Scarica Riassunto libro Psicologia generale e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PSICOLOGIA GENERALE Capitolo 1 - ORIGINI E SVILUPPI DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA 1. PSICOLOGIA INGENUA E PSICOLOGIA SCIENTIFICA 1.1 PRESUPPOSTI EVOLUTIVI DELLA PSICOLOGIA In principio era la biologia, dopo molto è comparsa la psicologia. Prima dell’ominide Toumai eravamo un gruppo unico con gli scimpanzé, con cui condividevamo lo stesso genoma. Con il Sahelanthropus inizia la nostra separazione dagli scimpanzé, continuando ad avere in comune oggi circa il 96% del genoma. Dal confronto fra il nostro genoma e quello degli scimpanzé risulta che siamo diventati umani non per addizione (aggiungendo DNA al nostro corredo genetico), bensì per SOTTRAZIONE, eliminando pezzi di DNA (510) rispetto a quello condiviso con gli scimpanzé, come ad es. l’eliminazione del gene recettore androgeno che implica l’estinzione delle spine cheratinose dal pene questa mutazione cambia notevolmente la modalità dei rapporti sessuali: veloci e brevi negli scimpanzé con elevata competizione intrasessuale, più lenti e lunghi negli umani, premessa per stabilire legami più profondi e duraturi tra partner; negli umani scompare il gene inibitore del tumore cerebrale; l’estinzione di tale gene implica uno svantaggio evidente ma anche un’enorme vantaggio ovvero quello di promuovere l’aumento della massa cerebrale (da 350 cc a 1.350cc). L’evoluzione della nostra specie non è avvenuta in modo lineare e progressivo (ipotesi incrementalista come prevedeva il modello della SINTESI MODERNA degli anni Trenta) bensì in mondo irregolare e discontinuo, come sostiene il modello degli equilibri punteggiati proposto da Stephen Gould (2002) a periodi di stabilità seguono fasi di profondi e rapidi cambiamenti evolutivi; nell’evoluzione delle specie ci sono sia anelli mancanti/buchi evolutivi sia salti in avanti. Capacità simboliche e linguistiche, innestate su precedenti e robuste competenze di comunicazione non verbale (espressioni facciali, gesti, suoni) hanno consentito agli umani di diventare una specie simbolica psicologica, in grado di riflettere sugli eventi in termini mentali. La psicologia affonda le radici nell’evoluzione dell’Homo sapiens. Probabilmente lo sviluppo delle competenze psicologiche subisce un rapido e forte impulso intorno a 30.000/40.000 anni fa in virtù dell’avanzamento tecnologico. A circa 30.000 anni fa si fa risalire la prima sepoltura rituale in Russia. Sempre nella stessa epoca, in Europa arriva l’uomo di Cro-Magnon in grado di inventare una sottospecie di calendario lunare premesse per la rivoluzione del Neolitico. Nel Neolitico, assistiamo a un incremento esponenziale delle capacità psicologiche degli umani. È l’avvento dell’agricoltura forse la più importante rivoluzione umana di tutti i tempi. Da nomadi, raccoglitori e cacciatori diventiamo agricoltori. Dalla raccolta del cibo alla sua produzione e conservazione. Per la prima volta compare la nozione di territorio. La rivoluzione del Neolitico ha predisposto una cassetta degli attrezzi mentali (pensiero, coscienza, comunicazione, valori ecc.) tuttora validi ed in uso. È la configurazione delle nostre competenze psicologiche e rappresenta la nascita della cultura che va a modificare la configurazione delle connessioni nervose a nostra disposizione. 1.2 ESPERIENZA, PSICOLOGIA DEL SENSO COMUNE E SCIENZE PSICOLOGICHE Gli empiristi inglesi hanno detto che ogni forma di conoscenza a nostra disposizione deriva dall’esperienza per il tramite delle sensazioni. Non ci sono idee innate, anche se la nostra mente si serve di una gamma indefinita di dispositivi nervosi su base genetica. Il termine esperienza, è un sostantivo sia nominale e numerabile, sia collettivo e non numerabile ed ha numerose accezioni: occorrenza di un particolare accadimento che ci tocca in prima persona; partecipazione a una serie di eventi come fonte di conoscenza e di apprendimenti; particolare competenza in un certo ambito; totalità delle conoscenze. Quello che ci interessa a noi, è l’esperienza come la totalità delle singole esperienze. È l’enciclopedia delle conoscenze esplicite e implicite accumulate nel corso del tempo acquisite tramite il coinvolgimento personale nelle azioni (apprendimento personale) e l’imitazione dei comportamenti altrui (apprendimento sociale e culturale). È la percezione di tutto ciò che accade. Locke, aveva posto in evidenza che tutta la nostra conoscenza è fondata sull’esperienza. Le conoscenze acquisite tramite l’esperienza hanno un valore pragmatico, sono utili per prendere decisioni e agire in modo efficace in una data situazione nei vari ambiti dell’esistenza. Tuttavia, queste sono teorie ingenue, fondate su conoscenze poco attendibili, sono basate su criteri approssimativi. L’esperienza non è una dimostrazione, ma un avvenimento personale limitato nel tempo e nello spazio, soggetto a errori e distorsioni. Le teorie ingenue conducono alla psicologia del senso comune, (o psicologia ingenua), è una forma di sapere che ci pone nella condizione di capire e interpretare i comportamenti nostri e altrui grazie al ragionamento pratico. Consente anche di far fronte alle difficoltà, di intervenire nelle situazioni atipiche e di gestire circostanze complesse. Pur avendo un valore pragmatico, la psicologia ingenua fornisce conoscenze deboli e poco attendibili. La mancanza di controllo conduce a forme suggestive di sapere. È la psicologia scientifica basata sul metodo sperimentale che offre una garanzia elevata sulla robustezza delle spiegazioni fornite. La psicologia scientifica non nasce da zero. Non è una conoscenza originaria, ma si fonda sul sapere della psicologia ingenua. Fra scienza e sapere esiste un rapporto di continuità. La psicologia scientifica presenta un carattere di contingenza. La psicologia scientifica al pari delle altre scienze è una comunità di studiosi che si trova d’accordo nell’impiegare certi metodi e nel fare ricorso a strumenti già presenti nell’esperienza quotidiana. 1.3 PRESUPPOSTI MODERNI PER LA COMPARSA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA Christian Wolff (nel 1700), operò la differenza fra psicologia razionale e psicologia empirica. La prima, di natura filosofica, basata su riflessioni teoriche fu messa in discussione da Kant. La seconda naturalistica, era fondata su osservazioni concrete. È stata la radice della psicologia scientifica contemporanea come scienza naturale. Il contributo filosoficoLa filosofia classica e quella moderna hanno fornito un grande contribuito alla psicologia. Il primo trattato sistematico di psicologia risale ad Aristotele con il De Anima, in cui c’è una descrizione dei processi cognitivi (in particolare percezione e memoria). Ippocrate fornisce una prima classificazione di personalità individuando 4 tipi: sanguigno, collerico, melanconico e flemmatico in funzione del prevalere di uno dei 4 umori: sangue, bile gialla, bile nera, flegma. Erasistrato fu in grado di distinguere nervi sensoriali e nervi motori. Nel Medioevo, con la Scolastica, d’Aquino e Duns Scoto, rifletterono sull’anima, ma si arrestò ben presto questo studio, perché la religione Cristiana vietò ogni forma di studio anatomico e fisiologico. Descartes, introduce la distinzione fra res cogitans, il pensiero e res extensa, il corpo. Il pensiero racchiude idee innate; il corpo è concepito come una macchina, oggetto di indagine naturalistica. Questo dualismo, prevede il primato della ragione rispetto al corpo, di qui la definizione di razionalismo. A questa posizione filosofica si contrappone la scuola di pensiero inglese, che mette in evidenza l’importanza dell’esperienza per acquisire le conoscenze. Non ci sono idee innate ma ogni informazione deriva dagli organi di senso. È la prospettiva dell’empirismo che consente di studiare la mente come insieme di facoltà. Dall’arco riflesso alla frenologia L’apertura di Descartes è una premessa per l’avvio degli studi naturalistici sul sistema nervoso e sul cervello. Whytt, asportando il cervello della rana osservò che rimanevano i movimenti riflessi di contrazione ed estensione, generati dal midollo spinale (non dal cervello). Questa osservazione fu poi ripresa da Bell e Magendie che scoprirono che nei nervi periferici le vie sensoriali (afferenti: dalla periferia al centro) erano indipendenti da quelle motorie (efferenti: dal centro alla periferia). Se recidiamo le prime perdiamo sensibilità; se recidiamo le seconde abbiamo una paralisi dei muscoli. Nasce in questo modo la nozione di arco riflesso, come forma fondamentale di connessione fra sensazioni e movimenti. Franz Gall e Spurzheim avanzarono per primi una concezione localizzatrice delle strutture cerebrali denominata frenologia. Secondo questi studiosi, le varie funzioni mentali (le facoltà) dipendevano da aree del cervello ben delimitate e l’efficienza delle funzioni mentali traeva origine dal grado di sviluppo raggiunto delle corrispondenti aree cerebrali. Più sviluppata era un’area cerebrale, più efficiente era la funzione mentale che da essa dipendeva. Più si esercitava una facoltà, più aumentava il volume cerebrale corrispondente fino a modificare la scatola cranica. La concezione di Gall trovò conferma con le scoperte di Broca sul centro cerebrale del linguaggio articolato e su quella di Wernicke sulle aree cerebrali deputate alla comprensione del linguaggio scritto e orale. delle scienze psicologiche: psicologia dell’atto di Brentano, scuola della Gestalt in Europa e il comportamentismo negli Stati Uniti. 3.1 DALLA PSICOLOGIA DELL’ATTO ALLA SCUOLA DI WURZBURG Nel 1874, anno di pubblicazione di Elementi di psicologia fisiologica di Wundt, Brentano pubblicava Psicologia dal punto di vista empirico, che si opponeva alla teoria della scuola di Lipsia. Brentano costituisce in antitesi allo strutturalismo la psicologia dell’atto, constatando che la mente è costituita da atti dotati di intenzionalità. Vedo un cerchio rosso, l’aspetto essenziale non è il contenuto, ciò che vedo e cioè il cerchio rosso ma l’atto di vedere. Questa tendenza chiamata in-esistenza intenzionale, pone in evidenza come i contenuti siano in funzione degli atti: la cosa che vedo dipende dall’atto di vedere, poiché esiste grazie a esso e dentro di esso (in-esistenza). Gli atti mentali sono dotati di intenzionalità intesa come direzionalità verso qualcosa d’altro nell’interazione con l’ambiente. L’intenzione è la base della casualità psicologica. Gli atti mentali appaiono come sistemi unitari, mentre quelli fisici sono scomponibili. La prospettiva di Brentano trovò un’espressione nella scuola di Graz, la scuola austriaca, dove operavano Meinong e Von Ehrenfels. Quest’ultimo aveva creato le basi per la nascita della scuola della Gestalt attraverso lo studio della qualità figurativa. Sempre lui, osservò che nella percezione di una figura non conta lo stimolo nella sua interezza, ma l’organizzazione della configurazione. Percepiamo più di quanto ci presentano gli stimoli, tale evidenza condurrà al noto principio: il tutto è più della somma delle singole parti. Tale evidenza fu un altro duro colpo allo strutturalismo che assumeva una corrispondenza lineare fra stimoli e introspezione. Allievo di Meinong fu Benussi, un italiano che nel 1919 ottenne la cattedra a Padova e fornì un grande impulso alla psicologia italiana. Si occupò a lungo della percezione con particolare riferimento alle figure reversibili e alle illusioni ottico-geometriche. Benussi si occupò anche di ipnosi, suggestione e psicoanalisi. Kulpe, in dissidio con Wundt diede avvio nel 1896 insieme a Marbe alla scuola di Wurzburg. Kulpe riteneva che anche i processi mentali superiori (pensiero e ragionamento) potessero esseri studiati con gli stessi metodi con cui si studia la percezione. Per questo motivo nacque una polemica con Wundt. 3.2 SCUOLA DELLA GESTALT Gli studi della percezione avviati dalla scuola di Graz, furono approfonditi in modo sistematico dalla scuola della Gestalt. Questa scuola fu fondata nel 1912 a Berlino da Wertheimer. È costituita da psicologi come Kholer, Koffka, Lewin e Wolfang Metzeger. Essi si occuparono in modo prevalente dei processi cognitivi., con particolare riferimento alla percezione e al pensiero. Lewin estese i principi della Gestalt anche allo studio della personalità e di numerosi fenomeni sociali. Si fa coincidere l’inizio della scuola della Gestalt con la pubblicazione dei lavori di Wertheimer sul movimento apparente. Lui, enunciò le leggi della Gestalt sottese all’organizzazione e unificazione degli stimoli. Questi studi furono integrati dal contributo di altri studiosi, e anche dall’italiano Kanizsa. Il metodo che usa la scuola della Gestalt, è il metodo fenomenologico, che consiste nel definire il campo percettivo in cui il soggetto si trova e nel rivelare ciò che in esso gli appare (fenomeno). Per campo percettivo si intende l’insieme dei percetti, non ciò che sa ma ciò che vede. In tale metodo si cerca di evitare l’errore dello stimolo (descrivere non ciò che vediamo, percetto, ma ciò che sappiamo, concetto). In opposizione al metodo introspettivo, quello fenomenologico si focalizza sulla situazione esterna e su come è descritta dal soggetto. Accanto alla percezione, l’intelligenza, la soluzione di problemi e l’apprendimento negli animali furono oggetto di studio da parte di Kolher. Wherteimer, approfondì i fenomeni associati al pensiero produttivo in contrapposizione a quelli del pensiero riproduttivo, ponendo in evidenza le condizioni per lo sviluppo di un pensiero creativo. Anche se la Gestalt oggi ha finito di vivere, il suo contributo alla psicologia è stato rilevante. 3.3 COMPORTAMENTISMO E NEOCOMPORTAMENTISMO Il comportamentismo classico, negli Stati Uniti fu in forte opposizione allo strutturalismo. Nell’articolo proclamazione di Watson del 1913, sostenne che la psicologia doveva essere una scienza rigorosa ed oggettiva. Occorreva passare allo studio di eventi osservabili da chiunque. Oggetto di studio della psicologia sono le manifestazioni del comportamento, studiate con metodi obbiettivi, in quanto osservabili dall’esterno in modo intersoggettivo per via diretta o con l’utilizzo di appositi strumenti. Il comportamento è inteso come insieme delle risposte muscolari e ghiandolari dell’organismo in risposta a un dato stimolo. Lo stimolo è un dato fisico; la risposta è un dato fisiologico. Considerando le associazioni semplici S-R, la psicologia assume il compito di occuparsi di come l’individuo agisce, adottando un orientamento descrittivo piuttosto che interpretativo. L’organismo è considerato allo stesso modo di una scatola nera (black box) al cui interno lo psicologo non può entrare. La mente non è oggetto di analisi della psicologia. In ingresso (input) a questa scatola nera arrivano gli stimoli ambientali S, in modo conseguente l’organismo emette output, R. Lo psicologo comportamentista, esamina le associazioni S-R in particolare la variabile delle risposte (variabile dipendente) che dipende dalla variabile indipendente. Watson, attribuì particolare importanza ai processi di apprendimento, S-R in funzione dell’adattamento all’ambiente. Il comportamentismo si immetteva nell’alveo degli studi di Thorndike, con l’apprendimento per prove ed errori, e prima ancora in quelli di Pavlov. Questa linea di ricerca fu approfondita da Skinner con il condizionamento operante. Dopo di che, abbiamo il neocomportamentismo, il comportamentismo iniziale rischiava di avviarsi in una strada sterile, troppo rigida. Un gruppo di comportamentisti prendendo ispirazione dal neopositivismo e operazionismo, crearono questo movimento che prendeva in considerazione anche variabili intermedie assieme a quelle S-R. Hull, introduce il principio della riduzione del bisogno che si esprime come spinta all’azione (pulsione, drive). Grazie alla contiguità temporale, la risposta comporta un rapido decremento dell’eccitazione corrispondente a un bisogno. Quanto più la connessione fra bisogno e risposta è stretta, tanto più l’abitudine diventa forte. Tolman, oltre a esaminare il livello molecolare del comportamento, considera anche quello molare nel suo insieme. Esso appare orientato al raggiungimento di uno scopo, ossia intenzionale, senza implicare la presenza di una mente consapevole. Tolman elabora anche il concetto di mappa cognitiva (es. del topo la mappa cognitiva è la forma del labirinto), dopo aver fatto degli esperimenti con un topo, essa va considerata come una variabile interveniente, frapposta tra la variabile indipendente S e quella dipendente R. È un puro costrutto ipotetico. Tale concezione sarà applicata da Tolman anche alo studio dell’apprendimento latente. Gli anni’50 seguono l’apice del comportamentismo. Dopo il suo crollo sarebbe subentrato il cognitivismo che ne fu anche la causa. Il contributo del comportamentismo alla psicologia possiamo definirlo chiaroscuro, poiché da una parte il rigore metodologico ha condotto in modo definitivo le scienze psicologiche a seguire percorsi validi, dall’altra parte il tabù ei riguardi dello studio della mente e il vincolo di limitarsi al comportamento hanno reso povero il suo approccio di conoscenze alla psicologia, circoscritto solo all’apprendimento. 4. COGNITIVISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE 4.1 LE SCIENZE COGNITIVE Le scienze cognitive si sono prefissate di capire il funzionamento di un sistema, naturale o artificiale, di conoscenza in grado di riprodurre una serie di operazioni che indichiamo: percepire, ragionare, calcolare, memorizzare, immaginare o progettare. Le scienze cognitive sono nate ufficialmente negli Stati Uniti nel 1978, con la conferenza a La Jolla, California, si sono sviluppate grazie alla comparsa delle nuove tecnologie digitali (computer). Forse il primo iniziatore è stato Craik, che diede avviò alla prospettiva del cognitivismo proponendo l’immagine dell’uomo come un elaboratore di informazione, ripresa poi, da Lindsay e Norman, con il modello Human Information Processing all’interno del paradigma dell’intelligenza artificiale. Un apporto rilevante è fornito dall’analisi del processo di feedback applicato al funzionamento delle unità TOTE (text-operate-text-exit�cap.4). Nel 1956 Miller, pose in evidenza i limiti della capacità di elaborare le informazioni (+7±2). Nel 1960 Sperling, scoprì la memoria iconica, a brevissimo termine, con tempi di immagazzinamento compresi tra 100 e 500 ms. Newell e Simon affrontarono lo studio dei metodi euristici per la soluzione di problemi. Nel 1957, Chomsky pubblicò Syntactic Struttures, che segue la nascita della linguistica generativa. In netta contrapposizione con Skinner. Il fiorire di queste scoperte confluì nel 1967 nel volume Cognitive Psychology, di Neisser a presentare un nuovo programma del nuovo paradigma scientifico. Oggetto di studio della psicologia cognitivista sono i processi di conoscenza, e cioè come gli individui elaborano le informazioni e costituiscono le rappresentazioni mentali utili per interagire con l’ambiente (cap.5). 4.2 INTELLIGENZA ARTIFICIALE Il modello dell’intelligenza artificiale (IA), la cui nascita risale alla conferenza di Darthmouth del 1956 organizzata da Newell e Simon, si era assegnato lo scopo di indagare i processi computazionali della mente considerandoli come corrispondenti (mente computazionale, cap.5). Hobbes, aveva sostenuto che ragionare consiste nel fare calcoli. In questa prospettiva il computer era considerato come un simulatore della mente umana. Occorreva disporre di un’elaborazione digitale delle informazioni poiché i processori dei computer sono in grado di elaborarle solo in modo binario, con valore dicotomico 0 o 1 (bit); tali cifre indicano una condizione di assenza 0 o di presenza 1 senza stati intermedi, in grado di trasformare qualsiasi variabile continua in una variabile discreta. Il codice binario, inventato da Bacon e perfezionato da Liebiniz con il metodo componenziale, consente di effettuare i calcoli in base a determinate regole. È la teoria della computabilità: un insieme finito di elementi semplici può essere impiegato per costruire una varietà illimitata di processi complessi a livello mentale e digitale. La disponibilità di computer sempre più sofisticati, alimenta la convinzione che sia possibile riprodurre il mondo reale nel mondo virtuale. Ci sono delle macchine come quella di Turing, che consentono di compiere numerose operazioni aritmetiche e che rappresenta l’embrione dei computer di oggi. Questa macchina, secondo la IA potrebbe simulare l’intelligenza della mente umana. Test di Turing→ Se a un esterno che osserva il comportamento di due entità, una persona e un computer, nell’esecuzione di un compito, il computer risulta indistinguibile dalla persona quindi si può concludere che limitatamente a quel compito esso ha la capacità cognitiva paragonabile a quella umana. Esisterebbe uno stretto parallelismo fra mente umana e pc, secondo cui possiamo comprendere la mente solo se la riduciamo in parti meccaniche materiali. Il paradigma della IA è andato incontro a numerose critiche. Searle ha elaborato l'esperimento mentale della “stanza cinese” per dimostrare l'infondatezza di una concezione dell'intelligenza basata unicamente sulla capacità computazionale e sulla semplice manipolazione sintattica dei simboli (cap.5). La logica binaria è valida per la sintassi formale e va integrata con la logica sfocata sviluppata da Zadeh in riferimento a numerosi processi che risultano imprecisi. La mente umana manipola i significati, li interpreta e vi attribuisce un significato che la sintassi da sola non è in grado di spiegare. 5. MODULARISMO, PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA E CONNESSIONISMO Il cognitivismo aveva posto le basi per comprendere la mente umana. 5.1 CONCEZIONE MODULARE DELLA MENTE E PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA Fodor, ha proposto una concezione di mente umane computazionale, governata dal linguaggio della mente, mentalese. Per Fodor, è la combinazione di concetti semplici innati, in grado di esprimere verità necessarie Elaborate secondo le regole logiche, attente solo alla forma, proprietà sintattiche. Queste regole sono computazionali, sensibili alle proprietà delle rappresentazioni e cieche al significato. Sono in grado di compiere operazioni di calcolo come lo farebbe la macchina di Turing. Questa concezione è stata sviluppata da Fodor con una visione modulare della mente, condivisa dalla psicologia evoluzionistica. Secondo il modularismo, la mente è organizzata in moduli ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in ambito specifico, nell’interazione con l’ambiente. I moduli mentali, corrispondenti a una concezione localizzatrice del cervello, definiti da specifici programmi genetici, operano nello stesso modo nelle varie situazioni in cui gli individui vengono a trovarsi. I moduli attribuiscono una specifica struttura alla mente, che può funzionare solo secondo processi predefiniti. I moduli sono il risultato della selezione naturale, per affrontare i problemi che la nostra sopravvivenza ci poneva. Con l’evoluzione i sistemi sono diventati esperti. Essi costituiscono l’architettura della nostra mente a seguito della selezione naturale. Di conseguenza, sarebbero universali e sarebbero stati costruiti in base ai cosiddetti algoritmi darwiniani→ Un insieme di regole e di istruzioni in grado di trasformare la rappresentazione di un problema di adattamento all'ambiente nella soluzione adattiva per quel problema. I moduli mentali costituiscono una mappa attendibile del mondo. Come affermano Tooby e Cosmides il nostro cranio ospita la mente dell’uomo dell’età della pietra. Il metodo scientificoprecisate le ipotesi, occorre verificare la loro accettabilità, facendo ricorso ad accurati esperimenti, condotti in condizioni di elevato controllo. È necessario che ci siano soggetti che rispondo ai requisiti in riferimento di variabili come l’età. Il gruppo dei soggetti sperimentali (gruppo target) costituisce la fonte delle informazioni. In numerosi esperimenti c’è la presenza di un gruppo di controllo per verificare l’entità degli scostamenti fra il comportamento guidato dei soggetti sperimentali e quello naturale dei soggetti di controllo. I soggetti sono invitati a seguire una serie di operazioni (compito sperimentale) nel corso dell’esperimento in una condizione artificiale (laboratorio) o naturale (ambiente naturale). Il laboratorio garantisce un livello più elevato di controllo, ma l’applicazione dei protocolli alle condizioni naturali non è esente da distorsioni. L’ambiente naturale presenta un valore più alto di validità ecologica nel rispetto del comportamento spontaneo dei soggetti nel loro ambiente di appartenenza. In laboratorio abbiamo esperimenti guidati; nell’ambiente esperimenti naturali. Al fine di far comprendere a tutti l’esperimento, occorre che i partecipanti seguano le istruzioni fornite dal ricercatore (consegna). La consegna, rende comprensibile il compito e gli assegna un determinato senso. L’elaborazione degli stimoli non è facile. Dopo anni di ricerca gli psicologi hanno predisposto un’ampia gamma di dispositivi che attivano nei soggetti determinate esperienze emotive. La presentazione degli stimoli avviene con un ricorso a specifici strumenti. Nelle scienze psicologiche è disponibile una varietà di strumenti. Da quelli tradizionali come i test grafici con carta e matita, a quelli più sofisticati come le tecniche neuropsicologiche. In numerose circostanze i ricercatori impiegano l’osservazione dei comportamenti dei partecipanti adottando diverse griglie di valutazione. La combinazione di queste varie componenti porta alla situazione sperimentale. L’originalità del ricercatore si manifesta nella creazione di situazioni sperimentali eleganti come la Strange Situation, per lo studio dell’attaccamento infantile e la Still-face per l’analisi delle capacità emotive infantili. Il ricercatore si serve del controllo della manipolazione che consiste nel verificare la coerenza e la congruenza fra gli obbiettivi dell’esperimento e le istruzioni fornite e il comportamento dei soggetti sperimentali. La raccolta delle analisi e dei protocolli sperimentali ogni partecipante produce comportamenti che sono riportati in uno specifico protocollo di ricerca, che a sua volta, diventa oggetto di misurazione secondo i parametri adottati. I dati poi, sono sottoposti a elaborazione statistica descrittiva e inferenziale. La 1° consente di rappresentare in modo accurato e sintetico le caratteristiche numeriche dei fenomeni indagati in riferimento alle variabili considerate. La 2° impiega procedimenti probabilistici per formulare previsioni, stabilire una connessione fra 2 o più variabili. La diffusione dei risultati il ricercatore è interessato a documentare la sua ricerca e a comunicarla alla comunità degli studiosi con un’apposita pubblicazione (rivista, libro, internet). In tal modo si pongono le premesse per istituire un confronto aperto con gli altri scienziati. 