Scarica Riassunto libro il cristiano nel mondo e più Dispense in PDF di Teologia solo su Docsity! Cristiana Pan _ Medina III anno ll cristiano nel mondo Introduzione alla teologia morale INTRODUZIONE: Dionigi card. Tettamanzi “Maestro, che cosa devo fare di buono...?” (Mt 19,16) Il dialogo tra il giovane ricco e Gesù può essere suddiviso in tre momenti, imperniati attorno a tre concetti: la vita eterna, i comandamenti di Dio e la sequela di Gesù. La forma dialogica comporta un discorso che scorre tra due interlocutori. La morale cristiana è dialogo interpersonale, relazione vitale di due persone. Il desiderio dell’uomo Il dialogo della scena evangelica comincia con la domanda di “un tale” che resterà anonimo. L’anonimato universalizza la sua identità: quel tale rappresenta ogni uomo che s’interroga sul bene e la felicità. La domanda che inaugura il dialogo verte sul bene da praticare in vista di una vita pienamente compiuta e illimitatamente perdurante. La domanda che pone non riguarda solo il fine della felicità, ma anche i mezzi per raggiungerla. Si tratta di una domanda pratica, che verte cioè sul “che cosa fare” che ha i tratti dell’obbligo e la qualità del bene. La legge di Dio La risposta di Gesù non frena la ricerca del giovane, ma la apre ad un orizzonte infinito. Suona come una contro-‐domanda, che invita il giovane ad attivarsi personalmente nel cammino di ricerca. Egli svela al giovane la profondità divina del bene, invitandolo a riconoscere la radice dei molteplici beni in Dio. La domanda morale del giovane riguardante il suo agire nel mondo viene rivelata da Gesù nella sua profondità religiosa, nel suo legame con Dio: interrogarsi sul bene da fare è già mettersi sulle tracce di Dio. L’uomo non è abbandonato a se stesso nel perseguimento della vita divina, ma da Dio stesso istruito circa il cammino da compiere. La legge morale di cui l’uomo è naturalmente dotato lo induce a fare il bene non totalmente in astratto, ma già insegnando alcuni modi concreti di vivere, quali appunto Cristiana Pan _ Medina III anno dettati dai comandamenti. La sequela di Gesù La risposta di Gesù alla richiesta del giovane verte sulla vendita delle ricchezze a favore dei poveri. Il desiderio di perfezione del giovane viene calibrato sugli altri. La perfezione morale non consiste nell’inappuntabile pratica di precetti impersonali, ma nella dedizione personale agli altri, scegliendo di preferenza i poveri. Epilogo L’imperativo della chiamata: “Seguimi!” non priva di libertà la risposta. Al giovane, Gesù si rivolge anzitutto dicendo: “Se vuoi”. Nella rinuncia del giovane alla sequela di Gesù si potrebbe riconoscere un sintomo dell’attuale condizione giovanile, non senza desideri di autentica felicità eppure spesso irretita nel godimento immediato. FEDE CRISTIANA E AGIRE MORALE: I legami della libertà La morale cristiana consiste nel legame che intercorre tra Cristo e gli uomini, così come dall’innesto nella vite dipendono la vitalità e fruttuosità dei tralci. Morale ed etica Il termine “morale” è la traduzione dall’aggettivo latino moralis, morale. A sua volta l’adattamento dell’aggettivo greco ethika, il quale è giunto direttamente nelle lingue moderne nella forma del sostantivo “etica”. “Etica” e “morale” sono stati usati con diverso significato: “etica” indica la riflessione di taglio filosofico e “morale” quella di matrice religiosa. Si potrebbe definire l’etica/morale come “ciò che caratterizza l’agire umano”. Questa definizione è confermata da un’altra accezione del termine ethos, quella di “residenza, luogo dove si abita”. L’etica/morale può essere intesa come la “dimora” propria dell’uomo, quella dimensione che caratterizza il suo modo di comportarsi in senso propriamente umano. L’agire umano è agire libero. Non solo l’uomo compie Cristiana Pan _ Medina III anno mondo. Il legame con gli altri può essere più o meno stretto. C’è un legame che ci portiamo inscritto fin nel patrimonio cromosomico. Ad esso è associato un profondo legame affettivo che diventa vincolante per tutta la vita. Tra i legami più intimi c’è il legame con colui/colei di cui sono innamorato. Gli altri, per quanto ci consentano di vivere, sono dei limiti alla libertà personale. La libertà dell’individuo finisce dove comincia quella degli altri. La libertà trasgressiva La libertà non è totalmente schiava: c’è uno spazio che non le può essere tolto. La libertà personale conserva sempre un margine di indipendenza, un margine sufficiente perché si accenda in essa il sogno dell’indipendenza totale. Quando ciò accade, la libertà comincia a sentire i legami col corpo, col mondo. Essere la legge di se stessi è la più grande tentazione e il più grande tentativo mai sperimentato dall’uomo. La libertà risulta necessariamente legata al corpo, al mondo, agli altri. Non potendo negare di avere a che fare con altro da sé, la libertà si ribella e tenta di farsi valere come la più forte. Trasgredire i legami che le sono imposti, asservire a proprio piacere ciò a cui si trova legata: è questo il programma d’azione mediante la quale la libertà tenta di essere totalmente libera. L’inevitabile oltre della libertà Il corpo, il mondo e gli altri sono gli inevitabili legami con cui la libertà gioca la sua partita. La partita è imposta. L’origine dell’uomo e il senso della sua vita stanno oltre l’umano, risiedono in ciò che la gente comune chiama Dio. Il perché l’uomo viva è una domanda che l’uomo porta inevitabilmente con sé. Ed è una domanda a cui dà comunque una risposta. La radicale dipendenza dell’uomo da “qualcosa” o “Qualcun” altro è ammessa dalla filosofia contemporanea quando osserva che la nostra libertà non si genera da sola. Il riconoscimento dell’uomo come creatura è il confine cui giunge l’indagine sulla libertà. L’uomo non scorge ciò che sta oltre. L’agire umano solleva l’interrogativo su ciò che lo trascende, su ciò che si potrebbe nominare “Dio”. Cristiana Pan _ Medina III anno Etica laica e teologia morale La soluzione data alla questione di Dio ha forti riflessi sui problemi morali. L’etica postmoderna si strutturava sulla base della sola libertas. Se di verità ancora si parla, si inclina a ritenerla una creazione autonoma della libertà. La verità diviene una realtà soggettiva e regionale, originando quell’individualismo e relativismo che sembrano accomunare le etiche laiche contemporanee. L’odierna etica della sola libertas è sorta opponendosi a quella morale della sola veritas. La morale religiosa ha rivendicato il primato della verità oggettiva, sino a concepirla alla stregua di una legge eteronoma, imposta alla coscienza dell’uomo come dall’esterno. La teologia offre l’accesso alla Rivelazione di Dio. Accedendo alla Rivelazione, il sapere morale scopre la variabile divina presente nell’agire umano e viene così a disporre anche dell’altra variabile, oltre a quella umana, necessaria per studiare l’equazione propria della teologia morale, ovvero la collaborazione dell’agire umano e dell’agire divino. La legge della libertà Se lo studio della sacra Scrittura costituisce l’anima della sacra teologia, la considerazione dei racconti pasquali può essere ritenuta la scintilla più luminosa, il nucleo irradiante dell’intera riflessione teologica. È nell’intreccio narrativo dell’evento pasquale che si possono scorgere i dinamismi essenziali della morale cristiana. I dinamismi pasquali della morale cristiana “Padre, perdonali” La morte e la risurrezione di Cristo sono il culmine della rivelazione di Dio Padre. Egli giunge a perdonare i suoi avversari. Gesù dimostra che Dio offre il perdono ai peccatori ancora prima che costoro abbiano deciso di convertirsi. Il perdono di Gesù dalla croce raggiunge l’umanità in ogni tempo e in ogni luogo, grazie allo Spirito santo da lui donato alla Chiesa. Il perdono di Gesù crocifisso non solo purifica le colpe dei peccatori, ma rimette costoro nella condizione di affidarsi a Dio. Il suo atto di perdono lascia risplendere la singolarità assoluta della paternità di Dio cui ogni uomo, nonostante i suoi peccati, può rivolgersi chiamandolo “Padre nostro”. “Salva te stesso” Cristiana Pan _ Medina III anno La crocifissione di Gesù è stato il tentativo estremo dei suoi avversari di mostrare la falsità della sua consapevolezza di essere il Figlio di Dio e il mediatore definitivo della salvezza di Dio. “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” Davanti alla croce, la libertà umana viene sollecitata dallo Spirito santo ad arrendersi all’azione salvifica di Dio Padre. La misteriosa attrazione che Egli esercita è dovuta all’atto di donazione della propria vita a favore degli uomini. Il senso di questo atto è anticipato nel gesto eucaristico dell’ultima cena. Con il dono di sé, Gesù consente alla gloria di Dio di manifestarsi in tutto il suo attraente splendore. Sintesi teologico-‐morale I racconti evangelici della pasqua di Gesù lasciano trasparire i dinamismi essenziali della morale cristiana: a) l’attrazione dello Spirito: la pasqua di Gesù è un evento trinitario; b) il dono dello Spirito: il Figlio Gesù attira l’umanità all’interno dell’amore trinitario, rendendola partecipe dello Spirito che offre gratuitamente agli uomini; c) la ricreazione della libertà: mediante il dono dello Spirito santo, effuso come acqua sull’umanità, il Padre riplasma gli uomini peccatori a immagine del Figlio, affinché scelgano in piena libertà di lasciarsi attirare nella comunione trinitaria; d) l’azione della libertà: lo Spirito santo effuso da Gesù include tutti; non c’è libertà umana che non sia raggiunta dall’attrazione universale dell’Innalzato sulla croce e nella gloria. L’inevitabile attrazione dello Spirito santo necessita la libertà ad agire, obbligandola a scegliere tra la resistenza e la resa; e) la resistenza della libertà: la libertà umana può resistere all’attrazione dello Spirito santo, rifiutando di essere ricreata in Cristo e indurendosi progressivamente nel peccato; f) la resa della libertà: la libertà umana può affidarsi all’attrazione dello Spirito, lasciandosi riconciliare con Dio e convertire nella verità tutta intera del Figlio che si abbandona docilmente al Padre. La gradualità della morale cristiana Cristiana Pan _ Medina III anno interpersonale prescindendo dall’amore. L’universalità e l’immutabilità della legge naturale non sono sinonimo di fissità. Esse includono la possibilità che essa evolva. Gradualità L’amore può essere conosciuto e vissuto a diversi gradi e trovare diversa espressione nello spazio e nel tempo, a seconda che sia più vicino al livello basilare dell’amore del prossimo, indicato dal Decalogo, o al livello superiore dell’amore dei nemici, illustrato nel Discorso della montagna. Ne deriva una concezione della legge morale detta “legge della gradualità” e ulteriormente definita “legge della gradualità amorosa”. La legge morale è, allo stesso tempo, uguale e non uguale per tutti. “La legge morale è uguale per tutti”: non solo perché tutti devono amare il prossimo al grado basilare della legge naturale illustrata dai precetti del Decalogo, ma anche perché l’amore del prossimo deve essere perfezionato sino alla fine, sino cioè a comprendere anche il nemico. “La legge morale non è uguale per tutti”: a ciascuno è comandato di amare al grado che la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo e assoluto gli consentono al momento presente, senza pretendere l’impossibile, ma senza nemmeno rinunciare al qui e ora possibile, fosse anche l’amore dei nemici. I dinamismi della libertà La legge morale consente e comanda di amare come Cristo. Senza libertà, la legge finirebbe per essere un’imposizione violenta o potrebbe al massimo suscitare una reazione istintiva, automatica. L’attrazione indotta dallo Spirito suscita un’azione libera. In quanto amore, la legge morale cristiana coinvolge nella sua totalità. Ne deriva che la risposta dell’uomo sarà esistenziale-‐pratica. L’attrazione dello Spirito produce come effetto una risposta che si