Scarica Neuroanatomia e funzioni della corteccia cerebrale e più Sintesi del corso in PDF di Neuroscienze Cognitive solo su Docsity! NEUROSCIENZE COGNITIVE 2022/2023 13/02/2023 – anatomia macroscopica Il cervello umano ha avuto un’ evoluzione nel corso della filogenesi, la quale lo ha reso molto grande e costituito da solchi e circonvoluzioni. Il cervello è ricoperto dalle meningi: tre membrane che proteggono il cervello e il midollo spinale (ovvero il SNC) dagli urti (ruolo di protezione meccanica) e dalle sostanze nocive. La meninge più esterna è definita dura madre, la quale è una membrana molto spessa (di una consistenza simile al lattice) ed è facile da esportare. Sotto la dura madre si trova uno spazio molto sottile, chiamato spazio subdurale. La seconda membrana (andando dalla superficie verso la profondità) è la membrana aracnoidea, così chiamata perché assomiglia alla tela di un ragno dato che sotto di essa, nello spazio subaracnoideo, sono presenti tante trabecole (dei filamenti). Infine, la membrana più interna è la pia madre, la quale è molto sottile (come la pellicina esterna della cipolla) ed è molto aderente alla superficie del cervello e del midollo spinale. Inoltre, per quanto riguarda lo spazio subaracnoideo, qui decorrono i vasi sanguigni, i quali hanno un certo calibro che si assottiglia sempre più man mano che essi entrano (si diramano) dentro il cervello e vanno quindi a formare i vasi capillari. I vasi sanguigni non sono però direttamente a contatto con il tessuto nervoso: tali vasi sono avvolti dalla pia madre, perciò le meningi proteggono il SNC anche dalle sostanze nocive. Infatti, tra i vasi sanguigni e il tessuto nervoso è presente la barriera ematoencefalica, la quale è caratterizzata dalla parete capillare (emato) e dalla pia madre e delle cellule gliali specifiche (encefalica) che si attaccano alla pia madre come se fossero delle ventose. Ciò crea una barriera che fa da filtro, ovvero permette di portar via le sostanze di rifiuto che derivano dal metabolismo del sistema nervoso e di far passare le sostanze utili (ma non quelle tossiche). Può succedere che in seguito a un trauma un vaso sanguigno si fissuri. Ciò comporta una perdita di sangue o a livello subdurale o a livello subaracnoideo (ematoma subdurale o ematoma subaracnoideo). Tale sanguinamento può essere molto lento, per cui all’inizio le persone sembrano stare bene. Dopo un po’, man mano che il sangue si accumula, esso comprime il tessuto nervoso circostante e iniziano a comparire dei sintomi. Inoltre, lo spazio subaracnoideo contiene il liquido cerebrospinale, il quale ha due funzioni: protegge il cervello dagli urti (infatti, entro certi limiti il liquor è flessibile e fa da cuscinetto) e allontana le sostanze di rifiuto. Il cervello presenta 4 cavità, chiamate ventricoli, i quali contengono il liquido cerebrospinale, prodotto dai plessi coroidei (sono come delle fontanelle), presenti soprattutto nei ventricoli laterali. Il liquido cerebrospinale dai ventricoli laterali viene riversato nel terzo ventricolo e poi, passando per l’acquedotto cerebrale e il quarto ventricolo, giunge fino al canale centrale, ovvero la cavità del midollo spinale. Tuttavia, il liquido cerebrospinale passa anche attraverso la cisterna e poi viene riassorbito a livello subaracnoideo dalle granulazioni di Pacchioni (o granulazioni aracnoidee o villi aracnoidei). Tanto liquido viene riassorbito quanto ne viene prodotto, altrimenti tale liquido gonfia i ventricoli. Questo riassorbimento continuo permette di ripulire il sistema nervoso dalle sostanze tossiche. Nei bambini si può verificare la condizione dell’idrocefalo normoteso: i ventricoli sono gonfi perché il liquor viene riassorbito lentamente (la produzione del liquor è maggiore del suo riassorbimento). Tale idrocefalo è definito normoteso perché comunque non è caratterizzato da una grande tensione, però comunque con il tempo può provocare dei danni al tessuto nervoso compresso dai ventricoli. Per risolvere la condizione dell’idrocefalo normoteso vengono messi dei drenaggi interni che riversano il liquor nel peritoneo (la cavità che avvolge gli organi addominali) o nel pericardio (la membrana che avvolge il cuore). Tale drenaggio non può essere esterno perché altrimenti comporterebbe un rischio di infezione che potrebbe portare a un’encefalite. Comunque, nei bambini spesso tale condizione si risolve con la crescita. Inoltre, la condizione dell’idrocefalo può avere come causa anche un tumore cerebrale. E’ molto rischioso se si gonfia l’acquedotto cerebrale, il quale ha una superficie molto limitata. Se c’è un’ostruzione a livello dell’acquedotto cerebrale si gonfiano i ventricoli laterali, ma non particolarmente il terzo e il quarto ventricolo. Il Sistema Nervoso si suddivide in Centrale (che comprende encefalo e midollo spinale), Periferico (costituito da nervi cranici e nervi spinali) e Autonomo (il quale comprende elementi del SNC ed elementi del SNP). Mentre il SNC è tutto contenuto in strutture ossee (cranio e colonna vertebrale), il SNP non è contenuto nelle ossa ed è in contatto con la periferia del corpo. Talamo di destra e talamo di sinistra formano le due pareti del terzo ventricolo. Talamo di destra e talamo di sinistra sono collegati attraverso la massa intermedia, ovvero un “bottoncino” situato nel terzo ventricolo. I ventricoli laterali si trovano sotto gli emisferi cerebrali. Il quarto ventricolo è limitato superiormente dal cervelletto e inferiormente dal ponte e dal bulbo. Bulbo, ponte e mesencefalo insieme formano il tronco encefalico. Il cervelletto dell’uomo è ricoperto dagli emisferi cerebrali, a differenza del cervelletto del topo (che perciò può essere osservato anche dall’alto). Ad ogni modo, nell’uomo il cervelletto e la corteccia cerebrale non sono a contatto, ma sono separati da una membrana chiamata tentorio. Il midollo spinale è contenuto nel canale vertebrale. Dal midollo spinale si dipartono i nervi spinali. Il canale vertebrale è formato dalle vertebre, le quali sono costituite da una cavità. Tale cavità si trova tra il corpo vertebrale (ventrale) e l’arco vertebrale (dorsale). L’arco vertebrale è costituito da delle sporgenze chiamate processi vertebrali. Tra una vertebra e l’altra sono presenti i dischi intervertebrali, i quali sono cartilaginei e hanno due funzioni: ammortizzano i colpi e danno flessibilità alla colonna vertebrale. Quando il disco è fuori posto si presenta la condizione dell’ernia discale o ernia del disco. L’ernia può dare dei problemi perché può premere a livello del midollo spinale (in condizioni gravi) oppure può premere sui nervi spinali, i quali fuoriescono dal midollo spinale a livello dei peduncoli, ovvero gli avvallamenti presenti tra le faccette articolari (i punti di contatto tra le vertebre). L’ernia può dunque portare a formicolii, dolori e disturbi motori. La radice dorsale è quella parte che nasce dal midollo spinale prima ancora di diventare nervo spinale. Il midollo spinale è costituito esternamente da sostanza bianca e internamente da sostanza grigia, la quale presenta una forma ad H o a farfalla. La sostanza grigia del midollo spinale è costituita da due corna ventrali (motorie) e due corna dorsali (sensoriali). Le vie motorie sono discendenti perché trasmettono i comandi motori dalla corteccia cerebrale alla periferia; le vie sensoriali sono ascendenti perché trasmettono le informazioni dalla periferia alla corteccia. Nelle corna ventrali è presente il motoneurone inferiore (il motoneurone superiore invece è presente a livello corticale). L’assone del motoneurone inferiore forma la radice ventrale. Le radici ventrali “escono”, ovvero sono efferenti e trasportano informazioni motorie dal SN ai muscoli; le radici dorsali “entrano”, ovvero sono afferenti e trasportano informazioni sensoriali dalla periferia al SNC. Radici dorsali e radici ventrali si uniscono fuori dalla colonna vertebrale per formare il nervo spinale. Dunque, tutti i nervi spinali sono nervi misti: presentano una componente motoria e una sensoriale. Invece, per quanto riguarda i nervi cranici alcuni sono sensoriali, alcuni motori e alcuni misti. Nei gangli della radice dorsale è presente il corpo cellulare da cui parte la fibra sensoriale che è in contatto con il midollo spinale. Il termine “ganglio” è usato in modo improprio perché per ganglio, in realtà, si intende “zona in cui avviene una sinapsi”, ma in questo caso non ci sono sinapsi (ci sono solo corpi cellulari). I gangli della radice dorsale, quindi, comprendono i corpi cellulari dei neuroni sensoriali. Gli assoni dei neuroni sensoriali si biforcano: una parte raccoglie le informazioni dalla periferia e l’altra parte trasmette tali informazioni alle corna dorsali del midollo spinale. La colonna vertebrale è costituita da un tratto cervicale, un tratto dorsale/toracico, un tratto lombare, un tratto sacrale e un tratto coccigeo. Da ognuno di questi tratti escono i nervi spinali. Siccome i nervi spinali escono dai peduncoli, noi abbiamo tante paia di nervi spinali quante sono le vertebre. Noi abbiamo 7 vertebre cervicali, 12 vertebre toraciche, 5 vertebre lombari, 5 vertebre sacrali e una vertebra coccigea (la quale in realtà è data dalla fusione di più vertebre, ma ormai è diventata un osso unico). Come detto prima, il numero delle paia dei nervi spinali è pari al numero delle vertebre. Tuttavia, abbiamo 8 paia di nervi cervicali (e non 7) perché i primi 2 nervi cranici escono al di sopra della prima vertebra (che corrisponde al primo osso del cranio). Comunque, inoltre, abbiamo 12 paia di nervi toracici, 5 paia di nervi lombari, 5 paia di nervi sacrali e 1 paio di nervi coccigei. Dunque, abbiamo 31 paia di nervi spinali. La struttura complessiva del midollo spinale è uguale a ogni livello della colonna vertebrale (ovvero è sempre presente la H grigia), ma in ogni tratto la varia la grandezza dell’H. La grandezza delle corna dorsali Per studiare le strutture interne al SNC è necessario sezionarlo. Le sezioni sagittali sono fatte secondo un asse in direzione rostro-caudale parallelo alla linea mediana. Le sezioni orizzontali sono fatte secondo un asse in direzione latero-mediale. Le sezioni frontali (del cervello) e quelle coronali (del midollo spinale) sono fatte attraverso un asse in direzione dorso-ventrale. Il corpo calloso è la commissura (commissura = fibre nervose passano da un emisfero all’altro) più grande che abbiamo ed unisce gli emisferi cerebrali. Ripasso di biologia: La sostanza bianca comprende fibre, ovvero assoni e dendriti (sono gli assoni mielinizzati che danno il colore bianco). La sostanza grigia è costituita da corpi cellulari. Il nucleo è un agglomerato di neuroni che hanno una determinata funzione. La via nervosa è un fascio fibre che segue un percorso specifico. Il neurone motorio trasmette comandi motori, ovvero controlla la contrazione di un muscolo o la secrezione di una ghiandola. Il neurone sensoriale elabora e trasmette informazioni sensoriali, ovvero rileva i cambiamenti nell’ambiente interno o esterno e invia tali informazioni nel SNC. L’interneurone connette due o più neuroni ed è localizzato completamente all’interno del SNC. La via motoria trasmette comandi motori. La via sensoriale trasporta informazioni sensoriali dalle parti più caudali a quelle più rostrali del SNC. La via efferente trasmette le informazioni. La via afferente riceve le informazioni. (è la direzione dell’informazione che determina se una via è efferente o afferente) La via discendente segue la direzione rostro-caudale. La via ascendente segue la direzione caudo-rostrale. La via diretta procede ipsilateralmente. La via crociata presenta una decussazione, ovvero attraversa la linea mediana e procede controlateralmente. Anatomia microscopica Inizialmente si riteneva che il tessuto nervoso fosse costituito da una rete e che i neuroni fossero tra loro letteralmente connessi. Solo grazie alla colorazione di Golgi ci si è resi conto che i neuroni non sono tra loro in contatto: tra loro c’è uno spazio (lo spazio intersinaptico). Tali osservazioni sono state possibili grazie a questa tipologia di colorazione che colora molto bene alcuni neuroni, ma altri no (e non si sa perché). Di conseguenza la colorazione di Golgi consente di osservare molto bene alcuni neuroni (e ciò ha permesso agli anatomisti di capire che ogni neurone è un’entità a sé che non è in contatto con gli altri neuroni). I neuroni hanno tutti la stessa struttura (assone, corpo cellulare e dendriti), ma possono avere forme diverse. Ad esempio: - La cellula piramidale presenta un corpo cellulare a forma di piramide, un assone, un dendrite apicale e due gruppi di dendriti basali. Le cellule piramidali più grosse si formano nel V strato della corteccia motoria. - La cellula stellata è un interneurone che ha molte più ramificazioni della cellula piramidale (ciò consente all’interneurone di connettere tanti neuroni tra loro), ma tali ramificazioni sono corte (l’interneurone è capace solo di una comunicazione locale). I neuroni sensoriali sono di due tipi: bipolari e unipolari. Il neurone bipolare presenta due assoni. Il neurone unipolare presenta un solo assone biforcato. Invece, il motoneurone inferiore si trova a livello del corna ventrale e riceve informazioni dal centro. Il suo assone esce come radice ventrale ed entra a far parte del nervo spinale e fa sinapsi con il muscolo a livello delle placche neuromuscolari (costituite dal versante nervoso e dal versante muscolare). Nella trasmissione motoria dal SN al muscolo viene utilizzata l’acetilcolina come neurotrasmettitore. Gli interneuroni possono essere eccitatori o inibitori. Le cellule gliali sono delle cellule che supportano i neuroni. Esse si differenziano in microglia e macroglia. La microglia comprende i fagociti, ovvero delle cellule che allontanano i prodotti del catabolismo. La macroglia comprende gli astrociti, gli oligodendrociti e le cellule di Schwann. Gli astrociti (così chiamati per la loro forma a stella) terminano con dei “piedini a forma di ventosa” che si attaccano alle pareti dei capillari (in tal modo formano la barriera ematoencefalica). Gli oligodendrociti formano la mielina. Un oligodendrocita mielinizza parti diverse di diversi assoni. Di conseguenza, ogni assone è mielinizzato da più oligodendrociti. Gli oligodendrociti si trovano nel SNC. Invece, nel SNP sono le cellule di Schwann le cellule gliali che mielinizzano gli assoni. Tali cellule si avvolgono intorno a una sola porzione di un solo assone. La mielinizzazione velocizza la trasmissione nervosa perché isola il neurone. Di conseguenza, la conduzione (saltatoria) avviene solo nei nodi di Ranvier, ovvero le porzioni dell’assone non mielinizzate. Il potenziale d’azione parte a livello del cono di emergenza (o monticolo assonico), zona in cui avviene la somma dei potenziali post-sinaptici eccitatori e inibitori, i quali partono a livello delle spine dendritiche. Il potenziale d’azione è “tutto o nulla”, ovvero parte solo quando viene raggiunto il valore soglia e, per tutto l’assone, la sua ampiezza non si riduce. Invece, l’ampiezza dei potenziali post-sinaptici (PPS-E e PPS-I ) è variabile (non c’è un valore soglia) e diminuisce durante la sua conduzione all’interno del dendrite. Inoltre, le sinapsi inibitorie (le quali hanno una funzione di regolazione) si trovano principalmente vicino al cono di emergenza, per cui la loro ampiezza si riduce meno, perciò hanno un grosso potere nel determinare od ostacolare il potenziale d’azione. Il potenziale d’azione è unidirezionale. Le spine dendritiche hanno forme diverse e a seconda della forma hanno determinate funzioni. Se un neurone ha tante spine dendritiche, questo neurone riceve tante informazioni da tanti neuroni e quindi è capace di un’elaborazione molto complessa. Le vescicole trasportano il neurotrasmettitore e lo rilasciano nello spazio intersinaptico fondendosi con la membrana pre-sinaptica. In seguito, la vescicola viene “riassorbita”, ovvero si riforma e viene nuovamente riempita di neurotrasmettitore. Le vescicole sinaptiche sono perle cave di membrana riempite da una soluzione contenente molecole di neurotrasmettitore. Esse sono prodotte dai corpi cellulari e trasportate dai microtubuli fino ai bottoni terminali, dove si fondono con la membrana pre-sinaptica e versano il neurotrasmettitore nello spazio sinaptico. Durante la fusione le vescicole prendono il nome di strutture omega a causa della loro forma. La fusione delle vescicole sinaptiche alla membrana avviene quando arriva il potenziale d’azione al bottone terminale e dunque vengono aperti i canali ionici voltaggio-dipendenti per il calcio; di conseguenza, il calcio entra nel citoplasma del bottone terminale. Il calcio induce le vescicole a fondersi con la membrana. Il neurotrasmettitore rilasciato nello spazio intersinaptico in parte viene recepito dai recettori (e poi riassorbito), in parte viene subito o degradato o riassorbito dalle cellule gliali o dai vasi sanguigni e in parte viene ricaptato dalla membrana pre-sinaptica attraverso gli autorecettori, i quali in tal modo regolano l’attività del neurone presinaptico. 20/02/2023 – ripasso anatomia microscopica + corteccia cerebrale La velocità di scarica di un neurone, cioè la velocità con cui si sviluppano i potenziali d’azione nel suo assone, è determinata dall’attività relativa degli impulsi che riceve, dai bottoni terminali che formano sinapsi con le sue spine dendritiche e così innescano PPSE o PPSI (potenziali post-sinaptici eccitatori o inibitori): se i PPSE diventano più attivi, la sua velocità di scarica aumenta; se i PPSI diventano più attivi, la sua velocità di scarica diminuisce. Il nostro sistema nervoso codifica l’intensità di uno stimolo attraverso la frequenza di scarica: uno stimolo più intenso determina una frequenza di potenziali d’azione più elevata. Potenziale di membrana a riposo = -70mV Valore soglia = -60mV Raggiunto il valore soglia, la membrana si depolarizza (entra Na+); segue un’iperpolarizzazione (esce K+). PPS-E (entra il Na+) -> depolarizzazione (il potenziale di membrana si avvicina al valore soglia) VS PPS-I (esce K+ o entra Cl-) -> iperpolarizzazione (il potenziale di membrana si allontana dal valore soglia). Sia l’ingresso di ioni carichi positivamente che l’uscita di ioni carichi negativamente induce una depolarizzazione. Invece, sia l’ingresso di ioni carichi negativamente che l’uscita di ioni carichi positivamente induce una iperpolarizzazione. Corteccia cerebrale Un giocatore di tennis in attesa della pallina si sta preparando a dare il colpo. Che aree della corteccia cerebrale sono attive? 1. La corteccia visiva (il tennista sta guardando la pallina in arrivo calcolandone una serie di cose, come la velocità); 2. La corteccia premotoria (elaborazione di uno schema motorio); 3. L’amigdala (regolazione della respirazione, della frequenza cardiaca per permettere al corpo del giocatore ad essere pronto a dare il colpo); 4. L’ipotalamo (motiva il giocatore a rispondere nel miglior modo possibile al colpo); Arriva la pallina e il giocatore colpisce la pallina. Quali altre aree si attivano? 1. La corteccia motoria (consente l’attuazione dello schema motorio elaborato dalla corteccia premotoria); 2. La corteccia parietale posteriore (un’area associativa che permette di mettere insieme una serie di informazione che consentono al giocatore di comprendere qual è la posizione del suo corpo rispetto alla pallina); 3. I gangli della base (selezione rapida del comportamento da mettere in atto); 4. Il cervelletto (si occupa di rendere il movimento coordinato); 5. Alcuni nuclei del tronco dell’encefalo (sono coinvolti nei sistemi modulatori diffusi e aumentano l’arousal del giocatore); 6. L’ippocampo (consente al giocatore di memorizzare il colpo) Dunque, per mettere in atto un comportamento è necessario che diverse aree del cervello comunichino tra di loro secondo una determinata relazione. La corteccia cerebrale è la zona del SNC maggiormente coinvolta nelle funzioni cognitive superiori. Il cervello umano comprende un emisfero cerebrale destro e un emisfero cerebrale sinistro uniti dal corpo calloso (grazie al quale le informazioni passano da un emisfero all’altro). L’encefalo è caratterizzato nella zona più esterna da sostanza grigia e nella zona più interna da sostanza bianca. La sostanza grigia costituisce la corteccia cerebrale, quella bianca, invece, è formata da assoni che dalla corteccia escono verso le strutture sottocorticali o che arrivano in corteccia. Abbiamo 4 lobi: il lobo frontale, il lobo parietale, il lobo occipitale e il lobo temporale. Il lobo frontale (e, in particolare, l’area motoria primaria) e il lobo parietale (e, in particolare, l’area somatosensitiva primaria) sono separati dal solco centrale. Invece, la scissura laterale o scissura di Silvio separa il lobo temporale dal lobo frontale e dal lobo parietale. Alcune scuole di anatomia considerano il sistema limbico come un lobo dato che esso ha una caratterizzazione molto specifica. Dunque, alcuni ritengono che i lobi siano 5. Tuttavia, in questo corso consideriamo quello limbico come un sistema, quindi assumiamo che i lobi siano 4. Considerando tale struttura come un sistema, si può osservare che essa è compresa nei vari lobi. La colonna corticale è l’unità funzionale della corteccia (→ non si vede a occhio nudo). Ogni colonna riceve specifiche informazioni da una specifica area del corpo. Sistema visivo – l’ipercolonna raggruppa insieme le colonne Blob, le colonne di dominanza oculare e le colonne di orientamento a livello della corteccia visiva primaria. 22/02/2023 – continuo su corteccia cerebrale + specializzazione emisferica Tutta la periferia del corpo è rappresentata in modo topografico in corteccia (rappresentazione somatotopica). Per quanto riguarda la corteccia visiva, si parla di rappresentazione retinotopica. Per quanto riguarda la corteccia uditiva, si parla di rappresentazione tonotopica. Queste rappresentazioni in corteccia non sono fedeli alle dimensioni della periferia del corpo. Homunculus = rappresentazione tridimensionale della rappresentazione in corteccia di ogni parte del corpo. Nell’ Homunculus motorio le proporzioni delle parti dell’homunculus sono in relazione alla quantità di movimenti che quella parte può fare, ovvero alla quantità di informazioni che devono essere elaborate. Le aree associative rispondono a tre principi fondamentali: 1. Le informazioni sensoriali vengono analizzate sia in serie che in parallelo; 2. Le informazioni sensoriali che provengono dalle aree unimodali convergono nelle aree multimodali (ovvero, la corteccia prefrontale, la corteccia parieto-temporo-occipitale e la corteccia limbica); 3. Nel sistema motorio, l’analisi delle informazioni procede con una disposizione gerarchica inversa (dalle aree associative multimodali a quelle unimodali, dalle aree associative unimodali all’ area motoria primaria). Alla corteccia prefrontale arrivano informazioni dalla corteccia parieto-temporo-occipitale perché per l’elaborazione di schemi motori sono necessarie informazioni relative all’ambiente. Mesencefalo = parte più rostrale del tronco encefalico Il solco centrale divide la corteccia motoria primaria (del lobo frontale) dalla corteccia somatosensitiva primaria (del lobo parietale). La scissura calcarina divide in due parti l’area visiva primaria e delimita topograficamente le proiezioni che dalla retina arrivano alla corteccia visiva (ovvero, ciò che arriva dai quadranti superiori della retina viene rappresentato sopra la scissura calcarina e ciò che arriva dai quadranti inferiori della retina viene rappresentato sotto la scissura calcarina). Tale scissura si nota meglio in una sezione sagittale poiché essa si trova in posizione mediale. La scissura interemisferica separa i due emisferi cerebrali. Specializzazione emisferica I due emisferi sono tra loro in comunicazione grazie al corpo calloso, ovvero una commissura costituita da fibre nervose che passano da un emisfero all’altro. E’ importante che i due emisferi comunichino tra loro poiché le loro funzioni non sono esattamente le stesse. Ad esempio, solitamente l’area specializzata nell’elaborazione del linguaggio è situata nell’emisfero sinistro, mentre l’area specializzata nell’elaborazione delle informazioni visuospaziali è situata nell’emisfero destro. Inoltre, solitamente si dice che nei destrimani è l’emisfero sinistro quello specializzato nel linguaggio, mentre nei mancini sia l’emisfero destro quello specializzato nell’elaborazione di tali informazioni. Invece, non è proprio così: nei mancini l’emisfero domaninante per il linguaggio è il sinistro solo nel 50% dei casi. Ad ogni modo, quindi, la zona del linguaggio non è sempre situata in prevalenza nell’emisfero sinistro, quindi quando è necessario asportare una parte del cervello (magari perché è presente un’area tumorale) è necessario comprendere prima dell’asportazione in che emisfero sia situata l’area del linguaggio nel paziente. E’ possibile comprendere ciò attraverso il test di Wada: viene iniettato un farmaco anastetizzante nella carotide di sinistra e, così, viene anestetizzato l’emisfero sinistro per un limitato arco di tempo; viene posto nella mano sinistra del paziente un oggetto (es. un cucchiaio); viene tolto l’oggetto dalla mano sinistra del paziente; viene chiesto al soggetto cosa avesse in mano un attimo prima e si osserva come risponde il soggetto: se il paziente risponde “niente” o non risponde, l’area del linguaggio è situata nell’emisfero sinistro. In seguito, viene mostrata al paziente una serie di immagini, tra cui l’oggetto prima tenuto in mano (es. il cucchiaio), il paziente indica con la mano sinistra proprio quell’oggetto. Solitamente entrambi gli emisferi hanno competenze linguistiche, ma uno dei due emisferi è maggiormente specializzato in ciò, mentre l’altro emisfero possiede solo competenze linguistiche elementari. Perché l’emisfero sinistro si è specializzato per il linguaggio? Si sono cercate delle asimmetrie anatomiche tra i due emisferi per rispondere a questa domanda e si è notato che il piano temporale è più grande nell’emisfero sinistro, però poi si è visto che questo non è vero in assoluto (esso è più grande solo nel 65% dei casi, ma l’emisfero dominante per il linguaggio è il sinistro nel 96% dei casi; dunque i conti non contano). Attualmente si stanno cercando differenze microanatomiche tra i due emisferi per comprendere come mai l’emisfero sinistro si sia specializzato per il linguaggio. Il corpo calloso comprende due tipi di fibre: 1. Le fibre omotopiche che nascono in una specifica area di un emisfero, passano attraverso il corpo calloso e arrivano nell’area equivalente (corrispondente) dell’altro emisfero; 2. Le fibre eterotopiche che nascono in una determinata area di un emisfero, passano attraverso il corpo calloso e arrivano in un’altra area (non corrispondente) dell’altro emisfero; Invece, le fibre ipsilaterali connettono parti dello stesso emisfero (queste non passano attraverso il corpo calloso). Agenesia del corpo calloso = non si sviluppa il corpo calloso Nel passato capitava che fosse necessario asportare il corpo calloso nei soggetti che soffrivano di crisi epilettiche molto gravi che non si riuscivano a controllare con i farmaci. Crisi epilettiche focali = un gruppo di neuroni scarica in modo improprio (es. un gruppo di neuroni che controllano i muscoli della mano scaricano in modo improprio e il sintomo manifesto sono le clonie, ovvero convulsioni limitate a quella zona). Esse possono dipendere da un disequilibrio di neurotrasmettitori o da un tumore. Tali crisi rimangono circoscritte in un’area. Crisi epilettiche generalizzate = nascono già in tutto il cervello oppure iniziano in una determinata zona del cervello e poi si diffondono in tutto il cervello passando da un emisfero all’altro attraverso il corpo calloso (es. epilessia fotosensibile). Sintomi = convulosioni. Es., assenze (soprattutto nei bambini e si risolvono con la crescita solitamente). Per evitare che le crisi epilettiche (generalizzate) passassero da un emisfero all’altro, nel passato si ricorreva all’asportazione del corpo calloso. Caso WJ – soggetto con corpo calloso asportato. Disegno con cubi: il soggetto ha davanti a sé dei cubi con facce diversamente colorate e con questi cubi deve ricostruire la figura che vede. Il soggetto riesce a ricostruire la figura solo con la mano sinistra, la quale viene controllata dall’emisfero destro. Ciò ci dice che l’emisfero destro è maggiormente specializzato nell’elaborazione di informazioni visuospaziali. Nei soggetti senza corpo calloso i due emisferi possono entrare in conflitto (tali casi sono però molto rari perché solitamente tali soggetti tendono a guardare le cose con entrambi gli occhi nella vita di tutti i giorni e quindi entrambi gli emisferi sono informati delle stesse cose anche se gli emisferi non si parlano). Proiezione tachiscostopica: viene chiesto al soggetto di guardare un punto davanti a lui e di tenere fermi gli occhi, dunque vengono presentate delle immagini nei due emicampi visivi. Di conseguenza, l’immagine presentata viene elaborata solo dall’emisfero controlaterale. In questa situazione, se l’immagine viene presentata nell’emicampo visivo sinistro il soggetto dice di non aver visto nulla, ma egli è comunque in grado di toccare con la mano sinistra l’oggetto corrispondente all’oggetto presente nell’immagine. Solitamente l’elaborazione delle informazioni è controlaterale, ma non sempre. Es. l’elaborazione delle informazioni olfattive è ipsilaterale: narice sinistra occlusa; essenza di rosa presentata alla narice destra; si chiede al soggetto che odore ha sentito; la mano sinistra (controllata dall’emisfero destro) sceglie una rosa, ma il soggetto nega di aver sentito alcun odore. 