l’atto amministrativo o di condannare la PA all’esercizio di un potere. 30 3. LA DISAPPLICAZIONE DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI. La legge di abolizione del contenzioso amministrativo, escluso il potere di revoca e di annullamento degli atti amministrativi, attribuisce al giudice ordinario la possibilità di procedere alla disapplicazione (art. 5). Di fronte a un atto amministrativo illegittimo il giudice civile non può procedere all’annullamento, ma non è per ciò stesso vincolato dall’atto illegittimo. Anzi, nella decisione della controversia deve prescindere dagli effetti dell’atto amministrativo illegittimo. È tenuto a procedere alla DISAPPLICAZIONE. Ci sono alcuni punti fermi raggiunti a riguardo della disapplicazione: - presuppone una controversia su un diritto soggettivo. - Il sindacato del giudice ordinario in merito alla disapplicazione concerne solo i vizi di legittimità e non di merito. - Il sindacato della legittimità, non dell’opportunità, del provvedimento amministrativo può avvenire anche d’ufficio. - Il sindacato di legittimità ai fini della disapplicazione non è soggetto all’osservanza di alcun termine particolare (così diventa una sorta di modello alternativo di tutela rispetto all’impugnazione del provvedimento). Di disapplicazione ai sensi dell’art. 5 si può trattare quando il giudizio civile verta su un rapporto giuridico che sia determinato o condizionato da un provvedimento amministrativo. La disapplicazione NON può operare rispetto al provvedimento amministrativo nullo: tale atto non è passibile di essere disapplicato, perché è comunque improduttivo di effetti giuridici, e le situazioni giuridiche delle parti non sono modificate da esso. Non si può nemmeno invocare la disapplicazione quando il provvedimento amministrativo rileva come mera circostanza di fatto (es. reato di edificazione senza permesso di costruire). 4. IL GIUDICE ORDINARIO E I PROCEDIMENTI SPECIALI NEI CONFRONTI DELL’AMMINISTRAZIONE. In alcuni casi il legislatore, fermi restando i limiti esterni, ha disciplinato in modo particolare i limiti interni della giurisdizione civile nei confronti dell’amministrazione. Giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative ex L. 689/81 - giudice ordinario: La tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti del provvedimento amministrativo con cui siano state applicate sanzioni amministrative pecuniarie spetta in genere al giudice ordinario. Ad avviso della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, in questi casi il cittadino sarebbe titolare di un diritto soggettivo alla propria integrità patrimoniale. Pertanto la giurisdizione del giudice ordinario è coerente coni principi generali. Il giudizio è regolato dal rito civile. Il giudice dell’opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione può sospendere cautelarmente l’ordinanza e, se accoglie l’opposizione, annulla in tutto o in parte l’ordinanza o la modifica anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta. In questo caso il giudizio non segue la logica di cui all’art. 4 LAC, perché al giudice è attribuito il potere di sospendere e di annullare il provvedimento amministrativo. Inoltre ha un potere di modifica del provvedimento che determina una piena fungibilità dei poteri decisori del giudice rispetto ai poteri della PA. GIUDIZI SPECIALI: In materia di T.$.0. in condizioni di degenza ospedaliera la legge (1. 833/1978 art. 35) - giudice ordinario: Al sindaco è attribuito il potere di ordinare l’effettuazione del trattamento. Serve la convalida del giudice tutelare. Nei confronti del provvedimento convalidato il destinatario o chi vi ha interesse può ricorrere al tribunale civile ex art. 702 bis e ss. La tutela spetta al G.O. perché si discute di diritti primari di libertà del cittadino. 31 La legge non dice se il giudice abbia o meno il potere di annullare il provvedimento del sindaco, ma si tende a considerare questa ipotesi in modo favorevole. Inoltre può adottare atti cautelari. Provvedimento del prefetto di espulsione degli stranieri - giudice ordinario: Il d. lgs 286/1998 ha previsto che la tutela vada esperita in genere davanti al giudice ordinario. L'attribuzione della giurisdizione a questo giudice riflette la convinzione che nei confronti di un provvedimento di espulsione siano in gioco posizioni di libertà e diritti fondamentali della persona. Provvedimento di espulsione adottato per motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale + provvedimento del prefetto di diniego del permesso di soggiorno - giudice amministrativo: Tuttavia, quando il provvedimento di espulsione è adottato per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello stato, la giurisdizione appartiene al GA. Inoltre, l’impugnazione dei provvedimenti di diniego del permesso di soggiorno (che peraltro sono spesso il presupposto dell’ordine di espulsione per il quale c’è la go) sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. Anche in questo caso la legge non dice se il giudice ordinario possa o meno annullare il provvedimento di espulsione, ma tendenzialmente si risponde in senso affermativo. Riconoscimento dello status di rifugiato - giudice ordinario Impugnazione del provvedimento del garante in seguito al ricorso a tutela della privacy - giudice ordinario: Si impugna dinanzi al giudice ordinario il provvedimento del Garante adottato in seguito a ricorso a tutela della privacy da parte degli interessati. Il giudice ordinario può sospendere in via cautelare l'esecuzione del provvedimento del garante. Inoltre la legge sancisce in modo esplicito che in questi casi il giudice ordinario agisce in deroga rispetto al divieto sancito dall’art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo, quindi il giudice può annullare il provvedimento del garante ed autorizzare l’attività che il garante aveva in precedenza negato. 5. LE DISPOSIZIONI PROCESSUALI PARTICOLARI PER IL GIUDIZIO IN CUI SIA PARTE UNA PA STATALE Il fatto che sia parte della controversia una PA non comporta in automatico delle deroghe allo svolgimento del processo. Unica variazione di rilievo rispetto alle regole ordinarie è quella determinata dalla disciplina dell’ Avvocatura di Stato. L’Avvocatura dello Stato rappresenta e assiste l’amministrazione statale in forza della legge, senza la necessità di uno specifico mandato: di conseguenza può compiere gli atti processuali per l’amministrazione statale senza la necessità di una specifica procura. Per i giudizi civili in cui sia parte una PA l’art. 25 c.p.c. assegna la competenza territoriale al giudice del luogo ove ha sede l'Avvocatura dello Stato (c.d. foro erariale). Nelle cause promosse contro le amministrazioni statali, gli atti introduttivi del giudizio devono essere notificati all’amministrazione statale competente (ministero) presso l’ufficio dell’ Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede il giudice adito. L’eventuale errore nell’identificazione della PA competente va eccepito dall’ Avvocatura di Stato nella prima udienza ma l’errore non provoca alcuna decadenza. Si fissa un termine per la rinnovazione dell’atto. 32 CAPITOLO 7: I RICORSI AMMINISTRATIVI 1. PRINCIPI GENERALI. Nella legge di abolizione del contenzioso amministrativo il ricorso in via gerarchica era indicato come rimedio generale per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi. Per motivi di legittimità era poi ammesso il ricorso straordinario per impugnare i provvedimenti amministrativi definitivi. Il ricorso gerarchico e il ricorso straordinario sono gli esempi più importanti di ricorsi amministrativi. Sono rimedi giuridici, diretti a un’autorità amministrativa per ottenere da essa l'annullamento di un provvedimento amministrativo o la sua riforma, nel caso di ricorso gerarchico e del ricorso in opposizione. => Non sono rimedi di natura giurisdizionale. Hanno carattere giustiziale ma non comportano l’esercizio della funzione giurisdizionale. Infatti, l’atto con cui si decide il ricorso ha natura di provvedimento amministrativo. I ricorsi amministrativi sono strumenti di tutela di interessi qualificati e, quindi, di interessi legittimi e diritti soggettivi. La legittimazione a presentare il ricorso spetta solo a chi faccia valere un interesse legittimo o un diritto soggettivo. Le ragioni della tutela comportano che l’autorità competente, nel valutare e decidere il ricorso, debba attenersi al ricorso stesso e non possa introdurre d’ufficio motivi diversi da quelli dedotti nel ricorso. Vige in sostanza il principio dispositivo. Benvenuti ha messo in chiaro quali siano le differenze tra la funzione giustiziale della PA e la funzione giurisdizionale del giudice: - è diverso l’atto con cui si decide l’esercizio della funzione (decisione in un caso e sentenza nell’altro). - La decisione non passa in giudicato, ed è soggetta ai rimedi previsti per gli atti amministrativi. - Inoltre la decisione è passibile di annullamento d’ufficio. Nel nostro ordinamento sono previste varie tipologie di ricorsi amministrativi. Il dpr. 1199/1971 contempla quattro tipologie di ricorsi: -_ il ricorso gerarchico - rimedio generale - il ricorso gerarchico improprio - rimedio tassativo - ilricorso di opposizione - rimedio tassativo - il ricorso straordinario - rimedio generale. Classificazioni: Ricorso ordinario: E’ ammesso solo nei confronti di un provvedimento non definitivo. Sono ricorsi ordinari: il ricorso gerarchico (proprio e improprio); ed il ricorso in opposizione. Ricorso straordinario: E’ ammesso solo nei confronti di un provvedimento definitivo, ossia solo per gli atti che sono stati oggetto di ricorso ordinario. Per provvedimento definitivo si intendeva l’atto emesso dall’organo di grado gerarchico più elevato competente a provvedere nella materia. Con il dpr 1199/1971 è stata introdotta la regola secondo cui il ricorso straordinario è ammesso in unico grado. Di conseguenza, se l’atto amministrativo da impugnare non è già di per sé definitivo, la definitività si acquisisce dopo aver esperito solo un grado di ricorso amministrativo. => È importante la distinzione perché: a) nei confronti dei provvedimenti non definitivi lesivi di interessi legittimi sono ammessi sia il ricorso al giudice amministrativo che il ricorso ordinario. b) nei confronti dei provvedimenti definitivi lesivi di interessi legittimi, sono ammessi sia il ricorso al giudice amministrativo che il ricorso straordinario; 35 c) il ricorso al giudice amministrativo può essere esperito sia nei confronti di un provvedimento definitivo sia nei confronti di un provvedimento non definitivo d) nei confronti dei provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, la tutela giurisdizionale è devoluta di regola al giudice ordinario. Il ricorso amministrativo ordinario in genere è facoltativo, fatti salvi i casi di giurisdizione condizionata. Se la tutela giurisdizionale è devoluta al giudice ordinario, non è consentito il ricorso straordinario. Oggi infatti il ricorso straordinario è ammesso solo se la controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo. e) La distinzione tra ricorsi ammessi solo per vizi di legittimità e ricorsi ammessi anche per vizi di merito. Il ricorso gerarchico è il ricorso attraverso il quale viene richiesto un nuovo esercizio del potere amministrativo all’organo gerarchicamente sovra-ordinato, per ogni tipologia di censura (legittimità e merito. Infatti la relazione gerarchica fa si che l’organo sovra- ordinato abbia le stesse competenze di quello che ha emesso il provvedimento, quindi ha la capacità di provvedere anche in tale ambito). Oggi i rapporti gerarchici sono ormai recessivi, dunque ove si ammette questo tipo di controllo si è in presenza di un’attribuzione specifica di potere. Il ricorso straordinario è invece ammesso solo per i vizi di legittimità. La situazione giuridica soggettiva qualificata fatta valere dal ricorrente non rappresenta, in via di principio, un elemento discriminante rispetto ai ricorsi amministrativi. Tale situazione può corrispondere indifferentemente a un diritto soggettivo o a un interesse legittimo. È interessante notare come, nei ricorsi amministrativi, la varietà delle posizioni soggettive fatte valere non condizioni né il carattere impugnatorio del ricorso, né la tipologia delle decisioni. Tutti i ricorsi amministrativi hanno carattere di rimedi formali: sono assoggettati a modalità particolari di presentazione a termini tassativi di proposizione. Non trattandosi di rimedi processuali, i ricorsi amministrativi non sono soggetti a forme o istituti specifici dei mezzi di tutela giurisdizionale: ad esempio, non è necessaria ai fini della presentazione del ricorso la rappresentanza o l’assistenza di un avvocato. 2.IL RICORSO GERARCHICO: PROCEDIMENTO E DECISIONE - Ilricorso gerarchico deve essere diretto all’organo gerarchicamente sovra-ordinato a quello che ha emanato l’atto impugnato; - va proposto entro 30 giorni dalla notificazione o comunicazione o pubblicazione o piena conoscenza dell’atto da impugnare. - Entro questo termine il ricorso va trasmesso all’organo cui è diretto. - Se si sbaglia l’organo ma non la PA, il ricorso non è irricevibile e il ricorso viene ritrasmesso d’ufficio all’organo competente. - Il ricorso non sospende l’efficacia del provvedimento, ma l’organo competente a decidere può sospenderla anche d’ufficio. - Sentiti i contro-interessati e compiuti gli accertamenti istruttori, l’organo competente decide il ricorso. Ci soffermiamo su alcuni punti: A chi va diretto il ricorso: Organo sovra-ordinato a cui dirigere il ricorso è l’organo immediatamente sovra-ordinato rispetto a quello di primo grado. La relazione gerarchica che rileva ai fini dell’ammissibilità del ricorso gerarchico è solo quella di ordine “esterno”, cioè la gerarchia fra organi. Non basta quindi la gerarchia di rilevanza meramente interna, che attiene ai rapporti tra i funzionari. Contraddittorio: Il ricorrente non è tenuto a dare notizia del ricorso né all’organo che ha emesso l’atto di primo grado, né ai c.d. contro-interessati. Rispetto all’organo di primo grado non è prevista nessuna forma di contraddittorio. Invece, rispetto ai contro-interessati il d.p.r. richiede che l’organo 36 adito con il ricorso comunichi ai contro-interessati il ricorso, così da permettere loro di presentare memorie e documenti. Manca una garanzia piena del contraddittorio: la previsione di un termine tassativo per la decisione esclude che si possa rinviare la decisione ad esempio per compiere tutti gli scambi di memorie tra le parti. Invero non è nemmeno necessario garantire al ricorrente il diritto di replica. Le memorie infine sono dirette solo all’organo decidente. Istruttoria: I poteri istruttori di cui dispone l’organo competente a decidere il ricorso sono definiti dal d.p.1. La PA può disporre tutti gli accertamenti utili ai fini della decisione. Non sono ammessi mezzi istruttori che incidano su diritti costituzionalmente garantiti (perquisizioni domiciliari, ispezioni personali...) né mezzi istruttori che producano effetti incompatibili con i caratteri del procedimento. Da notare che sulle parti non grava alcun onere della prova: perciò la verifica dei fatti segnalati dalla parte è a carico esclusivamente della PA. La PA non può introdurre d’ufficio fatti diversi da quelli acquisiti nel procedimento o quelli allegati al ricorso. Decisione: La decisione può essere di rito o di merito. Può riformare il provvedimento. Il contenuto possibile della decisione si può rinvenire nell’art. 5. La decisione del ricorso gerarchico non è un nuovo esercizio di potere di amministrazione attiva. Ciò non significa che l’organo che adotta la decisione sia privato dei poteri di amministrazione attiva. Significa però che è essenziale che l’organo adito con ricorso gerarchico, che intende esercitare anche i poteri di amministrazione attiva, eviti qualsiasi confusione tra l’esercizio del potere e la decisione del ricorso. Rapporti con il ricordo giurisdizionale: Nel caso in cui vengano proposti sia il ricorso amministrativo sia quello giurisdizionale, prevale sempre il ricorso giurisdizionale (il ricorso gerarchico, se proposto per primo diventa improcedibile, se invece proposto dopo, inammissibile). La regola menzionata era sancita nella legge TAR, poi abrogata con l’entrata in vigore del c.p.a., senza però nessuna disposizione che ne riproducesse il contenuto). Non si hanno regole fissate invece per il caso in cui pendano contemporaneamente sia il ricorso giurisdizionale che quello amministrativo, avverso il medesimo atto, ma con censure diverse. Si deve segnalare che applicare anche in questo caso la prevalenza del ricorso giurisdizionale sarebbe negativo per il cittadino: i motivi di impugnazione del merito amministrativo non sono ammessi in sede giurisdizionale. Ricorsi ammessi contro la decisione del ricorso gererchico: La decisione del ricorso gerarchico rende il provvedimento definitivo. Pertanto sarà impugnabile solo con il ricorso straordinario e con il ricorso al giudice amministrativo. Se viene accolta in sede giurisdizionale l’impugnazione di una decisione di rigetto di un ricorso gerarchico, secondo una parte della giurisprudenza, il giudice dovrebbe emettere una sentenza di annullamento con rinvio e restituire gli atti all’autorità adita con ricorso gerarchico, se il ricorso in sede giurisdizionale sia stato accolto per motivi di forma o di procedura della decisione amministrativa. 