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RIASSUNTO LIBRO "LEGGERE LO SPETTACOLO" ( UBERSFELD), Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

I CAPITOLI 1, 2, 4, 7 DEL LIBRO LEGGERE LO SPETTACOLO ( UBERSFELD)

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 03/03/2018

Elisabetta.Beritelli
Elisabetta.Beritelli 🇮🇹

4.5

(309)

154 documenti

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Scarica RIASSUNTO LIBRO "LEGGERE LO SPETTACOLO" ( UBERSFELD) e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! RIASSUNTO “ LEGGERE LO SPETTACOLO” ( UBERSFELD) CAPITOLO PRIMO: IL TESTO E LA SCENA Contrariamente ad un pregiudizio molto diffuso, il teatro non è un genere letterario. E’ piuttosto, una pratica scenica. 1. Il testo incompleto e la scena immaginaria 1.1. TRADUZIONE-ILLUSTRAZIONE ♦ Il testo può essere un’opera letteraria compiuta e autonoma; solitamente ha carattere drammatico, ovvero dialogico, ed è costituito da battute e didascalie. Il rapporto tra le battute e le didascalie è variabile. Paradossalmente la battuta può essere assente, ma la didascalia non può mancare. ♦ Il testo è un canovaccio o uno scenario-trama, una traccia priva di dialogo di cui si danno l’intreccio e/o i personaggi e/o le situazioni ( Es: commedia dell’arte). ♦ Il dialogo consiste nello scambio verbale tra personaggi , e implica una continua reversibilità della comunicazione. Si tratta di una forma di “azione parlata”, per cui è attraverso la parola che l’intreccio procede e si snoda. ♦ Animazione. Il testo comporta soltanto alcuni elementi minimi che possono riguardare il tema, il carattere dei personaggi, l’ambientazione ( Es: happening) LA SCENA HA A CHE FARE CON LA RAPPRESENTAZIONE L’ambito della scena ha a che fare con la rappresentazione, che non è la “traduzione” o “l’illustrazione” del testo ma la sua esecuzione ( o realizzazione). La rappresentazione ( teatrale) non può essere né la traduzione né l’illustrazione di un testo. 1. Non è la traduzione di un testo ( quindi il passaggio da una lingua all’altra), perché sarebbe un’operazione inutile. Non ha senso tradurre un testo che si ascolta ( non che si legge). Si potrebbe, però, parlare di traduzione per ciò che riguarda il testo delle didascalie ( indicazioni sceniche). Ma significherebbe ignorare la natura stessa di questo testo. Dire “un tavolo e due sedie” non significa affermare o segnalare la presenza dei suddetti elementi, ma piuttosto dare l’ordine di farli figurare nella rappresentazione ( sulla scena). Il passaggio dal testo delle didascalie ( o indicazioni sceniche) alla scena non è quindi una traduzione, ma più propriamente una realizzazione, un’esecuzione. 2. Non è l’illustrazione di un testo, ma la sua stessa realizzazione. Ciò che si potrebbe a più giusto titolo qualificare come illustrazione è la rappresentazione immaginaria che costruisce il lettore: una rappresentazione discontinua, frammentaria, povera in generale e basata solo su alcune parti testuali. 1.2. L’INCOMPLETEZZA DEL TESTO TEATRALE Per sua natura, salvo note eccezioni, il testo teatrale è fatto per essere rappresentato. Per questo il testo deve lasciare spazio alle possibilità di rappresentazione, le didascalie troppo precise sono sempre fastidiose, in particolare quelle riguardanti gli attori 1.3. IL CODICE Dunque tutto avviene come se un testo scritto per un certo codice teatrale, in altre parole per le abitudini di un certo pubblico, debba necessariamente essere decodificato e codificato nuovamente per un altro pubblico. 