Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

riassunto libro Introduzione all'etica cristiana, Sintesi del corso di Teologia

riassunto libro Introduzione all'etica cristiana di Piana per il corso di Varsalona, teologia 3 non frequentante

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 29/05/2022

BSusanna
BSusanna 🇮🇹

5

(1)

5 documenti

1 / 25

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto libro Introduzione all'etica cristiana e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! Introduzione all’etica cristiana 1. Capitolo 1 Crisi e attualità della domanda etica La crisi morale è rivealata da sintomi che si manifstano sia sul terreno dei vissuti personali e nei comportamenti sociali: - Primo fronte: la caduta di normative eccessivamente rigide legate a modelli repressivi con effetti colpevolizzanti ha provocato uno stato di disorientamento dovuto alla rimessa in discussione di valori ritenuti fino a ieri evidenti - Secondo fronte: viene meno la convergenza attorno a valori universalmente condivisi sui quali edificare la convivenza civile Le cause di questa situazione: a. L’avanzare di una cultura individualista che si è tradotta in un’accentuata privatizzazione dei comportamenti e degli stili di vita. Il ritorno al soggetto e dunque ambivalente; può condurre a recupero della persona in quanto essere costituito attivamente relazionale, perciò aperto agli altri e alla società; ma può anche determinare il ripiegamento dell’individuo su se stesso. b. L’affermarsi del fenomeno della complessità: si assiste nell’ambito della società a una crescente complicazione dei sistemi organizzativi e gestionali con il rischio della ingovernabilità. E fatti di tale mutamento si fanno sentire anche in campo sociale ed etico nel primo luogo una moltiplicazione delle appartenenze che si traduce in una destrutturazione del tessuto complessivo che provoca la sostituzione delle classi sociali con le corporazioni. Nel secondo campo il bene comune sostituito dalla ricerca dell’interesse privato, con la conseguente rinuncia ogni tensione ideale e valoriale. c. La terza causa coinvolge direttamente il sistema economico: il capitalismo selvaggio assunto i tratti di un’ideologia totalitaria, una sorta di pensiero unico che si ispira alle logiche di efficienza produttiva e consumo e tende ad estendersi a tutti gli ambiti della vita, ripiegando l’uomo sulla visione pragmatica della vita e dell’azione sociale d. Il fenomeno della secolarizzazione, con il quale ha avuto luogo il processo di “disincantamento del mondo” determinando un crollo di ideologie e delle grandi narrazioni religiose La mancanza di solidi pilastri sui quali poggiare le proprie scelte non sono uscita soltanto insicurezza interiore; prende soprattutto ardo alla definizione della propria identità e realizzazione personale. Sul piano sociale poi l’impossibilità di convergere attorno una piattaforma di valori condivisi impedisce l’instaurarsi di forme di convivenza che favoriscano la crescita del senso di appartenenza. Due esempi: - L’informatizzazione ha dato luogo a una vera mutazione antropologica. Dando luogo a una nuova soggettività, che si caratterizza per l’acquisizione di grandi abilità tecniche e per l’apertura una miriade di significati ma che appare allo stesso tempo, votata alla riduzione degli spazi del senso critico della creatività. L’estensione smisurata dell’informazione va di pari passo con la dequalificazione del comunicare - Manipolazioni genetiche: l’escalation scientifico tecnologica degli ultimi decenni in campo biomedico ha ampliato il dominio dell’uomo della realtà fino a porlo nelle condizioni di modellare la specie umana. 2. Capitolo 2 Il contesto biblico Una risposta puntuale all’odierna domanda di etica è presente nella rivelazione ebraico-cristiana. La Bibbia contiene un messaggio morale espressione dell’intreccio costante tra l’auto comunicazione che Dio fa di sé e le tradizioni socio-culturali dei diversi momenti storici. Da qui due osservazioni: - E la prima consiste nella rilevazione della non perfetta coincidenza tra maturazione della coscienza di fede trasformazione dei costumi.alla crescita nella fede non corrisponde sempre e necessariamente un’analoga crescita della condotta morale - 1 - La seconda è il carattere di peculiare storicità che contrassegna l'esperienza morale: l'influsso dell'ambiente è in essa particolarmente rilevante. Si spiega così la relatività delle indicazioni morali proprie della rivelazione: l’ethos È soggetto a un costante divenire, nel quale si danno aspetti di continuità e di integrazione, ma anche di sviluppo e di cambiamento.ci limiteremo a mettere a fuoco i principi guida che animano in profondità l’ethos biblico. Ci riferiremo in particolare a tre grandi categorie: l’alleanza, la conversione, la carità. i. L’alleanza l’esperienza religiosa di Israele è caratterizzata dal dialogo continuo tra Dio e l’uomo. Alla base di tale dialogo viene l’alleanza, cioè il patto. L’alleanza è soggetta ad un processo che si sviluppa per tappe successive e che culmina, nell’antico testamento, nel patto sinaptico. La piena realizzazione di tale comunicazione si verifica nel nuovo testamento, in cui l’alleanza trova definitivo compimento nell’evento-persona di Gesù di Nazareth. Alleanza e legge proponendosi come il Dio unico, che ha salvato Israele sottraendolo alla schiavitù dell’Egitto, Dio si presenta come il legislatore: la legge acquista un significato unicamente a partire dalla preesistente iniziativa salvifica. La legge non può dunque essere concepita come il fine dell’agire dell’uomo biblico; è un semplice mezzo funzionale alla preservazione e alla crescita dell’alleanza. Il contenuto del decalogo È costituito da una serie di precetti negativi, che hanno l’obiettivo di discriminare con precisione ciò che è fedele all’alleanza e ciò che non lo è. Essa non hai carattere di un’imposizione esterna ma rappresenta il “sì” dell’amore fedele all’iniziativa radicalmente gratuita di Dio. La nuova alleanza che prende forma dall’evento-persona di Gesù di Nazareth, comporta anzitutto un radicale rinnovamento interiore dell’uomo che diviene nuova creatura capace di vivere una vita nuova grazie all’azione dello spirito che opera in lui. Lo spirito assume dunque ruolo di legge nuova, che si sostituisce alla legge esterna e conferisce alla vita cristiana il carattere di piena e perfetta libertà. L’esperienza morale discende perciò immediatamente dalla “novità di vita” partecipata all’uomo, chiamato a rendere trasparente nel quotidiano la nuova identità ricevuta, compiendo le opere dello spirito. La buona notizia che si realizza nella persona di Gesù non rende tutta via del tutto superflua la legge esterna, la quale non deve essere abolita ma perfezionata. La fede come primo atto morale inserita nel contesto dell’alleanza, la vita morale acquista un carattere radicalmente responsoriale; È il sì esistenziale dell’uomo addio che chiama ciascuno per nome; un “sì” che ha come oggetto il dono di sé. Dio è dunque il vero centro dell’impegno morale del credente, la cui salvezza sta nell’unione di amore con lui. L’etica biblica riconosce la radicale dipendenza dell’uomo da Dio, è dunque un’etica: - Religiosa il cui fine non è l’auto perfezionamento umano ma l’incontro con il signore. In questo letto i capitoli di farsi distingue da qualsiasi etica umanistica poiché il credente non c’è se stesso ma Dio - Teologale  in essa la fede acquista il significato di primo atto morale. Dio non è colui che sanziona dall’esterno la vita morale, ma è colui che dall’interno le ispira e costruisce insieme all’uomo. - È una morale religiosa finalizzata al perfezionamento morale dell’uomo - È una mistica  dell’incontro dell’unione con Dio. Ha a fondamento la fede del dono divino reso semitrasparente in Gesù di Nazareth - Teocentrica  fa dell’accoglienza del dono divino