3. IL RICORSO GERARCHICO: IL PROBLEMA DEL “SILENZIO” Il carattere essenziale dei ricorsi amministrativi è la costituzione di un dovere di provvedere. Ma cosa accade quando la PA non decide un ricorso? L’art. 6 dpr. 1199/1971 stabilisce che decorso il termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso ordinario all’autorità giurisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della Repubblica. 37 La pronuncia della Corte costituzionale (148/1982) contribuì a superare una concezione monistica dell’amministrazione pubblica e a riconoscere un sistema di pluralismo amministrativo: il ministro, nella decisione del ricorso straordinario, non rappresenta la PA nel suo complesso. Alternatività: Il profilo più peculiare della disciplina del ricorso straordinario è costituito dalla sua alternatività con il ricorso al giudice amministrativo: non solo i due rimedi non possono essere proposti contro il medesimo atto, ma non vale neppure un criterio di preferenza per il ricorso giurisdizionale e la presentazione del ricorso straordinario preclude la proposizione del ricorso giurisdizionale. L’alternatività fra il ricorso straordinario e il ricorso giurisdizionale comporta l’inammissibilità del ricorso al giudice amministrativo, proposto contro il medesimo atto impugnato in via straordinaria. Opposizione dei contro-interessati: I contro-interessati possono usufruire dell’istituto dell’opposizione: essi, entro 60 giorni dalla notificazione del ricorso, possono chiedere che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale. A questo punto il ricorrente, se intende insistere, ha l’onere di costituirsi entro 60 giorni avanti al Tar e di notificare l’avviso alle parti. Tale facoltà può essere esercitata anche dall’amministrazione non statale che abbia emanato il provvedimento impugnato. Invero, guardando all’art. 48 c.p.a., si riconosce la facoltà di proporre opposizione alla parte nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario, senza limiti di legittimazione ad alcune amministrazioni soltanto. Si deve dunque riconoscere il potere di proporre l’opposizione anche da parte delle amministrazioni statali. Il principio dell’alternatività ha riflessi anche sull’impugnazione giurisdizionale del ricorso straordinario. L’impugnazione dinanzi al Tar è ammessa solo per vizi di forma o di procedimento. La norma (10. 3 dpr 1199/1971) viene interpretata nel senso che tali vizi possono riguardare solo adempimenti successivi al parere del Consiglio di Stato. Oggi sono in atto alcuni tentativi di valorizzazione dell’istituto. Il Consiglio di Stato è intervenuto per accelerare l’istruttoria nel ricorso straordinario, e ha rafforzato la garanzia del contraddittorio. Ha riconosciuto alle parti il diritto di richiedere copia degli atti dell’istruttoria, nonché la facoltà di presentare documenti e memorie. Esecuzione del ricorso straordinario: Negli ultimi anni le analogie con i rimedi giurisdizionali sono state prospettate in termini ancora più stretti. All’origine di questi sviluppi è stato il dibattito sull’esecuzione della decisione del ricorso straordinario. Per eseguire una sentenza amministrativa può essere promosso il giudizio di ottemperanza. Più di recente, invece, basandosi sulle disposizioni del c.p.a., la Cassazione e il Consiglio di Stato hanno affermato che il ricorso per l’ottemperanza avrebbe potuto essere proposto anche per l'esecuzione della decisione del ricorso straordinario. Infatti, a seguito dell’attribuzione del carattere vincolante al parere del Consiglio di Stato, la decisione del ricorso straordinario sarebbe assimilabile a un atto giurisdizionale. La Cassazione parla in proposito di atto sostanzialmente giurisdizionale. L’assimilazione agli atti giurisdizionali sarebbe ormai così stretta da comportare che anche sulla decisione del ricorso straordinario si formi la cosa giudicata. La Cassazione ha ritenuto che le decisioni del Consiglio di Stato possano essere impugnate per motivi di giurisdizione ex art. 111 cost. va segnalato però che questa giurisprudenza suscita qualche perplessità: il ricorso straordinario rappresenta un rimedio amministrativo e la sua decisione non costituisce una pronuncia giurisdizionale. 40 L’intervento del Consiglio di Stato, benché sia divenuto vincolante ai fini dell’esito del ricorso è pur sempre un parere reso da una sezione consultiva del Consiglio di Stato. Il decreto del Presidente della Repubblica non è un atto giurisdizionale. 41 CAPITOLO 8: QUADRO GENERALE DELLA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA. 1. PREMESSA Il ricorso al giudice amministrativo fu configurato come mezzo di impugnazione dell’atto amministrativo. La configurabilità di un interesse legittimo è il criterio fondamentale che definisce e incardina la giurisdizione amministrativa rispetto ad una determinata controversia. Questo carattere risulta sancito dall’art. 103 Cost. che identifica la competenza generale del giudice amministrativo con la tutela nei confronti della PA degli interessi legittimi. La tutela degli interessi legittimi è devoluta al giudice amministrativo anche quando non sia possibile l’impugnazione di un provvedimento amministrativo. Nel codice inoltre si consente la tutela anche in mancanza di un provvedimento, quando l’interesse del ricorrente sia appunto la condanna della PA al rilascio del provvedimento richiesto dal cittadino. Simile discorso vale anche per l’ottemperanza ove è possibile che la PA, in seguito a un giudicato da eseguire, resti inerte. Altro elemento di complessità, per valutare il quadro generale del giudizio amministrativo, è rappresentato dalla giurisdizione esclusiva: uno dei principali obiettivi del codice è stata l’introduzione di modalità di tutela più congrue per i diritti soggettivi. Es. è stata prevista l’autonoma azione di condanna (30 c. 1) Nel codice del processo amministrativo sono previste azioni diverse, talvolta articolate distinguendo la tutela degli interessi legittimi e la tutela dei diritti soggettivi. A tali azioni corrispondono contenuti diversi delle sentenze di merito. Lo sforzo è quello di superare definitivamente il modello che identificava la tutela offerta dal processo amministrativo con l’impugnazione degli atti amministrativi. Nello stesso tempo nel codice emerge anche la volontà di assicurare una omogeneità del processo amministrativo, proponendone una disciplina unitaria. 2. LE CLASSIFICAZIONI GENERALI: LA GIURISDIZIONE DI LEGITTIMITÀ Art. 7 c. 1 ec. 3c.p.a. ambito della giurisdizione amministrativa. La giurisdizione amministrativa si distingue in giurisdizione di legittimità e giurisdizione estesa al merito. Giurisdizione di legittimità: Art. 7.4 c.p.a. considera la giurisdizione di legittimità. La giurisdizione di legittimità è generale, perché ha ad oggetto: a) la garanzia degli interessi legittimi nei confronti dei provvedimenti, degli atti o delle omissioni della PA; b) Oggi il codice assegna in via generale al giudice amministrativo la giurisdizione per le vertenze risarcitorie per la lesione degli interessi legittimi, anche quando siano proposte in via autonoma. L’assegnazione di queste vertenze al giudice amministrativo è coerente con la concezione secondo cui anche il risarcimento dei danni attiene, su un piano generale, alla garanzia degli interessi legittimi; c) Il giudice amministrativo può conoscere senza efficacia di giudicato, tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (art. 8); d) Il giudice amministrativo quindi si pronuncia solo in via incidentale sui diritti soggettivi; e) Solo per le questioni concernenti lo stato e la capacità delle persone e per l’incidente di falso ogni decisione è riservata al giudice ordinario. => Si tratta di questioni che possono essere decise solo con efficacia di giudicato. Perciò non possono essere oggetto di cognizione, neppure in via incidentale, da parte di un giudice diverso da quello istituzionalmente competente. 42 Il giudice amministrativo, anche se sussiste la giurisdizione esclusiva e sono in gioco i diritti soggettivi, non trova i limiti sanciti per la Lac (art. 4 e 5 ), poiché tali limitazioni sono sancite soltanto per il giudice ordinario. Cittadino leso da un comportamento della PA: Maggiori problemi sono sorti nel caso in cui il cittadino sia leso non da un provvedimento ma da comportamenti non riconducibili alla titolarità di un potere (es. inadempimento di un’obbligazione). Il Consiglio di Stato, a partire dagli anni 30, elaborò la distinzione tra provvedimenti e atti paritetici. Quando sia in discussione un diritto soggettivo del cittadino e l’atto amministrativo non costituisce esercizio di un potere non è necessaria l’impugnazione del provvedimento, perché comunque la posizione soggettiva fatta valere in giudizio non dipende da esso. (es. pubblico impiego: impiegato che non riceve la retribuzione perché la PA si rifiuta). In questo caso, il rifiuto della PA non è esercizio di un potere ma è un atto paritetico, ossia un atto o un comportamento posto in essere dalla PA come avrebbe potuto porlo in essere un soggetto di diritto comune. => Ne consegue che di fronte a un atto paritetico non vi è necessità di impugnare l’atto dell’amministrazione e il ricorso non è neppure soggetto a un termine di decadenza. La tutela invero era carente anche su altri profili: tutela cautelare (nel giudizio amministrativo in origine si ammetteva solo la sospensione del provvedimento impugnato), limitatezza mezzi istruttori, contenuti e tipi di sentenza. Altra esigenza da assicurare è l’efficacia della tutela dei diritti anche dinanzi alla giurisdizione esclusiva. => A tale esigenza ha dato una prima risposta il codice. La pienezza della tutela oggi è assicurata dall’ampiezza riconosciuta alle misure cautelari (che oggi possono avere anche contenuto atipico), dalle tipologie di mezzi istruttori ora ammessi, dalla disciplina del procedimento di ingiunzione (118 c.p.a.). A ciò si aggiunga che, ex art. 12 c.p.a., si ammette la devoluzione ad arbitrato (rituale di diritto) delle vertenze su diritti assegnate alla giurisdizione esclusiva. => Queste innovazioni non comportano però che nel giudizio amministrativo possano essere esperite, a tutela dei diritti, tutte le azioni ammesse dal Codice di procedura civile (il codice amministrativo infatti non contempla: istruzione preventiva, tutela inibitoria, sequestri conservativi). L’assegnazione della tutela di un diritto al giudice amministrativo comporta che l’ultima parola sull’interpretazione delle norme applicabili alla vertenza spetti al Consiglio di Stato e non alla Cassazione. Ne consegue che rispetto ai diritti soggettivi, sulle medesime disposizioni di legge si può formare una giurisprudenza amministrativa divergente da quella civile. L’estensione della giurisdizione esclusiva incide pertanto anche sul ruolo nomofilattico della Cassazione. 5. LE CLASSIFICAZIONI GENERALI. LA GIURISDIZIONE ESTESA AL MERITO. Nel codice del processo amministrativo l’estensione della giurisdizione “al merito” non è limitata alla tutela degli interessi legittimi. L'estensione riguarda ipotesi particolari, corrispondenti alla c.d. giurisdizione di merito, rappresentate da alcuni tipi di controversie inerenti spesso ai diritti soggettivi. => Sono elencate tassativamente nell’art. 134 c.p.a.. Tra queste materie: - Giudizio di ottemperanza; - Ricorsi in materia elettorale, quando il contenzioso è devoluto al GA; - Ricorsi amministrativi contro le sanzioni amministrative pecuniarie, quando è prevista la GA (normalmente c’è la go. Ma in alcuni casi può esserci la GA, come nel caso delle sanzioni applicate delle autorità amministrative indipendenti); - Ricorsi in materia di contestazioni sui confini degli enti territoriali; - I ricorsi contro la classificazione delle opere cinematografiche per la visione dei minori. 45 In passato i caratteri generali della giurisdizione di merito non erano chiari e furono oggetto di interpretazione.12 Il c.p.a. (art. 7.6) riconosce ampi poteri decisori al giudice nella giurisdizione di merito, perché il giudice può sostituirsi all’amministrazione. Di conseguenza negli stessi casi il giudice, se accoglie il ricorso, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato” (34 c. 1 lett. Dc.p.a.). La giurisdizione di merito è contraddistinta oggi dalla capacità del giudice amministrativo di adottare pronunce che possono sostituire il contenuto dell’atto impugnato, e non solo di annullare l’atto impugnato o di ordinare alla PA di emanare un provvedimento dovuto. Per quanto attiene all’oggetto della cognizione, le differenze rispetto alla giurisdizione di legittimità sembrano limitate: per effetto dell’introduzione dell’azione di adempimento, anche nella giurisdizione di legittimità il giudice amministrativo può accertare non solo se un certo provvedimento sia illegittimo, ma anche quale atto debba essere adottato dall’amministrazione nel caso concreto. 13 12 Secondo una prima interpretazione, la giurisdizione di merito si sarebbe dovuta caratterizzare, rispetto alla giurisdizione di legittimità, per il fatto che l’impugnazione del provvedimento amministrativo sarebbe stata ammessa, oltre che per i vizi di legittimità, anche per i vizi di merito. In sostanza la giurisdizione di merito attuerebbe una piena sovrapposizione tra l’attività dell’amministrazione e l’attività del giudice amministrativo, perché quest’ultimo avrebbe potuto controllare ogni ambito di valutazione riservato alla pa. Una seconda interpretazione prendeva invece le mosse tra la distinzione tra amministrazione e giudice amministrativo. Nei casi di giurisdizione di merito il giudice amministrativo non potrebbe conoscere e decidere sui vizi diversi da quelli di legittimità. Il giudice non avrebbe un sindacato esteso ai vizi di merito. Costui, oltre ad annullare, avrebbe potuto introdurre nell'atto le modifiche direttamente conseguenti all'accertamento della legittimità. 13 A.M. il giudice di legittimità può farlo solo quando la controversia verte sul giudizio dell'attività amministrativa vincolata (o in origine o perché si è esaurita l’attività discrezionale esperibile dalla pa) 46 CAPITOLO 9:. L'AZIONE NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. 1. LE CONDIZIONI GENERALI PER L'AZIONE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. Tradizionalmente, per il processo amministrativo, la dottrina e la giurisprudenza richiamano, come condizioni generali per l’azione, l’interesse a ricorrere e la legittimazione a ricorrere in capo a chi promuova il giudizio. A) Legittimazione a ricorrere: La legittimazione a ricorrere è ricondotta in genere alla titolarità di posizioni di interesse qualificato: interesse legittimo o anche diritto soggettivo, nel caso di giurisdizione esclusiva. La legittimazione a ricorrere viene interpretata dalla giurisprudenza amministrativa non come affermazione della titolarità della posizione qualificata necessaria ai fini del ricorso, ma come effettiva titolarità di tale posizione. In alcuni casi la legittimazione a ricorrere è costituita semplicemente da una condizione formale del ricorrente, e non dall’affermazione o dalla titolarità di un interesse qualificato. Ciò si verifica in particolare nel caso delle azioni popolari, per le quali la legittimazione a ricorrere si identifica con la qualità generica di cittadino, o con l’iscrizione nelle liste elettorali di un determinato comune. Accade ad esempio nel contenzioso elettorale. Alle azioni popolari vengono accostate alcune previsioni di tutela degli interessi diffusi. In queste ipotesi, la legittimazione a ricorrere è talvolta attribuita direttamente dalla legge alle associazioni di settore (es. 1. 349/1986 art. 18 sui ricorsi in materia ambientale). In questo modo la legge non ha trasformato gli interessi diffusi in interessi legittimi delle associazioni in questione. Ha invece inteso assegnare alle associazioni una particolare legittimazione ad agire. Anche in presenza di interessi collettivi frequentemente ad agire è l’associazione che rappresenta gli interessi della categoria. C’è però una differenza sostanziale nel caso dell’interesse collettivo: la legittimazione riconosciuta all’associazione si cumula con quella del singolo appartenente alla categoria interessata. Invece nel caso dell’interesse diffuso la legittimazione dell’associazione non è fungibile con quella del singolo, perché l’interesse diffuso riguarda la generalità dei soggetti e pertanto non ha un titolare individuale. Alcune disposizioni legislative attribuiscono a determinati organi amministrativi la possibilità di impugnare un atto di un’amministrazione avanti al Tar indipendentemente dal coinvolgimento di un loro interesse specifico (c.d. legittimazione ex lege). Es. all’autorità garante della concorrenza e del mercato è stata attribuita la legittimazione a ricorrere contro gli atti di qualsiasi PA che violino le norme della concorrenza e del mercato. L’ANAC è “/egittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture”(art. 211 c.p.a.). B) Interesse a ricorrere: Si fa riferimento all’art. 100 c.p.c. => Si tratta dell’interesse proprio del ricorrente al conseguimento di una utilità o di un vantaggio attraverso il processo amministrativo. Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’interesse a ricorrere avrebbe una specifica rilevanza anche nelle azioni costitutive, con la conseguenza che in alcune ipotesi, pur essendo configurabile la lesione dell’interesse legittimo, non sarebbe assicurata una tutela giurisdizionale per la mancanza dell’interesse a ricorrere. 14 Il “risultato utile” che il ricorrente deve dimostrare di poter conseguire 14 Es. non ha interesse a ricorrere il soggetto che si è collocato in graduatoria in vista di un'assunzione, ma che contesti il punteggio attribuitole. Non basta dimostrare l'errore della PA nell'attribuire il punteggio, perché il ricorrente deve dimostrare che, se a lui fosse stato fornito il giusto punteggio, si sarebbe collocato tra i vincitori. 47 Oggi, il carattere di necessarietà è confermato dall’art. 34.2 c.p.a., che però ha anche individuato alcune eccezioni, rappresentate principalmente dalla tutela risarcitoria degli interessi legittimi. L’esito dell’azione di annullamento risulta, per alcuni profili, del tutto analogo a quello che può essere perseguito attraverso i propri atti dalla stessa PA, tramite l’annullamento d’ufficio. Non va dimenticato però che l’annullamento in via amministrativa ha dei presupposti tipici, diversi e ulteriori rispetto al riscontro da parte della PA della lesione di un interesse legittimo. => Infatti, si richiede un interesse pubblico specifico. La possibilità di un’eliminazione stragiudiziale dell’atto non comporta per il cittadino una garanzia dell’interesse legittimo equivalente a quella offerta dall’azione di annullamento in sede giurisdizionale, anche se in entrambi i casi è riscontrabile un annullamento. 4.L’AZIONE DI MERO ACCERTAMENTO L’azione di mero accertamento, è del tutto analoga a quelle ammesse nel processo civile, nel processo amministrativo si parla propriamente di essa con riguardo a vertenze per diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva. Invece, un’azione di accertamento a tutela degli interessi legittimi è esclusa nei casi in cui sia possibile l’impugnazione di un provvedimento. Il c.p.a. non contempla espressamente un’azione generale di accertamento, ma si limita a prevedere un’azione per la declaratoria della nullità di atti amministrativi. Oggetto dell’accertamento: un diritto patrimoniale o non patrimoniale. L’azione non è soggetta al termine di decadenza. Nel processo civile l’azione di accertamento è diretta a risolvere situazioni di incertezza. Nelle vertenze con la PA, occorre considerare che la PA è tenuta a conformarsi al giudicato. Di conseguenza, nei confronti di qualsiasi sentenza l’amministrazione è tenuta ad adeguare la situazione di fatto con quella di diritto affermata nella sentenza. Il dovere di conformarsi non deriva solo da una sentenza di condanna del giudice, ma anche da una sentenza di annullamento o di mero accertamento. Nel caso di inosservanza del dovere della PA di adeguarsi è esperibile il giudizio di ottemperanza. Risulta, poi, ancora controversa la possibilità di ammettere un’azione di accertamento a tutela di situazioni di interesse legittimo. E’ stato sostenuto che sarebbe ammessa nel nostro processo un’azione di accertamento atipica, a tutela degli interessi legittimi. Questa azione dovrebbe essere ammessa in tutti i casi in cui l’interesse legittimo rimarrebbe senza una garanzia effettiva di ordine processuale. Un’azione di accertamento deve inoltre ammettersi quando la vertenza abbia ad oggetto un provvedimento nullo. In questo caso non vi è spazio per l’azione costitutiva. L’atto nullo non produce effetti, mentre l’azione costitutiva presuppone sempre la suscettibilità dell’atto impugnato a prodwre effetti giuridici. Il codice ha introdotto una disciplina specifica per l’azione di accertamento della nullità di un provvedimento, per tutti i casi in cui la relativa controversia sia di competenza del giudice amministrativo. => Il ricorso va proposto entro 180 giorni. Questa previsione non si applica alla deduzione della nullità dell’atto per elusione o violazione del giudicato (giudizio di ottemperanza). La decorrenza del termine non ha però riflessi sull’efficacia dell’atto: anche il provvedimento nullo è, per definizione, improduttivo di effetti. => Di conseguenza, anche dopo la scadenza del termine per il ricorso, la nullità dell’atto amministrativo resta sempre rilevabile d’ufficio da parte del giudice. Anche la parte resistente può opporre la nullità dell’atto. 50 5. L'AZIONE DI CONDANNA Nel processo amministrativo l’azione di condanna fu introdotta con la 1. tar, ma solo nei casi di giurisdizione esclusiva ed esclusivamente per il pagamento di somme di denaro dovute dall’amministrazione. => Ora il codice non contempla più questa limitazione. Quindi, nelle materie di giurisdizione esclusiva l’azione di condanna può essere proposta anche dall’amministrazione per l'adempimento di obbligazioni di un privato nei suoi confronti. Il codice inoltre non limita le possibilità di tutela al solo caso di obbligazione di tipo pecuniario. Quindi anche negli altri casi si può ammettere la sentenza di condanna del giudice amministrativo. Nella giurisdizione di legittimità la condanna all’adempimento delle obbligazioni è ammessa solo per il risarcimento dei danni per la lesione di interessi legittimi, ma nelle materie di giurisdizione esclusiva può riguardare anche l’adempimento di qualsiasi obbligazione inerente alla materia devoluta alla giurisdizione esclusiva. Azione di condanna nelle vertenze risarcitorie: La domanda di risarcimento del danno può avere ad oggetto, oltre che il risarcimento per equivalente, anche il risarcimento in forma specifica (30 c. 2 c.p.a. richiama infatti l’art. 2058 c.c.19). Rapporti fra la tutela impugnatoria e tutela risarcitoria: Il codice ammette in via di principio l’autonomia della domanda risarcitoria. L’accoglimento di tale domanda non ha come presupposti l’impugnazione e l’annullamento del provvedimento lesivo. Se il provvedimento non è stato impugnato, il giudice amministrativo può comunque conoscere della sua illegittimità ove essa assuma rilievo ai fini della domanda di risarcimento dei danni. Si tratta però di un’autonomia temperata dall’introduzione di uno specifico termine di decadenza nel caso di lesione di interessi legittimi. => L’azione va proposta entro 120 giorni dal momento in cui si è verificato il fatto o, nel caso in cui il danno derivi dal provvedimento, dalla conoscenza del provvedimento stesso. 16 È stato superata la tesi- diffusa prima dell'emanazione del codice- in virtù della quale mediante il risarcimento in forma specifica avrebbe permesso di introdurre la tutela in forma specifica degli interessi legittimi, specie per gli interessi legittimi pretesivi. Si voleva in questo modo introdurre una sorta di azione di adempimento. Il Consiglio di Stato rifiutava tale tesi: il risarcimento in forma specifica va riferito a un illecito e alla finalità di riparare un danno, senza che ciò possa trasformarsi nell’attribuzione di un potere sostitutivo al giudice amministrativo (situazione possibile solo in caso di giurisdizione di merito) 51 Se il provvedimento lesivo è stato impugnato, la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o dopo la sentenza di annullamento, sino a 120 giorni dal suo passaggio in giudicato!?. Per valutare il rapporto tra le due tutele è opportuno considerare anche i criteri dettati dal codice per la liquidazione del danno. => // codice infatti esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti (art. 30.3 c.p.a.). Ciò significa che l’impugnazione del provvedimento lesivo non rappresenta una condizione necessaria per la domanda risarcitoria ma può incidere sulla misura del risarcimento nella liquidazione del danno. Il cittadino non può ottenere a titolo di risarcimento la rifusione del danno che avrebbe potuto evitare attraverso l’impugnazione e l’annullamento del provvedimento lesivo. 6. LA TUTELA NEI CONFRONTI DEL SILENZIO; L'AZIONE DI ADEMPIMENTO; LA TUTELA DEL DIRITTO DI ACCESSO. Il codice (34 c. 1 c.p.a.) ha ricondotto all’azione di condanna anche la domanda al giudice amministrativo di ordinare all’amministrazione il rilascio di un provvedimento. In questi casi la sentenza non impone una mera condotta materiale, ma impone di emanare un provvedimento. Come tale non è idonea per un’esecuzione forzata nelle forme previste dal rito civile. Per l’esecuzione può essere esperito soltanto il giudizio di ottemperanza. Silenzio: Il c.d. silenzio (silenzio rifiuto/inadempimento) è la situazione che si verifica quando un’amministrazione, nel termine prescritto, non abbia assunto alcun provvedimento, pur essendo tenuta a provvedere. => Affinché si formi il silenzio è necessario che gravi sulla PA un dovere di provvedere. 17 Si supera così la tesi della pregiudizialità amministrativa. Tuttavia il legislatore sceglie di sottoporre la tutela risarcitoria a termini decadenziali brevi, che non trovano riscontro nella tutela civilistica. Infatti => Pregii alità amministrativa: Riconosciuta la possibilità di adire il GA per ottenere il risarcimento del danno, rimaneva aperta la questione sulla necessità di impugnare e di ottenere l'annullamento dell’atto amministrativo lesivo prima di poter conseguire il risarcimento del danno derivante dall'atto impugnato. In proposito si sono contraddistinti gli orientamenti assunti dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, in quanto per la Suprema Corte vi era la possibilità di adire il GA con autonoma domanda risarcitoria senza la preventiva impugnazione del provvedimento lesivo => ciò a garanzia della tutela dei cittadini nei confronti della PA, e in quanto non sussisteva la norma che assoggetti, esplicitamente, la domanda di risarcimento del danno ad un termine di decadenza. La conseguenza fu data dalla sussistenza della GA per le domande risarcitorie da attività provvedimentale illegittima e l'applicazione del termine prescrizionale di 5 anni che decorre dalla data dell’illecito. Mentre, l'orientamento dei GA si fondava sulla necessità del previo annullamento del provvedimento amministrativo, al fine di poter esperire valida azione di risarcimento dei danni. Quindi l’azione di risarcimento avrebbe potuto essere proposta congiuntamente a quella di annullamento, oppure in via autonoma => ed in tal caso, era ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che lo stesso sia poi annullato. Tale orientamento si fondava sul rischio di elusione del termine di decadenza di 60 gg. qualora si consentisse ad un soggetto di far valere l'illegittimità di un provvedimento amministrativo ai fini del risarcimento, ed inoltre sulla mancata attribuzione al GA del potere di disapplicazione, per cui il GA è legittimato solo a conoscere del provvedimento in via principale ai fini dell’annullamento. Successivamente, con sent. 3/2011 l’AP del Consiglio di Stato, tenuto conto del c.p.a. e considerata l'esigenza di piena protezione dell'interesse legittimo come posizione a garanzia del bene della vita, ha ammesso la proponibilità dell’azione risarcitoria in via autonoma rispetto all’azione impugnatoria, laddove la prima sia limitata al solo ristoro patrimoniale e non alla cancellazione degli effetti prodotti dal provvedimento. 52 CAPITOLO 10: ELEMENTI PRELIMINARI PER LO STUDIO DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO 1. IL GIUDICE AMMINISTRATIVO E LA SUA COMPETENZA. La giurisdizione amministrativa è esercitata: - inprimo grado dai Tribunali amministrativi regionali; - insecondo grado dal Consiglio di Stato e dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. I Tar sono istituiti in ogni regione e hanno sede nei rispettivi capoluoghi di provincia. Sono previste sezioni staccate nei capoluoghi di provincia!8. Criteri generali del riparto di competenza: Sono disciplinati dall’art. 13 c.p.a.. 1. Sede dell’organo che ha emanato l’atto: ex: impugnazione di atti di enti locali o di organi periferici dello Stato 2. Efficacia dell'atto: se l’atto ha effetti circoscritti al territorio di una Regione o di una parte di essa, è competente il Tar nella cui circoscrizione si producono gli effetti, anche se l’organo che ha emanato l’atto è un organo statale o ha sede in altra circoscrizione. Gli stessi criteri sono estesi alle controversie riguardanti gli accordi oi comportamenti della PA. Ex art. 13 c.p.a.. 3. Tar del Lazio: negli altri casi, se sono impugnati atti statali: EX. casi in cui si debba impugnare l’atto di un ente ultra-regionale con contenuto inscindibile per una pluralità di dipendenti, o nel caso in cui l’atto in questione sia diretto a una pluralità di dipendenti in servizio in più circoscrizioni 4. Tar nella cui circoscrizione ha sede l'ente, se sono impugnati atti di altre amministrazioni. 5. Tar nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio del pubblico dipendente - foro del pubblico impiego, art. 13 c. 2: In materia di pubblico impiego, per le sole controversie fra l'impiegato e la PA che abbiano ad oggetto questioni inerenti al rapporto di impiego. => La competenza territoriale è inderogabile!9. Cumulo soggettivo: Nel caso di ricorso proposto da più ricorrenti, la competenza del Tar periferico in base al criterio dell’efficacia dell’atto o al foro del pubblico impiego presuppone che per tutti i ricorrenti l’atto esaurisca la sua efficacia nell’ambito della circoscrizione del Tar o che tutti i ricorrenti prestino servizio presso uffici con sede nella circoscrizione di quel Tar. Cumulo oggettivo: In caso di ricorso contro atti connessi, l’art. 13.4 bis considera soltanto il ricorso proposto contro due atti, di cui il primo sia un atto presupposto e l’altro sia un atto applicativo: se per il criterio dell’organo sarebbero competenti due tar diversi, il ricorso va diretto al tar competente per l’atto rispetto al quale sorge l’interesse a ricorrere (solitamente l’atto applicativo). Tuttavia, se l’atto presupposto ha valore normativo o generale, il tar competente per questo atto prevale. Qualora la connessione oggettiva si realizzi in corso di causa, per l’impugnazione successiva di atti sopravvenuti, resta ferma la competenza del giudice del primo atto. Per le controversie sulle materie di giurisdizione esclusiva, sussiste una disciplina specifica per i giudizi di pubblico impiego. Manca invece una previsione per le altre materie. Vertenze in materia di diritti soggettivi: è necessario dare rilievo al luogo in cui deve essere adempiuta l'obbligazione. 18 Per quanto riguarda il Trentino- Alto Adige, il Tar Trento e la sezione autonoma a Bolzano si rinvia a pg. 226 del libro. 19 Approfondimento p.227 circa il rapporto tra questi criteri. 55 Vertenze risarcitorie di interessi legittimi: è competente lo stesso Tar cui spetterebbe decidere il ricorso sul silenzio o per l'annullamento del provvedimento lesivo. Violazione della competenza: Come anticipato, la competenza territoriale è inderogabile. La sua violazione può essere rilevata d’ufficio finché la causa non è decisa in primo grado, e può costituire motivo di appello (vedi art. 15, comma 1-4!). La competenza è questione preliminare rispetto a qualsiasi pronuncia cautelare: quindi se il giudice si ritiene incompetente, non può adottare misure cautelari. Discorso diverso meritano invece le ordinanze cautelari emesse prima che il Tar adito si dichiarasse incompetente. Tali ordinanze hanno una ultrattività e conservano la loro efficacia per 30 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza con cui il giudice dichiara l’incompetenza.20 Rimedi in caso di presentazione del ricorso al Tar incompetente: © il tar deve rilevare la propria incompetenza anche d’ufficio ed è tenuto a dichiararlo; = le parti, se non ritengono che il giudice sia competente, possono eccepirlo nei termini fissati per la costituzione in giudizio. - L’ordinanza che si pronuncia sulla competenza può essere impugnata dalle parti con un regolamento di competenza (art. 15 c.p.a.). Il regolamento in questione è diretto al Consiglio di Stato. È assoggettato a una procedura accelerata (art. 16 c.p.a.). Invece la pronuncia del Tar che rilevi d’ufficio l’incompetenza all’esito del giudizio di primo grado è appellabile. Nell’ipotesi in cui il Tar adito per primo si dichiari incompetente e il Tar ove la causa è stata riassunta non si ritenga a sua volta competente, il secondo Tar può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza. => In pendenza del regolamento, il secondo Tar resta comunque in grado di provvedere sulle istanze cautelari proposte. Ipotesi di competenza funzionale (art. 14 c.p.a.) : Si tratta di previsioni derivanti da norme speciali, che prevalgono sui casi appena descritti. Si tende a riservare al Tar Lazio varie controversie in relazione al coinvolgimento di interessi generali e non frazionabili o di particolare delicatezza per gli interessi locali coinvolti. Sono disciplinate dall’art. 135.21 Nel caso di impugnazione di atti connessi (cumulo oggettivo), che sarebbero di per sé oggetto della competenza di Tar diversi, la competenza funzionale prevale rispetto alla competenza inderogabile. Consiglio di Stato: La seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta sezione hanno funzione giurisdizionale. Il compito più importante assegnato alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato è quello di giudice d’appello. In caso di contrasto la decisione può essere rimessa all’adunanza plenaria 99 c.p.a.. Nei confronti delle sentenze del Tar Sicilia, l’appello va proposto al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. => Si tratta di un organo equi-ordinato al Consiglio di Stato. Anche il Consiglio di giustizia amministrativa può rimettere la questione all’adunanza plenaria. 