1.4. AUTONOMIA DELLA RAPPRESENTAZIONE La rappresentazione non può essere considerata al servizio del testo, mantiene una sua autonomia in quanto sistema complesso di segni. Il concetto di fedeltà è estremamente delicato: essere fedele al testo alla lettera può significare infedeltà al senso che il regista dovrà dare al pubblico a cui si rivolge. Un certo numero di semiologi italiani, in particolare Alessandro Serpieri o Paola Gullì Pugliatti, hanno creduto di poter considerare che i segni della rappresentazione fossero inscritti nel testo sotto forma di “deissi”, ovvero di indicatori di spazialità, temporalità o movimento contenuti nel testo. Certamente questi indicatori orientano una parte della rappresentazione, ma solo una parte . Che fare delle indicazioni assenti ma necessarie? Quando niente ( né il dialogo e le sue deissi, né le didascalie) ci dice come si presenta un personaggio, bisogna comunque che esso si presenti e che la messinscena inventi dunque ciò che il testo non dice. Ogni testo teatrale è espressione di una certa teatralità, di un insieme di canoni che orientano la sua composizione: ■ La forma della scena ■ Lo stile degli attori ■ I costumi 1.5. LA RAPPRESENTAZIONE SENZA TESTO Al contrario, è difficile pensare che possa esistere una rappresentazione senza testo, anche se non ha parole. Anche il mimo, nella misura in cui può essere considerato teatro, non è teatro senza testo. 1.6. IL REALIZZATORE E IL TESTO Ad ogni modo, dal momento in cui a uno scrittore S si sovrappone un realizzatore R ( regista, scenografo, attore ecc), al testo T dello scrittore si aggiungerà il testo T’ del realizzatore, sia che si tratti delle note di messinscena del regista o del canovaccio commentato dallo scenografo, sia delle note dell’attore LA GENERAZIONE DEL TESTO SCRITTO Del resto, è difficile comprendere la produzione di un testo di teatro senza prendere in considerazione il fatto capitale che esso non potrebbe essere scritto senza la presenza di una teatralità anteriore; non si scrive per il teatro senza sapere nulla in merito. Si scrive per, con o contro un codice teatrale preesistente. In un certo senso la “rappresentazione”, nel significato più ampio del termine, è preesistente al testo; lo scrittore di teatro, anche quando non è egli stesso implicato nella produzione teatrale, non scrive senza la prospettiva immediata dell’oggetto teatrale. Tutto avviene come se ci fosse, anteriormente al testo della piece teatrale una sorta di geno-testo ( Kristeva) anteriore a volte al testo scritto e alla prima rappresentazione, dove il codice teatrale del tempo, le condizioni di emissione del messaggio, ovvero il canale previsto giocano il ruolo di matrice testuale che informa il testo. Dato un testo drammatico, il rapporto tra esso e lo spettacolo teatrale viene tradizionalmente designato con il termine “interpretazione” che può essere: ■ ricognitiva ( se relativa a testi storici e letterari) ■ normativa ( se relativa a testi giuridici e sacri) ■ rappresentativa ( se relativa a testi drammatici e musicali) Rappresentare un testo significa “metterlo nello spazio” attraverso una visualizzazione dei simboli e dei significati che esso veicola. A partire dalla fine dell’Ottocento si incaricò di questa delicata traduzione il regista. 1.7. ENUNCIATO, ENUNCIAZIONE, DISCORSO A teatro, gli enunciati del dialogo diventano discorso a partire dal momento in cui gli sono date delle condizioni di enunciazione, intesa come “la messa in funzione della lingua attraverso un atto individuale di utilizzazione”. Da un semplice punto di vista teorico, si osservi come l’enunciato in un testo di teatro, pur avendo da subito un significato, non ha ancora senso: ne assume quando diventa discorso, quando si vede da chi, come e per chi è prodotto, in che luogo e in quali circostanze. 1.8. TESTO E RAPPRESENTAZIONE S: scrittore/ autore; T: testo dello scrittore/autore; R: realizzatore ( regista, scenografo, attore ecc); T’: testo del realizzatore. A partire dal momento in cui il realizzatore ( regista) ha davanti un testo scritto ( il testo T dell’autore, aumentato o no del proprio testo T’), si trova di fronte a due sistemi di segni linguistici: a. Uno è fatto di didascalie la cui funzione è di comandare e programmare la costruzione dei segni della rappresentazione; Sul piano diacronico è necessario isolare delle unità, in altre parole fare un dècoupage testuale che permetta di determinare uno o più modi di articolazione della RT: atti, quadri, sequenze medie.” 