24/02/2023 – continuo su specializzazione emisferica Il corpo calloso è costituito da una parte anteriore chiamata genu, una centrale detta corpo e una posteriore definita splenio. Il corpo calloso ha una sua topografia: le sue fibre hanno un ordine ben preciso: lo spleniuo trasmette informazioni più elementari (visive, uditive, tattili e motorie) e ha un andamento topografico ben organizzato; il genu trasmette informazioni più elaborate, ovvero che hanno un contenuto semantico. slide 19 – i chirurghi, quando era necessario sezionare il corpo calloso per via di crisi croniche generalizzate, preferivano sezionare il corpo calloso in due step per vedere se magari fosse stato sufficiente sezionare solo parzialmente tale struttura per diminuire la gravità delle crisi epilettiche. Di conseguenza, sono stati fatti diversi studi anche su persone con corpo calloso parzialmente reciso. Slide 20 - Consideriamo un soggetto con il corpo calloso reciso a livello dello spleniu, il quale trasmette solo informazioni elementari. Gli viene presentata una parola nell’emicampo visivo sinistro quindi le informazioni visive elementari relative ai caratteri non vengono trasmesse all’emisfero sinistro (specializzato nel linguaggio) e il soggetto riesce a identificare la parola (dato che comunque la semantica della parola viene compresa), ma con difficoltà. Invece nel caso in cui il soggetto abbia una sezione completa del corpo calloso, egli non è assolutamente in grado di verbalizzare quanto visto nell’emicampo visivo sinistro. I due emisferi sono specializzati in funzioni diverse, ma c’è qualcosa che “uniforma” i due emisferi? Ci sono due aspetti del linguaggio: la grammatica (insieme di regole che ci sonsente di costruire un discorso in modo tale che possa essere compreso) e il lessico (relativo al significato). Gli aspetti grammaticali sono localizzati a livello dell’emisfero sinistro, mentre quelli lessicali si trovano in entrambi gli emisferi. Viene presentata una stringa di lettere al soggetto; viene presentata una lettera target al soggetto; il soggetto deve dire se l’ultima lettera presentata era presente nella stringa di lettere presentate in precedenza. Questa stringa di lettere poteva o costituire una parola o essere un’insieme di lettere tra loro scollegate o un’insieme di x all’interno delle quali era presente un’altra lettera. Ciò che si manifesta è una maggiore accuratezza e un minor tempo di reazione quando i soggetti devono analizzare una parola (effetto della superiorità della parola). Tale effetto è presente anche nell’emisfero destro isolato, quindi tale emisfero può avere in alcuni casi (pochi) delle competenze linguistiche elementari. Tuttavia, si è osservato che le probabilità di accesso a queste competenze linguistiche è diversa nei due emisferi. Ciò si è osservato in un esperimento con il priming: viene presentato un priming (lettera compatibile o lettera incompatibile); viene presentata una lettera target. Un soggetto normale risponde meglio e con una latenza minore quando il priming è compatibile con il target (effetto priming). In un soggetto con corpo calloso sezionato l’effetto priming è presente solo se gli stimoli sono presentati nell’emicampo visivo destro (emisfero sinistro). Nell’emisfero sinistro (e solo qui) sono presenti capacità sintattiche e grammaticali, come comprensione di verbi, costruzione del plurale, declinazione dei verbi, forma attiva e forma passiva. Invece, l’emisfero destro non è in grado di comprendere la grammatica delle frasi: es. “il gatto è sopra la sedia”; due foto: gatto sopra la sedia e gatto sotto la sedia; il soggetto non è in grado di scegliere quale delle due immagini è più appropriata con la frase. Tuttavia, l’emisfero destro è si accorge se una frase si conclude con una parola semanticamente anomala (es. Io sto bevendo una pizza) e riesce a dare giudizi di grammaticalità (ovvero, riesce a dire se una frase è grammaticalmente corretta o no). Nell’emisfero destro, quindi, vengono memorizzati pattern del discorso (le frasi vengono memorizzate come se fossero singole parole), ma l’emisfero destro non è in grado di utilizzare tali pattern (si accorge che c’è qualcosa di strano nella frase, ma non riesce a correggere grammaticalmente la frase). Slide 26 – l’emisfero destro non è in grado di fare inferenze, quindi non riesce a individuare l’immagine in cui sono presenti sia una padella che dell’acqua. Precisazione: non tutti gli emisferi destri hanno queste competenze linguistiche elementari. Ciò che è di competenza dell’emisfero destro è la prosodia emotiva, ovvero esso comprende il contenuto emotivo del linguaggio (il significato emotivo della frase). soggetto come mai ha scelto una gallina e una pala → il soggetto risponde che ha scelto una gallina perché ha visto una zampa di gallina e una pala perché un pollaio è sporco e quindi si utilizza una pala per pulirlo (funzione di interprete dell’emisfero sx). slide 52 – a un soggetto con cervello diviso vengono mostrate queste immagini slide 53 – allo stesso soggetto vengono mostrate le immagini precendenti insieme ad altre 2 immagini nuove quando tali immagini venivano presentate all’emicampo visivo sx (emisfero dx) il soggetto era in grado di selezionare quali delle 5 immagini fossero le immagini viste inizialmente. Quando tali immagini venivano presentate all’emicampo visivo dx (emisfero sx) il soggetto sbagliava: escludeva solo l’immagine con una persona che gioca a golf, mentre non escludeva l’immagine del signore in casa perché il soggetto riusciva a fare un’inferenza causale su tale immagine (poiché simile alle altre 3) → creazione falsi ricordi L’emisfero destro non è totalmente incapace di ragionamento causale. Esso è infatti capace di dare giudizi di percezione causale (un soggetto vede con l’emisfero dx che se schiacchia il primo tasto si accende una lampadina, se schiaccia due tasti la lampadina si accende, se schiaccia il secondo tasto la lampadina non si accende; il soggetto comprende che il secondo tasto non funziona… ciò invece non viene compreso se ciò viene presentato all’emisfero sx). slide 55 – l’emisfero dx è in grado di effettuare un completamento amodale. slide 56 – la specializzazione emisferica si ritrova anche negli altri animali, non solo nell’uomo. Nella gallina: occhio destro → categorizzazione degli stimoli (es. si può mangiare o no) vs occhio sinistro → colore, forma, grandezza Nei primati non umani non sono state osservate asimmetrie anatomiche tra i due emisferi; non c’è preferenza manuale (no destrimani e mancini), però la mano sx (emisfero dx) è superiore nella descriminazione tattile; l’emisfero dx è specializzato nel riconoscimento di volti; l’emisfero sx è specializzato nella comprensione delle vocalizzazioni. A che serve la dicotomia funzionale dei due emisferi? Evitare la ridondanza (evitare che i due emisferi facciano la stessa cosa sarebbe uno spreco) e quindi espandere le abilità cognitive (se i due emisferi fanno cose diverse, le abilità cognitive nel complesso sono maggiori). Teoria di Corballis: a livello dell’emisfero sx c’è un sistema chiamato dispositivo di assemblaggio generativo che elabora elementi sequenziali (es. mette insieme parole per formare frasi e mette insieme azioni per formare movimenti). Esso riguarda sia il discorso che il movimento → è alla base della specializzazione dell’emisfero sx per il linguaggio e della maggiore dominanza della mano destra nel 93% della popolazione. 03/03/2023 – dottoressa Siciliani (metodi di indagine nelle neuroscienze cognitive) - Metodi comportamentali (per lo studio della cognizione). Il cervello umano è in grado di elaborare più stimoli e più informazioni contemporaneamente. Sulla base delle informazioni eraboriamo rappresentazioni mentali, le quali sono soggette a trasformazioni e la loro attivazione dipende dal contesto (es. la parola “sole” solitamente attiva la rappresentazione del sole, ma se ci si trova nel contesto di una lezione di astronomia è maggiormente probabile che si attivi la rappresentazione “il sole è una stella del sistema solare,…”). L’esperimento di Posner del compito di associazione di lettere mostra proprio questo. In tale compito il soggetto deve giudicare se le due lettere presentate sullo schermo sono uguali o diverse. Ci possono essere lettere identiche fisicamente, lettere identiche a livello fonetico, due vocali, due consonanti o una lettera e una consonante. Si è osservato che il tempo di risposta del soggetto varia: la latenza è minore quando le due lettere sono identiche fisicamente; elaboriamo più velocemente due vocali piuttosto che due consonanti. In tale esperimento è stata utilizzata la metodologia cronometrica, la quale ci consente di comprendere quali tipologie di stimoli elaboriamo più velocemente. Nello Stroop Test è mostrato che uno stimolo può attivare due rappresentazioni mentali: due colori (il colore indicato dalla palora e il colore della scritta). Ci si può sottoporre al compito di denominazione di colori di Stroop diverse volte, ma la latenza sarà sempre maggiore nella prova in cui il colore dell’inchiostro non corrisponde al colore indicato dalla stessa parola colorata. - Modellizzazione al computer. Queste tecniche vengono utilizzate al fine di simulare i processi del cervello umano. La maggior parte di queste tecniche vengono definite intelligenza artificale: intelligenza perché fa riferimento a processi cognitivi; artificiale perché tali processi vengono proposti in modo artificioso dall’uomo. Sono sviluppati su come funziona il comportamento animale e umano: viene recepito un input e viene inviato un output. Esempio di esperimento con modellizzazione al computer (esperimento di Braitenberg): due veicoli molto semplici si trovano in un ambiente molto semplice, in cui l’unico stimolo presente è una luce. Tale luce viene recipita dai sensori dei due veicoli. La luce (input) induce un comportamento (output) diverso a seconda dei comandi che sono stati dati ai due veicoli: il veicolo “codardo” evita la fonte luminosa; il veloco “aggressivo” cerca la fonte luminosa. Limiti di questa tecnica: spesso i modelli sono molto semplificati e quindi inverosimili; consentono di verificare solo ipotersi formate preventivamente. In seguito sono stati sviluppati dei modelli più complicati: i modelli a rete. Essi consentono di simulare il comportamento umano in seguito a una lesione isolando (e perturbando l’attività di) una specifica rete neurale con caratteristiche funzionali simili a quelle del nostro cervello, perciò sono utili per simulare le alterazioni presenti nelle patologie degenerative. Questi modelli sono maggiormente selettivi: consentono di osservare esattamente qual è l’effetto del mancato funzionamento di una specifica rete. - Sperimentazione sugli animali. In particolare, ci sono tre tipi di teniche di sperimentazione sugli animale. Innanzitutto esistono tecniche neurofisiologiche, come la registrazione dell’attività elettrica di singole cellule: viene introdotto un elettrodo nell’ambiente extracellulare (e non dentro la cellula perché altrimenti si danneggerebbe la membrana cellulare) e si registra la frequenza di scarica di una singola cellula mentre è presentato uno stimolo. Inoltre, per isolare la registrazione dell’attività della specifica cellula senza considerare l’attività elettrica delle cellule adiacenti vengono effettuati degli algoritmi. Molti studi che hanno compreso la registrazione dell’attività di singole cellule sono stati condotti per comprendere il funzionamento del sistema visivo. Questi studi hanno permesso di comprendere che le cellule del sistema visivo hanno un’elevata selettività (ogni cellula risponde a uno specifico stimolo, es. colore, forma,…), che ogni cellula ha un proprio campo recettivo (risponde a stimoli presentati in una porzione specifica dello spazio) e che cellule adiacenti hanno campi recettivi parzialmente sovrapposti. Inoltre, oggi sappiamo che la rappresentazione dello spazio esterno si riflette nell’organizzazione corticale: ciò che è adiacente nel cervello risponde a ciò che è adiacente nello spazio esterno. Sulla base di ciò sono state formate delle mappe funzionali topografiche: es., la mappa retinotopica e la mappa tonotopica (gruppi di cellule che rispondono a toni di 500Hz sono vicini a gruppi di cellule che rispondono a toni di 1000Hz). Comunque, lo studio della registrazione dell’attività elettrica di singole cellule presenta dei limiti: ci sono problemi di interpretazione (nonostante si possa isolare l’attività di una singola cellula, sappiamo che il funzionamento del cervello umano è molto più complesso e comprende l’interazione di moltissime cellule). Per questo oggi si preferisce studiare l’attività di gruppi di neuroni per comprendere meglio la funzione di un’area cerebrale. Un’altra tecnica di sperimentazione sugli animali comprende le lesioni. A una lesione specifica corrisponde alla compromissione di una funzione specifica (logica causale diretta). Le lesioni possono essere irreversibili (per asportazione, elettriche o chimiche – un farmaco distrugge dei neuroni) o reversibili (per somministrazione di farmaci, per temporanea perturbazione della conduzione nervosa o per raffreddamento). Lo studio delle lesioni ha dei limiti: le lesioni hanno una scarsa selettività; le lesioni possono avere un effetto anche su aree vicine o a distanza (quindi possono portare alla compromissione di funzioni in cui sono specializzate altre aree); a seguito di una lesione un animale può adottare dei comportamenti compensatori; non sempre gli studi delle lesioni cerebrali su animali ci dano informazioni sul funzionamento cerebrale dell’uomo poiché ad aree omologhe tra cervello animale e cervello umano non sempre corrispondono funzioni omologhe. Un altro metodo di ricerca sugli animali comprende le manipolazioni genetiche. Tali metodologie consentono di studiare le patologie che hanno un’origine genetica per poi creare dei metodi per prevenire (attraverso l’epigenetica, ovvero modificando non i geni ma l’espressione genetica) e per curare. Una di queste teniche è il knock-out genico: specifici geni vengono manipolati in modo da essere eliminati o per non consentirne l’espressione in una classe di cellule o di recettori. Esempio (classe di cellule), in dei topi è stata manipolata l’espressione delle cellule del Purkinje (cellule principalmente espresse nel cervelletto) e tali topi mostravano problemi di coordinazione motoria in seguito a tale manipolazione. Altro esempio (classe di recettori), in dei topi è stata manipolata l’espressione dei recettori NMDA dell’ippocampo e in seguito tali topi mostravano dei deficit di memoria: i topi knock-out dopo 24 ore non conservavano la risposta di paura che avevano appreso, appunto, 24 ore prima (mentre i topi di controllo mantenevano tale risposta). - Studio della patologia umana. La patologia umana può avere diverse cause. Ad esempio, può essere causata da disordini vascolari, da alterazione del flusso sanguigno, che portano alla formazione di emboli e quindi all’insorgenza di ictus; può essere causata da masse tumorali (e più una massa tumorale si trova in profondità più tale massa è più difficile da asportare e quindi peggiore sarà la prognosi); una patologia può insorgere anche in seguito a infezioni (come l’Herpes Simplex o l’HIV che può portare a demenza); un’altra causa può essere un trauma (trauma con lesioni aperte o traumi dovuti a contusione); altre cause possono essere epilessia o malattie degenerative (le malattie degenerative spesso sono genetiche o dovute a fattori genetico-ambientali, come l’Alzheimer e il Parkinson). A cosa serve studiare le disfunzioni cerebrali? Può essere utile per indentificare le componenti operative sottostanti alle funzioni cognitive normali. Ad esempio, diversi studi possono andare a identificare quali sono le aree che si occupano della gestione delle diverse componenti di una funzione. Es., qual è l’area della memoria della recenza? E invece, qual è l’area della memoria della familiarità? Queste memorie fanno riferimento alla stessa area cerebrale o ad aree diverse? E’ stato fatto uno studio su due gruppi: un gruppo di controllo e un gruppo di pazienti con lesione al lobo temporale. Tale studio ha mostrato che questi pazienti hanno prestazioni nettamente inferiori nella memoria della familiarità, ma non hanno deficit nella memoria della recenza (ricordano bene cosa stavano facendo mentre hanno appreso l’informazione, ma hanno dei deficit per quanto riguarda i dettagli dell’informazione stessa). Questo è un esempio di dissociazione semplice: ci sono due gruppi, di cui un gruppo (di controllo) va bene in entrambi i compiti e l’altro va bene in uno solo dei due compiti e va male nell’altro compito (entrambi i gruppi vanno bene in un compito, ovvero una funzione, mentre un gruppo non va bene in un compito, ovvero presenta una funzione alterata). Invece, la doppia dissociazione prevede 3 gruppi sperimentali: un gruppo di controllo e due gruppi con lesione (es.). I due gruppi che presentano lesione, però, presentano due tipi di lesione diversa. Es., un gruppo ha una lesione al lobo temporale, mentre l’altro ha una lesione al lobo frontale. In questo caso, i gruppi di controllo hanno prestazioni nella norma in entrambe le funzioni; i pazienti con lesione a lobo temporale ha prestazioni alterate nella memoria della familiarità, ma ha prestazioni nella norma nella memoria della recenza; invece, i pazienti con lesione al lobo frontale hanno una prestazione alterata nei compiti di memoria della familiarità, ma hanno una memoria della recenza nella norma. Nella doppia dissociazione gruppi diversi hanno prestazioni opposte. Gli studi sull’uomo possono essere fatti su casi singoli o su gruppi. Lo studio di casi singoli consente di isolare le componenti operative di un compito e di eliminare la variabilità che può invece influenzare gli studi condotti su gruppi di pazienti che possono avere caratteristiche eterogenee (es. lesioni su aree leggermente diverse). Tuttavia, gli studi su casi singoli consentono solo una scarsa correlazione tra la struttura e la funzione cognitiva (da un punto statistico non dicono molto: ciò che si osserva su un singolo caso è difficile da generalizzare). Anche per quanto riguarda gli studi su gruppi ci sono limiti (es. variabilità nelle lesioni e nel comportamento) e potenzialità (consentono di identificare un’area di sovrapposizione, ovvero un’area che è lesionata in tutti i soggetti del gruppo, e quindi di collegare la funzione che risulta alterata in tutti i pazienti all’area di sovrapposizione). 08/03/2023 – plasticità cerebrale Noi siamo in grado di apprendere, di adattare il nostro comportamento agli eventi esterni,… Le capacità plastiche del SN si osservano sia in risposta a delle lesioni (considizioni patologiche) che in risposta a sollecitazioni (condizioni fisiologiche). Il nostro SN è plastico durante tutta la vita, ma è maggiormente plastico durante le fasi di sviluppo e, in particolare, nei periodi critici. slide 2 – qui sono mostrati gli effetti nel tempo di ictus che hanno comportato una paresi dell’arto superiore. E’ stato valutato quali aree del cervello di tali soggetti si attivavano mentre essi osservavano dei filmati in cui altre persone muovevano l’arto corrispondente a quello che loro erano capaci di muovere solo in modo 10/03/2023 e 13/03/2023 – continuo su plasticità cerebrale + principi di elaborazione sensoriale Se siamo in grado di riconoscere in modo automatico una rosa sia guardandola che odorandola, ciò dipende dalla sinapsi di Hebb. Se arrivano contemporaneamente due input eccitatori a livello della membrana post- sinaptica (come quando si accoppiano due stimoli, come la vista della rosa e il suo odore), il PPSE totale dei due PPSE è maggiore dei singoli PPSE provenienti da due neuroni pre-sinaptici diversi. Questo accoppiamento rafforza questo tipo di sinapsi (sinapsi di Hebb). Ciò è alla base dei meccanismi di consolidamento della memoria. Se una sinapsi è molto attiva, aumentano sia i recettori della membrana post- sinaptica che le sinapsi tra quei due neuroni. Slide 23 – tanto più sono le informazioni che arrivano da una parte del corpo, tanto più quella parte del corpo è rappresentata in corteccia. Slide 24 – esperimenti su una scimmia adulta (al di fuori del periodo critico). (b) rappresentazione corticale delle dita della mano destra in condizione normale; (b) rappresentazione corticale delle dita della mano destra in una scimmia in cui è stato amputato il dito medio; (c) rappresentazione corticale delle dita della mano destra in una scimmia in cui le dita D2 e D3 sono state iperstimolate per diversi giorni. La scimmia (b) non ha la rappresentazione corticale del dito medio e la zona corticale in cui sarebbe dovuta esserci tale rappresentazione è occupata dalle rappresentazioni delle dita adiacenti a quello amputato (nessuna del cervello è lasciata inutilizzata). La scimmia (c) ha una rappresentazione corticale maggiore delle dita D2 e D3 (perché la quantità di impulsi che da quelle dita arriva in corteccia è aumentata). Slide 25- studio fatto con la magnetoelettroencefalografia (vengono registrati i potenziali in corteccia). Le frecce nella figura di sinistra rappresentano i potenziali (più grande è la freccia più grande è il potenziale registrato). In questo studio sono stati messi a confronto suonatori di strumenti a corda con soggetti di controllo. I primi hanno una rappresentazione corticale delle dita utilizzate per suonare maggiore rispetto ai soggetti di controllo. Inoltre, nei suonatori di strumenti a corda, la forza dei potenziali che viene da queste dita è tanto maggiore quanto più precoce è l’età in cui tali persone hanno iniziato a suonare gli strumenti a corda). Slide nuova – studio con fmRI che mette a confronto le attivazioni di sequenze motorie ben apprese e di sequenze motorie nuove. Quanto riporta lo studio è che il cervello si attiva maggiormente per le sequenze motorie ben apprese; però, se i soggetti si allenano ad apprendere le nuove sequenze motorie, già dopo 8 settimane il cervello si attiva molto di più (quasi quanto si attiva per le sequenze motorie ben apprese). Slide 26 – in corteccia la rappresentazione della mano è molto vicina a quella del volto. Se a una persona viene amputata una mano, può succedere che la zona corticale della mano venga occupata dalla porzione adiacente, ovvero quella del volto. Di conseguenza, si può verificare che se si tocca una zona del volto con un cotton fiock, la persona con arto amputato dice che sente che il cotton fiock gli sta toccando la mano: percepisce che lo stimolo proviene dalla mano assente, amputata. Questo è lo stesso principio che sta alla base dell’arto fantasma. Slide 27 – studio su soggetti non vedenti che analizza i potenziali somatosensitivi, quelli motori e le attivazioni cerebrali in fmRI. Paradigma: i soggetti non vedenti per un anno si esercitano a leggere l’albafeto braille. L’alfabeto braille ha una componente motoria (le mani si devono muovere per percepire le lettere braille), una componente sensoriale (le mani devono percepire il rilievo delle lettere) e una componente legata all’interpretazione dello stimolo sensoriale come delle lettere. Cosa si osserva dopo un anno di apprendimento del braille? Un aumento dei potenziali evocati somatosensitivi e di quelli motori a livello dell’emisfero sinistro (tali soggetti erano destrimani) e una maggiore attivazione della corteccia visiva. Come mai si osserva una maggiore attivazione della corteccia visiva se tali soggetti sono non vedenti? Tali soggetti utilizzano la corteccia visiva per “vedere” le lettere braille, ovvero per interpretare lo stimolo sensoriale come una lettera. Dunque, anche nei soggetti non vedenti è attiva la corteccia visiva: nessuna parte del cervello rimane silente, mai. Slide 28 (immagine a sinistra) – uno studio su soggetti non vedenti e soggetti di controllo. Tali soggetti leggevano le lettere braille, poi venivano stimolati con la TMS e poi dovevano rispondere. La TMS determina una temporanea interruzione dell’area stimolata (una specie di “lesione virtuale”). Se non viene applicata la TMS, sia i soggetti non vedenti dalla nascita che quelli di controllo compiono lo stesso numero di errori. Cosa succede se la TMS viene applicata a livello della corteccia visiva e a livello della corteccia somatosensitiva sinistra? Nel primo caso, i soggetti non vedenti fanno tanti errori (quelli di controllo no) perché per loro viene meno la capacità di leggere l’alfabeto braille, ovvero di interpretare quei segnali come lettere braille; nel secondo caso i normovedenti fanno tanti errori (quelli non vedenti no) perché viene meno l’elaborazione sensoriale dello stimolo (e per i soggetti normovedenti l’alfabeto braille è soprattutto informazione sensoriale). Slide 28 (grafico in basso a destra) – studio su soggetti non vedenti con TMS su corteccia somatosentisiva e su corteccia occipitale. Quando la TMS viene applicata sulla corteccia somatosensitiva viene silenziata la capacità di elaborare informazioni sensoriali, quindi i soggetti non sono in grado di discriminare gli stimoli non braille da quelli braille. Quando invece la TMS viene applicata sulla corteccia occipitale viene meno la capacità di riconoscere il significato dello stimolo sensoriale. Slide nuova – soggetti con fobia per i ragni. Prima del trattamento psicoterapeutico, durante l’esposizione a immagini di ragno tali soggetti sottoposti a fmRI (durante l’esposizione) mostrano delle attivazioni a livello della corteccia prefrontrale dorsolaterale (per impedire la fuga dall’immagine del ragno durante la fmRI), a livello del giro ippocampale (per la memoria avversiva che gli crea la fobia del ragno); dopo tale trattamento, invece, queste aree non erano più attivate. Dunque, ogni cosa che determina la modificazione di un comportamento ha modificato qualcosa nel funzionamento cerebrale. Slide nuova – soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo vengono sottoposti a stimoli che evocano il loro disturbo. Tali soggetti sono stati studiati con fmRI prima e dopo la psicoterapia durante l’esposizione a stimoli che evocano il loro disturbo,. Durante tale esposizione, dopo il trattamento alcune aree che erano molto attivate prima del trattamento non si attivano più, ma se ne attivano altre che prima non venivano attivate. La plasticità cerebrale non è sempre positiva (es. arto fantasma) e funzionale. Principi di elaborazione sensoriale Come fa il nostro SN a elaborare le informazioni sensoriali? 1. Le informazioni vengono elaborate sia in serie (l’informazione passa attraverso “stazioni” successive, ovvero viene elaborata in sequenza) che in parallelo (uno stimolo modifica l’attività di diversi recettori, quindi più vie parallele portano informazioni relative allo stesso stimolo). 2. Le informazioni sensoriali che provengono dalle aree unimodali convergono in aree multimodali; mentre quelle motorie passano prima per le aree multimodali e poi per quelle unimodali. Come fa il nostro cervello ad arrivare alla percezione cosciente da una sensazione? Tutti i sistemi sensoriali hanno in comune tre caratteristiche: 1. Uno stimolo fisico che modifica l’attività di alcuni recettori; 2. Questo stimolo fisico si deve trasformare in un impulso nervoso (il nostro SN riconosce solo il messaggio elettrico, di conseguenza l’unico modo che consente alla corteccia di interpretare uno stimolo fisico prevede la trasformazione dello stimolo fisico in impulso nervoso) – trasduzione del segnale; 3. Dal potenziale elettrico si arriva a una percezione cosciente. Cosa analizzano i sistemi sensoriali dello stimolo fisico? Tutti i sistemi sensoriali analizzano quattro attributi dello stimolo: 1. Modalità, ovvero, per esempio, il tatto. In particolare, il tatto ha tante sottocomponenti (vibrazione, pressione,..) e ha tanti recettori (es. a rapido e a lento adattamento). Dunque, le modalità sono la visione, l’udito, il senso dell’equilibrio, il tatto, la propriocezione, il senso termico, il dolore, il gusto e l’olfatto. Inoltre, ogni modalità recepisce un certo tipo di energia (es. vista – luce; udito – suono; senso termico – energia termica;…) e ha dei recettori specifici. Il recettore sensoriale trasforma l’energia dello stimolo in energia elettrica (potenziale di recettore). Tale processo è chiamato trasduzione dello stimolo. Affiché avvenga la trasduzione dello stimolo (ovvero, in particolsre, affinché il recettore risponda), il recettore deve ricevere lo stimolo adeguato (ovvero lo stimolo che è in grado di modificare la sua attività). Quando avviene la trasduzione, inoltre, si attiva il codice della linea attivata: i potenziali elettrici arrivano da determinati recettori di una determinata area del corpo e sono trasportati da una determinata via nervosa (ovvero, l’informazione segue una determinata via che non si mescola mai con un’altra via che porta un’altra informazione); ciò consente alla corteccia di interpretare lo stimolo elettrico come una determinata sensazione (es. vista di una determinata luce e non calore). 2. Sede, ovvero l’area del corpo che è sottoposta allo stimolo. Viene modificata l’attività di una serie di recettori di una determinata area del corpo e il codice della linea attivata consente di decodificare qual è la zona del corpo stimolata. Acuità sensoriale = capacità di discriminare stimoli simili. L’acuità sensoriale dipende dal numero dei recettori e dalla grandezza dei campi recettivi: le zone del nostro corpo che sono più sensibili sono le zone che hanno il maggior numero di recettori e in cui i recettori hanno i campi recettivi più piccoli. Ad esempio, nell’occhio la zona di massima acuità visiva (la fovea), è la zona della retina con il maggior numero di coni (recettori sensibili alla luce) e qui i coni hanno dei campi recettivi molto piccoli. Nelle zone più periferiche della retina, invece, i coni sono di meno e hanno dei campi recettivi più grandi. Coni – visione fotopica VS bastoncelli – visione scotopica. Slide 13 – stimolazione tattile. Recettori adiacenti hanno campi recettivi parzialmente sovrapposti. Se le due punte del compasso cadono in più di un campo recettivo, le due punte vengono percepite come lo stesso stimolo. 