configura come reazione. La libertà sussiste solo nella concretezza delle singole azioni. L’azione è la dimora della libertà. L’analisi della libertà agente deve prendere avvio là dove essa abita. Lo studio della singola azione mostrerà le sue implicazioni ontologiche e dinamiche. Analitica dell’atto La singola azione La negazione di un concetto di azione impedirebbe di identificare e valutare l’agire Cristiana Pan _ Medina III anno dell’uomo nel corso della sua vita. La descrizione e la valutazione dell’agire umano per viam sarebbe rimandato postmortem, perché solo allora l’agire potrebbe dirsi compiuto. A quel punto però verrebbe meno la possibilità che egli valuti la sua vita. Impossibilitato a valutare il suo agire, l’uomo resterebbe senza responsabilità. L’agire morale sarebbe in realtà un evento naturale come gli altri, e come tale l’unico metodo adeguato per valutarlo sarebbe quello delle scienze positive. L’azione morale Il linguaggio comune intuisce la differenza tra azione umana ed evento naturale. Tommaso ha distinto tra gli atti che sono propri dell’uomo e gli atti che sono comuni all’uomo e agli altri animali. Negli atti umani è presente la libertà, assente negli atti genericamente dell’uomo. La distinzione tra i due tipi di atti è indicata nominando i primi come “azioni” e i secondi come “passioni”. Le azioni sono costituite dalla reciprocità di volontario e involontario. I tempi dell’azione L’azione morale è un dinamismo che non può essere statisticamente fissato. Si potrebbero richiamare sei tempi dell’azione morale, definibili in base alla diversa configurazione che la libertà in essi assume. Seguendo il corso di un’azione si potrebbero allora scorgere: -‐ il tempo del volere, in cui la libertà desidera acquisire un dato bene; -‐ il tempo del progetto, in cui la libertà tende alla realizzazione di ciò che prima desiderava; -‐ il tempo del discernimento, in cui la libertà confronta le diverse possibilità di realizzare ciò che intende; -‐ il tempo della scelta, in cui la libertà decide di realizzare ciò che intende; -‐ il tempo dell’efficienza, in cui la libertà persegue la scelta compiuta; -‐ il tempo della gioia, in cui la libertà gode del desiderio realizzato. La scelta Quando la libertà sceglie di fare qualcosa, rinuncia ad ogni altra fattibile cosa. La scelta è una decisione che comporta una recisione. Attraverso la scelta, le molteplici possibilità del futuro divengono l’unica necessità del passato. Le tre fonti della moralità Per valutare la qualità morale degli atti si può attingere alle tre cosiddette “fonti della moralità”, corrispondenti all’oggetto, alle circostanze e al fine. Questi tre elementi sono paragonabili a tre sorgenti che alimentano il medesimo ruscello. Presupposto necessario di un atto moralmente buono è la bontà di tutte e tre le sue fonti. Cristiana Pan _ Medina III anno Oggetto La prima fonte da considerare è l’oggetto, da intendersi come un comportamento liberamente scelto. Esso è il fine prossimo di una scelta deliberata, che determina l’atto del volere della persona che agisce. L’oggetto morale di un atto non coincide con alcun oggetto fisico. L’oggetto morale di un atto specifica la sua collocazione nell’orizzonte del bene e del male, definisce la specie morale di un’azione, qualificandola come omicidio, furto, adulterio. Fine L’altra fonte della moralità è il fine o intenzione del soggetto agente. Il fine costituisce la fonte che deriva dall’attore. Circostanze Tommaso d’Aquino, chiamando circostanza una cosa che, pur essendo esterna all’essenza di un atto, in qualche modo lo riguarda, spiega come ciò possa avvenire in tre maniere. Le circostanze concorrono ad aggravare oppure a ridurre la bontà o la malizia degli atti umani. Gli atti intrinsecamente cattivi L’oggetto di un’azione altro non è che il fine buono o cattivo che essa oggettivamente realizza. Le azioni umane non sono riducibili a eventi naturali o meccanici, ma risultano inevitabilmente intenzionate: l’azione è l’incarnazione di un’intenzione. L’intenzionalità che esse esprimono può giungere in taluni casi a un grado tale di consistenza che ogni ulteriore smentita o precisazione da parte di colui che le pone risulti ininfluente: tale è il caso di un atto intrinsecamente cattivo. Metafisica dell’atto Sganciato dal soggetto che lo compie e dalla durata in cui s’inscrive, l’atto morale diveniva un oggetto statico, valutabile come un frammento di materia o di tessuto biologico che può stare sotto il microscopio del fisico o del biologo. L’oggettivismo morale trovava riscontro a riguardo degli atti cattivi, i peccati. L’opzione fondamentale La teologia morale ha recuperato l’importanza dell’agente. Si rileva che la libertà non è solo la scelta per questa o per quest’altra azione particolare; ma è anche decisione su di sé e disposizione della propria vita pro o contro il Bene, pro o contro la Verità. Questa scelta della libertà umana rispetto al suo bene fondamentale prende il nome di Cristiana Pan _ Medina III anno unisce. La carità è l’origine, il senso, il movimento e anche il fine della vita cristiana. Tutte le virtù declinano la carità in relazione alla specifica situazione in cui la libertà dell’uomo viene a operare. Lo sviluppo morale Poiché l’infusione della virtù nell’uomo è opera dello Spirito santo, la virtù stessa può essere altrimenti descritta come la forma spirituale della libertà, la configurazione che la libertà dell’uomo assume quando è abitata dallo Spirito. Le scelte della libertà La libertà si trova impegnata nell’alternative tra due possibili scelte: la malaugurata scelta del male o la felice scelta del bene, definibili, in termini teologici, peccato e conversione. Il peccato .L’alternativa posta alla libertà permette di cogliere l’essenza del peccato nella resistenza allo Spirito. L’unico peccato dichiarato imperdonabile è il peccato contro lo Spirito santo. Il peccato come disamore Il peccato può essere definito come “disamore”. Il greco dys-‐, significa male; il latino dis-‐ indica opposizione, separazione e dispersione. Il disamore è la maligna opposizione all’amore, dal quale ci si separa finendo dispersi. Il disamore peccaminoso è la distrazione dall’amore integrale di Cristo e la deviazione verso forme di pseudo-‐amore. Le forme principali del disamore potrebbe essere l’amore esclusivo di sé (superbia), che induce il disgusto nei confronti di Dio (accidia) e la competizione (invidia) violenta (ira) nei confronti degli altri, ai quali negare i propri beni (avarizia) per soddisfare voracemente i propri bisogni (gola, lussuria). Commettere peccato significa omettere di amare integralmente. L’omissione amorosa è il grembo dell’azione disamorata. La distinzione dei peccati Differenza tra “peccato mortale” e “peccato veniale” à il peccato mortale coincide con l’interruzione della relazione con Dio e il prossimo, al culmine dell’indurimento disamorato. Il peccato non si restringe ad un atto puntuale, ma comporta il protrarsi di una relazione interrotta. La rottura di una relazione non è senza relazione con esso. L’indurimento amoroso comincia già con il peccato veniale, il quale, favorendo l’irrigidimento del soggetto, crea le premesse per la rottura della relazione amorosa con Dio e il prossimo. L’identificazione del peccato mortale con la stabilità del vizio non compromette la possibilità che il peccato mortale si realizzi con un solo atto. Un solo atto può originare la stabile propensione viziosa. Le condizioni del peccato La concezione del peccato come disamore invita a riformulare in riferimento all’amore i Cristiana Pan _ Medina III anno tre elementi la cui compresenza comporta il peccato mortale e l’assenza di uno dei quali determina il peccato veniale: si tratta della piena avvertenza, del deliberato consenso e della materia grave. La materia grave è riferita all’amore del prossimo. La concezione del peccato come disamore comporta una visione interpersonale della materia grave del peccato e dunque della sua oggettiva gravità. La conversione Rispetto all’attrazione dello Spirito, la libertà può resistere lasciandosi gradualmente plasmare affinchè ami come Cristo. Questo processo di conversione non avviene in un momento, ma nel corso del tempo si distende allontanandosi dal peccato e progredendo nell’amore di Cristo. La tradizione spirituale distingue tre livelli di conversione: iniziale, progressiva e perfetta. La conversione iniziale La conversione dell’uomo dalla morte del peccato alla vita di carità ha il suo momento iniziale nell’atto di fede mediante il quale il peccatore si apre all’iniziativa della grazia. Il suo momento sacramentale è quello del battesimo. L’inizio della conversione morale si caratterizza come liberazione dal dominio della concupiscenza in modo tale che la libertà non assecondi la sua inclinazione peccando mortalmente. Essa mira all’abbandono di quei comportamenti gravemente contrari alla carità cristiana. La conversione progressiva La conversione suscitata dalla grazia e assecondata dalla libertà apre al successivo progresso. L’attenzione col progredire della conversione diventa impegno a far sì che nessuna azione dell’uomo sia senza amore. La considerazione processuale del peccato invita a riconoscerlo e a combatterlo fin dal suo comparire all’orizzonte come tentazione. A proposito della tentazione, la tradizione cristiana distingue tra diavolo, mondo, concupiscenza. Poiché la tentazione diabolica agisce nel mondo e attraverso la concupiscenza, si accenna solo a queste ultime. La tentazione mondana è conosciuta nella tradizione moral-‐teologica in termini di “occasione di peccato”, con cui si intende una circostanza inerente a persone, cose, rapporti di tempo e di luogo, e che costituisce un’occasione esteriore di tentazione, un pericolo di peccare. Secondo la gravità del pericolo si parla di occasione prossima o remota; e secondo la possibilità di Cristiana Pan _ Medina III anno evitarla si parla di occasione necessaria o volontaria di peccato. La tentazione interiore viene nominata dalla tradizione come “concupiscenza”. Essa scorge come deformazione della coscienza. La conversione perfetta La conversione è orientata a Dio. In tal senso essa non è descritta dal termine “conversione”, ma deve essere meglio qualificata come “conversione a Dio”. Il discernimento morale Le situazioni conflittuali Il conflitto in cui la libertà umana si trova a vivere nella storia non riguarda la scelta del peccato o della conversione. Il conflitto riguarda i singoli beni, che sono la modalità storica mediante la quale l’uomo si decide rispetto al Bene divino. Il massimo bene possibile non è tutto il bene idealmente realizzabile; esso comporta un bene che non viene realizzato. Non sempre il bene maggiore risulta chiaramente determinato. È il caso in cui due o più valori: 1. siano omogenei, si trovino cioè sul medesimo piano della gerarchia dei valori; 2. siano entrambi uguali; 3. la scelta dell’uno comporti inevitabilmente l’omissione, l’esclusione, o la violazione degli altri. La libertà umana non realizza solo il bene, ma mentre realizza progressivamente il bene ancora compie il male. Il conflitto tra il bene e il male non può essere risolto al di fuori della coscienza personale. Il principio fondamentale del discernimento morale diviene la coscienza stessa, nella tensione tra il male da cui è stata liberata e il bene escatologico in via di compimento. La formazione della coscienza La teologia morale si premura di istruire la libertà in modo tale che non solo conosca l’alternativa in cui è impegnata, ma anche scelga il bene da fare e rinunci al male evitabile. Cristiana Pan _ Medina III anno La riscoperta dell’etica medica tradizionale La tradizionale etica medica raccoglie le esigenze etiche e professionali che il medico deve rispettare nella sua attività: il valore morale della cura del malato e le linee di condotta nei confronti delle responsabilità sociali di cui è investito. Espressione