20 | rapporti tra i tar con sede nel capoluogo regionale e i tar nelle sedi distaccate non vengono nemmeno considerate questioni di competenza in senso tecnico. Devono essere sollevate dalle parti entro termini perentori e risolte dal presidente del Tar che ha la sede nel capoluogo regionale (art. 47 c.p.a.) 21 Ci sono ipotesi di competenza funzionale anche non rivolte al Tar Lazio: si pensi alla competenza funzionale del Tar Lombardia per i ricorsi proposti contro i provvedimenti dell'autorità per l’energia elettrica e il gas (ha sede a Milano); alla competenza del giudice dell’ottemperanza; alla competenza prevista per i giudizi abbreviati ex art. 119 cpa. 56 2. LE PARTI: LE PARTI NECESSARIE. Alle parti NECESSARIE è necessario che sia assicurata la garanzia del contraddittorio, ai fini della validità della sentenza. Alle parti NON necessarie, invece, va garantita la possibilità di partecipare al giudizio, senza però che vi sia alcun obbligo di integrazione del contraddittorio o obbligo di portar loro a conoscenza del ricorso. Nel processo amministrativo le parti necessarie sono: - il ricorrente; - l’amministrazione resistente; - i contro-interessati (coloro che sono titolari di un interesse qualificato e che potrebbero subire un pregiudizio dal ricorso. Infatti rispetto a questi soggetti può avere incidenza diretta il giudicato); - gli altri soggetti, che hanno un interesse diverso, che possono solo intervenire. Il processo amministrativo è a garanzia di posizioni soggettive, come tale è un processo di parti in senso stretto, nonostante il fatto che il giudizio riguardi un soggetto pubblico. Ricorrente: Fa valere un proprio interesse legittimo (o un diritto, se siamo nei casi di giurisdizione esclusiva). Il carattere soggettivo dell’interesse fatto valere in giudizio esclude che il ricorrente possa essere considerato come un mero rappresentante della collettività e che quindi il processo amministrativo sia strumentale all’interesse generale alla correttezza dell’azione amministrativa. Il ricorso può essere proposto congiuntamente anche da più soggetti, a condizione che le loro posizioni siano omogenee (ricorso collettivo). Amministrazione che ha emanato l’atto impugnato, oppure rispetto al quale è maturato il silenzio: L’amministrazione è parte nel processo, quindi si applicano a questa le regole del processo, su un piano di parità rispetto alle altre. La PA che ha emanato l’atto impugnato è evocata in giudizio perché il giudizio verte su un suo atto. La PA ha interesse a che il suo atto sia mantenuto. In base alle recenti innovazioni normative, è considerata PA anche il soggetto privato. Contro-interessati: Sono tali i soggetti ai quali l’atto impugnato conferisce un’utilità specifica. Sono titolari di un interesse qualificato alla conservazione dell’atto impugnato. Ad essi deve essere notificato il ricorso. Nel caso ci sia più di un contro-interessato, il ricorso è ammissibile anche se notificato ad uno solo di essi. Nei confronti degli altri però deve essere fatta l'integrazione del contraddittorio (49). Se il contro-interessato interviene nel giudizio, senza che nei suoi confronti sia stata effettuata l’integrazione del contraddittorio, ad essi non può essere opposta alcuna preclusione conseguente all’avanzamento del processo. I contro-interessati sono in una posizione simmetrica rispetto al ricorrente: se il ricorrente lamenta una lesione a un suo interesse legittimo, determinata da un provvedimento amministrativo, i contro- interessati invece traggono dall’atto impugnato la realizzazione del loro interesse legittimo. Questa simmetria implica una parità di trattamento nel processo, anche ai fini dell’applicazione dei principi costituzionali sul diritto d’azione e di difesa. La posizione paritaria è assicurata inoltre dal fatto che anche il processo amministrativo contempla istituti volti specificamente a garantire la parità di posizione dei contro-interessati rispetto al ricorrente. => Ne è esempio il ricorso incidentale, col quale essi possono a loro volta proporre censure nei confronti del provvedimento impugnato dal ricorrente principale o contro gli atti presupposti. 57 necessaria nei casi in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile o infondato. La stessa misura è prevista dall’art. 95 c.p.a. in materia di appello. - Il contraddittorio deve essere assicurato in modo pieno anche ai fini della pronuncia sull’istanza cautelare. La misura cautelare può incidere sugli interessi delle parti: prima che sia adottata la pronuncia sull’istanza cautelare, il collegio deve verificare che tutte le parti necessarie siano state evocate in giudizio e, in caso contrario, deve disporre l’integrazione del contraddittorio. Se le esigenze cautelari si connotano per la particolare urgenza, possono essere emesse comunque anche prima dell’integrazione del contraddittorio, in via provvisoria. - Il giudice, se ritiene di decidere il processo sulla base di una questione rilevata d’ufficio, deve sottoporla previamente alle parti. Istanza di fissazione dell’udienza: Lo svolgimento del processo è soggetto a un impulso di parte: depositato il ricorso, la decisione può intervenire solo se una delle parti costituite abbia fissato l’istanza per la fissazione dell’udienza di discussione. Se l’istanza non è presentata entro un anno dal deposito del ricorso matura la perenzione e va dichiarata l’estinzione del processo (l’istanza non serve per i giudizi assoggettati al c.d. rito camerale. In questi casi la decisione del ricorso è assunta dopo una camera di consiglio fissata d’ufficio). Se il giudizio non viene definito dopo cinque anni dal deposito del ricorso, è necessario un nuovo atto di impulso per manifestare il proprio interesse alla definizione della lite. Decorsi cinque anni il giudice avvisa il ricorrente, il quale ha 180 giorni per depositare una nuova istanza di fissazione dell’udienza. In mancanza di detta istanza si ha l’estinzione. Principi per la redazione degli atti processuali: Il codice richiama anche alcuni principi per la redazione degli atti processuali: il giudice ha il dovere di motivare i provvedimenti decisori, nonché il dovere di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica; => criterio della sinteticità nella redazione degli atti di parte. Quest’ultimo principio ha ricevuto uno sviluppo particolare nel processo amministrativo. Infatti, il presidente del Consiglio di Stato ha provveduto con un decreto (22/12/2016) a fissare i limiti dimensionali degli atti processuali?3. L’organo giudicante è tenuto ad esaminare solo le pagine dell’atto comprese in questi limiti. Il mancato esame delle pagine eccedenti non può essere motivo di impugnazione. Il superamento del limite può comunque essere previamente autorizzato dal magistrato. 6. IL RAPPORTO CON LA DISCIPLINA DEL PROCESSO CIVILE. In vari casi il codice del processo amministrativo rinvia espressamente alle disposizioni del codice di procedura civile. L'art. 39 c.p.a. introduce però anche un rinvio più generale: le disposizioni del codice di procedura civile si applicano al processo amministrativo per quanto non disposto dal presente codice e in quanto compatibili o espressione di principi generali. => Anche se la norma ha carattere residuale, si hanno difficoltà a individuare l’effettiva portata del rinvio.Nel dibattito precedente al codice è emersa la seguente posizione: secondo cui, si ritiene che il processo amministrativo costituisce un sistema processuale autonomo e distinto da quello civile. Di conseguenza, i rapporti tra i due sistemi processuali non possono essere risolti nei termini di rapporto tra una disciplina generale e di una speciale. Così si esclude la possibilità di rinviare in modo automatico al codice di rito. Solo quando le regole del codice di procedura civile riflettono principi e istituti che sono accolti nei medesimi termini anche nel processo amministrativo, allora è corretto fare riferimento ad esse. 23 Come previsto da art. 13 ter disp. Att. C.p.a. 60 Il riferimento, in questi casi, non è tanto alle disposizioni del codice di procedura in quanto tali, bensì ad istituti di cui sia stata riconosciuta la comunanza rispetto ai due ordini di processi e che trovano una disciplina più compiuta nel codice di procedura civile. Con l’entrata in vigore del codice sul processo amministrativo, il tema delle grandi lacune riveste minor rilievo pratico. A maggior ragione la possibilità di trasporre nel processo amministrativo interi istituti del processo civile, anche se manchino richiami o previsioni di coordinamento, deve essere esclusa. Il confronto con il codice invece riveste un’importanza particolare quando vengono affrontate questioni interpretative di disposizioni del codice del processo amministrativo concernenti istituti comuni, o affini. Le conclusioni non cambiano sostanzialmente, se si considera la tutela dei diritti nelle materie di giurisdizione esclusiva. In realtà, il codice del processo amministrativo per le controversie su diritti ha dato spazio a una serie di istituti specifici, di matrice processualistica (es. domande riconvenzionali, litisconsorzio necessario), ma nello stesso tempo, più in generale, ha proposto con vigore un modello processuale comune alle controversie sugli interessi legittimi. 61 CAPITOLO 11: IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO 1. INTRODUZIONE DEL GIUDIZIO Per il giudizio di primo grado viene dettata una disciplina di carattere generale: ai sensi dell’art. 38 => c.d. rinvio interno. Il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del Libro II che, se non espressamente derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali. Instaurazione del giudizio: Il giudizio avanti al Tar è introdotto con la notifica di un ricorso (art. 41.1 c.p.a.). Nel processo amministrativo, di norma, il ricorso viene prima notificato alle parti e poi, solo successivamente, depositato (45). Di conseguenza, il termine “ricorso” non contraddistingue un atto che venga presentato all’organo giurisdizionale prima della notifica alle altre parti (come, invece, vale per il ricorso nel processo del lavoro, a differenza dell’atto di citazione). Contenuti necessari di cui all'art. 40 c.p.a.: a) l’organo a cui è diretto; b) le generalità del ricorrente, del suo difensore e delle parti necessarie; c) oggetto della domanda identificando l’atto impugnato (se si agisce per l'annullamento); d) l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici su cui si fonda la domanda; e) i mezzi di prova e i provvedimenti chiesti al giudice; f) la sottoscrizione dell’avvocato con l’indicazione della procura speciale ovvero della parte stessa (se questa sta in giudizio personalmente). Casi di nullità del ricorso: L’art. 44 c.p.a. stabilisce che il ricorso è nullo in caso di difetto di sottoscrizione e di incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda. => È una nullità rilevabile d’ufficio. Negli altri casi di difformità invece si può assegnare un termine per rinnovare l’atto. Nell’azione di annullamento, la domanda è identificata dalla richiesta di annullamento in relazione alle censure proposte. In difetto di enunciazione del vizio, il ricorso è inammissibile. Le censure sono i motivi del ricorso e consistono nella deduzione dei vizi dell’atto impugnato che ne giustificano l’annullamento. Vizi di nullità: In virtù del divieto di ultra-petizione, il giudice non può annullare il provvedimento per un vizio diverso da quello segnalato dal ricorrente. => Cosa si intende con vizio dell’atto impugnato? In genere si fa riferimento a uno dei tre ordini tradizionali di vizi di legittimità richiamati dal 21-octies L. n. 241/90. Occorre individuare altresì la norma che si ritiene concretamente violata. Nel ricorso ogni vizio deve essere dedotto in modo chiaro, ma non sono richieste formule sacramentali. Ciò che rileva a pena di inammissibilità è che il vizio sia oggettivamente identificato nei suoi elementi concreti, in relazione al provvedimento impugnato. Invece, un errore nella qualificazione del vizio non ha rilevanza decisiva, perché il giudice non è vincolato dalla qualificazione formale del vizio proposta dalla parte. Ordine di esame delle domande - graduazione: Il Consiglio di Stato, analizzando alcune disposizioni del codice (40 c 1 e 43 c. 1 c.p.a.) afferma che la parte ha il potere di disporre la domanda, il quale implica a sua volta il potere, in caso di impugnazione di più provvedimenti, di istituire un ordine vincolante per l’esame dei provvedimenti impugnati da parte del giudice. La giurisprudenza di recente ha riconosciuto che la parte, in via di principio, può graduare le censure secondo l’ordine che ritenga più conveniente, purché lo dichiari in modo esplicito. 62 Rapporto tra il ricorso incidentale e il ricorso principale: Il rapporto fra il ricorso incidentale e il ricorso principale è oggetto di un vivace dibattito, soprattutto al fine di stabilire secondo quale ordine, in presenza di un ricorso incidentale escludente, il giudice debba procedere nell’esame dei due ricorsi. (rinvio a XIII) Per analogia di funzioni, il ricorso incidentale ha una disciplina processuale simile a quella del ricorso principale. Entro 30 giorni dalla notificazione dello stesso, questo va depositato al Tar. Se il ricorso incidentale rientra tra le competenze funzionali attribuite a un particolare Tar o ancora rientra nella competenza del Tar Lazio, la controversia dovrà essere integralmente conosciuta dal giudice competente per il ricorso incidentale. Nel caso di controversie in materia di diritti soggettivi e giurisdizione esclusiva, per proporre le domande riconvenzionali valgono in questo caso i termini e i modi previsti per il ricorso incidentale. Nel giudizio di annullamento il ricorso principale, i motivi aggiunti e il ricorso incidentale sono soggetti tutti a un termine perentorio di 60 giorni. Non sono invece soggetti a termini perentori le costituzioni in giudizio delle parti diverse dal ricorrente. Le parti possono infatti costituirsi sino a quando non si ha l’udienza di merito. L'onere di contestare grava sulle parti e può essere fatto sino all’udienza finale di discussione. Chi ha interesse, può intervenire nel giudizio. L’atto di intervento (volontario) va notificato alle altre parti e depositato presso il Tar dinanzi al quale pende il processo entro 30 giorni prima dell’udienza di discussione (50 c.p.a.). Oltre all’intervento volontario, oggi il codice ammette anche l’intervento per ordine del giudice (iussu iudicis). Il giudice infatti può ordinare che sia chiamato in causa un terzo ogni volta in cui ritenga opportuno che il processo si svolga nei confronti di un terzo. 4. ISTRUTTORIA. I PRINCIPI Nel processo amministrativo non si riscontra in genere una fase istruttoria caratterizzata da una sua propria autonoma rilevanza, come si configura invece nel processo civile ordinario. Il processo amministrativo non è comunque un processo ad istruttoria eventuale, solo perché il giudice talvolta può decidere sulla base del provvedimento impugnato, senza avere la necessità di compiere indagini particolari per acquisire nuovi elementi. Anche l’acquisizione del provvedimento impugnato e la cognizione di esso sono profili inerenti all’istruzione. Che poi il giudice amministrativo non ravvisi l'esigenza di disporre mezzi istruttori è un altro discorso, che non riguarda la presenza o meno di un’istruzione nel processo, ma la necessità o meno di integrare gli elementi di fatto già introdotti dalle parti con ulteriori mezzi di prova. Si devono distinguere 3 profili fondamentali: 1) Dl rapporto tra le allegazioni di fatti riservate alle parti e il potere di cognizione del giudice: Si tende a distinguere i fatti primari/principali dai fatti secondari: I fatti principali sono quei fatti materiali che identificano la pretesa fatta valere concretamente in giudizio. L’allegazione di fatti principali quindi non attiene propriamente al tema dell’istruttoria, quanto piuttosto al tema della domanda. I fatti secondari, invece, sono costituiti dai fatti materiali la cui dimostrazione consente di verificare o meno la sussistenza o meno dei fatti principali o la loro rilevanza 0 operatività. => Anche nel processo amministrativo si tende ad accogliere la distinzione tra fatti principali e fatti secondari (in realtà il criterio di distinzione di questi ordini di fatti non è pacifico). È invece pacifico che nel processo amministrativo i fatti principali possono essere introdotti solo dalle parti: altrimenti sarebbe messa in discussione la vigenza del principio della domanda. 