1.18. IL LIVELLO SEMICO Ad ogni segno corrisponde un’organizzazione di elementi di senso ( significati) che possiamo chiamare “sememi” ( unità minime di significato). Tutti i segni dello spettacolo teatrale funzionano in relazione gli uni con gli altri e in opposizione per ciascuno dei personaggi e degli oggetti. È importante determinare il o i semi di opposizione che, distinti dagli altri, costruiscono delle coppie significanti. La scelta dei sememi è la questione fondamentale posta al regista. L’errore consisterebbe proprio nel non mettere in luce i sememi pertinenti che determinano le opposizioni sceniche. È per questo che a volte, anche quando la rappresentazione è di grande qualità formale, essa sembra confusa. 1.19. CONCLUSIONI 1.20. PRESENZA-ASSENZA Lo statuto proprio dei segni della rappresentazione è doppio. Il segno a teatro è sia segno di un’altra cosa ( che rinvia quindi a qualcosa nel mondo che significa), sia segno per se stesso. Lo spettacolo appartiene nello stesso tempo sia alle arti della performance ( musica, danza, ecc) che alle arti della rappresentazione mimetica ( pittura, cinema ecc). Le prime sono arti della presenza vivente. Esse sono ciò che sono. Non hanno la pretesa di essere al posto di un’altra cosa, di essere le rappresentazioni di una cosa assente. Le altre sono invece delle rappresentazioni dell’assenza. Il quadro o il film figurano una finzione, un’assenza. 1.21. SIGNIFICANTI Una delle caratteristiche del segno teatrale è di essere omo-materiale rispetto a ciò che rappresenta. L’immagine di un uomo è sulla scena un uomo, l’immagine di una sedia è una sedia. Il segno teatrale ha la stessa sostanza dell’espressione di ciò che rappresenta. Legge generale affatto assoluta: la sedia può essere rimpiazzata da una configurazione astratta ( il gesto dell’attore di sedersi su una sedia immaginaria), la casa-scena può essere una tela dipinta; al segno fondamentale omo- materiale di ciò che rappresenta, ovvero l’essere umano, si possono aggiungere dei segni etero materiali che sono dei semplici stimoli ( Umberto Eco) e funzionano come degli accessori della recitazione ma anche come delle rappresentazioni di oggetti assenti. È la natura del segno teatrale, quasi esclusivamente omo-materiale rispetto a ciò che rappresenta, a permettere questo doppio funzionamento: a. Come elemento di recitazione; b. Come figurazione iconica di un elemento del mondo 1.22. IL REFERENTE DEL SEGNO Il segno teatrale ha se stesso come proprio referente. Il problema del referente del segno è teoricamente molto difficile. Sappiamo che ad affrontarsi sono i sostenitori di Saussure, che escludono la nozione di referente, e quelli di Peirce, che ammettono il rapporto di una realtà esteriore all’universo del segno ( referente). Il segno teatrale, poiché performante, non ha bisogno di referente: non si riferisce che a sé stesso. Si parla anche di referente immaginario. Referente doppiamente immaginario a teatro, nella misura in cui il segno rinvia non solamente ad un reale nel mondo concreto, ma a tutto ciò che ci può essere riguardo a quel segno nell’universo di riferimento ( culturale ecc) dello spettatore. Il segno teatrale ha, oltre il suo referente immaginario, un referente concreto che è se stesso. 1.23. LA MULTIPLA REFERENZA DEL SEGNO TEATRALE Il segno teatrale può avere due referenti ( se stesso in quanto reale, performante, e un referente finzionale da qualche parte nel mondo o nell’immaginazione dello spettatore), L’opposizione tipo/token Il “tipo” è il significato generale di un enunciato, qualsiasi siano le condizioni in cui è stato emesso; il “token” ( “occorrenza”) è la manifestazione concreta, unica, nel corso della quale l’enunciato è pronunciato. In ambito teatrale il “tipo” è la frase del testo e il “token” è la stessa frase pronunciata dall’attore X. La riflessività del segno teatrale Il segno teatrale