di questa linea è il Giuramento di Ippocrate. Il testo è caratterizzato dalla ricerca del bene del paziente. La riflessione e la formulazione sui diritti umani Dal Processo emerge la necessità di una formulazione giuridica superiore a quella del diritto civile e statuale. Sorgono i concetti di “crimine contro l’umanità” e di “diritti dell’uomo”. Da un lato i diritti umani sono visti come espressione del diritto naturale e dall’altra come conseguenze della libertà individuale e del consenso civile. Il sorgere di una nuova disciplina Negli anni ’60 e ’70 del XX secolo matura l’esigenza di un nuovo discorso istituzionale e disciplinare che si raccolga attorno al neologismo coniato nel 1970 dall’oncologo Van Rensselaer Potter: bioethics. Il crescente disagio nei confronti della medicina e delle scienze sperimentali Gli anni ’50 sono segnati da importanti e rapidi sviluppi della scienza medica. Pubblicizzati sono i casi della Willowbrook State School e del Jewish Chronic Disease di New York e lo studio della sifilide di Tuskegee. Il passaggio alla cronaca di questi fatti ha creato un grosso movimento di indignazione e di sospetto nei confronti della scienza. Il risultato è stata l’istituzione di tavoli di controllo e di dibattito, semi dei futuri organismi e comitati di bioetica. La riflessione teologica Nel Concilio si trovano i tratti che caratterizzano il contributo originario della teologia alla bioetica: l’attenzione all’elemento storico del fatto morale, l’assunzione di un paradigma personalista e la sottolineatura del carattere propriamente teologico del discorso morale. La riflessione etico-‐filosofica La filosofia ha assunto un ruolo pratico. Il contesto socio-‐culturale nord-‐americano Nei paesi del Nord America le problematiche legate agli sviluppi e alle pratiche della scienza e della tecnica hanno dato vita alla bioetica. I tratti che possono descrivere questo ambiente culturale sono tre. Il primo è il moralismo che tende a frammentare i diversi ambiti ed aspetti del vivere per trovare principi regolatori chiari e distinti. Il secondo è l’ottimismo progressista che non mette in discussione il carattere promettente del futuro guidato Cristiana Pan _ Medina III anno dalla scienza e dalla tecnica. Ultimo tratto è l’individualismo, che affida ai singoli la gestione della responsabilità confidando in modo illimitato nella libertà dell’individuo contrattualmente legato ad altri. Al cuore della bioetica La vita è un fenomeno plurale, che permette di essere letto da differenti punti di vista. Lo sguardo oggettivista legge nella vita l’insieme dei processi bio-‐chimici che regolano l’esistenza degli organismi e lo sguardo del poeta vi ritrova il fascio di tutte le esperienze e le emozioni vissute. Ciò che è mutato è l’equilibrio tra la percezione di riceversi dall’esterno e la forma specifica di un agire protagonista. Questi due poli fondamentali trovano sintesi nei termini di natura e tecnica. Il cambiamento invoca una risposta e la bioetica si è proposta come tale. L’identità della bioetica La comprensione pratica di natura e tecnica La definizione della bioetica si lega alla comprensione di cosa siano natura e tecnica e del loro rapporto. Incomprensioni riduttive di natura e tecnica e conseguenti paradigmi bioetici Un primo riferimento implicito nella descrizione della natura è al suo livello empirico. Natura viene definita intendendo le cose naturali e i meccanismi organici che presiedono al funzionamento del cosmo e dell’uomo inserito in esso. L’uomo partecipa delle leggi biofisiche dell’universo. La natura è l’insieme dei significati storicamente e culturalmente interpretati, accessibili al soggetto. La natura sarebbe la cultura: tutto l’uomo è ridotto all’interpretazione storica e relativa. Il riflesso in campo etico di una simili opinione conduce al proceduralismo. Compito della nuova etica, della bioetica, è la costituzione di un livello ulteriore rispetto a quello delle diverse morali contenutistiche: un’etica formale che abbia lo scopo di evitare i conflitti attraverso l’accordo. Con “tecnica” si considera l’insieme degli strumenti e delle procedure che hanno come scopo il raggiungimento di un fine. La tecnica sarebbe il regno dei mezzi che l’uomo si dà per realizzare i propri scopi. Questo a due conseguenze: gli strumenti sono opera dell’uomo e si presenterebbe come eticamente neutra. Siamo di fronte ad una interpretazione antropologica della tecnica. L’essere umano, per caratteristiche anatomiche e cerebrali, ha bisogno di un mondo di strumenti che lo circondi. La tecnica è parte dell’essenza dell’uomo, della sua natura. Dall’altra parte, lo strumento si offre Cristiana Pan _ Medina III anno all’uso dell’uomo in maniera neutra. Il rischio corrisponde ad una deriva riduzionista. Riflesso di questa deriva è rinvenibile nel paradigma utilitarista, rappresentato dalla proposta di P. Singer. Nell’utilitarismo la giustificazione del comportamento etico si fonda sulla ricerca del maggior benessere possibile e sulla minimizzazione del male. La norma morale deve essere fondata sull’uguale considerazione degli interessi di tutte le persone in grado di manifestarli. È persona umana, non chi appartiene alla specie umana, ma chi, in quanto dotato di autocoscienza, è in grado di esprimere interessi. Emerge il carattere riduttivo di una razionalità strumentale elevata a chiave interpretativa di tutti i rapporti segnati dalla tecnica. Il ragionamento morale si riduce a calcolo quasi matematico che bilancia costi e benefici. Esiste un’altra visione della tecnica. La tecnica sembra staccarsi dall’ambito antropologico per costituirsi in un sistema in grado di autoalimentarsi e di imporre la propria logica sull’intero vivere personale e sociale. È la tecnica ha guidare il futuro dell’umanità. Ci si trova di fronte ad un progressivismo secondo il quale tutto ciò che è possibile è al tempo stesso lecito, perché il futuro non potrà comunque essere bloccato. Sul campo etico questo corrisponde ad un nichilismo che si arrende di fronte ad una tecnica interpretata come destino dell’uomo. Comprensione pratica di natura e tecnica Natura e tecnica sono due aspetti della medesima dinamica: la vita. La natura indica il carattere antecedente che l’uomo sperimenta nel suo vivere. L’uomo si percepisce preceduto, indisponibile ad una totale determinazione di sé. È chiamato ad agire, ad interpretare con il suo agire, quella natura che lo precede. La tecnica è una delle modalità dell’interpretazione della natura, una delle forme dell’agire dell’uomo in risposta all’appello del dato. Ciò che è specifico si comprende nel quadro di ciò che è generale: la tecnica – come la natura – non può essere separata dall’agire dell’uomo. Non basta il riferimento alla natura come limitazione alla tecnica e tantomeno è sufficiente riconoscere la qualità antropologica della tecnica per vedere in essa la nuova etica. La bioetica come etica speciale Il disagio nei confronti di una disciplina recente quale la bioetica ha mosso la ricerca attorno alla sua identità. Ciò ha messo in luce un cammino che ha coinvolto il XX secolo e che si è nutrito di diversi episodi. La questione etica non può limitarsi alla gestione dei conflitti, ma è questione del sé chiamato a realizzarsi. La bioetica si colloca nel contesto del sapere propriamente etico, come etica speciale. La bioetica come etica La bioetica si definisce come attività speculativa chiamata a rendere ragione dell’agire morale dell’uomo nei suoi tratti di libertà, consapevolezza e responsabilità e nel suo orientamento al bene. Si tratta di spiegare il movimento Cristiana Pan _ Medina III anno femminile e si configura come bisogno primario; il desiderio di paternità invece custodisce un più forte carattere sociale: l’uomo afferma così la propria virilità e si garantisce dei discendenti. Il legame tra l’agire e il desiderare è vitale. La profondità della dinamica di desiderio emerge in modo eminente nell’agire sessuale. Il figlio non ammette di essere ridotto a oggetto di bisogno, ma si presenta come soddisfazione sorprendente di un desiderio che ridefinisce i soggetti che lo accolgono. Il livello socio-‐culturale L’atto generativo custodisce una responsabilità sociale. Un figlio è generato al servizio del mondo, della comunità in cui è inserito perché possa garantirvi un futuro e un progresso attraverso la propria singolare individualità. Da più parti si parla di una “privatizzazione del figlio”. In questo contesto culturale emergono tratti paradossali. Un primo paradosso consiste nell’ampliamento del significato del concetto di fecondità e nell’assolutizzazione della filiazione biologica come espressione della stessa fecondità. Si vede la concentrazione sull’avere un “figlio proprio” come necessario alla realizzazione del sé e della coppia. Ulteriore paradosso è il differimento del momento in cui generare in un’età sempre più tarda e in cui il processo di maturazione dell’identità personale dovrebbe essersi assestato ed allo stesso tempo la richiesta di una fecondità in condizioni “non naturali” come necessaria al compimento dell’identità personale. Un terzo paradosso è l’insistenza nella richiesta di tecniche generative, anche invasive, in un contesto dove sono presenti tanti bambini già nati e bisognosi di un ambiente familiare di cui sono privi. Criteri di valutazione etica La valutazione dei fini Il fine che guida l’accesso alle tecniche di PMA è il desiderio di un figlio insieme al superamento di una condizione di sterilità. La procreazione responsabile indica la necessità di uscire dalla spontaneità del sentire, della necessità del bisogno o dalla fatalità del caso. Tale indicazione deve trovare dei criteri di verifica reali iscritti nella pratica per evitare il rischio di una formalità. Nel caso di una richiesta di accesso alla PMA, si possono indicare alcuni criteri di verifica. Ci si deve trovare in una reale situazione di sterilità della coppia, clinicamente accertata e in cui non siano possibili soluzioni terapeutiche differenti. Si evita così la possibilità di forme di selezione del Cristiana Pan _ Medina III anno figlio e di una maggior programmazione e ottimizzazione dei tempi. Il sistema sanitario tende a trascurare la ricerca e lo sviluppo delle procedure propriamente terapeutiche. Secondo criterio è la consapevolezza delle modalità di procedure delle varie tecniche, del carattere di invasività che spesso hanno sul corpo della donna e delle percentuali di riuscita. Terzo criterio è la presenza di un vissuto di coppia che di fatto realizzi una reale disposizione di apertura alla vita. La valutazione dei mezzi: il criterio della dignità dell’embrione Alla valutazione dei fini che muovono la richiesta di accesso alla PMA, deve seguire una valutazione dei mezzi. Un primo criterio si lega al rispetto dell’embrione. Una prima opinione difende l’idea di una personalizzazione immediata. Il feto è portatore di diritti dal momento in cui avviene l’incontro tra due gameti. Per alcuni basta il richiamo al dato bio-‐fisiologico. Altri però affermano l’argomento tradizionale secondo cui, nel dubbio circa la vita, essa va protetta come se fosse vita umana. Infine, una terza argomentazione richiama la tradizione aristotelica, riconoscendo nell’embrione una persona in potenza, quindi già portatrice della dignità personale. Una seconda posizione attribuisce tutela all’embrione a partire dal suo annidamento in utero che avviene attorno al 14° giorno dalla fecondazione. Questo perché si ha la comparsa delle prime tracce riconoscibili del sistema nervoso centrale e all’uscita dal livello di totipotenzialità delle singole cellule. Ulteriore argomentazione a favore di questo confine è apportata da coloro che sottolineano l’impianto in utero, e quindi l’inizio di una relazione costitutiva con la madre, come criterio per definire una persona. L’ultimo gruppo di argomentazione raccoglie tutti coloro che parlano di una tutela differita. C’è