2. RICERCA PSICOLOGICA IN PRATICA In funzione dei propri interessi di studio, il ricercatore prefigura la sua attività di indagine in base a un progetto, disegno di ricerca. Nella realizzazione di tale progetto segue il metodo sperimentale che consente di indagare i rapporti casuali fra una data variabile e i suoi effetti su un’altra variabile. Fra le due, si stabilisce un rapporto di causa-effetto in grado di contribuire alla spiegazione di un dato fenomeno. 2.1 SPIEGAZIONE E PRINCIPIO DI CAUSALITÀ Per noi umani spiegare le cose è una necessità. Andiamo continuamente alla ricerca delle cause che possono generare accadimenti. L’evidenza delle cose non basta, abbiamo bisogno di domandarci perché sia così, perché avvengano le cose. È l’illusione del potere esplicativo che nel suo decorso standard promuove forme efficaci di adattamento attivo al nostro habitat. Tale illusione produce il principio di casualità. Fra casualità fisica e psicologica, esistono profonde differenze. Quella fondamentale è che la casualità fisica è mossa dalla forza, quella psicologica dall’intenzione. L’esito di questa predisposizione mentale è la tendenza a ricercare e individuare la funzione sottesa al funzionamento di ogni entità naturale oltre che di quelle artificiali. Gli umani sono sistemi teleonomici, avvertono l’esigenza di raggiungere uno scopo e di mettere in atto funzioni indispensabili a tal fine. 2.2 IL METODO SPERIMENTALE Una via maestra per fornire una spiegazione ammissibile degli accadimenti, è data dalla sperimentazione rigorosa e verificabile, che implica un procedimento standard che risale a Newton e Galileo: il metodo sperimentale. Si parla di esperimento quando il ricercatore è in grado di controllare l’assegnazione casuale dei soggetti alle condizioni sperimentali, sia la manipolazione delle variabili grazie alla presenza di un gruppo di controllo. Quando uno di questi requisiti non può essere soddisfatto parliamo di quasi esperimento. 2.2.1 LE VARIABILI Gli eventi del mondo rientrano in categorie, e al loro interno assumono un certo valore. Tutti gli eventi quindi sono potenzialmente variabili. Il compito fondamentale del ricercatore è determinare il rapporto che esiste fra variabili che osserva. Le variabili possono essere: indipendenti e dipendenti. Quelle indipendenti, sono controllate dallo scienziato; quelle dipendenti variano a seconda della variazione di quelle indipendenti. Lo scopo del metodo sperimentale consiste nel manipolare una variabile indipendente per verificarne l’effetto sulla variabile dipendente. Quando diciamo che le variabili indipendenti sono manipolate, intendiamo due cose diverse. In un caso, può voler dire che egli produce i diversi valori della variabile indipendente. Nell’altro caso i valori della variabile indipendente sono già esistenti e il ricercatore si limita a scegliere quali valori considerare. La variabile dipendente varia anche in dipendenza di altre variabili indipendenti non considerate dal ricercatore. Se il ricercatore vuole ottenere protocolli attendibili e validi, deve riuscire a esercitare un controllo soddisfacente sull’esperimento in corso, eliminando il più possibile le influenze di variabili diverse da quelle da lui trattate. Le variabili estranee possono essere sistematiche (o confondenti) e asistematiche. Quelle sistematiche, producono un’influenza costante sulla variabile indipendente. Un esempio è il fattore tempo. Le principali confondenti sono la maturazione e l’apprendimento. La prima è inevitabile con soggetti in età evolutiva. Molte competenze si sviluppano con la crescita fisiologica. La seconda si fonda sull’evidenza che tutti noi impariamo in continuazione in funzione della nostra esperienza. Le variabili estranee asistematiche consistono in interferenze casuali imprevedibili. Sono infinite e variano da situazione a situazione. Dalle condizioni mentali dei soggetti e del ricercatore. In tutti i casi, le variabili vanno standardizzate per renderle univoche, esplicite e costanti. Il ricercatore raggiunge questa condizione tramite la loro operazionalizzazione: fornire una definizione operativa a ogni variabile (es. non è sufficiente usare il termine bambino ma bisogna dire bambino da 10 a 30 mesi) 2.2.2 LA MISURAZIONE Le variabili presentano valori diversi in termini quantitativi o qualitativi, Per questo occorre la determinazione attraverso procedimenti di misurazione. Misurare significa metterle in relazione certe proprietà con proprietà dei numeri reali. Le misure, derivate dai protocolli, vanno formulate in modo esplicito e occorre che siano mutualmente esclusive. Stevens le ha distinte in quattro livelli in modo gerarchico: 1. Livello nominale una prima proprietà dei numeri reali è la cardinalità: ogni numero è differente dagli altri. Le variabili presentano valori che indicano una differenza tra un evento e un altro. Per le variabili dicotomiche possiamo assegnare il valore 1 o 2. Per quelle multiple basta estendere la gamma dei numeri da impiegare. In questa scala non è possibile compiere nessuna operazione aritmetica, l’unica cosa che conta è la differenza. I numeri hanno il valore di semplici etichette. 2. Livello ordinaleuna seconda proprietà dei numeri reali è che sono in progressione. Fra loro esiste una relazione asimmetrica di ordine crescente o decrescente. Molti fenomeni mostrano differenti gradi di intensità in basa alla relazione maggiore-minore. Molti processi mentali rientrano in questo livello di misurazione come l’attenzione o la percezione. Le misure ordinali consentono di dire che, data una certa entità, il valore di una condizione è maggiore di quello di un’altra condizione ma non di quanto, poiché non è definita la grandezza fra gli intervalli. Nelle scienze psicologiche questo livello è usato per le graduatorie, facendo ricorso al centilaggio. 3. Livello di intervallo le differenze fra numeri reali possono essere definite in funzione di grandezza di un dato intervallo. Sono valori arbitrari. Possiamo fare operazioni aritmetiche ma non possiamo fare rapporti. 4. Livello di rapporto i numeri reali sono regolati fra loro dall’esistenza di rapporti. Un esempio è che siamo autorizzati ad affermare che 20 è il doppio di 10. Nei numeri reali lo zero, non è arbitrario ma reale, è assenza di quantità e consente l’elaborazione di una scala governata da rapporti fra loro eguali, poiché ha un’origine fissa e non arbitraria. 2.2.3 I DISEGNI DI RICERCA Individuate le variabili cui è interessato, il ricercatore ha il compito di confrontarle, al fine di verificare l'esistenza o meno di legami significativi tra loro. È un'operazione di impostazione generale degli esperimenti che conduce al disegno di ricerca. È la mappa per la successiva realizzazione dell'esperimento. Negli esperimenti sono previste differenti condizioni sperimentali (trattamenti). In un esperimento tra i soggetti (between-subjects) a ogni trattamento corrisponde un gruppo; in un esperimento entro i soggetti (within-subjects) lo stesso soggetto è sottoposto alle diverse condizioni. Il disegno entro I soggetti→ ogni soggetto è sottoposto a tutte le condizioni, il comportamento del soggetto in una condizione è confrontato con il comportamento dello stesso soggetto in un'altra condizione. Il disegno entro i soggetti ha il vantaggio di essere economico poiché impiega un gruppo solo con numero più ridotto di soggetti rispetto a quello tra I soggetti. È percorribile solo se l'effetto di una condizione non influenzi quello di una o più delle altre condizioni. Questo presupposto è minacciato dagli effetti dell'ordine e della sequenza. Gli effetti dell'ordine derivano dalla posizione delle condizioni nell'esperimento: qualsiasi condizione sia applicata per prima corre il rischio di produrre una prestazione diversa rispetto alle condizioni successive poiché i soggetti o sono più attenti o non hanno ancora sufficiente pratica del compito. Gli effetti della sequenza dipendono da interazioni tra le condizioni; è il noto effetto àncora o effetto contrasto: la sensazione dello stimolo antecedente influenza quella dello stimolo successivo. Per evitare gli aspetti indesiderabili di questi effetti occorre procedere a una controbilanciata degli stimoli. Il disegno tra i soggetti→ gli esperimenti tra i soggetti in cui a ogni condizione corrisponde un gruppo, vanno previsti nelle situazioni in cui i soggetti non possono essere usati come controllo di se stessi a causa degli effetti di influenza di una prova sull'altra (ordine o sequenza). I soggetti vanno assegnati a caso alle varie condizioni, assicurando che i gruppi siano equivalenti. Nel disegno più semplice abbiamo due gruppi: un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo. Al primo è applicato il trattamento vero, al secondo è somministrato con trattamento finto per il rispetto dell'equivalenza del trattamento. È molto impiegato in ambito farmacologico: al gruppo sperimentale è somministrato il farmaco con il principio attivo, al gruppo di controllo un placebo cioè una sostanza inattiva. L’effetto placebo: si verifica quando i partecipanti a un esperimento modificano le loro risposte in assenza di qualunque tipo di manipolazione sperimentare, indotti dalla convinzione che la loro condizione di salute, ad esempio prendendo una compressa, migliori. Per tenere sotto controllo l'effetto placebo si fa ricorso alla tecnica del doppio cieco: né i soggetti né chi somministra conoscono il tipo di sostanza che stanno assumendo o somministrando. solo il ricercatore sa quali soggetti ricevono il farmaco o la sostanza inattiva. I disegni fattoriali→ il disegno fra i soggetti conduce a disegni fattoriali, nei quali il ricercatore intende valutare nello stesso esperimento l'effetto di due o più variabili indipendenti sulla variabile dipendente. L'obiettivo è individuare sia eventuali differenze significative nell’influenza dei diversi fattori considerati, sia eventuali interazioni tra i fattori medesimi. il disegno fattoriale più semplice prevede due fattori, ciascuno dei quali ha due livelli, che danno origine a quattro combinazioni (disegno 2x2). I disegni fattoriali favoriscono l’elaborazione di previsioni più articolate; presentano alcuni limiti infatti quanto ovviamente il numero dei fattori tanto più tempo è necessario per la realizzazione dell'esperimento. 2.2.4 ARTEFATTI SPERIMENTALI Nella realizzazione di un esperimento sono molti i fattori che possono intervenire che non controllati, possono condurre a distorsioni. Un altro artefatto negli esperimenti sono le aspettative del ricercatore. L’aspettativa attiva una serie di processi mentali che conducono in situazioni standard a un’interpretazione idiosincrasica ( =ripugnanza esasperata) dei fatti. È una delle distorsioni che genera un’alterazione dei dati, La statistica inferenziale, consente di verificare se sia possibile fare induzioni dai risultati ottenuti, al fine di convalidare l’ipotesi sperimentale e di fare delle previsioni. I fenomeni naturali si presentano regolarmente con una certa probabilità: i fenomeni tipici, standard, sono più frequenti di quelli atipici, anomali. L’insieme dei risultati che ci consente di reputare un’ipotesi nulla è chiamata regione critica, ed è regolato dalle leggi della probabilità. Occorre stabilire la proprietà di rischio con cui decidiamo di commettere un errore. Se siamo poco prudenti, corriamo il rischio di accettare ciò che in realtà non esiste: errore alfa, di I tipo, è un falso positivo. Se invece facciamo il contrario corriamo il rischio di non accettare ciò che in realtà esiste, l’errore beta, di II tipo, un falso negativo. Capitolo 3 - SENSAZIONE E PERCEZIONE 1.SENSAZIONE 1.1 CHE COSA È UNA SENSAZIONE L’ambiente fisico in cui viviamo produce una varietà infinita di stimoli che giungono ai nostri organi di senso. La sensazione può essere definita come l’impressione soggettiva, immediata e semplice che corrisponde a una data intensità dello stimolo fisico. Le sensazioni sono eventi privati e soggettivi, dei quali solo ciascuno di noi ha un’esperienza diretta. Nella grande maggioranza dei casi, le sensazioni di un individuo sono simili a quelle di un altro, quando entrambi sono di fronte al medesimo stimolo e nelle medesime condizioni. Questa situazione di comunicabilità, comprensibilità e confrontabilità fra le sensazioni di diversi soggetti è dovuta a una relazione sistematica fra lo stimolo fisico e la sensazione medesima. Sono le relazioni psicofisiche, per cui a date configurazioni di stimoli fisici corrispondono determinate sensazioni sul piano psicologico. Esse costituiscono una sorta di interfaccia fra realtà esterna (fisica) e interna (mentale). Ogni sistema sensoriale è sensibile in modo definito alle manifestazioni e variazioni di una forma di energia fisica. Siamo capaci di rispondere solo a quelle sensazioni per cui abbiamo a disposizioni degli organi di senso in grado di percepirle. Questa condizione, ci pone in evidenza due limiti intrinseci alla sensibilità umana. Siamo predisposti a cogliere solo una parte molto piccola della varietà e della massa degli stimoli fisici dell’ambiente. Il nostro organismo è notevolmente limitato a fronte dell’enorme varietà delle forme di energia fisica. Siamo capaci noi, di cogliere stimoli solo quando questi ultimi hanno una certa intensità. Qualsiasi stimolo fisico deve raggiungere un livello minimo per suscitare una sensazione. Questo livello è chiamato soglia assoluta e segna il confine fra gli stimoli che vengono recepiti dall’organismo (stimoli sovraliminari) e quelli che pur essendo presenti non sono avvertiti (stimoli infraliminari). La soglia assoluta o valore liminare è il valore di uno stimolo che nel 50% dei casi ha la probabilità di suscitare la sensazione corrispondente. Soglia assoluta iniziale 8quantità minima di energia capace di produrre una sensazione) e soglia assoluta finale (il limite superiore al di sopra del quale la sensazione viene a cessare) vanno ben distinte. Anche la variazione di intensità deve essere sufficientemente elevata per essere colta dall’organismo, in questo caso parliamo di soglia differenziale, intesa come la differenza appena rilevabile: è il valore della differenza minima fra 2 stimoli di diversa intensità. 1.2 MISURAZIONE DELLA SOGLIA Kant sosteneva che la psicologia sperimentale, non potesse essere realizzata poiché non era possibile procedere alla misurazione dell’attività psichica. Nell’ambito della percezione ci sono 3 metodi psicofisici di misurazione della soglia. Con il termine psicofisica indichiamo la relazione sistematica fra due variabili: sensazione, di ordine soggettivo e stimolazione, di ordine fisico. • Metodo dei limiti: in questo procedimento, al soggetto sono presentate ripetutamente diverse serie di stimoli, alcune partono da valori infraliminari e hanno un ordine ascendente nell’intensità degli stimoli, fino a quando si raggiunge un livello di intensità idoneo per suscitare in lui la sensazione corrispondente. Altre iniziano con stimoli sovraliminari e hanno un ordine discendente finché si giunge allo stimolo che non produce più nel soggetto la relativa sensazione. Questo metodo non è esente da errori. Possono essere commessi errori della direzione della serie o errore di abitudine in cui i valori della soglia tendono a essere diversi a seconda che si inizi con una serie discendente o ascendente. Nel primo caso i valori liminari sono inferiori rispetto a quelli ottenuti con le serie discendenti, per un fenomeno di inerzia e di abitudine psicologica. • Metodo dell’aggiustamento: si richiede al soggetto di aggiustare in modo continuo attraverso una manopola o un cursore il livello di intensità di uno stimolo, finché esso non è in grado di suscitare in lui una risposta. Si parte da stimoli infraliminari o sovraliminari in modo simile al metodo dei limiti, in questo caso però è il soggetto a variare e a regolare con i movimenti della mano l’intensità degli stimoli. • Metodo degli stimoli costanti: al fine di ottenere misurazioni più stabili e coerenti nel metodo degli stimoli costanti viene presentato al soggetto, in ordine casuale e per diverse volte un certo numero di stimoli che hanno differenti intensità alcune sovraliminari altre infraliminari. La misurazione della soglia differenziale comporta dei metodi analoghi. Per determinare la differenza si presenta in ogni prova una coppia di stimoli di intensità differente (lo stimolo standard tenuto costante e lo stimolo di confronto che invece varia di volta in volta). Il soggetto è invitato a riferire se è in grado di avvertire una differenza fra i due stimoli. In alcuni casi non sono colte dal soggetto, in altri sono evidenti e accentuate, in altri ancora a volte sono captate e altre no. In questa procedure possono insorgere distorsioni dovute a errori del campione, dove lo stimolo standard tende ad essere sovrastimato rispetto allo stimolo del confronto, e l’errore di posizione, se gli stimoli sono disposti nello spazio in posizioni diverse con la sovrastima dello stimolo che occupa una data posizione. Con l’applicazione di questi sistemi la psicologia è stata in grado di misurare la sensibilità umana nelle sue diverse modalità. 1.3 LA PSICOFISICA La misurazione delle attività sensoriali ha messo in evidenza alcuni meccanismi di base del loro funzionamento, poiché la qualità delle sensazioni varia sistematicamente al variare dei fenomeni fisici. La psicofisica è intesa come lo studio delle relazioni che intercorrono fra gli attributi soggettivi di una data sensazione e gli attributi fisici controllabili dello stimolo corrispondente. Nel 1834 Weber, studiando la sensibilità tattile si rese conto che la soglia differenziale (delta R) dello stimolo è una proporzione costante (k) dell’intensità dello stimolo iniziale (R). K= delta R/R questa proporzione è stata chiamata Legge di Weber e la costante K è stata definita come costante di Weber. Quanto più piccolo è il valore della costante, tanto maggiore è la finezza discriminativa di una modalità sensoriale. Nel 1860, Fechner estese gli studi di Weber, e si propose di verificare l’attendibilità della Legge di Weber. Egli giunse alla legge di Fechner: S= c log R+C In questa equazione, S è la grandezza della sensazione, c è la costante di Weber e R è la grandezza dello stimolo, infine C è una costante di integrazione. L’intensità della sensazione, è direttamente proporzionale al logaritmo dell’intensità dello stimolo. All’aumento in progressione geometrica dello stimolo corrisponde un aumento in progressione aritmetica della sensazione. L’insieme di queste scoperte costituì la psicofisica classica che avrebbe dato luogo a numerose applicazioni in diversi campi. I metodi di studio messi a punto dalla psicofisica classica furono ripresi dalla psicologia sperimentale. Successivamente, Stevens, diede origine a una nuova psicofisica da lui chiamata Psicofisica Soggettiva. Lui osservò che i metodi della psicofisica classica non sono in grado di giungere direttamente al giudizio sensoriale. Facendo ricorso al metodo della stima di grandezza, Stevens verificò che i soggetti sono capaci di valutare direttamente l’intensità di una sensazione associandola a un numero. Si presenta al soggetto uno stimolo sono e gli si dice che esso ha un valore pari a 1°, successivamente gli si richiede di associarlo a un numero che ne quantifichi la diversità. Se egli ritiene che sia di doppia intensità, assegnerà il numero 20; se è di minore intensità la metà e quindi 5. Il soggetto stesso funge da strumento di misurazione degli stimoli. Stevens scoprì che la funzione che descrive in modo più efficace la relazione fra il giudizio sensoriale e l’intensità dello stimolo è una funzione di potenza. Secondo questa funzione, la grandezza soggettiva della sensazione è proporzionale all’intensità dello stimolo elevata a una certa potenza (n). Le curve della sensazione sono in funzione del valore di n. ● Se n>1 (chiarezza luminosa, n=0,33) la sensazione aumenta lentamente all’aumentare dell’intensità dello stimolo ● Se n=1 (lunghezza apparente) la sensazione è direttamente proporzionale all’intensità dello stimolo ● Se n>1 (shock elettrico 3,50) la sensazione aumenta rapidamente al crescere dell’intensità dello stimolo. 1.4 TEORIA DELLA DETEZIONE DEL SEGNALE Secondo la psicofisica sia classica che soggettiva gli individui si comportano a modo di registratori nei confronti degli stimoli. Nel processo di rilevazione di uno stimolo, l’uomo deve compiere una decisione circa la presenza o meno. Ci sono 4 condizioni/possibilità se ci troviamo in presenza di un segnale rispetto a un rumore di fondo: 1. Dire sì. Dire che c’è il segnale quando esiste realmente. HIT/VERO POSITIVO/H 2. Dire sì. Dire che il segnale c’è quando c’è solo un rumore di fondo. FALSO POSITIVO o FALSO ALLARME/Fa 3. Dire no. Dire che non c’è quando invece esiste. OMISSIONE o FALSO NEGATIVO/O 4. Dire no. Dire che il segnale non c’è quando non esiste davvero. VERO NEGATIVO o RIFIUTO CORRETTO/Rc. La teoria della detezione del segnale, ha posto in evidenza due fattori nello studio di questa matrice con 4 possibilità: 1. La sensibilità dell’organismo nella finezza discriminativa degli stimoli 2. Il criterio soggettivo di decisione. Rispetto a questo vi sono soggetti maggiormente propensi al rischio, altri alla prudenza. Chi azzarda di più compie più H che RC, ma fa anche più errori Fa. Chi è prudente opta maggiormente per Rc ma in tal modo aumenta gli errori O. Sempre secondo questa teoria nello studio psicofisico del rapporto fra sensazione e stimolazione, occorre considerare oltre alle capacità recettive dell’organismo anche i fattori mentali legati alla decisione. La rilevazione della presenza o no del segnale, dipende in modo sinergico dall’azione congiunta di questi due processi. 