è per natura autoriflessivo ( autoreferenziale). Tutto ciò che è segno a teatro dice senza sosta qualcosa di sé, cioè sul teatro. Dice anche qualcosa su altro che è dell’ordine della finzione; come qualsiasi opera finzionale, dice qualcosa su qualcosa di assente ma nello stesso tempo dice qualcosa su qualcosa di presente che è se stesso, ovvero l’insieme dell’evento scenico. CAPITOLO SECONDO: LO SPAZIO TEATRALE E LA SUA SCENOGRAFIA Il teatro è spazio. Spazio profano. Spazio consacrato. Spazio di festa. Spazio in cui si guarda e si è guardati. Ma non solo. Spazio dove gli esseri umani si dividono, dove alcuni si mostrano ad altriL’essenziale è che nel momento teatrale ci siano guardanti e guardati. Si trovano nello stesso posto, che per alcuni è il luogo dell’azione mentre per gli altri è quello della visione e dell’ascolto. Spazio circoscritto da limiti. Spazio che si definisce attraverso un rapporto di esclusione con ciò che non lo riguarda. 1. Qualche definizione 1.1. IL LUOGO TEATRALE E LO SPAZIO Il luogo teatrale è definito dal suo rapporto fisico e architettonico con la città nel suo insieme ( esempi: il teatro greco, l’anfiteatro romano, il Teatro Olimpico di Vicenza, L’Opèra di Parigi), dalle sue caratteristiche materiali di rapporto tra scena e sala e dal ruolo socioculturale, ogni volta particolare, che ha nella città. Quello che chiamiamo “spazio teatrale” non può confondersi con la scenografia, ovvero con il quadro pittorico o architettonico dell’azione e con l’immagine che questo quadro dà di un referente spazio-temporale situato altrove, in una realtà storica o contemporanea. Lo spazio teatrale ha un carattere di generalità maggiore: si può definire come l’insieme dei segni spazializzati di una rappresentazione teatrale. Lo spazio teatrale è una realtà molto complessa nella misura in cui comprende: a. Un luogo fisico concreto, quello della presenza degli attori in rapporto al pubblico; b. Un insieme astratto, quello di tutti i segni reali o virtuali della rappresentazione. Il teatro è uno spazio dove si muovono dei corpi. È uno spazio in cui evolvono dei corpi che parlano. Una relazione umana Per avere uno spazio teatrale, è necessario e sufficiente che ci siano degli uomini uniti dalla funzione dello sguardo: guardanti e guardati ( osservatori e osservati) Ma lo è anche dalla relazione degli ascoltatori e degli ascoltati nella misura in cui, che ne dica Wilson, lo sguardo non basta a fare il teatro. Lo spazio teatrale è dunque il luogo dell’attività degli esseri umani in rapporto gli uni con gli altri ( realizzatori e spettatori). Lo spazio teatrale si fonda su una precisa relazione umana, quella fra attori e spettatori, fra guardati e guardanti. ( funzione dello sguardo). Chiusura Lo spazio teatrale è caratterizzato dalla sua chiusura: è uno spazio all’interno dello spazio cittadino, ma si distingue radicalmente da ciò che esso stesso non è; anche una rappresentazione di strada suppone che non si confonda la parte del marciapiede dove circolano i passanti con lo spazio dove si muovono attori e spettatori. Forte chiusura dello spazio teatrale rispetto a ciò che gli è estraneo, anche nel caso di teatri di strada. Indifferenziazione Un altro dei tratti distintivi dello spazio teatrale è la sua indifferenziazione. Abbiamo parlato di architettura ma basta un semplice tratto disegnato con il gesso su una piazza pubblica per costruire uno spazio teatrale. Basta un semplice tratto di gesso per circoscrivere uno spazio teatrale. Il luogo scenico All’interno del luogo/spazio teatrale ( scena/palcoscenico + sala), il “luogo scenico” si definisce come “area dei realizzatori” con le sue coordinate precise, scenografia, praticabili, attività e movimento degli attori. Lo spazio scenico Chiamiamo “spazio scenico” l’insieme astratto dei segni della scena; esso sarà definito come l’insieme dei segni provenienti dal luogo scenico e che lì troveranno il loro posto. Lo spazio teatrale e la scenografia La