3. Intensità. Il nostro SN capisce qual è l’intensità dello stimolo in base alla frequenza dei potenziali d’azione: tanto più intenso è uno stimolo, tanto più frequenti e numerosi sono i potenziali d’azione. Slide 15 – per ogni stimolo c’è un valore soglia, ovvero la minima intensità dello stimolo che viene percepita dal 50% dei soggetti. Tale valore soglia può essere aumentato (es. soggetti in battaglia che continuano a combattere e non sentono il dolore nonostante le gravi ferite) o diminuito (es. false partenze del corridore, il quale parte anche se sente un rumore meno intenso dello sparo, come rumori provenienti dalla folla). Nell’individuazione della soglia di uno stimolo vengono considerati due elementi: la rilevanza assoluta dello stimolo (ovvero la soglia oggettiva, l’intensità minima che viene percepita dal 50% della popolazione) e il criterio soggettivo di valutazione dello stimolo (ovvero, ognuno di noi può avere una soglia soggettiva più alta o più bassa). Inoltre, esistono delle droghe che agiscono modificando entrambi i parametri (rilevanza assoluta e valutazione soggettiva), mentre altre ne modificano solo uno (es. la marijuana modifica solo il criterio soggettivo di valutazione) 4. Decorso temporale (durata). Esistono due tipi di recettori: i recettori a lento adattamento e quelli a rapido adattamento. Questi recettori ci danno informazioni diverse. Infatti, i recettori a lento adattamento scaricano durante tutto il tempo in cui è presente lo stimolo, anche se comunque la frequenza di scarica diminuisce nel tempo. Invece, i recettori a rapido adattamento scaricano solo nel momento in cui inizia lo stimolo e nel momento in cui finisce. Di conseguenza, i recettori a lento adattamento danno al SN informazioni relative alla durata dello stimolo, mentre i recettori a rapido adattamento trasmettono informazioni relative alla frequenza dello stimolo. NB: lo stimolo non attiva i recettori, perché li può anche inibire; lo stimolo, dunque, modifica l’attività dei recettori. Poiché le informazioni vengono elaborate in parallelo (ovvero, poiché un recettore determina potenziali d’azione su più neuroni), la definizione spaziale dello stimolo diminuisce. Dunque, anche se inizialmente lo stimolo è applicato su una zona molto precisa del corpo e modifica l’attività di un determinato recettore, comunque poi vengono attivati più neuroni. Tuttavia, gli interneuroni inibitori contrastano la perdita di della slide 3, immagine c), sia se soltanto sentono il suono associato all’azione (come nel caso della slide 3, immagine d). Slide 6 - L’attività dei neuroni mirror è legata alla comprensione dell’azione e tali neuroni evocano una rappresentazione motoria dell’azione. Dunque se una persona ha una rappresentazione motoria dell’azione osservata, allora i neuroni mirror si attivano; se tale rappresentazione non è posseduta, tali neuroni non si attivano. Slide 7 – Il sistema mirror è stato individuato anche nell’uomo in aree che più o meno si sovrappongono a quelle della scimmia. Quali sono, nell’uomo, le aree del sistema mirror, ovvero di quei neuroni che hanno la funzione di comprendere il comportamento motorio? La corteccia premotoria, il giro frontale inferiore e il lobulo parietale inferiore (non tutti i neuroni di queste aree sono neuroni mirror, ma alcuni neuroni di queste aree sono mirror). Slide 9 – studio su scimmie con registrazioni intracellulari nel lobulo parietale inferiore. La scimmia prende il pezzetto di cibo per mangiarlo (B – sinistra) o per metterlo in un contenitore (B – destra). L’unità 67 (un neurone) si attiva quando l’animale prende il cibo per mangiarlo, ma non si attiva quando la scimmia prende il cibo per metterlo nel contenitore. Invece, l’unita 161 non si attiva tanto quando la scimmia afferra il cibo per mangiarlo, ma si attiva in modo significativamente maggiore quando lo prende per riporlo nel contenitore. Infine, l’unità 158 si attiva indifferentemente sia quando l’animale prende il cibo per mangiarlo sia quando lo prende per metterlo nel contenitore. Queste sono registrazioni di neuroni quando l’animale compie l’azione. Tuttavia, le stesse attivazioni si verificano quando la scimmia osserva un’altra scimmia prendere il cibo per mangiarlo o per metterlo nel contenitore (slide 10). Slide 11 – Esistono gruppi di neuroni che rispondono in modo diverso a seconda dell’obiettivo finale dell’azione (come osservato nelle slide 9 e 10; es. prendere il cibo per mangiarlo o per metterlo in un contenitore). Dunque, i neuroni mirror permettono di predire qual è l’obiettivo dell’azione osservata e lo fanno perché sono in grado di elaborare in modo immediato il contesto e l’oggetto insieme (es. se vediamo una mano che si avvicina, siamo in grado di predire se essa si sta avvicinando per dare una carezza o uno schiaffo perché abbiamo delle informazioni contestuali e delle informazioni legate all’oggetto (es. velocità con cui si sta avvicinando la mano)). Slide 13 – Inoltre, i neuroni mirror consentono di comprendere qual è l’intenzione dell’azione. Ciò è stato dimostrato in uno studio su soggetti umani in cui gli individui vedevano dei fotogrammi come nella slide, ovvero fotogrammi relativi al contesto, all’azione o all’azione nel contesto. Es. nella riga superiore di immagini vediamo come contesto una tavola apparecchiata per fare merenda, come azione una mano che afferra una tazza e nell’azione + contesto possiamo ipotizzare che l’intenzione dell’azione sia bere del tè e fare merenda. Nela riga inferiore di immagini, invece, vediamo come contesto una tavola in disordine (torta mangiucchiata, sporcizia sul tavolo), come azione una mano che afferra la tazza in modo diverso rispetto a prima e nell’azione + contesto possiamo ipotizzare che l’intenzione dell’azione sia quella di pulire. (siamo maggiormente in grado di comprendere l’intenzione dell’azione quando questa è inserita in un contesto specifico). Slide 14 – l’area frontale inferiore (giro frontale inferiore e lobulo parietale inferiore) si attiva sia quando c’è l’azione sia quando c’è il contesto, ma soprattutto quando il contesto e l’azione sono insieme (ciò ci consente di comprendere l’intenzione dell’azione). I neuroni che ci consentono di capire qual è l’intenzione dell’azione mettendo insieme contesto e azione sono chiamati neuroni logicamenti correlati. Slide 17 – riconoscimento di se stessi. In alto a sinistra il volto rappresenta al 100% il soggetto (e allo 0% lo sperimentatore), in basso a destra, invece, rappresenta allo 0% il soggetto (e al 100% lo sperimentatore). Il soggetto deve rispondere dicendo se la faccia osservata appartiene a sé o no. Ovviamente, tanto maggiore è la percentuale del viso del soggetto, tanto più numerose sono le risposte “si, sono io”. Quando questo compito viene svolto durante una fMRI, si osserva che si attiva un circuito che coinvolge aree del lobo frontale e del lobo parietale (e il giro occipitale inferiore per la componente visiva). All’interno di questo circuito sono incluse due aree che appartengono al sistema mirror, ovvero il lobulo parietale inferiore e il giro frontale inferiore. Dunque, il sistema fronto-parietale , che include il sistema mirror, permette di riconoscere il proprio volto e di discriminare il sé dall’altro. Ciò è molto importante perché un meccanismo simile a quello dei neuroni mirror è alla base delle teorie della mente, ovvero la capacità di comprendere cosa sta pensando e/o provando un’altra persona (anche l’empatia è collegata a ciò). Slide 21 – esperimenti effettuati sull’uomo in fmRI. I soggetti osservano 3 filmati: nel primo un uomo morde un cibo; nel secondo una scimmia morde una banana; nel terzo un cane morde un gelato. Il significato dell’azione è lo stesso, ovvero tutti e tre stanno mangiando. Slide 22 - l’emisfero destro si attiva allo stesso modo durante l’osservazione dei tre filmati, mentre le aree attivate dell’emisfero sinistro durante l’osservazione dei tre filmati non sono esattamente sovrapponibili (ma si (?)). L’emisfero destro elabora gli aspetti pittorici dell’azione (tutti e 3 gli animali mordono qualcosa); l’emisfero sinistro elabora il significato dell’azione (tutti e 3 gli animali mangiano). Slide 23 e 24 – filmato 1: uomo che parla. Filmato 2: scimmia che emette dei vocalizzi. Filmato 3: cane che abbaia. Il significato del primo filmato è diverso dal significato dei firmati 2 e 3 (l’uomo razionalmente capisce che questi animali stanno comunicando, ma non capisce cosa dicono). Dunque, i neuroni mirror non si attivano solo mentre i soggetti osservano i filmati 2 e 3 (perché un essere umano non è in grado, per esempio, di abbaiare, quindi non possiede la rappresentazione motoria relativa all’abbaiare, ma al parlare si). Slide 25 - I neuroni mirror ci consentono di capire il significato delle azioni senza utilizzare un ragionamento concettuale. I rapporti sociali si basano sulla capacità di capire le intenzioni e i comportamenti di un’altra persona prima ancora di averci fatto un ragionamento cognitivo. Invece, gli autistici ad alto funzionamento, i quali presentano dei problemi nel funzionamento del sistema mirror, sono in grado di relazionarsi nelle situazioni perché ragionano cognitivamente sulle azioni degli altri (ovviamente, comunque, il problema dei soggetti con tratti autistici non si limita al sistema mirror). Dunque, in sintesi, noi abbiamo due meccanismi che ci fanno capire le azioni altrui: uno cognitivo (complesso, ma lento), uno mirror (molto veloce). Un elemento cruciale della cognizione sociale è la capacità di legare direttamente ciò che faccio o sento io con ciò che fa o sente un’altra persona. Finora abbiamo parlato di comprensione dell’azione, il passaggio successivo è quello di parlare dell’empatia, ovvero la capacità di percepire lo stato emozionale di un’altra persona e di percepirlo come se noi ne avessimo una rappresentazione (dello stato emozionale): la persona non ci verbalizza le sue emozioni, ma noi comunque siamo in grado di comprendere cosa sta provando. Il sistema mirror è legato alla comprensione delle azioni motorie, ma alla base dell’empatia c’è un sistema simile a quello mirror. La rappresentazione dell’azione può in qualche modo essere legata ai meccanismi dell’empatia? Slide – 6 fMRI su soggetti umani mentre imitano o osservano un’espressione facciale (comportamento motorio (espressione del volto), ma che ha un contenuto emozionale). A sinistra l’attivazione della corteccia premotoria (fa parte del sistema mirror) durante l’imitazione e durante l’osservazione; a destra l’attivazione della corteccia motoria durante l’imitazione e durante l’osservazione. La corteccia motoria si attiva maggiormente durante l’imitazione piuttosto che durante l’osservazione; quella premotoria, invece, si attiva in modo abastanza omogeneo durante entrambi i compiti. Questo perché la corteccia motoria si attiva quando imitiamo, ovvero quando mettiamo in atto un comportamento; la corteccia premotoria prepara all’azione (per questo fa parte del sistema mirror), quindi si attiva sia durante l’osservazione che durante l’imitazione. Slide 7- Finora abbiamo visto aree legate a comportamenti motori, ora analizziamo l’attivazione delle aree legate all’empatia e alla cognizione sociale. Forse ciò che osserviamo nel sistema mirror per le azioni lo possiamo osservare in un altro sistema per l’empatia? Giro frontale inferiore di sinistra e di destra, l’insula e l’amigdala si attivano moltissimo durante l’imitazione dell’azione, anche se non sono delle aree motorie. Sembrerebbe dunque che queste aree siano critiche per la rappresentazione dell’azione con un contenuto emozionale, ovvero danno un significato emozionale a un certo comportamento (espressione facciale con connotazione emozionale, per esempio). Slide 9 – il giro del cingolo sta intorno al corpo calloso, la corteccia dell’insula si trova all’interno della scissura di Silvio e l’amigdala sta all’interno del lobo temporale. Se l’empatia ha alla sua base un meccanismo simile al sistema mirror (ovvero, un gruppo di neuroni che si attiva quando il soggetto compie un’azione o la osserva compiere da un altro; un sistema che ci consente di comprendere l’azione altrui); allora dovremmo avere dei neuroni che sono coinvolti sia nell’esperire l’emozione che nell’empatia (ovvero, dovremmo avere un meccanismo per cui noi vediamo un’altra persona e siamo in grado di comprendere immediatamente cosa quella persona sta provando). Slide 12 – Studio su soggetti umani sull’empatia tattile con fmRI. Il soggetto riceve una stimolazione tattile: la sua gamba, sinistra o destra, viene toccata con un cotton fiock. Dunque, si attivano sia l’area somatosensitiva primaria (controlaterale) e che le aree associative unimodali (bilaterali). In seguito, il soggetto osserva in uno schermo qualcun altro a cui viene toccata la gamba. Figura in basso a sinistra: aree in rosso = aree attive mentre il soggetto è toccato (aree attive durante il tocco sottratte alle aree arrive durante la situazione di riposo); aree in viola = aree attive quando il soggetto osserva un altro che viene toccato (aree attive durante l’osservazione del tocco sottratte all’osservazione di un altro stimolo neutro). Nella situazione in cui il soggetto osserva un altro che viene toccato, non c’è l’attivazione dell’area somatosensitiva primaria. Ciò ha senso perché il soggetto non viene toccato. Tuttavia, invece, è attiva l’area somatosensitiva secondaria (area unimodale). Inoltre, c’è un’area di sovrapposizione tra le aree in rosso e quelle in viola, dunque c’è un’area che si attiva sia nel caso in cui il soggetto viene toccato sia quando il soggetto osserva un altro che viene toccato. E’ proprio quest’area di sovrapposizione che ci consente di provare l’empatia tattile (ovvero, per esempio, sentirci formiche addosso se osserviamo un altro che ha delle formiche addosso). Slide 13 – dunque, il cervello trasforma la visione della persona che viene toccata in una rappresentazione interna di quella sensazione di tocco (meccanismo simile a quello del sistema mirror). Slide 15 – soggetto in fMRI vede dei filmati in cui un individuo odora qualcosa di piacevole, odora qualcosa di disgustoso e odora uno stimolo neutro. Le attivazioni durante il compito di osservazione dell’odorazione sono state confrontate con le attivazioni durante l’odorazione. Anche qui è stata riscontrata un’area di sovrapposizione tra quando il soggetto prova disgusto e quando il soggetto vede un altro provare disgusto. Una di queste aree di sovrapposizione è l’insula inferiore di sinistra. Osservare una persona che prova disgusto evoca una rappresentazione interna del disgusto (es. vedo X che vomita, provo il senso di vomito). Slide 17 – soggetto in fMRi che vede un’espressione facciale che esprime dolore. Quali aree sono attive? Corteccia cingolata anteriore e insula. Ancora una volta, queste aree sembrano attivarsi sia se il soggetto prova dolore sia se il soggetto vede un altro provare dolore. Slide 18 – un’altra regione molto attivata quando il soggetto osserva un altro provare dolore, ma non tanto attivata quando il soggetto prova dolore, è l’amigdala (legata al ricordo di stimoli dolorosi) perché evoca il ricordo del dolore. Un’altra area molto attiva è il cervelletto, ma in questi studi non è stata mai commentata tale attivazione cerebellare. Slide 19 e 20 – soggetto in fMRI osserva soggetti che provano dolore. Attivazione della corteccia cingolata anteriore (tanto più intenso è il dolore e tanto più intensa è l’attivazione di tale area) e insula di destra. Slide 21 – attivazione cerebrale mentre il soggetto prova dolore in prima persona = verde VS attivazione cerebrale mentre il soggetto osserva un altro provare dolore. Cosa si osserva in corteccia cingolata anteriore e insula? Queste due aree si attivano in entrambe le situazioni Slide 22 – Cosa si osserva invece nell’area somatosensitiva primaria, nella corteccia associativa unimodale e nella corteccia cingolata anteriore caudale? Queste aree si attivano molto meno nella condizione in cui il soggetto osserva un altro provare dolore rispetto a quando egli prova dolore in prima persona. Matrice del dolore = aree che si attivano quando si prova dolore (e alcune di esse si attivano anche quando si osservano altri provare dolore). Slide 25 - Quello che abbiamo visto sulle emozioni ha delle connessioni con le nostre risposte motorie? I soggetti vedono un ago che entra in una mano, un cotton fiock che tocca quella stessa zona della mano e una mela che viene punta da un ago. In queste condizioni vengono studiati i potenziali evocati motori opportunamente gli impulsi a radiofrequenza, distinguere i diversi organi e i tessuti sani da quelli malati. Tutte queste informazioni contenute nel segnale registrato vengono acquisite e rielaborate tramite software realizzati ad hoc capaci di costruire l’immagine finale che sarà poi a disposzione del medico. La risonanza magnetica è utilizzata per la diagnosi di una moltitudine di patologie perché permette di visualizzare sia lo scheletro e le articolazioni sia gli organi interni. Nonostante i sistemi di risonanza magnetica in ambito clinico facciano uso di campi magnetici elevati (da 1,5 a 3 tesla, ovvero fino a 50mila volte il campo magnetico della Terra), la loro applicazione al corpo umano non ha effetti collaterali (un enorme vantaggio rispetto ad altre tecniche diagnostiche che fanno uso di radiazioni ionizzanti). (fine video) La risonanza magnetica produce delle immagini di tipo tomografico utilizzando campi magnetici e radiofrequenze (non radiazioni, ma campi magnetici). Di conseguenza, l’invasività della risonanza magnetica è molto minore rispetto alla TAC. La risonanza magnetica può essere applicata più volte in uno stesso soggetto nello stesso anno (quindi consente studi di follow-up). Permette di acquisire delle immagini strutturali in tre dimensioni (immagine volumetrica) sulla base di precisi processi biochimici (descritti nel video). L’utilizzo della risonanza magnetica è molto diffuso anche in ambito clinico, oltre che in ambito di ricerca. Lo scanner di RM (tomografo) può avere potenze diverse e quindi permette di formare immagini con risoluzioni diverse (con maggiore o minore dettaglio). La risonanza magnetica misura l’assorbimento di energia elettromagnetica da parte delle molecole immerse nel campo magnetico. Il tomografo funziona come una calamita, perciò i soggetti che si sottopongono a risonanza magnetica non devono assolutamente avere degli oggetti metallici con sé (neanche quelli impiantati nel corpo, come il pacemaker). I protoni degli atomi di idrogeno (ovvero dell’acqua) sono responsabili della formazione delle neuroimagini tramite risonanza magnetica. Se questi atomi di idrogeno vengono sottoposti a un forte campo magnetico, l’asse di questi atomi tende a orientarsi nella direzione del campo magnetico. L’orientamento dell’asse dell’atomo può essere in direzione parallela al campo magnetico o in direzione opposta a quella del campo magnetico. Quando l’atomo non segue la direzione del campo magnetico c’è un maggior dispendio energetico. Dunque, quando viene applicato un campo magnetico si interrompe il moto casuale dei protoni e alcuni vanno in direzione parallela mentre altri in direzione antiparallela. La magnetizzazione longitudinale si riferisce al movimento dei protoni in direzione parallela al campo magnetico (basso dispendio energetico). La maggior parte dei protoni segue il campo magnetico in senso parallelo. Per generare il segnale bisogna somministrare un impulso a radiofrequenza che disturba il movimento di questi protoni e quindi l’orientamento dei protoni si modifica (da parallelo ad antiparallelo). I protoni passano da una magnetizzazione longitudinale a una magnetizzazione trasversale (movimento dei protoni in direzione antiparallela; alto dispendio energetico). Con la risonanza magnetica nucleare si possono ottenere diversi tipi di immagine. L’ottenimento di un determinato tipo di immagine piuttosto che di un altro dipende dal tempo che i protoni impiegano a ritornare al loro orientamento originale (parallelo) quando l’impulso viene interrotto (slide 12) (tempo per passare dalla magnetizzazione trasversale a quella longitudinale). Questo tempo è definito tempo di rilassamento. Quando il tempo di rilassamento è breve, l’immagine che si acquisisce si dice pesata in T1; quando il tempo di rilassamento è molto lungo, l’immagine che si ottiene è detta pesata in T2. Queste due immagini sono le immagini che vengono più frequentemente utilizzate perché danno informazioni molto importanti sulla morfologia, sull’anatomia, sulla struttura. Tuttavia, esse danno informazioni di natura diversa: nella sequenza pesata in T1, il liquido cerebrospinale appare scuro e c’è un grande dettaglio anatomico (le strutture del cervello sono abbastanza distinguibili le une dalle altre); nell’imagine pesata in T2 c’è un minor dettaglio anatomico (le strutture sono più difficilmente distinguibili), però essa è maggiormente sensibile alle alterazioni patologiche (es. lesioni) rispetto alla T1. La T1, per il suo dettaglio anatomico, viene frequentemente utilizzata nell’ambito delle neuroscienze per gli studi volumetrici (in cui c’è bisogno di analizzare la quantità di sostanza bianca e la quantità di sostanza grigia). Con queste analisi di volumetria è possibile riscontrare delle alterazioni anche quando con TAC o T2 sembra non esserci alcun danno cerebrale. Il tempo di rilassamento dipende dalla forza del campo magnetico, ma anche dalle caratteristiche del tessuto. Le sequenze per acquisire immagini pesate in T1 sono create e ottimizzate per creare delle immagini in cui c’è un grande contrasto tra la sostanza grigia, la sostanza bianca e il liquido cerebrospinale. slide 15 – In T1, la sostanza grigia è ben definita, quindi si può misurare lo spessore della corteccia (e correlarlo con l’età → studio dei processi di invecchiamento, o con altri paramentri). Il dato di neuroimmagine può essere quantificato (si può vedere quanto è spessa la corteccia e correlare questo dato con, per esempio, la perdita di memoria). Il neuroradiologo deve saper distinguere le alterazioni patologiche da quelli che sono artefatti da movimento o da artefatti fisiologici (come quelli dovuti al flusso sanguigno). Sezione assiale = sezione orizzontale Slide 17 – distinzione tra le tecniche di neuroimaging. Le tecniche di neuroimaging si distinguono in tecniche strutturali e tecniche funzionali. Queste due tipologie di tecniche danno informazioni di tipo diverso. Attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica si possono studiare sia l’anatomia (tecniche strutturali) che la funzione delle aree cerebrali (tecniche funzionali). Tra le tecniche strutturali troviamo la morfometria, la quale consente di quantificare i volumi di sostanza grigia e sostanza bianca, e la imaging pesato su tensore di diffusione (diffusion tensor imaging), la quale ci permette di quantificare le alterazioni della microstruttura della sostanza bianca (assone e mielina) e la trattografia (si basa sull’utilizzo della dti). Mentre la morfometria dà informazioni riguardo il volume della sostanza bianca, la dti ci dice se, al netto del volume, la sostanza bianca (l’assone) è integra o no. Tra le tecniche funzionali troviamo la risonanza magnetica funzionale task-related (viene misurata l’attività cerebrale durante l’esecuzione di un compito → inferenze sulla relazione tra un’area cerebrale e una funzione) e la risonanza magnetica funzionale in resting-state (viene misurata l’attività cerebrale mentre il soggetto è a riposo ma non dorme). La MRI è utilizzata sia in ambito clinico che in ambito di ricerca e consente di effettuare sia studi funzionali che studi strutturali. Slide 19 - un paziente fa un test per l’eminegligenza (deficit di percezione spaziale, per cui si ignora la metà del campo visivo che è controlaterale all’area cerebrale lesionata) mentre è sottoposto a risonanza magnetica funzionale (task related) e ciò ci permette di caratterizzare la presenza di una lesione (area brillante) nella corteccia parietale. Slide 20 – la morfometria basata su voxel è molto utilizzata in neuroscienze perché consente di quantificare sostanza bianca e sostanza grigia grazie all’utilizzo di software specifici che normalizzano le immagini in T1 (la normalizzazione della configurazione spaziale delle strutture cerebrali consente di confrontare cervelli diversi), ovvero il cervello viene sistemato, tarato, in uno spazio standard che è uguale per tutti (il cervello mantiene le proprie caratteristiche individuali, ma può essere sovrapposto a un altro cervello normalizzato). Segue un processo di segmentazione che separa la sostanza grigia, la sostanza bianca e il liquido cerebrospinale (ciò consente di analizzare, per esempio, solo la sostanza grigia). Poi l’immagine viene perfezionata (smoothing). Ora l’immagine può essere analizzata e si possono confrontare i volumi di sostanza grigia e di sostanza bianca di una popolazione di soggetti sani e i volumi di sostanza grigia e di sostanza bianca di una popolazione affetta da una determinata patologia. La morfometria, dunque, è utile per delineare le caratteristiche e le alterazioni strutturali associate a una condizione patologica (es. ipotesi: nei soggetti con demenza senile ci sono delle differenze a carico della sostanza grigia in determinate regioni rispetto a dei soggetti sani → la morfometria consente di testare questa ipotesi). Slide 20 – la morfometria si basa su un approccio whole brain, ovvero consente di analizzare tutto il cervello (analizza in tutto il cervello se c’è atrofia, ovvero perdita di sostanza grigia o bianca). Tale analisi viene effettuata su ogni voxel (pixel tridimensionale) e per questo si chiama morfometria basata sui voxel. Slide 23 - Esempio di studio con morfometria. Pazienti con risonanza magnetica “negativa”, ovvero non sembravano avere delle alterazioni anatomiche a livello corticale (però presentavano delle lesioni cerebellari). Ipotesi: chi ha una lesione cerebellare presenta delle alterazioni strutturali a livello delle regioni corticali connesse con il cervelletto. Attraverso l’utilizzo della morfometria si è potuto osservare che in questi soggetti c’era una diminuzione della sostanza grigia nelle regioni corticali connesse con il cerveletto (risultati a favore dell’ipotesi). E’ stato anche possibile correlare i risultati della morfometria con i risultati a determinati test neuropsicologici ai quali erano stati sottoposti i soggetti dello studio (alterazioni della sostanza grigia → prestazioni deficitarie ai test). La morfometria è utile per classificare e distinguere diverse patologie (alcune caratteristiche strutturali sono specifiche di alcune patologie e non di altre → la presenza di un danno a carico del SN ci permette di fare una diagnosi differenziale e quindi di distinguere sindromi diverse). In questa slide c’è il confronto tra l’atassia spinocerebellare di tipo 1 e l’atassia spinocerebellare di tipo 2, che sono due sindromi genetiche che prima colpiscono il cervelletto e poi colpiscono altre strutture cerebrali. Attarverso la morfometria è stato possibile evidenziare quali sono le caratteristiche strutturali (i marker di malattia) che differenziano queste due patologie. In particolare, nel caso dell’atassia spinocerebellare di tipo 1 le alterazioni della sostanza grigia colpiscono il nucleo dentato del cervelletto, mentre nell’atassia spinocerebellare di tipo 2 l’atrofia (la perdita di sostanza grigia) interessa le porzioni degli emisferi cerebellari. Un’altra tecnica strutturale è l’imaging pesato in diffusione. Tale tecnica permette di indagare l’integrità della microstruttura della sostanza bianca. La sostanza bianca del cervello è costituita da assoni. L’assone è la porzione del neurone che conduce l’impulso nervoso e lo trasmette agli altri neuroni. Dunque, la sostanza bianca permette la comunicazione tra regioni cerebrali. L’imaging in diffusione consente di indagare se una regione cerebrale è in grado di trasmettere in modo efficacie le informazioni alle altre regioni. Il funzionamento di tale tecnica si basa sulle caratteristiche di anisotropia del sistema nervoso. Il termine anisotropia fa riferimento al movimento di diffusione dell’acqua nei tessuti biologici. Nella maggior parte dei tessuti biologici del corpo l’acqua è libera di fluire in tutte le direzioni (isotropia). Invece, nel sistema nervoso le molecole di acqua hanno una direzione preferenziale, ovvero il movimento dell’acqua è direzionato dalle fibre (anisotropia). Il diffusion tensor immaging sfrutta le proprietà anisotropiche di diffusione dell’acqua a livello del SN: se il movimento di diffusione dell’acqua perde la sua direzione preferenziale, verosimilmente c’è un danno a carico delle fibre (le fibre danneggiate non direzionano più l’acqua in una via preferenziale). Slide 30 – anche in questo caso esistono dei software costruiti ad hoc che consentono di analizzare le immagini. A sinistra, un’immagine (grezza) pesata in diffusione. L’immagine grezza viene trasformata in mappe di anisotropia (in cui sono messe in evidenza le regioni in cui l’anisotropia è molto elevata, ovvero le regioni in cui ci sono le fibre intatte). Le regioni bianche sono quelle in cui c’è un’alta anisotropia. In seguito, questa mappa può essere colorata (color coded map) con tre colori che differenziano le fibre sulla base della loro direzione (fibre rosse = fibre che vanno da destra a sinistra (direzione latero-mediale); fibre verdi = fibre che decorrono in direzione antero-posteriore; fibre blu = fibre che connettono regioni cerebrali inferiori con regioni cerebrali superiori, e viceversa (direzione dorso-ventrale)). Inoltre, maggiore è l’intensità del colore, maggiore è il livello di anisotropia. A partire dalla color coded map, si può applicare la trattografia, la quale permette di ricostruire in modo tridimensionale una fibra e di misurare alcuni parametri all’interno di questa fibra che ci consentono di fare inferenze sull’integrità della fibra. Questi parametri non sono sensibili solo alla presenza di un’alterazione a livello della fibra, ma sono anche in grado di dirci che tipo di danno è presente nella fibra (es. danno all’assone o alla mielina). Slide 32 – i parametri che ci dicono se c’è un danno sono l’anisotropia frazionale (se è alta, la fibra è integra), la mean diffusivity o diffusività media (parametro inversamente correlato all’anisotropia; indica la diffusività media in tutte le direzioni; alta anisotropia -> bassa diffusività media). L’anisotropia frazionale e la diffusività media, però, non danno informazioni sulla tipologia del danno, a differenza della radial diffusivity e dell’axial diffusivity: la diffusività radiale è alta quando c’è un danno alla mielina (l’acqua può diffondere senza una preferenza di direzione); la diffusività assiale è alta quando l’acqua si diffonde lungo l’assone - parallelamente ad esso - , mentre è bassa quando c’è un danno all’assone e quindi ci troviamo di fronte alla morte neuronale. Questi quattro parametri ci danno informazioni diverse, ma queste informazioni vengono estratte esclusivamente sulla base di come l’acqua si diffonde nel tessuto. Gli studi di neuroimaging sono utili perché mettono in evidenza le caratteristiche tipiche di una patologia, ovvero i maker di malattia (o biomarker), e ciò consente di diagnosticare una patologia anche anni prima rispetto alla comparsa dei primi sintomi. Le tecniche di neuroimmaging, inoltre, consentono di osservare come la patologia evolve nel tempo e, quindi, di fare inferenze sulla gravità della patologia. Slide 34 – i peduncoli cerebellari sono delle fibre di sostanza bianca molto grosse che permettono la comunicazione tra il cervelletto e le aree della corteccia cerebrale. Il peduncolo cerebellare superiore permette la trasmissione delle informazioni dal cervelletto alla corteccia cerebrale (fibra efferente), mentre il nel monitoraggio nel tempo delle patologie neoplastiche (tumori). A differenza della RM, la PET è altamente invasiva poiché prevede l’iniziezione endovena di un tracciante radioattivo. A differenza della RM strutturale, la PET fornisce info di tipo fisiologico, info sull’attività. La PET consente di costruire una mappa fisiologica del metabolismo a carico del SN e quindi di evidenziare delle regioni che presentano una carenza di metabolismo. In neuroscienze, può essere utilizzata per osservare le variazioni