chi attende lo sviluppo delle strutture fetali tipiche dell’uomo (attorno alla sesta-‐ottava settimana), chi richiede lo sviluppo delle strutture in grado di ospitare le qualità razionali superiori tipiche dell’essere umano (attorno alla 24a settimana), fino alla posizione estrema di chi lega la personalizzazione alla comparsa dell’autocoscienza, anche alcune settimane dopo la nascita. La possibilità dell’accoglienza (o del rifiuto) di una nuova creatura corrisponde alla possibilità di ridefinire la propria identità. Un genitore si comprende tale a partire dall’atto coniugale che lo ha generato alla maternità-‐paternità. Ogni pratica che non rispetti il frutto della fecondazione umana come se non fosse una persona appare, da un punto di vista etico, indegna e gravemente disordinata. La valutazione dei mezzi: il criterio della dignità della procreazione Cristiana Pan _ Medina III anno Un ulteriore criterio è il rispetto della dignità della procreazione umana. Si dovrà riconoscere come non rispettoso della dignità della procreazione umana ogni tecnica che realizzi una dissociazione tra i diversi significati dell’agire. Ripresa sintetica Il giudizio etico sulle tecniche di PMA Un grave disordine etico si riscontra in tutte le tecniche che appaiono non rispettose della dignità dell’embrione. Tra queste le procedure di selezione e soppressione embrionale o di sperimentazione su di essi per finalità altre rispetto al benessere dell’individuo stesso. La produzione di embrioni soprannumerari e la loro eventuale crioconservazione. Nessuna situazione e nessuna intenzione, per quanto nobile, rende lecita la strumentalizzazione di un altro essere umano. La dignità della procreazione umana, sembra escludere le diverse tecniche eterologhe e le pratiche di maternità surrogata o ogni procedura che provochi consapevolmente una frammentazione dei ruoli genitoriali. Queste tecniche realizzano una grave dissociazione dell’atto coniugale. La PMA risulta contraddittoria rispetto all’unità matrimoniale. Solo una scelta della coppia che corrisponde effettivamente alla grandezza del desiderio di un figlio e che non lasci spazio all’egoismo di una proclamazione di diritto appare in grado di assumere il ruolo genitoriale attraverso la via della tecnica. Il discernimento della Chiesa La persona umana si presenta come totalità unificata nel suo corpo. Da qui discende l’altezza della dignità dell’uomo nel suo corpo, il quale non può essere racchiuso semplicemente nello sguardo oggettivante della scienza positiva. Il corpo è reale presenza della dignità della persona e come tale deve essere considerato anche nelle pratiche mediche e di ricerca. Il criterio della dignità della persona si declina, nei confronti delle pratiche sperimentali e terapeutiche sulla vita umana nascente, nel rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita e nel riconoscimento della dignità dell’atto generativo. Due sottolineature. La prima è il riconoscimento che il magistero non intende impegnarsi nella definizione dello statuto ontologico dell’embrione. Si riconosce che questa questione impegna in un’affermazione di indole filosofica estranea alle funzioni di discernimento della Chiesa. Cristiana Pan _ Medina III anno elementi che devono essere presenti in una valutazione di simili pratiche sono due: la rischiosità di certi test e la forbice tra diagnosi e terapia. Nel primo caso si deve riconoscere che i test genetici prenatali posseggono un certo grado di invasività con il rischio di danni all’embrione o al feto, fino alla possibilità di aborto. Al dato sul rischio si deve poi aggiungere che raramente ad una diagnosi di malattia genetica può far seguito una terapia. Inoltre diagnosi genetiche negative spesso riguardano predisposizioni alla possibilità di insorgenza tardiva di malattie. L’unica soluzione è l’aborto procurato. La prospettiva di dover crescere un figlio disabile, o a rischio di malattie gravi, è implicitamente ritenuta come non richiedibile dal diritto o dall’etica: la scelta è lasciata agli individui coinvolti. Una seconda tipologia diagnostica riguarda i test genetici adulti (post-‐natali). Criterio per la decisione a favore di un test non deve essere l’alta probabilità di malattia, quanto la reale disponibilità di possibili cure. Deve essere garantita una gestione dei dati che eviti un eccessivo carico psicologico del soggetto che non può essere lasciato solo di fronte ad un eventuale risultato negativo. Al diritto all’informazione deve poter corrispondere il riconoscimento sociale di un diritto alla non conoscenza di situazioni solo probabili, comunque future e non curabili. Deve essere garantita la riservatezza delle informazioni suscettibili di generare atteggiamenti discriminatori nella società. Terapia genica Modificare il patrimonio genetico di un soggetto al fine di curare una malattia è un’impresa complessa e rischiosa. Le possibilità di correzione di un genoma difettoso si distinguono in due linee di ricerca: la terapia somatica e quella germinale. Nel primo caso si tratta di procedere inserendo in un grande numero di cellule somatiche di un individuo il gene corretto rispetto al tratto di DNA errato nel caso di malattie monogenetiche. Non si va a curare la malattia, ma se ne tratta l’espressione compensando una carenza con una nuova produzione: il rischio così è che i geni patogeni aumentino all’interno della popolazione. Sono ancora molte più le incertezze che le certezze. Seconda pista di ricerca riguarda le terapie germinali in cui si tenta di correggere un genoma difettoso nelle cellule della linea sessuale di un individuo adulto per poter trasmettere un “nuovo genoma” ai discendenti. La possibilità di un’eugenetica positiva evoca immediatamente una grande quantità di preoccupazioni: l’embrione rischia di ridursi a materiale fabbricabile in cui le decisioni dei genitori si sostituiscono all’indeterminatezza della natura. La gestione sociale dovrà garantire un serio orientamento al bene comune nelle diverse Cristiana Pan _ Medina III anno situazioni in cui simili ricerche si compiono evitando forme di discriminazioni o di sperequazione dei guadagni. Cellule staminali Cellule staminali = cellule del nostro organismo che non si sono ancora specializzate in una funzione determinata e sono quindi disponibili come “materiale di riserva” in grado di rigenerare tessuti. Le cellule staminali hanno diverse origini. La ricerca si è concentrata in un primo momento sulle cellule dell’embrione. Esse infatti sono totipotenti, cioè in grado di dare vita a tutte le cellule somatiche dell’individuo. Le cellule staminali adulte appaiono meno versatili di quelle embrionali e sono dette pluripotenti. L’utilizzo delle cellule embrionali trascina con sé una lunga serie di problemi etici. Prelevare cellule da un embrione significa la sua distruzione. Le indicazioni legali vietano ovunque la produzione di embrioni al fine specifico della ricerca, ma generalmente si consente l’utilizzo di embrioni soprannumerari, frutto di pratiche di procreazione medicalmente assistita. Una simile posizione sembra godere anche di un appoggio sociale in nome di un principio di beneficialità che riconosce l’altezza della finalità per cui verrebbero sacrificati gli zigoti comunque condannati ad una fine perché non più impiantabili. Questo significa però sottoporre l’embrione ad una logica strumentale, che lo riduce a mezzo in vista di un fine di ricerca pur nobile. Tale esito sarebbe gravemente lesivo della dignità dell’embrione. Legata alla ricerca sulle cellule staminali troviamo anche le pratiche di clonazione terapeutica. Il clone è copia identica del progenitore. Due sono i metodi possibili per la clonazione: lo splitting o il trasferimento nucleico. Nel primo caso la procedura consiste nel provocare e gestire il fenomeno della gemellazione dividendo gruppi di cellule nelle prime fasi dello sviluppo embrionale. Nel secondo caso si procede prendendo un ovulo femminile denucleandolo e inserendovi all’interno il nucleo di una cellula somatica dell’organismo da clonare. Il dibattito etico si è concentrato sull’applicazione di queste tecniche all’uomo. È unanime il rifiuto di clonazione per finalità riproduttive, mentre le posizioni si differenziano a riguardo della cosiddetta “clonazione terapeutica”. Essa prevede l’applicazione delle medesime procedure, bloccando però lo sviluppo embrionale nei primi stadi. Lo scopo di questa pratica è la produzione di cellule staminali totipotenti assolutamente compatibili con l’individuo, essendone una copia genetica. Questo materiale, successivamente coltivato in vitro, può sviluppare tessuti e potenzialmente anche organi utili poi ad una terapia o ad un trapianto. Ciò che non deve essere trascurato in una valutazione etica è il fatto che, nonostante la differenza Cristiana Pan _ Medina III anno terminologica, la clonazione terapeutica, coma le riproduttiva, sia per finalità sperimentali che di cura, si avvale delle medesime procedure e comporta la produzione di un embrione umano. Per quanto la ricerca della salute e l’aumento delle conoscenze tecnico-‐scientifiche siano espressioni importanti della libertà dell’uomo e delle istituzioni sociali, esse non possono essere ottenute al prezzo di un utilizzo strumentale dell’embrione, che custodisce la stessa dignità della persona umana. L’etica animata da una carità intelligente appare quindi il centro di ogni prospettiva aperta alla famiglia umana. Un nuovo modo di morire? Di fronte alla morte si fugge. Questo fenomeno ha radici strette attorno a quell’istinto fondamentale di ogni essere vivente che è la sopravvivenza. L’esperienza del morire oggi La dimensione bio-‐fisiologica L’inaugurazione degli strumenti di rianimazione e la chirurgia dei trapianti ha modificato il momento del morire e l’immagine del cadavere. La morte è un processo. La diagnosi di morte viene oggi emessa misurando la totale assenza di attività cerebrale per un opportuno arco di tempo. Da un lato si sono schierati coloro che non ritengono sufficiente la certificazione della morte di un solo organo per definire il morire di un uomo e quindi difendono il criterio tradizionale. Dall’altra coloro che, riconoscendo la morte come un processo, ritengono sufficiente la definitiva perdita della coscienza per definire morto l’individuo come persona. In questo secondo caso basta quindi la certificazione della compromissione delle strutture deputate alla coscienza per definire il decesso. La definizione fisiologica di morte rimane la distruzione di un organismo in quanto organismo, cioè in quanto capacità di funzionare come tutto coordinato. La dimensione psichica Non esiste la morte in sé, esiste invece la persona che muore. Lo studio della dottoressa Elisabeth Kubler-‐ Ross permette di comprendere la dinamica psichica che accompagna la coscienza di colui/colei che muore. L’impatto iniziale con la consapevolezza di una morte prossima o di una malattia inguaribile provoca, dopo uno shock iniziale, una situazione di rifiuto. Quando la prima fase di rifiuto non può più Cristiana Pan _ Medina III anno il soggetto potesse vivere una morte degna del suo stato di uomo e cittadino. Con l’epoca moderna il termine si è piegato ad un atto che procura o accelera la morte al fine di alleviare le sofferenze. Oggi, con eutanasia si intende la scelta che per struttura propria dell’atto o per deliberata intenzione del soggetto agente, procuri la morte in una persona per compassione verso la sua condizione di sofferente o di malato in stato ritenuto disumano. Sembra si debba abbandonare la distinzione tra eutanasia attiva o passiva: la prima sarebbe intesa come l’agire di chi attivamente pone in essere un insieme di strategie che procurino la morte, mentre nel secondo caso si riconosce il movimento di chi omette o sospende un’azione in grado di impedire la morte. L’uccidere al fine di alleviare le sofferenze è sempre eutanasia, mentre il lasciar morire può esserlo, ma