e dell’affidamento totale di sé addio il presupposto per vivere nella dedizione incondizionata di sé ai fratelli. L’alleanza trova piena attuazione in Cristo. Gesù non è dunque soltanto colui che proclama l’alleanza ma è l’alleanza nella sua persona, in quanto in lei si realizza la pienezza della comunione di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. In Cristo Dio si è dato totalmente all’umanità e l’umanità risposto di “sì” al dono di Dio. L’esistenza cristiana diviene pertanto risposta di amore alla chiamata di amore che Dio ha rivolto all’uomo in Gesù Cristo. Gesù non è soltanto la ragione e il modello della risposta del cristiano; è anche il principio di tale risposta. La vita del cristiano e dunque essenzialmente rinascita, vita nuova in Cristo; la progressiva 2 comprensibile nel contesto degli ultimi avvenimenti della vita di Gesù: risulta infatti evidente nel momento dell’abbandono dei discepoli che si tratta di un amore improntato ad un’assoluta gratuità; Paolo, da parte sua si premura non solo di segnalare la centralità della carità per l’agire morale del credente, ma di mettere anche in luce come essa altro non è che la naturale conseguenza della salvezza donata e costituisce quindi risposta adeguata alla vocazione dell’uomo nuovo. b) Un secondo aspetto di novità dell’interpretazione fornita da Gesù: la sottolineatura che amore di Dio è amore del prossimo sono tra loro indissolubilmente uniti e reciprocamente interdipendenti, al punto di essere considerate due facce della stessa medaglia. “chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, Alma anche chi da lui è stato generato.in questo conosciamo di amare i figli di Dio, quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti”-Gv. L’unità tra l’amore di Dio amore del prossimo e qui pienamente raggiunta, al punto che si può parlare di un unico comandamento. Il rapporto tra fede e amore è messo a fuoco da Giovanni: la fede rinvia alla trascendenza di Dio ma soprattutto alla scoperta che egli è amore. E tale scoperta conduce all’osservanza pratica delle sue parole. c) Il terzo aspetto di novità è costituito dall’estensione limitata del comandamento dell’amore del prossimo fino all’inclusione del nemico; questa istanza rende in modo equivocabili la radicalità del messaggio di Gesù. L’estensione dell’amore al nemico intende sottolineare che per il discepolo di Gesù ogni uomo è “prossimo”; che è definitivamente annullata la linea di separazione tra buono e malvagio. Il motivo di questo atteggiamento sta nell’amore di Dio per i peccatori; amore che ha trovato la sua più alta espressione nella condotta di Gesù. d) La ragione ultima del comandamento dell’amore cui l’uomo è chiamato ad ispirare la propria condotta va ricercata nella natura stessa di Dio. Il Dio della rivelazione cristiana vive infatti in comunione di persone le quali sussistono in quanto reciprocamente si donano. Dio è un assoluto di relazione di dono; Gesù è il dono perfetto di Dio agli uomini poiché in lui l’amore divino non è soltanto rivelato agli uomini ma anche donato come impegno. L’auto rivelazione di Dio in Cristo assume il carattere di chiamata. L’agape (carità) non è uno dei comandamenti, ma è il comandamento. Essa si differenzia pertanto qualitativamente da tutti gli altri comandamenti, che evidenziano istanze particolari cui sottostare. Il rapporto tra il comandamento e i comandamenti non è paritetico: il comandamento ha senz’altro bisogno dei comandamenti per potersi incarnare nelle varie situazioni dell’esistenza; la carità è contrassegnata però da una radicale unicità. Essa riassume in sé l’intera vita del credente, visti alla luce della carità i comandamenti sono più che leggi o precetti ma si trasformano in invito a rendere operante nella vita quotidiana la carità. Il carattere assoluto della carità è dovuto alla considerazione che essa coincide con la partecipazione alla vita divina comunicata all’uomo in Cristo; agire secondo Cristo o agire secondo carità sono imperativi morali che si equivalgono. Lo stretto rapporto esistente tra amore di Dio e amore del prossimo rende trasparente l’inscindibilità tra la dimensione religiosa e la dimensione morale; l’originalità dell’insegnamento di Gesù consiste quindi nel superamento di una concezione intimistica del rapporto con Dio per evidenziare come l’amore filiale verso il padre si manifesta, nella solidarietà fraterna. L’etica della prossimità è un’etica caratterizzata dal prendersi cura di chi ha bisogno. La carità è proposta nella letteratura neotestamentaria non solo attraverso enunciati astratti, ma anche attraverso esperienze concrete che riguardano la vita dei singoli e delle comunità. L’esperienza più significativa è quella della primitiva comunità cristiana, dove la carità diviene l’anima del vissuto collettivo e il criterio di valutazione dei comportamenti quotidiani: “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.… Tutti i credenti stavano sempre insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.” 5 Lo stile di vita della comunità cristiana è caratterizzato da fraternità; La carità è ispiratrice di una morale comunitaria. La carità e dunque la motivazione ultima dei pensieri e delle opere di coloro che prendono parte alla vita della comunità cristiana. A motivare l’agire cristiano è anzitutto la fede, che costituisce la risposta al Dio dell’alleanza; a proiettarlo in avanti è la speranza, che nasce dalla percezione del bisogno di una permanente conversione; infine, a definire il contenuto da incarnare nella vita quotidiana e la carità, come risposta al dono della partecipazione alla vita divina. Capitolo 3 i presupposti teologici L’attualizzazione del messaggio morale cristiano esige che le grandi indicazioni che scaturiscono dalla rivelazione biblica vengono reinterpretati attraverso la mediazione di alcune categorie teologiche. Il contesto entro il quale situarli e il disegno della storia della salvezza, che si concentra attorno al mistero di Cristo fattosi uomo, morto e risorto. Dalla fede deriva una prospettiva di lettura della realtà , Che influenza anche l’agire umano; la fede dunque stimola e integra la ragione morale. Cristologia, ecclesiologia ed escatologia definiscono rispettivamente il fondamento, l’ambito di attuazione e la tensione al futuro che caratterizzano l’etica cristiana e orientano l’agire del credente a. Il fondamento cristologico L’agire morale del credente le sue radici nel mistero di Cristo, in quanto luogo della definitiva riconciliazione del divino e dell’umano. La reinterpretazione della figura di Gesù risente inevitabilmente dell’influenza della cultura e dell’Ethos delle diverse epoche storiche e dei diversi ambienti entro i quali si sviluppa; per questo è importante mettere a fuoco l’influenza che la vicenda di Gesù ha avuto sulle comunità cristiane. L’assegnazione di centralità al mistero di Cristo nell’ambito dell’etica cristiana a inizio nei primi decenni del XX secolo. Via in questo periodo una preoccupazione di tornare i fondamenti biblici; la questione più dibattuta diviene però quella di individuare una categoria fondamentale della rivelazione che consenta di dare unità alla riflessione morale cristiana; ad essere privilegiata è la categoria della sequela di Cristo. la fondazione cristologica trova pieno accoglimento nel Vaticano secondo nel quale la vocazione in Cristo diviene la categoria principale di definizione dell’eticità cristiana. In quanto risposta a tale “vocazione”, l’agire morale assume un carattere dialogico, appare cioè contrassegnato dall’azione di Dio alla quale deve corrispondere la libera cooperazione umana. La Cristologia è posta dunque al centro della vita morale: Cristo e misura dell’essere e dell’agire cristiano. Rifacendosi a queste indicazioni del concilio, Hans Urs von Balthasar sottolinea come l’esistenza cristiana, ha il suo metro decisivo in Cristo, che