65 Quanto all’allegazione dei fatti secondari, si tende sempre ad affermare che tale attività sia riservata alle parti (non al Giudice). 2) I vincoli e gli effetti che comportano, per i poteri istruttori del giudice, le istanze istruttorie delle parti: Il secondo profilo attiene alla prova dei fatti. Per cui, una cosa è allegare un fatto, ossia enunciare il fatto come esistente, un’altra è dimostrare la realtà storica di quel fatto. Nel processo amministrativo — art. 63- è sancito il principio generale sull’onere della prova nei medesimi termini dell’art. 2697 c.c.. L’istruttoria, nel nostro codice del processo amministrativo, si ispira ancora al metodo acquisitivo. I poteri d’ufficio del giudice trovano una giustificazione sostanziale anche nell’esigenza di riequilibrare nel processo la posizione delle parti (spesso il giudice esercita i suoi poteri istruttori richiedendo all’amministrazione di esibire dei documenti o di fornire dei chiarimenti o di svolgere verificazioni). Da notare che ex art. 64 c.p.a. l'inadempimento del provvedimento istruttorio può essere considerato dal giudice come argomento di prova per accogliere la ricostruzione fatta dal ricorrente. Le parti sono pienamente legittimate a formulare istanze istruttorie. Su di esse il giudice è tenuto a provvedere. Il giudice non è però vincolato ad esse, perché può disporre mezzi istruttori anche in assenza di una specifica istanza delle parti. Però, l’esercizio di questi poteri istruttori del giudice presuppone almeno un contributo della parte. Il giudice invece non deve esercitare i suoi poteri d’ufficio per la prova di fatti che siano già nella disponibilità del ricorrente. In questo caso la parte è in grado di provare il fatto e l’intervento del giudice non sarebbe giustificato. 3) I vincoli che comportano, per la decisione, le risultanze dell’istruttoria: Il processo amministrativo si basa sul principio del libero apprezzamento del giudice. Questo principio comporta l’esclusione delle prove legali, come il giuramento e la confessione, che si caratterizzano invece per vincolare il giudice alla verità di un certo fatto, precludendogli di assumere una decisione difforme (63.5 c.p.a.). All’esclusione delle prove legali fa eccezione la disciplina dell’atto pubblico, che anche nel processo amministrativo ha l’efficacia descritta nell’art. 2700 c.c. 5.I PROVVEDIMENTI ISTRUTTORI E I SINGOLI MEZZI ISTRUTTORI Nel nostro processo amministrativo l’istruttoria ha come obiettivo non quello di correggere o revisionare il procedimento amministrativo, ma quello di acquisire gli elementi di fatto utili per la decisione giurisdizionale. Il codice ha introdotto una disciplina unitaria dei mezzi istruttori, valida per ogni tipo di giurisdizione esercitata. I poteri istruttori del GA si estendono oggi a tutti i mezzi di prova previsti dal Codice di procedura civile, fatti salvi il giuramento e l’interrogatorio formale. Sono stati confermati nel codice i mezzi istruttori tradizionalmente contemplati dalle leggi sul procedimento amministrativo: - La richiesta di chiarimenti consiste nella richiesta all’amministrazione di informarsi su fatti rilevanti per il giudizio. Può essere indirizzata anche nei confronti della PA (=> art. 213 c.p.c., ma nel rito civile i chiarimenti alla PA non sono ammessi). - La richiesta di documenti, riguardante qualunque documento inerente alla materia del contendere. - Le verificazioni possono avere contenuti molto ampi e possono riguardare anche l’accertamento di fatti o di situazioni complesse. Prima del codice la verificazione era spesso demandata alla PA resistente. Il codice invece ha riproposto l’istituto con alcune innovazioni 66 sostanziali. Il giudice amministrativo affida la verificazione a un organismo pubblico, estraneo rispetto alle parti in giudizio. - Il codice contempla anche la possibilità per il giudice amministrativo di disporre una consulenza tecnica, precisando che anche ove vi sia la discrezionalità tecnica, al giudice non può essere tolta la possibilità di valutare l’attendibilità della scelta. Non può spingersi invece a pronunciarsi sulla condivisibilità della scelta fatta dalla PA. - Il codice ha ammesso anche gli altri mezzi istruttori previsti dal codice di procedura civile, ferma restando l'esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento. - In materia di prova testimoniale, si deroga al principio acquisitivo, poiché è necessaria un'istanza di parte. Inoltre è ammessa solo in forma scritta. - Il giudice in ogni fase del processo può chiedere alle parti chiarimenti sui fatti che ritenga rilevanti. In genere, i provvedimenti istruttori del giudice possono essere adottati dal presidente o da un magistrato da lui delegato in qualsiasi momento del processo sino all’udienza di trattazione. Il collegio può adottarli nel corso o in esito alla trattazione dell’istanza cautelare o all’udienza di discussione (55 e 65 c.p.a.). Soltanto la verificazione e la consulenza tecnica sono sempre riservati al collegio (65.2). I provvedimenti istruttori sono adottati con ordinanza (36 c.p.a.). Il codice non contempla per il processo amministrativo alcuna istruttoria preventiva, ma parte della giurisprudenza, invocando la formulazione ampia dell’art. 53.5 c.p.c., tende ad ammetterla, soprattutto per ciò che concerne gli accertamenti tecnici preventivi. 6. GLI INCIDENTI DEL GIUDIZIO La disciplina dettata per la sospensione o l’interruzione del giudizio è disciplinata solo in via sommaria all’interno del codice, poiché si fa un richiamo generale alla disciplina del codice di procedura civile. Le situazioni che comportano la sospensione del processo sono identificate essenzialmente nel codice di procedura civile e in altre disposizioni di legge. Sospensione necessaria per ragioni di pregiudizialità: Vanno considerate le questioni inerenti allo stato e alla capacità delle parti, nonché l’incidente di falso. In questi casi la decisione è riservata al giudice civile. => La sospensione, viene disposta sulla base della valutazione della rilevanza della questione rispetto al giudizio amministrativo. La sospensione va dichiarata anche in caso di questione di legittimità costituzionale o in caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. La sospensione in questi casi e in ogni caso di sospensione necessaria è dichiarata con un’ordinanza impugnabile. Regolamento preventivo di giurisdizione: Anche nel processo amministrativo è ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione, secondo quanto previsto dall’art. 41 c.p.c. La sospensione in questo caso è disposta dal Tar, solo nel caso in cui l’istanza di regolamento non sia manifestamente infondata. Si ritiene che tramite il rinvio al codice di procedura civile ex art. 79 c.p.a. sia ammissibile anche la sospensione su richiesta concorde delle parti. => La sospensione è disposta dal Tar con ordinanza. Le ordinanze di sospensione pronunciate ai sensi dell’art. 295 c.p.c. sono impugnabili mediante appello dinanzi al Consiglio di Stato (79.3 c.p.a.) Interruzione del processo: Infine nel codice sul processo amministrativo si richiama l’istituto dell’interruzione del processo, per il quale si fa rinvio alla disciplina del processo civile. => Cessata la causa di sospensione del giudizio o si sia prodotta l’interruzione, per la prosecuzione del giudizio è necessario un atto di impulso. Si tratta dell’istanza di discussione del ricorso, da presentare in un termine breve. 67 CAPITOLO 12: LA TUTELA CAUTELARE 1. I CARATTERI GENERALI DELLA TUTELA CAUTELARE NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. La tutela cautelare, anche nel processo amministrativo, ha il carattere della strumentalità. La misura cautelare ha infatti lo scopo di assicurare l’efficacia pratica del provvedimento definitivo, evitando così che la durata del giudizio possa rendere praticamente inutile per il ricorrente la decisione finale. Il codice del processo amministrativo si attiene alla regola secondo cui nel giudizio promosso per l’annullamento di un provvedimento, la presentazione del ricorso non comporta la sospensione dell’esecuzione. Spetta quindi alla parte interessata richiedere una misura cautelare se vuole evitare che la pendenza del giudizio possa amecargli pregiudizio. In base ai principi generali, la concessione della misura cautelare da parte del giudice presuppone l’accertamento del fumus boni iuris e del periculum in mora: - Fumus boni iuris: concerne nella valutazione sommaria sul merito della pretesa fatta valere dal cittadino con l’impugnazione. La concessione della misura è subordinata a una valutazione del giudice sulla ragionevole previsione sull'esito del ricorso. - Periculum in mora: consiste nella possibilità di subire un pregiudizio grave e irreparabile dal provvedimento impugnato durante il tempo necessario per giungere alla decisione del ricorso. Tale pregiudizio deve essere specificamente allegato in giudizio dalla parte. Non è consentito al giudice di ipotizzare d’ufficio l’esistenza oppure di introdurlo nel processo. Deve trattarsi di un pregiudizio determinato dal provvedimento amministrativo a un interesse materiale rilevante del ricorrente e qualificato dal carattere della gravità e dell’irreparabilità. Questo carattere può essere verificato in senso oggettivo — in relazione all’interesse pregiudicato dal provvedimento- o in senso soggettivo- ossia in relazione all’incidenza del provvedimento alla luce della condizione del ricorrente. => Nello stesso tempo il giudice è tenuto anche a considerare i riflessi che produrrebbe la misura cautelare rispetto all’amministrazione e rispetto ai contro-interessati. In alcune leggi speciali l’esigenza di una valutazione attenta anche dell’interesse pubblico è strettamente sottolineata, anche con formule improprie. Es. art. 95 L. 180/2015 per l’impugnazione di provvedimenti adottati per la risoluzione di crisi bancarie: l’art. prevede che salva prova contraria la loro sospensione si presume contraria all’interesse pubblico. In ogni caso, il giudice amministrativo deve effettuare una valutazione comparata di tutti gli interessi in gioco. Qualora possano derivare degli effetti irreversibili dalla concessione della misura, l’art. 55 c.p.a. ammette che la concessione o il diniego della misura cautelare possano essere subordinati al pagamento di una cauzione. La cauzione NON è ammessa però quando siano in gioco interessi essenziali della persona, quali il diritto alla salute o all’integrità dell'ambiente, per evitare che la tutela di questi interessi fondamentali possa risultare subordinata a fattori di ordine economico. 2. LA TIPOLOGIA E I CONTENUTI DELLE MISURE CAUTELARI. La tutela cautelare nel processo amministrativo si è incentrata a lungo in una misura tipica e generale, la sospensione del provvedimento impugnato. Oggi, il codice sul processo amministrativo ha previsto che la tutela cautelare non si risolva più in una misura tipica, quella della sospensione, ma si attua anche con altre misure, di contenuto atipico, modellate sul caso concreto (55 c.p.a.). Sono state ammesse tutte le misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso. 70 In questo contesto rimane comunque ferma l’esigenza di considerare alcuni limiti generali ai poteri cautelari del giudice amministrativo. In primo luogo, una misura cautelare, anche se coni contenuti più ampi previsti dal codice, non può determinare, neppure in via di fatto, la definizione del giudizio. Altrimenti la tutela cautelare si configurerebbe, nel processo amministrativo, in termini incompatibili con il principio di strumentalità: non assegnerebbe solo utilità funzionali alla decisione di quel giudizio ma lo definirebbe direttamente. In secondo luogo, si dubita della possibilità per il giudice amministrativo di definire, seppure in via cautelare, l’assetto di interessi che sia demandato dalla legge alla discrezionalità amministrativa. 3. LA PROCEDURA ORDINARIA. Presentazione della domanda: La domanda di una misura cautelare è presentata dal ricorrente (o da altra parte interessata) al giudice adito per il ricorso principale. Serve un’istanza scritta all’interno del ricorso o con atto successivo all’instaurazione del giudizio da notificare alla PA resistente e ai contro-interessati. La notifica ai contro-interessati è funzionale alla garanzia del contraddittorio con tutte le parti necessarie: per questo motivo, il codice ha chiarito che il giudice amministrativo può provvedere sull’istanza cautelare solo a seguito dell’integrazione del contraddittorio con tutte le parti del giudizio. Prima dell’integrazione del contraddittorio il giudice può solo assumere misure cautelari provvisorie- interinali, soggette ad essere riesaminate, una volta che tutte le parti necessarie siano state evocate in giudizio. Decisione sulla domanda: Sulla domanda cautelare provvede il collegio in camera di consiglio, decorsi almeno 20 giorni dalla notifica dell’istanza e 10 giorni dal suo deposito (55.5 c.p.a.). => I termini sono funzionali alla garanzia del contraddittorio. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a 2 giorni prima della camera di consiglio, ma possono costituirsi per la trattazione orale anche soltanto in camera di consiglio, mentre i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta sono sentiti in camera di consiglio. La richiesta di una misura cautelare non può essere trattata fino a quando non sia stata depositata un’istanza di fissazione dell’udienza di discussione (lo scopo è quello di evitare che la parte, ottenuta la misura cautelare, non coltivi più il giudizio e prolunghi al massimo gli effetti della misura ottenuta). Se viene concessa la misura, il collegio, nella medesima ordinanza, fissa l'udienza di discussione del ricorso. Il collegio deve in primo luogo verificare la propria competenza, infatti l’inderogabilità della disciplina della competenza territoriale dei Tar comporta anche la preclusione per il giudice di adottare misure cautelari in controversie demandate alla competenza di un altro Tar. => La violazione di questa regola costituisce motivo di gravame contro l’ordinanza. Sulla richiesta di misura cautelare il collegio provvede con un’ordinanza motivata, pubblicata mediante deposito in cancelleria. L'obbligo di motivazione in passato spesso non veniva rispettato. => Ora l’art. 55.9 c.p.a. ribadisce la necessità che le pronunce cautelari siano motivate e si precisa che /a motivazione deve estendersi alla valutazione del pregiudizio allegato dalla parte istante (periculum) e deve indicare i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull'esito del ricorso (fimus). Nell’ordinanza che provvede sulla domanda cautelare il giudice liquida anche le spese (vero, siamo in una fase solo incidentale del giudizio, ma in questo modo si vuole evitare il ricorso alla tutela cautelare poco serio e generalizzato). Nel corso dell’esame dell’istanza cautelare il codice prevede che il collegio possa adottare i provvedimenti istruttori utili per il giudizio e per l’integrità del contraddittorio, tuttavia tale attività è subordinata a un'iniziativa di parte. 71 Si è affermata la tendenza a collegare la fase cautelare con quella della decisione del ricorso. Infatti il collegio, se ritiene che l’istanza cautelare sia fondata e nello stesso tempo che le ragioni per la tutela cautelare possano essere soddisfatte con una decisione sollecita del ricorso, può limitarsi a fissare la data dell’udienza di discussione. È poi possibile che, sussistendo le condizioni di cui all’art. 60 c.p.a. il collegio possa definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata. Una disciplina analoga vale anche quando la tutela cautelare venga chiesta per la prima volta dinanzi al Consiglio di Stato. 4. TUTELA CAUTELARE NEI CASI DI PARTICOLARE URGENZA La pronuncia sull’istanza cautelare è ordinariamente di competenza del Collegio. Se sussistono situazioni di estrema gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, la misura può essere richiesta al Presidente del Tar o della sezione cui il ricorso principale è stato assegnato, previa notifica dell’istanza alle altre parti. Il presidente, verificata la competenza, provvede con un decreto motivato, non impugnabile ma revocabile. Il decreto resta efficace sino all’ordinanza del collegio, al quale va sottoposta l’istanza cautelare nella prima camera di consiglio utile (56 c.p.a.). => Si tratta dunque di una misura solo provvisoria. La notifica alla PA resistente e ad almeno uno dei contro-interessati serve a garantire il contraddittorio. Le parti possono chiedere così di essere sentiti dal Presidente prima dell’adozione del decreto, fuori udienza e senza formalità, anche separatamente. Questa disciplina trova attuazione anche di fronte al Consiglio di Stato. Tutela cautelare ante causam: Il codice del processo amministrativo ha esteso la possibilità di una tutela cautelare ante causam (art. 61 c.p.a.): in caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso chi sia legittimato a proporre un ricorso può presentare un’istanza al Presidente del Tar e chiedere l’adozione di misure cautelari interinali, necessarie per assicurare la tutela fino a quando non possa essere proposto il ricorso e non possa essere trattata l’istanza cautelare nelle forme ordinarie. Anche in questo caso l’istanza va notificata alla PA e ad almeno uno dei contro-interessati. Il Presidente, verificata la competenza, provvede con decreto sentite, ove possibile, le altre parti e omessa ogni formalità. Il decreto deve essere notificato entro un termine non superiore ai 5 giorni. Se la misura cautelare viene concessa, il ricorso con la domanda cautelare va notificato alle altre parti e depositato dinanzi al Tar nel rispetto di termini molto ridotti. => La misura cautelare è destinata a valere sino alla pronuncia cautelare collegiale, successiva alla notifica del ricorso. 