nozione di spazio teatrale è ancora più ampia poiché comprende, oltre allo spazio scenico, quello del pubblico e il rapporto tra l’uno e l’altro. Non si può parlare di rapporti reciproci, poiché il fine dello spettacolo è lo sguardo dello spettatore e non quello del realizzatore; ma il suo lavoro ( dello scenografo, dell’attore) sta nel prendere in considerazione la totalità dello spazio teatrale, ovvero l’insieme dei segni emessi nello stesso tempo sia dalla scena che dalla sala. Lo spazio drammatico: spazio teatrale e testo Forse bisogna ampliare ancora la nozione di spazio teatrale e aggiungere lo spazio virtuale del testo ai segni concreti che provengono dallo spazio fisico della rappresentazione 2. Forme dello spazio teatrale 1.2. SPAZIO VUOTO In principio lo spazio teatrale è virtualmente uno spazio tridimensionale vuoto ( ulteriormente riempito da un gran numero di oggetti e di corpi). Il teatro è uno spazio delimitato, ed è la natura dei suoi limiti che permette di distinguere tra le forme spaziali del teatro. Esso oscilla tra due forme estreme che sono la pedana ( trèteau) e il teatro di boulevard, risultato del teatro all’italiana. 1.3. IL TEATRO DI BOULEVARD Tutto avviene come se, attraverso lo sguardo dello spettatore, questo luogo scenico fosse un frammento staccato dal resto del mondo, capace di prolungarsi all’infinito. Il presupposto che sottintende questo tipo di costruzione dello spazio è che la scena è come la vita , che tutto deve essere fatto perché non si possano distinguere l’una dall’altra. Lo spazio diventa imitazione di un luogo nel mondo e l’attività scenica teatrale si inscrive in continuità con le altre attività degli uomini nel mondo. Il rapporto dello spettatore con l’attore-personaggio è allora un rapporto di simpatia, identificazione: se il teatro è come la vita, l’attore è come lo spettatore. Omogeneità con il reale: scena = vita Attore- spettatore = rapporto di “simpatia” Qui i segni sono legati tra loro a formare un’unità significante. 1.4. IL TRETEAU Tutto ciò che accade sul palcoscenico sembri in un rapporto di continuità tra lo spettatore e l’attore. L’attore sul trèteau non ha quinte per cambiarsi; la macchina teatrale è completamente sotto gli occhi dello spettatore. Lo spazio-trèteau non ha la pretesa di essere l’imitazione di un luogo concreto; non è altro che il luogo dell’attività teatrale e appare radicalmente eterogeneo al resto del mondo: lo spettatore non può fuggire in un fuori-scena immaginario. Ciò blocca l’immaginazione. Conseguenza: le attività degli attori sul trèteau sono attività di teatro, essenzialmente ludiche e non mimetiche; non sono l’imitazione di attività del mondo o, se lo sono, appaiono in un contesto sociale che le teatralizza immediatamente. Si offre come occasione di attività ludiche e non mimetiche. 4.4.2. COSTRUZIONI Il personaggio è una “tripla costruzione”: - L’attore in quanto lettore, costruisce in maniera immaginaria il suo personaggio. ■ Un personaggio è frutto anche di costruzioni sceniche anteriori ( repertorio e tradizione) ■ A partire da questi dati l’attore elabora la sua costruzione scenica attuale, di cui è autore e oggetto. 4.4.5. “MIMETICO ■ L’attore costruisce un insieme di tratti distintivi corrispondenti a quelli dell’insieme testuale ■ L’attore deve sapere il discorso del personaggio ■ L’attore deve mostrare le azioni di cui, secondo il testo, il personaggio è soggetto. In altre parole l’attore deve: ■ obbedire agli ordini dati dalle didascalie ■ interpretare il discorso ■ mostrare le azioni di cui, secondo il testo, il personaggio è soggetto 4.4.7. IL CORPO DELL’ATTORE L’attore è un insieme di “tratti” già costituiti, e l’immagine totale del personaggio scenico sarà sempre un rapporto tra il personaggio- testo e l’attore con il suo corpo Il corpo dell’attore: sé e l’altro La recitazione è una sorta di dialettica: un dialogo fra il corpo reale e la figura immaginaria che l’attore disegna con l’aiuto del corpo Ossimoro = “Io sono un altro” 4.5. L’attore e l’enunciazione del discorso Che cosa è l’attore? E’ l’enunciatore del discorso. Intendiamo con questa parola l’insieme dei messaggi organizzati, verbali e non verbali, che compongono il suo testo. Ogni discorso scenico dell’attore ha un doppio emittente: un emittente concreto ( l’io dell’attore ) e un emittente finzionale ( l’io del personaggio). Lo statuto del discorso prodotto dall’attore è quello di un discorso parziale D’ nel discorso totale D prodotto dallo spettacolo. L’attore: ■ racconta una fabula ■ indica le condizioni di enunciazione immaginaria ■ tiene un discorso di finzione ■ mostra una performance scenica 4.5.1. L’ATTORE NARRATORE L’attore ha un altro ruolo nel processo di comunicazione, quello del “cantastorie”. Certe forme moderne di messinscena di racconti adottano la vecchia forma del cantastorie. Nel teatro di narrazione l’attore-cantastorie passa dall’identificazione con il narratore a quella che lo rimanda a differenti personaggi del racconto. Il luogo del discorso E’ l’attore a dover indicare il luogo del discorso: - Egli serve da mediatore tra il discorso e lo spazio in cui si produce; - Egli serve da mediatore tra lo spazio immaginario della finzione e lo spazio concreto; - L’attore indica il posto “da cui parla”. L’attore non è solo: il ruolo dello spettatore come destinatario del discorso è capitale. I tratti prodotti dall’attore sono: ■ un gesto ■ la mimica ■ un’intonazione ■ l’accento La lettura di tali tratti dipende: • dal rapporto che lo spettatore ha con i codici dello scrittore • dai codici di lettura dello spettatore stesso. 4.6. Il discorso dell’attore: la gestualità = mimica corporea ■ Ogni mimica corporea è sociale e la gestualità a teatro lo è doppiamente perché “è” e “dice” ■ Un gesto a teatro è sempre un fatto di comunicazione; è nello stesso tempo un fare e un dire ■ Il gesto a teatro ha un doppio carattere iconico e deittico: è l’icona di un gesto nel mondo ed è l’indice di un comportamento, di un sentimento, di un rapporto con gli altri. Gestualità e parola Nel teatro occidentale, laddove l’attore è incaricato contemporaneamente del gesto e della parola, il gesto in generale non può apparire se non in rapporto alla parola discorsiva. a. Si può vedere in un gesto una punteggiatura-illustrazione della parola b. Può essere un pleonasmo o una ridondanza in rapporto al discorso verbale c. Il gesto può essere lo sviluppo di un non detto della parola. La mimica corporea serve a mostrare ciò che la parola non può dire; mostra ( traduce-tradisce) le emozioni che il discorso non dice. Discorso della gestualità Il gesto ha un “discorso proprio”, con una struttura e un senso propri. In certe forme di teatro il gesto ha un “discorso organizzato”, parallelo a quello parlato. Il contenuto Il gesto: - Può mostrare il personaggio come individuo nelle sue particolarità fisiche o psichiche; - Può voler mostrare il personaggio sociale; - Può dire-mostrare le passioni e il loro risuonare sul comportamento; - Può dire-mostrare l’azione eseguita; - Può dire-mostrare lo spazio-tempo immaginario; Funzioni del discorso gestuale Il discorso gestuale può essere analizzato secondo delle funzioni. Si possono qui utilizzare le 6 funzioni di Jakobson: a. Funzione referenziale: il gesto è un informatore, dice qualcosa; b. Funzione conativa: il gesto ordina, o supplica, o difende ecc; c. Funzione fatica: il gesto è un contatto, dice o chiama la comunicazione; d. Funzione emotiva del gesto, legata alla sua espressività; e. Funzione poetica: rapporto dei gesti gli uni con gli altri, poetica del gesto legata alla danza; f. Funzione metalinguistica: il gesto può essere il commento di un discorso ( verbale o gestuale); può essere, in rapporto alla parola, un “io voglio dire” o un “ciò significa”. Si può analizzare il discorso gestuale in un altro modo, utilizzando le nozioni di atti di linguaggio della scuola inglese; la mimica corporea avrà allora: a. Una