è insieme la norma più concreta -in quanto persona individuale- E la norma più universale- in quanto misura di tutti e di ciascuno in ogni situazione. La formula consiliare sottolinea la necessità di un impegno operoso conseguenza dell’azione dello spirito di Cristo, che trova sua espressione compiuta nella carità. In quanto norma suprema della vita morale, la carità rinvia alla pienezza della vita divina, che ha avuto la sua incarnazione storica nella persona di Gesù. In questo modo il Vaticano secondo integra perfettamente tra loro fede e agire morale. La grazia di Cristo rispetta pienamente la realtà dell’essere uomo; è legge interiore che ha come contenuto l’amore riversato nel cuore umano mediante il dono dello spirito; l’ordine morale, assume dunque le dinamiche umane e le porta a compimento. Il Cristo centrismo promosso dal concilio intende soprattutto sottolineare come al centro del messaggio cristiano non vi è un principio astratto, ma una persona, la persona di Cristo nella quale si è reso visibile è sperimentabile l’amore di Dio. Le sollecitazioni del concilio hanno dato luogo allo sviluppo di alcuni modelli interpretativi, tra i quali spiccano quelli del rapporto tra regno di Dio e sequela di Cristo, tra indicativo imperativo di salvezza e infine quello legato alla rilettura esistenziale del discorso della montagna. i. La sequela nell’orizzonte del regno La sequela assume il carattere di servizio alla causa del regno. L’instaurarsi di un rapporto vivo con la persona di Gesù implica il coinvolgimento dell’esistenza in un progetto globale, l’evento-Cristo costituisce il momento in cui la signoria di Dio sulla storia raggiunge il culmine e conferisce alla libertà del credente la 6 possibilità di affrontare le conflittualità esistenti nel mondo nella consapevolezza che, pur essendo vinto in Cristo, continuano a sussistere e vanno coraggiosamente assunte ed elaborate. La chiave di soluzione che fa salva la specificità dell’agire morale cristiano, vai in definitiva rintracciata nella partecipazione del credente alla kenosi (consiste nel fatto che Cristo rinuncia il suo modo di essere e accetta corrispondentemente il modo di essere di uno schiavo, diventando un uomo uguale agli altri) di Cristo; la considerazione che la salvezza divina avviene avviene nell’umile obbedienza del figlio di Dio, comporta la piena assunzione dell’Ethos umano, liberato dalle tentazioni e sottratta alla logica dell’interesse individuale. ii. La connessione tra indicativo e imperativo Nell’istituire il rapporto tra cristologia e morale, i testi Giovannei e Paolini pongono l’accento sulla stretta connessione tra indicativo e imperativo. L’esistenza cristiana è descritta come un cambiamento interiore da cui discende l’esigenza di una radicale trasformazione dello stile di vita. Lo scarto tra l’azione di Dio in Cristo e l’azione umana non può essere del tutto superato: il nesso sequela-imitazione non può essere interpretato nel segno di una piena continuità, essendo Gesù modello incomparabile e dunque inimitabile; ciò che è richiesto all’uomo e il coinvolgimento dell’intera esistenza in una decisione in un impegno che implica l’adesione obbediente di tutta la persona e il disegno di Dio. Ma il recupero del fondamento cristologico viene soprattutto dalla rilettura del messaggio di Gesù al cui centro vi è la richiesta perentoria al discepolo di una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei. Il senso di questa richiesta è presente nelle antitesi del discorso della montagna (“è stato detto agli antichi… Ma io vi dico”), dove non è in gioco soltanto la radicalizzazione delle istanze della legge, ma, più profondamente, la messa in questione della sua stessa funzione. La possibilità di imboccare questa strada è legata al recupero di uno stretto rapporto tra cristologia e antropologia: la fede incontra una ragione morale storicamente situata dalla quale non può prescindere nell’elaborazione della condotta e delle norme, ma si proietta nel contempo sull’agire, ispirando un senso di fiducia fondato sulla consapevolezza che il tempo presente è riscattato. Il recupero di Gesù nella storia il Vangelo che Gesù annuncia e che ha al centro la proclamazione dell’ingresso del regno nella storia influenza profondamente il modo che egli ha di intendere il comandamento di Dio rivolto alla libertà dell’uomo. La prossimità del regno nella persona di Gesù coincide con l’attuazione di quella pienezza nel tempo, che conferisce all’uomo la possibilità della piena liberazione di sé, ma che gli impone l’impegno a un cammino di permanente conversione. Le parabole contengono questa sollecitazione e diventano provocazione all’esercizio di un giudizio che ai caratteri dell’urgenza e della radicalità. La prassi di Gesù si trasforma in modello al quale il discepolo si deve riferire per comprendere pienamente il significato della legge nella nuova economia cristiana. Il rapporto tra la legge nuova e la persona di Gesù è strettissimo; la storia di Gesù è il paradigma al quale il discepolo deve ispirarsi; l’imperativo morale scaturisce dall’autorità che Gesù manifesta ed è confermato dalle sue opere e il legame tra comandamento e sequela è radicato nella testimonianza del maestro. La Pasqua costituisce il momento della piena Ri comprensione del comandamento, che fa appello alla decisione dell’uomo, all’accoglienza nella fede e alla conversione come evento concreto dal quale viene l’illuminazione delle forme dell’agire. Alleanza, conversione, sequela eccetera sono categorie connotate simultaneamente da una valenza religiosa e da una valenza etica, in quanto evidenziano, da un lato il rapporto che si istituisce tra l’uomo e Dio e mettono, dall’altro, l’accento sulla necessità di fare propri nuovi modelli di comportamento da incarnare nelle scelte quotidiane. La distinzione tra le due esperienze non viene per questo annullata: la fede è infatti anzitutto un’esperienza Inter prestante, che illumina globalmente la vita e conferisce all’agire il fondamento e l’orientamento verso il fine ultimo; d’altra parte, l’ethos, che è l’ambito in cui tale esperienza si rende trasparente, esige per essere definito nei suoi contorni reali una permanente attenzione ai contesti nei quali la vita si svolge. La fede apre un orizzonte che dà consistenza all’ethos spingendo l’uomo ad attuarlo; a sua volta l’eThos esercita la funzione di criterio di autenticazione della fede. La prassi messianica come paradigma il fondamento dell’agire morale del cristiano sta nella singolarità della persona di Gesù: l’evento cristologico è offerta di precise indicazioni, che scaturiscono dal farsi del regno nella persona di Gesù ed alle modalità con cui egli ha espresso la piena adesione adesso nella prassi quotidiana. La categoria che meglio definisce questo modo di essere di Gesù è la prassi messianica: fondata 7 essendo contrassegnata dallo scambio tra i soggetti attraverso di essa viene superata ogni pretesa di equivalenza oggettiva e l’uomo è introdotto nella regione del rapporto intersoggettivo, connotato dal ricevere e dal dare. La riscoperta del legame esistente tra azione celebrativa e prassi quotidiana consente una riqualificazione dell’etica cristiana nella sua struttura fondativa. L’eucaristia fonte e culmine dell’agire morale Leo carestia il sacramento dal quale scaturiscono più immediatamente orientamenti concreti per l’agire quotidiano: la Pasqua di Cristo, che in esso viene celebrata, diventa Pasqua della chiesa e del credente. La prassi cristiana è radicalmente modellata da tale evento, così da trasformarsi in continua celebrazione del mistero della morte e della resurrezione del signore. Tre grandi aspetti dell’azione eucaristica che servono per cogliere le più significative dimensioni costitutive dell’agire morale del credente: i. Etica della sovrabbondanza L’eucaristia è anzitutto manifestazione della