2. PERCEZIONE 2.1 DEFINIZIONE E TEORIE • Scarto tra fenomeni fisici e fenomeni percettiviMolti sono inclini a pensare che la percezione sia una riproduzione di quanto si trova nella realtà. Secondo questa prospettiva, definibile come realismo ingenuo, il mondo si presenta a noi così com’è e vi è una coincidenza fra realtà fisica e realtà percettiva. Kant, pose in evidenza l’impossibilità di questa posizione, poiché noi non possiamo conoscere il Noumeno (realtà). Come esseri umani siamo incapaci di confrontare direttamente le nostre percezioni del mondo con il mondo esterno. Esse sono il nostro mondo. In numerose condizioni emerge una distorsione fra realtà fisica e realtà percettiva. In altre, non vediamo quello che esiste nella realtà. Possiamo però vedere quello che non esiste nella realtà. A livello fenomenico, possono emergere oggetti che a livello fisico non ci sono, come per le figure anomale. In altre circostanze vediamo più cose in una figura unica, come negli stimoli reversibili. Altre volte ancora, vediamo cose differenti da quelle che esistono. Questi fenomeni, pongono in evidenza che la corrispondenza fra realtà fisica e realtà percepita è il risultato dell’interdipendenza fra i dati sensoriali che provengono dall’esterno (dal basso verso l’alto) e le conoscenze già disponibili per l’individuo (dall’alto verso il basso). • Che cos’è la percezione? Le sensazioni sono una indipendente dall’altra, sono puntiformi, rilevate da specifici recettori sensoriali e trasmesse a differenti aree cerebrali. Sono una nebulosa di dati, in cui ci perdiamo. Le sensazioni, da sole, non contengono le informazioni sufficienti per spiegare le nostre percezioni. Vanno integrate in modo corrente nei precetti. I PRECETTI sono la base per ulteriori e articolati processi mentali associati alle immagini mentali alle categorie, ai concetti. Il ∙ Modello tridimensionale 3D L’abbozzo primario è formato da linee, punti e barre sulla base degli scarti di luminosità dell’immagine ordinati in maniera gerarchica. Marr, ritiene che il sistema visivo funzioni in base al riconoscimento e alla registrazione delle frequenze spaziali e che sia dotato di cellule deputate alla rilevazione dei contorni procedendo con l’integrazione delle informazioni fornite dalla stereopsi, dal movimento e dalle ombre. Marr poi distingue due sistemi di riferimento: il primo è la posizione del punto di vista occupato dall’osservatore, mentre il secondo è il sistema astratto delle tre coordinate impiegate dalla geometria di Euclide. Il passaggio dal 2D al 3D, implica il passaggio da una rappresentazione spaziale riferita al punto di vista (centrata sull’osservatore), a una rappresentazione riferita a un sistema di coordinate indipendenti dal punto di vista (centrata sull’oggetto). A partire da proprietà rilevabili nel 2D, il sistema visivo ricostruirebbe dei volumi la cui combinazione conduce alla descrizione strutturata dell’oggetto nel modello 3D. 3. PRINCIPALI FENOMENI PERCETTIVI DELLA VISIONE. 3.1 ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA La nostra mente organizza l’attività percettiva così da cogliere gli oggetti in modo unitario e coerente. Questa segmentazione del flusso continuo delle stimolazioni consente a tutti noi di orientarci e muoverci correttamente nello spazio. La percezione visibile è resa possibile dalla presenza di energia luminosa, sia dall’informazione ottica proveniente dall’ambiente. ARTICOLAZIONE FIGURA-SFONDOLa prima segmentazione del flusso delle stimolazioni consiste nell’articolazione figura-sfondo. È un processo universale e costante come ha messo in evidenza Rubin, non c’è figura senza sfondo. La figura ha forma, lo sfondo è sempre amorfo e indifferenziato. Il contorno appartiene alla figura e non allo sfondo. La figura ha un’estensione definita, mentre lo sfondo continua dietro alla figura in maniera indeterminata. La figura appare in risalto sullo sfondo. Il rapporto figura-sfondo implica un’interdipendenza intrinseca fra stimolo e contesto. Diversi fattori stanno alla base dell’articolazione figura- sfondo: 1. Inclusione: a parità delle altre condizioni diventa figura la regione inclusa 2. Convessità: diventa figura la regione convessa rispetto a quella concava 3. Area relativa: a parità delle altre condizioni diventa figura la regione di area minore. 4. Orientamento: diventa figura la regione in cui sono orientati secondo le direzioni principali dello spazio percettivo. Quando questi fattori non riescono a intervenire si ottengono le FIGURE REVERSIBILI: figure in cui si ha un’inversione tra la figura e lo sfondo. L’elemento che funge come figura è percepito in modo spontaneo in un secondo momento come sfondo. Sono configurazioni instabili e ambigue: siamo in grado di percepire entrambe le figure ma solo una per volta. Tale condizione conduce a un’alternanza periodica e regolare tra figura e sfondo. Questa molteplicità di percetti a fronte di un unico e identico stimolo è resa possibile dalla presenza di processi asensoriali, che assegnano risalto a quanto è percepito come figura, in modo alternato. Tale fenomeno pone in evidenza un sistema visivo dinamico in grado di calcolare la soluzione migliore possibile quando due stimolazioni ambientali sono in equilibrio fra loro. I contorni del triangolo (quello bianco pag. 68) sono percettivamente colti; si tratta dell’effetto Kanizsa. Sono contorni anomali generati dalla distribuzione e organizzazione degli elementi della stimolazione. SEGMENTAZIONE DEL CAMPO VISIVOWertheimer (scuola della Gestalt), pose in evidenza alcuni principi fondamentali sotto forma di leggi. Abbiamo il principio della vicinanza secondo cui a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi vicini. Per il fattore della somiglianza si unificano gli elementi simili. Secondo la legge del destino comune, si unificano elementi che condividono lo stesso tipo di direzione. La legge della buona direzione dice che si unificano elementi che presentano continuità in direzione. La legge della chiusura, vengono percepiti come unità elementi che tendono a chiudersi fra loro. Secondo la legge della pregnanza sono preferite le configurazioni più semplici, regolari, simmetriche e stabili. L’articolazione degli elementi dipende dall’organizzazione della configurazione degli elementi (proprietà del tutto, secondo cui il tutto è più della somma delle singole parti). Le unità percettive (le figure) si presentano come totalità definite coerenti e chiuse, strutturate e organizzate. 3.2 PERCEZIONE DELLA PROFONDITÀ Lo spazio percettivo, al pari di quello fisico, possiede tre dimensioni: DISPARAZIONE BINOCULAREPer rendere ragione della percezione della profondità e tridimensionalità (stereoscopia), in un primo momento si sono studiati gli indizi binoculari e monoculari facendo ricorso ai meccanismi della CONVERGENZA e dell’ACCOMODAZIONE. CONVERGENZAindizio binoculare – quando fissiamo un oggetto gli occhi che hanno una certa distanza l’uno dall’altro convergono in un determinato angolo in modo che l’immagine dell’oggetto cada sulla fovea di ciascun occhio. L’angolo di convergenza è più ampio quando l’oggetto è vicino rispetto a quando è lontano. ACCOMODAZIONE l’accomodazione del cristallino – indizio monoculare – consente la messa a fuoco dell’oggetto e costituisce un’altra informazione per la profondità. Il cristallino diventa tanto più convesso quanto più è vicino all’oggetto da vedere. Accomodazione e convergenza, valgono solo per pochi metri di distanza perché troppo limitati e circoscritti. Più importante risulta il meccanismo della disparazione binoculare o retinica. Poiché gli occhi distano qualche centimetro, ciò che vede l’occhio sinistro non è quello che coincide con l’occhio destro perfettamente. È sufficiente chiudere alternativamente gli occhi per verificare questo fenomeno. Quando gli occhi convergono su un oggetto, vediamo solo un oggetto, poiché abbiamo corrispondenza fra le immagini che si sono formate nelle 2 retine (punti corrispondenti sulla fovea). Quando le immagini retiniche non corrispondono (punti disparati) abbiamo una visione doppia o diplomia. La disparazione retinica, dà origine a Diplopia solo quando è piuttosto grande. Quando invece la disparazione è piccola, le due immagini disparate si fondono e danno luogo a una visione chiara e nitida (fusione binocolare). Quando un oggetto è più vicino a quello fissato proietta la sua immagine dell’emiretina temporale di ogni occhio (disparazione crociata), mentre quando l’oggetto è più lontano rispetto a quello fissato proietta la sua immagine nell’emiretina nasale di ogni occhio (disparazione non crociata). La disparazione costituisce il correlato fisiologico binoculare più importante per la percezione della tridimensionalità e della profondità (stereopsi). GRADIENTI DI DENSITA’ MICROSTRUTTURALE Esistono importanti indizi monoculari che contribuiscono a spiegare il fenomeno percettivo della profondità e della distanza. Fra di essi, un posto in rilievo lo assume la Densità Microstrutturale della stimolazione ambientale. Il gradiente di densità microstrutturale sulla retina varia in funzione del tipo di superficie che osserviamo (se frontale, longitudinale o obliqua). Possiamo produrre artificialmente questa situazione facendo ricorso alla prospettiva tissurale. il gradiente che decresce rapidamente è la condizione per la visione in una superficie longitudinale, mentre un gradiente nullo genera la percezione di una superficie frontale. Il gradiente può decrescere verso l’alto e verso il basso, da destra a sinistra. Anche la PROSPETTIVA LINEARE, che prevede la convergenza delle linee in un unico punto di fuga, rientra in questo più ampio fenomeno della prospettiva tissurale. La variazione della densità microstrutturale dell’immagine retinica costituiscono i correlati delle superfici e delle curve di un oggetto solido, con i loro diversi gradi di inclinazione. INDIZI PITTORICI DELLA PROFONDITA’ Esistono altri importanti indizi monoculari, detti indizi pittorici. Servono a generare la percezione della profondità. Fra gli altri possiamo menzionare la distribuzione dell’illuminazione sulle superfici di un corpo (chiaroscuro). Le parti più illuminate appaiono più vicine, mentre quelle in ombra sono percepite come più lontane. Il passaggio illuminato – in ombra, genera la percezione di una convessità, mentre da ombra – illuminato suscita la visione di concavità. La SOVRAPPOSIZIONE (o occlusione) PARZIALE, costituisce un altro indizio pittorico di profondità: un oggetto che si sovrappone a un altro oggetto apparirà più vicino. In modo analogo, l’altezza sul piano dell’orizzonte determina un indizio rilevante di profondità: più un oggetto è alto rispetto al piano dell’orizzonte, più sarà percepito come distante. La PARALLASSE di movimento fornisce utili informazioni per la percezione della distanza, perché fornisce una disposizione degli oggetti diversamente sulla retina. Si dispongono in funzione del movimento dell’osservatore. In sintesi la percezione della profondità e della tridimensionalità è giustificata sul piano psicologico da una serie sinergica di meccanismi fisiologici. 3.3 COSTANZE PERCETTIVE Le stimolazioni prossimali cambiano in continuazione, per forma, grandezza, intensità… La percezione dell’ambiente rimane stabile e costante. Le COSTANZE PERCETTIVE, sono processi in base ai quali gli individui percepiscono gli oggetti del mondo circostante come dotati di invarianza e stabilità, pur col continuo variare delle stimolazioni prossimali. È un processo percettivo che non solo consente un grande risparmio di risorse psichiche, ma che favorisce altresì un efficace adattamento agli oggetti all’interno di un ambiente dotato di un elevato grado di stabilità. COSTANZA DI GRANDEZZAtanto più un oggetto si allontana da noi, quanto più diventa piccola la sua immagine sulla retina. Secondo la Legge di Euclide, la grandezza dell’immagine retinica, è inversamente proporzionale alla distanza dell’oggetto dall’occhio. Noi, continuiamo a percepire gli oggetti lontani come dotati di una grandezza relativamente simile a quella con cui lo percepiamo quando gli siamo vicini. È il fenomeno della costanza di grandezza. HOLWAY E BORING, in un esperimento dovevano osservare e confrontare a diverse distanze la grandezza di un disco con quella di un disco campione in 4 condizioni differenti: binoculare, monoculare, monoculare con pupilla artificiale e monoculare con pupilla artificiale e tunnel di riduzione. Nella visione binoculare e monoculare predomina la costanza percettiva, nella visione con la pupilla artificiale e con il tunnel di riduzione ci avviciniamo alla percezione della grandezza così come prevista dalla legge di Euclide. Per spiegare la costanza della grandezza, oltre che delle informazioni dell’immagine retinica, teniamo conto anche degli indizi di profondità che sono presenti nell’ambiente. La costanza di grandezza è una proprietà del campo percettivo ed è generata dalla relazione fra oggetto e contesto immediato. COSTANZA DI FORMA la costanza di forma, è la tendenza ad attribuire agli oggetti la medesima forma, nonostante le varietà di forme che essi proiettano nel tempo sulla retina. Grazie alla prospettiva lineare e al gradiente tissurale è possibile spiegare la costanza di forma: pur con diverse inclinazioni, l’oggetto ad esempio un rettangolo, contiene il medesimo numero di elementi nelle diverse posizioni. Al pari della costanza di grandezza anche questa proprietà è di campo. COSTANZA CROMATICA oltre ad avere una grandezza e una forma costanti, gli oggetti dell’ambiente hanno un colore stabile, per quanto grandi possano essere la variazione dell’illuminazione. La luce riflessa da un oggetto varia a seconda del tipo e dell’intensità dell’illuminazione, ciò nonostante lo percepiamo come dotato delle medesime proprietà cromatiche. È il fenomeno della costanza di colore. Per spiegare questo si usa la TEORIA QUADRICROMATICA, nella retina ci sarebbero tre sostanze che funzionano secondo processi biochimici di assimilazione e di dissimilazione, sotto l’azione delle radiazioni luminose. Vi sarebbe una sostanza rosso – verde, una sostanza giallo – blu e una sostanza bianco – nera. Sarebbero in atto processi antagonisti: quando si percepisce un colore di coppia non si può percepire l’altro. Questa teoria è compatibile con tre dimensioni percettive fondamentale dei colori: • Tonalità • Chiarezza • Saturazione Da questa teoria il quadrato delle tonalità cromatiche in base al quale i colori fondamentali: rosso, giallo, verde, blu, sono disposti ai vertici del quadrato, colori angolari, mentre i colori complementari sono collocati lungo i lati, colori laterali. I colori laterali sono circa 250, i colori angolari opposti si dicono complementari come il rosso e il verde o il giallo e il blu. Dalla fusione di due colori complementari si ottiene il grigio oppure due colori più o meno desaturato. La costanza cromatica è di natura relazionale. La tonalità cromatica e la chiarezza di un oggetto non dipendono dai valori assoluti dell’illuminazione ma dai rapporti con le zone adiacenti alla stimolazione complessiva. Le costanze percettive pongono in evidenza il fatto che le nostre capacità percettive più che cogliere gli stimoli ambientali, si basano sul confronto simultaneo fra più stimoli adiacenti interconnessi a costituire un sistema di riferimento unitario. Il nostro organismo è predisposto a rilevare i rapporti tra diversi stimoli e a cogliere le loro differenze e le loro somiglianze. Elaborazione controllata ed elaborazione automatica: nella rilevazione degli stimoli entrano in funzione processi sia di elaborazione controllata che di elaborazione automatica. L’elaborazione controllata è lenta e consapevole, richiede un notevole impegno e una rilevante partecipazione delle risorse attentive ed è accompagnata da errori. Infine non consente di svolgere altri compiti nello stesso tempo (attività in serie); implica un controllo diretto e continuo su quello che stiamo facendo. L’elaborazione automatica è rapida, non coinvolge la memoria a breve termine e non richiede risorse attentive, è sostanzialmente inconsapevole, difficile da modificare e permette di svolgere più compiti nello stesso tempo (attività in parallelo) che sembrano procedere per conto loro senza il controllo del soggetto. Questa distinzione è stata proposta alla fine degli anni Settanta e oggi appare meno netta perché nessuna elaborazione è pienamente automatica. In ogni caso richiede una certa quota di risorse attentive per la sua esecuzione e qualsiasi operazione automatica può essere ripresa sotto la supervisione volontaria degli individui. Anche le attività guidate dall’elaborazione controllata diventano automatiche nel tempo e con la pratica. Controllo volontario e automatismi oscillano fra loro e si alternano nel corso delle situazioni in funzione delle richieste del compito, della natura degli stimoli e delle esigenze individuali. È l’incrocio fra processi dal basso verso l’alto e processi dall’alto verso il basso. 1.2 SELEZIONE E RICERCA DEGLI STIMOLI In una condizione di vigilanza siamo in grado di discriminare e scegliere ciò che è rilevante e ciò che ci è indifferente. È l’attività di selezione. Grazie alla selezione, siamo in grado di impiegare al meglio le risorse cognitive e modulare le nostre attività mentali in funzione della richiesta di compiti da svolgere. È un dispositivo molto potente e flessibile, in grado di facilitare e inibire il processo di rilevazione degli stimoli, nel quale intervengono diverse aree cerebrali. L’attività di selezione è stata interpretata facendo riferimento a differenti ipotesi. Selezione come filtro. Secondo Donald Broadbent, data l’enorme massa di stimoli sensoriali, l’attenzione è un FILTRO per selezionare le informazioni rilevanti per l’organismo, eliminando quelle superflue. Subito dopo il registro sensoriale vi sarebbe un collo di bottiglia che lascia passare solo gli stimoli pertinenti in quella data situazione. Il collo di bottiglia dell’attenzione si trova immediatamente dopo il registro sensoriale e solo una parte assai ridotta delle informazioni, selezionata sulla base delle caratteristiche fisiche, va avanti per la successiva elaborazione semantica. Questa è l’ipotesi della selezione precoce: gli stimoli irrilevanti sono filtrati e scartati, mentre solo i segnali pertinenti sono ammessi all’elaborazione successiva. Tale ipotesi non appare però in grado di spiegare l’intero processo di selezione, occorre che prima del collo di bottiglia tutte le informazioni sensoriali siano elaborate a livello percettivo per determinare le caratteristiche fisiche e il contenuto semantico. Il fatto che qualche informazione irrilevante e inattesa potrebbe essere individuata implica questa operazione di analisi completa degli stimoli. È un fenomeno frequente soprattutto quando l’informazione inaspettata è saliente. In una festa affollata e caotica, piena di suoni e luci, se sentiamo il nostro nome pronunciato da qualcuno anche a distanza, mentre stiamo parlando con qualcuno, ci giriamo subito a vedere chi ci ha chiamato. Questa situazione è un buon esempio di come un’informazione inattesa ma dotata di alta priorità viene rilevata. Questo fenomeno si chiama effetto cocktail party. Si parla di selezione tardiva, secondo cui nella nostra enciclopedia delle conoscenze ed in particolare nei depositi della memoria lessicale, alcuni elementi (un suono, una parola) hanno una soglia di attivazione più bassa degli altri, sono più facilmente e rapidamente rilevati e richiedono meno analisi e quindi più agevolmente passano attraverso il filtro attentivo per giungere alla coscienza. Rimani l’ipotesi del filtro selettivo anche se è intesa in modo più articolato e dinamico. Selezione come fascio di luce. Spesso si è fatto ricorso alla metafora del fascio di luce per illustrare l’attività di selezione svolta dall’attenzione nei riguardi dell’ambiente. Essa sarebbe come un fascio luminoso che di volta in volta, illumina specifici aspetti della scena. Questa ipotesi non è stata verificata a livello sperimentale. Appare poco verosimile sul piano teorico, poiché presuppone che l’attenzione sia un processo on-off, dove le informazioni fuori dal campo selezionato sarebbero semplicemente ignorate. Più che fascio di luce l’attenzione è un processo modulato, in grado di elaborare gli stimoli selezionati in modo dinamico con incrementi o decrementi progressivi di risorse in funzione sia delle esigenze degli individui sia delle condizioni dell’ambiente. Selezione come ricerca degli stimoli. La ricerca disgiuntiva è più facile, perché il bersaglio salta fuori (pop out) in modo immediato e indipendente dal numero degli stimoli grazie all’elaborazione in parallelo; il bersaglio differisce dagli altri stimoli distrattori per una sola caratteristica (forma). La ricerca congiuntiva invece è quando il bersaglio è definito dalla congiunzione di più caratteristiche (forma e tonalità). L’operazione della ricerca disgiuntiva dipende dagli interessi e dagli scopi degli individui, dai compiti assegnati, dalla rilevanza dello stimolo. Se dovessimo trovare il viso di qualcuno arrabbiato fra la folla, lo riconosciamo più velocemente se ha un’espressione di collera. Una faccia arrabbiata salta fuori in modo prioritario rispetto alle altre, perché costituisce un segnale percepito come molto minaccioso di una faccia indifferente, ponendo in allerta il nostro organismo grazie all’attivazione dell’amigdala. Per contro, nella ricerca congiuntiva ogni elemento è valutato singolarmente per accertare se rappresenta o meno il bersaglio (elaborazione in serie). Se si aggiungono altri elementi il compito diventa più difficile e richiede maggior tempo. La ricerca di un bersaglio è associata alla presenza o assenza di certe caratteristiche. È più facile e rapida nel caso della selezione disgiuntiva e lenta in quella congiuntiva. La differenza fra la ricerca disgiuntiva e quella congiuntiva è messa in evidenza dalla teoria dell’integrazione delle caratteristiche. Se ricerchiamo un bersaglio in base a 1a sola caratteristica basta fare riferimento solo a essa e la rilevazione procede in modo spedito, indipendentemente dal numero di distrattori; se ricerchiamo un bersaglio in relazione a due caratteristiche, occorre confrontarle in modo sistematico e incrociarle fra loro. Questa operazione richiede un dispendio elevato di risorse rispetto all’individuazione di un bersaglio semplice (una sola differenza). 1.3 COMPETIZIONE FRA STIMOLI Nella vita quotidiana, spesso ci troviamo nella situazione di far fronte a due o più compiti nello stesso tempo e a prestare attenzione a diversi stimoli, anche in competizione fra loro. I dispositivi digitali come internet, ci pongono nella condizione di svolgere più attività nello stesso tempo (multitasking). Abbiamo un frazionamento dell’attenzione, che deve governare molti bersagli. È un fenomeno degno di attenzione. Attenzione focalizzata e attenzione divisa. Quando intendiamo svolgere due compiti nello stesso tempo troviamo difficile eseguirli entrambi in modo soddisfacente. La capacità di prestare attenzione a due fonti di informazioni è inferiore a quella di elaborare le informazioni di un’unica fonte. Quando dobbiamo fare attenzione a due compiti nello stesso tempo abbiamo due alternative: o seguiamo la tv oppure parliamo, o perdiamo informazioni da entrambe le fonti. Nella prima condizione abbiamo l’attenzione focalizzata: la concentrazione su una fonte informativa esclude l’altra. Nella seconda condizione abbiamo l’attenzione divisa: prestiamo attenzioni sia alla tv che alla conversazione ma la loro elaborazione è parziale e mediocre e questo porta a un costo supplementare per assicurare accuratezza o efficienza nei tempi di reazione delle risposte. Interferenze da doppio compito. Tale condizione di deterioramento delle prestazioni è da attribuire a un’interferenza da doppio compito. Abbiamo due fonti di stimolazione di tipo diverso, in competizione fra loro. Dobbiamo procedere a selezionare in qualche modo il loro accesso alla nostra mente. Incapaci di gestire una quantità eccessiva di informazioni, ci troviamo in questa condizione quando i due compiti da eseguire nello stesso tempo condividono il medesimo canale di elaborazione (interferenza strutturale). È impossibile seguire un film e guidare una macchina perché entrambi i compiti coinvolgono il sistema visivo. Nell’interferenza da risorse la ripartizione dell’attenzione fra i compiti è inversa (tanto più alta per il compito primario tanto più bassa per quello secondario). Abbiamo inoltre, condizioni dovute all’incoerenza fra gli stimoli. Un esempio di ciò è l’effetto Stroop se mi trovo difronte a parole come rosso, giallo, blu collocate su sfondo rosso, giallo e blu, e siamo invitati a pronunciare il colore dello sfondo avremo tempi di reazione più brevi per gli stimoli congruenti rispetto a quelli incongruenti interferenza da incongruenza. Si può riscontrare anche l’effetto Navonquando il soggetto, posto di fronte a stimoli incongruenti è invitato a prendere attenzione alle lettere locali, la presenza di una lettera incongruente a livello globale produce un rallentamento nei suoi tempi di risposta. Non sempre il doppio compito è impossibileguidare l’auto e ascoltare musicanon occupano lo stesso canale di elaborazione delle informazioni. Competizione semplice e competizione polarizzata. Attenzione divisa e interferenza da doppio compito implicano che l’attenzione costituisca una forma di selezione fra stimoli in competizione fra loro. Nella competizione semplice lo stimolo che riceve la maggiore quantità di risorse per la sua salienza è analizzato in modo più dettagliato, ha la priorità e conduce l’attenzione focalizzata. Tale competizione può essere influenzata da altri sistemi cognitivi, soggetta a distorsioni in funzione sia delle caratteristiche dello stimolo ambientale (esogeno), sia della pertinenza e rilevanza rispetto agli scopi e alle aspettative del soggetto (endogeno). Si parla di competizione polarizzata. Questa emerge quando gli stimoli sono presentati simultaneamente anziché in serie, uno dopo l’altro. La competizione semplice o polarizzata pone in evidenza che l’attenzione, più che essere un collo di bottiglia o un fascio di luce sull’ambiente, è un dispositivo dinamico in grado di adattarsi in modo attivo a una gamma assai variegata di fenomeni. L’attenzione non è una semplice registrazione passiva degli stimoli, ma produce in ogni situazione una loro distorsione in funzione delle caratteristiche (basso-alto), sia della pertinenza a scopi e interessi (alto-basso). Questa interdipendenza genera la forza degli stimoli che entrano in competizione fra loro. Gli stimoli più forti hanno la preminenza rispetto a quelli più deboli. Tale forza è contingente, perché varia da momento a momento e da soggetto a soggetto. L’attenzione è un’attività mentale emergente e dinamica, immersa nella situazione immediata, in grado di fornire, in condizioni standard, le informazioni utili per gli individui. 