5.I RIMEDI AMMESSI CONTRO LE ORDINANZE CAUTELARI. L'ordinanza cautelare adottata dal collegio di regola ha effetto sino a quando non sarà emessa la sentenza che definisce quel grado di giudizio. Se il giudizio si estingue, l’efficacia viene meno dal momento della pronuncia di estinzione. Una ultrattività limitata della misura cautelare è prevista nel caso in cui venga dichiarato il difetto di giurisdizione o di competenza. In questi casi l’ordinanza cautelare conserva i suoi effetti per un periodo stabilito dalla legge, pari a 30 giorni, così da permettere alla parte di riassumere il processo dinanzi al giudice dotato di giurisdizione o competenza. L’ordinanza che provvede su un’istanza cautelare non fa stato nel giudizio: anche eventuali valutazioni circa la fondatezza dei motivi di ricorso non producono alcun vincolo sulla sentenza. 72 In caso di vertenza sui diritti la sentenza può accertare un diritto soggettivo del ricorrente o condannare all’adempimento di un’obbligazione, pecuniaria o non. Una sentenza di condanna particolare è prevista dall’art. 34.4 c.p.a. per le controversie relative ad obbligazioni pecuniarie. Il giudice amministrativo, quando accoglie la domanda di condanna, se nessuna delle parti gli richiede espressamente di provvedere alla liquidazione, può limitarsi a fissare nella sentenza i criteri per liquidare l’importo dovuto. Entro un termine fissato nella sentenza la parte debitrice ha l’onere di formulare, sulla base di tali criteri, una proposta di pagamento. In mancanza di proposta, o se questa non viene accolta, o se essa sia stata accolta ma il debitore non abbia adempiuto, la liquidazione può essere richiesta dalla parte creditrice nelle forme previste per il giudizio di ottemperanza. => La particolarità sta nel fatto che questa sentenza, senza liquidare il danno, non è comunque una sentenza parziale in senso tecnico. La decisione sull’intera domanda è garantita dal ricorso per ottemperanza. Con riferimento alla tematica del danno assume rilievo il potere del collegio di disporre una particolare pubblicità della sentenza, ove possa contribuire a riparare il danno (90 c.p.a.). Esame della domanda: Ai fini della decisione della vertenza, il giudice amministrativo procede secondo un ordine logico. Decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa (276 c.p.c.+ 76.4 c.p.a.). 1) questioni di mero rito (es tempestività della notificazione del ricorso, nullità del ricorso); 2) questioni relative alla competenza e alla giurisdizione; 3) questioni relative alle condizioni dell’azione; 4) questioni di merito. Ordine delle questioni in presenza di ricorso incidentale: La questione ha riguardato il profilo del ricorso incidentale c.d. escludente, specie in materia di appalti pubblici. Caso: procedura concorsuale, che ammetta un unico vincitore, e il cui esito sia impugnato dal secondo classificato. Il primo classificato propone ricorso incidentale, impugnando una clausola del bando che aveva consentito al secondo classificato di partecipare alla procedura. Con il ricorso incidentale viene messa in discussione l'ammissibilità del ricorso principale: infatti il secondo classificato, se non avesse potuto partecipare alla procedura, allo stesso modo non sarebbe stato neppure legittimato ad impugnarne l’esito finale. Con il ricorso incidentale si può anche contestare la carenza di interesse del ricorrente principale (es il ricorrente incidentale contesta il punteggio assegnato al secondo classificato, prospettando la classificazione dello stesso in una posizione più bassa). => Ad oggi si ritiene che di regola le questioni sollevate con il ricorso incidentale debbano essere esaminate in via prioritaria, quando abbiano ad oggetto la contestazione a ricorrere del ricorrente principale. L’esame del ricorso incidentale non precluderebbe l’esame del ricorso principale, se le questioni sollevate nei due atti siano attinenti alla medesima fase procedimentale e possano risultare decisive ai fini dell’esito positivo della procedura. Assorbimento delle questioni: Si verifica quando le questioni sollevate, pur non essendo collegate fra loro secondo una relazione di pregiudizialità in senso tecnico, seguono comunque un ordine logico, che il giudice deve seguire ai fini della decisione (es. decisioni che siano tra di loro in rapporto di continenza, di subordinazione...dove l’accoglimento di una prima domanda rende superfluo esaminare la seconda). 75 Il giudice amministrativo, tuttavia, è solito disporre frequentemente l’assorbimento dei motivi di ricorso anche senza che sia identificabile un preciso ordine logico fra le questioni sollevate. Per esempio, in presenza di più censure proposte contro un unico provvedimento, spesso si limiti ad esaminare quella più liquida (c.d. assorbimento improprio). Il Consiglio di Stato ha precisato il dovere del giudice di pronunciarsi su tutta la domanda, quindi anche su tutte le censure proposte. Si ammette un assorbimento per ragioni di economia processuale, a condizione che non risulti lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e della funzione pubblica (quindi: ok all’assorbimento ma solo se ragionevole e occorre motivare a riguardo della scelta nella sentenza). 2. LA SENTENZA DI ANNULLAMENTO. Oggetto della sentenza di annullamento: - l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato, in relazione a determinati vizi enunciati nel ricorso; - l’accertamento, che inerisce alla sussistenza di un certo vizio di legittimità di un provvedimento; - l’accertamento della lesione di un interesse legittimo (oggetto principale del giudizio e della sentenza). La sentenza interviene in una vicenda del potere amministrativo, eliminando un atto che costituiva espressione di tale potere ma senza privare la PA del potere stesso. Di regola, il potere amministrativo non si esaurisce per effetto della sentenza che accoglie il ricorso. => Il potere che ha dato luogo al provvedimento impugnato può essere esercitato nuovamente dopo la sentenza di annullamento. Il riconoscimento della permanenza del potere amministrativo e della tendenziale inesauribilità di esso rispetto a una funzione giurisdizionale concernente interessi legittimi pone d’altra parte l’esigenza di salvaguardare il contenuto di accertamento della sentenza. Questa esigenza vale a maggior ragione se si ritenga che tale contenuto inerisca a una lesione di un interesse legittimo (perché la nuova possibilità di esercizio del potere espone il soggetto al rischio di una nuova lesione) ma vale anche se si ritenga che l’accertamento riguardi solo al dato oggettivo del vizio del provvedimento. => A tali esigenze si sono date diverse risposte: - Introduzione dell’azione di adempimento e azioni in cui il giudice amministrativo può condannare la PA ad adottare una condotta specifica o di adottare un certo provvedimento. In questo modo la sentenza neutralizza il margine di decisione della PA. - Azione di annullamento ed effetti obbligatori della sentenza: si impone alla PA un dovere di condotta. Alcuni autori ritengono che la sentenza di annullamento non sia solo costitutiva, perché pone tre ordini di effetti: a) un effetto eliminatorio o caducatorio. Eliminazione della c.d. realtà giuridica del provvedimento annullato. È l’esito naturale dell’azione di annullamento; b) un effetto ripristinatorio. La sentenza di annullamento opera ex tunc, essa pertanto non solo elimina dalla realtà giuridica attuale il titolo che determinava un certo assetto di interessi, ma impone che quell’assetto di interessi sia eliminato fin dall’origine. c) un effetto conformativo: l’accertamento contenuto nella sentenza non può essere disatteso dall’amministrazione. Non si dimentichi che il principio desunto dall’art. 4 c. 2 della L. abolizione del contenzioso amministrativo, sull’obbligo della PA di ottemperare al giudicato, non riguarda solo le sentenze del giudice civile, ma ogni ordine di giurisdizione. Per assicurare l’utilità della sentenza è necessario che la pronuncia limiti la PA anche nella fase successiva di ri-esercizio del potere. Pertanto, nella rinnovazione del procedimento, la PA non può riprodurre il vizio già accertato nella sentenza. 76 Con riferimento ai primi due effetti, l’utilità offerta dall’azione di annullamento è rappresentata innanzitutto dall’eliminazione dell’atto impugnato con effetto retroattivo, ex tune. => Sono però ammesse alcune ECCEZZIONI!25 Per quanto riguarda la possibilità di modulare gli effetti nel tempo della sentenza di annullamento, nel 2011 il Consiglio di Stato, nell’accogliere un provvedimento a protezione della fauna, si limitò a dichiarare l’illegittimità dell’atto, senza annullarlo, invocando l’esigenza di evitare pregiudizi all'ambiente. Nonostante le posizioni critiche a riguardo, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 3/2017) ha sostenuto che va riconosciuto il potere della sola adunanza di limitare nel tempo l’efficacia del principio di diritto da essa enunciata. Circa l’effetto conformativo, normalmente alla luce di una sentenza di annullamento l’effetto conformativo sarà solo in negativo, perché il giudice dichiara che la PA non avrebbe dovuto provvedere in quel certo modo. Talvolta la regola di agire della PA è identificabile anche in positivo: ciò può verificarsi nel caso di azione avverso al silenzio o di azione adempimento. Può accadere anche in caso di annullamento, se la legge impone una sola modalità di agire. => In ogni caso la regola affermata dal giudice è vincolante per la PA. Nigro, sull’utilità dell’effetto conformativo nelle sentenze di annullamento, aveva posto una classificazione delle utilità conseguibili: A)se l’annullamento è stato disposto per un vizio di legittimità sostanziale il vantaggio che ha ottenuto il ricorrente è maggiore, perché l’annullamento per vizi di legittimità impedisce alla PA di emanare un nuovo provvedimento con il medesimo contenuto. B) Viceversa se l’annullamento è disposto per un vizio di legittimità formale, l’annullamento non impedisce l’adozione di un atto dal contenuto identico. Anche la sentenza che rigetta il ricorso per l’annullamento contiene un accertamento, ossia l’insussistenza di un determinato vizio. Ciò non implica che in assoluto il provvedimento sia valido, ma solo che non potrà essere invocato nuovamente quel dato vizio o per chiedere l’annullamento del vizio in via giudiziale o per giustificare un annullamento d’ufficio. 25 ART.95 d. Igs 180/2015 l'annullamento di risoluzione di una crisi bancaria può lasciare impregiudicati gli atti amministrativi o privati adottati in base al provvedimento annullato, fermo restando il diritto del ricorrente al risarcimento del danno Altra ipotesi: in caso di accoglimento del ricorso contro l'aggiudicazione di un contratto pubblico non vengono travolti in modo automatico gli atti adottati in base all’aggiudicazione. In caso di espropriazione annullata, la restituzione dell'immobile è preclusa se l'autorità ha adottato ai sensi dell'art. 42 bis l'acquisizione dell'immobile in questione. TT 4. L'APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO: CONSIDERAZIONI PRELIMINARI. Nel processo amministrativo vige il principio del doppio grado di giurisdizione: Nei confronti delle sentenze dei Tar la parte può proporre l'appello al Consiglio di Stato: - È unrimedio a critica libera, concesso alla parte soccombente per far valere, oltre agli errori e ai vizi, anche la semplice ingiustizia della sentenza di primo grado. - Ha carattere rinnovatorio/sostitutivo, perché la decisione del Consiglio di Stato che accoglie l’appello si sostituisce a quella del TAR (la conferma è data dall’art. 105 c.p.a., che individua i casi tassativi di rimessione degli atti al giudice del primo grado). Legittimazione a proporre appello: Sono legittimati a proporre appello: a) le parti necessarie nel giudizio di primo grado; b) sono del tutto eccezionali le disposizioni come quella del codice dei beni culturali e del paesaggio che, in relazione alle sentenze concernenti ricorsi contro autorizzazioni paesaggistiche attribuiscono la legittimazione ad appellare, oltre che ai soggetti direttamente interessati, anche alle associazioni ambientalistiche, benché non siano state ricorrenti in primo grado; c) È legittimato a proporre l’appello anche l’interventore ad opponendum nel giudizio di primo grado, quando esso risulti titolare di una posizione giuridica autonoma rispetto alle altre parti (102. 2 c.p.a.), altrimenti l’interventore è legittimato a proporre appello solo nei confronti dei capi della sentenza che lo riguardino direttamente, ossia nei confronti dei capi che si pronuncino sull’ammissibilità dell’intervento o sulle spese. La presentazione dell’appello presuppone che il soggetto legittimato abbia interesse ad appellare, in coerenza con i principi sull’esercizio dell’azione. È l’interesse a impugnare una sentenza che produce effetti sfavorevoli per la parte (soccombenza). Il Consiglio di Stato ammette che l’appello possa essere proposto non solo dal soggetto soccombente, ma anche dalla parte vittoriosa in primo grado, nell’ipotesi in cui dall’impugnazione possa conseguire un vantaggio maggiore dall’accoglimento delle censure respinte in primo grado. Riserva di appello: Nei confronti delle sentenze non definitive è possibile proporre la riserva di appello, in alternativa all’appello nei modi visti in precedenza. Anche in questo caso è necessario un ricorso da notificare alla controparte entro il termine fissato per l’appello. Il deposito dell’atto presso il Tar deve avvenire nei successivi 30 giorni. Contenuti dell’appello: Essi vengono indicati nell’art. 101 c.p.a.: - indicazione del ricorrente; - del difensore; - delle parti nei cui confronti è proposto l’appello; - la sentenza di primo grado; - esposizione sommaria dei fatti; - le conclusioni; - sottoscrizione del difensore; - indicazione della procura (in alternativa la sottoscrizione personale del ricorrente, se si tratta di avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori). Nei giudizi di impugnazione è obbligatorio il patrocinio di un avvocato (abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori); - non vanno solo indicati i capi della sentenza gravati dall’appello, ma devono anche essere enunciate /e specifiche censure contro la relativa pronuncia del giudice di primo grado. Quindi, è necessario che l’appello enunci anche la critica ai capi di sentenza appellati. L’appellante non 80 può limitarsi a riprodurre le sue ragioni, già disattese dal giudice di primo grado, ma deve anche formulare una critica specifica alla sentenza di primo grado, ossia le ragioni per le quali ritiene che la sentenza non sia corretta o condivisibile, a pena di inammissibilità. => L’appello si caratterizza per essere diretto a ottenere dal giudice di secondo grado il riesame della vertenza decisa dal giudice di primo grado. Effetto devolutivo dell’appello: Per cui, il giudice d’appello deve poter conoscere e decidere la vertenza con la stessa pienezza del giudice di primo grado. Un effetto devolutivo si può produrre solo nei limiti dell’impugnazione proposta, quindi può riguardare solo questioni risolte nei capi di sentenza che siano stati impugnati. Per la giurisprudenza amministrativa l’effetto devolutivo dell’appello avrebbe una portata limitata: consente al giudice di secondo grado di conoscere d’ufficio i meri argomenti - di diritto e di fatto - esposti dalle parti in ordine alle questioni esaminate e decise, di valutare gli elementi di prova inerenti tali questioni acquisiti nel giudizio di primo grado e di conoscere le istanze istruttorie proposte dalle parti nel giudizio di primo grado. Per quanto riguarda le questioni sollevate dalle parti non si può immaginare un effetto devolutivo. => Ne discende pertanto l’onere delle controparti di proporre l’appello incidentale, perché solo così si potrà estendere l’ambito di cognizione del giudice a capi della sentenza diversi da quelli impugnati con l’appello principale. Il codice dispone che l’appellante ha l’onere di riproporre in appello anche le questioni non assorbite e comunque non esaminate nella sentenza, precisando che altrimenti devono ritenersi rinunciate. Un onere simile vale anche per le altre parti, le quali però non sono tenute a notificare un appello incidentale, essendo sufficiente riproporre le questioni assorbite con una memoria da depositare a pena di decadenza entro il termine di costituzione in giudizio Disciplina dei “nova”, il codice conferma che con l’appello al Consiglio di Stato non è ammessa la presentazione di nuovi motivi di ricorso contro il provvedimento impugnato in primo grado, né di altre domande. Sono invece ammessi anche in grado di appello i motivi aggiunti, per far valere i vizi che emergano da documenti conosciuti per la prima volta solo in grado di appello rispetto ai documenti già impugnati dinanzi al Tar. La possibilità di proporli, pur rappresentando una deroga al principio del doppio grado, si giustifica per il fatto che essi concernono vizi che la parte non aveva potuto dedurre prima, perché non era stata posta nelle condizioni di conoscerli. => Proporre in appello motivi aggiunti non risulta in contrasto con il divieto di nova in appello. Nel grado di appello possono essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza di primo grado, nonché il risarcimento del danno subito dopo la sentenza. La possibilità di chiedere il risarcimento del danno subito per effetto del provvedimento amministrativo impugnato per la prima volta in secondo grado va esclusa. Per quanto riguarda le eccezioni nuove, il codice ammette in grado di appello solo quelle rilevabili d’ufficio.Nel grado di appello le parti non possono dedurre nuovi mezzi di prova o produrre nuovi documenti. Salvo due eccezioni: - le nuove prove sono ammesse nel caso in cui il Collegio le ritenga indispensabili per la decisione; - nel caso in cui la parte dimostri di non aver potuto produrle o dedule nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. 