sovrabbondanza divina, la quale supera illimitatamente ogni bisogno e aspirazione umana. In essa si rende trasparente l’assoluta gratuità dell’amore. Dio non agisce mai secondo la logica della semplice risposta al bisogno, ma secondo una logica che va oltre ogni bisogno dell’uomo, sorprendendolo continuamente. L’agire del credente deve fare propria la legge della sovrabbondanza: all’esuberanza di doni divini non si può rispondere mediante prestazioni circoscritte entro l’area dell’adempimento di obblighi confezionati secondo una misura prestabilita, ma solo aderendo al dinamismo dell’amore infinito. Il credente è colui che si fa a sua volta donatore, sapendo che la sua risposta è comunque sempre in perfetta e che esige quindi un costante rinnovamento. La possibilità di accedere a questa dimensione dell’esperienza cristiana e legata alla consapevolezza della propria povertà, ciò che Gesù esige da colui che vuole diventare il suo discepolo è il superamento della semplice giustizia terrena e l’apertura a una nuova giustizia che può venire soltanto da lui. L’identità nell’agire cristiano sta dunque nella consapevolezza che non siamo noi ad andare incontro a Dio, ma è lui che ci viene incontro per primo; È perciò fondamentale l'atto del rendimento di grazie. ii. Un’etica della convivialità  nelle parabole di Gesù il convito è un’immagine privilegiata per descrivere l’unione degli uomini con Dio e tra di loro nel regno dei cieli. Mediante la comunanza conviviale con pubblicani e peccatori, Gesù tende a dimostrare che lui attraverso di lui si opera la riconciliazione la comunione definitiva dell’umanità con Dio; l’unità dei fedeli deve tradursi nell’attuazione dell’unità della vita quotidiana La struttura indicativo-imperativo e qui riproposta a proposito dell’eucaristia: la contraddizione tra ciò che la comunità celebra il suo comportamento quotidiano fa della riproposizione della morte e resurrezione di Gesù non un segno di salvezza ma di giudizio; È importante che l’evangelista Luca dopo aver narrato l’istituzione dell’eucarestia riferisca all’episodio del litigio dei discepoli in merito ai posti di comando e riporti le dure parole di rimprovero con cui Gesù le richiama l’acquisizione di una mentalità nuova, quella del dono di sé e della disponibilità a servire. L’eucarestia e l’azione in cui Cristo si dona nel modo più intenso alla sua comunità e unisce i membri tra loro. L’agire del credente, in quanto agire eucaristico, trova la sua verità nella pratica della condivisione del servizio; è un agire contrassegnato dal “essere-per”, dal dono permanente di sé agli altri. iii. Un’etica del regno  l’eucaristia, sacramento della chiesa, ne rivela infine anche la proiezione nel futuro verso la pienezza del regno. Nell’evento eucaristico il già del regno e presente per stimolare i credenti verso il non ancora. L’eucaristia testimonia che la dialettica dell’assenza della presenza di Cristo verrà un giorno scavalcata dalla presenza piena e senza veli. La Pasqua di Cristo diviene così, nell’azione eucaristica, la forma della nostra vita attuale di uomini in cammino e la promessa della vita futura. Inoltre, la conversione nell’eucarestia del pane e del vino nel corpo e sangue del signore, sta ad indicare che l’insieme della realtà creaturale ha già fatto il suo ingresso nel mondo nuovo inaugurato da Dio in Cristo; mondo che attende di essere portato a compimento anche grazie all’intervento umano. 10 La trasformazione escatologica del mondo, avviata dall’incarnazione e dalla Pasqua e attualizzata nell’eucarestia, spinge il credente a una presenza nella storia segnata dalla tensione permanente tra impegno e attesa. L’agire umano riceve il suo significato più alto: esso concorre infatti a liberare l’universo dalla schiavitù in cui è caduto in conseguenza del peccato. c) la prospettiva escatologica La tensione escatologica che alimenta l’etica cristiana necessita approfondimento per evidenziare alcuni tratti che fanno dell’agire umano un agire permanentemente aperto al futuro: i. L’ermeneutica della speranza: La speranza cristiana, confinata in passato in uno spazio marginale della teologia è divenuta a partire dagli anni 70 del secolo scorso, uno dei principi architettonici del discorso teologico. La vita cristiana è una costante peregrinazione verso la pienezza, le beatitudini del discorso della montagna vanno lette in quest’ottica; sono infatti rivolte al futuro e spingono l’uomo all’assunzione di comportamenti che delineano un cammino verso ciò che sta oltre. La speranza cristiana, che al suo fondamento nel signore ha come contenuto la visione di Dio, l’incontro definitivo con il Cristo glorificato che avrà luogo nella vita eterna.ma la ricchezza della vita eterna è già, in qualche modo, anticipata nell’esperienza della fede. ii. Il radicamento cristologico : Il fondamento della speranza cristiana e la persona di Gesù: la sua esistenza storica costituisce il sì straordinario di Dio all’umanità, ciò che rende possibile per l’uomo un futuro definitivo. Nell’avvenimento- Gesù le attese messianiche giungono al culmine, nel senso che vengono purificate e portate a compimento. La visione del regno, che al centro del suo annuncio, si lega strettamente alla sua persona, alla figura del servo sofferente resuscitato. Gesù è allo stesso tempo la causa iniziale della speranza è colui che agisce nel credente per mantenerla viva. La vittoria della vita sulla morte, che in lui si è già operata, e comunicata all’uomo mediante l’infusione dello spirito che lo fa nuova creatura. A rendere possibile la speranza non è dunque la semplice analisi delle prospettive future ma è la fede nella presenza di Cristo e nella verità del suo mistero di morte e resurrezione. La salvezza, che inizia fin da quaggiù ma raggiunge la sua pienezza con la risurrezione dei morti, e liberazione integrale dell’uomo nelle sue relazioni con Dio, con gli altri e con il mondo. L’aspirazione di ogni essere umano a questa liberazione condiziona profondamente gli atteggiamenti e i comportamenti quotidiani. L’evento pasquale è sorgente di una speranza illimitata: in esso Dio ha infatti reso manifesto in modo irrevocabile il suo amore per l’uomo e per il mondo: la morte e la risurrezione di Cristo sono promessa e compimento; sono eventi che non affondano soltanto le loro radici nel passato, ma che sono costantemente presenti in quanto attraverso di essi si compie la riconciliazione dell’uomo con Dio.la parzialità con cui la promessa si compie rivela lo statuto che la qualifica: essa è il compimento di qualcosa e anticipazione di qualcos’altro che troverà compimento soltanto nell’avvento definitivo del regno. L’incarnazione ed escatologia sono allora i due cardini attorno ai quali ruota la esperienza cristiana. iii. Tra impegno e attesa : La dialettica impegno-attesa segna radicalmente l’esperienza cristiana. due presupposti: il primo è l’accettazione della storia come luogo in cui si manifesta la presenza di Dio. La constatazione che Dio ha preso sul serio la storia, fino a farsi storie in Gesù di Nazareth, impone il rifiuto di ogni interpretazione negativa della storia. Il secondo presupposto sta in una percezione della storia come storia aperta al futuro assoluto. Il cristiano aderisce a una concezione della Storia che ne attribuisce l’origine, il senso e il finalismo all’impegno assunto da Dio con gli uomini in Cristo. Collocato tra il già del compimento e il non ancora, l’agire del credente è contrassegnato da una permanente tensione. Questa tensione dialettica è del resto radicata nello stesso essere dell’uomo, nella contemporanea esperienza che gli fa del proprio limite e della propria apertura all’infinito. Esiste cioè un dislivello incolmabile tra l’apertura dello spirito umano e gli esiti dell’azione storica: l’escatologia cristiana rivela dunque all’agire umano la sua verità e il suo destino; essa impegna il