funzione locutoria: l’enunciato gestuale, come ogni altro enunciato, dice qualcosa; b. Una funzione perlocutoria: il gesto induce delle emozioni nei due destinatari, il partner e lo spettatore; c. Una funzione illocutoria: il gesto è un enunciato-atto, attraverso la sua attualizzazione ordina, impedisce, nega, presta giuramento ecc. 4.7.1. FAR SENTIRE L’ENUNCIATO Il primo obiettivo dell’attore è di assicurare la trasmissione dell’enunciato, in altre parole di permetterne l’ascolto; da ciò, una tecnica dell’emissione della voce che permette allo spettatore, qualsiasi sia la distanza a cui si trova, di sentire il messaggio e di capirlo. L’apprendimento dell’attore comprende l’iniziazione alle tecniche di utilizzo della respirazione e dell’emissione della voce, che portano il nome di dizione. 4.7.2. TRATTI FISICI DELL’ENUNCIAZIONE: GLI ELEMENTI PARAVERBALI Il primo significante è la voce, sistema molto complesso i cui tratti distintivi possono essere determinati volontariamente o emessi involontariamente, possono caratterizzare il personaggio di finzione e/o l’attore. I tratti fisici vocali ( della voce): a. L’altezza della voce: appare in relazione con la differenza dei sessi o con l’età. b. Il timbro, elemento individuale per eccellenza, che rende il lavoro di un attore indimenticabile e personale: è un elemento al quale si possono collegare la musicalità e la “grana” queste impercettibili imperfezioni vocali alle quali Barthes dava una così grande importanza poiché rendono una voce individuale e carnale; intorno al timbro si può fare tutta una ricerca: sottili modifiche per interpretare dei ruoli differenti nella stessa piece o, al contrario, messa in evidenza di un timbro particolare per permettere di reperire l’identità sotto un travestimento o la similitudine tra due gemelli c. L’intensità e il volume, tratti quantitativi ma legati all’emissione della voce, e che hanno ogni sorta di connotazione: dicono l’emozione, la violenza ma anche la situazione di enunciazione in rapporto al partner e/o al pubblico; abbassare la voce, perfino ridurla ad un bisbiglio anche per dire la minaccia, il segreto, la clandestinità; ugualmente la perdita improvvisa del volume vocale può dire l’emozione brutale, come anche la caduta nella debolezza; al contrario, il passaggio della voce al grido segna anche un annullamento della parola a profitto di un’altra forma di espressività 4.8. Mimica = mimica facciale Il viso, in particolare la bocca, è il luogo dell’incontro tra la parola e il corpo. 4.8.1. I SIGNIFICANTI Se la mimica riguarda l’insieme del volto, si può considerare ogni espressione mimica come un tutto, un’unità espressiva che implica l’intero volto, o si può fare una dissociazione analitica e studiare isolatamente i due insiemi che formano gli occhi e le sopracciglia da una parte, la bocca e i muscoli che la circondano dall’altra. In certi casi si fa questa dissociazione, e succede che l’attore usi una parte del suo viso indipendentemente dall’altra o contro di essa. 4.8.3. IL SIGNIFICATO Ciò che può dire la mimica è forse più vario di ciò che può dire la gestualità. a. La mimica può essere espressione del sé. L’io è quello del personaggio ma può essere anche quello dell’attore, e il territorio della mimica è quello dove possono mostrarsi, con una sorta di alternanza, successivamente l’uno e l’altro b. La mimica può essere la risposta a una sollecitazione esteriore, materiale o psichica: paura o desiderio c. La mimica può apparire come intenzionale e dire un voler agire sull’altro: minaccia, sfida, seduzione. La mimica è espressione del sé. Forse la mimica a teatro è il luogo in cui si dice, più chiaramente, la riflessività del discorso prodotto dall’attore. La mimica è la mediazione tra la gestualità ( parola- corpo) e la parola fonica. 4.8.4. LA MIMICA E LA PAROLA-CORPO: INDICI E STIMOLI La mimica è la mediazione tra la gestualità e la parola fonica. La mimica è il terreno dell’espressività. 4.8.6. LA MASCHERA