81 5. (SEGUE) LO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E LA DECISIONE. Lo svolgimento del giudizio di appello avanti al Consiglio di Stato è regolato dalle disposizioni sul giudizio di primo grado, che sono espressamente richiamate anche per i giudizi di impugnazione (art. 38 c.p.a.). La notifica dell’appello deve essere richiesta, di regola, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza o entro 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza, se non sia stata notificata. L’appello deve essere notificato alle parti del giudizio di primo grado identificate ex art. 95 c.p.a., siano esse costituite o non, nei luoghi indicati dall’art. 93 c.p.a.. Se l’atto non è notificato a tutte le parti, ma almeno ad una, l’appello non è inammissibile, ma il Consiglio di Stato ordina l’integrazione del contraddittorio. Nei 30 giorni successivi alla notifica, il ricorso deve essere depositato presso la segreteria del Consiglio di Stato. Col deposito, si perfeziona la costituzione in giudizio dell’appellante e si verifica la pendenza del giudizio. => L'appello NON comporta di per sé la sospensione dell’esecutività della sentenza: il Consiglio di Stato può disporre la sospensione in seguito all’istanza dell’appellante contenuta nell’appello o in altro atto notificato alle altre parti. Il procedimento cautelare segue la disciplina prevista per le misure cautelari proposte in primo grado. Gli appellati possono costituirsi in giudizio mediante una memoria di costituzione (controricorso) entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’appello. => Si tratta di un termine ordinatorio. È invece perentorio il termine per proporre eventuali domande o eccezioni rimaste assorbite o non esaminate in primo grado (101.2 c.p.a.). È perentorio anche il termine per proporre l’appello incidentale (60 gg — 42 c 2 c.p.a.). => L'appello incidentale va notificato all’appellante. È ammesso l’intervento ad adiuvandum e ad opponendum anche in grado di appello. Circa l’istanza di fissazione dell’udienza, la fase conclusiva del giudizio, la discussione dell’appello, la decisione, vale la stessa disciplina già esaminata per il giudizio di primo grado. I giudizi contro le pronunce del Tar che abbiano declinato la giurisdizione o la competenza, laddove l’appello verta in sostanza su una sola questione, si svolgono con rito camerale (105 c.p.a.) L’art. 99 disciplina il deferimento di questioni all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. L’adunanza plenaria si pronuncia sui giudizi che le sono deferiti : - in seguito a una rimessione disposta dalla sezione del Consiglio di Stato: la rimessione è determinata dalla circostanza che in discussione sia un punto di diritto che abbia dato luogo o che possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali. - Oppure in seguito a rimessione disposta direttamente dal Presidente del Consiglio di Stato: può essere disposta anche per la particolare importanza del punto di diritto da affrontare. L’adunanza, nel decidere, può pronunciarsi sull’intera controversia, oppure può limitarsi ad enunciare il principio di diritto rispetto al punto oggetto della rimessione e restituire gli atti alla sezione per la decisione della controversia. Infine, l’adunanza può enunciare un principio di diritto nell'interesse della legge, quando ravvisi la particolare importanza della questione sottopostale e, per ragioni processuali, non possa pronunciarsi sul merito. Nel 2017 l’Adunanza plenaria ha affermato di essere legittimata a modulare gli effetti nel tempo delle sue pronunce, in presenza di due condizioni: necessità di tutelare i principi costituzionali ed l’esclusione della retroattività solo per quanto strettamente necessario ad assicurare il contemperamento dei valori in gioco. Rispetto a un punto di diritto già oggetto di rimessione, le singole sezioni del Consiglio di Stato non possono discostarsi nelle loro pronunce successive dall’interpretazione accolta dall’ Adunanza plenaria. => Se una sezione ritiene di non condividere tale interpretazione, deve rimettere il giudizio 82 Si tratta del soggetto al quale non sia opponibile la sentenza e che sia titolare di una posizione giuridica non dipendente da quella delle parti in causa e non passibile di essere soddisfatta unitamente a quella della parte vittoriosa (per questo incompatibile). In passato la giurisprudenza amministrativa aveva ammesso l’opposizione dei contro-interessati che fossero tali solo in senso sostanziale o dei soggetti legittimati all’intervento ad opponendum in forza di una posizione autonoma. Questa possibilità è frutto di un’interpretazione elastica del termine di incompatibilità, che non sono rappresentati solo dalla pretesa a un diritto o a un beneficio indivisibile ma che rispecchiano in generale la possibilità che rispetto a un provvedimento amministrativo siano configurabili risultati di segno opposto per diversi soggetti coinvolti.26 La giurisprudenza amministrativa, già prima dell’entrata in vigore del codice, aveva sostenuto che la legittimazione a proporre l’opposizione di terzo dovesse riconoscersi anche a un’altra categoria di soggetti: “il contro-interessato - o il litisconsorte necessario - pretermesso”. Questa soluzione è rimasta ferma. Il codice non detta disposizioni sui termini per proporre l’opposizione di terzo ordinaria. Dovrebbero pertanto valere le norme generali, che però assoggettano le impugnazioni a un termine di decadenza decorrente dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza. Il problema è che il terzo rischia di non conoscere la sentenza entro il termine utile per proporre l’impugnazione. Si comprende così perché parte della giurisprudenza tenda ad escludere la vigenza dei termini di decadenza per l’ opposizione di terzo. Il codice ha disciplinato il rapporto fra l’opposizione di terzo e l'appello: in base al codice il terzo può proporre soltanto l’opposizione. Questa è diretta al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Se è già stato proposto l’appello, il terzo deve introdurre la sua domanda intervenendo nel giudizio di appello. Se una parte propone l’appello dopo che il terzo ha già proposto l’opposizione, il giudice dell’opposizione deve fissare un termine al terzo perché intervenga nell’appello e l’opposizione diventa improcedibile. È disciplinata dal codice anche l’opposizione di terzo revocatoria: possono proporla i creditori e gli aventi causa di una parte. Sono tutelati così i titolari di una posizione dipendente che, in quanto tali, non possono proporre un’opposizione di terzo ordinaria. Essi possono proporre opposizione soltanto nei confronti della sentenza che sia effetto di dolo o collusione a loro danno. 8. IL RICORSO PER CASSAZIONE PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE Nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato è ammesso il ricorso alla Corte di cassazione per motivi di giurisdizione: per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Il ricorso alla Corte di cassazione è ammesso per denunciare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa. La violazione in questione può concretarsi: © per erronea declinatoria di giurisdizione; © per accoglimento di un ricorso in ipotesi esorbitanti rispetto alla giurisdizione amministrativa; = nel caso in cui il giudice amministrativo abbia deciso una questione riservata alla PA, o devoluta a un giudice ordinario o a un altro giudice speciale; = nel caso in cui abbia declinato la propria giurisdizione in ipotesi in cui, invece, la questione sarebbe stata di sua competenza. 26 Si pensi, ad esempio, al vicino rispetto a una sentenza che ha annullato il diniego del permesso di costruire riconoscendo l'edificabilità dell’area. 85 La giurisprudenza della Corte di cassazione negli ultimi anni ha inteso lo sconfinamento del giudice amministrativo nel merito con maggiore larghezza. Si era sviluppata una tendenza a interpretare in modo estensivo la condizione dei motivi inerenti alla giurisdizione per il ricorso contro le decisioni del Consiglio di Stato => esempio: la Cassazione ha censurato l’indirizzo del GA di ritenere inammissibili le domande di risarcimento per lesione di interessi legittimi proposte senza che fossero stati tempestivamente impugnati i provvedimenti lesivi - cd. pregiudizialità amministrativa. La Cassazione aveva sostenuto che in questi casi il Consiglio di Stato avesse rifiutato di esercitare la propria giurisdizione e che tale rifiuto integrasse ‘una questione di giurisdizione. La Cassazione inoltre, in altra occasione, ha ritenuto che possa integrare un difetto di giurisdizione anche la sentenza del Consiglio di Stato che disattende l’interpretazione di alcune norme comunitarie rese dalla Corte di giustizia. Si tratta in realtà di un tentativo della Corte di cassazione di ridefinire i rapporti complessivi con la Giurisdizione amministrativa. Sul punto è intervenuta anche la Corte costituzionale: secondo la Corte il sindacato della Corte di cassazione in materia di giurisdizione è definito in modo tassativo dall’art. 111 cost, con un’espressione che rinvia solo ai limiti esterni della giurisdizione. Pertanto è inammissibile, per mancanza di legittimazione del giudice a quo una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione in un giudizio concemente una sentenza del Consiglio di Stato impugnata dinanzi alla Corte di cassazione per asserita violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo. La disciplina processuale del ricorso contro le sentenze del Consiglio di Stato per motivi di giurisdizione è dettata dal Codice di procedura civile. Il ricorso va proposto nei termini previsti per il ricorso per cassazione (60 giorni dalla notifica della decisione o 6 mesi dal deposito). Quando si impugna una sentenza del Consiglio di Stato, sulla questione di giurisdizione si pronuncia la Corte di Cassazione a sezioni unite. Le sezioni semplici possono pronunciarsi solo se si tratta di questione di giurisdizione identica ad altra su cui le sezioni unite si sono già pronunciate. Il Codice del processo amministrativo ha introdotto la possibilità di sospensione dell’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, in pendenza del ricorso per cassazione (111 c.p.a.). AI procedimento si applica la disciplina prevista per la tutela cautelare nel processo amministrativo dagli artt. 55 e ss. La sospensione è disposta dallo stesso Consiglio di Stato. 86 CAPITOLO 14: I RITI SPECIALI 1.I RITI SPECIALI NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. Prima dell’entrata in vigore del codice sul processo amministrativo esistevano una pluralità di discipline particolari. => Il codice ha perseguito un obiettivo di semplificazione, riducendo il numero dei riti speciali o riconducendo alcune tipologie di vertenze alla disciplina processuale generale. Il codice del processo amministrativo ammette la possibilità del cumulo di domande di per sé assoggettate a riti diversi, prevedendo in via generale che queste possano essere proposte nello stesso giudizio, con prevalenza in via generale del rito ordinario (32 c. 1 c.p.a.). Nel caso di DOMANDE CONNESSE, di cui alcune assoggettate al rito ordinario e altre a riti speciali, l’intero giudizio deve essere trattato e definito secondo le regole del rito ordinario. Questa regola generale però è limitata nella sua portata in concreto: infatti, se una domanda va assoggettata a uno dei riti abbreviati previsti dall’art. 119 c.p.a. e ss, l’intero giudizio deve essere definito secondo il rito speciale. In concreto, la regola generale assume rilievo soprattutto per il giudizio sul silenzio, rispetto al quale però è stata introdotta per il cumulo delle domande anche una disciplina particolare. Le disposizioni dei riti speciali hanno carattere derogatorio rispetto alla disciplina generale del processo amministrativo. Di conseguenza, per quanto non diversamente disposto, anche alle controversie assoggettate ai riti speciali si applicano le disposizioni del libro II del codice sul processo amministrativo (art. 38). 2.IL GIUDIZIO IN MATERIA DI ACCESSO. L’art. 116 c.p.a. prevede una disciplina speciale per il giudizio a tutela del diritto di accesso ai documenti amministrativi. Il diritto di accesso è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 241/90. La garanzia di tale diritto era devoluta al giudice amministrativo e sottoposta a un rito speciale (art. 25 L. 241/90). Successivamente, è stata introdotta una forma di tutela alternativa a quella giurisdizionale: il cittadino può infatti presentare un’istanza amministrativa indirizzata alla commissione per l’accesso o al difensore civico volta ad ottenere il riesame della richiesta di accesso non accolta dall’amministrazione. L’istanza non comporta rinuncia alla tutela giurisdizionale, perché il ricorso può essere proposto in un secondo tempo, dopo la decisione della Commissione o del Difensore civico. Accesso civico: Negli ultimi anni è stata introdotta una nuova tipologia di accesso (d. lgs 33/2013): si tratta di un diritto di accesso riconosciuto a chiunque con riferimento agli atti che la PA ha l’obbligo di pubblicare, nel caso in cui tale pubblicazione sia stata omessa (accesso civico semplice). Nel 2016 è stato poi inserito il c.d. accesso civico GENERALIZZATO, che consente a chiunque di chiedere l’accesso ai documenti e ai dati detenuti dalle PA, diversi da quelli soggetti all’obbligo di pubblicazione, nel rispetto però della tutela degli interessi giuridicamente rilevanti individuati dalla legge. Anche queste due tipologie di accesso sono sempre soggette al rito speciale previsto ex art. 116 c.p.a. => Sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva. La disciplina in tema di accesso è caratterizzata da vari elementi di semplificazione, i quali sono: * si segue il rito camerale; si può stare in giudizio personalmente; la PA può farsi rappresentare da un proprio dipendente.; Il ricorso deve essere proposto entro 30 giorni dalla comunicazione del rifiuto all’accesso, ovvero dalla formazione del silenzio dell’amministrazione. È quindi necessario sempre che ci sia stata un’istanza del privato alla PA e che questa sia stata rigettata. La tutela giurisdizionale ha carattere successivo; Il ricorso va notificato entro 30 giorni alla PA e ad almeno uno dei contro-interessati; 87 5. IL RITO ABBREVIATO E disciplinato dall’art. 119 c.p.a.. La norma disciplina una serie cospicua di ricorsi, che investono atti di particolare importanza amministrativa, o economica e sociale. Applicazione: - ricorsi proposti contro i provvedimenti in tema di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture; -_ ricorsi al giudice amministrativo contro gli atti delle autorità amministrative indipendenti; - ricorsi concernenti i provvedimenti di privatizzazione o dismissione delle imprese o beni pubblici; - ricorsi concementi le procedure espropriative o di occupazione di urgenza; - ricorsi dell’autorità garante della concorrenza e del mercato contro gli atti amministrativi che determinino distorsioni della concorrenza ecc... Obiettivo dell’accelerazione del giudizio: - dimezzamento dei termini processuali, ad eccezione di quelli stabiliti per la notifica del ricorso principale, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti; - nella fase cautelare del giudizio, per evitare che una misura cautelare possa determinare una paralisi per l’attività amministrativa e così pregiudicare interessi pubblici primari, il Tar (nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza) se ritiene a un primo esame che il ricorso possa essere accolto e che vi sia il rischio di un danno grave e irreparabile, dispone con ordinanza che la discussione del ricorso nel merito si tenga nella prima udienza successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dal deposito dell’ordinanza stessa. La fissazione dell’udienza di discussione a così breve distanza dalla presentazione del ricorso dovrebbe assorbire in genere, l’interesse del ricorrente a una misura cautelare. La possibilità di una tutela cautelare non può essere però esclusa del tutto, pertanto il legislatore ha previsto che in caso di estrema gravità e urgenza, il collegio possa disporre subito le misure cautelari opportune (119 c. 4 c.p.a.). Si tenga però presente che anche nei giudizi in esame rimane comunque ferma la possibilità di definire il giudizio nella camera di consiglio fissata per l'esame dell’istanza cautelare, ai sensi dell’art. 60 c.p.a, e cioè con sentenza in forma semplificata (60 c.p.a.); - Il dispositivo della sentenza è pubblicato entro 7 giorni dopo che il collegio abbia maturato la decisione del ricorso, purché almeno una parte ne abbia fatto richiesta nel corso dell’udienza. - La pubblicazione del dispositivo della sentenza produce tutti gli effetti caducatori e ripristinatori propri della pubblicazione della sentenza. => Es: se si accoglie azione di annullamento, cessano dalla pubblicazione del dispositivo gli effetti del provvedimento impugnato. Appello al Consiglio di Stato: E’ consentito alla parte interessata di proporre appello al Consiglio di Stato direttamente nei confronti del dispositivo della sentenza entro 30 giorni dalla sua pubblicazione, al fine di ottenere la sospensione. In questo caso la parte ha l’onere di notificare in un secondo tempo i motivi di appello, una volta conosciuta la motivazione della sentenza. L’impugnazione del dispositivo configura comunque una mera facoltà: la parte può pertanto scegliere di attendere per l’appello di conoscere la motivazione della sentenza. La disciplina stabilita per il giudizio di primo grado si applica anche nel giudizio avanti al Consiglio di Stato, nel caso di appello contro la sentenza. 