credente a rendere trasparenti nella storia le esigenze della giustizia e dell’amore. L’attività umana è pienamente valorizzata: la fede ci garantisce che il progetto di un mondo nuovo e possibile, perché Cristo è morto e risorto per noi. 11 iv. L’etica della speranza : La speranza escatologica conferisce alla vita morale cristiana il suo senso, stile e slancio. La speranza genera uno stile di vita segnato da un’unica preoccupazione: quella di accogliere il signore quando verrà. Il tempo che l’uomo oggi vive è un tempo intermedio tra la prima e la seconda venuta, in cui ciò che conta e preparare il futuro e prepararsi adesso. L’atteggiamento di fondo, che deve caratterizzare il modo di essere del credente è l’atteggiamento della vigilanza: l’attesa della venuta del signore e la capacità di accoglierlo sono strettamente legati alla coltivazione di uno stato di allerta permanente e alla perseveranza. Vigilanza e perseveranza sono sovente associate nella Bibbia alla preghiera, alla sobrietà e alla temperanza, in quanto implicano un processo di purificazione interiore, che favorisce il distacco dalle cose di questo mondo e la disponibilità ad aprirsi al futuro. La venuta del regno obbliga il discepolo ad assumere verso di esso una forma di partecipazione attiva, che si oppone all’inerzia e che lo impegna a mettere a frutto i talenti ricevuti per il bene della comunità. La fierezza di essere chiamati a un altro destino infonde gioia e serenità anche di fronte alle situazioni difficili favorendo l’acquisizione di una maturità spirituale; l’escatologia cristiana fonda perciò un’etica della speranza, che si esplicita in una serie di atteggiamenti e di comportamenti nei quali si esprime la gioia per la salvezza c’è in corso e l’attesa del suo definitivo compimento nella rivelazione del Cristo glorioso.ma l’aspetto più significativo di questa etica e la sollecitazione a vivere nel segno della fraternità: la conversione a Dio deve concretamente incarnarsi nell’amore per il prossimo. Il vincolo di solidarietà tra gli uomini obbliga a vivere nella comunione dell’amore fraterno, la speranza cristiana va testimoniata dai credenti mediante l’impegno quotidiano a liberare tutti gli uomini, a partire dei poveri e degli oppressi. L’etica della speranza è dunque un’etica della fraternità universale, che deve andare alla ricerca delle modalità concrete attraverso le quali renderlo operante. PARTE SECONDA LE CATEGORIE INTERPRETATIVE Capitolo 1  Persona e agire morale Il soggetto proprio dell’agire è la persona; essa è per definizione soggetto etico, cioè valore supremo dal quale discende immediatamente il contenuto della moralità. Antropologia ed etica  l’antropologia, che definisce ciò che l’uomo è, e l’etica, che evidenzia ciò che è chiamato a diventare, sono strettamente connesse. La persona a cui si allude è un soggetto complesso, sia in quanto dice riferimento alla natura della quale fa parte, sia in quanto si rapporta ad altri soggetti, che definiscono l’ambito entro il quale prende consapevolezza di sé e si muove all’azione. In altre parole, con il termine persona non si allude semplicemente all’appartenenza alla specie umana; ci si riferisce invece a ciascun soggetto umano nella sua radicale unicità. Nella prospettiva cristiana la persona assume poi connotati per curiali, che ne evidenziano insieme potenzialità e limiti: essa è immagine di Dio, ma è anche creatura fragile. L’aspetto più rilevante 12 suo contenuto materiale. L’eticità assume pertanto il significato di ambito nel quale si produce la mediazione tra intenzionalità soggettiva ed efficacia storica. L’opzione fondamentale come categoria interpretativa  la riflessione sull’agire umano implica un approfondimento delle modalità attraverso le quali l’intenzionalità soggettiva si struttura. L’opzione fondamentale consente di risalire all’aspetto più profondo dell’agire umano, giungendo a cogliere il progetto di realizzazione del soggetto in esso inscritto. Il concetto di opzione fondamentale è stato introdotto da Maritain, il quale rileva come la dinamica che caratterizza il primo atto libero dell’uomo, si proietta oltre il suo contenuto costituito da un oggetto ben definito per implicare una decisione più profonda a favore o contro il bene assoluto, ovvero una scelta per contro Dio. Ciò a cui il soggetto tende è il contenuto materiale dell’atto, ma ciò che implicitamente persegue è qualcosa di più profondo che ha a che fare con la propria realizzazione personale. Al di là delle modalità secondo cui viene attuata l’opzione fondamentale e dunque la scelta morale per eccellenza. Le radici antropologiche: per comprendere l’origine e lo sviluppo dell’opzione fondamentale e necessario risalire a ciò che la persona è nella sua struttura originaria: a caratterizzare la persona è la compresenza di un centro profondo, che conferisce ad essa unità, e di una serie di stratificazioni periferiche. Il nucleo in cui la persona si conosce per quello che è e decide di sé, dal quale ha perciò origine l’opzione fondamentale, non è mai separato dalle stratificazioni periferiche che interferiscono costantemente su di esso: è come dire che si dà una circolarità tra centro e periferia, e che questo si riflette anche nella determinazione dell’opzione fondamentale. L’opzione fondamentale viene dunque formandosi attraverso un processo che prevede il succedersi di scelte particolari univocamente orientate; l’influenza che l’opzione fondamentale esercita sulle scelte successive della persona non è mai totale; è dunque possibile che tali scelte si orientino in senso opposto. La conoscenza che la persona ha della presenza o meno dell’opzione fondamentale non è mai riflessa, ma immediata: tale conoscenza non coincide infatti con il contenuto oggettivo dell’azione, ma consiste nell’intuire soggettivamente l’orientamento di fondo che alla base del proprio agire. La misurazione del valore morale di ogni singola azione è dunque dato dal rapporto che essa istituisce con l’opzione fondamentale; ciò implica che le singole azioni non possono mai essere giudicate se considerata in se stesse, ma che il loro significato vada ricercato nel continuum. La categoria di opzione fondamentale definisce dunque l’orizzonte entro il quale vanno collocate le scelte della persona: i diversi atti che caratterizzano l’agire umano esprimono la comprensione che il soggetto ha di sé e della propria realizzazione. L’opzione fondamentale è dunque una sorta di tessuto connettivo che lega tra loro i singoli atti conferendo coerenza alla vita morale mediante l’offerta di un progetto che l’integra nel contesto della vita dell’agente. a) La prima conseguenza del ricorso alla categoria dell’opzione fondamentale è una migliore interpretazione dell’agire umano e del suo significato morale. L’agire umano è infatti percepito nel suo significato più profondo, nel legame che ha con l’intenzionalità del soggetto. b) La seconda conseguenza è l’attenzione privilegiata alla struttura profonda delle singole azioni, al rapporto che essi intrattengono con il nucleo della vita interiore della persona. c) La terza conseguenza è l’importanza che va segnata le premesse dell’azione; il concetto che soggiace all’opzione fondamentale è quello di pre decisione: esso scaturisce dalla considerazione che la decisione morale non ha mai luogo in un contesto di piena neutralità, ma implica sempre il coinvolgimento in essa a causa della storia precedente della persona. La riflessione etica sull’agire umano e sul suo legame con la persona trova nel concetto di opzione fondamentale la propria chiave interpretativa. Capitolo 3 Coscienza e norma L’interpretazione personalista dell’agire morale fa di coscienza e norma due realtà strettamente interdipendenti. Riferita alla persona, l’eticità appare infatti come la risultante dell’intreccio tra soggetto e oggetto, dov’è il primato del soggetto corrisponde