non necessariamente. Ulteriore distinzione da superare, è quella tra eutanasia diretta ed indiretta. Solo la prima si configura come un illecito morale, mentre la seconda rientra nella possibile assunzione di conseguenze in vista di una finalità positiva. Solo quando l’intenzione è diretta all’uccisione si può parlare di eutanasia. Nel secondo caso non siamo di fronte ad eutanasia. Infatti, la somministrazione di un farmaco analgesico, nelle dosi e nei modi corretti, intende lenire il dolore, non procurare la morte. Si tratta del principio del duplice effetto. In esso si afferma che una conseguenza negativa può essere assunta in un atto moralmente lecito sotto determinate condizioni: l’azione posta deve essere in sé buona o moralmente neutra; la volontà deve essere diretta all’effetto buono; ci deve essere una ragione proporzionata che giustifichi la conseguenza negativa. Un’ultima chiarificazione terminologica riguarda l’uso dell’espressione suicidio assistito. Si intende qui specificare la situazione in cui l’operatore non agisce in prima persona nel procurare la morte, ma fornisce al malato le conoscenze e gli strumenti affinché lui possa procedere da solo. Chiarificazione dei termini in gioco: esubero terapeutico Si tratta della dilazione ad oltranza della morte attraverso l’utilizzo delle tecniche mediche e in nome di un vitalismo che difende la vita biologica ad ogni costo. La valutazione etica Si riconosce sia nell’eutanasia che nell’esubero terapeutico espressioni della stessa dinamica di fuga dall’evento del morire. Il compito etico di un’interpretazione del sé nel proprio morire chiede invece di trovare un equilibrio nella ricerca di cure Cristiana Pan _ Medina III anno proporzionate. Ogni mezzo sperimentale è lecito con il consenso del paziente, nel caso però non si abbiano altre terapie a disposizione o comunque la sperimentazione non contrasti con una terapia in corso. Uso di questi mezzi deve essere sempre sospendibile su valutazione del paziente o dei familiari. Nell’imminenza e nella certezza della morte è lecito rinunciare a qualunque trattamento ritenuto eccessivo senza però interrompere le cosiddette cure normali dovute ad ogni persona. Gli elementi che non possono essere persi sono le condizioni reali in cui il soggetto si trova, i dati attorno all’atto medico in questione, la consapevolezza delle proprie capacità psico-‐fisiche, la considerazione di coloro che sono prossimi, la propria visione di vita e i propri valori. La garanzia di autenticità corrisponde alla qualità della coscienza che raccoglie gli elementi e decide. Difficilmente una coscienza che si è abituata a forme in autentiche nel corso della sua vita potrà essere in grado di esprimere un giudizio oggettivo di fronte ad un passo così importante. È allora necessario formare e custodire coscienze capaci di giudizi oggettivi. Ciò è possibile solo in un’autenticità del vivere che ne riconosca ed esprima i caratteri relazionali e trascendenti. La vita diventa paratio ad mortem. Questioni aperte: le “cure normali” e le direttive anticipate di trattamento La sospensione di ogni terapia non ammette la sottrazione al morente delle “cure normali”. Il problema riguarda casi in cui queste cure, come l’idratazione e l’alimentazione, vengono svolte in un contesto di ospedalizzazione e di procedura tecnica. Le procedure di idratazione e alimentazione artificiale non possono essere giudicate negativamente in nome dell’artificialità: si è più volte visto come la tecnica sia parte del normale agire. Si possono dare casi in cui l’accessibilità a simili strumenti sia impossibile, oppure la finalità propria di queste procedure non sia più realizzabile, o non si scarta assolutamente la possibilità che in qualche raro caso l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico legato, per esempio, a complicanze nell’uso di ausili strumentali. Si riconosce l’esistenza di casi in cui le pratiche di idratazione e alimentazione possono presentare una reale gravosità per il malato. Ulteriore questione di recente dibattito riguarda le direttive anticipate di trattamento. Si tratta di strumenti giuridici con i quali si cerca di riempire il vuoto decisionale che si crea in situazioni di incoscienza di un paziente, incapace quindi a partecipare alle scelte terapeutiche che lo riguardano. Cristiana Pan _ Medina III anno Quasi una conclusione: vivere la propria morte La possibilità di un’opzione morale autentica nei confronti del morire sia possibile solo nelle condizioni di una vita oggettivamente orientata al bene. SESSUALITÀ E MATRIMONIO: Gli enigmi dell’amore “Enigmi” fa riferimento ad una caratteristica riconosciuta all’amore: la sua misteriosità, la sua inafferrabilità; l’amore è una realtà che sfugge ad ogni definizione e sistematizzazione. Tra teologia morale, diritto e teologia sistematica La dimensione “umana”, “personale” del sesso era denominata come appetitus e delectatio; desiderabile per i sensi, acquisiva la tonalità della concupiscentia, e il piacere che se ne traeva era chiamato delectio o voluta. La morale sessuale può riassumersi nell’imperativo di contenere l’inclinazione sessuale nei confini della ragione. Il peccato in questa materia ha il nome tecnico di luxuria: la virtù quello di castitas o pudicitia. L’obiettivo materialismo che insidia tale concezione del “piacere” sessuale impedisce di discernere in esso un significato, e di valutare moralmente le diversissime qualità che il cosiddetto “piacere” può assumere. L’istituto del matrimonio assumeva il compito di contenere e indirizzare la funzione procreativa dentro un ambito accettabile dal punto di vista morale, riconoscibile dalla società, formativo per la crescita della prole. In ordine a questi obiettivi, gli sposi stipulavano un “contratto”, espresso nella forma del “consenso”, che permetteva lo scambio di quegli atti che, derivati così dal coniugio, erano moralmente leciti. Ne conseguiva una serie di doveri. Con la Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II è prospettata per la prima volta a livello di documenti magisteri ali una concezione “personalistica” della sessualità. Una scelta metodologica: ascoltare il contesto Cristiana Pan _ Medina III anno Sono interessanti le categorie di “relazione pura” e di “amore convergente”, due modi per provare ad agguantare lo stile contemporaneo di intendere i rapporti di coppia: si starebbe insieme solo per quello spazio-‐tempo in cui convergono gli interessi di vario tipo dei soggetti coinvolti, o almeno di uno dei due. Una relazione pura si mantiene stabile fin tanto che entrambe le parti ritengono di trarne sufficienti benefici come per giustificarne la continuità. L’amore convergente è amore attivo, contingente, e quindi non fa rima con i “per sempre” e gli “unico e solo” tipici del paradigma dell’amore romantico. La società separante e divorziante di oggi diventa la conseguenza della nascita dell’amore convergente. Perché una coppia possa costituire una realtà solida e duratura, deve essere formata da due individui differenziati e individuati sia nei confronti delle famiglie di origine, sia tra i membri della coppia stessa. Ora, questa realtà è sempre più difficile che si realizzi nella nostra società. La “rinegoziazione” dei ruoli: la fatica della quotidianità Nel contesto della “privatezza” del legame, i coniugi si trovano soli e spesso solitari nel prendere sia le decisioni fondamentali che quelle quotidiane della loro vita persona e di coppia. I mutamenti introdotti nei ruoli socialmente riconosciuti all’essere maschio o femmina, comportano una serie di modifiche nella gestione degli ambiti vitali. Sulle minute esigenze della realtà quotidiana nascono frequenti motivi di conflitto. Ora che i ruoli sono intercambiabili e non ci sono più nette divisioni dei compiti fra uomo e donna, fra moglie e marito, ogni giorno si devono rinegoziare semplici incombenze. Le vicende dell’amore si scontrano con la fatica della quotidianità e su questo spesso cedono, cadono, falliscono. La “fragilità” matrimoniale: la gradualità della storia Le vicende dell’amore di coppia inducono le nuove generazioni a preferire modelli di relazione affettiva meno vincolanti, più elastici, meno “imbrigliati” rispetto a quello matrimoniale. Trasformazioni: . a) diminuisce drasticamente la dimensione numerica dei nuclei di convivenza; Cristiana Pan _ Medina III anno . b) cresce l’età al primo matrimonio; . c) aumentano i separati e i divorziati; . d) decrescono i nuovi coniugi; . e) cala il tasso di fecondità; . f) il panorama delle convivenze si frammenta. Il modello tradizionale di famiglia si scompone in più modelli. Il sacramento dell’amore Ciò che della relazione amorosa sembrava “enigmatico”, si svelerà come “misterioso”, cioè portatore dell’identità di Dio, Mistero d’Amore. L’evidenza ecclesiale: il matrimonio celebrato La Chiesa si presenta con una realtà che ha una sua visibilità: il rito. In chiesa, la comunità cristiana propone alle coppie di compiere un rito particolare, nella convinzione che le modalità in cui si celebra veicolano e consentono l’accesso ai significati e alla realtà che sono invocati. Il rapporto tra rito e significato Il dono della grazia sacramentale non si dà a prescindere dalla sua celebrazione in un rito. Se la riflessione teologica vuole sondarne il significato è lì che deve attingere la sua conoscenza; se la prassi credente vuole sapere come la forza dello Spirito Santo costituisca e sostenga la vita dei coniugi dovrà andare lì a chiedere; se la disciplina canonica vorrà essere al servizio dell’incontro fra i doni di Dio e il suo popolo dovrà lasciarsi plasmare dai significati lì celebrati; se la pedagogia cristiana vorrà identificare percorsi proficui per presentare il valore dell’amore coniugale e attirarvi le nuove generazioni sarà chiamata ad ascoltare quella “voce”. Le linee-‐guida della celebrazione Tra le principali motivazioni che hanno reso necessario l’adattamento si segnalava: Cristiana Pan _ Medina III anno -‐ una rinnovata coscienza ecclesiale del matrimonio maturata a partire dall’Esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, che richiede che nel rito siano maggiormente esplicitati aspetti inerenti al senso cristiano del matrimonio; -‐ una nuova situazione pastorale che rende necessario tener presente il caso di coppie che pur non avendo maturato un chiaro orientamento cristiano e non vivendo una piena appartenenza alla Chiesa, chiedono di celebrare cristianamente il matrimonio; -‐ varietà e ricchezza di testi eucologici; -‐ introduzione di nuove sequenze rituali; -‐ arricchimento del Lezionario. L’annuncio del Lezionario La coscienza ecclesiale ha saputo ritrovare in alcuni passi biblici la ferma decisione del Signore di costituire, fondare, confermare, benedire l’amore tra un uomo e una donna. La rivelazione biblica del “sacramento” Le “origini” del sacramento All’inizio del capitolo 19 del vangelo di Matteo si trova uno dei tentativi farisei di mettere in difficoltà Gesù. La questione è quella del ripudio della donna “per qualsiasi motivo”. “Separare” La Scrittura ci presenta il “fare” di Dio nell’opera creatrice come un “separare”. La parola efficace di Dio crea distinguendo: la luce è definita differenziandosi dalle tenebre; il cielo separa le acque che stanno “sotto” da quelle che stanno “sopra”; il mare si ritira per lasciare spazio alla terra; gli alberi sono diversi l’uno dall’altro; gli astri sono al servizio della distinzione tra giorno e notte e tra le stagioni; gli animali si moltiplicano nella loro varietà. Il “fare” di Dio quando separa non intende negare la comunione o dichiarare la “negatività” di tutto ciò che “non è Dio”, bensì porre le condizioni affinché ogni cosa abbia la sua “autonomia”, che non potrà che essere una autonomia creaturale, cioè costitutivamente in relazione a Colui che l’ha posta in essere. “Li creò” La dinamica creativa “a coppie” pare venir meno in occasione della creazione