2. LA COSCIENZA Gli esseri umani sono caratterizzati da un elevato grado di coscienza rispetto agli altri primati. La coscienza è una caratteristica primaria per divenire una specie simbolica. È una qualità emergente che si radica su una base molto ampia e profonda di processi inconsci senza i quali non potrebbe affiorare. 2.1 DEFINIZIONE DI COSCIENZA 2.1.1 COSCIENZA E VIGILANZA La coscienza può essere definita come uno stato particolare della mente in cui si ha conoscenza dell’esistenza di sé e dell’ambiente. Ha sempre un contenuto in una condizione di vigilanza, percepito come un insieme integrato di parti, fondato su una grande quantità di informazioni provenienti dagli organi di senso, situata in un ambiente circostante in un dato momento (contesto immediato). La coscienza rappresenta la mente nella sua soggettività. È l’esperienza della prospettiva esclusiva e privata di ciascuno di noi. È il nostro baricentro. Nella storia dell’evoluzione la coscienza emerge quando prende forma il concetto di sé. Non è un sé statico, ma dinamico, in continuo cambiamento in funzione della situazione contingente immediata (sé situato). Il sé come processo, non come cosa. Williams James aveva sottolineato la rilevanza di questa variabilità della coscienza definendola una corrente. Coscienza e vigilanza non sono la stessa cosa. Essere vigili è un prerequisito della coscienza, ma non è ancora coscienza. La vigilanza consente la rappresentazione mentale degli oggetti, la pianificazione di ciò che intendiamo fare. Non è un processo on-off, non è un processo monolitico, lineare e fisso ma presenta una gradualità notoriamente assai ampia. La dissociazione fra vigilanza e coscienza è ben osservabile nei soggetti in stato neurovegetativo. Pur non essendo consapevoli, il loro elettroencefalogramma presenta un’alternanza fra veglia e sonno, e spesso aprono gli occhi senza dirigere lo sguardo verso un particolare bersaglio. Lo stato di vigilanza dipende da alcuni nuclei del tronco dell’encefalo e dell’ipotalamo che influenzano altri nuclei della corteccia cerebrale. I nuclei tronco-encefalici sono associati al valore e alla rilevanza della situazione contingente e regolano la condotta di allerta in caso di emergenza. I centri ipotalamici sono strettamente connessi con la quantità di luce disponibile e con il ciclo giorno-notte. 2.1.2 PRINCIPALI PROPRIETA’ DELLA COSCIENZA La coscienza ha varie proprietà. Consapevolezza cognitiva. La coscienza consiste, nella capacità di rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente “qui e ora” (consapevolezza percettiva). Ognuno di noi è consapevole di quanto accada intorno a lui e dentro di lui. Quando dormiamo abbiamo un certo grado di risposta, soprattutto in seguito a forti stimoli o particolari (es. il proprio nome o il pianto di un bambino). La coscienza di uno stimolo sensoriale emerge dopo circa mezzo secondo dalla sua comparsa. La coscienza, quindi, svolge una funzione di Arrivati allo stadio 4, si torna allo stadio 1 per ripetere il ciclo. Durante il sonno di solito si svolgono 4-6 cicli ciascuno dei quali dura in media 90 minuti. Sonno REM e sonno NREM. Quando dallo stadio 4 ritorniamo allo stadio 1, compaiono dei movimenti rapidi con i bulbi oculari. È il sonno REM (Rapid Eye Movements), definito anche sonno paradosso o sonno D. Il sonno REM va distinto dal sonno NREM che è chiamato sonno ortodosso o sonno S (onde cerebrali sincronizzate e regolari). Il sonno NREM prevale nelle prime ore del sonno, mentre quello REM è maggiormente presente nelle fasi terminali. Nell’uomo, il sonno REM e NREM si alternano ciclicamente. Durante il sonno NREM i ritmi del cuore sono lenti e regolari. I movimenti oculari quasi assenti e abbiamo un notevole rilassamento dei muscoli e i valori del metabolismo cerebrale scendono del 30% circa. Il sonno NREM è caratterizzato da un’attività cerebrale lenta e ridotta. Durante il sonno REM abbiamo la presenza di rapidi movimenti degli occhi, in scariche da 10 a 20secondi. L’attività cerebrale aumenta fino a raggiungere una condizione simile a quella della veglia attiva. Abbiamo un aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo (aumenta la pressione arteriosa, il polso e la respirazione); perde tono la muscolatura. Di norma è accompagnato dall’erezione del pene e dal turgore clitorideo. Se ci svegliamo durante il sonno REM, nell’80% dei casi riferite che stavate sognando; se vi svegliate durante il sonno NREM racconterete un sogno solo nel 25% dei casi. I sogni del sonno REM sono vividi e hanno le caratteristiche emotive bizzarre e illogiche. I sogni del sonno NREM assomigliano a pensieri normali. Gufi e allodole. Pur dormendo in media 7.5 ore per notte, vi sono dei brevi dormitori che dormono 6.5 ore a notte e vi sono i lunghi dormitori che dormono oltre le 8.5 ore. Entrambe queste categorie hanno gli stessi cicli del sonno, ma i lunghi dormitori hanno una durata maggiore del sonno REM e dello stadio 2, che invece si riducono nei brevi dormitori. Gli individui mattutini (allodole) sono caratterizzati da un precoce addormentamento serale e da un risveglio mattutino a ore precoci. Sono capaci di raggiungere livelli ottimali di efficienza mentale in tempi rapidi e sono più attivi e socievoli nella prima metà della giornata. I soggetti serotini, “gufi”, i lunghi dormitori, riescono ad addormentarsi solo a tarda ora e tendono a svegliarsi a mattino avanzato. Manifestano una certa lentezza a raggiungere i livelli ottimali di efficienza mentale e sono più socievoli nella seconda metà della giornata. Mentre il ritmo sonno-veglia del neonato e del bambino è polifasico (una successione di diversi cicli nel corso della giornata), nell’adulto è monofasico. Una certa quota di individui ha l’abitudine di fare una siesta pomeridiana. Per questi soggetti si parla di bifasico nell’alternanza sonno-veglia. Perché dormiamo? Molta gente pensa che il sonno serva a riposarsi dalla stanchezza accumulata durante la giornata. In realtà, svolge una funzione essenziale per la sopravvivenza, ma non vi è unanimità di parere su tale funzione. Due teorie principali si contendono il campo. Secondo la teoria ristorativa, il sonno consente un recupero delle risorse a livello sia somatico, sia cerebrale. Il sonno svolgerebbe, la funzione di riparazione dei danni subiti durante la veglia, una sorta di rilassamento del cervello. Per la teoria circadiana, il sonno sarebbe comparso durante l’evoluzione delle specie per mantenere gli animali inattivi durante il periodo in cui non hanno bisogno di impegnarsi nelle attività necessarie alla sopravvivenzasonno come protezione della vulnerabilità della specie Privazione del sonno. Come esseri umani noi siamo capaci di non dormire diversi giorni, raggiungendo e superando abbondantemente le 200 ore (privazione totale). Per il momento il primato, certificato dal Guinness dei primati è detenuto dalla Signora Maureen Weston, rimasta sveglia per 449 ore, 18 giorni e 17 ore. Nonostante la convinzione comune che la privazione del sonno abbia effetti negativi sui processi fisiologici e sulle prestazioni psicologiche, è stato verificato che essa non produce particolari alterazioni. Non genera neanche un declino delle funzioni cognitive, soprattutto quelle complesse. Dopo alcuni giorni di privazione del sonno compaiono i microsonni: cali improvvisi della vigilanza della durata di pochi secondi, durante i quali le palpebre si chiudono e i soggetti non rispondo agli stimoli ambientali. La quantità di sonno recuperata nelle notti successive alla privazione è, di solito, inferiore a 1/3 del sonno perduto. Si ha un recupero totale per lo stadio 4 e di circa la metà per il sonno REM. Il primo ha la precedenza rispetto al secondo. È il sonno a onde lente SWS (stadio 4) a svolgere la funzione di recupero del dispendio di risorse psichiche che ha luogo nel corso della giornata. Nella privazione parziale (una riduzione di alcune ore del periodo di sonno), osserviamo un incremento nell’efficienza del sonno: una diminuzione nella latenza di addormentamento, un decremento dei risvegli notturni e una riduzione degli stadi 1 e 2 del sonno NREM, nonché una riduzione del sonno REM di circa il 25%. Rimane invece la quantità di sonno SWS (stadi 3 e 4 del NREM)sonnolenza piuttosto fastidiosa soprattutto nelle ore serali. 2.3.2 IPNOSI L’ipnosi è un procedimento in cui un operatore (medico o psicologo), nella funzione di ipnotizzatore, induce il cliente a sperimentare significativi cambiamenti nei propri comportamenti in connessione con una sospensione temporanea della coscienza. La situazione ipnotica di solito è costituita da una fase di induzione che conduce a obnubilare la coscienza dell’ipnotizzato e a fargli compiere una serie di azioni atipiche. Talvolta queste distorsioni sono così evidenti che l’ipnotizzato sembra vittima di inganni percettivi di memoria. Induzione ipnotica. Di solito nell’ipnosi un soggetto collaborante abbandona un certo grado di controllo sulla propria coscienza all’ipnotizzatore e accetta le sue indicazioni (suggestioni), che possono condurre a distorsioni della realtà. Il soggetto è posto in condizione di rilassamento (contesto ipnotico) e gli vengono impartite progressivamente diverse suggestioni, fra cui la classica prova di incrociare le dita seguita dall’indicazione di non poterle separare. Alla fine segue l’ordine di non ricordare più cosa è successo durante l’ipnosi medesima (suggestione postipnotica). In passato, gli ipnotizzatori facevano ricorso a comandi autoritari, pendolo in mano e occhi magnetici puntati sul soggetto (strategia imperativa o direttiva). Oggi questi metodi sono stati abbandonati. Le tecniche ipnotiche utilizzate attualmente sono molto più fini e basate sul linguaggio. Spesso soggetto a ipnotizzare sono seduti uno di fronte all’altro e l’induzione ipnotica consiste nel raccontare una “storia”, in cui si inseriscono fasi ricorrenti che conducono a un profondo rilassamento e portano lo spostamento dell’attenzione su un determinato pensiero, oggetto o parte del corpo. Una volta raggiunta la condizione di ipnosi, l’ipnotizzatore può inviare le suggestioni per ottenere specifiche e anomale risposte da parte del soggetto ipnotizzato. I fenomeni più ricorrenti sono: a) allucinazioni positive e negative (percepire qualcosa che non c’è o non percepire qualcosa che c’è); b) reazioni ideomotorie (rispondere con comportamenti automatici alle idee proposte dall’ipnotizzatore); c) regressione di età (regredire a età precedenti e attuare comportamenti conseguenti); d) inibizione del dolore (non percepire un dolore che in genere si avvertirebbe); e) incremento nel recupero dei ricordi (aumentare l’estensione e la qualità dei ricordi, compresi quelli rimossi; cap.7). La fase terminale consiste nella preparazione e nell’uscita effettiva dall’ipnosi con suggestioni di risveglio e di riorientamento della realtà. Gli eventi che si verificano durante il periodo ipnotico sono dimenticati sulla base di una suggestione da parte dell’ipnotizzatore, al fine di evitare ogni ricordo spiacevole e indesiderato (amnesia postipnotica). Suscettibilità ipnotica. Non tutti gli individui sono ipnotizzabili. Facendo ricorso alla Scala di suscettibilità ipnotica di Stanford che prevede 12 suggestioni, una quota di popolazione fra 5-10% non può essere ipnotizzata neanche da un ipnotizzatore esperto. Per contro, il 15% dei soggetti è altamente ipnotizzabile. La suscettibilità ipnotica costituisce un tratto stabile della personalità, con una predisposizione genetica e un’evoluzione nel corso della vita che ha un picco durante l’adolescenza. Secondo la psicologia ingenua i soggetti più facilmente ipnotizzabili sono anche quelli più suggestionabili e più accondiscendenti in altre circostanze. In realtà, questi individui sono caratterizzati da alcune qualità scientifiche: a) dissociazione: sono capaci di fare ricorso a meccanismi dissociativi (vivere una data situazione non in prima persona ma in modo distaccato); b) immaginazione: hanno un’immaginazione ricca, sono portati a fare sogni ad occhi aperti e riescono a concentrarsi così tanto sulle proprie fantasie da sentirsi totalmente coinvolti in essefenomeno dell’immersione fantastica; c) disposizione al contesto ipnotico: riescono a rispondere in modo nettamente favorevole all’ambiente ipnotico e sono ben disposti nei confronti dell’ipnosi e dell’ipnotizzatore. Analgesia ipnotica. Un fenomeno particolare dell’ipnosi degno di rilievo è costituito dalla possibilità di esercitare un controllo diretto sul dolore, senza necessità di interventi farmacologici (analgesia ipnotica). L’analgesia ipnotica si fonda sulle modificazioni dell’attività nervosa della corteccia cerebrale (primaria e secondaria) a seguito delle suggestioni ipnotiche e comporta una sorta di separazione fra la stimolazione dolorosa e l’esperienza affettiva della medesima. Fra i diversi campi di applicazione, i risultati più interessanti concernono i dolori da parto, da schiena e al petto, i dolori odontoiatrici ecc. Di solito si fa ricorso a tecniche di autoipnosi, attraverso cui ci convinciamo che la parte dolorante, o che gli stimoli dolorosi sono trasformati, da dolorosi a spiacevoli. Queste strategie ipnotiche sono dimostrate valide anche nell’ambito della psiconeuroimmunologia che si occupa dello studio delle complesse interazioni fra psiche, sistema nervoso e sistema immunitario. Lo stato ipnotico ha ottenuto risultati favorevoli nel trattamento dell’orticaria cronica o della psoriasi, nell’aumento dei linfociti in soggetti affetti da HIV, nonché nell’incremento delle attività delle cellule killer antitumorali nei soggetti anziani. 2.3.3 MEDITAZIONE La meditazione costituisce uno stato modificato di coscienza attraverso l’esecuzione ripetitiva e sequenziale di alcuni esercizi mentali, di solito realizzati in un ambiente tranquillo. È un metodo di rilassamento durante il quale il soggetto dirigendo l’attenzione in un punto fisso e invariabile su un unico stimolo, ottiene un elevato controllo nella regolazione della respirazione e giunge a limitare il proprio campo di attenzione e la ricezione degli stimoli ambientali. La meditazione crea un senso piacevole di benessere psicofisico. Genera un’espansione della coscienza, simile a quella che si ottiene con l’autoipnosi. Le forme tradizionali della meditazione seguono la pratica dello yoga o dello zen. Tra queste forme tradizionali degno di interesse è ricordare la meditazione di apertura e la meditazione di concentrazione. Nella meditazione di apertura il soggetto si impegna a non pensare a nulla e libera la mente per accogliere nuove esperienze. Nella meditazione da concentrazione il soggetto si impegna a concentrare la sua attenzione e il suo pensiero su un unico oggetto, idea o parola, escludendo ogni altra cosa. La meditazione trascendentale consiste nel focalizzare l’attenzione sulla ripetizione mentale di un suono mentale (mantra) o sulla respirazione nasale. In entrambi i casi l’impegno è quello di distogliere completamente l’attenzione dai normali stimoli esterni e di concentrarsi pienamente su uno specifico stimolo interno. La meditazione trascendentale è una tecnica efficace per indurre in uno stato profondo di rilassamento, per ridurre l’eccitazione fisiologica, per diminuire le condizioni di stress e produce un significativo abbassamento del ritmo respiratorio, una diminuzione del consumo di ossigeno e una minore eliminazione di anidride carbonica. La frequenza cardiaca rallenta e altre condizione fisiologiche cambiano. A livello psicologico risulta opportuna per combattere lo stress negativo (distress) e per superare gli stati di ansia cronica. Inoltre è efficace nell’aumentare la capacità della memoria e l’efficienza mentale, nonché per migliorare il livello di autostima. La meditazione non solo consente un rilassamento dei differenti gruppi muscolari, ma contribuisce anche a simulare attraverso la formazione di immagini mentali vivide i movimenti giusti da compiere nei vari momenti di una gara (cap.5). 3. AZIONE In principio non era la parola, né il pensiero, né l’energia. In principio era l’azione, ha scritto Goethe nel Faust. Per interagire con l’ambiente in modo efficace con l’ambiente non è sufficiente stare attenti e coscienti. Occorre saper agire. L’azione è la sequenza consapevole e deliberata di movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, svolta in basa a un piano e controllata dall’attenzione esecutiva, idonea a generare specifici effetti sull’ambiente. Tramite le azioni un individuo, è in grado di intervenire sulla realtà e di far accadere le cose. Un insieme di azioni fra loro diversificate ma coordinate in modo sufficientemente coerente per il raggiungimento di un unico scopo primario costituisce un’attività. Grazie alla capacità di agire Agentività e autoefficacia. Le attività che svolgiamo attribuiscono senso alla nostra vita perché ci fanno sentire protagonisti, in grado di raggiungere degli obbiettivi che ci interessano. È la soddisfazione associata al raggiungimento di uno scopo, poichè è la sconfitta della paura del fallimento. È il sentimento dell’autoefficacia: credenza e verifica di riuscire a controllare un’attività e di svolgerla con una buona riuscita. Il piacere deriva dal raggiungimento di un obbiettivo che non è dato totalmente per scontato. Siamo alla presenza di ciò che Bühler chiamava piacere funzionale. L’autoefficacia dipende dalla consapevolezza di essere protagonisti in grado di causare degli effetti all’ambiente in cui viviamo e di far accadere le cose. È il costrutto dell’agentività. L’agentività è la capacità di pianificare, soddisfare un piano personale, quindi è la competenza nel compiere azione efficaci, associata alla consapevolezza di ascrivere tale competenza a se stessi in quanto protagonisti. Capitolo 5 - RAPPRESENTAZIONE, CONOSCENZA, SIMULAZIONE MENTALE Per affrontare e governare l’ambiente in cui viviamo, le informazioni da esso provenienti vanno non solo acquisite (percezione), selezionate e ricercate (attenzione e coscienza), ma anche elaborate a livello mentale. Il nostro scopo è avere una rappresentazione mentale abbastanza fedele e completa del mondo con cui dobbiamo interagire. 1. RAPPRESENTAZIONE MENTALE Per conoscere e capire gli eventi occorre rappresentarli nella nostra mente. Senza una loro rappresentazione sarebbe impossibile ogni successiva attività. La rappresentazione di un oggetto o evento è un’entità che sta per quell’oggetto o evento e trasmette informazioni a esso congruenti. Può essere analitica (quando vi è un rapporto arbitrario fra rappresentazioni e cosa rappresenta) o analogica (quando vi è un rapporto di somiglianza fra rappresentazione e cosa rappresentata). Per rappresentazione mentale intendiamo un’immagine, un simbolo o modello presente nella mente basato su una mappa cerebrale in corrispondenza a un certo oggetto o evento. È fondata sull’esperienza (grounded cognition) in grado di stabilire una connessione stretta fra ciò che abbiamo in mente e ciò che esiste nell’ambiente. 1.1 MENTE COMPUTAZIONALE La differenza è alla base della conoscenza, consente di elaborare informazioni, intese come differenze che generano differenze. I significati si fondano sul contrasto e sull’opposizione. Lo stesso vale per i valori. È la mente computazionale in grado di fare calcoli, confronti, operazioni di misura, manipolazioni e graduatorie, capace di scelta fra alternative di adeguamento a regole prefissate. Questo modo di funzionare della mente trova fondamento nell’attività cerebrale. Le rappresentazioni mentali consentono di svolgere le operazioni mentali in modo agevole. Il funzionamento della mente è stato spiegato da due prospettive opposte: MENTE MODULARE E MENTE RADICATA NEL CORPO. Il linguaggio della mente. Un gruppo di psicologi, Buss, Fodor, Pinker, Pylyshyn, Tooby e Cosmides ha privilegiato lo studio delle strutture mentali rispetto alle funzioni. In questo modo è stata elaborata una modellistica mentale che va dai moduli ai modelli, alle reti semantiche, al frame (struttura di relazioni) e al linguaggio della mente. Ipotizzando l’esistenza di una natura umana questa impostazione prevede che i processi mentali siano gli stessi per tutti. Fodor ha difeso una concezione della mente computazionale, proponendo l’ipotesi di un linguaggio della mente (mentalese) analogo a una lingua naturale. Questo sarebbe costituito da rappresentazioni che: a) Hanno parti costituenti che si combinano fra loro a secondo delle regole della logica b) Sono composte da concetti innati e corrispondenti a proprietà del mondo c) Sono composizionali, poiché le proprietà semantiche dipendono da quelle dei concetti. d) Sono regolate secondo le condizioni di verità e le relazioni di implicazione. Le rappresentazioni mentali quindi sarebbero combinazioni di concetti semplici innati, intesi come entità univoche e chiuse, discrete e fisse in grado di esprimere verità necessarie. Tali rappresentazioni sarebbero elaborate secondo le regole logiche, attente solo alla forma (proprietà sintattiche), non ai contenuti (proprietà semantiche). Queste regole sono computazionali, sensibili solo alle proprietà formali delle rappresentazioni e cieche di significato, in grado di compiere operazioni di calcolo. Nonostante la cecità semantica, le regole logiche hanno il pregio di conservare la verità delle premesse, poiché non portano mai da premesse vere a conclusioni false. La mente computazionale in grado di tradurre le rappresentazioni mentali assume il carattere di mente proposizionale. Grazie al mentalese il pensiero è comunicabile e condivisibile. La mente è un sistema chiuso, che non interagisce con l’ambiente né sul piano percettivo né su quello motorio. Essa procede a compiere sofisticate comunicazioni su simboli amodali (non provenienti dalle diverse modalità sensoriali e propriocettive, ma già presenti in modo innato) mediante il ricorso a regole logiche. Searle ha posto in evidenza l’insostenibilità della mente come sistema chiuso, attraverso l’esperimento della stanza cinese (quello di fare vedere gli ideogrammi a un italiano che se segue le istruzioni è in grado di superare il compitoabbina gli ideogrammi A cinesi con le istruzioni scritte in italiano). A parimenti esiste il fondamento dei simboli: se i simboli sono definiti solo in termini di altri simboli il significato è infondato. Il modularismo. In base all’ipotesi del linguaggio della mente, Fodor ha proposto una concezione fortemente localizzatrice della mente organizzata in moduli, ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in un ambito specifico rispetto all’ambiente (modularismo) . I moduli sono dominio- specifici, in grado di elaborare informazioni concernenti un ambito ristretto della realtà. Hanno un’architettura neurale fissa, poiché si sviluppano in assenza di istruzione derivante dall’esperienza. Fodor, condivide l’idea di Chomsky per cui non si apprende ad avere la competenza linguistica o la facoltà visiva più di quanto non si apprenda ad avere le braccia o le ali. I moduli, sono innati, definiti da precisi programmi genetici e operano allo stesso modo nei vari contesti in cui gli individui vengono a trovarsi, sono decontestualizzati. I moduli sono vincolanti. Gli individui non possono scegliere di organizzare la loro percezione come desiderano, i moduli attribuiscono una specifica struttura alla mente che può funzionare solo secondo processi predefiniti. I moduli sono veloci, in grado di risolvere i problemi nel loro specifico dominio, in tempi più rapidi dei processi cognitivi generali. Sono incapsulati a livello informativo, isolati e nessuno di essi ha accesso a tutta la gamma delle informazioni disponibili all’organismo. Ogni modulo può essere considerato come un simulatore esperto di uno specifico dominio del mondo, poiché è dotato di un insieme di programmi e di istruzioni in grado di rappresentare al meglio il dominio in oggetto. La mente in è come un coltellino svizzero, geneticamente predisposti, finalizzati a rappresentare e a trattare a livello mentale i problemi di uno specifico ambito dell’ambiente. La prospettiva della mente modulare è rimasta un’ipotesi teorica sul funzionamento mentale, ma non ha ricevuto conferme empiriche. Più che parlare di mente modulare adattata, oggi è corretto dire e parlare della mente come mente che sa adattarsi alla situazione contingente. 