un’interpretazione soggettiva dell’oggetto.se la coscienza infatti coincide con la persona in quanto soggetto etico, la norma non può che rappresentare il valore della 15 persona nella sua struttura originaria e finalità intrinseche nella sua natura. Le riflessioni sviluppate in questo capitolo, prendono avvio anzitutto dal primato della coscienza (I), per poi porre l’attenzione sulla necessità del ricorso alla norma (II), e concludere analizzando il processo che conduce all’elaborazione della decisione morale, nella quale convergono scienze norma (III). I. Il primato della coscienza La coscienza morale è la facoltà che, sotto la guida della ragion pratica, hai il compito di fare giudizi e dell’agire umano. In essa l’uomo sperimenta la sua unità profonda e percepisce di dover valutare il proprio comportamento a partire da un quadro di valori che corrispondono ad irrinunciabili istanze interiori e che ricevono i propri contenuti normativi dal confronto con la realtà delle situazioni mediante l’ausilio della ragion pratica. Nella coscienza l’uomo percepisce dunque l’istanza etica non solo in sé stessa, ma anche in rapporto alla complessità delle situazioni nelle quali si svolge l’attività umana in rapporto alla propria vocazione. Il concetto di “coscienza morale” ha subito nel corso del tempo una profonda trasformazione: Le origini di tale concetto risalgono al mondo greco, dove si trova per la prima volta in un frammento di Democrito il termine nei synèidesis, che letteralmente significa “conoscere l’insieme” , termine che diverrà in seguito la parola chiave per designare la coscienza dei fatti morali. La prima svolta è costituita dalla dottrina socratica, che identifica la coscienza con una sorta di demone che giudica ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare. Ma sono soprattutto gli stoici a dare compimento al processo che conduce all’elaborazione del concetto di coscienza morale, pervenendo alla delineazione della “coscienza riflessa”, la quale coincide con la ragione dell’uomo. Anche nell’ebraismo a luogo il processo evolutivo ricordato: nel periodo patriarcale a prevalere è infatti una visione della vita morale come realtà che ha origine dall’esterno, nella volontà di Dio che impone all’uomo l’obbedienza al suo volere; mentre nel periodo successivo del profetismo esilico e postesilico si assiste alla sua interiorizzazione, con la valorizzazione della relazione che si instaura tra l’uomo e Dio. La stretta dipendenza dell’eticità da questa relazione fa sì che la coscienza venga identificata con la presenza di Dio nel cuore dell’uomo. La coscienza acquisisce così carattere storico-salvifica, dovendo porsi costantemente alla ricerca dei “segni” della volontà divina ai quali conformare la condotta. Nel nuovo testamento il termine coscienza (syneidesis) È usato soltanto da Paolo, ma l’idea di coscienza, come facoltà di discernimento del bene del male, è ampiamente presente anche nei sinottici, che insistono sul primato dello “spirito” sulla “lettera” della legge e dove soprattutto si afferma che a contaminare l’uomo non è ciò che entra nella sua bocca ma ciò che esce da essa, e dunque appartiene al mondo interiore. Nella coscienza, è in gioco il destino dell’uomo davanti a Dio, in quanto dalla sua decisione dipende l’accoglienza o il rifiuto del dono divino. Il riconoscimento della grandezza della coscienza non implica, d’altronde, rinuncia a rilevarne anche il limite: essa non gode di un’autonomia e di un’autorità assolute, ma deve riconoscere la propria dipendenza da Dio e dalla sua volontà. La coscienza cristiana e dunque il riflesso della fede, che diviene il principio della conoscenza di ciò che è conforme alla salvezza. Essa, che è anzitutto giudice è testimone dell’onestà di comportamento di fronte a se stessi, ha tuttavia soprattutto una valenza religiosa. Agostino approfondisce ulteriormente la dimensione teologica della coscienza: sottolinea l’irriducibilità della coscienza e la dimensione psicologica e nel mettere in evidenza la sua natura di luogo in cui avviene il riconoscimento e l’appropriazione della grazia: in questo senso essa può essere definita come la voce di Dio, come ambito nel quale si perviene alla definizione dei contenuti normativi dell’agire. Come tale la coscienza assume la qualifica di regola universale della moralità, testimone della correttezza del comportamento. La scolastica: la maggior parte degli scolastici predilige un approccio più antropologico, incentrato sull’approfondimento della sua natura e del rapporto che si istituisce con le facoltà superiori dell’uomo: intelligenza e volontà. Epoca moderna: la coscienza acquista sempre maggiore importanza, la rivalutazione del sacramento della penitenza ad opera del concilio di Trento fa sì che compito del confessore sia l’indagine dello stato di coscienza del penitente per valutare oggettivamente la responsabilità dei suoi atti. La ripresa di una visione unitaria della coscienza a luogo soltanto a partire dalla seconda metà del secolo scorso grazie soprattutto agli sviluppi delle scienze psicologiche. Si fa così strada una lettura della coscienza secondo la quale essa è il luogo in cui l’uomo è chiamato a rispondere a Dio che lo interpella. 16 Gaudium et Spes: “tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo” la coscienza è dunque norma definitiva e vincolante per il singolo: è l’ambiente vitale in cui diviene possibile l’adesione alla legge morale nel suo aspetto più alto che consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Il Vaticano secondo sottolinea che la coscienza rappresenta un’istanza autonoma e che di conseguenza, la libertà di coscienza è un bene che va assolutamente salvaguardato. Soprattutto per questo il concilio sostiene la dignità della coscienza, in quanto parte integrante della dignità della persona, mettendo l’accento sul fatto che l’uomo non può mai delegare ad altri la responsabilità del proprio comportamento e riconoscendo il diritto della coscienza invincibilmente erronea ad essere rispettata, quando il giudizio erroneo è frutto di una coscienza che si è impegnata a conoscere la verità servendosi di tutti i mezzi di informazione a disposizione. La decisione di coscienza, che sta alla radice della vita morale, non può certo prescindere dal confronto con la legge divina; ma la risposta a Dio, è sempre una risposta personale che deve essere data tenendo in considerazione la specificità della propria vocazione e le esigenze del momento. Natura e identità della coscienza morale qual è l’identità della coscienza? Come avviene all’interno di essa la produzione del giudizio e della decisione morale? La riflessione filosofica e teologica ha da sempre privilegiato, nell’analisi della coscienza, l’attenzione all’aspetto razionale. La conoscenza è considerata come la facoltà mediante la quale si procede all’applicazione dei valori alle diverse situazioni, affrontando i conflitti e formulando il giudizio in base alle soluzioni offerte dalla scienza morale. Il carattere “razionale” della coscienza è stato radicalmente messo sotto processo dagli sviluppi delle scienze psicologiche, in particolare dalla psicoanalisi. I risultati degli studi intrapresi in questo campo hanno concorso di evidenziare i limiti della coscienza, la presenza in essa di forti condizionamenti sotterranei riferibile all’inconscio o al subconscio. Per Freud la coscienza ha origine in un processo psichico legato a due fasi di sviluppo della personalità: la prima coincide con i primi anni dell’infanzia quando il bambino accetta acriticamente gli ordini e i comportamenti delle figure parentali per paura di essere punito e di non essere amato(formazione della coscienza-tabù), la seconda fase invece è quella del confronto, quando affiora il super-io con l’insorgenza del complesso di Edipo. il sentimento di rivalità che il bambino nutre nei confronti del