metaboliche durante l’esecuzione di un compito. La PET visualizza il decadimento del tracciante radioattivo, il quale è costituito da molecole molto instabili: decadono facilmente una volta iniettati nel corpo. Possono essere utilizzati diversi tipi di traccianti, a seconda del quesito scientifico. Tuttavia, il tracciante utilizzato più frequentemente per mappare i processi fisiologici è quello che si lega al glucosio. Quando il tracciante radioattivo decade, esso libera dei positroni, ovvero un elettrone positivo (?). L’incontro tra il positrone, positivo, e un elettrone (dell’ambiente cellulare), negativo, genera un processo che si chiama annichilimento. Il tracciante radioattivo si lega nelle regioni del cervello dove c’è una maggiore quantità di glucosio. Per via del processo di annichilimento vengono prodotte delle radiazioni elettromagnetiche (raggi gamma) che vengono analizzate dello scanner (il soggetto si trova dentro uno scanner) e quindi vengono composte le immagini. La PET è in grado di visualizzare in quale regione cerebrale si accumula il tracciante, ovvero qual è la regione con elevata attività metabolica in un determinato momento. La PET consente anche di visualizzare in quali regioni c’è un’anomala ipoattività (questo si può osservare nei pazienti con malattie neurodegenerative). Le cellule tumorali, neoplastiche, sono avide di glucosio: il tracciante radioattivo per il glucosio si deposita in modo non fisiologico a livello di tale cellule. Quando la PET viene effettuata durante l’esecuzione di un compito, viene misurata l’attività metabolica in termini relativi: viene utilizzata una procedura sottrattiva (per vedere se una regione è implicata in un determinato compito, si sottraggono le mappe funzionali ottenute in condizione di controllo alle mappe ottenute durante la procedura sperimentale). La PET ha una risoluzione spaziale e temporale inferiore rispetto alla fMRI poiché il segnale proviene dal tracciante e non dai tessuti. Tuttavia, consente un’alta precisione diagnostica. La PET viene utilizzata molto meno rispetto alla fMRI in ambito di ricerca. La PET viene utilizzata più in ambito clinico che in ambito di ricerca (come la TAC). La PET è una tecnica funzionale VS La TAC è una tecnica strutturale. Tecniche neurofisiologiche Le tecniche neurofisiologiche danno informazioni sulla neurofisiologia, ovvero sull’attività dei neuroni. Tali tecniche comprendono la stimolazione magnetica transcranica (TMS), la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS) e l’elettroencefalografia (EEG). Le tecniche di stimolazione sono in grado di modulare l’attività elettrica neuronale. Il neurone è la cellula cerebrale deputata alla trasmissione dei segnali. Il neurone possiede delle caratteristiche fondamentali che lo rendono capace di trasmettere il segnale: la membrana del neurone è eccitabile. La sinapsi più comune è quella elettrochimica. Nel neurone a riposo c’è una differenza tra l’interno (negativo) e l’esterno (positivo) della membrana. L’apertura dei canali modifica il potenziale di riposo. Le tecniche di stimolazione permettono di modulare, inferfenire, intervenire, nel modo in cui il neurone scarica e invia segnali. La stimolazione magnetica transcranica. Una caratteristica importante della TMS è che permette di produrre delle “lesioni virtuali” alterando la funzionalità di un’area cerebrale in modo reversibile. Possono essere utilizzati diversi protocolli sperimentali e quindi possono essere utilizzati dei parametri di stimolazione diversa in termini di durata e intensità. La TMS a livello del giro supramarginale sinistro ha evidenziato una alterazione della performance del soggetto a un compito logico in termini di tempi di reazione. Dopo la TMS sul giro supramarginale sinistro il soggetto impiega piu tempo a rispondere al task che gli chiede di individuare se due parole sono simili fonologicamente. Tale aumento del tempo di reazione, però, si osserva solo per il task fonologico, ma non per quello semantico e per quello ortografico. Se una lesione viruale in una determinata regione altera alcune componenti di un compito ma non altre, questo consente di inferire che quella regione può essere implicata in quella componente del compito (es. il giro supramarginale sinistro è implicato nell’elaborazione degli aspetti fonologici, ma non di quelli semantici e di quelli ortografici). La TMS è una tecnica direzionale e reversibile (gli effetti non persistono nel tempo) e consente di modificare il modo in cui i neuroni comunicano tra di loro. Consente di stimolare diverse regioni cerebrali a seconda dell’ipotesi sperimentale. L’individuazione del punto di stimolazione si basa sugli studi di neuroimaging e su quelli neurofisiologici già presenti in letteratura che suggeriscono dove trovare le coordinate esatte del punto di interesse. Durante la seduta di TMS potrebbe succedere che lo sperimentatore sposti il coil (il magnete a forma di 8) senza volerlo, per evitare che si verifichi questo si utilizzano dei meccanismi di neuronavigazione che tarano lo strumento con la regione che si sta stimolando. Il coil è dunque coordinato con l’immagine della testa del paziente. La TMS può essere utilizzata per fare una mappatura cerebrale sulle risposte a varie stimolazioni; si può mappare funzionalmente il cervello stimolando varie regioni del cervello e valutare le risposte del paziente a quelle stimolazioni. Tale mappatura è però diversa da quella che si ottiene con la fMRI o la PET. Nel caso della TMS si interferisce con l’attività elettrica perché questa stimolazione porta il neurone a scaricare, quindi genera potenziali d’azione che altrimenti non sarebbero prodotti. La tDCS, invece, interferisce con l’attività elettrica inferferendo con la scarica spontanea del neurone. Un utilizzo molto frequente della TMS consiste nella stimolazione di determinate aree cerebrali seguita dalla misurazione delle attività motorie e sensoriali generate dalla stimolazione (potenziali evocati motori e potenziali evocati sensitivi). I potenziali evocati sono i potenziali generati dalla stimolazione. Il macchinario della TMS è ingombrante, mentre quello della tDCS è più facilmente trasportabile. La strumentazione della TMS comprende un condensatore elettrico (in cui scorre corrente e che la passa al coil) collegato a una bobina a forma di 8 (il coil) che genera il campo magnetico, che a sua volta genera una corrente fisiologica che porta i neuroni a scaricare. La TMS non è invasiva ed è indolore. Tale tecnica consente la stimolazione elettrica focale delle regioni cerebrale, ovvero una stimolazione mirata a una popolazione specifica di neuroni. La TMS si basa sull’applicazione di un campo magnetico sullo scalpo tramite il coil. Quando la membrana neuronale viene stimolata elettricamente si modifica la differenza di potenziale, ovvero l’interno diventa un po’ più positivo (grazie all’apertura dei canali del sodio) e quindi avviene una depolarizzazione, per cui parte un potenziale d’azione. Il potenziale evocato motorio è una misura di come le vie della conduzione nervosa generano impulsi, ovvero come viene condotto il segnale elettrico nelle vie di conduzione nervosa. Il segnale che deve essere condotto va dal cervello alla periferia o dalla periferia al cervello (vie sensitivomotorie). Il potenziale evocato motorio può essere utilizzato per permettere la valutazione della corretta funzionalità del sistema motorio. Il potenziale evocato motorio è una risposta elettrica che si può registrare a livello muscolare (elettromiografia) a seguito di una stimolazione elttrica o magnetica della corteccia cerebrale o del midollo spinale. Viene stimolata una regione, quindi viene portata una popolazione di neuroni a generare impulsi e si vede poi come quell’impulso viene condotto a livello dei muscoli per permettere il movimento. Si stimola una regione e si vede attraverso l’elettromiografia se il musolo si è attivato. Se il muscolo si è attivato, l’informazione dal cervello è arrivata al muscolo di interesse. Tale esame è molto semplice: prevede l’utilizzo di elettrodi che misurano l’attività elettrica a carico del distretto di interesse (es. a livello del muscolo con l’elettromiografia (potenziale evocato motorio) – TMS su un’area cerebrale - o a livello corticale con l’elettroencefalografia – stimolo tattile su una determinata zona). I processi di neuronavigazione consentono la corretta applicazione degli elettrodi a livello della testa. L’utilizzo dei potenziali evocati consente di calcolare il tempo di conduzione del segnale dalla corteccia alla periferia. Se la conduzione di tale segnale è lenta o assente, può indicare la presenza di alcune patologie del sistema nervoso. Es. patologie del SN che colpiscono la mielina (patologie demielinizzanti, es. sclerosi multipla) -> il segnale non è più trasmesso in modo efficacie, ma o non è condotto o è condotto lentamente. Con i potenziali evocati motori e quelli sensoriali è possibile studiare tali patologie. La stimolazione transcranica della corteccia motoria genera un potenziale evocato motorio, il quale può essere registrato con l’elettromiografia. Tramite la stimolazione transcranica è possibile osservare qual è la funzione di un’area (es. movimento di un muscolo piuttosto che di un altro). Quando si utilizza la TMS o la tDCS ci si basa su dei riferimenti anatomici che si basano su dei sistemi convenzionali in cui ogni area del cervello è identificata con delle etichette nella cuffia che viene applicata sulla testa del soggetto. A seconda del protocollo sperimentale, si può utilizzare una stimolazione a singolo impulso (es. un impulso ogni 5 secondi) o una stimolazione ripetitiva, la quale prevede la somministrazione di un treno di stimoli senza interruzione. La stimolazione può essere effettuata online, ovvero durante l’esecuzione di un compito, oppure offline, quindi prima che il soggetto esegua il compito (mentre il soggetto non fa nulla). Con la seconda tecnica si osservano, quindi, gli effetti funzionali successivi alla stimolazione. La TMS può essere utilizzata con un approccio correlazionale, ovvero si indaga lo stato funzionale di alcuni sistemi cerebrali durante l’esecuzione di un compito e ciò consente di dire se un’area funziona o no (viene stimolata una regione cerebrale e si osserva se c’è una risposta motoria), o con un approccio causativo, che consente di interferire con l’attività di una regione cererebrale durante l’esecuzione di un compito e quindi consente di individuare il ruolo di una determinata area nell’esecuzione di un compito (se si interferisce con l’attività di X e si osserva un’alterazione nello svolgimento di un compito (prestazione migliore o peggiore), si può fare una relazione tra X e il compito). Slide 14 – è possibile registrare l’attività miografica (il potenziale evocato motorio) evocata dalla TMS e ciò consente di osservare se il segnale ha raggiunto la periferia. Slide 15 – nell’approccio correlazionale possono essere utilizzati diversi protocolli. Ad esempio, se in seguito a una manipolazione sperimentale con TMS, il MEP (potenziale evocato motorio) aumenta in ampiezza; il sistema corticospinale è stato facilitato dalla stimolazione. Il sistema corticospinale può essere anche inibito (in tal caso l’ampiezza del MEP è minore). Nel protocollo a impulsi appaiati vengono somministrati due impulsi diversi a livello della corteccia motoria e così viene testato il funzionamento di specifici circuiti facilitatori o inibitori. Il primo impulso (stimolo condizionante) non genera un potenziale (non viene superato il valore soglia) VS il secondo (stimolo test) consente di generale il potenziale evocato motorio (viene superato il valore soglia). Variando l’intervallo presente tra i due stimoli si può avere un’inibizione (2-4ms), mediata dal neutrosmasmettitore GABA (inibitorio), o una facilitazione (8-15ms), mediata dal neurotrasmettitore glutammato (eccitatorio). Con l’approccio causativo, invece, il quale consente di interferire con l’attività di una regione, è possibile mappare la funzionalità di alcune regioni. Es. si interferisce con l’area visiva mentre il soggetto esegue un compito di discriminazione di lettere e si osserva se varia la percentuale di risposte corrette e se varia il tempo di reazione. Slide 18 - La stimolazione a impulso singolo e la simolazione ripetitiva si differenziano negli effetti: la prima aumenta l’eccitabilità dell’area (facilitazione), mentre la seconda riduce l’eccitabilità (inibizione). Questo perché nel primo caso l’intervallo tra i due stimoli è lungo, mentre nel secondo caso esso è breve. Slide 19 – ultimamente si stanno facendo molti studi sull’utilizzo della TMS nella riabilitazione. Tuttavia, ancora non è stata messa in evidenza l’efficacia dei trattamenti con TMS a lungo termine. Ad esempio, è stato effettuato uno studio su pazienti con sclerosi multipla in cui essi dovevano effettuare un task di destrezza manuale dopo una sessione di TMS. Dove c’è l’asterisco (*) nel grafico ci sono delle differenze significative rispetto al momento prima della stimolazione. Dopo 10min dalla stimolazione le prestazioni sono migliori (il tempo per eseguire il task è minore). Tuttavia, dopo 20min tale effetto non si osserva più. I vantaggi della TMS sono diversi: la TMS non è invasiva perché i suoi effetti sono reversibili; è indolore; ha un’alta risoluzione spaziale e temporale; permette di individuare il nesso causale tra struttura e comportamento e può essere utilizzata in riabilitazione (effetti terapeutici). Tuttavia, tale tecnica presenta anche degli svantaggi: gli effetti della TMS sono brevi; la TMS non consente di stimolare ed esplorare aree profonde; l’approccio correlazionale (che serve a mappare la funzionalità delle aree, ovvero a osservare se le varie aree cerebrali funzionano) può essere utilizzato solo per il sistema motorio e per quello visivo; ad intensità alte la TMS perde di risoluzione spaziale; negli approcci causativi è necessario utilizzare un task appropriato e sensibile; nell’approccio online, la presenza della TMS durante l’esecuzione di un compito può essere un fattore di distrazione e quindi la prestazione del soggetto potrebbe essere influenzata da ciò. Mentre la TMS genera delle correnti fisiologiche che portano popolazioni di neuroni a generare impulsi, quindi viene modificata la permeabilità della membrana a riposo; nella tDCS viene utilizzato un flusso di corrente che interferisce con l’attività spontanea di un neurone. 17/03/2023 – continuo su tecniche neurofisiologiche (ripasso) La TMS modifica il potenziale di riposo del neurone e porta il neurone a scaricare. Con la TMS possono essere utilizzati tre protocolli: stimolazione a impulso singolo, stimolazione ripetitiva e stimolazione a impulsi appaiati. La TMS utilizza un campo magnetico. Vantaggio EEG = buona risoluzione temporale, ovvero è in grado di misurare l’attività elettrica nel tempo Svantaggio EEG = scarsa localizzazione della fonte, ovvero ha una bassa risoluzione spaziale 20/03/2023 – cognizione sociale La teoria della mente ci consente di riuscire a inferire lo stato mentale dell’altro e le sue intenzioni e quindi ci consente di modificare il nostro comportamento. La cognizione sociale è l’«insieme dei processi attraverso cui le persone acquisiscono informazioni dall’ambiente, le interpretano, le immagazzinano in memoria e le recuperano da essa, al fine di comprendere sia il proprio mondo sociale, sia loro stesse, ed organizzare di conseguenza i propri comportamenti». Recentemente è stata proposta l’ipotesi dell’esistenza di un cervello sociale, ovvero di aree cerebrali tipicamente coinvolte nel controllo dei processi di cognizione sociale. Poiché le relazioni sociali hanno subito un evoluzione nel corso del tempo, tale ipotesi ritiene che l’espansione delle aree frontali rappresenta una risposta adattiva alla complessificazione dei sistemi sociali che è, appunto, avvenuta nel corso dell’evoluzione. Le aree frontali sono tipicamente coinvolte nel controllo delle funzioni esecutive, ovvero funzioni complesse legate alla regolazione del comportamento, perciò funzioni esecutive e funzioni di cognizione sociale sono strettamente legate tra loro. Gli studi sulla cognizione sociale si focalizzano su quali siano le possibili conseguenze dei danni a carico delle aree frontali (dato che queste sono importanti per le interazioni complesse nel mondo sociale). Slide 5 – Questo è il primo caso in cui è stata dimostrata un’associazione tra un danno a carico delle aree frontali e dei cambiamenti comportamentali. Mr Gage lavorava come operaio ed ebbe un incidente sul lavoro, per cui una sbarra di ferro gli ha trapassato il cervello e ha danneggiato la regione mediale della corteccia prefrontale (mPFC). Mr Gage è sopravvissuto all’incidente, ma il suo comportamento da quel momento è cambianto completamente. In particolar modo, è cambiato il suo comportamento sociale. Il suo comportamento era diventato particolarmente disinibito e inappropriato rispetto al contesto in cui si trovava a interagire. Mr Gage dopo l’incidente presentava difficoltà a regolare il proprio comportamento e a regolarlo sulla base delle interazioni e delle esigenze dell’altro. Slide 6 – Al Sig. EVR fu asportato un tumore nella corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC). Tale lesione non aveva causato delle alterazioni nei punteggi dei test neuropsicologici, ma aveva causato un’alterazione nel comportamento sociale. Slide 7 – esempi di alterazioni nel comportamento sociale. In particolare, chi presenta tale lesione può, per esempio, continuare a parlare di argomenti che annoiano l’altro (perché tali soggetti non sono in grado di inferire lo stato mentale altrui) e si mostra apatico nelle interazioni con l’altro e presenta freddezza emotiva, ovvero non riesce a manifestare e provare delle emozioni e a empatizzare con l’emozione dell’altro. Le componenti della cognizione sociale riguardano la rappresentazione neurale del sé (tutto ciò che riguarda se stessi e la propria vita, quindi il pensiero autoreferenziale), la rappresentazione delle altre persone (teoria della mente) e la conoscenza sociale e dei modi di comportarsi (es. processo decisionale). Dato che ci sono diverse componenti nell’ambito della cognizione sociale, queste componenti hanno dei substrati neurali diversi? Ovvero, l’elaborazione di tali componenti si verifica nelle stesse regioni cerebrali o in regioni cerebrali diverse? La rappresentazione del sé fa riferimeno al Sé. Non esiste una definizione unitaria del Sé perché il Sé è contemporaneamente colui che percepisce e ciò che è percepito. La percezione del Sé è un processo cognitivo che comprende sia gli aspetti fisici che quelli psicologici complessi (la sfera psicologica riferita a se stessi). Avere buone capacità di rappresentare se stessi è importante perché consente una buona distinzione del Sé dagli altri. Le infomazioni autoreferenziali (sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista mentale) vengono elaborate nella corteccia prefrontale mediale, nella corteccia cingolata posteriore, nella corteccia parietale mediale e laterale. In particolar modo, per quanto riguarda le informazioni relative ai sentimenti soggettivi, queste vengono elaborate nella corteccia orbito-frontale (ovvero, la corteccia che si ritrova vicino agli occhi), nella corteccia cingolata anteriore e nell’insula (una struttura che si trova a ridosso della corteccia parietale e di quella temporale ed è molto importante per l’empatia). Inoltre, ci sono dei sistemi che sono centrali per l’elaborazione delle informazioni relative ai sentimenti soggettivi, ovvero il sistema nervoso autonomo (che regola le risposte fisiologiche), l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (importante per la risposta allo stress; legato al SNA) e il sistema endocrino (collegato all’asse ipotalamo- ipofisi-surrene; rilascia ormoni). Uno degli aspetti che garantisce la coerenza del Sé è la memoria autoreferenziale, ovvero la memoria che riguarda se stessi e gli eventi della propria vita. Effetto autoreferenziale = ricordiamo meglio ciò che riguarda la nostra vita piuttosto che ciò che riguarda la vita degli altri. Slide 13 – viene chiesto al soggetto di rispondere a domande sui propri tratti di personalità o su quelli di qualcun altro. I soggetti ricordano più facilmente le parole con cui hanno descritto se stessi. Il giudizio sulle nostre caratteristiche personali è scollegato da ricordi specifici di comportamenti passati (a differenza di quanto avviene per i giudizi sulle caratteristiche delle altre persone, che si basano su ricordi specifici di comportamenti passati). Ciò è dimostrato dal fatto che i pazienti che hanno una grave amnesia e che quindi hanno perso tutte le informazioni relative alla propria vita passata comunque mantengono un senso del Sé totalmente integro, una rappresentazione del Sé integra sia negli aspetti fisici che in quelli psicologici. Sempre nell’ambito dell’effetto autoreferenziale, Rogers ha proposto l’ipotesi del sé speciale, secondo cui il Sé è una struttura cognitiva unica dotata di elementi mnemonici e organizzativi unitari che promuovono l’elaborazione delle informazioni in una modalità differente rispetto alle altre strutture cognitive. L’individuo ha una maggiore conoscenza del sé e quindi codifica in modo più elaborato le informazioni autoriferite. Slide 15 – Ipotesi: se il Sé è una struttura cognitiva speciale, delle regioni neurali particolari si attivano quando stiamo elaborando delle informazioni autoreferenziali. Tali regioni comprendono la mPFC. studio con fMRI mentre i soggetti dovevano ricordare parole tratte da diverse condizioni: parole che si riferiscono a un’altra persona, persone che si riferiscono al formato di stampa e parole che si riferiscono a se stessi. I soggetti ricordavano più facilmente le parole che si riferivano a se stessi e la mPFC era attiva in modo diverso quando le persone elaboravano le parole autoriferite rispetto a quando elaboravano gli altri due tipi di parole. Slide 16 – il Default Mode Network è un network cerebrale intrinseco, attivo a riposo e formato da una serie di regioni cerebrali, ovvero regioni della corteccia prefrontale, regioni del lobulo parietale inferiore, la corteccia temporale laterale, la corteccia parietale-retrospleniale e la corteccia prefrontale dorsomediale e ventromediale. Diversi studi di fMRI in resting state hanno mostrato che tali regioni presentano un’attività sincronizzata e quindi sono connesse funzionalmente e fanno parte di un network specifico implicato nel controllo di processi cognitivi comuni. In particolare, tale network sembrerebbe essere molto legato agli aspetti sociali e, in particolar modo, all’elaborazione delle informazioni autoriferite. Il default mode network è così chiamato perché è attivo quando siamo a riposo e non siamo impegnati in nessun compito. Tale network, attivo a riposo, aumenta la probabilità che ci mettiamo a riflettere su informazioni autoreferenziali proprio quando siamo a riposo(motivo per cui quando non facciamo nulla pensiamo a cose che riguardano la nostra vita o persone molto vicine a noi). Quando siamo impegnati in qualsiasi attività, tale network è meno attivo rispetto a quando siamo a riposo (per questo cerchiamo di fare qualsiasi cosa pur di evitare di pensare a qualcosa che ci riguarda). Il DMN è molto importante per le interazioni sociali perché noi ci relazioniamo con il mondo utilizzando le informazioni su noi stessi (per comprendere il mondo e la persona che abbiamo di fronte noi utilizziamo molte informazioni autoreferenziali). Il DMN infatti è alterato in presenta di disturbo dello spettro autistico. Un’ipotesi relativa al funzionamento del DMN è l’ipotesi sentinella: il DMN garantisce che l’individuo abbia sempre idea di ciò che gli accade intorno. Infatti, il DMN è attivo quando siamo impegnati in pensieri e riflessioni personali, valutazioni che dipendono da contenuti sociali ed emotivi, compiti di memoria autobiografica, compiti che prevedono di immaginare se stessi nel futuro, compiti che valutano dilemmi morali, pensieri relativi alle credenze ed alle intenzioni dell’altro (compiti di teoria della mente). Il fattore comune a tali attività è che il soggetto deve immaginare se stesso in situazioni diverse dal qui e ora, ovvero deve adottare una prospettiva alternativa. Alcuni autori (Raiche e Gusnard nel 2001) hanno evidenziato che quando un individuo è a riposo dal punto di vista cognitivo il cervello continua a effettuare una serie di processi psicologici che rappresentano un «default mode» ovvero una modalità funzionale cerebrale predefinita. Tali autori hanno chiamato le aree deputate a tale funzione RETE FUNZIONALE PREDEFINITA – Default mode network, che è costituita da: mPFC, precuneo, giunzione temporo parietale, lobo temporale mediale (memoria delle esperienze passate), corteccia parietale laterale e corteccia cingolata posteriore. Tali regioni sono attive a riposo e quando dobbiamo guardare a noi stessi in prospettiva (le attività della slide 17). Quando siamo implicati in attività cognitive specifiche il DMN si disattiva. Ciò è importante perché altrimenti l’attività umana sarebbe invalidante per via delle continue rimuginazioni. Studi in fMRI hanno evidenziato che la mPFC si disattiva meno se si è implicati in compiti che coinvolgono giudizi autoreferenziali. Slide 20 – studio in fMRI. L’attività della dmPFC aumenta durante “i sogni a occhi aperti” e pensieri simili (pensieri su se stessi); la sua attività, invece, si attenua quando si mette in atto un comportamento finalizzato e quindi mentre si pone l’attenzione sull’esterno. La funzionalità del DMN è compromessa ed iperattiva nella depressione e nel disturbo d’ansia (i soggetti rimuginano in modo eccessivo), mentre è ipoattiva nei soggetti con disturbo dello spettro autistico. La corteccia prefrontale ventromediale risulta più attiva in informazioni relative a se stessi o al mondo sociale, ovvero in compiti di memoria autobiografica, compiti che prevedono di immaginare se stessi nel futuro, compiti che valutano dilemmi morali o quando pensiamo alle credenze ed alle intenzioni delle altre persone, ovvero agli stati mentali (teoria della mente). Tutti questi processi hanno in comune il fatto che il soggetto deve immaginare e stesso in situazioni diverse dal qui e ora, ovvero deve adottare una prospettiva alternativa. Il soggetto deve concentrarsi su pensieri che non hanno alcuna relazione con gli stimoli esterni e ciò gli permette di “mettersi nei panni dell’altro”. Per mettersi nei panni dell’altro è necessario fare anche delle riflessioni sul sé (utilizziamo informazioni che riguardano noi stessi per comprendere l’altro). La percezione dell’altro e la teoria della mente. Perché la percezione dell’altro è più difficile? Perché noi non abbiamo un accesso diretto allo stato mentale e fisiologico dell’altro. Lo stato dell’altro può solo essere inferito dai segnali verbali e non verbali.Dunque, i segnali non verbali sono un aspetto importantissimo delle relazioni sociali. Nel test di teoria della mente si racconta, per esempio, che una bambina prende una banana e dice all’amico “guarda! Questa banana è un telefono!” e si chiede al soggetto perché la bambina ha detto questa cosa. Il soggetto, ovviamente, deve inferire e rispondere che la bambina ha detto ciò perché sta giocando e che la bambina sa che non è un telefono quella banana. La teoria della mente è un processo di cui noi facciamo esperienza ogni giorno nella nostra vita e si riferisce all’abilità di riconoscere ed attribuire all’altro stati mentali come intenzioni, desideri e credenze, per spiegare e predire il comportamento. Dunque, se noi siamo in grado di fare inferenze sullo stato mentale e sull’emozione dell’altro siamo anche in grado di spiegare il comportamento dell’altro e di predirlo. Es. Vedo che X è arrabbiato, quindi regolo il mio comportamento di conseguenza. Se X mi risponde male, posso spiegare il comportamento di X. Comprendere gli stati mentali propri e altrui è fondamentale per svolgere al meglio una vasta gamma di attività sociali, come cooperare e simpatizzare e anticipare il comportamento dell’altro con precisione. L’abilità della teoria della mente ha la caratteristica di svilupparsi, di diventare sempre più complessa e di affinarsi sempre di più nel corso dello sviluppo. Il suo sviluppo è legato a due diverse capacità: quella del role-taking, ovvero la capacità di decentrarsi dalla propria posizione per assumere quella dell’altro e riguarda non solo le emozioni, ma anche la cognizione e quindi, in generale, lo stato mentale; e quella del perspective-taking, ovvero l’abilità di adottare la prospettiva altrui in tre diverse dimensioni: percettiva (capire che l’altra persona occupa una dimensione spaziale che è diversa dalla nostra), cognitiva (inferire pensieri, motivazioni e intenzioni altrui) ed emotiva (inferire e comprendere gli stati emotivi dell’altro). Slide 24 – domande le cui risposte implicano la teoria della mente. La teoria della mente consiste nella capacità di rappresentarsi i pensieri degli altri. Esistono diverse teorie che spiegano come possiamo utilizzare la teoria della mente, ovvero come traduciamo ciò che è osservabile (comportamento) in un’inferenza su ciò che non è osservabile (stato psicologico). In particolare, per la teoria della simulazione osservare il comportamento di un altro attiva una risposta fisiologica nell’osservatore che aiuta l’osservatore a comprendere lo stato mentale dell’altro. Tale meccanismo può essere sia automatico che consapevole. Invece, per la teoria della teoria, possiamo avanzare una teoria sullo stato mentale dell’altro utilizzando tutte le informazioni che abbiamo su di lui. Entrambi i meccanismi di entrambe le teorie possono agire contemporaneamente. La teoria della mente è strettamente legata alle funzioni esecutive. Il processo di inferenza sulle false credenze negli adulti richiede un buon livello di controllo esecutivo e una buona capacità di memoria di lavoro (ciò spiega perché le abilità di cognizione sociale sono legate alle abilità di controllo esecutivo: le abilità di cognizione sociale hanno delle componenti esecutive). Slide 27 – per la deattiva durante compiti non autoreferenziali (a differenza di quanto avviene nei soggetti sani). L’ipotesi che è stata avanzata è che nei soggeti autistici il DMN sia sempre spento. Slide 49 - I soggetti con autismo non sono preparati al tipo di pensiero sociale che caratterizza la cognizione tipica. Se viene ESPLICITAMENTE chiesto di fare attenzione a delle facce, le aree di attivazione sono simili a quelle di soggetti a sviluppo tipico: MPFC e GIRO FRONTALE INFERIORE Se viene chiesto di fare attenzione e basta (quindi la richiesta di fare attenzione specificatamente alle facce è implicita, ovvero è implicito l’oggetto a cui devono fare attenzione), i soggetti autistici non mostravano attività nelle stesse regioni. Ciò evidenzia che i soggetti autistici non riescono a impegnarsi istintivamente in processi sociali. 