1.2 MENTE RADICATA NEL CORPO La concezione di mente radicata nel corpo è fondata su dati sperimentali, ritiene che la mente sia fondata, momento per momento sull’interazione senso-motoria con l’ambiente. È una mente situata e radicata nel corpo, costantemente immersa in un contesto immediato. L’ambiente, il contesto, è considerato oltre che come uno scenario materiale in cui l’individuo opera anche come realtà dinamica. La mente situata è una mente estesa al contesto e funziona come guida di controllo per il comportamento momento per momento. Rispetto al modularismo, tale concezione è più flessibile e più aderente alle informazioni. 1.2.1 I NEURONI SPECCHIO I neuroni specchio sono una scoperta del tutto italiana. Sono stati un contributo essenziale per le rappresentazioni mentali come radicate nell’organismo. Sono stati scoperti in Italia a metà degli anni ’90 da un gruppo di studiosi: Rizzolati, Fogassi, Gallese. Le rappresentazioni mentali derivanti dai sistemi motori e quelle provenienti dai sistemi percettivi fanno ricorso a informazioni fra loro commensurabili e compatibili, ipotesi della codifica comune. Per questo è possibile trasformare i modelli percettivi in corrispondenza di modelli motori e viceversa (legame percezione-movimento). Neuroni specchio nelle scimmie. I neuroni specchio sono stati scoperti per primo nei Macachi (scimmie). Presenti nell’area PREMOTORIA VENTRALE, area F5, si attivano sia quando un animale esegue una certa azione, sia quando osserva, ri-specchia, la medesima azione compiuta da un altro. Questa attivazione ha luogo solo se l’azione altrui non è gratuita (semplice movimento) ma ha uno scopo (es. afferrare un ramo per romperlo). Esiste quindi una corrispondenza fra azione eseguita e azione osservata poiché lo stesso neurone è in grado di confrontare ciò che la scimmia fa con ciò che vede fare. I neuroni specchio, si attivano anche nella condizione in cui la scimmia, non veda un’azione in tutto il suo svolgimento, poiché la parte finale di tale azione è oscurata da uno schermo. Anche in assenza di una completa informazione visiva, i neuroni specchio rispondo all’azione osservata come se fosse già finita, grazie all’anticipazione del raggiungimento dello scopo sotteso dell’azione stessa. I neuroni specchio PARIETALI, rispondono in modo differente alla stessa azione ma compiuta con scopi diversi (es. afferrare del cibo per mangiarlo o per metterlo in un contenitore). In questo caso la risposta dei neuroni specchio predice ciò che sarà fatto successivamente. Emerge in modo inevitabile, la dibattuta questione della continuità contro la discontinuità filogenetica fra primati non umani e gli esseri umani. Neuroni specchio negli umani. I neuroni specchio sono stati accertati nella nostra specie attraverso delle ricerche neuropsicologiche. È un sistema di neuroni distribuito in numerose aree cerebrali e costituisce la base cerebrale per competenze mentali fondamentali. L’IMITAZIONE è molto importante, perché profondamente coinvolta nei processi di simulazione mentale. Al contrario dell’EMULAZIONE, che consiste nella ripetizione meccanica di movimenti, azioni o posture di altri, l’imitazione implica l’abilità di riprodurre la sequenza anche insolita di azioni del modello, comprendendone l’intenzione e anticipandone l’esito finale. Passiamo dal ripetere ciò che altri fanno al riprodurre ciò che gli altri intendono fare. La comprensione delle intenzioni degli altri è resa possibile dall’attivazione dei neuroni specchio. L’imitazione si fonda sul principio di somiglianza sociale: è l’atteggiamento mentale del trattare gli altri come simili a sé. Implica una duplice e congiunta operazione di proiezione di sé sull’altro e di appropriazione di quanto fa l’altro dentro di sé. È la base e la leva per l’apprendimento imitativo. A motivo di questa configurazione vi è una predisposizione mentale che compare precocemente nell’infanzia. Questa predisposizione, continua nel tempo e diventa forte attorno ai 9 mesi con la comparsa dell’intenzionalità e successivamente della teoria della mente. Questa analogia fra il proprio sé e quello degli altri è sottolineata da Mead e costituisce un dispositivo molto potente per la comprensione degli altri, dell’apprendimento sociale e culturale. L’imitazione conduce alla condivisione e partecipazione di rappresentazioni mentali, modelli, stati d’animo ed emozioni. Queste condizioni, supportati da circuiti di neuroni specchio, favoriscono la comparsa di una consonanza e risonanza immediata delle esperienze emotive degli altri. Si rivelano efficaci nel riconoscimento delle espressioni emotive degli altri e nei processi di EMPATIA, intesa come consonanza di affetti ed emozioni che sta provando un altro. Il dispositivo di fondo dell’empatia si basa sulla relazione: “gli altri hanno le stesse emozioni che proverei io al loro posto”. 1.2.2 MAPPE CEREBRALI E IMMAGINI MENTALI Le rappresentazioni degli oggetti/eventi dell’ambiente fisico e sociale, oltre che basarsi sul sistema distribuito dai neuroni specchio, consentono di cogliere in modo operativo i rapporti complessi fra cervello e mente. Sono presenti sia nel cervello come mappe che nella mente come immagini. Il cervello è destinato a creare mappe nell’interazione costante con l’ambiente. Le mappe cerebrali, sono modelli nervosi in continuo cambiamento, poiché si modificano ogni istante in corrispondenza ai cambiamenti che hanno luogo nei neuroni implicati che a loro volta riflettono i cambiamenti dell’organismo e dell’ambiente. Nell’elaborazione delle mappe il cervello interviene attivamente mediante i processi di associazione fra le informazioni sensoriali e quelle motorie. L’elaborazione delle mappe cerebrali coinvolge le modalità sensoriali e il sistema motorio, nel suo complesso. La totalità delle mappe costituisce il fondamento per l’origine della mente. A livello fenomenologico, le loro rappresentazioni costituiscono le immagini mentali generate dalle corrispondenti mappe cerebrali momentanee di una certa situazione. La coscienza ci permette di sperimentare le mappe cerebrali come immagini, di manipolarle ecc… eventi e persone in classi, nonché di rispondere a essi in quanto componenti di una classe piuttosto che per la loro unicità. 2.2.1 Le categorie esistono in natura? Grazie alla categorizzazione evitiamo di imboccare due percorsi ciechi: il primo, è che noi siamo incapaci di governare i singoli fenomeni e oggetti a sé stanti (rischio della frammentazione), dall’altro non siamo in grado di controllare la globalità dell’esperienza nel suo insieme (rischio dell’opacità), bensì procediamo a un livello intermedio nel discernere, fare a pezzi e raggruppare gli elementi associabili fra loro per somiglianza (percorso della comprensibilità e intelligibilità). Noi segmentiamo la nostra esperienza e non la realtà, anche se abbiamo la convinzione di mettere le cose in ordine con le nostre categorie mentali (soggettive) È un errore universale e irresistibile della fallacia referenziale, diffuso nella psicologia ingenua. Abbiamo la convinzione che le categorie esistano in natura, che le cose stiano così come noi le cataloghiamo. Le categorie in natura non esistono. Sono convenzionali, dipendono dalla cultura di riferimento. In tal modo evitiamo il rischio di cadere nell’errore dell’oggettualismo (ritenere che siamo in grado di conoscere la realtà in quanto tale e che essa sia così come noi la vediamo). 2.2.2 Come funzionano le categorie mentali I raggruppamenti in cui separiamo il magma della nostra esperienza corrispondono alle categorie, intese come classi di entità omogenee al loro interno ed eterogenee rispetto a quelle delle altre classi. Ogni categoria, raggruppa unità che hanno proprietà simili (omogeneità interna) e che presentano differenze discriminanti, specifiche, rispetto alle entità delle altre categorie (eterogeneità esterna). Di solito procediamo a raggruppare entità diverse all’interno della stessa categoria facendo riferimento a regole o alla somiglianza. Le categorie definiscono le coordinate per il nostro pensiero e comportamento e consentono di orientarci nelle scelte e decisioni in base alla differenziazione che istituiscono fra oggetti ed eventi. Tale processo conduce da un lato all’inclusione di entità fra loro simili in una classe e dall’altro alla sua separazione rispetto alle classi che racchiudono entità diverse. Le categorie mentali possono essere più o meno estese. Essendo convenzionali, sono etichettabili (sappiamo che cosa contengono, quali cose possiamo collocarvi dentro e quali no). Sono esaustive (non ci sono pezzi di esperienza che sfuggono), e mutualmente esclusive (non dovrebbero esserci sovrapposizioni). Costituiscono nel loro insieme un sistema di differenze. È la differenza il motore che genera la conoscenza, la comprensione e l’intellegibilità delle cose, il pensiero, e il mondo dei significati. Senza differenze noi non penseremmo e non capiremmo. Abbiamo una tassonomia intesa come sistema gerarchicamente organizzato delle categorie fra loro intrecciate e inserite l’un nell’altra in funzione del livello di astrazione (principio di inclusività: le categorie sono incapsulate una nell’altra). Con la tassonomia, diventiamo esperti nel governare un dato ambito della realtà e siamo in grado di fare precise previsioni. La nostra mente elabora le categorie attraverso gli indizi e produce delle associazioni. Le categorie non sono file codificati, ma la manifestazione situata dell’attività mentale nel corso di una certa circostanza. Il processo di induzione basata su categorie rende possibile estendere la conoscenza al di là dell’esperienza immediata. Le relazioni di somiglianza fra categorie costituiscono la guida per fare inferenze e consentono di valutarne la forza. 2.2.3 VARI TIPI DI CATEGORIA Concezione naturalistica delle categorie. Secondo Rosch e i suoi collaboratori, la struttura dell’ambiente fisico determinerebbe la configurazione delle categorie. Le categorie presentano due dimensioni: verticale e orizzontale. Quella verticale, consente di collegare fra loro diverse categorie attraverso il processo di inclusione. Rosch individua 3 processi di inclusione: 1- livello superordinato (ARREDAMENTO), 2- il livello di base (SEDIA, TAVOLO), 3- quello subordinato (SEDIA DA CUCINA). Le categorie di base sono quelle più importanti, poiché presentano la maggiore differenziazione categoriale, hanno maggiore validità di indizio: la probabilità che un oggetto appartenga a una certa categoria se possiede una data proprietà/indizio. La dimensione orizzontale di una categoria riguarda il modo in cui ogni categoria è organizzata al proprio interno e quali relazioni sono istituite fra i suoi diversi membri in termini di appartenenza e rappresentatività. I vari membri di una categoria non sono tutti uguali, ma alcuni hanno valore di prototipo poiché sono i migliori esemplari della categoria, quelli che la rappresentano meglio. I prototipi sono gli elementi centrali attorno a cui si organizza tutta la categoria. Categorie per somiglianza di famiglia. Abbiamo categorie per somiglianza di famiglia distinta dall’omonimia e dalla sinonimia. La polisemia semantica, intesa come molteplicità di significati connessi con la medesima parola, rappresenta una grossa difficoltà. Un esempio di categoria per somiglianza di famiglia è la categoria FRESCO. Ha 3 significati: nuovo, recente; incontaminato, puro; non caldo. FRESCO costituisce una categoria polisemica (appartiene a più categorie diverse). Wittgenstein propone il modello della somiglianza di famiglia, un modello di categorie organizzate solo a livello orizzontale (non prevedono gerarchia) in grado di analizzare termini complessi. Fra i vari significati veicolati di una parola polisemica non esistono né il prototipo né un insieme di proprietà comuni, ma numerose sottocategorie, ciascuna delle quali è fondata su somiglianze parziali e locali, condivise da almeno 2 componenti. Categorie radiali. Lakoff ha introdotto la nozione di categorie radiali intese come ramificazioni che partono da una categoria centrale e procedono in modo associativo. Sono categorie formate da concatenazioni di entità legate da somiglianza contigue, in cui c’è un caso centrale e variazioni che non possono essere previste da regole generali. Categorie funzioniali. Le categorie funzionali sono basate su uno scopo. Non sono tassonomiche ma ciascuna di esse è formata in modo coerente dai componenti indispensabili per raggiungere un dato scopo. Ho le parole mela, coltello, cuffia, piscina, cucchiaio, minestra. Associo mela a coltello. Il coltello mi serve per tagliare la mela. Non procedono nello stesso modo delle categorie strutturali. Categorie ad hoc. Non emerge finchè non sono attive le nostre conoscenze enciclopediche che comprendono le proprietà degli oggetti e come esse sono fra loro collegate. È una categoria momentanea e contingente. Appare e scompare insieme all’evento che l’ha generata. Facilitano la risoluzione dei problemi. 2.2.4 Esistono categorie universali? Ci viene spontaneo domandarci se le categorie universali esistano, ma culture diverse hanno categorie diverse per gli stessi aspetti della realtà. Le categorie sono frutto della cultura degli individui perché il sistema di categorie disponibili è una condizione necessaria per ottenere un soddisfacente livello di competenza in riferimento a specifici habitat. Tale sistema aumenta la rapidità, l’efficacia e la finezza di discriminazione nei riguardi dei fenomeni e degli eventi dell’ambiente. 2.3 CONOSCENZA PROCEDURALE E CONOSCENZA TACITA Conoscenza procedurale. La conoscenza consente di acquisire informazioni dall’esperienza nostra o altrui. L’ammontare delle informazioni costituisce l’enciclopedia della conoscenza a nostra disposizione. La realizzazione di questa enciclopedia avviene attraverso conoscenze dichiarative e procedurali. Le conoscenze dichiarative sono le proposizioni esplicite che fanno riferimento agli aspetti referenziali e predicativi della realtà e che promuovono l’acquisizione di nuove teorie, modelli, concetti e idee. Sono conoscenze consapevoli. Sono il “che cosa” sappiamo. Le conoscenze procedurali, sono conoscenze acquisite tramite le procedure e le azioni. Riguardano i modi e i procedimenti con cui siamo capaci di svolgere i compiti nelle diverse situazioni in base alle informazioni che ci sono fornite dalla memoria di lavoro, momento per momento. Sono il “come” sappiamo fare le cose e riguardano le competenze operative. Sono “conoscenze in azione”, poiché si realizzano solo attraverso le azioni e spesso sono implicite e inconsapevoli, attivate da dispositivi automatici radicati nelle abitudini. Seguono la regola se x, allora y (es. se faccio tardi, perdo il treno). Conoscenza tacita. In molti casi le conoscenze procedurali, essendo automatiche, conducono a una conoscenza tacita e implicita in opposizione alla conoscenza formale o esplicita. La conoscenza tacita si configura come l’insieme delle conoscenze ricavate dalle pratiche quotidiane e dai procedimenti seguiti per raggiungere un certo risultato. È il conoscere “come” vanno fatte le cose. È in larga misura inconsapevole, è una conoscenza “in pratica”, immersa nell’esperienza. Si fonda sull’esercizio e piò essere appresa e condivisa solo attraverso l’apprendistato. Mediante l’imitazione accurata di modelli esperti e una profonda interazione con loro, il novizio ha modo di impadronirsi delle procedure, strategie per svolgere il lavoro. Un esempio è lo stage lavorativo. 3.SIMULAZIONE MENTALE 3.1 SIMULAZIONE E MODELLO Una simulazione è la riproduzione di oggetti o eventi attraverso l’elaborazione di appositi modelli. È un’approssimazione attendibile e valida di fenomeni del mondo utile per studiarne e conoscerne meglio i cambiamenti al variare delle forze o variabili per avvicinarsi alla soluzione ottimale, per costruire prototipi. La simulazione consiste in un modello, nozione introdotta da Eugenio Beltrami e Felix Klein per illustrare le geometrie non euclidee. È la rappresentazione proporzionale (in scala), di un aspetto dell’ambiente. Fra modello e fenomeno esiste una struttura equivalente e dinamica di rapporti ossia il modello funziona in modo corrispondente al fenomeno considerato. La simulazione è una rappresentazione dei fenomeni che hanno luogo nella realtà. È connessa con ipotesi di situazioni nuove e impreviste e costituisce una delle massime espressioni del pensiero ipotetico e inferenziale. Accanto al mondo del reale e al mondo del fantastico, esiste il mondo del possibile. Ciò che non è in questo momento ma che può accadere in futuro. Ai giorni nostri, presso il Neurosciences Institute della Rockfeller University di New York, vive un artefatto chiamato NOMAD Neurally Organized Multiply Adaptive Device, sviluppato da Edelman e collaboratori in grado di simulare la mente umana, poiché è il primo oggetto non vivente capace di apprendere attraverso l’esperienza diretta dell’ambiente. Occorre distinguere fra simulazione virtuale e simulazione analogica. Quella analogica, con qualche dispositivo ricrea fisicamente gli aspetti della realtà oggetto di studio e di analisi. Quella virtuale si avvale dell’aiuto di un computer. I fenomeni reali da simulare sono riprodotti attraverso l’elaborazione di programmi sofisticati. Sono simulazioni dei fenomeni reali dotate anche di un elevato grado di approssimazione, ma che non arrivano mai a una corrispondenza piena. Tuttavia i vantaggi delle simulazioni virtuali sono molto alti rispetto a quelle analogiche, per rapidità di costruzione, costi, flessibilità e possibilità di cambiamento. 3.2 VANTAGGI DELLA SIMULAZIONE La simulazione ha enormi vantaggi per la conoscenza e la comprensione dell’esperienza poiché consente di esplorare un numero elevato di funzioni e processi mentali: dalla ricostruzione del passato, all’anticipazione del futuro, alla presa di decisione ecc. Versatilità, flessibilità e complessità. la simulazione rende possibile una versatilità illimitata di studio e di applicazione. Non esiste fenomeno che non possa oggi essere oggetto di simulazione. La simulazione dimostra una strada percorribile per analizzare, capire e spiegare meglio i sistemi complessi di qualsiasi genere. Privilegia il processo di sintesi e ricostituzione dei processi sottesi ai fenomeni stessi. Ha un approccio reticolare e contestualizzato. La simulazione è in grado di analizzare anche le situazioni estreme di funzionamento di un sistema complesso. L’esisto di questa possibilità è la definizione dei valori di Nonostante questi e altri limiti, la simulazione rappresenta una via fondamentale per favorire l'acquisizione e il perfezionamento di competenze e di abilità sempre più raffinate e precise nei diversi settori, nonché per promuovere la creatività e la scoperta di soluzioni originali. Capitolo 6- APPRENDIMENTO ED ESPERIENZA 1. ESPERIENZA COME FONTE DI APPRENDIMENTO L'apprendimento è un dispositivo universale negli animali poiché è supportato da una struttura nervosa anche se elementare. Gli animali imparano, le piante no poiché non hanno neuroni. L'apprendimento è una modificazione relativamente duratura è stabile del comportamento a seguito di un'esperienza di solito è ripetuta nel tempo. È dato dai meccanismi biologici, il gene, e nei dispositivi culturali, l’apprendimento, fondati sull'esperienza. Fra geni e ambiente esiste un intreccio profondo e continuo studiato dall'epigenetica, esiste una interdipendenza intrinseca e una coevoluzione che conduce alla costruzione della propria nicchia ecologica mediante forme di adattamento attivo all'ambiente. La radice dell'apprendimento è l'esperienza, se non facciamo esperienza di qualcosa non siamo nella condizione di appenderla quindi ogni apprendimento è esperienziale e ci troviamo nella condizione di imparare sempre. Attraverso l'apprendimento forniamo in continuazione stimoli, input, al cervello e alla mente. Gli stimoli racchiudono elementi di novità. Senza input, cervello in mente entrano in una condizione di sofferenza e di apatia, fino a giungere a uno stato di atrofia come ad esempio nell'Alzheimer. L'apprendimento non è solo un'opportunità per arricchire la nostra cassetta degli attrezzi ma è anche una necessità, è un vincolo, non possiamo non imparare. L'apprendimento esperienziale passa attraverso l'azione e il fare, imparare facendo (learning by doing): questa condizione implica che una qualche forma di attività motoria, anche inconsapevole, accompagni ogni processo di apprendimento. L'apprendimento è situato, legato al contesto immediato, radicato nell’organismo. L'apprendimento può essere: • intenzionale: orientato al raggiungimento di uno scopo. • accidentale: dovuto a fattori imprevedibili, impariamo per caso. • contingente: implica la combinazione fra gli elementi incidentali che provengono dall'ambiente, dal basso verso l'alto, e opzioni operate dagli individui in base ai loro interessi ed esigenze, dall'alto verso il basso. È l'interazione e l'incontro fra ciò che ci aspettiamo e ci proponiamo e ciò che ci offre dall'ambiente. 1.2 APPRENDIMENTO LATENTE L'apprendimento latente è una forma di apprendimento implicito poiché impariamo anche senza accorgersene e è anche un apprendimento spontaneo poiché non ha bisogno di rinforzi. Tolman e Honzik attraverso l'esperimento dei tre gruppi di ratti sostengono che l'apprendimento può avere l'uovo grazie alla semplice esposizione all'ambiente e introducono la distinzione fra competenza, ciò che si apprende, e prestazione, l'esecuzione di ciò che si è appreso. L'apprendimento latente è possibile attraverso le mappe cognitive. L'animale non si basa sulle tracce motorie apprese, come aveva sostenuto Watson ma elabora una mappa delle relazioni spaziali attraverso un apprendimento per segnali per raggiungere il cibo. L'apprendimento latente è il fondamento della conoscenza tacita difficile da esplicitare; per uscire da questa conoscenza occorre promuovere forme di apprendimento riflessivo cioè partire dall'esperienza per ritornare all'esperienza; questa riflessione dell'apprendimento consente di stabilire una serie di connessioni all'indietro, esperienze precedenti, per apportare opportuni correttivi all’esperienza in corso ed è in grado di condurre a conoscenze riflessive cioè esplicite e oggetto di comunicazione. 1.3 APPRENDIMENTO FISIOLOGICO L'apprendimento non riguarda solo l'esperienza con l'ambiente ma anche con il nostro organismo. L'apprendimento fisiologico ci fornisce le conoscenze indispensabili e criteri per conseguire un efficace governo del nostro corpo. Il traguardo finale e congiunto sia dei dispositivi biologici sia delle nostre opzioni di condotta è il mantenimento di un grado soddisfacente di omeostasi: lasciar variare I parametri di funzionamento fisiologico entro una gamma standard di valori in modo da riuscire a regolare la vita. Per giungere a questa condizione occorre riuscire a riconoscere e cogliere i segnali del nostro corpo. Sono i sintomi che possono manifestarsi in modo patologico, come la febbre ho la pressione alta, o standard come ritmo cardiaco, respiratorio. Sono attivati dalle sensazioni enterocettive (visceri) e propriocettive (ambiente interno dell’organismo). L'apprendimento fisiologico non è costante nel tempo ma varia con il mutare dello stato di salute del nostro corpo. Oltre all'apprendimento fisiopatologico è importante anche l'apprendimento motorio. Esiste una stretta corrispondenza fra azioni motorie e simulazione mentale dei movimenti. Questo tipo di apprendimento implica la consapevolezza di conoscere le potenzialità e limiti del nostro organismo rispetto ai quali non possiamo mai avere una certezza definitiva; richiede lo svolgimento costante di esercizi e allenamenti (sport). Importante è anche l'apprendimento respiratorio, ad esempio nello yoga la respirazione assume una funzione vitale o che attribuisce forza, energia e vigore. 2. APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO 2.1 Condizionamento classico PAVLOV Apprendimento associativo→ associare due o più eventi tra loro. Pavlov, interessato inizialmente a studiare la composizione della saliva aveva osservato come mettendo del cibo in bocca un cane si producesse un immediato aumento della salivazione. Questa relazione tra stimolo (il cibo) e risposta (la salivazione) è la conseguenza di un riflesso, una risposta automatica inscritta geneticamente un sistema nervoso dell'animale. Pavlov notò che i cani producevano più saliva quando udivano o vedevano eventi che precedevano il cibo (come il rumore dei passi degli interventi o la vista del recipiente), questi riflessi condizionati o appresi non sono innati. Esperimento→ un cane viene legato con delle cinghie in una stanza insonorizzata, ponendogli del cibo in bocca aumenta il flusso di saliva che viene misurato. Pavlov chiamò il cibo stimolo incondizionato (SI) e la risposta di salivazione del cane risposta incondizionata (RI). Poi provò a far suonare, ogni tanto, una campanella nella stanza. Anche se il cane mostrava ti sentire la campanella, non venivano registrate variazioni nel flusso di saliva. A questo punto Pavlov comincia a far seguire al suono della campanella la presentazione immediata del cibo. La campanella era uno stimolo condizionato (SC) o appreso e l’aumento della salivazione al suono della campanella una risposta condizionata (RC). Il processo di condizionamento pavloviano o classico comporta l’associazione ripetuta fra SC e SI. Tale associazione alle fine condiziona lo SC a evocare una RC simile alla RI. La forma di apprendimento associativo presenta diverse fasi: Nella fase 1 il cane aumenta la risposta di salivazione (RC) grazie a prestazioni ripetuti del suono (SC) che precede immediatamente il cibo (SI). In virtù della contiguità temporale si forma l'associazione SC+SI→ processo di acquisizione Nella fase 2 si continua a presentare lo SC senza lo SI: la RI scompare gradualmente→ processo di estinzione Dopo la fase 2 il cane riposa per una notte. Il giorno dopo comincia la fase 3 che consiste in un ulteriore addestramento di estinzione: lo SC viene presentato da solo. Si osserva che le prime presentazioni di SC, da solo, evocano RC piuttosto forti→ periodo di recupero spontaneo cioè parziale recupero dell'apprendimento dopo un periodo di riposo. Se viene presentato nuovamente un rinforzo costituito dalla coppia SC+SI il riapprendimento è molto rapido ed è chiamato riacquisizione. Il recupero spontaneo e la riacquisizione dimostrano che è difficile eliminare completamente gli effetti del condizionamento. Il condizionamento è particolarmente efficace quando lo SC riceve di circa mezzo secondo lo SI. Con questo studio Pavlov avviò lo studio dell'apprendimento associativo fondato sull’associazione fra due o più stimoli fra loro diversi e se non avviene sulla base della somiglianza come per la categorizzazione ma sulla continuità temporale è spaziale nella costituzione fra le risposte. 2.2 GENERALIZZAZIONE E DISCRIMINAZIONE GENERALIZZAZIONE DELLO STIMOLOQuando a un dato SC è stata associata una risposta condizionata, gli stimoli simili allo SC tendono anch’essi a suscitare la RC. Quanto più lo stimolo è simile a quello originario, tanto più forte è la risposta. ADDESTRAMENTO ALLA DISCRIMINAZIONESi addestra a rispondere solo allo SC e non agli stimoli simili 2.3 SKINNER E IL CONDIZIONAMENTO OPERANTE THORNDIKEapprendimento per prove ed erroriapprendere è connettere cioè creare una rete di connessioni fra situazioni e stimoli da una parte e risposte dall’altraesperimento: gatto in una gabbia detta problem-box forniva casualmente risposte giuste ed errate, quella giusta consisteva nel trovare il modo di uscire dalla gabbiale risposte corrette tendevano ad essere ripetute invece quelle errate tendevano ad essere abbandonatelegge dell’effetto: i legami associativi fra stimolo e risposta non dipendono solo dalla contiguità temporale, come diceva Pavlov, ma anche dagli effetti che seguono la rispostadiminuisce il tempo di soluzione del problema. Legge dell’eserciziola ripetizione di una risposta diventa tanto più probabile quanto più spesso è ripetuta. Skinner riprende sia Thorndike sia Pavlov e introduce la distinzione tra: a)comportamenti rispondentiderivati da riflessi innati, come la salivazione e appresi tramite il condizionamento pavloviano. b)comportamenti operantinon derivati da riflessi innati ma emessi spontaneamente dall’animale. Skinner distinse così il condizionamento operante (strumentale: il soggetto agisce, opera nell’ambiente e lo modifica emettendo dei comportamenti in risposta agli stimoli) da quello classico di Pavlov da lui chiamato rispondente, dato che il soggetto non controlla la risposta provocata dallo stimolo. Per Skinner la mente è come una scatola nera (black box) non osservabile sul piano sperimentabile e quindi da ignorare. Esperimento ratto in una gabbia compie molte azioni e casualmente preme una leva che gli dà del cibo come ricompensa, in pochi minuti apprende l’associazione e di conseguenza tende a ripetere più volte il suo comportamento per ottenere la ricompensa. Tale effetto costituisce un rinforzouna ricompensa in grado di aumentare la probabilità di produrre il comportamento in oggetto. I rinforzi (hanno lo scopo di aumentare la probabilità della frequenza del comportamento in oggetto) possono essere: -POSITIVI una gratificazione, come il cibo e l’acqua -NEGATIVIl’eliminazione di una situazione spiacevole, come la cessazione di un rumore fastidioso -PRIMARIeventi che soddisfano i bisogni fondamentali dell’individuo, come la sete o la fame -SECONDARIpresenza di stimoli in grado di rafforzare il comportamento in oggetto, come il denaro osservativo avviene grazie all’interazione fra individui e non alla successione fra stimoli, per questo motivo è chiamato anche da Bandura apprendimento vicario. L’apprendimento osservativo conduce all’apprendimento imitativo quando un individuo riproduce in modo consapevole l’azione di un altro (modello) per raggiungere il suo stesso scopo. 3.4 APPRENDIMENTO TRAMITE INTERAZIONE SOCIALE Il bambino ha competenza sociale fin dalla nascita e crea un sistema di interazioni con l’adulto; in esso rientra il processo di condivisione congiunta dell’attenzione nei confronti di un oggetto che consente al bambino piccolo di partecipare in modo attivo con l’adulto nella condivisone di un interesse. È un fenomeno che compare verso i 6 mesi di vita, quando l’infante passa da una relazione diadica a una triadica. Nel primo semestre il lattante si limita ad interagire in modo esclusivo o con un oggetto (ignorando l’adulto) o viceversa. Invece verso i 6 mesi compare nel bambino la capacità di prestare attenzione nello stesso tempo sia all’oggetto sia all’adulto. C’è un incontro di menti fra adulto e bambino. In tal modo il bambino apprende attraverso gli adulti. Il sistema delle interazioni adulto-bambino costituisce un sistema aperto, idoneo ad autoregolarsi e autocorreggersi in funzione degli scopi, in grado di trasmettersi informazioni attraverso scambi in cui entrambi i partner si influenzano reciprocamente, come esito si ha la costruzione di modelli di interazione secondo sequenze regolari e prevedibili che consentono di condividere uno scopo e che rendono gratificanti le attività di scambio. Sono cornici consensuali in cui l’accordo sul come (modi e regole) fare le cose è più importante del che cosa (contenuti) è fatto insieme. 3.5 APPRENDIMENTO CULTURALE Kashima (2009) ritiene che la trasmissione culturale avvenga attraverso l’interazione sociale nello svolgimento di attività congiunte (una conversazione, una riunione ecc.) L’acquisizione e l’impiego delle informazioni culturali hanno luogo in modo episodico, fondate sulla condivisione di esperienze mediante la collaborazione fra i partecipanti. Gli esseri umani hanno una capacità di acquisire nuove informazioni in modo indipendente dalla dotazione genetica. Tale processo è stato definito da Barbara Rogoff (2003) come appropriazione: acquisizione di processi di adattamento attivo agli ambienti. Entra in gioco i fattori connessi con l’apprendimento sociale come la condivisione, imitazione e partecipazione. A differenza degli animali, noi esseri umani siamo in grado di tramandare gli apprendimenti da una generazione all’altracosì avviene nel tempo un processo di accumulo degli apprendimenti, esclusivo della nostra specie. Siamo in grado di incrementare i vecchi apprendimenti con quelli nuovi attraverso un processo di sedimentazione (=accumulo) e integrazione che consente una crescita costante di conoscenze e competenze. L’apprendimento cumulativo costituisce un dispositivo potente per autogenerare dall’interno la cultura stessala cultura produce cultura in modo continuo nell’interazione con l’ambiente. Tomasello (1999) ha ipotizzato che alla base di questo processo di accumulazione degli apprendimenti ci sia un dispositivo definito effetto a dente di arresto (ratchet effect): una volta compiuto un certo apprendimento e raggiunto un certo artefatto, questo è soggetto solo a modifiche successive dalle quali non si può più tornare indietro. 4.ORGANIZZAZIONE GERARCHICA DELL’APPRENDIMENTO L’apprendimento non è un processo di tipo lineare (per semplice accrescimento) ma circolare cioè ciò che abbiamo appreso finora è la premessa per ulteriori e diversi apprendimenti, Bateson (1972), facendo riferimento alla teoria dei tipi logici di Russel (1903), ha distinto vari livelli di apprendimento. Teoria dei tipi logiciprevede che esista una gerarchia, in ordine crescente di livelli logici tra concetti, simboli e predicati. Sono di tipo 0 quelli che indicano le unità, di tipo 1 quelli che indicano le proprietà delle unità, di tipo 2 quelli che indicano le proprietà delle proprietà delle unità ecc. • apprendimento 0quando siamo arrivati al massimo dell’apprendimento di una certa competenza e l’individuo non è più in grado di acquisire nuove informazioni (assuefazione del condizionamento). Non si ha modificazione del comportamento ma solo la ripetizione degli apprendimenti già acquisiti (es. l’abitudine). • apprendimento 1 (di primo livello) modificazione della condotta dell’individuo e comporta un miglioramento delle prestazioni in oggetto (es. il ratto più prova ad uscire dal labirinto più impiegherà meno tempo; corrisponde all’apprendimento per condizionamento classico, operante, prove ed errori). Nell’apprendimento 1 le prestazioni iniziali sono più lente e con frequenti errori, man mano che si va avanti nell’apprendere una certa competenza le prestazioni migliorano e diventano più veloci e corrette. Otteniamo così una modificazione della curva di apprendimentoimpariamo a imparare (es. allenandoci ad imparare i brani a memoria diventiamo più rapidi). • apprendimento 2 (di secondo livello) consiste nell’imparare a imparare ed è un cambiamento nel processo di apprendimento 1. Per arrivare a questo livello occorre che le situazioni di un certo apprendimento 1 siano simili e comparabili fra loro. Occorre che il contesto di apprendimento sia stabile, regolare e prevedibile. Il soggetto non solo apprende i contenuti di volta in volta ma anche i contesti in cui tali contenuti sono appresi. Consiste in una predisposizione a imparare (set learning). • apprendimento 3 (di terzo livello) è un cambiamento nel processo di apprendimento 2 e consiste nella modificazione dei contesti di apprendimento dell’individuo (es. la conversione comporta una ristrutturazione profonda e globale degli apprendimenti fino ad allora fatti come per quanto riguardano i propri valori e le proprie credenze; es. la psicoterapia quando ha successo va a modificare profondamente le premesse cognitive, affettive del soggetto). 5.APPRENDIMENTO DA MONDI VIRTUALI 5.1 E-LEARNING Apprendimento a distanzaè la possibilità di imparare (grazie allo sviluppo dei new media) conoscenze e promuovere competenze cognitive, affettive e sociali attraverso attività specifiche di formazione online, programmate e sistematiche facendo ricorso alle tecnologie della rete). Al metodo tradizionale della formazione in presenza, fondato sull’interazione diretta fra docente e allievo e sulla centralità dell’insegnante, si sostituisce quello della formazione a distanza (FAD), in cui il rapporto fra docente e allievo diventa virtuale e l’apprendimento è centrato sull’allievo attraverso specifici percorsi formativi. L’e-learning (electronic learning) uscito verso gli anni Settanta, è un metodo di formazione a distanza attraverso il computer con l’applicazione di “pacchetti” o programmi di apprendimento specifici. Il net learning (community learning) prevede forme collettive per apprendere insieme. Nell’e-learning è indispensabile una connessione di rete attraverso il computer e c’è un’elevata indipendenza nel processo di apprendimento poiché è svincolato dalla presenza fisica o da un orario preciso. Inoltre deve essere caratterizzato da un buon livello di usabilità, cioè il grado in cui uno strumento elettronico può essere impiegato degli utenti per raggiungere determinati obbiettivi). In più può raggiungere maggiore personalizzazione grazie la multimedialità, cioè l’integrazione fra diversi media per favorire una migliore comprensione dei contenuti da imparare. In questo processo svolgono una funzione centrale sia l’ipertestualità (la possibilità di stabilire in tempo reale una serie di collegamenti o links fra un certo testo e altri testi di riferimento), sia l’ipermedialità (la possibilità di stabilire connessioni fra un contenuto e altre fonti di informazioni che comprendono immagini, video, clip audio e animazioni). Queste 2 insieme favoriscono un elevato livello di interattività situata con i materiali da imparare, ottimizzando ed espandendo le opportunità di apprendimento. 5.2 SERIOUS GAMES Sono attività digitali interattive che attraverso la simulazione virtuale consentono ai partecipanti di fare esperienze precise ed accurate. Nei serious games si riuniscono in modo unitario e coerente la componente formativa (apprendimento), quella ludica (gioco) e quella digitale (simulazione virtuale). L’apprendimento è esponenziale, in cui il virtuale è una riproduzione attendibile e fedele dei processi di realtà. È imparare facendo (learning by doing), poiché nello svolgimento dei serious games occorre compiere una serie di operazioni. Infine essi consentono una valutazione dinamica, in grado di accertare gli apprendimenti degli individui in tempo reale, nello stesso momento in cui eseguono le operazioni. L’apprendimento e la valutazione sono processi contemporanei che consentono di migliorare durante il percorso. 6.FONDAMENTI BIOLOGICI DELL’APPRENDIMENTO Per apprendere qualcosa è necessario in primo luogo disporre dei dispositivi (“attrezzi”) genetici idonei ad affrontare tale attività. I geni da soli non conducono all’apprendimento ma alla maturazione. Le informazioni genetiche assumono percorsi differenti di sviluppo in funzione alle condizioni dell’ambiente. È l’epigenetica che studia le possibilità e modalità illimitate dell’interdipendenza (influenza reciproca simultanea) fra gene e ambiente. L’ambiente, e indirettamente l’esperienza, costituisce la “terza elica” del DNA, poiché i geni da soli non sono in grado di agire e di produrre alcun comportamento. L’apprendimento ha necessariamente un fondamento biologico. Il processo attraverso cui impariamo competenze e conoscenze lascia tracce nei circuiti nervosi del cervello, poiché induce alla formazione di nuove connessioni sinaptiche in aggiunta a quelle esistenti. L’esperienza fornisce una serie di informazioni in grado di generare nuove modulazioni e configurazioni dei circuiti nervosi. Hebb, riprese la concezione dei neuroni che avendo la capacità di maturare e il potere di creare nuove connessioni possono spiegare il processo di apprendimento; ha sottolineato l’idea della plasticità neurale (modificazione dei circuiti sinaptici di collegamento a seguito dell’esperienza)apprendimento hebbiano modificazione della forza di connessione fra 2 o + neuroni a seguito della ripetizione di specifiche stimolazioni. Kandel diede valore empirico alle ricerche di Hebb, infatti studiando il sistema nervoso di una lumaca marina che si compone di circa 20.000 neuroni ha messo in evidenza che nei processi di apprendimento connessi con i fenomeni di assuefazione e di sensibilizzazione, gli assoni attivi riproducono nuove connessioni per la formazione di nuove sinapsi. La maggior parte delle strutture cerebrali è in grado di apprendere dall’esperienza, poiché le proprietà delle loro sinapsi possono essere modificate dall’esperienza. Potenziamento a lungo termine (PTL) di Bliss e Lomo (1973)aiuta a capire la plasticità neurale e spiega l’apprendimento. Il PLT consiste nell’applicazione di uno stimolo potenziante (es. una breve scarica di impulsi ad alta frequenza) a una via nervosa; a seguito di questo stimolo potenziante la risposta sinaptica aumenta notevolmente rispetto alla risposta standard e si mantiene per ore. Il PLT crea nuove connessioni sinaptiche grazie alla liberazione di neurotrofine (molecole stimolanti per la sopravvivenza e la crescita di neuroni) da parte della cellula postsinaptica. Il PTL svolge una funzione centrale nell’elaborazione dell’informazione e nel mantenimento dei ricordi attraverso le sintesi di proteine che possono durare per tutta la vita, anche se i collegamenti durano pochissimo (al massimo qualche secondo). PLT precoci= memoria di lavoro; PLT tardivi =memoria a lungo termine l’elaborazione delle informazioni e del suo apprendimento sono strettamente collegate alla memoria e al ricordo. Capitolo 7- MEMORIA E OBLIO 1.NATURA DELLA MEMORIA 1.1 MEMORIA COME PERCORSO NEL TEMPO La memoria è la capacità di conservare nel tempo le informazioni apprese e di recuperarle quando servono in modo pertinente. Ogni nuova esperienza comporta dei cambiamenti nei circuiti nervosi, rafforzandone alcuni e indebolendone altri, così da creare nuovi percorsi nervosi. Anche ricordare è un processo attivo che modifica il ricordo stessola memoria è un processo attivo e dinamico, è un sistema in continuo divenire. Essa è la nostra storia come individui (memoria personale) e come comunità cui apparteniamo (memoria collettiva). La memoria non è la fotocopia della realtà infatti essendo un’elaborazione, una ricostruzione e una conservazione attiva delle informazioni, implica in ogni caso un certo grado di distorsione rispetto a una Ippocampo sinistromemoria episodica verbale • Sistema della doppia codifica verbale e immaginaria. Gli stimoli figurali sono più facili da ricordare poiché attivano subito una codifica per immagine e, se l’oggetto è familiare, anche la codifica verbale, dato che sappiamo dare un nome allo stimolo. 2.2 RITENZIONE E RECUPERO Ritenzionecondizione per conservare le informazioni acquisite nei magazzini di memoria. Per favorire il suo processo facciamo ricordo alla reiterazione (ripetizione di un’informazione affinché non esca dalla memoria di lavoro, es. ricordare un numero di telefono nuovo) che favorisce la fissazione delle informazioni che intendiamo trattenere. Recuperoriattivare informazioni depositate nei magazzini di memoria, rimaste fuori dalla coscienza fino a quel momento. È l’esperienza soggettiva di ricordare in modo consapevole qualcosa del passato. È la riattualizzazione nel presente di ciò che è stato, è un processo che avviene in base agli indizi. Indizipossono essere contestuali cioè dipendenti dalle informazioni rintracciabili dalla situazione. Il recupero è migliore quando il contesto al momento del ricordo è simile a quello della registrazione e codifica delle informazioni. Su questo processo si fonda l’elaborazione della mente biculturale. Gli indizi utili per il recupero possono essere connessi anche con stati interni dell’individuo (stati d’animo, umori, condizioni fisiologiche, farmaci). Tanto più c’è somiglianza fra gli stati interni al momento della codifica e quelli al momento del recupero, tanto migliore è il ricordo. Processo del completamento di un modellole caratteristiche di un oggetto o evento sono integrate in modo coerente per dare origine a una rappresentazione mentale dotata di senso e il recupero consiste nel collegare fra loro diverse caratteristiche collocate nei depositi di memoria, anche disponendo un numero limitato di elementi. Tale processo comporta la riattivazione delle informazioni presenti nella fase iniziale della codifica. Il recupero delle informazioni è presupposto da operazioni mentali diverse come: 1- la rievocazione (capacità di ricordare in modo spontaneo la quantità massima possibile del materiale prima esposto), 2- il riconoscimento (capacità di identificare correttamente le informazioni presentate in precedenza distinguendole da quelle non pertinenti, note come distrattoti) 3- il riapprendimento (capacità di apprendere nuovamente un materiale già presente in memoria in un tempo minore rispetto all’apprendimento inizialesi ha un risparmio di tempo ottenuto) 2.3 DISTORSIONI DELLA MEMORIA DEL PASSATO Ricordi falsifalsa attribuzionefalsi riconoscimenti sono frequenti quando uno stimolo nuovo è simile a uno stimolo già codificato (es. ho un tot di parole come miele, zucchero, caramelle ecc. e affermo che anche la parola dolce è nella lista anche se non c’è). Al momento del recupero, la memoria per aver pensato una parola associata è confusa con la memoria per aver visto la parola. La somiglianza induce uno scambio fra ciò che pensiamo di aver ricordato e ciò che di fatto abbiamo ricordato. Processi di autoinganno: • ipnosii soggetti sottoposti a induzione ipnotica riferiscono ricordi che per almeno il 50% delle volte descrivono episodi mai esistiteconfabulazioniper questo motivo le testimonianze ottenute sotto ipnosi sono state bandite dai tribunali degli Stati Uniti. • Interpretazione dei sogni e tecnica dell’immaginazione guidata favoriscono la produzione di falsi ricordi nel 25% dei casi, poiché l’intervento dello psicologo finisce per indurre il paziente a crearsi dei ricordi su fatti o esperienze mai esistite. La costruzione dei falsi ricordi è facilitata da domande fuorvianti (es. a dei bambini a scuola che avevano avuto lo stesso maestro viene chiesto se la sua barba fosse nera o marrone, alcuni risposero che era nera ed altri marrone ma in realtà il maestro non aveva la barba). Ricostruzione dei ricordiil ricordo è una ricostruzione soggettiva dell’esperienza, rielaborazione personale dei fatti e di conoscenze. La memoria conduce a deviazioni dai dati della realtà. Bartlett (1932) pose in evidenza che, nel ricordare un breve racconto le persone procedono a importanti variazioni: o riduzione delle informazioni contenute nel racconto o accentuazionediversa organizzazione delle informazioni, sottolineandone alcune e tralasciandone altre o assimilazionecercando di rendere coerente il racconto, aggiungendo dei particolari ritenuti salienti I peccati della memoriaSchacter (2001) ha elencato i 7 peccati della memoria che indicano i modi principali in cui la memoria fallisce e ci può tradire: 1-labilità 2-distrazione carenze da omissione 3-blocco 4-errata attribuzione 5-suggestionabilità carenze da commissione 6-distorsione 7-persistenza 1-Labilità debolezza della memoria che ci impedisce di ricordare ciò che abbiamo fatto a distanza di un certo tempo 2-Distrazionemancanza di attenzione 3-Bloccol’incapacità di ricordare un informazione che in realtà non abbiamo dimenticato, e che poi ricordiamo quando non serve più. 4-Errata attribuzioneattribuisco un’informazione di un ricordo ad una fonte o contesto sbagliato 5-Suggestionabilitàindurre e creare falsi ricordi 6-Distorsionele nostre convinzioni attuali modificano i contenuti e le informazioni dei ricordi del passato (autoinganno) 7-Persistenzaincapacità di dimenticare e genera il fenomeno della ruminazione mentale (il soggetto ritorna in continuazione sugli stessi ricordi, spesso spiacevoli) Psicologia della testimonianzastudio della validità e attendibilità dei ricordi di un testimone 2.4 IPERMNESIA E AMNESIA Ipermnesiaeccitazione o esaltazione della memoria, capacità particolarmente lucida di ricordare scene complesse in tutti i loro particolari anche se lontane nel tempo. Di solito è un fenomeno transitorio che ha luogo durante l’estasi maniacale, l’ipnotismo o sotto effetto di farmaci o sostanze stupefacenti. In altri casi può essere associata a disturbi psichici, come nella sindrome post-traumatica o per danni cerebrali. Amnesiaperdita totale o parziale della memoria a seguito di un trauma (fisico o psichico) o di una malattia cerebrale. Può essere totale o parziale. Si distingue fra: 1-amnesia retrogradaperdita di memoria degli eventi accaduti prima del trauma ma si ha memoria per tutto quello che è successo dopo. 2-amnesia anterogradaperdita di memoria che non compromette il passato ma limita enormemente la capacità dell'individuo di memorizzare informazioni nuove. 