genitore dello stesso sesso si risolve nella tendenza ad identificarsi con lui, cioè ad introiettare i suoi valori e i suoi comandi. Da questa istanza interiorizzata ha origine la coscienza, denominata super-io. È il limite dell’analisi freudiana E delle teorie psicologiche in genere consiste tuttavia nel maggiorare unilateralmente il dato psichico, riducendo la coscienza morale a realtà totalmente condizionata dall’esterno, senza riferimento al mondo interiore del soggetto. Se la coscienza fonda, da un lato, le proprie radici nelle stanze inferiori dell’umano, dall’altro appare potenziata, nella prospettiva cristiana, da un’istanza superiore costituita dall’azione dello spirito. La coscienza morale è infatti l’ambito in cui consapevolezza di sé e percezione del proprio rapporto con Dio si intrecciano indissolubilmente. Il contesto religioso è in questa prospettiva l’orizzonte entro il quale l’uomo prende consapevolezza della propria responsabilità morale: le circostanze storiche diventano lo stimolo a vivere la relazione con Dio, la quale deve tradursi in adesione ai valori evangelici quali criteri di valutazione e di orientamento delle scelte quotidiane. La coscienza è pertanto costituita da diversi fattori la cui integrazione può essere frutto soltanto di un processo di unificazione che si sviluppa attraverso una serie di meditazioni da realizzare nell’ambito della vita quotidiana. Lo stretto legame che essa intrattiene con il mondo dell’inconscio con il contesto sociale rende ragione dell’aspetto di contingenza che la qualifica; a sua volta, il carattere razionale che le appartiene E garanzia della presenza di una infrastruttura originaria legata all’interiorità dell’uomo, sulla quale si innesta l’azione dello spirito. Così concepita, la coscienza coincide con la costituzione etica stessa del soggetto, con ciò che determina la moralità del suo agire, perciò con il criterio più alto di definizione della moralità. La possibilità che la coscienza acquisisca una sempre maggiore capacità di discernimento e connessa a una serie formazione, che sappia fornire alla persona quella saggezza necessaria a mediare fedeltà ai valori e attenzione alle possibilità situazionali. 17 di vita”, come tale, essa esige di essere normato da una legge nuova, che affonda le sue radici nell’interiorità dell’uomo. I profeti del periodo esilico e post-esilico si riferiscono ad una legge nuova che non avrà più il carattere di un codice esteriore, ma di un ordinamento impresso da Dio nell’intimo dell’uomo. Gesù fa proprio questa prospettiva: si pone, da un lato, in continuità con la legge antica-con la mosaica, dall’altro, a perfezionarla, portandola a compimento in due direzioni. La prima consiste nel recupero della dimensione di profondità delle istanze proprie della legge. L’adesione esterna a tali istanze non è sufficiente, è necessaria la partecipazione del cuore. La seconda direzione è rappresentata dall’attenzione alla concretezza delle situazioni, Perciò dalla capacità di rispondere in modo creativo alle esigenze del momento infedeltà alla logica del regno. Questo spiega perché le esigenze di Gesù non possono essere ridotti a legge, ma rende anche ragione del carattere normativo che posseggono. Si tratta di norme escatologico-profetiche , Che sollecitano un cammino permanente; la legge di Cristo è infatti Cristo stesso, norma viva dell’agire cristiano. I padri della chiesa fanno proprio questa concezione, assegnando allo spirito comunicato da Cristo al credente il carattere di “legge nuova”. Sulla scorta della teologia Paolina, Ambrogio afferma che la legge antica, in quanto esteriore, non conferisce all’uomo il potere di compiere il bene, potere che viene soltanto dalla grazia dello spirito. La teologia successiva identifica sempre più la legge nuova con la grazia in quanto principio ontologico da cui l’agire scaturisce. L’azione interiore dello spirito orienta l’agire umano verso l’adempimento del comandamento nuovo, la carità, la quale deve concretamente tradursi nell’assunzione di atteggiamenti e comportamenti che corrispondono all’opera della grazia nell’ambito della vita del credente. Le norme etiche concrete il concetto di norme in senso stretto, si identifica con le prescrizioni fornite dalla scienza morale per fare giudizio delle diverse situazioni. Tali norme sono già presenti anche nella Bibbia, partire dall’antico testamento. Le norme, che riflettono in prevalenza l’ethos della società del tempo, si presentano, in larga misura, sotto la forma di asserti casuistici espressi in maniera impersonale secondo un modello condizionale (se è… Allora…). Fa eccezione a questo modello il decalogo, il quale è espressione di cataloghi sacerdotali nei quali si stabiliscono le condizioni per la partecipazione alla vita della comunità. Le massime morali sono qui espresse in forma categorica (devi o non devi), che ne sottolinea la dimensione etica e religiosa. In questo sta la novità dei precetti del decalogo: le norme di carattere sociale, contenute nella seconda tavola, sono direttamente in relazione con la volontà di Dio. Dio è il perno dell’obbligazione morale: l’adesione ai precetti altro non è che una forma di radicale sottomissione a Dio; un analogo processo a luogo anche nel nuovo testamento, dove le numerose direttive ed esortazioni morali nascono nel contesto della fede, ma il metodo della loro elaborazione è direttamente dipendente dai contributi derivanti dalla tradizione precedente, mediante una selezione che comporta l’accantonamento di alcune norme, la modificazione di altre e la radicalizzazione di altre ancora per metterli in relazione alle esigenze del regno. La tradizione cristiana successiva ha sviluppato ininterrottamente il processo di elaborazione delle norme, ma il culmine di questo processo ha avuto luogo in età moderna con la nascita della scienza morale che identifica di fatto l’etica con l’etica normativa. Il ricorso alla scienza morale è assolutamente necessario: le norme sono un fattore da cui non è possibile prescindere. Ma esse presentano sempre un certo grado di astrattezza: tra S e la situazione concreta c’è un sarto che impone alla coscienza un intervento creativo teso a verificare la congruenza. La legge vale nella maggior parte dei casi ma non nella totalità, il che comporta che l’ultimo giudizio vada lasciata alla decisione del singolo. Per assolvere adeguatamente a questo compito il pensiero greco e medievale ha introdotto la categoria di epikeia definita da Tommaso d’Aquino come l’atteggiamento di fondo che l’uomo deve tenere nei confronti della legge positiva; essa non entra in gioco soltanto quando ciò che la legge comanda è immorale, ma anche quando richiede più di quanto il singolo possa dare o quando ciò che è richiesto non corrisponda al bene vero della comunità. Esercizio si riferisce a questioni relative all’ambito della 20 giustizia legale, la quale a sua volta dipendente da una giustizia superiore, la giustizia naturale: quando la norma entra in conflitto con le esigenze di quest’ultimo, o quantomeno, risulta incapace di interpretarne le istanze, l’uomo non solo non è tenuto ad aderirvi, ma deve opporsi ad essa. L’epikeia richiede in alcuni casi di sottrarsi all’obbligo della norma, perché ingiusta o troppo onerosa, altre volte obbliga a dare più di quanto la norma richiede; essa ha il compito di rendere possibile l’esercizio dell’etica normativa, poiché evidenzia il limite delle norme morali e ricorda la necessità dell’intervento dell’uomo nella loro applicazione. Ordine morale ordine giuridico l’affermazione della superiorità della giustizia naturale su quella legale pone il problema del significato etico degli ordinamenti positivi, sia civili sia ecclesiali. La necessaria distinzione tra i due ordini non implica separazione: laddove la legge civile è “giusta”, è fuori discussione il dovere morale di obbedienza. La