22/03/2023 – psicobiologia della vulnerabilità e della resilienza Tutti noi abbiamo delle modalità di comportamento diverse, quindi uno stesso evento può essere vissuto in modo completamente diverso da due persone: ciò che cambia non è l’evento esterno, ma la reazione individuale. Es. alcuni sono tranquilli durante un esame, mentre altri sono agitati. Il modo di reagire agli eventi fa parte della propria personalità e da una serie di fattori che condizionano come reagiamo agli eventi. Il termine resilienza deriva dal verbo latino “resalio”, che si riferisce al gesto di risalire sulle imbarcazioni rovesciate, quindi si riferisce al fatto di reagire a un evento che mette in difficoltà. Tale evento (l’imbarcazione che viene rovesciata) può essere vissuto soggettivamente come problematico. Il termine resilienza ha come origine l’ambito della metallurgia e, in tale campo, indica la capacità del metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. Tale termine è poi stato adottato da altre discipline: es. in ecologia la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi a un cambiamento; in ingegneria la resilienza è la capacità del materiale che assorbe un urto senza rompersi; in informatica la resilienza è un sistema capace di adattarsi all’usura e alle condizioni d’uso. Il significato del termine resilienza, tuttavia, rimane più o meno lo stesso, per cui si potrebbe dire, in generale, che tale termine si riferisce alla capacità di far fronte in maniera positiva a una perturbazione. In particolare, in psicologia la resilienza è una caratteristica umana che si riferisce all’atteggiamento di andare avanti nonostante le difficoltà, ovvero di reagire agli eventi traumatici e resistere nel raggiungimento dei propri obiettivi. La resilienza non è una caratteristica che o c’è o non c’è: è un processo dinamico (non un fenomeno “tutto o nulla”; può essere sviluppata e potenziata. Tutti possono essere resilienti. Secondo Antonovsky noi possediamo delle risorse generali di resilienza, le quali si differenziano in interne (fattori biologici, personalità e life skills) ed esterne (relazioni, servizi, beni a propria disposizione). In generale, le risorge generali di resilienza fanno riferimento a ciò che la persona è in grado di utilizzare e riutilizzare. Il costrutto di resilienza venne introdotto negli anni ’70, ma già nella prima metà del XX secolo era di grande interesse per i ricercatori. I primi studi sulla resilienza risalgono ad Anna Freud, la quale aveva studiato bambini che avevano vissuto l’esperienza della guerra (grosso fattore di rischio) e che, malgrado ciò, esibivano un adeguato funzionamento psicologico ed elevate condizioni di benessere individuale. Dagli studi di Anna Freud quindi è nato il primo interrogativo: ci sono dei fattori, aldilà dei fattori di rischio, che possono favorire lo sviluppo della resilienza? Studi simili sono stati effettuati da Garmezy, il quale aveva studiato figli di genitori schizofrenici che però non sviluppavano tale malattia nel corso della vita e che, anzi, riuscivano a mantenere un elevato equilibrio e un buon benessere psicofisiologico. Gli studi che hanno introdotto il termine “resilienza” in psicologia sono quelli di Emmy Werner, il quale ha effettuato dal 1955 al 1982 degli studi longitudinali su una popolazione di neonati delle Hawaii. Tali neonati sono stati osservati fino all’età adulta. In particolare, tale studio ha previsto l’osservazione di 700 individui, di cui 1/3 (201 soggetti) aveva tutti i prerequisiti per una diagnosi da disagio psichico in quanto esposti a diversi fattori di rischio (es. povertà, nascita difficile, malattie mentali, familiari alcolizzati, violenza,…). Effettivamente, 2/3 di questo 1/3 a 18 anni mostravano difficoltà nell’apprendimento e nell’adattamento sociale, scolastico e/o lavorativo. Cosa è successo all’1/3 (72 soggetti) che non ha sviluppato tali difficoltà? Tali soggetti mostravano delle migliori condizioni di vita rispetto a ciò che ci si sarebbe aspettati considerando i fattori di rischio a cui erano esposti. Infatti, in età adulta tali individui erano in grado di avviare relazioni stabili, avevano buona o molta buona riuscita nel lavoro e presentavano caratteristiche di altruismo. Questo 1/3 mostrava le stesse condizioni di partenza dei restanti 2/3, tuttavia essi avevano dei fattori di protezione (es. buone esperienze di attaccamento) che mitigarono l’effetto dei fattori di rischio (li ha resi più immuni agli stressor a cui erano stati sottoposti). I fattori di protezione hanno promosso il processo di resilienza, ovvero hanno consentito di trasformare l’esperienza traumatica in un’esperienza di crescita (adattamento positivo). Ciò che noi facciamo continuamente è adattarci alle diverse condizioni ambientali, all’ambiente che si modifica: quando siamo sottoposti a uno stressor, il nostro organismo, e in particolare il nostro cervello, mette in atto una serie di risposte che ci consentono di adattarci. La risposta da stress è quindi funzionale e utile alla sopravvivenza. Alcuni meccanismi, però, possono rendere tale risposta disfunzionale. In tal caso non si verifica un adattamento positivo in presenza di uno stressor. Rosenzweig aveva sviluppato dei paradigmi di arricchimento ambientale: studi con animali in ambiente arricchito e animali in ambiente deprivato. In tal modo sono stati studiati gli effetti della deprivazione sensoriale e dell’arricchimento. Secondo Rosenzweig, le attività cognitivamente stimolanti (attività fisica, interazioni sociali,…) fanno riferimento al concetto di arricchimento e quindi arricchiscono cognitivamente l’individuo. Egli ha dimostrato che animali adulti posti in un ambiente arricchito mostrano successivamente delle migliori prestazioni in compiti di apprendimento, memoria e flessibilità comportamentale. Dunque, gli effetti dell’arricchimento ambientali sono molto importanti per sviluppare delle buone capacità di adattamento allo stressor. Gli studi di deprivazione sensoriale riguardano anche l’attaccamento (es. bambino che viene allontanato dalla madre nelle fasi precoci della vita); l’ambiente arricchito rappresenta un fattore protettivo che agisce sui fattori di plasticità (la stimolazione sensoriale modifica il comportamento e quindi dà delle buone capacità di adattamento sociale proprio perché modifica il cervello). NB: a ogni cambiamento comportamentale corrisponde un cambiamento plastico a livello dei circuiti; il nostro comportamento è flessibile e modificabile perché il cervello è plastico; l’ambiente modifica il cervello e quindi il comportamento. L’ambiente arricchito, in particolare, agisce sulla neurogenesi dell’ippocampo, il quale è implicato nella memoria (tutti i meccanismi di apprendimento passano per l’ippocampo, quindi l’ambiente arricchito migliorando la neuroplasticità dell’ippocampo migliora le abilità di apprendimento). L’ippocampo fa parte del sistema limbico e quindi è strettamente connesso a tutto ciò che riguarda il valore emozionale degli stimoli. Nell’animale arricchito sono state riscontrate delle nuove cellule, cellule di nuova generazione, nell’ippocampo: quando venivano sottoposti ad ambienti diversi, l’animale “arricchito” era in grado di distinguere che si trovava in ambienti diversi, mentre l’animale “non arricchito” presentava poche cellule di nuova generazione nell’ippocampo e quindi presentava problemi di memoria. La resilienza è un normale processo di sviluppo che si verifica in alcuni condizioni per effetto dell’interazione di un insieme di risorse interne ed esterne agli individui. Ciò spiega perché al netto di fattori di rischio, alcuni sviluppano determinate difficoltà e altri no: il fattore di rischio interagisce con eventuali fattori di protezione e tale interazione può favorire lo sviluppo della resilienza. La resilienza è diversa dall’invulnerabilità, perché la resilienza è mutevole nel corso del tempo, ovvero è un processo dinamico. Il rischio psicosociale si riferisce a tutti gli agenti eziopatogenetici, ossia tutti i fattori individuali e ambientali che predispongono l’individuo verso l’insorgenza di una specifica patologia, come la schizofrenia, la depressione o la delinquenza. Di fronte a degli eventi stressanti, fattori di rischio e protettivi interagendo tra di loro determinano il modo in cui individui diversi rispondono agli stessi stressors (per questo la resilienza è un processo dinamico: cambiando i fattori, cambia il livello di resilienza). Che cos’è lo stress? Lo stress corrisponde agli eventi e alle situazioni che mettono in difficoltà un organismo. Inoltre, Selye definisce la risposta da stress come una generica risposta dell’organismo a una richiesta dell’ambiente. Ovvero, la risposta da stress è una risposta dell’organismo che tenta di adattarsi al cambiamento che si è verificato, ovvero alla perturbazione dell’equilibrio della persona. Lazarus considera lo stress un processo interattivo tra individuo e ambiente. Inoltre, Lazarus introduce il concetto di stress percepito, il quale è caratterizzato da un valore di soggettività dell’evento traumatico (uno stimolo o evento non è uno stressor di per sé, ma lo è per via del valore soggettivo che gli si viene attribuito). L’organismo di fronte a eventi che mettono a rischio l’individuo genera una risposta di adattamento, ovvero una risposta da stress. La risposta da stress può essere di due tipi: eustress (buono, funzionale, aiuta ad adattarci e a mantenere l’equilibrio) e distress (cattivo, disfunzionale). L’individuo ha la necessità di mantere il suo equilibro, ovvero l’omeostasi. L’omeostasi è frutto dell’interazione tra caratteristiche personali e caratteristiche ambientali. Quando un individuo è sottoposto a uno stressor, ovvero quando tale equilibrio viene perturbato, l’organismo tenta di ristabilite l’equilibrio. Tuttavia, tale equilibrio ristabilito in seguito a uno stressor è differente dall’equilibrio originario e si chiama allostasi (tale equilibrio ingloba i cambiamenti avvenuti). I fattori di protezione interni ed esterni giocano un ruolo fondamentale nel contrastare gli effetti negativi delle circostanze di vita avverse, favorendo un adattamento positivo e potenziando quindi la resilienza. I principali fattori di protezione principali sono le caratteristiche individuali, l’ambiente familiare e il contesto sociale allargato. La resilienza è data dall’interazione tra appraisal (valutazione soggettiva dell’evento) e coping (abilità di far fronte a quell’evento). Appraisal e coping interagiscono in modo bidirezionale: es. se io valuto positivamente un evento, penso di avere le risporse per fronteggiarlo; se penso di avere le risporse per fronteggiare un evento, lo valuto positivamente. Il coping rappresenta l’insieme degli sforzi cognitivi e comporamentali per trattare richieste specifiche interne o esterne valutate come eccessive rispetto alle risorse di una persone. Le emozioni positive generano un’amplificazione cognitiva, per cui il soggetto si sente più flessibile, più creativo e più aperto alla novità e quindi viene migliorata la modalità di coping (come coping centrato sul problema), vengono potenziate le risorse personali e, di conseguenza, il ritorno ai livelli base di attivazione è più rapido. Dunque, l’emozione positiva favorisce la valutazione positiva di un evento e quindi l’abilità di un soggetto di far fronte a quell’evento. Cosa succede nel cervello quando abbiamo a che vedere con degli stressor? L’eperienza modella il cervello (grazie alla plasticità neurale), ovvero l’esperienza determina il modo in cui noi rispondiamo agli eventi. Il nostro comportamento e la nostra resilienza sono modificabili grazie alla plasticità neurale. La resilienza è il risultato di cambiamenti adattivi che si verificano in specifici circuiti neurali. Lo stress perturba l’omeostasi e uno dei circuiti chiamato in causa quando bisogna rispondere a uno stressor è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L’asse HPA è costituito dall’ipotalamo (regione sottocorticale del diencefalo), l’ipofisi (si trova sotto l’ipotalamo ed è importante per la secrezione di alcuni ormoni) e il surrene (si trova nella porzione superiore del rene). L’asse HPA è fortemente implicato nella risposta da stress, ovvero consente l’adattamento al cambiamento avvenuto. I meccanismi di plasticità legati alla differente resilienza allo stress (il fatto che alcuni sono più resilienti di altri) coinvolgono diversi circuiti neurali (non solo l’asse HPA) e sistemi neurotrasmettitoriali. Ciò che differenzia un individuo resiliente da uno vulnerabile è che il primo è in grado di adattarsi positivamente in risposta agli stressor e riesce a passare dall’omeostasi all’allostasi, è quindi capace di mantenere la stabilità dei sistemi fisiologici per mezzo del cambiamento (attraverso la plasticità). NB: mentre l’omeostasi è la capacità dell’organismo di tornare alla situazione precedente alla perturbazione, l’allostasi è la capacità di creare una nuova situazione di equilibrio. Nella risposta allo stress mettiamo in atto tutta una serie di risposte emotive e fisiologiche per rispondere e fronteggiare una situazione problematica percepita come eccessiva. La resilienza è un processo attivo (non è subito passivamente dall’individuo), adativo e non è semplicemente un’assenza di risposte patologiche. Tutti i meccanismi alla base della resilienza sono di diversa natura (ambientali, genetici ed epigenetici) e coinvolgono precisi circuiti neurali. In particolare, l’ambiente e i fattori genetici nelle loro interazioni ed i meccanismi epigenetici contribuiscono alla resilienza attraverso cambiamenti plastici adattativi, che hanno luogo in diversi circuiti neurali che coinvolgono numerosi neurotrasmettitori e numerose vie molecolari. La plasticità sinaptica riguarda la variazione a breve e a lungo termine nell’efficacia della trasmissione sinaptica indotta dal pattern di stimolazione (es. maggiore comunicazione tra due cellule, nuove proteine, nuove sinapsi,…). L’insieme dei cambiamenti plastici è alla base della capacità di far fronte con successo alle situazioni avverse. Geni, ambiente e cambiamenti plastici influenzano la risposta da stress. La resilienza passiva si riferisce all’assenza di risposte negative, patologiche. La resilienza attiva determina un buon adattamento e prevede risposte molecolari positive, adattive. Qual è la relazione tra l’esperienza di stress e le risposte neuroendocrine? L’individuo resiliente è caratterizzato in termini di come il suo sistema dello stress risponde agli stressor. Mentre lo stress è la risposta normale a un evento traumatico, dal punto di vista cerebrale (anche quando mettiamo in atto una risposta da stress funzionale) tale risposta richiede un dispendio energetico: si richiede una riorganizzazione a carico dei circuiti neurali per permettere un adattamento. Ogni esperienza stressante, quindi, può rappresentare un apprendimento (perché gli eventi stressanti portano a una modificazione dei circuiti cerebrali). I protocolli per lo studio della risposta da stress nell’animale tipicamente sono i protocolli dello stress gastrointestinali a partire dal triptofano, il quale va assunto con l’alimentazione. Una ricerca su 847 membri ha osservato che chi ha alleli più corti del gene 5-HTT ha una maggiore predisposizione a sviluppare una sintomatologia depressiva dopo un evento traumatico, mentre chi ha un allele lungo si mostra come più ottimista e con migliori capacità di riassestamento in seguito a eventi traumatici. La vulnerabilità genetica si riferisce al fatto che si può possedere un genotipo vulnerabile, ma tale genotipo non determina necessariamente lo sviluppo di una patologia: costituisce solo una predisposizione allo sviluppo di patologie. Il gene non si può modificare, ma l’ambiente può modificare l’espressione del gene e, in particolare, il passaggio di un gene dalla condizione off (spento) alla condizione on (acceso). Studi sull’uomo hanno dimostrato come lo stress sociale altera l’espressione genica, modifica la barriera ematoencefalica (lo stress ci rende più vulnerabili), favorisce l’infiammazione cronica e la compromissione dei centri cerebrali che mediano il piacere e la motivazione (alterazioni strutturali riscontrabili a livello al nucleo accumbens), quindi avvia, mantiene e amplifica un loop depressivo. L’infiammaziione porta alla compromissione della barriera ematoencefalica, quindi tale barriera può essere penetrata dalle citochine, le quali sono importanti per combattere l’infiammazione, ma la scatenano anche se la presenza delle citochine è importante. Le citochine in una risposta immunitaria normale attaccano le cellule infette; in una risposta alterata per via di un’alterazione della barriera ematoencefalica, le citochine alterano la funzionalità anche delle cellule sane. La riduzione delle funzioni immunitarie associata all’infiammazione cronica di basso grado e l’aumento delle citochine proinfiammatorie influenzano negativamente: metabolismo, densità ossea, forza, resistenza all’esercizio, apparato vascolare, funzioni cognitive e umore. Nella depressione c’è un piu elevato tasso di citochine nel sangue, per cui immunomodulatori possono ridurre i sintomi depressivi. Epigenetica L’esperienza gioca un ruolo importante nel determinare il comportamento. L’esperienza opera in presenza di un preciso background genetico. Sono i meccanismi epigenetici che spiegano le differenze individuali. I meccanismi epigenetici consentono l’”incorporazione biologica” dell’esperienza. Con tali meccanismi, però, i geni non si modificano. Ciò che si può modificare è l’espressione dei geni, ovvero il modo in cui i geni sono regolati. Dunque il fenotipo è determinato dall’interazione tra geni e ambiente. Tale interazione determina anche la predisposizione allo sviluppo delle patologie. Tutte le cellule del nostro organismo, anche se appartengo o ad organi diversi, hanno lo stesso DNA. Ciò che differenzia cellule diverse è l’epigenoma, ovvero la combinazione di geni spenti e geni accesi (quindi il modo in cui i geni del DNA sono regolati). L’epigenoma consente il differenziamento delle cellule in, per esempio, neuroni, cellule gliali, cellule della pelle,… Il genotipo è l’insieme dei geni che compongono il DNA. Il gene contribuisce al mantenimento funzionale dell’organismo e quindi determina il fenotipo (fisico e comportamentale) insieme all’interazione con l’ambiente. Il fenotipo, risultato di tale interazione, è l’insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali dell’organismo. L’interazione tra ambiente e genotipo determina lo sviluppo del SN e quindi il comportamento. L’epigenetica consente l’apprendimento dall’esperienza. L’epigenetica rappresenta il modo in cui i fattori ambientali e sociali, quindi l’esperienza, possono essere integrate a livello biologico: l’esperienza regola l’espressione del gene e quindi viene modificato il SN. L’epigenetica è cruciale per le modificazioni plastiche. Gli studi hanno indagato la relazione tra ambiente avverso che influenza l’epigenoma e quindi la propria resilienza nei confronti di eventi stressanti. Ciò spiega la relazione tra lo stress e la variabilità nei disturbi psichiatrici. In presenza di un agente stressante l’individuo può mettere in atto una risposta di adattamento positivo (individuo resiliente); in tal casom egli è meno vulnerabile allo sviluppo di disturbi psichiatrici. Sono state dimostrate delle differenze epigenetiche negli individui resilienti. Essi presentano delle differenze nel modo in cui sono espressi alcuni geni che sono legati ai sistemi che abbiamo visto prima, in particolare: geni legati alla funzione immunitaria, plasticità neurale, regolazione dello stress e neurotrasmissione. Inoltre negli individui resilienti ci sono delle differenze anche nei fattori di trascrizione, che rendono possibile la sintesi delle proteine e che sono dunque importantissimi per la plasticità neurale. In particolar modo, è stato osservato questo nelle aree implicate nella regolazione emotiva. Un altro meccanismo alla base della resilienza riguarda il gene del trasportatore della serotonina. In particolare, Nesler ha delineato delle scoperte recenti che riguardano la regolazione epigenetica di adattamenti neurobiologici (che riguardano il funzionamento dei neurotrasmettitori). Egli si è occupato di modelli animali, patologie psichiatriche e cervelli di umani con disturbi psichiatrici e ha in tal modo riscontrato un’alterazione del gene per il trasportatore della serotonina. Esperienze diverse determinano cervelli e comportamenti diversi. La variabilità interindividuale è regolata dal funzionamento di specifici ormoni, neurotrasmettitori e neuropeptidi. In questo senso si parla di interazione tra SN e sistema endocrino e quindi uno dei circuiti che permette la risposta adatti a allo stress chiama in causa una serie di ormoni e neurotrasmettitori il cui rilascio è regolato dall’asse HPA. L’asse HPA funziona con un feedback negativo: l’ipotalamo rilascia la corticotropina o CRH (un ormone), che viene capitata dall’adenoipofisi, che rilascia l’ormone adenocorticotropo o ACTH, il quale raggiunge la corticale del surrene, che rilascia il cortisolo (l’ormone dello stress), che viene immesso nel flusso sanguigno e raggiunge diversi organi bersaglio per prepararli ad attivare una risposta di adattamento. Oltre a raggiungere tali organi bersaglio, il cortisolo viene captato dalle strutture stesse dell’asse HPA, in particolare dall’ipotalamo e dall’adenoipofisi. Tale ricaptazione consente l’autoregolazione dell’asse: l’asse è in grado di sapere quanto cortisolo è in circolo e di inibire il rilascio del cortisolo in caso di eccessiva presenza di cortisolo. Se in tale meccanismo a feedback negativo c’è una disfunzione, si provocano delle alterazioni, anche a carico dell’ippocampo. I recettori del cortisolo sono i recettori dei glucocorticoidi. L’espressione del gene di tali recettori può essere regolata dall’interazione con l’ambiente. 27/03/2023 – sistema motorio Quali sono le strutture che intervengono nel controllo dell’azione? Slide 1 – I neuroni motori superiori più grandi si trovano in corteccia motoria primaria, ma anche cortecce premotorie e cortecce associative intervengono nel controllo dell’azione. Il controllo dell’azione e l’elaborazione dell’azione iniziano nelle aree associative multimodali (intervengono nella decisione del comportamento da attuare), passa alle aree associative unimodali (aree premotorie) e infine alle aree motorie primarie. Per quanto riguarda le aree associative multimodali, in particolare, nelle aree parietali posteriori (aree parieto-temporo-occipitali) arrivano le informazioni relative a come siamo disposti nello spazio, come sono organizzati gli oggetti nello spazio; le aree associative limbiche intervengono nella motivazione dell’azione. Per quanto riguarda le aree associative unimodali, quindi le aree premotorie, qui sulla base del comportamento che si è deciso di mettere in atto e delle informazioni che si sono ricavate relativamente all’ambiente esterno e alle motivazioni, viene elaborato uno schema motorio, il quale arriva in corteccia motoria primaria. Nella corteccia motoria primaria si trovano i neuroni motori superiori e tale corteccia mette in atto, pianifica materialmente, il movimento. La corteccia motoria interviene nella pianificazione, nell’avvio del movimento e nel controllo dei movimenti volontari (in particolare, quelli fini). Queste informazioni motorie poi passano ai nuclei del tronco, da cui partono delle vie (il cui comando arriva comunque dalla corteccia). Tali vie si trovano a vari livelli del tronco encefalico. Queste vie sono implicate nell’equilibrio, nella postura, nel controllo dei movimenti della testa e del collo rispetto al tronco. Tutte queste informazioni alla fine arrivano al neurone motorio inferiore, quindi a livello del midollo spinale. Il neurone motorio inferiore invia gli impulsi ai muscoli scheletrici, ovvero i muscoli legati al sistema osseo e che quindi permettono il movimento. I neuroni del circuito locale (localizzato a livello del midollo spinale) sono influenzati dalle strutture corticali, ma a loro volta influenzano i neuroni motori inferiori. L’attività di tali neuroni del circuito locale è innescata da input sensoriali che arrivano dalla periferia (riflessi). Inoltre, l’elaborazione del movimento viene anche influenzata da due strutture sottocorticali, ovvero i gangli della base e il cervelletto. I muscoli possono essere differenziati in flessori (es. il bicipite, che flette l’avambraccio sul braccio) ed estensori. Un’altra distinzione: muscoli distali (muscoli delle estremità del corpo, come quelli delle mani, dell’avambraccio, del piede e della gamba); muscoli prossimali (muscoli più vicini al centro del corpo, come quelli del braccio o della coscia); muscoli assiali (muscoli a livello del tronco). Quando flettiamo l’avambraccio sul braccio cosa succede? Il bicipite (flessore) si contrae e il tricipite (estensore) si rilassa. Invece, quando si estende l’avambraccio sul braccio, si contrae il tricipite e si rilassa il bicipite. Dunque, il tricipite e il bicipite agiscono “in contrasto” tra di loro. Altra distinzione: quando avviene una contrazione muscolare, alcuni muscoli sono agonisti (contribuiscono a compiere il movimento, es. bicipite nella flessione dell’avambraccio sul braccio), mentre altri sono antagonisti (compiono l’azione opposta a quella desiderata e quindi devono essere inibiti, es. tricipite nella flessione dell’avambraccio sul braccio). Un muscolo, però, non è sempre agonista o antagonista: un muscolo può essere entrambe le cose, a seconda del movimento. Il concetto agonista/antagonista è dunque relativo. I muscoli scheletrici, volontari, sono muscoli striati (vs muscoli lisci involontari degli organi interni vs muscoli cardiaci striati ma involontari). Ogni muscolo scheletrico è formato da tante fibre muscolari. Ogni fibra muscolare è innervata da un solo assone di un motoneurone inferiore (chiamato motoneurone alfa), il quale si trova nelle corna ventrali del midollo spinale. Tuttavia, ogni motoneurone inferiore innerva più fibre muscolari. Il motoneurone alfa e le fibre muscolari da esso innervate costituiscono un’unità motoria. L’insieme delle fibre muscolari di un muscolo è innervato da tanti motoneruoni. L’insieme dei motoneuroni che innerva le fibre di un muscolo è definito pool di motoneuroni. Un muscolo è innervato da un pool di motoneuroni. Un muscolo è capace di compiere movimenti fini se è costituito da tante piccole unità motorie, ovvero tanti motoneuroni alfa che innervano poche fibre muscolari. Un muscolo è forte e compie movimenti grossolani se è innervato da poche unità motorie grandi, ovvero da pochi motoneuroni alfa che innervano tante fibre muscolari. Come facciamo a controllare la forza muscolare, ovvero a contrarre in modo ottimale i muscoli in base all’intensità della forza che bisogna applicare, per es. per sollevare un sacco pesante o un sacco leggero? Modulando il numero di unità motorie attive e regolando la frequenza di scarica dei motoneuroni. Il motoneurone alfa riceve diversi input: informazioni motorie che vengono dalle strutture corticali, input sensoriali e input da altri interneuroni (gli interneuroni hanno un’importanza cruciale nel regolare i meccanismi di comportamento). Il motoneurone alfa è detto inferiore perché è l’ultima tappa prima dell’uscita verso la muscolatura scheletrica. In prima analisi consideriamo le informazioni sensoriali che arrivano dalla muscolatura scheletrica. Tali informazioni arrivano da recettori che si trovano all’interno dei muscoli. Tali recettori si chiamano fuso neuromuscolare. Tale recettore che tipo di informazioni manda al motoneurone inferiore? Per rispondere a tale domanda, prima osserviamo la posizione del fuso neuromuscolare in relazione alle fibre del muscolo: esso si trova in parallelo rispetto alle fibre muscolari, mentre è in serie rispetto alle inserzioni del muscolo col tendine e del tendine con l’osso. Tale posizione è importante per la funzione del fuso neuromuscolare. Ora osserviamo da cosa è composto il fuso neuromuscolare. Innanzitutto, tale fuso è circondato da una capsula fibrosa ed è costituito da fibre muscolari intrafusali, da terminazioni sensoriali che attorcigliano le fibre intrafusali e trasmettono informazioni al motoneurone alfa e da un assone motorio (assone del motoneurone gamma, il quale si trova comunque nelle corna ventrali del midollo spinale). All’esterno del fuso neuromuscolare troviamo le fibre muscolari extrafusali (ovvero le fibre del muscolo). Dunque, qual è la funzione del fuso neuromuscolare? Tale recettore evoca un riflesso. I comportamenti riflessi si riferiscono ai circuiti locali che si trovano all’interno del midollo spinale. Tali riflessi sono innati, non possono essere appresi e non possono essere soggetti ad assuefazione. Il riflesso evocato dal fuso neuromuscolare è definito riflesso da stiramento. Quando tale riflesso è assente o troppo accentuato, ciò è segno di patologia. Tale riflesso è detto da stiramento perché è evocato dallo stiramento del muscolo. Il martelletto percuote il tendine, di conseguenza si stirano sia il tendine che il muscolo. Dunque, anche il fuso neuromuscolare si stira (insieme al muscolo). Quando le fibre fusali si stirano si attivano le fibre sensoriali, quindi l’informazione sensoriale dal fuso neuromuscolare arriva al motoneurone alfa, il quale si attiva e quindi si contraggono le fibre muscolari. In particolare, per via dell’attivazione del motoneurone alfa si contrae il quadricipite femorale, quindi la gamba si stende sulla coscia. Il riflesso da stiramento è anche detto miotatico perché parte dal muscolo ed estensorio perché la gamba si stende sulla coscia (con estensorio si intende un movimento antigravitario). Tale riflesso lo abbiamo anche in altri distretti corporei, ad esempio se con il martelletto si percuote sul tendine del bicipite l’effetto che si ha è una contrazione dell’avambraccio sul braccio. In tal caso, però, il movimento è di flessione. Tuttavia lo stiramento c’è comunque e c’è comunque un movimento antigravitario. Inoltre, tale riflesso è anche detto monosinaptico perché è caratterizzato da una sinapsi. La gravità costantemente stira i nostri muscoli e ciò dermina il tono muscolare, il quale è importante perché ci consente di stare in piedi. Lo stiramento è dato da un movimento gravitario. Prima abbiamo visto che nel fuso neuromuscolare c’è una 3. Formazione reticolare o via reticolo-spinale, è ipsilaterale. Interviene nel controllo della postura e della muscolatura assiale. In parte nasce dal bulbo, in parte dal ponte. Anche la via che parte dal bulbo comunque hanno un controllo corticale. Le vie dorsolaterali e quelle ventromediali sono vie discendenti, il cui target finale è il motoneurone inferiore delle corna ventrali. Il codice della linea attivata consente di non mischiare le vie tra di loro e quindi di mandare dei comandi motori nel modo corretto e specifico per determinate fibre muscolari. Dunque, come sono disposte tali vie a livello del midollo spinale? A livello delle corna laterali troviamo le vie laterali, mentre le vie ventromediali scendono lungo le colonne mediali del midollo spinale. Infine, tali vie arrivano a livello delle corna ventrali (slide 33), nelle quali è presente una rappresentazione topografica: nelle parti più laterali delle corna ventrali sono rappresentati i muscoli distali, mentre nelle parti più mediali sono rappresentati i muscoli assiali. Dunque, le vie dorsolaterali, che controllano principalmente la muscolatura distale, fanno sinapsi nelle zone più laterali delle corna ventrali. Slide 34 – le corna ventrali sono più grandi a livello cervicale e a livello lombosacrale rispetto che a livello toracico perché a livello cervicale e lombosacrale c’è una maggiore rappresentazione dei muscoli distali (mani e piedi), i quali sono costituiti da un maggior numero di unità motorie. Slide 26 – il settimo paio di nervi cranici o nervo facciale ha una piccola componente sensoriale, relativa al gusto, e una grande componente motoria. C’è una differenza tra una lesione che riguarda la corteccia (lesione centrale) e una che riguarda il nervo facciale (lesione periferica): la lesione centrale porta alla paralisi dell’emivolto inferiore, mentre quella periferica ha come conseguenza la paralisi dell’intero emivolto. Il nervo facciale è ramificato e innerva sia la porzione superiore che quella inferiore dell’emivolto. Se tale nervo viene lesionato, sono lese entrambe le fibre (sia quelle che innervano la porzione superiore, sia quelle che innervano la porzione inferiore) e ciò ha come conseguenza una paralisi dell’intero volto. Una lesione alla corteccia, invece, ha come conseguenza la paralisi di soltanto la porzione inferiore dell’emivolto perché l’emivolto superiore è controllato dalle cortecce motorie di entrambi gli emisferi. Slide 27 – il movimento volontario è regolato dalla corteccia, mentre quello involontario da strutture corticali (gangli della base). 