90 6. IL GIUDIZIO SULLE PROCEDURE CONTRATTUALI. La disciplina del rito abbreviato si estende anche alle: - controversie concementi gli atti delle procedure di affidamento di contratti di concessione e di appalti di lavori, servizi e forniture. Tali contratti sono oggi regolati dal d. lgs. 50/2016 e vengono comunemente designati con il termine di contratti pubblici; = controversie concernenti le procedure per l’affidamento degli stessi contratti da parte di soggetti privati che però in forza di una disposizione nazionale o comunitaria, siano tenuti ad applicare per le loro attività contrattuali le procedure stabilite per la PA. Gli ELEMENTI SIGNIFICATIVI della disciplina in esame sono dati dal fatto che: a) una volta intervenuta l’aggiudicazione a favore di un concorrente, la PA non può procedere alla stipula del relativo contratto, se non sia decorso un termine dilatorio di 35 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva agli altri concorrenti (stand still period); b) è ammessa solo la tutela dinanzi al GA e NON è ammesso il ricorso straordinario; c) il ricorso per l’annullamento di atti della procedura contrattuale va notificato entro un termine di 30 giorni. Il termine decorre: “per l’impugnazione del bando o degli avvisi di gara: dalla loro pubblicazione; - per l’impugnazione di un’esclusione dalla procedura di gara e per l’impugnazione dell’aggiudicazione: dalla comunicazione dei relativi atti effettuata dalla PA ai concorrenti. = in mancanza di queste forme di pubblicità o di comunicazione: il termine decorre dalla piena conoscenza del provvedimento. => Ai sensi dell’art. 120 c. 2 c.p.a. il ricorso non può più essere proposto trascorsi 6 mesi dalla data di sottoscrizione del contratto. Notifica del ricorso: la notifica del ricorso che sia stato proposto contro l’aggiudicazione di un contratto pubblico e che contenga l’istanza cautelare ha un effetto sospensivo: di regola, l’amministrazione per 20 giorni dalla notifica non può stipulare il contratto. L'effetto sospensivo si salda con il termine dilatorio decorrente dalla comunicazione ai concorrenti dell’esito dell’aggiudicazione, così da consentire al ricorrente di ottenere una pronuncia sull’istanza cautelare prima che sia stipulato il contratto (secondo termine di stand still). Il ricorso cautelare è soggetto a una duplice notifica: oltre all’ Avvocatura di Stato, il ricorso va notificato anche all’organo dell’amministrazione statale che ha proceduto alla aggiudicazione. Ed eventuali nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara vanno impugnati con i motivi aggiunti. La norma configura un vero e proprio onere di proporre motivi aggiunti, anziché un ricorso separato. I motivi aggiunti vanno proposti nel termine di 30 giorni, ossia nello stesso termine ridotto previsto anche per il ricorso principale. Un termine di 30 giorni dalla notifica del ricorso principale vale anche per il ricorso incidentale: => Se è stata proposta istanza cautelare, il giudizio può essere definito nella fase cautelare, secondo le regole generali. La misura cautelare può essere subordinata alla prestazione di una cauzione, per cui: a) L'udienza può essere fissata anche d’ufficio, senza istanza di parte, entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione della PA e dei contro-interessati. b) Entro 30 giorni dall’udienza di discussione deve essere depositata la sentenza. Ciascuna parte può chiedere che sia pubblicato anticipatamente il dispositivo, che in tal caso va pubblicato entro 2 giorni dall’udienza. c) La sentenza di regola è redatta in forma semplificata. 91 Contenuto ed effetti della sentenza: Il codice del processo amministrativo ha assegnato al giudice amministrativo che annulli l’aggiudicazione anche il potere di dichiarare l’inefficacia del contratto (121 ss c.p.a.)) La dichiarazione di inefficacia del contratto inerisce a situazioni tipicamente di diritto soggettivo, ma le controversie in esame, concernenti gli atti delle procedure amministrative per l’affidamento dei contratti pubblici, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. => Si tratta, di una previsione speciale che non vale per le altre attività negoziali dell amministrazione. effetti tra le parti); C) In altri casi è rimesso al prudente apprezzamento del giudice se dichiararla o meno, in relazione alle circostanze concrete e sulla base di criteri stabiliti dalla legge e stabilendo se l’inefficacia travolga solo le prestazioni ancora da eseguire o se operi invece anche in via retroattiva. => Nel caso in esame, invece, non si configura alcun intervento sostitutivo da parte del giudice. Nell'ipotesi in cui il giudice non dichiari l’inefficacia del contratto, il rapporto contrattuale prosegue fra le parti, senza che il ricorrente possa pretendere una rinnovazione della procedura di aggiudicazione. Il pregiudizio subito dal ricorrente può essere oggetto solo di risarcimento per equivalente (124 c.p.a.). È tutt'ora controverso se la dichiarazione dell’inefficacia del contratto sia subordinata a una domanda del ricorrente (come appare coerente con il principio della domanda, che regge il processo amministrativo) o se possa intervenire d’ufficio (come è stato sostenuto soprattutto per i casi in cui la legge non demanda all’apprezzamento del giudice la dichiarazione di inefficacia). Il ricorrente, in ogni caso può chiedere (oltre all’annullamento dell’aggiudicazione illegittima) di conseguire l’aggiudicazione e il contratto. L’accoglimento di tale domanda ovviamente presuppone che il giudice dichiari l’inefficacia del contratto. Se il ricorso viene accolto ma non viene dichiarata l’inefficacia del contratto, il ricorrente ha solo diritto al risarcimento per equivalente. Se però il ricorrente senza giustificato motivo NON richiede di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, o non si rende disponibile a subentrare nel contratto che sia già in corso di esecuzione, il giudice ne tiene conto, ai fini della liquidazione del risarcimento ai sensi dell’art. 1227 c.c. perché la parte, attraverso il conseguimento dell’aggiudicazione del contratto o il subentro, avrebbe potuto attenuare il danno subito. Anche la domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto a parere di molti non comporterebbe un’estensione significativa dell’ordinario ambito di indagine del giudice amministrativo. Il GA dovrebbe verificare che sussista l’illegittimità dell’aggiudicazione e se la PA avrebbe dovuto aggiudicare il contratto al ricorrente. Il giudice deve stabilire se, alla stregua di tali vizi, l’aggiudicazione avrebbe potuto o dovuto intervenire a favore del ricorrente. La statuizione del giudice si sovrappone anche su di un ambito che normalmente è proprio dell’effetto conformativo o rinnovatorio della sentenza di annullamento. 92 8. IL GIUDIZIO PER L'EFFICIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE Il d. lgs. 198/2009 ha introdotto un rito speciale per i ricorsi per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari dei servizi pubblici. L’obiettivo di tale azione è quello di assicurare un corretto svolgimento di una funzione amministrativa, nel caso di mancata emanazione di atti generali o di una scorretta erogazione di un servizio. Il processo in materia è assoggettato a una disciplina particolare, per l’esigenza di assicurare la possibilità di intervenire in giudizio sia per i soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente, sia per il dirigente responsabile dell’ufficio coinvolto (tale soggetto ha un proprio interesse personale ad intervenire in quanto l’accoglimento del ricorso potrebbe comportare l’avvio di un’azione di responsabilità o per una valutazione negativa nei suoi confronti). Si tenga presente che l’intervento di quanti si trovino nella medesima situazione giuridica del ricorrente ha carattere di intervento autonomo. D’altra parte, in discussione nel giudizio non è l’impugnazione di un provvedimento, ma è la pretesa al corretto svolgimento di una funzione amministrativa o alla corretta erogazione del servizio. Il giudice, se accoglie il ricorso, ordina all’amministrazione di porre rimedio all’inefficienza accertata entro un termine “congruo”. Sussiste sempre la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 95 CAPITOLO 15: IL GIUDICATO AMMINISTRATIVO E L’ESECUZIONE DELLA SENTENZA 1. IL GIUDICATO AMMINISTRATIVO Passaggio in giudicato formale della sentenza: si ha quando nei confronti di essa non è più ammessa un’impugnazione c.d. ordinaria, ossia: - l’appello al Consiglio di Stato; - il ricorso alla Corte di Cassazione per motivi di giurisdizione; - la revocazione nei casi previsti dall’art. 395 n. 4 e 5 c.p.c. Nei confronti della sentenza del giudice amministrativo passata in giudicato sono proponibili SOLO: © il ricorso per revocazione nei casi previsti dall’art. 395 n. 1, 2,3 6c.p.c.; - l’opposizione di terzo. Gli Effetti del passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo: - giudicato SOLO INTERNO: la sentenza vincola solo le ulteriori fasi di quel procedimento =>sentenze di RITO; - giudicato SOLO ESTERNO: la sentenza comporta un vincolo anche rispetto a giudizi diversi che possano instaurarsi fra le medesime parti, nei quali assuma rilevanza la medesima questione => sentenza di MERITO. Limiti oggettivi del giudicato: Le sentenze di merito si pronunciano sulla situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio. Con il passaggio in giudicato, le loro statuizioni acquistano valore di giudicato SOSTANZIALE (2909 c.c.). Sono emersi dei dubbi sulla collocazione di alcuni tipi di sentenze: => come le sentenze sulle condizioni dell’azione, si osserva che in realtà queste fanno applicazione di regole di diritto sostanziale. Ciò riguarda, in particolar modo, la legittimazione a ricorrere, ossia la titolarità dell’interesse qualificato che si fa valere in giudizio. Una sentenza del genere non avrebbe rilievo meramente processuale, perché afferma anche l’insussistenza della posizione sostanziale dedotta in giudizio. Cessazione della materia del contendere: si ha quando nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta (es. ricorso avverso l'annullamento di un atto e nelle more la PA annulla in autotutela). In questo caso l’accertamento svolto dal giudice non riguarderebbe solo un fatto processuale ma si estenderebbe a profili di ordine diverso, rappresentati dall’idoneità del nuovo provvedimento a soddisfare l’interesse sostanziale del ricorrente. Limiti soggettivi del giudicato: Il giudicato amministrativo di regola vale solo tra: = le parti; = i loro successori e aventi causa, Se l’atto amministrativo viene annullato, il giudicato amministrativo, se si tratta di atto amministrativo con contenuto inscindibile o indivisibile, vale anche nei confronti di tutti i soggetti destinatari degli effetti dell’atto annullato, MA SOLO per gli effetti eliminatori o caducatori della sentenza di annullamento, e non anche quelli ripristinatori o confermativi (a.p. 4/2019). In siffatte ipotesi, l’annullamento avrebbe effetti erga omnes. A questa giurisprudenza, che ammette gli effetti ultra partes dell’annullamento e del giudicato amministrativo in generale, si oppone chi propone di affrontare i problemi creati dall’annullamento di atti indivisibili attraverso la distinzione tra effetti dell’annullamento ed autorità del giudicato. L’annullamento dell’atto generale comporta il venir meno di tutte le utilità prodotte da questo atto. Invece, il giudicato fa stato solo fra le parti processuali. 96 Di conseguenza, a quanti non siano anche stati parti nel giudizio non potrebbe essere opposto il giudicato: essi possono risentire invece degli effetti dell’annullamento (ciò significa che in un successivo giudizio le questioni inerenti alla legittimità del provvedimento e alla lesione dell’interesse legittimo potrebbero essere riproposte da chi non fu parte nel primo giudizio, senza che possa essere opposto nei loro confronti il passaggio in giudicato della precedente sentenza di annullamento). 2. L'ESECUZIONE DELLA SENTENZA (IN GENERALE) La sentenza del Tar è immediatamente esecutiva. Se non è intervenuta la sospensione della sentenza, la PA è tenuta a dare esecuzione alla pronuncia del giudice, adottando tutti i comportamenti e gli atti necessari per portare a compimento quanto in essa disposto, anche se abbia proposto appello. Il dovere della PA di dare esecuzione alla sentenza va ricostruito considerando che la sentenza condiziona il ri-esercizio del potere, tramite il c.d. effetto conformativo. L’esecuzione della sentenza investe pertanto anche la fase di rinnovazione del potere dopo l’annullamento. Il dovere dell’amministrazione di dare esecuzione alla sentenza di annullamento si confronta talvolta con un mutamento del quadro normativo che disciplina la materia oggetto del giudizio. Si tratta delle c.d. SOPRAVVENIENZE (si pensi all’impugnazione del diniego illegittimo di un’autorizzazione con sopravvenuta modificazione della disciplina pertinente, tale da non consentire oltre di ottenere l’autorizzazione). L’Adunanza Plenaria n. 11/2016 ha ritenuto che le sopravvenienze precedenti condizionerebbero anche gli obblighi di esecuzione dell’amministrazione, mentre quelle successive di regola rileverebbero soltanto sulle vicende dei rapporti di durata. Siccome la sentenza di annullamento non preclude di regola un nuovo esercizio del potere amministrativo, si pone il rischio che il nuovo provvedimento della PA, successivo all’annullamento, sia nuovamente impugnato ed eventualmente annullato, rimettendo muovamente la PA nella condizione di provvedere. Si creerebbe il rischio di una serie indefinita di pronunce di annullamento e di nuovi provvedimenti. => Per scongiurare tale rischio sono stati introdotti alcuni temperamenti: - l’Adunanza Plenaria sostiene che in seguito ad un annullamento giurisdizionale, la PA deve dimostrare di essere consapevole dell’erroneità del provvedimento precedente e perciò che debba darsi carico con attenzione delle intenzioni e degli interessi del ricorrente, ispirando il procedimento a canoni di leale collaborazione con il cittadino; - Una parte della giurisprudenza ha invece elaborato la tecnica del c.d. one shot temperato. Dopo l’annullamento la PA potrebbe ri-esercitare nuovamente il potere una sola volta, con l’onere di riesaminare la pratica in ogni suo profilo e di sollevare ogni questione ritenuta rilevante. Dopo tale ri-esercizio non potrebbe più decidere in senso sfavorevole, neppure in relazione a profili che possano risultare non ancora esaminati. Se la sentenza non viene eseguita spontaneamente, è previsto un giudizio di esecuzione, che si svolge davanti al giudice amministrativo, ovvero il GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA. Il codice del processo amministrativo ammette, per le sentenze del giudice amministrativo, anche una esecuzione nelle forme stabilite dal libro INI del Codice di procedura civile. Questa possibilità sembra però circoscritta alle sole sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro. Per le altre condanne pronunciate dal giudice amministrativo, anche se riguardano l’adempimento delle obbligazioni, l’esecuzione giurisdizionale è riservata al giudizio di ottemperanza. L’esecuzione della sentenza del giudice amministrativo rappresenta, tradizionalmente, un dovere per l’amministrazione. 97