dell’uomo: viene prima annunciata la creazione dell’uomo e solo alla fine si introduce la menzione di maschio e femmina. L’uomo viene indicato col termine adam. Il suo significato può essere quello generico di “umanità”, “genere umano”; se usato al singolare indica “appartenente alla specie umana”, “persona umana”; solo a partire da Gen 4 è riconoscibile l’uso come nome proprio di un uomo maschio. Quindi ciò che viene asserito dell’uomo deve essere inteso come riferito a entrambi i sessi: adam, la persona umana, è la coppia di maschio e femmina. Solitudine e coppia L’espressione “Non è bene che l’uomo sia solo”, sembra tra le più laiche ed ecumeniche: oggi la grande nemica che la nostra Cristiana Pan _ Medina III anno particolare la comunità cristiana, possono essere interpretati come doni d’amore dello Sposo per la sua Sposa, la quale ne ricava gratificazione sponsale, ovvero gioia, godimento, senso di pienezza, vita e vitalità. La Chiesa Sposa risulta essere solo “beneficiaria” di tali doni, ma attiva nell’atteggiamento “sponsale”, ovvero rispondente con tutta se stessa alla proposta d’amore del Cristo-‐Sposo. La qualità sacramentale dell’amore coniugale Nella sua pienezza, il matrimonio-‐sacramento manifesta l’autopartecipazione di Dio all’uomo attraverso la grazia. Manifesta l’essenza della Chiesa la quale è, in Cristo, il sacramento fondamentale, escatologicamente vittorioso e indistruttibile di questa autopartecipazione divina. Manifesta anche l’atto libero in cui questa partecipazione viene accettata, nella grazia, da chi permette che il sacramento si compia sopra di lui e contribuisce anzi a costituirlo. A tutti i discepoli di Cristo viene “comandato” di imitare Dio, camminando nell’amore. Le caratteristiche dell’amore Il nome proprio dell’amore: “come Cristo amò la Chiesa” Sono le dimensioni dell’amore di Cristo ad essere il criterio, il punto prospettico di ogni altra forma d’amore: per sapere cos’è l’amore, dobbiamo guardare a Lui. Gesù amò fino alla fine: nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. L’amore coniugale è atto della volontà libera. È amore totale. È amore fedele ed esclusivo fino alla morte. È amore fecondo. Le caratteristiche dell’amore di Cristo Il matrimonio cristiano è il luogo ove l’amore di Cristo si trasmette tra i coniugi e da costoro viene trasmesso ai figli. Nell’amore di Gesù si possono cogliere quattro tratti essenziali: -‐ l’amore di Cristo è totale; -‐ l’amore di Cristo è fedele; -‐ l’amore di Cristo è indissolubile; Cristiana Pan _ Medina III anno -‐ l’amore di Cristo è fecondo. Il racconto vivente dell’amore sino alla fine di Gesù è impresso nel memoriale dell’Eucarestia. Il dinamismo essenziale che muove il gesto eucaristico è evocato dal verbo “prendere”. Gesù riceve e offre la vita. Il dono della vita, totale, fedele, indissolubile e fecondo non comincia quando la si offre, ma quando la si riceve. Sacramento dell’amore totale La caratteristica della “totalità” può essere descritta con l’espressione: “L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. L’amore anela ad entrare nell’altro, nella sua vita, nella sua pelle, a tal punto da formare con la persona amata “una sola carne”. Dal punto di vista fisico, si può esprimere con l’unione sessuale nell’amplesso coniugale. L’una caro a cui aspira l’amore può essere descritta e sospinta verso differenti “gradazioni”: 1. unione dei corpi, precisata in anatomica, biologica, sessuale; 2. unione degli animi, intendendo considerare le dimensioni “invisibili” delle persone (emotive, psicologiche, affettive); 3. unione delle persone (integrale, originale, durevole); 4. unione nel generare la vita (l’amore è il nuovo “figlio” dell’amore della coppia, responsabile, aperta); 5. unione nella vocazione; 6. unione nel futuro, cioè l’anelito ad una totalità che coinvolga la vita di entrambi; 7. unione nell’eternità. Il desiderio di comunione integrale implica che ciascuno dei due orienti se stesso, in tutte le sue dimensioni, all’unione con l’altro/a. La totalità cui aspira il desiderio amoroso richiede all’io di unificarsi e di disporsi verso l’altro in modo da poter stabilire una comunione amorosa. Essere una cosa sola significa donarsi e accogliersi totalmente. Sacramento dell’amore fedele Voler appartenere totalmente all’altro comporta il non essere di altri. L’appartenenza esclusiva viene espressa come “fedeltà”. Essere una cosa sola significa essere unicamente dell’altro/a. La fedeltà alla relazione di coppia si fonda sulla fedeltà dell’amore che lega Cristo alla Chiesa. I partner della coppia si possono promettere un Cristiana Pan _ Medina III anno amore fede in quanto si possiedono nella conoscenza di sé per l’oggi e nella promessa di sé per il futuro, e in questa loro condizione dispongono di sé con scelta libera e consapevole. Affinché nel rito ciascuno dei nubendi possa dire con verità di “accogliere” quello che sarà il proprio coniuge e non un altro, dovrebbe conoscerne, accettarne e desiderarne ogni dimensione; dovrebbe lasciarsi conoscere, accettare e desiderare con altrettanta intensità. Si aprirebbe un futuro di comunione inedita, intima, desiderabile per entrambi, al quale dedicare la propria fedeltà. Questa fedeltà va ben oltre il non aver un’altra relazione di tipo coniugale: significa riscoperta quotidiana dei motivi della relazione. “L’altro è colui che non avrò mai finito di scoprire, avvicinare, accogliere, sostenere, aiutare, allietare”. La fedeltà all’altro è fedeltà al futuro che è in lui. Sacramento dell’amore indissolubile La totalità del dono reciproco si raggiunge solo nel tempo. Solo il tempo è in grado di dire il vero significato dei singoli gesti amorosi. Essere una cosa sola significa rimanere con l’altro/a. L’amore coniugale che tende ad essere totale e fedele, viene espresso e sostenuto attraverso la decisione di assumere un vincolo che, nella sua forma piena, non è più scioglibile. “Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divide quello che Dio ha congiunto”. Se essi si avventurano nella fede, allora l’alleanza di Dio diviene per loro spazio salvifico di vita, possibilità e forza portante per il loro vincolo umano. Essi possono ricordarsene sempre di nuovo, attingere da essa coraggio e, fiduciosi in essa, riprendersi continuamente. Per il cristiano la rottura del matrimonio comporta l’arrogarsi un potere che non gli spetta e, al tempo stesso, una truffa nei confronti del nuovo partner, poiché gli vuole dare qualcosa che non gli appartiene e che lui quindi non può assolutamente donare. Il sacramento del matrimonio si costituisce per sua natura come un evento indissolubile. La sacra mentalità del matrimonio rappresenta il fondamento dell’indissolubilità matrimoniale, l’indissolubilità matrimoniale il fondamento per il riconoscimento della sua sacra mentalità. Sacramento dell’amore fecondo Il genitore diventa come un “destino” per il figlio, cioè una presenza non solo inevitabile, ma in molti modi determinante. Il figlio realizza in modo insuperabile e Cristiana Pan _ Medina III anno l’uno all’altra in modo sempre più completo, col sano desiderio di crescere nella conoscenza amorevole di sé e dell’altro/a; ci sia la gioia di “annaffiare” le radici l’uno dell’altra, cioè si lavori insieme per il sostegno di ciò che edifica ciascuno dei due e quindi entrambi; si cresca nel gusto per la preghiera condivisa, in cui si affinano i “gusti spirituali” reciproci; i fidanzati dedichino un’apposita cura alla preparazione di una profonda, significativa, piena vita sessuale, che non si inventa, non si improvvisa, non sia data per scontata; sulla scia della tradizione della “regola di vita”, i fidanzati stendano un sobrio “diario dell’amore”, in cui fare memoria delle opere di Dio in loro, identifichino i bisogni spirituali e relazionali, assumano gli impegni per la loro concretezza; un’attenzione particolare è bene sia dedicata alla formazione all’arte del perdono reciproco, che schiude ad inedite “rinnovazioni” dell’alleanza coniugale. Sentieri quotidiani Giunti alla celebrazione nuziale si dà avvio alla vita coniugale. Affinchè l’amore di Cristo innervi la vicenda amorosa di un uomo e di una donna è necessario che ciascuno dei due sia inserito in Cristo. Solo in questo caso potranno vivere la loro relazione all’insegna del suo comandamento nuovo: “che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. La spiritualità coniugale La parola “spiritualità” è intesa come la vita secondo lo Spirito del Signore Risorto, cioè vita nell’amore. Nel sacramento il dono di Dio e il compito della coppia vengono articolati in modo tale che Colui che viene donato è proprio Colui che rende possibile ed esalta la capacità di coloro che lo ricevono. L’etica matrimoniale L’etica matrimoniale si pone al servizio di una risposta completa all’attrazione dello Spirito: le esigenze che rendono autentico l’amore coniugale che desidera essere sacramento non solo altro rispetto alle leggi della morale matrimoniale, che indica le condizioni affinché esso possa realizzarsi in modo pieno. Totalità, fedeltà, indissolubilità, fecondità sono le caratteristiche che le regole morali intendono salvaguardare e favorire. Donarsi e accogliersi totalmente Essere sacramento dell’amore totale di Cristo implica Cristiana Pan _ Medina III anno che ciascuno dei due orienti se stesso all’unione con l’altro/a. Il corpo fa riferimento alla gestualità erotica e alla capacità procreativa; la mente riguarda la dimensione psichica dei pensieri e dei sentimenti; il cuore indica la dimensione spirituale della scelta libera, cioè consapevole e volontaria. A livello del corpo si tratterà di educare le proprie pulsioni erotiche e di conoscere la propria fertilità; a livello della mente si tratterà di imparare a vivere i propri pensieri e sentimenti senza fuggire dalla realtà; a livello del cuore, si tratterà di non lasciarsi tiranneggiare dalle voglie irrobustendo la propria capacità di scegliere con decisione e con costanza. La regola della “castità matrimoniale” mette in luce lo scadere dell’amore sessuale al solo congiungimento dei corpi senza sentimento e attenzione, per la ricerca esclusiva del piacere erotico o della procreazione. La castità è l’arte di parlare l’amore personale mediante il linguaggio dell’eros. Essere unicamente dell’altro/a La comunione amorosa integrale, giungendo fino all’intimità sessuale, assegna alla relazione amorosa il carattere di esclusività. Ci saranno anche “altri” nella vita di due coniugi, ma “come” il proprio coniuge non ci sarà nessun altro. Rimanere con l’altro/a L’io e il tu diventano “una carne sola” nel tempo. La totalità del dono reciproco si raggiunge solo nel tempo. Dare vita ad altro/i L’amore integrale è gravido di fecondità. C’è una fecondità interpersonale mediante la quale i due crescono, camminano, si amano nel tempo: il primo frutto della coppia è la coppia stessa. C’è inoltre una fecondità sociale della coppia, che si esprime nell’accoglienza, nell’ospitalità, nella relazione con altre famiglie. C’è una fecondità spirituale. Avviene quando due persone comunicano in profondità la loro vita, aiutandosi reciprocamente a rinascere come persone nuove. La comunione amorosa integrale, giungendo fino all’intimità sessuale, può infatti generare un’altra vita, dare vita al figlio. La contraccezione è l’esclusione positiva e diretta della facoltà generativa, attraverso alcuni impedimenti posti alla totalità della comunione interpersonale. I “metodi naturali” rispettano il ciclo della fertilità della donna, permettendo la regolazione naturale della fecondità, determinata secondo criteri di responsabilità, senza penalizzare la comunione integrale dei corpi dei coniugi. Cristiana Pan _ Medina III anno Sentieri tortuosi Il criterio fondamentale Affinché l’amore di Cristo circoli come linfa nella vita di una coppia non è sufficiente che essi dichiarino di credere: è necessario che lo frequentino. Una relazione amorosa