29/03/2023 – ripasso sul sistema motorio 31/03/2023 – controllo dell’azione Il sistema motorio ci consente di mettere in atto e controllare le azioni. In che modo organizziamo le azioni utilizzando il sistema motorio? Attraverso l’organizzazione somatotopica, per cui ogni regione della periferia è rappresentata in corteccia, e all’organizzazione gerarchica, per cui l’inizio dell’azione motoria parte dalle aree associative, passa alla corteccia motoria e al tronco dell’encefalo fino ad arrivare al midollo spinale e infine ai muscoli. I vari livelli gerarchici, tuttavia, possono influenzarsi vicendevolmente. Qual è il ruolo delle aree associative unimodali motorie, ovvero delle aree premotorie? Esse organizzano gli schemi motori. Le aree premotorie sono due: l’area supplementare motoria e l’area premotoria propriamente detta. Slide 2 – esempio che rende cosa vuol dire l’alterazione di uno schema motorio. In uno schermo di plexiglass c’è un foro in cui è incastrata una nocciolina. La scimmia deve prendere la nocciolina. A sinistra la scimmia normale fa il movimento corretto: spinge la nocciolina con una mano e la fa cadere sull’altra mano che è posizionata sotto al foro. La scimmia a destra, invece, fa un movimento scorretto, afinalistico, che non consente di prendere la nocciolina: spinge la nocciolina con entrambe le mani, sia da sopra che da sotto. Tale scimmia presenta una lesione all’area supplementare motoria destra e quindi presenta un’alterazione a livello dell’area che elabora gli schemi motori. In che modo il sistema motorio si rappresenta il movimento? Slide 3 – Sherrington aveva ipotizzato che i gatti con lesione a livello lombare potessero camminare sul tapiroulant grazie a input sensoriali provenienti dalle radici dorsali. Brown ha sezionato le radici dorsali e ha visto che anche in questo caso (in assenza di feedback sensoriali) i gatti comunque camminano in modo corretto sul tapiroulant. Di conseguenza, il feedback sensoriale non sembrerebbe indispensabile per il movimento. Slide 4 – A sinstra una scimmia con radici dorsali dell’arto anteriore sinistro lesionate: la scimmia per arrampicarsi non utilizza l’arto con le radici dorsali lesionate, anche se tale arto è totalmente funzionante a livello motorio. A detrsa una scimmia con radici dorsali di entrambi gli arti anteriori lesionati: tale scimmia utilizza entrambi gli arti per arrampicarsi. Si osserva questa differenza perché la scimmia a sinistra preferisce utilizzare l’arto con feedback sensoriali, ma la scimmia a destra, poiché non riceve feedback sensoriali da entrambi gli arti anteriori, li utilizza entrambi. La scimmia a destra comunque si arrampica in modo pressocché normale, quindi forse la scimmia ha una rappresentazione mentale di come arrampicarsi che non dipende da input sensoriali, ma da un programma centrale che l’animale ha e che riesce ad attuare anche in assenza di feedback sensoriale. Slide 5 - Ciò è stato osservato anche nell’uomo. Esistono delle patologie chiamate neuropatie che colpiscono i nervi periferici e alcune neuropatie colpiscono la porzione sensoriale dei nervi periferici. I pazienti con neuropatie sensoriali sono in grado di disegnare nel vuoto, al buio (in assenza di controllo sensoriale visivo), delle forme (un cerchio, un otto e un quadrato). Tali pazienti sono in grado di fare ciò anche se non hanno la percezione di cosa fa la mano e di dove si trova la mano. Dunque, anche nell’uomo esistono delle rappresentazioni mentali dell’azione che possono essere utilizzate anche in assenza di feedback sensoriale. Le aree corticali cosa si rappresentano del movimento? Slide 6 – Prova al buio. Il soggetto vede una luce che si accende. La luce si spegne. Il soggetto deve raggiungere la posizione in cui precedentemente si è accesa la luce. Tale prova viene ripetuta diverse volte. La luce si accende sempre nella stessa posizione in tutte le prove. Il soggetto all’inizio compie questo movimento con qualche errore. Più prove svolge, più si avvicina alla posizione esatta. Cosa succede in una situazione in cui il soggetto che compie tale test è una scimmia con le radici dorsali lesionate? Tali scimmie non ricevono informazioni sensoriali. La scimmia viene istruita a raggiungere la posizione della luce quando essa si spegne. Inoltre, quando la luce si spegne, ovvero nel momento in cui la scimmia deve iniziare il movimento, viene applicata una forza che blocca per un breve arco di tempo l’arto della scimmia (tale forza non viene percepita dalla scimmia perché la scimmia ha le radici dorsali lesionate e si trova al buio). In seguito, tale forza non viene più applicata e la scimmia comunque raggiunge la posizione della luce. Dunque, che tipo di codificazione c’è stata a livello corticale? E’ stata coficata la posizione nello spazio della luce e non la distanza che la scimmia deve compiere per raggiungere la luce. Infatti, se invece fosse avvenuta una codifica della distanza tra la scimmia e la luce, la scimmia si sarebbe fermata prima di raggiungere la posizione della luce dato che, secondo la scimmia, lei ha mosso l’arto anche quando in realtà non l’ha mosso perché al suo arto era applicata una forza che si opponeva al movimento dell’arto, la quale però non è stata percepita dalla scimmia. Slide 7 – scimmia deafferentata e al buio. La scimmia deve raggiungere la posizione della luce che si accende e poi si spegne. La scimmia non sa che il suo arto è stato passivamente spostato dalla posizione iniziale alla posizione finale. In seguito a tale movimento passivo, la scimmia sporsta indietro (verso la posizione iniziale) l’arto. Questo perché il sistema motorio della scimmia era pronto a partire dalla posizione iniziale. Dunque, il suo sistema motorio gli dice “parti dalla posizione iniziale, torna alla posizione iniziale”. (Lo spostamento passivo dell’arto viene considerato come un passaggio da uno stato a un altro.) Per la scimmia, dunque, conta anche la posizione iniziale, oltre che la posizione finale. Slide 8 – Esistono due modelli, che non sono contrapposti o alternativi, ma si integrano l’un l’altro (esistono entrambi). Un modello è quello gerarchico: ciò che noi abbiamo come target finale è la posizione spaziale; la traiettoria e i movimenti che la compiono sono selezionati dalla posizione spaziale che deve essere raggiunta (la traiettoria viene elaborata sulla base della posizione finale, elaborata in precedenza). Tuttavia, se noi vogliamo afferrare un oggetto, per afferrarlo possiamo effettuare diversi movimenti. Dunque, l’elaborazione del movimento è un po’ più complessa: il movimento non dipende solo dalla posizione spaziale finale; si può decidere e scegliere quale traiettoria mettere in atto. Perciò è stato elaborato un altro modello: il modello del controllo indipendente: noi controlliamo indipendentemente la posizione e la traiettoria; i muscoli sono controllati in base alla posizione e alla traiettoria. Il modello gerarchico è più elementare, semplice, evolutivamente più antico. Invece, il modello del controllo indipendente dà una complessibilità e una flessibilità maggiore al sistema motorio. Esistono prove del fatto che l’elaborazione della posizione è indipendente dall’elaborazione delloa traiettoria, e viceversa? Slide 9 – Esperimento in cui i soggetti vedevano un pallino che si spostava di 4 o di 7 gradi e sotto c’era uno sfondo, il quale, a sua volta, si spostava nella stessa direzione della pallina o nella direzione opposta a quella della pallina. A dei soggetti veniva chiesto quale fosse la posizione raggiunta dal pallino, ad altri veniva chiesto quanta distanza avesse percorso il pallino. Tra questi due task c’è una dissociazione: i soggetti sono in grado di individuare correttamente la pozione spaziale finale del pallino sia se lo sfondo si muove nella stessa direzione del pallino, sia se lo sfondo si muove nella direzione opposta; tuttavia, per quanto riguarda il task che richiede di determinare la distanza compiuta dal pallino, i soggetti sono in grado di rispondere in modo corretto solo se lo sfondo si è mosso nella stessa direzione del pallino e non se si è mosso in direzione opposta (in questo caso i soggetti hanno la percezione di un movimento amplificato: percepiscono che il pallino abbia compiuto una distanza maggiore rispetto a quella che realmente ha compiuto). Tali risultati ci dicono che l’elaborazione della posizione e l’elaborazione della traiettoria possono essere indipendenti. Slide 11 – Il Modello di MacKay ci dice come viene rappresentata gerarchicamente la messa in atto di sequenze di comportamenti motori complessi. Tale rappresentazione prevede tre livelli: -livello concettuale (aree multimodali): viene elaborato lo scopo dell’azione (il ragazzo deve decidere se vuole ballare e come rispondere alla domanda “voi ballare?” della ragazza); il ragazzo deve decidere che azione effettuare; -livello lessicale (aree unimodali): così chiamato perché il lessico è l’insieme dei vocaboli che ci consentono di esprimere dei concetti; anche a livello motorio possiamo avere un lessico (es. “sì”, dare la mano alla ragazza, fare l’occhiolino,…); vengono elaborati tutti i movimenti possibili (tutti i possibili schemi motori) per ottenere lo scopo che si vuole raggiungere; -livello dell’attuazione motoria (aree motorie primarie): livello più elementare di attuazione motoria. Slide 12 – Un soggetto scrive una parola con la mano destra, poi con quella sinistra, poi con la bocca e poi con il piede destro. La grafia rimane la stessa nonostante l’effettore cambi. Ciò fa pensare che il soggetto possega delle rappresentazioni mentali che sono indipendenti dall’effettore (dalla parte del corpo che si utilizza per scrivere). Dunque noi abbiamo delle rappresentazioni motorie dei movimenti che abbiamo ben appreso. Invece, nelle fasi iniziali, quando si impara a scrivere, viene utilizzato molto il controllo periferico degli effettori. Quando si impara un’azione si utilizza molto il controllo degli effettori periferici; quando l’azione è ben appresa si utilizza uno schema motorio, quindi si utilizza molto di più il controllo corticale piuttosto che quello periferico. 03/04/2023 – continuo sul controllo dell’azione Come possiamo studiare qual è la funzione di una zona della corteccia? Un modo per fare ciò è quello di fare delle registrazioni intraneuronali durante l’esecuzione di compiti, le quali solitamente vengono effettuate nelle scimmie. Slide 14 – Immagine sopra: La scimmia doveva spostare la leva partendo da una posizione centrale verso una di queste 8 posizioni in cui si accendeva una luce (movimento in direzione radiale dal centro alla periferia). Immagine sotto: la luce si accende e l’animale deve spostare la leva dalla periferia verso il centro. A destra (sia sopra che sotto) si osserva l’attività dello stesso neurone durante l’esecuzione di questi compiti. Quando si attiva maggiormente tale neurone? Nei movimenti verso il basso (dal centro alla periferia e dalla periferia al centro). Dunque, tale neurone codifica la direzione del movimento. Slide 15 – immagini a e b. Tale neurone, invece, si attiva al massimo a 180 gradi, ma si attiva anche per le posizioni vicine (a 90 e 270 gradi). Tuttavia, la nostra corteccia motoria è in grado di identificare delle direzioni ben precise… in che modo lo fa? Immagine c: la cellula 1 (viola) si attiva al massimo a 180 gradi, mentre la cellula 2 (verde) si attiva al massimo a 90 gradi. La direzione del movimento compiuto è dato dalla somma del direzione del vettore per la cellula 1 e la direzione del vettore per la cellula 2 (nel momento in cui si osserva tale movimento). Il risultato di tale somma vettoriale è un vettore di popolazione per le cellule 1 e 2. Ovviamente, in realtà, la sommatoria riguarda non 2 cellule, ma tantissime cellule. Il vettore di popolazione è il risultato della somma della direzione indicata da un gruppo di neuroni. Il vettore di popolazione indica la direzione del movimento da compiere. Che tipo di caratteristiche ha il vettore di popolazione? Slide 16 – Si accende una luce (cue), la quale indica verso quale punto la scimmia deve muovere la leva. In seguito c’è un periodo di ritardo (500ms) e poi un altro segnale che dice alla scimmia che può muoversi. Nel periodo di ritardo la scimmia non si muove, ma sa già verso dove dovrà muovere la leva. Dal grafico dei vettori di popolazione (a destra) si può vedere che nel periodo di ritardo tali vettori si preparano al movimento: i vettori di popolazione sono già direzionati verso la posizione verso cui bisognerà effettuare il movimento. Dunque, i vettori di popolazione hanno un valore predittivo: allertano la corteccia motoria che bisognerà effettuare un movimento in quella direzione. Dunque, la corteccia motoria progretta movimenti, anche se elementari (la corteccia premotoria invece progetta i movimenti complessi). Slide 17 – condizione interna (memoria di target illuminati), il target si illumina e poi si spegne, quindi la scimmia deve raggiungere la posizione del target ricordandosela. Nella condizione esterna (target illuminati), invece, il target illuminato non si spegne, quindi l’animale deve raggiungere la posizione del target ancora illuminato (in questo caso non interviene la memoria, ovvero lo stimolo interno). L’area supplementare motoria si attiva nella condizione interna, ovvero quando il comportamento viene messo in atto in risposta allo stimolo interno (il ricordo); l’area premotoria si attiva nella condizione esterna, ovvero quando il comportamento viene messo in atto in risposta allo stimolo esterno. Ciò è concorde a quanto detto prima, ovvero al fatto che la SMA fa parte del circuito interno e l’area premotoria fa parte del circuito esterno. Slide 31 – studio in fMRI. I soggetti devono apprendere che quando c’è il suono X devono schiacciare un pulsante, mentre quando c’è un suono Y devono schiacciare un altro pulsante. Le sequenze dei movimenti che devono effettuare possono essere ben apprese o da apprendere. In fMRI si effettua una sottrazione per osservare qual è l’attivazione specifica di un compito: si sottrae all’attivazione durante l’esecuzione della sequenza ben appresa l’attivazione durante l’esecuzione della sequenza da apprendere per avere le aree attive durante l’esecuzione della sequenza ben appresa. Invece, sottraendo alle aree attive durante l’esecuzione della sequenza nuova le aree attive durante l’esecuzione della sequenza vecchia (aree rosse), si ottengono le aree attive durante l’esecuzione delle sequenze nuove: la corteccia prefrontale laterale, la corteccia premotoria, la corteccia parietale e il cervelletto. Sottraendo alle aree attive durante l’esecuzione della sequenza vecchia le aree attive durante l’esecuzione della sequenza nuova (aree blu), si ottengono le aree attive durante l’esecuzione delle sequenze vecchie: area supplementare motoria, ippocampo e regioni occipitali. Dunque, il circuito interno interviene nell’esecuzione di sequenze ben apprese (vecchie), mentre quello esterno nell’esecuzione di sequenze nuove. Slide 32 – La corteccia parietale, quella premotoria e il cervelletto si attivano per movimenti guidati dall’esterno e durante le fasi di apprendimento; la corteccia supplementare motoria, il lobo temporale e i gangli della base si attivano per movimenti guidati dall’interno e per movimenti ben appresi. Il lobo temporale si attiva nell’esecuzione dei compiti ben appresi perché in tale regione c’è l’ippocampo, implicato nella memoria. Slide 33 – L’apprendimento è in grado di modificare l’attività corticale? Sì: il sistema nervoso è plastico. Slide 34 – apprendimento di una sequenza per suono – pulsante attraverso prove ed errori (c’è un suono e devo schiaciare un pulsante, ma non so qual è la corrispondenza suono – pulsante). Aree attivate durante le fasi di apprendimento: corteccia prefrontale dorsolaterale, corteccia premotoria (legata al circuito esterno), corteccia cingolata, cervelletto e lobo temporale inferiore. Tali aree sono quelle maggiormente modificate nella fase di apprendimento. Slide 35 – Sia circuito esterno che circuito interno in ultima analisi incidono sulla corteccia motoria primaria, da cui partono gli input che arrivano ai muscoli. Slide 36 - La corteccia motoria primaria si modifica per via dell’apprendimento? Queste sono le registrazioni dei potenziali evocati a livello della corteccia motoria primaria. Nelle fasi di riposo la situazione è uguale nel momento prima dell’esecuzione della sequenza ben padroneggiata e nel momento prima dell’esecuzione della sequenza nuova. Tuttavia, l’intensità del segnale è maggiore durante l’esecuzione delle sequenze ben padroneggiate. Dunque, l’apprendimento motorio determina una modificazione, non solo nelle aree associative, ma anche a livello dell’area gerarchicamente più inferiore a livello della corteccia, ovvero la corteccia motoria primaria. Slide 37 – quando compiamo un movimento dobbiamo prima programmare tale movimento. Tale programmazione prevede diverse fasi. Ad esempio, se una persona deve suonare il pianoforte, deve prima selezionare quali dita devono essere utilizzate per suonare le note, poi deve elaborare la sequenza dei movimenti delle dita per riprodurre la sinfonia desiderata e infine deve controllare sia la forza che deve applicare sui vari tasti che il tempo dell’applicazione di tale forza. L’elaborazione di queste quattro componenti della programmazione può essere alterata da lesioni che interessano determinati circuiti corticali. Quali sono le patologie che possono svilupparsi in seguito a una lesione della corteccia motoria? L’emiparesi, l’aprassia e il disturbo della selezione dei movimenti. Slide 39 – L’emiparesi. Una lesione dell’area motoria primaria o una lesione della via corticospinale determina una paresi della metà controlaterale del corpo. L’emiparesi fa sì che il soggetto è ancora in grado di compiere movimenti grossolani. Il soggetto non è capace di utilizzare più articolazioni contemporaneamente, per cui il suo movimento è grossolano. In basso a sinistra c’è un segno classico di emiparesi: se un soggetto normale a occhi chiusi sta con le mani davanti a sé parallele, il soggetto rimane in tale posizione senza problema; invece, in un soggetto con lesione alla via corticospinale o all’area motoria primaria, in cui c’è quindi un deficit di forza, l’arto pian piano si abbassa e la posizione non è mantenuta. Slide 40 – Un’altra caratteristica dell’emiparesi è che aumenta il tono muscolare (ipertono piramidale). Per cui, se un medico tenta di far effettuare al paziente con emiparesi un movimento di flesso-estensione, il medico trova una grossa resistenza nel far distendere l’avambraccio sul braccio. Una caratteristica di tale ipertono è il segno a serramanica, per cui la resistenza arriva fino a un certo punto e poi l’arto si sblocca. Ciò differenzia l’ipertono piramidale da quello extrapiramidale (che riguarda i gangli della base), in cui l’ipertono c’è per tutto il movimento, ma tale ipertono è come se fosse a scatti (segno della ruota ventata). Il soggetto con emiparesi è in grado di camminare, ma non riesce a flettere l’articolazione dell’anca e quella del ginocchio e di muovere normalmente il piede. Dunque muove la gamba come se fosse un bastone attuando un movimento di circonflessione. Per quanto riguarda il movimento di prensione delle mani, la prensione è grossolana (no capacità di compiere movimenti fini). Un’altra caratteristica dell’emiparesi riguarda il riflesso estensorio, il quale risulta accentuato (nell’emilato controlaterale del corpo). Un altro segno ancora è il segno di Babinski: in un soggetto normale, se viene passata una punta sulla pianta del piede, il riflesso naturale che si osserva è quello di flessione delle dita verso la pianta; invece, in un soggetto con emiparesi, se si passa una punta sulla pianta del piede, la risposta è una flessione dorsale (anziché ventrale). Il segno di Babinski è normale nei bambini fino ai 2 anni perché il SN motorio non è ancora completamente sviluppato, ma nei soggetti adulti è un segno anormale e segno di una lesione a livello della via corticospinale o dell’area motoria primaria. Slide 41 - L’aprassia è l’incapacità di eseguire movimenti ben appresi in assenza di deficit motorio o sensoriale. E’ più frequente in lesioni dell’emisfero sinistro, infatti è spesso associato con afasia. Ci sono due tipi di aprassia: l’aprassia idiomotoria e l’aprassia ideativa. L’aprassia idiomotoria è meno grave perché il soggetto mantiene ancora un’idea di come fare il movimento, anche se poi, di fatto, non lo sa attuare (il soggetto si sbatte in testa una spazzola, anziché pettinarsi; comunque, il soggetto ha mantenuto un’idea grossolana dell’utilizzo della spazzola). L’aprassia ideativa, invece, comprende la perdita dello schema motorio. Le prove per l’aprassia si raggruppano in prove in cui il soggetto deve eseguire dei movimenti mimandoli (es. “mi faccia vedere come si sbadiglia”, “come si lavano i denti?”) e in prove in cui al soggetto viene dato un oggetto e gli si chiede di compiere una sequenza (es. accendino e candela -> il soggetto deve accendere la candela con l’accendino; coltello e pane -> il soggetto deve tagliare il pane con il coltello). Slide 42 – Liepmann propone che nell’area 40 della corteccia parietale sinistra venga elaborata la rappresentazione dell’azione, la quale arriva direttamente alle aree premotorie della mano destra e attraverso il corpo colloso alle aree premotorie per la mano sinistra (quando il movimento deve essere compiuto con la mano sinistra). Per questo spesso l’aprassia è associata a una lesione dell’emisfero sinistro: perché è la corteccia parietale sinistra che elabora la rappresentazione dell’azione. Slide 43 – Viene chiesto al soggetto come aprirebbe una porta con una chiave (ma non gli viene data la chiave). Dunque, il soggetto deve compiere un movimento in seguito a un comando verbale e tale test è definito motorio. La prestazione nel test motorio viene confrontata con quella nel test percettivo. Test percettivo: il soggetto vede tre immagini (quelle nella slide) e deve indicare qual è l’immagine che meglio raffigura il movimento della mano che si effettua per aprire una serratura. Aprassia anteriore – lesione alle aree premotorie vs aprassia posteriore – lesione all’area parietale. Nel test motorio i soggetti con aprassia posteriore fanno tanti errori quanti quelli effettuati da chi ha un’aprassia anteriore. Nel test percettivo, invece, chi ha un’aprassia posteriore fa più errori di chi ha un’aprassia anteriore. Inoltre, nel test percettivo la prestazione degli aprassici anteriori e degli aprassici posteriori è confrontata con un gruppo di soggetti afasici (perché spesso gli aprassici sono anche afasici) che però non sono aprassici. I risultati nel test percettivo (errori maggiori per aprassia posteriore) sono in accordo con il modello di Liepmann, per cui l’area 40 elabora la rappresentazione dell’azione. In entrambi i casi, comunque, il test motorio è svolto male perché nell’aprassia posteriore c’è l’impossibilità di creare uno schema mentale e nell’aprassia anteriore c’è l’impossibilità di attuare il programma motorio. Per il modello di Liepmann la corteccia parietale è il livello più alto della gerarchia motoria. Slide 44 – La selezione dei movimenti. Slide 45 – Se c’è una lesione dell’area supplementare motoria (implicata nel circuito interno), non viene tanto meno la capacità di compiere movimenti ben appresi perché comunque ci sono tutte le altre aree del circuito che permettono di attuarli, ma quel che succede è che prevale la messa in atto di comportamenti in reazione a stimoli esterni (perché il circuito interno è invece alterato). Dunque, il sintomo di una lesione alla SMA è la sindrome della mano aliena: il soggetto è attratto da qualsiasi cosa ci sia all’esterno (il soggetto afferra qualsiasi cosa vede). Slide 47 – La selezione dei movimenti è un processo competitivo. Registrazioni intraneuronali in corteccia premotoria laterale. Task: compare un target che indica alla scimmia verso dove spostare la leva; tra il target e il segnale “GO” c’è un periodo. All’interno di questo task ci sono due condizioni: 1. L’animale deve muovere la leva verso la posizione indicata dal target (condizione di compatibilità) 2. L’animale deve muovere la leva nella direzione opposta a quella indicata dal target (condizione di incompatibilità). Nella condizione di compatibilità il movimento dell’arto è congruo con la direzione indicata dai vettori di popolazione nella fase preparatoria. Invece, nella condizione di incompatibilità, la direzione del movimento dell’arto è opposta a quella indicata dai vettori di popolazione nel momento di preparazione. Dunque, nella fase preparazione della condizione di incompatibilità prevale la tendenza a muovere l’arto nella direzione indicata dal target: i vettori di popolazione prima vanno verso il basso e poi man mano iniziano ad andare verso l’alto. Dunque, nella fase di preparazione c’è una competizione tra movimenti diversi, poi il soggetto sceglie la direzione in base a ciò che richiede il compito. Slide 48 – Tale competizione nella fase preparatoria è stata evidenziata dal potenziale di Bereitschaft: quando compare lo stimolo si ha un aumento dei potenziali in entrambi gli emisferi; poi, se il compito deve essere effettuato con la mano destra, nelle fasi in cui inizia il movimento il potenziale dell’emisfero destro viene bloccato e aumenta il potenziale dell’emisfero sinistro. Quindi, il SN si prepara a compiere una serie di movimenti e poi seleziona quello più appropriato per il compito. Slide 49 – Prima abbiamo visto che quando il soggetto deve eseguire sequenze complesse di movimenti con le dita della mano destra si attivano nell’emisfero sinistro, oltre all’area motoria e a quella somatosensoriale, la SMA e la corteccia prefrontale inferiore. Tuttavia, c’è un’attivazione della SMA e della corteccia prefrontale inferiore anche nell’emisfero destro. Mentre nell’emisfero dx SMA e corteccia prefrontale inferiore attivano la corteccia motoria, nell’emisfero sx la inibiscono. Ciò è quanto avviene in condizioni normali, ma in presenza di una lesione dell’area supplementare motoria questo meccanismo di inibizione viene meno e quindi il soggetto esegue le sequenze complesse di movimenti con entrambe le mani (movimenti speculari). 