3.OBLIO E DIMENTICANZA 3.1 INEVITABILITÀ DELL’OBLIO Non è possibile ricordare senza prima dimenticare. La mente non è in grado di conservare tutto ciò che elabora e deve affrontare 2 problemi: 1- la selezione delle informazioni in entrata 2- l’eliminazione delle informazioni non rilevanti 3.2 CURVA DELL’OBLIO DI EBBINGHAUS Ebbinghaus (1885) osservò che la sua memoria per sillabe prive di senso scendeva in funzione dell’aumento dell’intervallo di ritenzione (il periodo di tempo tra la codifica e la rievocazione). La curva dell’oblio illustra la perdita di memoria nel tempo. Se il materiale non è significativo e risulta quindi privo di associazione, la dimenticanza aumenta man mano che passa il tempo: molto velocemente all’inizio e più lentamente in seguito, quando l’intervallo di ritenzione diventa più lungo. Tale curva fu replicata negli studi successivi e segue una legge di potenzail tasso della dimenticanza diminuisce con il passare del tempo. La curva di Ebbinghaus è stata interpretata come effetto del decadimentoi ricordi più distanti nel tempo sarebbero i primi ad essere dimenticati. Tale ipotesi non si è dimostrata attendibile poiché il trascorrere del tempo non è la causa diretta dell’oblio, infatti gli anziani hanno molti ricordi validi della loro giovinezza, mentre hanno difficoltà a ricordare gli eventi più recenti. 3.3 NATURA DELL’OBLIO L’oblio è l’eliminazione volontaria o involontaria delle informazioni già memorizzate e costituisce una componente adattiva della memoria. L’oblio svolge un lavoro di selezione. Dato che la memoria ha dei limiti di capienza, se vogliamo che funzioni nel presente, occorre che certi ricordi del passato siano eliminati. Tale selezione riguarda anche il materiale da conservare. Wegner (1989) chiese ai soggetti del suo esperimento di non pensare ad un cavallo ma la prima cosa che hanno pensato è stato un cavallo. Non si riesce a non pensare a qualcosa a lungo se si è stati istruiti in questo senso (fallimento della soppressione dei pensieri). Wegner chiama questo effetto ironico, perché dipende dal fatto che la memoria di lavoro è gravata pesantemente da processi di monitoraggio volti a controllare cambiamenti volontari nei contenuti della coscienza. Wegner dice che, secondo lui, c’è una fase di monitoraggio in cui è realizzata una scansione dei contenuti mentali, e poi una fase di tipo operativo dove si eliminano contenuti di pensiero non voluti o non desiderati. La concentrazione su casi positivi (cercare idee del tipo X) è molto più facile rispetto a quella su casi negativi (cercare idee del tipo non-X). Quando non dobbiamo pensare a qualcosa siamo costretti al secondo tipo di processo. È più facile concentrarsi in qualcosa di bello successo nel passato che non sui momenti non brutti del passato. 3.4 LE RAGIONI DELL’OBLIO • Disusose un ricordo non è rievocato per molto tempo a poco a poco va perduto. 1) magazzino fonologico, in grado di trattenere le tracce acustiche per circa 2 secondi 2) il sistema articolatorio, che ha funzione di reiterare tali tracce a livello subvocale Il circuito fonologico è caratterizzato da diversi sistemi come: • l’effetto della similarità fonologicale parole che sono simili a livello fonologico sono ricordate peggio • l’effetto della lunghezza delle paroleuna sequenza di parole corte è riprodotta più facilmente rispetto una di parole lunghe • l’effetto della soppressione articolatoria se viene richiesta al soggetto l'articolazione esplicita di uno stimolo irrilevante (ad esempio la ripetizione continua di una sillaba, come hi-ha) le operazioni del ciclo fonologico vengono disturbate e viene soppresso il ripasso subvocale, quindi tale comportamento blocca il processo di reiterazione. 3-Il taccuino visivo-spaziale riguarda l’immagazzinamento e il trattamento delle informazioni visivo-spaziali nonché delle immagini mentali. È composto da: 1) il nascondiglio visivo conserva le informazioni riguardanti la forma e i colori 2) lo scrivano interno un sistema attivo di reiterazione spaziale per il mantenimento in memoria di posizioni e movimenti, soprattutto quelli del corpo. 4-Il tampone episodico è un sottosistema schiavo introdotto sempre da Baddeley (2000). L’Episodic Buffer, originariamente pensato come una componente dell’esecutivo centrale, è stato aggiunto in un secondo momento al modello di ML ed è dedicato a collegare insieme le informazioni provenienti da diversi ambiti per formare unità integrate e coerenti a partire dalle informazioni visive, spaziali e verbali a disposizione in funzione dell’ordine cronologico (rappresentazione episodica, memoria di una storia o della scena di un film). 4.5 LA MEMORIA A LUNGO TERMINE Si avvicina alla nozione ingenua di memoria. Si ritiene che sia virtualmente illimitata. L’immagazzinamento delle informazioni può durare anche per tutta la vita. La MLT esercita un’importante influenza nei processi dall’alto verso il basso (top-down), orientando l’attenzione, la percezione e il pensiero in base alle informazioni in essa conservate. L’attività della MLT appare favorita dalla presenza di una proteina nota come mBDNF (mature Brain-Derived Neurotrophic Factor), che modifica i neuroni e potenzia la loro abilità a comunicare gli uni con gli altri soprattutto nell’ippocampo. La riattivazione di un’informazione può essere impedita dall’incompletezza delle associazioni necessarie per il suo recupero. 5. LA MEMORIA IN PRATICA: COME PREPARARE GLI ESAMI Cosa NON bisogna fare: 1. Scorrere il testo senza prestarvi attenzione 2. Imparare a memoria il testo completo È opportuno: 1. Avere un rapporto attivo con il testo 2. Fare disegni, schemi, diagrammi riassuntivi 3. Cercare di riformulare il contenuto sotto forma di domande e di risposte a tali domande Quando lo studente inizia a leggere un testo, applica alcune strategie inconsapevoli che permettono un rapido riconoscimento delle parole strategie automatiche di decodificazione Il lettore più esperto possiede anche altre strategie, consapevoli, che gli permettono di leggere e capire, quindi di far fronte a differenti compiti e richieste, ad esempio: 1. Scorrere velocemente il testo 2. Rileggere 3. Tornare a passi precedenti 4. Saltare a passi seguenti 5. Individuare particolari importanti 6. Leggere analiticamente 7. Parafrasare Uno dei più efficaci metodi di studio è il metodo PQ4R (Legrenzi, 1999) l’acronimo PQ4R sintetizza le operazioni che lo studente deve applicare nella memorizzazione di un testo: 1. PREVIEW scorrere i vari capitoli per determinare i principali argomenti trattati e individuare le sezioni di cui sono composti 2. QUESTIONSporsi delle domande relative al contenuto di ogni sezione 3. READ leggere la sezione attentamente cercando di rispondere alle domande formulate 4. REFLECT riflettere su quanto si sta leggendo, capirne il significato, cercare degli esempi, mettere in relazione con le conoscenze che si possiede 5. RECITE alla fine di una sezione cercare di ricordare le informazioni in essa contenute e rispondere alle domande, ripetendo quanto si è letto senza guardare il testo 6. REVIEW rassegna finale, alla fine di ogni capitolo ripensarlo nel suo insieme e ricordarne i principali concetti espressi. L’efficacia di questo metodo sta nell’applicazione ordinaria e metodica di una serie di principi che favoriscono la memorizzazione, come l’organizzazione. Capitolo 8 - DECISIONE, RAGIONAMENTO E CREATIVITÀ 1. ESPERIENZA DIRETTA E PENSIERO L'uomo è in grado di usare varie forme di pensiero per elaborare e integrare le informazioni di cui fa esperienza diretta tramite i suoi organi di senso. Non c’è una separazione netta tra i processi con cui organizziamo il mondo percepito e le forme più elementari di pensiero. La mente umana cerca di ricondurre al noto ciò che la circonda. Questo processo è per lo più immediato, ma qualche volta quando le informazioni sono ambigue possiamo solo avanzare delle ipotesi. Il sistema di riconoscimento degli oggetti funziona assumendo una certa probabilità a priori che quel che appare possa essere ricondotto a qualcosa di già noto→ es. come una macchia scura di notte in un bosco sia un cespuglio e non un orso. La persona camminando si avvicina e acquisisce nuove informazioni. Alla luce di queste rivede la sua stima iniziale: se sente rumori e fruscio di foglie, propende all’ipotesi orso e si spaventa; se invece vede solo foglie, si rafforza l’ipotesi cespuglio e si tranquillizza. Gli elementi che caratterizzano molte decisioni nella vita quotidiana sono: ● Incertezza su quello che succederà (es. ci saranno la polizia?) ● Scopi (evitare di essere visti dalla polizia) ● Azioni (muoversi senza dare nell’occhio) ● Vincoli temporali (decidere in fretta sulla base delle azioni altrui) ● Emozioni (paura delle conseguenze della cattura) ● Azioni conseguenti alla decisione (non avventurarsi sul marciapiedi rischiando di essere visti) 2. LA DECISIONE Albero decisionale= rappresentazione tramite schemi simili a rami di un albero delle diverse possibilità in condizioni di incertezza→ consente di quantificare in termini di probabilità di successo e di quantità di vantaggi ottenibili dalle diverse alternative. L’albero decisionale non termina poiché la vita non si ferma; i rami dell’albero si estendono nel futuro, diventando sempre più vaghi e incerti. Prendere una decisione corrisponde a risolvere un problema con conseguenze vaghe nel futuro prossimo e pressoché ignote in una prospettiva a lungo termine. 2.1 Decidere in un mondo incerto: piacere e dolore Il 20 luglio del 2011 il primo ministro britannico Cameron, parlando ai Comuni ha ammesso che aver avuto come collaboratore Murdoch non è stata una buona idea. Poi ha aggiunto che non si prendono decisioni ripensando al passato ma si decide nel presente, riferendosi all’inutilità del rimpianto e al rimuginare su scelte passate ormai irrevocabili: le emozioni possono darci forza, ma anche non aiutarci→ non ci toccano solo quando scegliamo ma anche quando una scelta è stata presa ed è ormai immodificabile. Qui si presenta il problema della consapevolezza; decidere corrisponde a risolvere problemi. Dobbiamo domandarci se abbiamo preso in considerazione tutte le possibilità, e la probabilità di conseguenze positive e negative di ogni possibile azione. ● In linea generale il dolore delle sconfitte resta impresso molto di più della felicità delle vittorie. ● UTILITÀ→ concetto attribuito ai filosofi ed economisti dell’età vittoriana i quali parlavano di utilità come misura oggettiva del benessere di un individuo→ l’utilità diventa uno strumento attraverso cui misurare la soddisfazione raggiungibile attraverso il consumo; ● UTILITÀ MARGINALE→ Se il valore di U associato al consumo crescente di un solo bene aumenta, ma in misura via, via minore, vale la legge della UM decrescente: l’UM di un bene diminuisce al crescere del livello assoluto del consumo dello stesso→ se si è affamati, i primi bocconi danno molta soddisfazione, poi sempre meno: quando si è sazi l’UM è nulla, se si è costretti a mangiare ulteriormente si avrà disutilità. 2.2 Avversione alle perdite e tempo Esempio del gioco delle macchinette o d’azzardo, lancio moneta: 1-se viene testa non vinci nulla, se viene croce vinci 60 euro 2-vinci 30 euro di sicuro la maggior parte delle persone preferiscono la 2° scelta 3-se viene testa non vinci nulla, se viene croce perdi 60 euro 4-perdi 30 euro sicuro la maggior parte delle persone preferiscono la 3° scelta, evitando di perdere 30 euro di sicuro Solo se si considerano le scelte nel loro complesso, c’è un problema: le cifre e le probabilità in gioco sono le stesse. Se gli individui fossero stati pienamente razionali avrebbero dovuto mostrare lo stesso pattern di preferenze dell’esperimento, invece nel 1° caso si preferisce la vincita certa, mentre nel 2° caso si preferisce rischiare→ Questa tendenza viene chiamata avversione alle perdite→ si rischia pur di evitare una perdita, sapendo che le perdite fanno più male rispetto al piacere di guadagni della stessa entità. loro incompatibili, e che, viceversa, riteniamo incoerenti stati di cose che in realtà possono benissimo coesistere. Focalizzazione è il termine dato a questa sorta di restringimento della visione su poche opzioni. Tale “chiusura” o focalizzazione, conduce le persone a ritenersi soddisfatte di una ricerca delle alternative possibili anche quando questa ricerca è incompleta. Di fronte al problema di decidere se eseguire o no una certa azione, le persone tendono a costruire un modello dell’azione e un modello alternativo nel quale l’azione non ha luogo. Per arrivare alla decisione, le persone si focalizzeranno sull’azione e cercheranno altre informazioni su di essa. Tralasceranno la ricerca di informazioni su azioni alternative. Si può dire che la focalizzazione dovrebbe essere ridotta da qualunque manipolazione che rende più disponibili le alternative all’azione. Quando, nel prendere una decisione, è disponibile una singola opzione e mancano alternative evidenti, vi è una tendenza naturale alla focalizzazione. I fenomeni di focalizzazione, sono importanti per la nostra comprensione di come la mente si discosta dai principi di razionalità: se un individuo non sa nulla delle alternative a un particolare corso di azione, non può neppure valutarne l’utilità, né confrontarle con l’utilità dell’azione stessa. L’ipotesi della focalizzazione permette anche di predire come sarà la richiesta di informazioni quando ci si trova a dover prendere una decisione tra due alternative esplicite. Curiosi effetti della focalizzazione: la stessa opzione viene preferita o rifiutata a seconda di come si formulano le domande e del tipo di alternativa con cui viene fatto il confronto. 6. SOLUZIONE DI PROBLEMI E CREATIVITÀ Alcuni psicologi tedeschi appartenenti al movimento gestaltista a partire dagli anni Venti del ‘900 hanno accertato empiricamente che spesso la soluzione di problemi non avviene per gradi ma per una sorta di ristrutturazione cognitiva (=cambiamento delle relazioni tra elementi di un problema). Molti scienziati e artisti raccontano di aver lavorato su un problema o un’opera per anni senza una soluzione soddisfacente, e poi all’improvviso la soluzione è apparsa di fronte ai loro occhi. Molte soluzioni di problemi non emergono grazie a un processo per “prove ed errori”, per apprendimenti graduali, ma improvvisamente, quando il problema viene considerato da un altro punto di vista (=quando viene ristrutturato). Non sempre le persone si muovono nel mondo adottando collaudate sequenze di decisioni apprese nel passato e rivelatesi efficienti. Per quanto molti comportamenti siano automatici e non siano oggetto di scelte deliberate e ponderate, esistono delle situazioni nella vita in cui dobbiamo fermarci e riflettere→ dobbiamo risolvere un problema nuovo che non possiamo ignorare o scansare. Molto spesso i problemi sono troppo complessi per essere risolti immediatamente, in questi casi noi siamo soliti ricorrere a 2 strategie: 1. Suddividere il problema in sottoproblemi 2. Non usare algoritmi di soluzioni, ma euristiche Gli algoritmi sono una serie di regole che se adottate esplicitamente permettono di risolvere un problema es. gioco del tris, se uso l’algoritmo: “non permettere all’avversario di avere simultaneamente 2 linee con 2 pedine”, la partita inevitabilmente finisce alla pari. In molti problemi il gioco contempla troppe possibilità per poter usare algoritmi→ in questi casi si ricorre a euristiche, cioè a regole che non riescono a dare una descrizione dettagliata ed esaustiva delle strategie per giungere alla soluzione, ma che ci permettono di affrontare e risolvere il problema al meglio→ la soluzione non sarà ottimale ma si raggiunge esiti soddisfacenti. Le euristiche sono flessibili ed economiche. ● Una delle euristiche più potenti è l’analisi mezzi-fini, che ci guida nel considerare approcci alternativi alla soluzione. A tale scopo è opportuno affrontare un problema distinguendo: 1. Stato inziale: modo in cui vengono descritte le condizioni di partenza 2. Stato obiettivo: il modo in cui viene illustrato l'obiettivo da raggiungere 3. Operatori: le operazioni per passare da uno stato all’altro 4. Stati intermedi del problema: gli stati che si ottengono applicando un operatore a uno stato in vista del raggiungimento dell’obiettivo. Queste 4 componenti definiscono quello che Herbert Simon (1995), che per 1° ha studiato le euristiche e le soluzioni soddisfacenti, e non ottimali, ha chiamato SPAZIO DEL PROBLEMA. Il nostro modo di rappresentare lo stato iniziale di un problema è spesso cruciale→ uno stato iniziale efficace può guidarci verso modelli che ci permettono di raggiungere facilmente la soluzione. 6.1 RAGIONAMENTO E ATTIVITÀ’ DI PROGETTAZIONE Simon (1981), ha più volte comparato l’attività di soluzione dei problemi alle attività di progettazione: 1. La progettazione di un oggetto complesso (es. aeroplano) generalmente richiede la coordinazione di molti e differenti elementi, ciascuno di questi elementi è a sua volta composto da molte altre componenti più piccole. 2. La soluzione di un gioco complesso (es. il cubo di Rubik o gli scacchi): una soluzione efficace, cioè una sol. vincente, è una lunga sequenza di mosse. Ogni mossa deve essere scelta nell’ambito di un insieme di possibilità tanto grande da rendere l’esplorazione dell’intero albero decisionale del gioco impossibile. Le relazioni tra le singole mosse di una sequenza non sono precisabili se non in modo intuitivo→ la comprensione effettiva e perfetta delle relazioni fra mosse sarebbe possibile solo per chi conosce tutto l’albero del gioco → uso inevitabile delle euristiche. 3. Un’impresa: esse è un insieme multidimensionale di pratiche, regole, procedure, schemi di incentivi. Si tratta di elementi le cui interazioni sono sconosciute anche a chi le amministra. Simon (1982) ha mostrato che la risoluzione dei problemi da parte di agenti a razionalità limitata (=uomini costretti a usare euristiche dati i loro limiti cognitivi) procede tramite la decomposizione di un problema complesso. Si ottengono così i sottoproblemi di dimensioni minori che si possono risolvere l’uno indipendentemente dall’altro. Per aumentare la propria efficacia nella soluzione dei problemi è opportuno quindi decomporli in sottoinsiemi relativamente indipendenti. Una perfetta decomposizione può essere progettata solo da chi ha perfetta conoscenza del problema→ ciò non è possibile per agenti a razionalità limitata → diventano utili i sistemi potenti di elaborazione delle informazioni, i computer. 6.2 LA SOLUZIONE CREATIVA DEI PROBLEMI soluzioni creative = inventare qualcosa di nuovo; la psicologia del pensiero si è dedicata allo studio di queste situazioni e agli ostacoli che rendono tanto rara la creatività autentica. ES. delle triplette dei numeri→ 2 4 6 → trovare la regola che ho usato per costruire questa tripletta → inventerà nuove triplette e noi risponderemo sì/no → 1° ipotesi sarà 8 10 12 ( numeri pari crescenti per 2) quindi produrrà un esempio che verifica la sua ipotesi, al nostro sì continuerà a produrrà molti altri esempi diversi ma che verificano tutti l’ipotesi iniziale → a quel punto diciamo “no” e lui non capirà → la regola è più generale “ tre numeri qualsiasi crescenti” → la sua strategia è inefficace troverà sempre conferme senza mai risolvere il problema. SOLUZIONE= produrre esempi per falsificare l’ipotesi invece di focalizzarsi su di essa e cercare di confermarla: ● 3 5 7 → non devono essere pari; ● 3 7 11 → non è rilevante che crescono di 2; ● 11 7 3 → è rilevante che sia crescenti. Duncker (scoprì il meccanismo di fissazione), nei suoi esperimenti mostrava come i sogg. non riuscissero a risolvere i problemi in quanto si fissavano sulle caratteristiche o funzioni di un oggetto che erano note, conosciute o familiari. Per risolvere i problemi, si può fare ricorso alla creatività ma noi siamo talmente abituati a delle funzioni di un oggetto che non riusciamo a concepire funzioni alternative che permetterebbero di risolvere il problema. La creatività alla base di scoperte famose non funziona con meccanismi cognitivi qualitativamente diversi da quelli che producono le nostre piccole esperienze quotidiane. È l’importanza sociale, artistica o scientifica del prodotto che ne determina fama e celebrità. Capitolo 9 –COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO 1.COMUNICAZIONE, COMPORTAMENTO, INTERAZIONE Siamo esseri comunicanti, pensanti, emotivi e sociali. La comunicazione non è un mezzo per mettersi in contatto con qualcuno ma un vincolo costitutivo di noi stessi. La comunicazione non è un processo astratto ma è sempre situata. Avviene in una data circostanza, e sono proprio le pratiche comunicative che compongono la nostra vita quotidiana. La comunicazione costituisce una piattaforma mentale in cui convergono funzioni: 1)cognitivela comunicazione è in connessione col pensiero, il ragionamento pratico, l’intenzionalità e l’azione pianificata 2)relazionaliè un’interazione continua con qualcun altro in una cornice di socialità pervasiva (ultrasocialità) 3)espressive (o creative) c’è una stretta connessione fra comunicazione ed espressioni artistiche come la musica, la poesia e la pittura. L’enorme rilevanza della comunicazione nella nostra vita trae la sua origine nell’evoluzione della nostra specie, senza dubbio di gran lunga la più comunicativa fra tutte. Importante nella storia della comunicazione è la manipolazione di simbolisono rappresentazioni mentali in grado di “raffigurare” situazioni percettive della realtà anche in assenza dei corrispettivi stimoli sensoriali i simboli costituiscono un forte impulso per la costruzione di attrezzi mentali idonei ad affrontare e governare società sempre più complesse, soggette a un ritmo di cambiamenti esponenziale. Il verbo comunicare viene dal latino communicare e cioè rendere comune/dividere qualcosa con qualcuno. Nell’etimologia del termine comunicazione sono comprese le idee di partecipazione, condivisione e reciprocità. La comunicazione non coincide con il comportamento, inteso come una qualsiasi azione motoria di un individuo osservabile in una qualche maniera da un altro. Comunicazione e comportamento sono 2 categorie distinte poiché fra di esse c’è un rapporto di inclusione. Ogni comunicazione è comportamento, ma non ogni comportamento è una comunicazione. Tutte le azioni riflesse, involontarie e automatiche sono comportamenti ma non comunicazioni. Il celebre principio di Watzlawick, Beavin e Jackson (1967), “non si può non comunicare”, è una frase ad effetto ma è erronea e fonte di confusione. In ogni comunicazione è presente un grado di intenzionalità mentre per il comportamento questa condizione non è necessaria. Occorre distinguere fra comunicazione e interazione, intesa come qualsiasi contatto, sia fisico che virtuale, fra 2 o più individui, anche involontario, in grado di modificare lo stato preesistente delle cose fra loro. Anche tra queste 2 categorie c’è un rapporto di inclusione. Ogni comunicazione è un’interazione, ma non il contrario. Tutto ciò che non è comunicazione è notizia. Il riflesso patellare, un tic nervoso… sono notizie. Non sono dati comunicativi. Però grazie a loro si può passare molto facilmente a uno scambio comunicativo. pragmatica esplora la relazione dei segni con i parlanti In particolare la pragmatica si occupa dell’uso dei significati: i modi con cui i significati sono impiegati nelle diverse circostanze; studia i rapporti che intercorrono fra un testo e il contesto in cui esso è manifestato. Parlando di uso dei significati, la pragmatica prende in esame i processi impliciti della comunicazione, che comportano rilevanti dispositivi induttivi per inferire dal contesto ciò che il testo dice, anche se non espressamente. TEORIA DEGLI ATTI LINGUISTICI: Il punto di vista pragmatico, pone in evidenza la comunicazione come azione e come fare. La comunicazione è processo, azione fra due o più interlocutori. Austin (1962), proponendo la teoria degli atti linguistici ha voluto attirare l’attenzione proprio su questo. Per Austin dire qualcosa è anche fare sempre qualcosa e ci sono 3 tipi d’azione che compiamo quando parliamo: 1. Atti DI dire qualcosa (atti locutori): sono azioni che compiamo per il fatto stesso di parlare, comprendono gli atti fonetici (emissione di foni), atti fatici (espressione di certi enunciati) e atti retici (impiego di questi aspetti con un senso). 