questione si fa più complessa quando ci si trova a fronteggiare situazioni appartenenti alla zona grigia, dove è difficile fare discernimento. Più che con leggi apertamente ingiuste, che rappresentano un’eccezione, il cittadino è messo di frequente a confronto con leggi che lasciano scoperta la tutela di alcuni valori. l’approccio a tale legge esige una forma di discernimento particolarmente delicata, il necessario confronto con i valori in gioco non può infatti far dimenticare la natura specifica della legge e il contesto entro il quale si colloca. Il ricorso all’obiezione di coscienza, in alcuni casi legittimo, in altri è anche doveroso. L’assenso a una giustizia migliore perseguita attraverso la disobbedienza alla legge, quando essa in palese contrasto con valori inderogabili, non è che la testimonianza del primato della coscienza cui si è fatto riferimento. Le condizioni per il ricorso a tale istituto vanno attentamente soppesate: il riconoscimento pubblico dell’obiezione di coscienza costituisce un importante conquista di civiltà: la rinuncia a far valere a tutti i costi le esigenze della legge il nome del rispetto della coscienza e manifestazione dell’autorevolezza di un potere. La fondazione delle norme le norme hanno il compito di determinare ciò che è moralmente giusto, cioè la correttezza oggettiva del comportamento nelle varie situazioni. Tale determinazione è venuta, nell’ambito della scienza morale, facendo riferimento a due tipi di argomentazione: il primo è costituito dal modello deontologico, per il quale il giudizio viene dato a priori, considerando l’azione in sé stessa a prescindere dalle conseguenze che grazie ad essa si producono. Il limite di questo modello è quello di trascurare la storicità della condizione umana. L’alternativa al modello deontologico è costituita dal modello teleologico: in questo caso il giudizio morale sulle azioni è formulato in base al calcolo delle conseguenze. Per determinare ciò che è giusto non è dunque sufficiente a far riferimento alla corrispondenza dell’azione ai principi, è necessario interrogarsi sugli effetti che le azioni avranno sugli altri e sul mondo. L’adozione della teoria teleologica consente di pervenire all’elaborazione di norme duttili, attente al contesto socio-culturale. In realtà questi due modelli non vanno radicalmente contrapposti: essi sottolineano piuttosto due aspetti, entrambi essenziali, del fatto etico: l’immutabilità e la relatività. Questa visione è in perfetta sintonia con gli orientamenti di fondo della tradizione cristiana, per la quale i beni-valori vengono sempre valutati in rapporto al bene-valore assoluto, la carità. III. La decisione morale e l’idea di responsabilità Coscienza e norma morale sono pertanto le due grandezze che entrano in gioco nell’elaborazione della decisione morale. La coscienza ha senza dubbio il primato, ma essa non è totalmente autosufficiente. Ha bisogno, per decidere, di essere soggettivamente certa: è questa la ragione della nascita dei sistemi morali, che definiscono le regole attraverso le quali risolvere i casi in cui persiste il dubbio circa l’obbligazione morale. Nel processo che conduce all’assunzione della decisione morale, ruolo fondamentale è rivestito dalla maturità morale della persona, la quale trova spesso la giusta soluzione in forza dell’affinità con il bene. Questa maturità, tuttavia, non è sempre sufficiente. Nell’esercizio di questo compito di formazione del giudizio morale, il credente deve avvalersi di una serie importante di riferimenti, che vanno dal gli indirizzi di fondo forniti dalla parola di Dio fino alle indicazioni del magistero. Il necessario riferimento alle istanze segnalate, lascia tuttavia intatta la responsabilità della persona che l’artefice del giudizio. La 21 decisione che dal giudizio scaturisce comporta normalmente il ricorso ad una forma di compromesso: la presenza spesso di conflitti di valori, dovuti al limite proprio dall’agire umano in quanto agire situato, esige che si pervenga ad una loro composizione. La consapevolezza della propria condizione creaturale e della presenza del male nel mondo obbliga a vincere la tentazione di perseguire il bene assoluto in termini radicali, per rendere realisticamente al bene possibile. La responsabilità morale il concetto di responsabilità è in grado di fornire una lettura unitaria dell’agire morale: la responsabilità chiama infatti in causa il soggetto, da cui la moralità tre origine, ma rinvia immediatamente all’altro, a cui l’agire morale si rivolge – ed esige, infine, una seria valutazione dei contenuti dell’azione.l’agire si struttura pertanto attraverso una serie intrecciata di fattori. La responsabilità implica l’esercizio di un discernimento, frutto di una costante formazione della coscienza e dell’acquisizione di habitus virtuosi. La responsabilità morale si misura in base al senso che la persona dà al disegno di realizzazione di sé mediante l’impegno a coltivare atteggiamenti buoni, che favoriscano lo sviluppo di relazioni vere nei confronti degli altri.ma gli atteggiamenti buoni da soli non bastano; devono incarnarsi nei comportamenti giusti che diano vita ad azioni efficaci. L’adesione al bene da costruire nelle relazioni ed attuare nelle azioni, a come obiettivo ultimo la promozione della vita personale di ogni uomo e di tutti gli uomini. CAPITOLO 3 peccato e vita virtuosa Peccato e vita virtuosa rappresentano il lato positivo e quello negativo della vita morale: due facce contrapposte che testimoniano la presenza nell’uomo della libertà, intesa come libertà di scelta del bene e del male. Peccatore, peccati La rivelazione biblica narra l’esperienza dell’uomo peccatore, inserendola nel contesto della storia della salvezza, dove ad avere il primato dell’azione liberatrice di Dio, che culmina nell’evento-Cristo. Questo sottolineare che la comprensione del peccato può avvenire solo nel contesto della comprensione della misericordia infinita di Dio. La riflessione del peccato dell’uomo si è fatta oggi difficile: l’idea di peccato sembra infatti rimossa nella coscienza dell’uomo contemporaneo. A determinare questa eclissi hanno concorso un insieme di fattori: a) Il processo di secolarizzazione: nella quale l’affermazione della radicale autonomia dell’uomo e del mondo dal divino , Finisce per annullare in radice la possibilità stessa di parlare di peccato. L’idea di peccato è infatti strettamente connessa nella Bibbia all’idea di Dio: il peccato è il rifiuto di Dio e dell’ordine da lui instaurato b) Gli esiti delle scienze umane: esse hanno contribuito ad evidenziare molteplici condizionamenti che incidono sulle decisioni dell’uomo; la biologia a messo a fuoco la funzione degli istinti, la psicoterapia ha evidenziato i dinamismo i sotterranei dell’esperienza della colpa, la sociologia ha posto l’accento sull’influsso esercitato dall’ambiente e dall’educazione. L’assolutizzazione di tali dati finisce per condurre alla negazione della libertà c) La collettivizzazione della colpa: come conseguenza del fenomeno della politicizzazione. La crescente interdipendenza tra i vari settori della convivenza e i popoli evidenzia l’incidenza dei fattori strutturali sulle scelte dei singoli e rende quindi difficile l’attribuzione soggettiva della colpa. La difficoltà ad individuare lo spazio della libertà del singolo conduce alla restituzione della responsabilità personale. d) La mistica del peccato: essa valorizza l’esperienza della colpa come condizione per liberare l’uomo dalle false certezze, il peccato assumerebbe pertanto il significato di via necessaria per scoprire il vero volto di Dio.il peccato e in questo caso svuotato dalla sua negatività e reso quindi sorgente di valore. I fattori ricordati sono di per sé ambivalenti: da un lato provocano la negazione del peccato, dall’altro possono concorrere a purificare l’immagine e recuperarne la più genuina verità. 22