05/04/2023 – ripasso sul controllo dell’azione 12/04/2023 – continuo su epigenetica (vd. 24/03/2023) e inizio asse ipotalamo-ipofisi-surrene e risposta da stress L’epigenetica è il processo attraverso il quale vengono modificate funzioni ed espressioni dei geni legati a processi importanti del SN (es. geni dei trasportatori della serotonina, geni che codificano per un recettore,…). Una corretta funzionalità di tali geni garantisce una corretta funzionalità dei sistemi neurotrasmettitoriali e recettoriali. Le modifiche plastiche avvengono proprio a livello di questi sistemi. L’epigenoma è diverso dal genoma: il genoma è l’insieme di tutti i nostri geni, che sono unici e rappresentativi di ognuno di noi, e non è modificabile; l’epigenoma è la combinazione di geni spenti e geni accesi. Ciò che è modificabile dall’esperienza non è il genoma, ma l’epigenoma. Modificando l’epigenoma, l’ambiente modifica il fenotipo. I sistemi che possono andare incontro a tali modificazioni coinvolgono diversi tipi di ormoni, di neurotrasmettitori e di neuropeptidi. I circuiti che sono importanti in questo senso sono i sistemi dopaminergici, noradrenergici e serotoninergici, ma anche il sistema limbico (infatti strutture del sistema limbico, amigdala e ippocampo, intervengono nella regolazione dell’attività dell’asse HPA). Guarda appunti sull’asse HPA relativi all’ultima lezione sull’epigenetica. In più: l’ipotalamo è importante anche per altre funzioni, oltre a quella che svolge nell’asse HPA, ovvero, nella regolazione termica, nell’alternanza sonno-veglia, nella regolazione dell’omeostasi. L’asse HPA coinvolge l’ipotalamo, l’adenoipofisi e la corticale del surrene. L’obiettivo del cortisolo è quello di far sì che gli organi bersaglio mobilitino, conservino, le riserve energetiche necessarie per far fronte allo stressor. Se qualcosa va storto a un qualsiasi livello dell’asse HPA, il funzionamento di tale asse viene compromesso. L’azione a breve termine del cortisolo è protettiva, adattiva, utile per mettere l’organismo in condizioni di rispondere e di reagire allo stressor. Tuttavia, elevati livelli cronici di cortisolo in circolo diventano dannosi e portano a ipertensione (alterazione dei valori pressori), immunosoppressione, malattie cardiovascolari e danni all’amigdala e all’ippocampo. L’amigdala e l’ippocampo sono due strutture del sistema limbico strettamente connesse tra loro e posizionate vicine tra loro, sotto la corteccia temporale. Un fenotipo resiliente è associato alla capacità di limitare gli aumenti di corticotropina e di cortisolo indotti dallo stress, attraverso il funzionamento ottimale del sistema a feedback negativo, il quale prevede il funzionamento ottimale dei loro volta alterati da elevati livelli di cortisolo). L’amigdala è la struttura dalla quale parte l’attivazione dell’asse perché elabora le informazioni sensoriali e le valuta come pericolose o meno. L’asse HPA è attivato da due tipi di meccanismi: un meccanismo reattivo (presenza di un segnale diretto, uno stressor diretto) e un meccanismo anticipatorio (meccanismo predittivo operato dall’amigdala e basato su associazioni di paura, su apprendimento alla paura). L’amigdala quindi attiva l’asse HPA anche quando la minaccia non è presente, ma è presente uno stimolo che in precedenza è stato associato con uno stimolo minaccioso. L’amigdala media una serie di importanti processi cognitivi legati allo stress anticipatorio, producendo risposte rapide e adattive in condizioni di minaccia (es. ci troviamo nel bosco; sentiamo un rumore e quindi scappiamo, senza neanche sapere cosa abbia provocato quel rumore.. e magari potrebbe essere stato un semplice scoiattolo, e non un orso). In particolare, l’amigdala svolge un ruolo principe nel riconoscimento della valenza emotiva di situazioni sociali, influenza la processazione pre-attentiva (incosciente) di stimoli emozionali ed è implicata nell’apprendimento emotivo e nei processi decisionali (incoscienti). Il nucleo laterale dell’amigdala svolge inoltre la funzione di accoppiare esperienze coscienti o incoscienti con specifici stati omeostatici ed è responsabile dell’attivazione di centri neuroendocrini autonomi a livello ipotalamico e del tronco encefalico, permettendo l’apprendimento emotivo. Il blocco dell’attivazione autonoma (noradrenergica) impedisce infatti la fissazione di memorie emozionali. Il lobo frontale è una regione della corteccia cerebrale molto estesa ed è composta da una serie di sotto- regioni. E’ la corteccia prefrontale che è implicata nella presa di decisione e nella modulazione dell’attività dell’amigdala. La corteccia prefrontale occupa la zona più anteriore del lobo frontale. Tale area svolge una serie di funzioni molto importanti che riguardano la pianificazione dei comportamenti cognitivi complessi, l’espressione della personalità, la presa di decisioni e la moderazione della condotta sociale. Inoltre, la corteccia prefrontale è considerata la regione che guida i pensieri e le azioni in accordo con i propri obiettivi. Dunque, tale area è capace di una pianificazione molto complessa perché consente di pianificare un’azione finalizzata a un obiettivo specifico e di modificare il proprio comportamento in risposta a eventuali modifiche che si verificano nell’ambiente esterno. La corteccia prefrontale è dunque responsabile dei comportamenti flessibili e modificabili. Nei soggetti con disturbi d’ansia c’è un’iperattivazione dell’amigdala e un’ipoattivazione della corteccia prefrontale. Tuttavia, attraverso psicoterapia o meditazione trascendentale è possibile aumentare l’attivazione della corteccia prefrontale e ridurre l’attivazione dell’amigdala. Tali modificazioni sono possibili grazie alle caratteristiche plastiche del nostro cervello. Tali modificazioni possono essere di diverso tipo: rafforzamento di sinapsi, aumento del numero di recettori disponibili, aumento della quantità di neurotrasmettitore disponibile, aumento del numero di sinapsi (regola di Hebb). Per quanto riguarda la sensibilità agli effetti dello stress, essa è condizionata dallo sviluppo: lo stress subito nel periodo iniziale della vita può avere conseguenze a lungo termine, con incremento della vulnerabilità a stress successivi. Nell’uomo le risposte di stress sono espressione di un programma biologico integrato e geneticamente controllato: il modo in cui rispondiamo agli stressor in parte dipende dal genoma; la valiutazione dello stressor dipende in parte dal genoma. L’adattamento omeostatico comprende sia il sistema endocrino che quello immunitario e, in particolar modo, nella risposta da stress si verificano delle modificazioni che riguardano il rilascio di diversi neurotrasmettitori, ormoni, fattori neurotrofici e mediatori del sistema immunitario. Tali modificazioni influenzano nel breve o nel lungo termine le risposte emozionale, affettiva e cognitiva, oltre che i comportamenti alimentare e sessuale dell’individuo. Se l’attivazione del sistema allostatico non è finalizzata, possono insorgere disturbi d’ansia, depressione e disturbi dell’umore in generale. I fattori genetici sono molto importanti nello sviluppo di malattie correlate allo stress, il quale dipende dall’interazione tra l’esperienza individuale (l’ambiente) e il genoma. I fattori epigenetici comprendono sia le esperienze della prima infanzia che quelle della vita adulta e nel loro insieme contribuiscono al profilo della personalità. Effetti neurobiologici negativi dell’evento stressante, attraverso la loro interazione con il genoma, possono favorire la comparsa di un disturbo del comportamento. Le alterazioni principali indotte da un’alterazione della risposta da stress riguardano i recettori dei glucocorticoidi, il rilascio (aumentato) di glutammato e serotonina e i fattori neurotropici (ridotti), i quali sono responsabili della trofia dei neuroni. Slide 54 – studio sui meccanismi epigenetici condotto su topi. I cuccioli che hanno ricevuto poco nutrimento dalla madre mostrano un cambiamento epigenetico associato a un aumento della metilazione del gene che codifica i recettori per i glucocorticoidi e una sua ridotta espressione nell’ippocampo (dunque tali topini saranno più vulnerabili allo stress). Dunque, un’esperienza ambientale (lo scarso accudimento della madre) ha modificato l’espressione di un gene. Slide 55 – Una mamma topo che lecca poco e accudisce poco i propri figli determina nei suoi figli topi alti livelli di cortisolo e alti livelli di ansia. Invece, una mamma topo che lecca tanto e accudisce bene i propri figli determina nei suoi figli topi bassi livelli di cortisolo e bassi livelli di ansia. Studi sull’uomo: differenze tra bambini nati in incubatrice e bambini che ricevono subito il contatto skin to skin con la madre. Questi ultimi mostrano una migliore termoregolazione e una migliore attività del SNA. Una altro effetto di uno stress cronico riguarda il sistema immunitario, che è parte integrante del SNC poiché è in grado di riconoscere i segnali prodotti da stress psicofisici e da processi di natura infettiva, che non potrebbero invece essere percepiti dal cervello. Dunque, il sistema immunitario è un importante sistema di allarme che interagisce con il SNC. In particolare, i glucocorticoidi (il cortisolo) e l’adrenalina, rilasciati in seguito all’attivazione dell’asse HPA e del SNA simpatico, sono i principali mediatori attraverso cui il sistema neuroendocrino modula l’attività del sistema immunitario. Dunque, in presenza di stress c’è un rilascio di adrenalina e di cortisolo che modula l’attività dell’asse HPA e del sistema immunitario con un aumento del rilascio delle citochine, le quali sono responsabili della risposta infiammatoria. Le citochine sono in grado di attivare la risposta infettiva quando percepiscono un pericolo, ma a elevate quantità sono invece nocive. Dunque, le citochine possono agire sia in modo anti-infiammatorio (a basse quantità) che in modo pro-infiammatorio (a elevate quantità). Nello stress cronico il persistente aumento delle citochine attivando specifici recettori cerebrali, danneggiano l’attività funzionale del neurone in quanto inducono processi di apoptosi, eccito-tossicità, stress ossidativi e disordini metabolici. Inoltre, le citochine pro- infiammatorie accentuano la risposta dell’asse HPA. I principali neurotrasmettitori coinvolti nella risposta da stress sono… -La noradrenalina, prodotta a livello cerebrale da locus coeruleus e dalle ghiandole midollari; è implicata nella risposta attacco-fuga; un aumento del rilascio di noradrenalina causa un aumento dell’attività dell’amigdala, del nucleus accumbens, nella corteccia prefrontale e nell’ippocampo; l'iperreattività cronica incontrollata del sistema noradrenergico del locus coeruleus è associata a disturbi d'ansia e problemi cardiovascolari; -La serotonina, sintetizzato nel cervello e nei tessuti dell’apparato gastrointestinale a partire dall'amminoacido essenziale triptofano; lo stress acuto è associato ad un aumento del turnover della serotonina in diverse regioni del cervello, tra cui l'amigdala, il nucleo accumbens e la PFC; un’alterazione del sistema della serotonina è responsabile dell’insorgenza dei disturbi d’ansia e dell’umore in genere; è considerata il neurotrasmettitore dell’umore; -La dopamina, coinvolta nei meccanismi di ricompensa e di gratificazione; in presenza di stimoli gratificanti, c’è un rilascio di dopamina, che ci porta ad orientarci, in futuro, verso quello stimolo gratificante; gli stress acuti aumentano l’attivazione del sistema dopaminergico; il sistema dopaminergico, quindi, si attiva sia per stimoli positivi che per stimoli negativi; tale sistema è alterato nei soggetti traumatizzati e nelle persone che fanno esperienza di psicosociale, dunque in tali soggetti è compromessa la percezione della minaccia (che viene percepita come più intensa). L’apprendimento associativo tra aspettativa e premio/gratificazione modifica epigeneticamente i neuroni, i quali cominciano a includere nella propria struttura i recettori per la dopamina. Le funzioni esecutive La corteccia frontale è responsabile dei comportamenti orientati a uno scopo, quindi anche nella presa di decisione. Inoltre, è responsabile del controllo cognitivo, ovvero l’insieme di funzioni esecutive, l’insieme dei processi psicologici che ci consentono di utilizzare percezioni, conoscenze e scopi per orientare la selezione dell’azione e dirigere il pensiero. Dunque, il controllo cognitivo e la corteccia frontale sono alla base di tutti i comportamenti orientati a uno scopo specifico. Quando dobbiamo pianificare un comportamento orientato a uno scopo dobbiamo prendere una decisione ciò lo facciamo grazie al controllo cognitivo esercitato dalla corteccia frontale. Il lobo frontale comprende la corteccia motoria primaria, la corteccia premotoria, la corteccia prefrontale (la porzione più anteriore del lobo frontale), corteccia frontale laterale, corteccia orbitofrontale (o ventromediale) e corteccia frontale mediale. La corteccia prefrontale laterale, il polo frontale e la corteccia orbitofrontale sono coinvolti prevalentemente nel comportamento orientato a uno scopo e agiscono in interazione con le aree più posteriori, le quali sono aree sensoriali, e con le aree temporali (dunque anche aree sensoriali e aree temporali sono implicate nelle funzioni esecutive). La corteccia prefrontale è implicata nella pianificazione dell’azione, nella simulazione delle conseguenze dell’azione, nell’avvio e nell’inibizione dell’azione. La corteccia frontale mediale (porzione della corteccia prefrontale) è implicata nella guida e nel monitoraggio del comportamento in corso e lavora in stretta connessione con le altre aree della corteccia frontale. L’attività della corteccia frontale mediale consente di modificare la pianificazione dell’azione, per esempio, se cambiano gli obiettivi durante l’esecuzione dell’azione. Tutti gli animali prendono decisioni, ma le decisioni che prendono gli esseri umani possono essere più complesse rispetto a quelle che solitamente prendono gli animali. Ciò è possibile perché nell’uomo la corteccia frontale è molto grande. In particolare, di tale corteccia è molto sviluppata la sostanza bianca (connettività delle aree). La corteccia prefrontale è importante anche nella coordinazione dell’elaborazione delle informazioni di diverse aree del SN, perciò è connessa con tantissime aree del SN (aree motorie, aree percettive, regioni del sistema limbico, aree parietali, aree temporali, gangli della base, cervelletto, aree dell’emisfero controlaterale). Se c’è una lesione a carico della corteccia prefrontale, i sintomi sono perseverazione nel produrre una risposta sbagliata, incapacità di modificare il proprio comportamento in reazione alle variazioni ambientali, apatia, distraibilità, aggressività, difficoltà nelle relazioni sociali (incapacità di rispettare le regole di buona condotta sociale), comportamento di utilizzazione (comportamento guidato dallo stimolo esterno: se il soggetto si trova davanti un oggetto che è in grado di usare, senza considerare il contesto in cui si trova in quel momento), difficoltà nella presa di decisione. Qualcuno di questi sintomi si può verificare anche in condizione di stress cronico. Il comportamento orientato a uno scopo comprende due tipi due azioni: comportamento orientato a uno scopo in cui lo scopo è una ricompensa e l’abitudine, la quale è guidata dallo stimolo. Comportamento orientato a una ricompensa: sono in auto, accendo la radio (comportamento) per ascoltare la musica (ricompensa). Abitudine: sono in auto, la radio è rotta, ma mi viene da accenderla (per abitudine). Un’azione orientata a uno scopo gratificante può diventare un’abitudine. Le abitudini possono essere bloccate grazie al controllo cognitivo, il quale fa da mediatore tra comportamento orientato a uno scopo e comportamento abitudinario. Il controllo cognitivo richiede la memoria di lavoro, la quale ci consente di rappresentarci temporaneamente delle informazioni rilevanti per il compito ed è un’interfaccia che collega la percezione (qui ed ora), memoria a lungo termine (esperienze passate) e azione. Grazie alla memoria di lavoro possiamo esercitare il controllo cognitivo, il quale ci consente di perseguire degli scopi, pianificare delle azioni con obiettivi specifici e prendere una decisione. Dunque, la memoria di lavoro entra in gioco quando il comportamento è guidato dagli scopi e non dagli stimoli, come avviene nelle abitudini. La corteccia prefrontale è importantissima per la memoria di lavoro ed è responsabile della manipolazione delle informazioni che la memoria di lavoro stessa ci consente di rappresentarci temporaneamente. L’alterazione della corteccia prefrontale è associata a un’alterazione della memoria di lavoro, ma non ad un’alterazione nella capacità di associare le informazioni. A tal riguardo è stato condotto uno studio sulle scimmie. Test di risposta ritardata: la scimmia vede lo sperimentatore infilare il cibo in uno dei due pozzetti; i pozzetti vengono chiusi; lo schermo che separa la scimmia dallo sperimentatore viene oscurato e quindi la scimmia non vede più i pozzetti; dopo un delay la scimmia vede nuovamente i pozzetti e deve indicare il pozzetto con il cibo (e poi mangiare il cibo). La scimmia con lesione alla corteccia prefrontale laterale non riesce in questo compito di memoria di lavoro. Tuttavia, tale scimmia riesce nel compito di memoria associativa analogo, che comprende la presenza di uno stimolo visivo associabile al pozzetto con il cibo (un “+”) e uno stimolo visivo associabile al pozzetto vuoto (un “-“). 17/04/2023 (Siciliano) – controllo cognitivo Il caso di W.R.: WR si presentò in una clinica neurologica perché lamentava una serie di cambiamenti relativi alla motivazione e al comportamento. WR era sempre stata una persona sempre impegnata nello d’azione per raggiungere i sotto-obiettivi di un compito. E’ stato condotto uno studio con lo scopo di osservare i comportamenti orientati a uno scopo nei soggetti con lesione prefrontale in situazioni di vita quotidiana. In tale studio, quindi, per esempio, veniva chiesto al soggetto di andare al supermercato e fare la spesa al supermercato utilizzando TOT soldi; di andare dal giornalaio, comprare un giornale e riportare il resto; di chiamare un amico, prendere un appuntamento e recarsi all’appuntamento. La maggior parte dei soggetti con lesione prefrontale non erano in grado di portare a termine tale compito (es. i soggetti andavano al supermercato, ma, immersi nella moltitudine di stimoli, si dimenticavano il motivo per cui erano andati al supermercato; i soggetti chiamavano l’amico e poi si dimenticavano il motivo per cui l’avevano chiamato). Inoltre, tali soggetti non erano in grado i prevedere le conseguenze della scelta di determinati obiettivi (es. alcuni spendevano più del budget) e non erano in grado di determinare ciò che serve per realizzare gli obiettivi. Dunque, le funzioni richieste per un comportamento orientato a uno scopo e quindi per un controllo ottimale del compito e che erano deficitarie in tali soggetti sono la flessibilità, la visione del quadro generale e il monitoraggio degli obiettivi. Anche Norman e Shallice hanno proposto un modello che spiega il comportamento orientato a uno scopo. Nel loro modello la selezione dell’azione è un processo competitivo, per cui in presenza di stimoli che provengono dai vari sistemi percettivi è possibile attivare una serie di unità di controllo di schemi, sulla base degli stimoli percettivi. Tuttavia, le unità di controllo che si possono attivare possono essere tra loro in competizione e per risolvere tale competizione viene chiamato in causa il Sistema Attentivo Supervisore, il quale consente di selezionare l’unità di controllo e gli schemi più funzionali per portare a termine un compito. Se il SAS non funziona, la competizione non viene risolta e o non viene scelta l’azione ottimale e ne viene messa in atto una non ottimale o non viene proprio messa in atto un’azione. Dunque, il SAS è un sistema di controllo esecutivo attivo quando è necessario un monitoraggio continuo dell’azione e consente di dare rilevanza a specifici obiettivi e sotto-obiettivi, che consentono, in ultima analisi, di portare a termine l’obiettivo generale. La selezione dell’azione è un processo competitivo; se la competizione non viene risolta, il risultato è l’assenza dell’azione. Il SAS è maggiormente attivo quando la situazione richiede un progetto e una decisione e i collegamenti tra input e unità di controllo di schemi sono nuovi o non consolidati dall’apprendimento; quando la situazione richiede una risposta che è in competizione con una forte risposta abituale (la quale va inibita); quando la situazione richiede la correzione di errori o l’individuazione di problemi; quando la situazione è difficile o pericolosa; quando la situazione sensibilizza da un punto di vista emotivo la persona. Un’area implicata nel processo del controllo degli errori e nella rilevazione del conflitto di risposta nelle situazioni nuove è la corteccia cingolata anteriore. Studio: compito di discriminazione di lettere, al soggetto vengono presentate diverse lettere su uno schermo e il soggetto deve scegliere quale di due lettere vede; quando il soggetto commetteva un errore nel compito vi era un picco di attività nella corteccia cingolata anteriore (negatività correlata all’errore, ERN); tale picco si verificava anche quando il soggetto commetteva un errore, ma il soggetto non era consapevole di aver commesso tale errore; la ERN era presente anche quando il soggetto non commetteva un errore, ma il compito prevedeva la valutazione di un conflitto (le risposte che il soggetto avrebbe potuto dare generavano dei conflitti nella scelta). Dunque, la corteccia cingolata anteriore si occupa della valutazione del conflitto tra risposte e si attiva maggiormente nelle situazioni nuove e difficili: il sistema di monitoraggio rileva un alto livello di conflitto, il grado di vigilanza aumenta e l’aumento dell’attività della corteccia cingolata anteriore può servire a modulare l’attività delle altre aree corticali. Infatti, le funzioni esecutive sono tra loro distinte, ma per portare a termine un comportamento finalizzato è necessario che tali funzioni interagiscano tra di loro e che quindi anche la aree che si occupano delle varie funzioni esecutive entrino in interazione tra di loro. I disturbi del controllo esecutivo che insorgono in seguito a una lesione frontale includono disturbi di memoria (presenza di confabulazioni), disturbi del gesto (sindrome da disorganizzazione delle azioni; sindrome della mano aliena), disturbi del linguaggio (deficit grammaticali e di accesso lessicale), disturbi della consapevolezza (anosognosia), disturbi del controllo attenzionale (perseverazioni) e disturbi visuo- spaziali. Phineas Gage era un operaio che lavorava in una ferrovia. Un giorno, per spostare un masso da una zona in cui bisognava costruire le rotaie, utilizzò una spranga di ferro, la quale strusciò con della polvere da sparo e quindi gli trapassò parte del lobo prefrontale sinistro, in particolare la corteccia orbitofrontale. Nonostante tale lesione, Phineas Gage conservò tutte le funzioni primarie e continuò a lavorare finché non fu licenziato per via dei suoi cambiamenti di personalità dovuti a tale lesione. Infatti, Phineas Gage passò dall’essere una persona estremamente motivata e impegnata nel lavoro, affabile e rispettosa delle norme sociale all’essere poco rispettoso delle norme sociali e disinibito. Dal caso di Phineas Gage ci si è iniziati a interessare sul ruolo del lobo frontale. Altri casi che hanno consentito di approfondito il ruolo del lobo frontale si sono avuti in seguito all’utilizzo della leucotomia prefrontale, ovvero della lobotomia, la quale veniva utilizzata per curare patologie molto gravi (es. schizofrania, disturbi dell’umore molto gravi, epilessia,…). La leucotomia prefrontale consisteva nel lesionare i fasci di fibre che connettono il talamo con la corteccia prefrontale e venivano anche effettuate delle iniezioni di alcolo in diversi punti del lobo frontale. In seguito a tale chirurgia effettivamente i sintomi delle patologie venivano meno. Tuttavia, tale tecnica aveva ovviamente molte controindicazioni. Infatti, Rosemary Kennedy, sottoposta a tale chirurgia perché il padre riteneva che ella avesse dei comportamenti irascivi e un tono dell’umore molto basso, in seguito alla leucotomia fu ridotta a uno stato vegetativo: non era più in grado di parlare normalmente, non era in grado di fare discorsi di senso compiuto, trascorreva il tempo fissando il vuoto ed era ridotta a stare sulla sedia a rotelle. In seguito all’utilizzo della leucotomia prefrontale vengono meno le abilità importanti per mettere in atto un comportamento finalizzato, per cui la persona diventa apatica e demotivata. I primi studi sistematici sul lobo frontale sono quelli di Lurija sui veterani delle due guerre mondiali. Tali studi hanno permesso di dare una definizione alla sindrome disesecutiva, la quale è poi stata ridefinita ancora perché si è compreso che in realtà ci sono diverse sindromi disesecutive: i deficit che possono insorgere in seguito alla lesione di diverse parti del lobo frontale sono diversi. Baddeley e Wilson definirono la sindrome disesecutiva come un complesso sintomatologico che loro avevano riscontrato in un paziente che, in seguito a lesione frontale bilaterale, mostrava disturbi della memoria a lungo termine e una marcata incapacità in prove di pianificazione di strategie. Alterazioni in specifiche parti del lobo frontale possono portare ad alterazioni cognitive, emotive e comportamentali. Lesioni alla corteccia prefrontale dorsolaterale portano alla messa in atto di comportamenti disorganizzati e caotici con intrusione di azioni irrilevanti (è alterato il controllo inibitorio), a un disturbo dell’organizzazione e della pianificazione, a una scarsa flessibilità cognitiva e a difficoltà nell’affrontare situazioni complesse, la presenza di risposte abituali ed automatiche conservate (no shift da risposte automatiche a risposte in cui interviene il controllo volontario), difficoltà di selezione e organizzazione di schemi comportamentali nuovi, distraibilità e tendenza a orientare l’attenzione verso stimoli non rilevanti. Pazienti con lesione alla corteccia prefrontale dorsolaterale non sono in grado di portare il Test della Torre di Londra. Tale test prevede una difficoltà che cresce nel corso delle 12 prove e che richiede al soggetto di muovere delle palline forate, poste in una configurazione su una particolare struttura, fino a raggiungere una nuova configurazione, seguendo delle regole precise (es. deve utilizzare un numero limitato di mosse, non può prendere le palline con entrambe le mani,…). I soggetti con lesione in tale area non sono in grado di portare a termine tale compito perché sono incapaci di pianificare le mosse necessarie per portare a termine il compito, hanno una memoria di lavoro alterata (non riescono a mantenere in memoria le regole del gioco e non le seguono) e non sono in grado di monitorare le proprie azioni. Inoltre, i soggetti con lesione prefrontale dorsolaterale hanno delle prestazioni deficitarie nel Wisconsin Card Sorting Test (WCST), test molto utilizzato in ambito clinico per la valutazione delle funzioni esecutive. Il WCST prevede che il soggetto abbini le carte a due a due (le quali si differenziano per numero, colore e forma) seguendo un criterio stabilito dal medico. Il soggetto inizialmente non conosce il criterio e deve dedurlo per prove ed errori. Inoltre, quando il soggetto impara il criterio lo sperimentatore lo cambia senza dirglielo. Il soggetto deve dunque essere flessibile: deve comprendere che il criterio utilizzato finora non è più corretto e deve cercare di comprendere qual è il nuovo criterio per prove ed errori. In tale test l’informazione acquisita deve essere integrata con quella riguardante l’esito della risposta precedente, grazie alla memoria di lavoro. I soggetti con lesione prefrontale dorsolaterale hanno prestazioni deficitarie nel WCST perché tale test richiede l’utilizzo dell’inibizione della risposta, della flessibilità cognitiva (bisogna cambiare da una strategia precedentemente appresa a un'altra) e della memoria di lavoro. Tali soggetti tendono a perseverare (danno più volte la stessa risposta sbagliata) e a perdere il criterio, il quale non viene appreso. La corteccia prefrontale ventromediale (od orbitofrontale) è il “luogo” dove si realizza l’orientamento del processo decisionale e, inoltre, tale area si occupa dell’apprendimento e del riconoscimento delle norme sociali e della capacità dell’individuo di decidere in modo vantaggioso per sé quali sono i comportamenti da mettere in atto (quindi è associata ad aspetti emozionali; alla regolazione emotiva in base al contesto in cui ci si trova). La parte mediale della corteccia orbitofrontale si occupa di mantenere in memoria le associazioni tra uno stimolo familiare e la risposta gratificante; la parte laterale di tale area si occupa di sopprimere una vecchia risposta comportamentale, già seguita da un rinforzo, per sostituirla da una risposta più appropriata al contesto. Lesioni alla corteccia prefrontale ventromediale possono portare a una difficoltà nell’organizzazione della sequenza delle azioni (nella pianificazione), marcate alterazioni della regolazione emotiva e dei processi decisionali e incapacità nell’utilizzo delle informazioni contestuali. L’incapacità di tali soggetti nell’utilizzo delle informazioni contestuali si può osservare nello Iowa Gambling Task. Slide 34 – lo Iowa Gambling Test prevede che i soggetti facciano delle scommesse. Studio su soggetti con lesione in conrteccia orbitofrontale. I soggetti hanno di fronte a sé due mazzi che possono comportare vincite e perdite elevate e due mazzi che prevedono vincite e pene modeste. I soggetti con tale lesione tendono a mettere in atto un comportamento più rischioso di quello attuato dai soggetti di controllo. I soggetti con tale lesione anche se perdono sempre pescando dai mazzi A e B comunque non imparano dai propri errori e continuano a scegliere carte da quei mazzi. Dunque, nella corteccia orbitofrontale convergono informazioni sullo stato attuale dell’organismo che vengono utilizzate per scegliere il comportamento più vantaggioso. Che alterazioni possono insorgere in seguito a lesioni della corteccia cingolata anteriore? Mancanza di iniziativa e di attività spontanea, marcata apatia, indifferenza verso le proprie necessità, incapacità di inibire risposte precedentemente apprese e di controllare l’effetto di interferenza degli stimoli distraenti. I soggetti con lesioni in quest’area hanno prestazioni deficitarie nello Stroop Test perché hanno deficit dell’inibizione (della risposta automatica) e nella flessibilità cognitiva (capacità di passare da un comportamento automatico a uno più complesso). Alcune sindromi che possono insorgere in seguito a lesioni prefrontali (sono difficili da studiare perché sono molto rare: -Sindrome della mano aliena, può insorgere in seguito a lesione della corteccia frontale o in seguito a distruzione delle fibre che connettono i due emisferi e prevede comportamenti involontari in una delle due mani (la quale si muove come se appartenesse a un’altra persona); -Sindrome da utilizzazione o sindrome da dipendenza ambientale, dipendenza dagli stimoli, dall’ambiente; -Sindrome di Zelig, la persona imita completamente le persone le persone che ha davanti (personalità calameontica). Inizialmente le funzioni esecutive venivano anche chiamate funzioni frontali perché si riteneva che risiedessero unicamente nel lobo frontale. Tuttavia, anche altre aree sottocorticali sono implicate in tali, funzioni, come il talamo, i gangli della base e il cervelletto. 