vive del vivo contatto. Essendo il vissuto ciò che testimonia l’effettivo inserimento in Cristo, per valutarne la consistenza si dovrà guardare più alla qualità del vissuto amoroso che non alla correttezza formale, civile o ecclesiastica. Le situazioni matrimoniali irregolari L’irregolarità matrimoniale è il “peccato” e da questo punto di vista ogni matrimonio sarebbe “irregolare”, poiché non praticherebbe mai pienamente la carità di Cristo, che si pone come regola della morale cristiana. Con “irregolare” non si intende esprimere un giudizio di tipo morale sulle singole persone, ma solo indicare lo stato di vita dei battezzati che vivono coniugalmente senza il sacramento del matrimonio. C’è distinzione tra situazioni “difficili” (divorziati e separati) e situazioni “irregolari” (divorziati risposati, sposati solo civilmente, conviventi). La Chiesa cattolica ritiene di non poter ammettere queste persone alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica. La cura ecclesiale La Chiesa deve ricordare che quanti vivono in una situazione matrimoniale irregolare, pur continuando ad appartenere alla Chiesa, non sono in “piena” comunione con essa. Non lo sono perché la loro condizione di vita è in contraddizione con il Vangelo di Gesù, che propone ed esige dai cristiani un matrimonio celebrato nel Signore, indissolubile e fedele. Vicini a chi ha il cuore ferito Il magistero chiede di essere attenti al discernimento delle diverse situazioni che il fallimento del rapporto matrimoniale giunge a configurare, cercando di identificare il bene e la premura adatte a ciascuno dei soggetti coinvolti. C’è differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Cristiana Pan _ Medina III anno educare a proseguire nella stessa logica, in modo da favorire il discernimento degli eventi sociali più rilevanti. La verità dell’agire sociale La verità delle relazioni, nella Scrittura, si dà in modo paradigmatico, mediante la narrazione di vicende esemplari, ad alto contenuto simbolico. Con “giustizia” la Scrittura esprime il modo più autentico di vivere le relazioni nella storia, nelle concrete circostanze del vissuto. Tra due diverse e conflittuali modalità dell’agire nelle relazioni, la Bibbia non definisce con criteri astratti la migliore, ma dal confronto vivo tra le modalità possibili dell’agire fa scaturire la migliore, perché il lettore ne sia istruito. Giustizia è fedeltà, solidarietà, lealtà, anche in condizioni estreme, come di fronte al nemico o all’avversario. La giustizia è per l’uomo soprattutto cammino da compiere, sulla base dell’incrollabile e infinitamente superiore giustizia di Dio; essere giusti esige anzitutto fede in Dio, perché da Dio viene l’autentica giustizia. Antico Testamento La Legge Nel Pentateuco, la Legge di Israele è presente nei testi del Decalogo e della rimanente legislazione. Tra gli elementi di novità si notano: -‐ il presupposto: non si parte dalla giustizia intesa come ordine astratto da ristabilire, ma dalla concreta vicenda storica, in cui non vi sono astrattamente dei “cittadini”, ma il povero e il ricco in relazione tra loro; -‐ la natura: giustizia è qualità personale che si manifesta nell’agire, ed è sempre riferita all’altro; -‐ la motivazione: è riferita all’esigenza di giustizia che l’altro si attende. Della giustizia l’uomo non è artefice né protagonista, ma da sempre il suo agire è ampiamente preceduto dall’agire fedele di Dio, da cui l’intero popolo di Israele si riconosce previamente e immeritatamente raggiunto. La nostra giustizia può radicarsi, fondarsi, soltanto nella sua. La Profezia La Profezia denuncia forme di ingiustizia che la Legge non sempre mette in luce: -‐ l’ingiustizia generalizzata; -‐ l’ingiustizia occultata, nascosta dietro il velo dell’apparente legalità. Il Cristiana Pan _ Medina III anno ridimensionamento delle attese di Israele nei riguardi delle proprie istituzioni, l’apertura al riconoscimento delle altre nazioni e del loro ruolo nel piano di Dio, e la ridefinizione della propria speranza nella Promessa dispongono il passaggio dall’Antico al Nuovo testamento. Nuovo Testamento Gesù e la società del suo tempo Al tempo di Gesù il giudaismo era percorso da alcune principali correnti, tra cui zeloti ed esseni e la posizione di compromesso dei farisei e dei sadducei. Tratto comune era l’attesa di una restaurazione teocratica, in chiave monarchico-‐messianica. L’atteggiamento di Gesù è il rifiuto di ogni malinteso messianico di carattere politico-‐regale o sociale. Nell’annunciare l’assoluta trascendenza e irriducibilità della logica del Regno di Dio a quella dei poteri terreni, Gesù resta intenzionalmente all’interno del quadro politico-‐sociale del suo tempo, non astraendo mai da esso. Infatti, i discepoli sono invitati, partendo dalla loro fede, a correggere, integrare, migliorare la realtà sociale in cui e di cui anche vivono. Dio e Cesare Il rapporto tra la fede cristiana e la realtà politica soggiace all’episodio in cui Gesù è interrogato circa il potere di Cesare. “È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no? Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Un primo rilievo riguarda il contesto. Si tratta di un contesto pretestuoso, ingannevole. A proposito del rendere a Dio e a Cesare vi sono due letture errate della questione: -‐ a Dio o a Cesare: la contrapposizione tra fede e società o fede e politica, o anche separazione tra esse, così che si debba rendere un po’ all’Uno e un po’ all’altro, secondo le circostanze; -‐ a entrambi senza distinguerli: sovrapponendo i due Regni, fino a confonderli; ipotizzando magari una società e una politica idealmente coincidenti con le attese della fede. La lettura più corretta del duplice rendere, a Dio e a Cesare, prevede la composizione nella distinzione. Il Regno di Dio ha attese ben più profonde, ultime, qualitativamente e infinitamente superiori rispetto al regno di Cesare, che non salva, ma non può e deve realizzare una serie di beni per la società, anzi, quello che tradizionalmente sarà riconosciuto come il “bene comune”. In questa logica si colloca il tema della laicità della politica, intesa non come separazione assoluta, ma come corretta relazione della politica a ciò che la supera, a ciò che la politica stessa non può raggiungere: la verità, il senso ultimo della vita sociale. Il cristiano non potrà mai fare della sua fede una scusante per sottrarsi all’impegno sociale e politico, perché è volontà di Dio che egli si faccia carico anche di rendere a Cesare. Anche il regno di Cesare ha un posto, infatti, nel piano di Dio. Cristiana Pan _ Medina III anno Prospettiva ultima è allora che il cristiano veda i due regni non contrapposti, né separati, né affiancati, né giustapposti, ma l’uno relativizzato, finalizzato all’altro. Nel Regno di Dio confluirà anche il regno di Cesare: anzi, proprio lì troverà compimento, purificazione, elevazione, pienezza. Paolo e gli altri scritti del NT I principali atteggiamenti della Chiesa apostolica in riferimento alla società sono: -‐ la lealtà nei riguardi dell’autorità. Per essere autentica, deve essere integrata da due atteggiamenti: -‐ la distanza critica dai poteri terreni; -‐ la contrapposizione radicale alle richieste del potere qualora esso giunga ad assolutizzare sé stesso. Il culmine della rivelazione neotestamentaria circa l’agire sociale è la “carità”, pienezza di ogni giustizia. In Gesù di Nazareth soltanto si compie ogni giustizia ed ogni agape; in Lui e nel suo Spirito la comunità dei discepoli è chiamata a rivivere, a comprendere ed approfondire il suo Mistero e la sua vicenda assolutamente singolare anche nelle dimensioni relazionali. L’agape esprime la realtà stessa di Dio, la sua opera, il suo porsi definitivo e perfetto nei riguardi dell’uomo. L’esigenza di un Fondamento Gesù è il solo Giusto: in Lui si rivela la giustizia autentica, la piena solidarietà con l’umanità. Circa il fenomeno sociale Le relazioni si presentano nella loro verità come vincolo. Riconoscere la verità della società significa crescere nella consapevolezza del valore dell’essere obiettivamente inseriti, insieme, in una determinata società, cultura, storia, e via dicendo, così da saper realmente apprezzare la presenza dell’altro, non potenziale avversario ma nativamente fratello. Circa la prospettiva etico-‐sociale Le relazioni si presentano come occasione di solidarietà, di condivisione; come opportunità di essere con e per l’altro. Riconoscere la verità della società significa cogliere l’importanza di un agire sociale, in cui cioè si ricerchi anzitutto il bene dell’altro e di tutti, insieme. Circa la verità ultima della società La Scrittura rivela una più profonda verità delle relazioni, interpersonali e sociali; la forma più originaria delle relazioni si manifesta dall’altro, e soprattutto dall’Altro. Siamo fruitori, fin dal nostro nascere, di un immenso patrimonio di valori, di sapere, di condizioni di vita create da altri per noi; nascere in un determinato contesto sociale piuttosto che in un altro pone già differenze straordinarie quanto a possibilità e qualità di vita. Dio e gli altri devono avere il primato assoluto in ogni azione, anche sociale. Riconoscere la verità della società implica, a questo ultimo livello, uno sguardo di autentico stupore nei riguardi della società; quello, probabilmente, a noi meno Cristiana Pan _ Medina III anno dell’uomo, accecandolo. Della povertà raccomandata dal vangelo, non si può fare l’ideologia. Il discepolo non è tale nella misura in cui meno possiede. Certo è che le ricchezze non sono realtà indifferenti all’accesso al Regno e alle modalità effettive del discepolato, comunque da sottoporsi al primato assoluto della carità. La predicazione di Gesù non afferma la necessità di “disfarsi ad ogni costo”, o comunque di distruggere i beni materiali in quanto segno negativo. Dei beni, i Dodici facevano evidentemente uso, come più volte attestato nei Vangeli: né, in ogni caso, Gesù ha esortato i suoi ad uscire dal quadro economico-‐sociale del suo tempo. Ciò che è lasciato, donato o condiviso, o posseduto ad esempio in comune, non è perduto, ma trasformato; non è più occasione di divisione e contrapposizione, ma di comunione. Il criterio evangelico ultimo per la gestione delle ricchezze è di sottoporle a due criteri di giudizio fondamentali: -‐ il giudizio di Dio nella fede; -‐ i bisogni dell’altro, e di tutti gli altri, nella prospettiva della carità. Il regno di Dio è la sola, vera, ricchezza in grado di colmare il cuore, le attese profonde dell’uomo. Ogni altro bene, pur benedetto da Dio, da Lui stesso voluto e donato all’uomo, ha senso per sostenere l’uomo entro la sua vicenda storica, in una logica di fraternità e condivisione. I beni della terra sono offerti all’umanità perché essa ne fruisca concordemente; perché siano occasione e motivo di unità, non di divisione. I beni vanno riconosciuti ultimamente come doni di Dio che devono giungere a sfamare molti; il “talento” trattenuto presso di sé, viceversa, rimane improduttivo, per sé e per gli altri. Etica dell’agire economico La finalità complessiva: produrre utilità o contribuire al bene comune? Il criterio più generale per un giudizio etico in economia consiste nella finalizzazione dell’utile al bene. Scopo dell’azienda non è la massimizzazione del profitto, quanto di fornire beni e servizi, utili ad altri, alle migliori condizioni compatibili con l’esigenza di una gestione ordinata, in grado di remunerare adeguatamente chi lavora in essa ed i fattori che consentono la produzione. Se i beni economici sono finalizzati all’uomo e non sono fini a se stessi, ciò che va migliorato e massimizzato è semmai altro: la qualità del prodotto o del servizio offerto; l’occupazione, ecc... All’opposto, la negazione dell’etica non dà buoni frutti neppure sul piano dell’utilità economica. Luoghi caratteristici della tensione tra eticità ed economia Il lavoro umano e le sue esigenze Il lavoro, per essere pienamente