19/04/2023 – i gangli della base I gangli della base comprendono strutture del diencefalo (il corpo striato, costituito da nucleo caudato e putamen, e il globo pallido) e strutture del mesencefalo (il nucleo subtalamico e la substantia nigra). Il globo pallido è costituito da una porzione interna e da una porzione esterna. Il nucleo ventrolaterale del talamo riceve le informazioni dai gangli della base e le trasmette alla corteccia. In che modo i gangli della base contribuiscono al controllo del movimento? Slide 3 – I gangli della base sono doppi: si trovano sia a destra che a sinistra. Ora consideriamo cosa succede in una di queste due parti. All’interno dei gangli della base c’è un “gioco” di attivazione/inibizione. In tale gioco deve essere mantenuto un certo equilibrio che garantisce il buon funzionamento dell’intero circuito. Dalla corteccia prefrontale arrivano informazioni allo striato attraverso un neurone eccitatorio. In particolare, tale neurone eccitatorio fa sinapsi con interneuroni inibitori dello striato, i quali fanno sinapsi con altri interneuroni inibitori del globo pallido, i quali fanno sinapsi con un neurone eccitatorio del nucleo ventrolaterale del talamo, che fa a sua volta sinapsi con la corteccia (motoria/premotoria/supplementare motoria (circuito interno)/prefrontale/associativa). Dunque, la corteccia prefrontale aumenta la disinibizione del nucleo ventrolaterale del talamo (doppia inibizione = disinibizione): l’interneurone inibitorio del putamen ostacola l’inibizione che il globo pallido può esercitare sul talamo; il talamo è quindi più libero di agire, di E’ inserito nel circuito esterno (insieme a corteccia parietale e cortecia premotoria), il quale interviene nei movimenti innescati da stimoli esterni e nei movimenti non appresi. Slide 2 – il cervelletto nel corso della filogenesi è stato ricoperto dai lobi occipitali. Tuttavia, tra la corteccia e il cervelletto c’è una membrana relativamente sottile, definita tentorio. Il cervelletto è chiamato così perché sembra un piccolo cervello. Il cervelletto è costituito da due parti o emisferi: emicervelletto di destra o emisfero cerebellare destro ed emicervelletto di sinistra o emisfero cerebellare sinistro. Questi due emisferi sono uniti da una struttura mediale unica chiamata verme cerebellare. Il pavimento del quarto ventricolo cerebrale è formato dal ponte e dal bulbo, mentre il tetto del quarto ventricolo è formato dal cervelletto. Sezionando frontalmente il cervelletto è possibile osservare che esso è costituito da una grande porzione di sostanza grigia, la quale costituisce la corteccia cerebellare, e che più in profondità è presente una porzione di sostanza bianca, costituita da assoni che mandano info alla corteccia e da assoni che inviano info al cervelletto. All’interno della sostanza bianca sono presenti dei nuclei (sostanza grigia). Tali nuclei sono chiamati nuclei cerebellari profondi e sono 3 coppie ( 3 a destra e 3 a sinistra): il più mediale è il nucleo fastigio o fastigiale, poi c’è il nucleo interposito (formato dal nucleo globoso e dal nucleo emboliforme) e, infine, il nucleo più laterale è il nucleo dentato, il quale è il nucleo più grosso, che si è evoluto maggiormente nel corso della filogenesi e che è quindi maggiormente implicato nelle funzioni cognitive. Asportando il cervelletto è possibile osservare dei fasci di sostanza bianca chiamati peduncoli cerebellari. I peduncoli cerebellari si trovano in entrambi gli emisferi. Essi mettono in comunicazione il cervelletto con il resto delle strutture del SN. I peduncoli cerebellari sono 3 coppie (3 a destra e 3 a sinistra): il peduncolo cerebbellare superiore, il peduncolo cerebbellare medio e il peduncolo cerebbellare inferiore. Il peduncolo cerebellare inferiore porta informazioni alla corteccia cerebellare. Tali informazioni provengono dal midollo spinale, dai nuclei vestibolari e dall’oliva inferiore (regione del bulbo). Anche il peduncolo cerebbellare medio trasmette informazioni che arrivano alla corteccia cerebbellare, ma in questo caso le informazioni provengono dalla corteccia (quasi tutte le aree associative): le informazioni dalla corteccia arrivano ai nuclei pontini, gli assoni dei nuclei pontini formano il peduncolo cerebbellare medio, il quale attraversa la linea mediana e arriva alla corteccia cerebellare. Mentre il peduncolo cerebellare medio decussa, quello inferiore no. Infine, il peduncolo cerebellare superiore è l’unico che porta informazioni che provengono dal cervelletto e arrivano alla corteccia cerebrale: le informazioni passano dalla corteccia cerebellare ai nuclei profondi, gli assoni dei nuclei cerebellari profondi formano il peduncolo cerebbellare superiore, il quale decussa e arriva al nucleo ventrolaterale del talamo e infine le informazioni giungono in corteccia. Dato che sia il il peduncolo cerebbellare medio che quello superiore decussano, i rapporti del cervelletto con la corteccia sono controlaterali; poiché il peduncolo cerebbellare inferiore non decussa i rapporti del cervelletto con la periferia del corpo sono ipsilaterali. Dunque, se c’è una lesione nell’emicervelletto destro, i sintomi motori saranno presenti nell’emilato destro del corpo (il rapporto tra cervelletto e periferia del corpo è ipsilaterale); invece, i sintomi cognitivi riguarderanno l’emisfero cerebrale sinistro, il quale è maggiormente competente nel linguaggio. Tuttavia, i sintomi cognitivi associati a una lesione di un emisfero del cervelletto non sono così scontati: se un soggetto ha l’emisfero cerebbellare destro lesionato, è maggiormente probabile che esso abbia la funzione del linguaggio alterata; tuttavia, esso potrebbe presentare alterata anche la funzione ell’elaborazione visuo-spaziale (tipica dell’emisfero destro). I pazienti cerebellari hanno disturbi di articolazione motoria, chiamati disartria (incapacità di coordinare i movimenti). Infatti il cervelletto interviene nella coordinazione, rende i movimenti fluidi. Dunque, per una lesione cerebellare non si ha mai una paresi, per lesioni cerebellari non ci si aspetta gli stessi sintomi di una lesione corticale: per lesioni cerebellari la funzione non viene totalmente a mancare, è solo alterata (es. linguaggio non assente, ma poco fluido). Il peduncolo cerebbellare superiore trasporta informazioni alla corteccia attraverso il nucleo ventrolaterale del talamo: sia i gangli della base che il cervelletto inviano informazioni in corteccia attravero il nucleo ventrolaterale del talamo; tuttavia, per il codice di popolazione (codice della linea attivata) le informazioni provenienti da tali strutture non vengono mischiate. La corteccia cerebellare esternamente è costituita da tante “righe” che ricordano le circonvolluazioni cerebrali e che sono dette folia. Sono chiamate folia perché se osservate attraverso una sezione sagittale sembrano delle foglie. Le folie sono separate da fissure. Alcuni fissure sono più profonde e sono perciò dei punti di riferimento. In particolare, la fissura primaria separa il lobo anteriore dal lobo posteriore. Il lobo anteriore è prevalentemente implicato in funzioni motorie; il lobo posteriore è prevalentemente implicato in funzioni cognitive. Un’altra importante fissura è la fissura postero-laterale, la quale separa il lobo posteriore dal lobo flocculonodulare. Il lobo flocculonodulare (formato dal flocculo e dal nodulo) è come se fosse un nodulo a sé perché ha rapporti con i nuclei vestibolari. I vari folia si uniscono e così formano dei lobuli. Tali lobuli si trovano a livello degli emisferi e a livello del verme. Ogni lobulo è implicato in una funzione specifica. Finora abbiamo visto una divisione antero-posteriore del cervelletto, ma il cervelletto può essere funzionalmente diviso anche in direzione medio-laterale. La zona del verme è connessa prevalentemente con i sistemi discendenti mediali (via vestibolospinale, via tettospinale e via reticolospinale) e con il sistema limbico (soprattutto la zona posteriore del verme è connessa con il sistema limbico ed è perciò chiamata cervelletto limbico). Dato che tale area controlla il sistema motorio ed è allo stesso tempo in contatto con il sistema limbico, essa controlla aspetti emozionali del comportamento. Entrambi gli emisferi cerebellari sono divisi in due zone (tale divisione è funzionale e non anatomica): la porzione più mediale degli emisferi ha connessioni con i sistemi discendenti laterali (via piramidale e via rubrospinale), mentre la porzione laterale degli emisferi è prevalentemente in connessione con la corteccia (e quindi controlla anche funzioni superiori). Dunque, il verme e le porzioni più mediali degli emisferi sono connesse con le vie motorie discendenti, ovvero vie che passano per il midollo spinale, e quindi tale zona è definita spinocerebello. Invece, la porzione laterale degli emisferi è definita cerebrocerebello proprio perché è la zona del cervelletto con più connessioni con la corteccia cerebebrale. Infine, il lobo flocculonodulare è in connessione con i nuclei vestibolari ed è quindi detto vestibolocerebello. Slide 14 – con l’evoluzione filogenetica, il cervello è aumentato molto di dimensioni, sono comparse le circoncolluzioni cerebrali e l’assunzione della posizione eretta ha un po’ modificato la forma dell’encefalo. Slide 15 – nel ratto gran parte della corteccia cerebrale è occupata dalle aree primarie, mentre nell’uomo gran parte della corteccia cerebrale è occupata dalle aree associative. Dunque, nel corso dell’evoluzione il cervello si è ingrandito in favore delle aree associative. Il cervelletto è la struttura che ha il numero di neuroni più elevato di tutte le altre strutture del SN (corteccia cerebrale compresa). Nel corso dell’evoluzione il cervelletto si è molto ingrandito e tale ingrandimento è stato parallelo all’ingrandimento delle aree associative corticali. Tali aspetti hanno indotto i ricercatori a ipotizzare che il contributo del cervelletto non sia limitato alle aree motorie. Slide 17, 18 e 19 – anche nel cervelletto c’è una rappresentazione somatotopica. Anzi, nel cervelletto c’è più di una rappresentazione di ogni parte del corpo perché ogni lobulo del cervelletto è implicato in funzioni diverse e quindi è necessario che ogni parte del corpo sia rappresentata in ogni lobulo. Poiché ogni parte del corpo è rappresentata diverse volte nel cervelletto, tale rappresentazione somatotopica è definita somatotopia fratturata o somatotopia frammentata. In qualsiasi punto della corteccia del cervelletto c’è sempre la stessa struttura. Le informazioni che arrivano al cervelletto arrivano alla corteccia cerebellare; le informazioni che escono dal cervelletto, dalla corteccia cerebellare passano ai nuclei cerebellari profondi e quindi passano per le uniche vie che escono dal cervelletto, ovvero gli assoni dei nuclei cerebellari profondi (il peduncolo cerebellare superiore). La corteccia cerebellare comprende 3 strati: lo strato più profondo è il terzo strato (strato dei granuli) ed è formato dai granuli, ovvero neuroni con un corpo cellulare molto piccolo; lo strato intermedio (strato delle cellule del Purkinje) è formato dalle cellule del Purkinje, le quali hanno un corpo cellulare molto grosso e sono disposte parallelamente tra di loro. L’assone delle cellule del Purkinje è l’assone che esce dalla corteccia cerebbellare e arriva ai nuclei cerebellari profondi; i dendriti delle cellule del Purkinje ricevono tante informazioni dall’esterno del cervelletto (poiché i dendriti sono tanti e tanto ramificati). Lo strato più esterno è il primo strato, ovvero lo strato molecolare, il quale è formato prevalentemente da fibre, ovvero gli assoni delle cellule dei granuli che dal terzo strato salgono in alto, arrivano al primo strato, si biforcano e seguono un decorso molto lungo e parallelo alla superficie della corteccia cerebellare. Nella corteccia cerebellare ci sono anche tanti interneuroni. La corteccia cerebbellare riceve informazioni dall’esterno del cervelletto e invia informazioni ai nuclei cerebellari profondi attraverso le cellule del Purkinje. Gli assoni delle cellule del Purkinje fanno sinapsi con i nuclei cerebellari profondi, gli assoni di tali nuclei escono dal cervelletto. Le informazioni arrivano al cervelletto attraverso due tipi di fibre: le fibre muscoidi e le fibre arrampicanti. Le fibre arrampicanti provengono soltanto dall’oliva inferiore e si chiamano così perché si arrampicano, si avvolgono attorno al dendrite della cellula del Purkinje. Le fibre muscoidi trasportano informazioni che arrivano da tutto il SN tranne che dall’oliva inferiore. Le fibre muscoidi fanno sinapsi con i granuli, gli assoni dei granuli salgono a livello del terzo strato e fanno un lungo percorso, quindi fanno sinapsi con tanti dendriti delle cellule del Purkinje. Dunque, mentre il rapporto tra una fibra arrampicante e una cellula del Purkinje è 1:1, il rapporto tra le fibre parallele (gli assoni dei granuli) e le cellule del Purkinje non è 1:1 proprio perché ogni fibra parallela fa sinapsi con tante cellule del Purkinje. Informazioni in entrata: le fibre muscoidi fanno sinapsi con i granuli, i quali si biforcano e incontrano tante cellule del Purkinje. Informazioni in uscita: gli assoni delle cellule del Purkinje escono dalla corteccia cerebellare e fanno sinapsi con i nuclei cerebellari profondi, i cui assoni escono dal cervelletto. Ogni nucleo cerebellare profondo ha una zona della corteccia cerebellare di riferimento: gli assoni delle cellule del Purkinje che fanno parte delle porzioni più mediali del cervelletto, quindi del verme, fanno sinapsi con il nucleo cerebellare profondo più mediale, quindi con il fastigio; gli asoni delle cellule del Purkinje che fanno parte delle porzioni mediali degli emisfeiri fanno sinapsi con il nucleo cerebellare profondo intermedio, quindi con l’interposito; gli asoni delle cellule del Purkinje che fanno parte delle porzioni più laterali del cervelletto (cerebrocerebello) fanno sinapsi con il nucleo cerebellare profondo più laterale, quindi con il dentato. Invece, gli assoni delle cellule del Purkinje fanno sinapsi direttamente con i nuclei vestibolari. L’unità funzionale della corteccia cerebrale è la colonna corticale; l’unità funziona del cervelletto è il microcomplesso corticonucleare. Il microcomplesso corticonucleare è una striscia sottile che comprende una parte della corteccia cerebellare, una parte di sostanza bianca e la parte di nucleo cerebellare profondo a cui è collegata la corteccia. Tutti i microcomplessi corticonucleari sono formati allo stesso modo, ma a seconda del lobulo di cui fanno parte intervengono in funzioni diverse. 26/04/2023 – continuo sul cervelletto + disturbi cerebellari motori Slide 24 - La fibra in ingresso manda una collaterale eccitatoria ai nuclei cerebellari profondi, il cui assone esce dal cervelletto, mentre la via principale di tale fibra eccita i dendriti delle cellule del Purkinje. (non consideriamo gli interneuroni perché altrimenti l’analisi si complica). Le fibre afferenti che arrivano alle cellule del Purkinje sono di due tipi: muscoidi e arrampicanti. Indipendentemente che siano fibre muscoidi o arrampicanti, tali afferenze a livello delle cellule del Purkinje sono eccitatorie. Gli assoni delle cellule del Purkinje, ovvero l’unica via di uscita dalla corteccia cerebbellare, inibiscono (sinapsi gabaergica) l’attività dei nuclei profondi. E’ molto importante che il rapporto tra eccitazione e inibizione rimanga in equilibrio per il buon funzionamento del cervelletto. Slide 25 - Le fibre muscoidi e quelle arrampicanti hanno una funzione diversa. Le fibre arrampicanti generano un potenziale definito spike complesso, il quale è costituito da un potenziale iniziale con un’ampiezza molto alta, seguito da una serie di potenziali con ampiezza decrescente. Lo spike complesso è molto potente: in alcuni casi può da solo generare un potenziale d’azione a livello delle cellule del Purkinje. Le fibre muscoidi, invece, determinano uno spike semplice, il quale è un potenziale unico: sono necessari più spike semplici per generare un potenziale d’azione. Qual è la funzione di questi due tipi di fibre? Potenziali registrati a livello intraneuronale in delle scimmie che stanno spostando una leva da una posizione A a una posizione B. La scimmia ha già ripetuto tale movimento tante volte e quindi lo ha ben appreso e sa qual è la resistenza della leva e qual è la forza che deve esercitare per spostare tale leva. Durante l’esecuzione del movimento ben appreso la frequenza degli spike complessi è molto minore rispetto a quella degli spike semplici. Improvvisamente viene aumentato il carico della leva, dunque aumenta la resistenza della leva e la scimmia non sa più qual è la forza che deve applicare sulla leva. Perciò, inizialmente la scimmia compie degli errori finché la scimmia non comprende qual è la precisa forza che deve applicare. Durante la fase di apprendimento, in cui vengono commessi degli errori, la frequenza degli spike complessi è aumentata rispetto alla fase precedente, mentre la frequenza degli spike semplici è ridotta rispetto alla fase precedente. In seguito, la scimmia impara ad eseguire il compito, ma ancora l’esecuzione di tale compito non è Slide 10 – oggi sappiamo che il cervelletto è connesso con tutte le aree associative della corteccia. Questo è uno studio in cui sono stati utilizzati dei traccianti retrogradi, i quali vengono iniettati in una determinata zona e percorrono gli assoni in direzione opposta. Tali traccianti sono colorati e quindi possono essere rilevati in osservazione post mortem. La corteccia manda informazioni al cervelletto attraverso il ponte. Tutte le aree della corteccia cerebrale mandano informazioni al cervelletto attraverso il ponte. Slide 11 – il cervelletto è formato da folia; più folia insieme formano lobuli; i lobuli hanno delle specificità funzionali. Se il cervelletto ha sempre la stessa struttura in ogni suo punto (tutti i microcomplessi corticonucleari hanno la stessa struttura), cos’è che dà una specificità funzionale a un lobulo rispetto ad un altro? Perché un lobulo è implicato in una determinata funzione e un altro lobulo è implicato in un’altra funzione? Perché le connessioni tra i lobuli cerebellari e le aree della corteccia sono caratterizzate da canali segregati e paralleli: ogni canale è segregato rispetto a un altro (codice di popolazione, della linea attivata) e i vari canali sono tra loro paralleli. Ogni canale è caratterizzato dal lobulo cerebellare e dall’area corticale con cui è connesso quel lobulo: la specificità funzionale del lobulo è data dalle connessioni tra cervelletto e corteccia. Slide 12 – il cervelletto ha come struttura di riferimento la corteccia premotoria e interviene nella preparazione del movimento, mentre i gangli della base intervengono nella selezione del movimento. 28/04/2023 – continuo su disturbi cerebellari motori + inizio disturbi cerebellari cognitivi Le prove motorie che testano la dismetria a volte vengono fatte eseguire anche ad occhi chiusi perché alcuni pazienti cerebellari tendono a utilizzare il feedback visivo per correggere il movimento. In tali pazienti la dismetria quindi aumenta quando i movimenti vengono eseguiti ad occhi chiusi. Prova di Mingazzini – il soggetto riesce a mantenere gli arti inferiori fermi? Marcia in tandem – il soggetto riesce a camminare seguendo una linea dritta? Principalmente esistono due tipi di patologie cerebellari: -Le lesioni focali, localizzate in un’area specifiche (es. causate da ictus, da malformazioni vascolari, da lesioni chirurgiche dovute alla necessità di asportare una massa tumorale). In tal caso i sintomi motori riguardano solo il lato ipsilaterale del corpo. I sintomi di tale lesioni non aumentano e possono essere ridotti attraverso la fisioterapia dato che non c’è una degenerazione. -Le patologie degenerative con causa sconosciuta, genetica (gene conosciuto o non), di origine tossica (es. alcol, droghe, vernici tossiche,…), da carenza di nutrienti (es. vitamina E, la celiachia se non si segue una dieta corretta). Le patologie degenerative non hanno una terapia specifica (stile di vita e fisioterapia possono rendere l’organismo in grado di resistere meglio ai sintomi; tuttavia, la fisioterapia non sempre consente un di avere un miglioramento). La degenerazione del cervelletto dovuta a esposizione ad agenti tossici o dovuta a carenze di nutrienti può essere bloccata rispettivamente terminando l’esposizione agli agenti tossici e assumendo i nutrienti carenti. Tuttavia, comunque, non è possibile eliminare il danno cerebbellare che si è già verificato: si può solo far sì che la degenerazione non vada avanti e che quindi il cervelletto non subisca ulteriori altri danni. Le patologie degenerative, se la degenerazione non si può bloccare, finiscono per interessare l’intero cervelletto e quindi portano sintomi motori a entrambi i lati del corpo. Il tremore cinetico si accentua verso la fine del movimento. I problemi di equilibrio dovuti a patologie cerebellari sono quelli che meno migliorano in seguito a fisioterapia. Aprassia oculomotoria: il soggetto gira la testa e solo dopo gli occhi. I disturbi cerebellari cognitivi Il cervelletto interviene anche nelle funzioni cognitive con lo stesso meccanismo con cui interviene nelle funzioni motorie. Infatti ormai si parla di dismetria del pensiero. Dal 1990 al 2023 il numero di articoli relativi alla relazione tra cognizione e comportamento e cervelletto è aumentato enormemente. Se c’è una patologia cerebellare, ci possono essere disturbi cognitivi; in molte patologie (es. patologie del neurosviluppo, come l’autismo, disturbi dell’apprendimento, come la dislessia, disturbi psichiatrici, come la schizofrenia, la depressione maggiore e il disturbo bipolare) sono presenti delle alterazioni cerebellari. Slide 2 - Su un campione molto grande di pazienti cerebellari (circa 200) con lesione focale sono state valutate diverse funzioni cognitive attraverso delle prove neuropsicologiche: memoria verbale, funzioni esecutive, abilità visuospaziali, memoria visuospaziale, attenzione, prassia, linguaggio, sequenze e livello intellettivo. Slide 3 - I punteggi di tali pazienti nelle varie prove sono stati trasformati in punti Z e sono stati così messi a confronto. Nel complesso, i punteggi di tali pazienti nelle varie dimensioni cognitive considerate sono tutti al di sotto della media (anche se non tutti i punteggi sono significativamente sotto la media perché rientrano nella prima deviazione standard sotto la media). Di conseguenza, si potrebbe pensare che i pazienti cerebellari siano dementi, deteriorati. Tuttavia, non è così perché il livello intellettivo di tali pazienti è nella media. In tale studio sono stati coinvolti pazienti cerebellari con lesioni focali in zone diverse, ovvero in lobuli diversi e che quindi coinvolgono diversi canali segregati e paralleli, ed è per questo che nel complesso si osserva che tale popolazione di individui presenta alterate tutte le funzioni cognitive considerate. Tuttavia, i singoli pazienti non presentano deficit in ogni funzione cognitiva. Questo si può osservare nel livello intellettivo della popolazione, infatti, che è nella media. Slide 5 – studio di fMRI su soggetti sani. Il lobulo VI è un lobulo di passaggio (il lobulo VI si può attivare sia per compiti cognitivi che per compiti motori): i lobuli che si trovano in posizione anteriore rispetto al lobulo VI sono attivati da compiti sensorimotori; i lobuli che si trovano in posizione posteriore rispetto al lobulo VI sono attivati da compiti cognitivi o emozionali. (La porzione che si attiva per prove di linguaggio si attiva sia per prove di linguaggio cognitivo che per prove di linguaggio motorio.). Ciò è in accordo con quanto detto in precedenza: il lobo anteriore è associato a funzioni motorie; il lobo posteriore con funzioni cognitive. Slide 7 – i pazienti con lesione al lobo posteriore presentano deficit cognitivi, a differenza dei pazienti con lesione al lobo anteriore. Slide 8 – Schmahmann ha evidenziato che i pazienti cerebellari possono avere, oltre ai disturbi motori, disturbi cognitivi, affettivi e comportamentali. Infatti egli parla di sindrome cognitiva-affettiva cerebellare (o sindrome di Schmahmann). Slide 9 – E’ ormai assodato che il cervelletto interviene in numerossissime funzioni non motorie: funzioni cognitive, funzioni emozionali e funzioni comportamentali. Ormai non ci si chiede più se ciò è vero (perché è già stato dimostrato che è vero), ma ci si chiede cosa fa il cervelletto nei vari domini cognitivi. 03/05/2023 – continuo sui disturbi cerebellari cognitivi I disturbi cerebellari comportamentali ed emozionali dipendono principalmente da lesioli del verme posteriore, il quale è perciò stato definito “cervelletto limbico”. La patologia cerebellare determina un interessamento dissociato di aspetti diversi di una stessa funzione. Una delle funzioni più frequentemente alterate nei pazienti cerebellari sono le funzioni visuospaziali. Benton Line Orientation Test (test molto semplice per la funzione visuospaziale) – ai soggetti vengono presentate linee con diversi orientamenti e due linee target; il soggetto deve indicare a quale delle linee corrispondono le linee target (slide 13). In questo test l’andamento (sia per le risposte non date che per quelle sbagliate) dei pazienti cerebellari è esattamente sovrapponibile a quello dei soggetti di controllo: pochi errori per linee 1,11 e 6; numero maggiore di errori per le altre linee. Il fatto che nei pazienti cerebellari la funzione visuospaziale non sia completamente persa è in accordo con il fatto che il cervelletto non determina la funzione (dismetria del pensiero – danno al cervelletto; alterazione, ma non perdita, della funzione). Minesota (test un po’ più difficile) – test attitudinale utilizzato anche nelle scuole per valutare le abilità visuospaziali. Il soggetto vede un’immagine divisa, deve immaginare di ricostruirla mentalmente e quindi deve scegliere quale immagine raffigura meglio l’immagine ricostruita. Tale test è a tempo (20 minuti). (lasciamo perdere ICA perché si riferisce a una pazienti con una patologia cerebellare degenerativa) LCB – lesione all’emisfero cerebellare sinistro (connesso con l’emisfero cerebrale destro); RCB – lesione all’emisfero cerebellare destro (connesso con l’emisfero cerebrale sinistro). La percentuale di test completato dai pazienti RCB è comparabile alla percentuale di test completato dai soggetti di controllo. Invece, i pazienti LCB, per quanto riguarda la percentuale del test completato, hanno prestazioni inferiori. Tuttavia, la percentuale di risposte corrette dei soggetti LCB è comparabile a quella dei soggetti di controllo, mentre quella dei soggetti RCB è inferiore. Differential Aptitude Test (test attitudinale ancora più difficile) – il soggetto deve immaginare di ricostruire una figura 2D in uno spazio 3D e deve scegliere la giusta immagine 3D; le risposte corrette possono anche essere più di una. La percentuale di test completato dai pazienti RCB è comparabile alla percentuale di test completato dai soggetti di controllo. Invece, i pazienti LCB, per quanto riguarda la percentuale del test completato, hanno prestazioni inferiori. Per quanto riguarda il numero di errori, i pazienti RCB ne fanno di più dei soggetti di controllo, mentre i pazienti LCB no. L’RCB è connesso con l’emisfero cerebrale sinistro, competente nel linguaggio, mentre l’LCB è connesso con l’emisfero cerebrale destro, competente nelle abilità visuospaziali. I pazienti RCB hanno un deficit di tipo frontale, che riguarda le funzioni esecutive e quindi completano tutto il test senza riflettere sulla correttezza della risposta che danno; i pazienti LCB hanno un deficit di tipo parietale, ovvero legato all’elaborazione delle informazioni di tipo spaziale e perciò completano una percentuale inferiore del test, ma la percentuale di risposte corrette è simile a quella dei soggetti di controllo (consapevoli del loro deficit spaziale, riflettono di più e quindi ci mettono di più a rispondere). Un’altra funzione alterata nei pazienti cerebellari è il linguaggio. Fluidità verbale per valutare il linguaggio. Fluidità verbale di lettere o fonemica (dire il maggior numero di parole che iniziano con una determinata lettera nell’arco di un minuto) vs fluidità semantica (dire il maggior numero di parole che appartengono alla stessa categorie, es. mobili). LCB – lesione emisfero cerebellare sinistro VS RCB – lesione emisfero cerebellare destro. Sia i pazienti LCB che quelli RCB presentano deficit nella fluidità fonemica. Come evochiamo le parole? Il modo più semplice per trovare parole che, per esempio, iniziano per F è quello di formare dei cluster e quindi richiamare prima alla memoria tutte le parole che iniziano con FA, poi (per esempio) con FE, poi FI,… Un altro modo per richiamare alla memoria le parole che iniziano con la lettera A è l’utilizzo di cluster semantici: es. arancia, ananas, albicocca,… (parole che si riferiscono alla frutta). Se il compito è sematico, è più semplice usare cluster semantici; se il compito è fonemico, è più semplice usare cluster fonemici. Tuttavia, in entrambi i compiti possono essere utilizzati entrambi i metodi. Nei compiti di fluidità fonemica il deficit dei pazienti cerebellari riguarda solo la fluidità fonemica; nei compiti di fluidità semantica il deficit riguarda sia la fluidità fonemica che quella semantica (?). Dunque, il problema riguarda la risoluzione del compito secondo un criterio fonemico. Infatti, il cervelletto fa parte del circuito esterno ed è quindi implicato nelle fasi di apprendimento. La modalità più usuale per trovare le parole è quella di richiamarle secondo un principio semantico; la modalità fonemica è più inusuale e meno utilizzata. Per questo la modalità fonemica viene per prima alterata da una lesione. La patologia cerebellare determina l’incapacità di riconoscere la ripetività e quindi la prevedibilità di uno stimolo. Slide 20 – lesione all’emisfero cerebellare destro. Viene somministrata una piccola scossa elettrica a livello del pollice (scossa percepibile, ma non fastidiosa). Il soggetto capisce che ogni TOT riceve una scossa sul pollice. In seguito riceve una scossa sul mignolo (stimolo deviante, ovvero inaspettato). Tale stimolo deviante fa insorgere a livello della corteccia un potenziale di mismatch negativity, ovvero la corteccia rileva che c’è una discrepanza tra ciò che si aspetta e ciò che realmente sta succedendo. Il potenziale di mismatch negativity è preattentivo, ovvero si registra prima che si registrano i potenziali legati all’elaborazione cosciente. Se lo stimolo viene dato a livello della mano sinistra, quindi arriva a livello dell’emicervelletto sinistro (sano) e a livello dell’emisfero cerebrale destro, la corteccia cerebrale rileva lo stimolo deviante. Tuttavia, se lo stimolo viene dato alla mano destra, lo stimolo deviante non viene rilevato. Slide 21 – magnetoencefalografia su soggetti sani; registrazione dei potenziali a livello della corteccia somatosensitiva primaria e a livello del cervelletto. Viene applicato uno stimolo ogni 500ms sullo stesso dito; a volte tale stimolo viene omesso. Cosa succede quando lo stimolo viene omesso e quando si verifica lo stimolo successivo a quello omesso? (tra le linee tratteggiate lo stimolo omesso e dopo la seconda linea tratteggiata il primo stimolo dopo l’omissione) Nella corteccia somatosensitiva primaria non c’è attività quando lo stimolo omesso e l’attività riprende quando riprende l’applicazione dello stimolo; nel cervelletto, invece, l’attività c’è sia quando lo stimolo è omesso sia quando lo stimolo è applicato e, anzi, l’attività del cervelletto è maggiore durante lo stimolo omesso perché il cervelletto rileva che avviene qualcosa di inaspettato (ovvero, non viene applicato lo stimolo).