compreso, va inteso come vocazione originaria dell’uomo. Il lavoro è da cogliersi anche come grande opera ed occasione di solidarietà. Essenziali sono i diritti del lavoro, specialmente al giusto salario, quello in grado di soddisfare le Cristiana Pan _ Medina III anno necessità della propria persona, della propria famiglia, e a garantire, anche per mezzo dei sistemi di assicurazione sociale, il lavoratore dalle sue altre necessità. La più profonda interpretazione del lavoro concerne la sua dimensione teologica. Particolare importanza andrà assegnata all’impresa. Un’impresa va vista anzitutto come “comunità di uomini” o “di lavoro”. Possesso e utilizzo di beni e di mezzi finanziari Il principio che presiede al possesso e all’utilizzo dei beni di ogni tipo è quello della destinazione universale dei beni della terra. Questo principio afferma che i beni economici sono stati affidati da Dio all’umanità tutta, affinché possano rimanere al servizio di tutti, senza indebite esclusioni. Questo non significa abolizione della proprietà privata; implica piuttosto che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti, così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari. Ciò implica il riconoscimento della funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato. Tale principio, se da un lato fonda il diritto alla proprietà privata, d’altro lato evita che la proprietà privata stessa sia immaginata come diritto assoluto. Con ciò non si intende mettere in discussione la titolarità dei possessi, ma il loro utilizzo che deve considerare le necessità altrui. La titolarità dei possessi può venir meno nel caso dell’esproprio. Il procedimento di esproprio deve essere guidato dai seguenti tre criteri: sia determinato dall’autorità legittima competente, secondo le esigenze e i limiti imposti dal bene comune e dietro equo indennizzo. Si configura non come negazione del diritto alla proprietà privata ma come sua limitazione o meglio, trasformazione per ragioni di bene comune. Quale sistema economico? Quale globalizzazione? La Dottrina Sociale della Chiesa è per una particolare modalità di sistema economico, alla quale possono corrispondere in concreto differenti modelli: -‐ un’economia in cui Stato, mercato e corpi intermedi abbiano ciascuno un compito riconosciuto e apprezzato al servizio del bene comune; -‐ un’economia in cui al mercato sia riconosciuto un ruolo positivo. La Dottrina Sociale della Chiesa richiede pertanto un mercato del lavoro, dei beni e servizi e dei capitali equo, non lasciato in balia delle sole forze che in esso si confrontano, ma rettamente governato, in cui cioè l’equilibrio giunga alla formazione di un “giusto salario”, di un “giusto prezzo” e di un “giusto profitto”. Un mercato quindi non finalizzato a se stesso, ma all’uomo e al suo servizio, lontano da ogni ricerca esclusiva del profitto e da una logica consumistica, anch’essa spersonalizzante; Cristiana Pan _ Medina III anno -‐ un’economia articolata e basata su una pluralità di interventi e di soggetti. In negativo, si mette in guardia dalle strutture di peccato e dal peccato sociale, rilevanti in sede economico-‐ politica. In positivo, si auspica l’orientamento generalizzato della solidarietà. Una politica per il bene di tutti Che cos’è “politica”? La politica è una risorsa, possibilità o anche potenzialità straordinaria posta al servizio del progresso della civiltà. La politica ha saputo diffondere una pluralità di beni e servizi un tempo disponibili a pochissimi; ha saputo far crescere la partecipazione e la dignità del cittadino, favorire la ricerca e la cultura, consentire la fruizione di numerosi diritti. Dalla politica scaturiscono e sono scaturiti anche guerre, distruzioni, genocidi, neo-‐colonizzazioni di intere aree dell’umanità, e così via. La forza della politica risiede nel fatto che essa attinge a un potere proveniente da molti. La politica rappresenta il potere sociale, cioè su molti, indistintamente, nella sua massima espressione storica; ad essa, competono sempre responsabilità di altissimo livello. La politica può essere riferita a tre livelli: -‐ la policy, ovvero l’orizzonte più ampio degli orientamenti ideali, linee di condotta, aspetti culturali della politica; finalità, valori, contenuti del dibattito e della prassi politica; costume, modi di vivere; -‐ la polity, ovvero il livello concernente gli aspetti istituzionali, strutturali, della politica e il loro governo; -‐ la politics, vale a dire la politica attiva, l’attività politica in senso proprio: è quella ordinariamente svolta dai suoi professionisti, ovvero dai politici propriamente detti. Rappresenta anche il livello di riflessione, di studio specifico della scienza politica. Il primo orizzonte è fondamentale, gli altri due devono essere posti al suo servizio; il secondo rappresenta la codificazione, la strutturazione istituzionale della politica e il suo attuarsi; il terzo, il luogo decisionale, dipende e interagisce con gli altri due, in quanto di essi si alimenta e su di essi interviene, influenzandoli. La ricerca della verità nella vita politica La Rivelazione biblica Antico Testamento In primo piano troviamo la Legge e i suoi mediatori, giudici e re chiamati a esercitare la giustizia presso il popolo. Un ruolo altrettanto importante è svolto dalla Profezia. I profeti affermano l’esigenza non solo di istituzioni giuste, ma di Cristiana Pan _ Medina III anno Fede, etica e società L’articolazione dell’agire politico comporta una triplice dimensione, tre differenti livelli ai quali può essere colto. Entro ogni azione o decisione politica si dà in modo riconoscibile l’aspetto dei beni sociali da essa prodotti, ma veicola un significato etico e teologico. Una politica puramente neutrale non esiste. L’azione politica non può dirsi autonoma in senso assoluto, prescindendo da ogni riferimento etico, perché comunque implica al suo interno almeno altri due livelli di significato più profondi. Ciò fonda le ulteriori possibilità di trattare di etica politica e dei rapporti tra fede e politica. Il progetto etico-‐ politico della Dottrina Sociale della Chiesa I tre cardini della prospettiva etica sono i principi, i valori e le virtù. I grandi principi e il loro significato unitario È l’uomo il punto di convergenza dell’intera Dottrina Sociale della Chiesa. A lui fanno riferimento la totalità dei principi. Il principio personalista indica il centro e il senso ultimo della vita sociale, bene comune (e destinazione universale dei beni), sussidiarietà e solidarietà. Si tratta di sei principi che tutelano le grandi dimensioni del rapporto sociale. Lo svolgimento del disegno unitario deve essere elaborato a partire dai singoli principi. Anzitutto il primato della persona umana su ogni modalità della vita politica e sociale. Tale è il principio personalista. A riguardo della società civile e del suo primato nei confronti delle istituzioni vale il principio di sussidiarietà. A governare la politica è preposto il principio di solidarietà. Il principio del bene comune determina il fine al quale deve mirare l’intera azione politica. Da ultimo, la politica va ispirata al principio della partecipazione, affinchè la cittadinanza risulti matura. Democrazia, laicità e dialogo Nell’insegnamento sociale della Chiesa l’opzione preferenziale è per la democrazia. La laicità attiene a qualcosa che appartiene a tutti, indistintamente; qualcosa di comune, di appartenente a un intero popolo, che merita la considerazione di tutti. Il riferimento alla laicità aiuta a comprendere come i valori non siano apprezzabili solo entro l’orizzonte dei credenti. Non si tratta infatti di valori esclusivi dell’interpretazione cristiana ma proponibili a tutti perché compresi esattamente come momenti, modalità del bene di tutti e non soltanto di alcuni. Una democrazia non può limitarsi ad amministrare un insieme di procedure e regole asettiche, in quanto suo compito principale è di garantire le condizioni alle quali un dialogo davvero fecondo, fruttuoso, costruttivo possa avvenire. Le “regole del gioco”, basilari in una democrazia, sono poste affinchè il gioco democratico, attuato sulle basi del dialogo, possa veramente attuarsi. Il dialogo non può limitarsi a pura formalità espressiva. Cristiana Pan _ Medina III anno Un diritto per la vera giustizia Legge e giustizia nella sacra Scrittura Nell’Antico Testamento la Legge è espressione dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo. In negativo, il significato della Legge è quello di delimitare il male. Nell’Antico testamento è possibile scoprire l’annuncio di una nuova Legge e di una nuova giustizia, di cui Dio solo è vero garante e custode. Nel Nuovo Testamento la sintesi contenuta nei versetti di Matteo offre una pista di riflessione che non toglie la differenza tra giustizia degli uomini e giustizia di Dio, né vanifica la prima, ma raccomanda che la tensione tra le due sia avvertita e vissuta in direzione della seconda e più alta. L’autentica giustizia, annunciata nella Scrittura come prerogativa esclusiva del Dio di Gesù Cristo (il solo Giusto), non può attestarsi al semplice livello dell’osservanza di procedure (Pilato) o delle tradizioni (i farisei). Essa impone piuttosto di mettersi in gioco, anche radicalmente, nei confronti della verità. Diritto, morale e costume nel corso della storia Le origini Il diritto costituisce la più generale mediazione sociale; tutela beni, valori, diritti che hanno rilevanza pubblica. Il diritto è dato per tutti e per sempre: è universale e perenne. L’epoca romana Nella classicità romana il diritto vanta il primato e una “pretesa” di intrinseca eticità. Fondamento del diritto è considerata la natura dell’uomo, ragione per cui i principi generali del diritto sono applicabili a chiunque, in ogni situazione, tra cittadini romani ma anche stranieri. Il motto è “vivere onestamente, non ledere gli altri, dare a ciascuno il suo”. L’epoca medievale e la sistemazione di S. Tommaso Nel Medioevo si verifica la massima vicinanza tra diritto e giustizia. La giustizia, considerata virtù, contempla tre forme: a. generale o legale; b. distributiva; c. commutativa. La stagione moderna L’intesa tra diritto e giustizia diviene sempre più faticosa. Diritto è ciò che è comandato dalla legittima autorità, quindi dal sovrano: la legge è il comando di chi in quel Cristiana Pan _ Medina III anno momento è detentore del potere. Accanto alla legge naturale si afferma la legge positiva. È giusto il comportamento conforme alle leggi dello Stato; delle motivazioni, intenzioni, della qualità dell’agire giusto non ci si occupa. Tra etica individuale e diritto sociale si darà sempre maggiore, reciproca estraneità. Dall’illuminismo ad oggi È la stagione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Le due principali regole di questa concezione della giustizia sono: l’uguaglianza e la differenza. Significato e limiti del diritto Sul versante del legislatore Il compito del legislatore si colloca nella linea della buona interpretazione dell’ethos vigente. Ciò implica una precisa responsabilità del legislatore. La massima oggettività di una legge non si dà soltanto evocando comportamenti conformi ad essa in senso materiale, ma nella sua massima capacità di predisporre al bene comune, cioè di tutti e di ciascuno. Il legislatore è consapevole che la legge non è soltanto indicatrice di comportamenti. Suo compito è anche, inscindibilmente, di promuovere, orientare, coordinare, correggere, incentivare al meglio, nei termini realisticamente possibili, il buon agire di tutti. Ciò non implica che il legislatore faccia proprio un determinato orizzonte etico, né che tenda a sostituirsi alle coscienze. Implica piuttosto un agire responsabile e responsabilizzante, che traspaia dalla legislazione stessa. Sul versante dell’agire personale A livello personale è richiesta la lealtà nel rispetto delle leggi, che impone a ciascuno di tendere al bene comune. Regola suprema resta la carità.