2. Atti NEL dire qualcosa (atti illocutori): sono atti che compiamo tramite il parlare stesso (es. le azioni di domandare, comandare, promettere) 3. Atti CON il dire qualcosa (atti perlocutori): è la produzione di effetti da parte del parlante sulle credenze, sentimenti e condotte dell’interlocutore. Gli enuncianti esprimono molto di più di quanto significhino letteralmente Austin e poi Searle (1979), distinguono atto e forza dell’atto stesso. Il modo in cui è interpretato un enunciato e il risultato di un atto linguistico dipendono dalla forza contenuta nell’atto (forza illocutoria) e dai suoi effetti sull’interlocutore (effetti perlocutori). Indicatori della forza illocutoria non sono solo verbi ma anche l’ordine delle parole, l’accento, l’intonazione, la punteggiatura ecc. Austin, distingue ulteriormente fra gli atti linguistici: • diretti la forza illocutoria che il parlante intende attribuire all’enunciato (atto primario) è trasmessa in modo conforme e corrispondente al significato linguistico dell’enunciato medesimo. • indiretti la forza illocutoria deriva non dal significato linguistico dell’enunciato ma dai modi non verbali con cui è manifestato (tono, intensità della voce, ritmo delle parole). PRINCIPIO DI COOPERAZIONE E IMPLICATURE CONVENZIONALI: Grice (1989) filosofo del linguaggio distingue: • significato naturale es. il fumo è un indizio naturale della presenza del fuoco • significato convenzionale o significato n-n, non naturale qualsiasi parola della lingua italiana o di un’altra lingua. Il significato n-n è inteso da Grice come il “voler dire” qualcosa da parlante a qualcun altro. La comunicazione è un processo costituito da un emittente che ha intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa, operando in modo che il ricevente riconosca che l’emittente sta cercando di causare in lui quel pensiero o quell’azione. La comunicazione è possibile se realizziamo questo processo di conoscenza reciproca e condivisa che implica la consapevolezza di un’intenzionalità reciproca fra emittente e ricevente. Il successo della comunicazione si fonda sul principio di cooperazione principio declinato da Grice secondo 4 massime che dovrebbero guidare la condotta dei comunicanti: 1. Massima di QUANTITÀ: a) dai un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in modo adeguato agli scopi della conversazione; b) non fornire un contributo più informativo del necessario 2. Massima di QUALITÀ: cerca di fornire un contributo vero; a) non dire cose che credi false; b) non dire cose per le quali non hai prove adeguate 3. Massima di RELAZIONE: i tuoi contributi devono essere pertinenti 4. Massima di MODO: sii chiaro; a) evita espressioni oscure; b) evita le ambiguità; c) sii breve; d) procedi in modo ordinato. Tuttavia, fu lo stesso Grice a rendersi conto della profonda differenza fra ciò che dovrebbe succedere in teoria fra parlanti ideali e ciò che succede nella pratica fra partecipanti reali. Per questo procede con la distinzione di: • logica del linguaggio si applica al livello superficiale dei significati; • logica della conversazione considera i processi che gli individui usano per inferire ciò che il parlante intende comunicare. La logica della conversazione implica la differenza fondamentale tra il dire e il significare. Fra questi 2 livelli esiste uno scarto che va colmato, poiché ciò che è significato è più esteso di ciò che è detto. Per superare questo scarto, occorre quindi che i partecipanti ricorrano a un lavoro mentale di inferenza, che Grice chiama implicatura conversazionale impegno comunicativo aggiunto per andare oltre le parole dette in modo da individuare l’intenzione comunicativa del parlante. Le implicature conversazionali, contribuiscono a cogliere il percorso di senso di una frase, poiché consentono di estrarre il significato non detto contenuto in modo implicito nell’enunciato. CONTESTO E SUE FUNZIONI: La pragmatica focalizza in modo specifico i rapporti che intercorrono fra testo e contesto non vi è testo senza contesto, così come non vi è contesto senza testo. Non possiamo generare significati fuori contesto o senza contesto il contesto è intrinseco in qualsiasi situazione. È un vincolo: la mente è necessariamente in un contesto. Gli effetti contestuali sono universali e continui. Il contesto va inteso come l’insieme delle restrizioni e delle opportunità biologiche, spazio-temporali, relazionali, istituzionali e culturali, che insieme a un dato testo genera un certo messaggio dotato di senso. In passato era prevalsa una concezione additiva fra testo e contesto messaggio=testo + contesto ma oggi sappiamo che non è cosìqualsiasi messaggio è la sintesi di interdipendente fra testo e contesto in modo simultaneo e dinamico. In funzione di questa interdipendenza intrinseca il testo influenza il contesto nello stesso tempo in cui avviene il processo inverso. È impossibile distinguere nei significati gli aspetti che riguardano il testo e quelli del contesto. Tale processo è reso possibile dall’azione congiunta e concomitante fra aspetti semantici provenienti dal testo (prospettiva internalista) e aspetti semantici derivati dal contesto (prospettiva esternalista). Il testo contribuisce in modo efficace a definire il contesto, poiché, data una certa parola o gesto, sono attivati più facilmente certi contesti standard piuttosto che altri. Il contesto attribuisce una certa forma e interpretazione al testo poiché seleziona, attiva ed enfatizza certe proprietà semantiche di una parola o frase, mentre ne attenua e ne inibisce altre. Ogni significato non è astratto, né determinabile a priori ma è sempre legato allo svolgersi di un contesto immediato (non sono ne universali ne fissi nel tempo). Infatti esiste il fenomeno della risemantizzazione contestuale, per cui ogni individuo è in grado di attribuire proprietà semantiche a qualcosa che di per sé non le possiede, ma che le viene ad acquisire in modo temporaneo grazie a un contesto immediato. Di norma la regolarità e la prevedibilità dei significati si fondano sulla regolarità e la prevedibilità dei contesti. La comunicazione si svolge secondo sequenze routinarie non automatiche, definite in termini relazionali, istituzionali e culturali. 2.4 Il punto di vista PSICOLOGICO: la comunicazione come gioco delle relazioni Bateson (1972), pone in evidenza che gli individui “sono” in comunicazione e tramite la comunicazione giocano se stessi e la propria identità. Il comunicante procede in ogni messaggio su 2 piani distinti e interdipendenti: 1. il livello di notizia le cose che dice, i contenuti che manifesta 2. il livello di comando> far capire all’interlocutore come prendere le cose che dice La comunicazione si articola su più piani: • il piano della comunicazionei contenuti che si scambiano • il piano della metacomunicazione comunicazione sulla comunicazione, la “cornice” con cui interpretare i messaggi L’attenzione quindi si sposta dalle informazioni trasmesse alla relazione interpersonale che si crea fra 2 o più interlocutori nel momento in cui comunicano tra loro. Ogni scambio comunicativo implica un’interazione concreta fra 2 o più individui; a sua volta, una sequenza di scambi che si ripetono nel tempo costruisce un modello di relazione fra loro. La comunicazione diventa lo spazio che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami di qualsiasi tipo fra soggetti. La comunicazione genera la definizione di sé e dell’altrodiventa così la base costitutiva dell’identità personale e della rete di relazioni in cui ciascuno è inserito rimando continuo fra relazione interpersonale e comunicazione, non vi è l’una senza l’altra tale interdipendenza conduce alla creazione dei giochi psicologici. 3. NATURA DEL SIGNIFICATO 3.1 IL SIGNIFICATO DI SIGNIFICATO Negli ultimi decenni l’attenzione degli studiosi stata rivolta a spiegare l’apparente contraddittorietà del significato, poiché è caratterizzato: dalla stabilità (fattore di comprensibilità e prevedibilità negli scambi) dalla variabilità (fondamento della flessibilità, plasticità e versatilità dei significati) Il significato come insieme di CONDIZIONI NECESSARIE E SUFFICIENTI: Secondo la semantica logico-filosofica (o vero-funzionale), sorta all’inizio del ‘900 nell’ambito della filosofia del linguaggio, il significato di una parola o di una frase è dato dal rapporto che esiste fra il linguaggio e la realtà. Ogni enunciato è dotato di un certo valore di verità. Il prototipo come insieme teorico di proprietà tipiche diventa uno schema mentale (modello), non definisce più la struttura della categoria nella sua totalità ma si limita ad indicare gli aspetti e i gradi di maggiore/minore rappresentatività della categoria stessa. 3.2 PARTECIPAZIONE E CONDIVISIONE DEI SIGNIFICATI Il significato costituisce un prodotto sociale e culturale oltre ad essere convenzionale è partecipazione, condivisione e reciprocità. Partecipazione significa essere parte di uno scambio interpersonale la partecipazione di un individuo a qualsiasi pratica comunicativa vuol dire che è in grado di influenzarla nel momento stesso in cui ne è influenzato attraverso un andamento reciproco senza fine. La partecipazione, va considerata come il fondamento per l’elaborazione, la condivisione e l’evoluzione dei significati che: • includono il rimando alle rappresentazioni mentali in grado di fornire una comprensione degli eventi (componente cognitiva) • fanno riferimento a uno specifico fenomeno dell’esperienza (componente referenziale) • vanno intesi soprattutto come eventi sociali poiché emergono nello scambio concreto fra i parlanti in una certa situazione (componente pragmatica e sociale). Per questo i significati sono pubblici poiché sono l’esito di un processo di scambio fra gli interlocutori. Il bambino apprende il significato degli eventi che vive attraverso la partecipazione attiva a un contesto interattivo alimentato dagli scambi ripetuti e regolari con la madre le interazioni sociali sono la radice dello sviluppo mentale e comunicativo del bambinola conoscenza del mondo da parte del bambino non è diretta, ma mediata dall’azione strutturante dell’adulto. In questa prospettiva, l’elaborazione dei significati costituisce l’attività congiunta e condivisa da parte di più interlocutori. Essi non si collocano solo nella mente del parlante e nemmeno unicamente nella mente del ricevente bensì nello scambio fra di essisi trovano immersi nelle relazioni interpersonali, non c’è l’uno senza l’altroper questo motivo sono dotati di un elevato grado di adattabilità alle situazioni immediate fra gli interlocutori. I significati possiedono numerosi gradi di libertà e un valore di apertura che rende possibile una gamma estesa, né caotica né casuale, di applicazioni e interpretazionientra in azione la gestione locale dei significati, poiché sono attivati in modo contingente nel flusso degli scambi comunicativi rende possibile la negoziabilità dei significati gli individui non generano significati perfettamente identici, non si capiscono l’un l’altro facendo riferimento esattamente alla stessa rappresentazione mentale ma pongono a confronto i loro punti di vista e la loro esperienza, attraverso una serie di regolazioni e concessioni reciproche. Ogni significato è in parte: determinato dai vincoli posti dai modelli culturali di appartenenza, dalla struttura della mente, dalle convenzioni locali della comunità, dal patrimonio precedente di conoscenze. Indeterminatopoiché l’attribuzione di un certo valore semantico a una parola/frase da parte del comunicante in una certa circostanza e la sua interpretazione da parte dell’interlocutore non sono del tutto prevedibili. Quindi i significati delle parole cambiano e sono cancellabili, in parte o interamente, nel corso del tempole stesse parole possono avere significati differenti in comunità differenti, compaiono significati nuovi in funzione di nuove esperienze condivise e partecipate i significati vanno intesi come un flusso che procede continuamente in avanti. In questi processi entra in azione l’intelligenza interattiva come combinazione della capacità di anticipare le condizioni attuali dell’interlocutore e di attribuire una data intenzione al parlante. 4. INTENZIONE COMUNICATIVA La comunicazione non appare come un processo casuale né involontario, ma implica una pianificazione intenzionaleogni messaggio è voler rendere l’interlocutore consapevole della propria intenzionesenza intenzionalità non c’è comunicazionenon ogni comportamento è comunicativo ma solo quello dotato di intenzionalità. L’intenzionalità può essere intesa come: a) una proprietà essenziale della coscienza umana in quanto “consapevolezza di” qualcosa (prospettiva di Brentano) b) la proprietà di un’azione compiuta di proposito per raggiungere un certo scopo; è “tendere in”, muoversi verso l’altro e si manifesta nell’interazione con l’ambiente (Damasio) In entrambe le accezioni, l’intenzionalità è una proprietà di certi (non tutti) stati mentali che si manifesta attraverso l’elaborazione di specifiche intenzioni e riguarda lo scambio comunicativo nella sua globalità (parlante e ricevente). 4.1 INTENZIONE COMUNICATIVA DA PARTE DEL PARLANTE Quando generiamo un messaggio, abbiamo l’intenzione di comunicare qualcosa a qualcun altro. Grice (1989) ha distinto fra intenzione: - informativaciò che viene detto, il contenuto, le cose dette - comunicativaciò che intendiamo dire Questo processo è caratterizzato da una graduazione continua tale gradualità intenzionale consente di mettere regolarmente a fuoco e di calibrare i messaggi nel corso delle interazioni. La forza dell’intenzione è direttamente proporzionale sia all’importanza dei contenuti trasmessi, sia alla rilevanza dell’interlocutore, sia alla natura del contesto. Il fuoco comunicativo è un processo attivo di concentrazione dell’attenzione e dell’interesse del parlante su certi aspetti della realtà da condividere con il destinatario produce pertinenza comunicativa grazie a cui alcuni aspetti diventano più importanti rispetto ad altri per la presenza di una particolare accentuazione dei dispositivi espressivi. Qualsiasi messaggio può essere governato da una pluralità di intenzioni disposte in modo gerarchico (gerarchia delle intenzioni)negli scambi quotidiani il parlante deve selezionare un certo livello di intenzionalità per trasmettere ciò che ha in mente è il dispositivo della “pars pro toto” secondo cui nella produzione di un messaggio possiamo manifestare solo una parte di ciò che abbiamo in testa. 4.2 INTENZIONE COMUNICATIVA DA PARTE DEL DESTINATARIO All’inizio degli studi sulla comunicazione il ricevente era inteso in modo passivo come il terminale verso cui è destinato il messaggio prospettiva nota come intenzionalismo prevede che il significato di un messaggio dipenda dall’intenzione del parlante e che il compito del destinatario sia quello di identificare l’intenzione di partenza del parlante medesimo. Grice ha introdotto il concetto di condivisione consapevole dell’intenzione comunicativa fra i comunicanti in base al principio: P sa che A sa che P sa che A, così senza fine, che P ha una data intenzione comunicativa si raggiunge la reciprocità intenzionale: uno scambio comunicativo deve essere caratterizzato non solo dalla manifestazione di un’intenzione comunicativa da parte del parlante, ma anche dal suo riconoscimento da parte del destinatario questo riconoscimento implica un’attività consapevole e la partecipazione del ricevente all’elaborazione del significato. Il destinatario procede a una attribuzione di intenzione al messaggio del soggetto comprendere la sua intenzione vuole dire assumere che il suo messaggio abbia un significato e impegnarsi per spiegarloè impossibile avere un accesso diretto all’intenzione del parlantequalsiasi interpretazione è parziale e limitata, perché regolata dal dispositivo “totum ex parte” il destinatario attribuisce un’intenzione completa e coerente al messaggio sulla base di un insieme ristretto di indizi. Tale attribuzione di intenzione a ciò che comunica il parlante è un processo attivo, autonomo e soggettivo. In condizioni standard, nel corso degli scambi quotidiani, l’attribuzione di un’intenzione comunicativa al parlante risulta un processo immediato, regolato dal dispositivo dell’assumere per garantitoil destinatario qui propende ad accogliere il primo significato del messaggio che gli viene in mente e che non è subito contraddetto da un altro significato. 5. LINGUAGGIO 5.1 PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL LINGUAGGIO A livello neurobiologico, il linguaggio è soprattutto regolato dall’area di Broca, adiacente alla parte inferiore dell’area motoria (giro prefrontale) dell’emisfero sinistro è prioritaria per la produzione del linguaggio e controlla i movimenti implicati nell’articolazione della parola. Ed è regolato dall’area di Wernicke, localizzata nella regione posterosuperiore del lobo temporale sinistro (giro temporale superiore) guida ai processi di comprensione del linguaggio. Le 2 aree sono interdipendenti e strettamente connesse da un fascio di fibre nervose chiamato fascicolo arcuato. Ogni lingua è un sistema simbolico che consiste nella corrispondenza regolare fra un sistema di differenze di suoni e un sistema di differenze di significati. È composto da simboli arbitrari e convenzionali. Il sistema simbolico di una lingua risulta idoneo a generare un numero illimitato di enunciati e di discorsi a partire da un numero limitato di elementi (generatività). Presenta un carattere di sistematicità e composizionalità, poiché ogni lingua ha una struttura gerarchica e ricorrente: è costituita da unità fra loro componibili in modo lineare, disposte in successione nel tempo e nello spazio. La composizionalità della lingua comporta: sistematicità, produttività, possibilità di dislocazione. Il linguaggio serve a elaborare, organizzare e trasmettere conoscenze fra i partecipanti. Assume una funzione proposizionale, perché le conoscenze non rimangono a uno stato vago ma sono raccolte, organizzate e veicolate sotto forma di proposizioni. Composizionalità e natura proposizionale del linguaggio sono legate alla capacità computazionale (cap.5) della mente umana. 5.2 FONETICA E FONOLOGIA Qualsiasi lingua parlata è un insieme di suoni; è oggetto sia della fonetica (1) che della fonologia (2). 1) La fonetica è lo studio fisico della produzione e percezione dei suoni linguistici (foni) prodotti dall’apparato fonatorio umano. Siamo in grado di produrre 1000 foni diversila loro produzione avviene attraverso un continuum sonoro; mentre la loro percezione acustica è categorica per le consonanti e continua per le vocali. - fonetica acustica (= studia la struttura fisica dei suoni linguistici come sono trasmessi), - fonetica uditiva (= si occupa della percezione dei foni da parte dell’udito come sono ricevuti), - fonetica articolatoria, analizza la fisiologia e il funzionamento degli organi fonatori durante la produzione dei foni ( come sono articolati); qui abbiamo: Il linguaggio è un’attività globale e unitaria che coinvolge nello stesso tempo numerose e distinte funzioni psichiche (sensoriali, cognitive, affettive, sociali e culturali). 5.5 TRA UNIVERSALITÀ E RELATIVITÀ UNIVERSALI LINGUISTICI: la grammatica generativa di Chomskyper spiegare la natura specie-specifica del linguaggio, egli ha sviluppato la teoria della grammatica universale (o generativa), che unendo la fonologia e la morfologia alla sintassi, si propone di descrivere la grammatica di una qualsiasi lingua naturale sulla base di un insieme limitato di regole. Tale teoria presuppone l’uniformità della competenza linguistica e l’omogeneità dei processi linguistici sulla base dell’organo del linguaggio, geneticamente definito ed ereditato (concezione innatista). Chomsky si è servito di un metodo formale che, senza fare riferimento alcuno al significato, ha utilizzato la grammatica come fosse un calcolo matematico in grado di generare una lingua nelle sue infinite espressioni a partire da pochi elementi semplici. I principi fondamentali sono: 1. La lingua è insieme infinito di frasi 2. La frase, unità fondamentale, è costruita a partire da un insieme finito di elementi o alfabeto (presupposto formale e composizionale). 3. Tale alfabeto è composto da elementi primitivi (fonemi, morfemi, parole; presupposto elementarista) 4. La grammatica è un sistema astratto di regole che generano frasi unicamente equivalenti fra loro 5. La grammatica è indipendente da ogni altro sistema cognitivo e dalla semantica (supremazia della sintassi) 6. Esistono due livelli di rappresentazione della frase, struttura superficiale e struttura profonda, e una serie di trasformazioni consente di passare da una struttura all’altra. 7. L’interpretazione semantica delle frasi è basata soltanto sulla loro struttura superficiale. 8. I processi mentali che sono alla base della grammatica sono quelli dell’astrazione e del ricorso a modelli ideali Chomsky, ispirandosi a de Saussure, ha distinto fra: • competenza detta anche lingua internalizzata, descrive la capacità generale di usare una certa lingua e implica una conoscenza perfetta della lingua stessa • prestazione detta anche lingua esternalizzata, riguarda l’impiego concreto di tale lingua in una data situazione. C. riprendendo una proposta di Whorf, ha distinto: • struttura SUPERFICIALEriguarda l’articolazione apparente e acusticamente percepibile di una frase • struttura PROFONDA riguarda la categorizzazione linguistica che non è direttamente percepibile ma è lo stesso necessaria per spiegare la strut. superficiale. CRITICHE: - è impossibile confrontare le categorie linguistiche senza una “metalingua” che stabilisca a priori le necessarie distinzioni - Chomsky si rifiuta di affrontare il livello psicologico e sociologico dei processi linguistici il suo “modello matematico” della lingua appare fuori da ogni riferimento contestuale e da ogni verifica empirica. RELATIVITÀ LINGUISTICA: l’ipotesi Sapir e Whorf a differenza della posizione innatista, la concezione della relatività linguistica sostiene che il linguaggio sia un prodotto storico, culturalmente definito, in grado di influenzare il modo in cui noi pensiamo. Secondo Sapir e Whorf, le strutture semantiche delle diverse lingue sono fra loro incalcolabili e i parlanti elaborano modalità di pensiero diverse fra loro, giungendo a una differente visione del mondo è l’ipotesi del determinismo linguistico, secondo cui la lingua determinerà le forme del pensiero dei parlanti nei riguardi dell’esperienzaha 2 versioni: - versione FORTEi concetti possono essere pensati solo se sono formulati attraverso il linguaggio - versione deboleritiene che i concetti codificati attraverso il linguaggio sono favoriti in quanto più accessibili e più facili da ricordare La versione forte del determinismo linguistico è insostenibile, poiché il pensiero è più complesso di ciò che il linguaggio può esprimere. Invece ci soo numerose prove empiriche a favore della versione debole della relatività linguistica; un conto è un’esperienza non lessicalizzabile, altro conto è un’esperienza lessicalizzabile. L’organizzazione mentale dello spazio è fortemente influenzata dalle categorie linguistiche a propria disposizione; il lessico emotivo è molto diverso fra le lingue naturali e inevitabilmente va a influenzare le esperienze emotive provate. Il linguaggio, pur presentando aspetti generali e fra loro comparabili, è caratterizzato da variazioni storiche e culturali profonde e contingenti, e si configura come l’intreccio e la convergenza di questi processi piuttosto che come una loro antitesi. 6. COMUNICAZIONE NON VERBALE Il linguaggio non è una funzione comunicativa isolata a sé stante, ma ogni elemento linguistico, orale o scritto, è associato sempre a qualche aspetto non verbale. Prima di disporre della parola, gli uomini comunicavano fra loro facendo ricorso a sistemi non verbali di significazione e di segnalazione. 6.1 DIVERSI SISTEMI DI COMUNICAZIONE NON VERBALE Abbiamo il sistema vocale, composto dall’insieme delle caratteristiche: - paralinguistiche variazioni del tono, dell’intensità e della velocità del parlato, pause comprese - extralinguistiche proprietà foniche della voce di un soggetto che dipendono dal suo apparato fonatorio Il sistema vocale influenza qualsiasi enunciato. Le caratteristiche paralinguistiche ed extralinguistiche indicano il genere, l’età, le condizioni di salute, la ragione di provenienza dei parlanti e sono strettamente associate ai profili della personalità (estroverso o depresso), agli stati d’animo e alla manifestazione delle emozioni. Il silenzio è un modo strategico di comunicare ed è regolato da una distribuzione asimmetrica di potere sociale (regole del silenzio parla di più chi ha più potere) Il sistema cinesico comprende l’insieme dei movimenti del corpo, del volto e degli occhi. I nostri movimenti non sono solo strumenti per compiere certe azioni, ma implicano anche la produzione e la trasmissione di significati. La mimica facciale, in quanto esito dei movimenti del volto, costituisce un sistema semiotico privilegiatoè una regione determinante del corpo per attirare l’attenzione e l’interesse degli altri.; movimenti che servono per manifestare gli stati mentali del soggetto, le esperienze e gli atteggiamenti interpersonali (di avvicinamento o di distanziamento) Lo sguardo rappresenta un potente segnale comunicativo, fondamentale per regolare i rapporti interpersonali, per gestire la conversazione e per fornire una certa immagine di sé. Anche i gesti sono un sistema non verbale distinto, articolato in diverse categorie: a) gesti iconici anche lessicali o illustratori, che accompagnano il parlato b) pantomima il rappresentare azioni o situazioni c) emblemi o gesti simbolici, sono gesti altamente stereotipati, es. gesto dell’autostop d) gesti motori anche di adattamento o percussioni, che svolgono una funzione di adattamento in situazioni di stress e di tensione e) il linguaggio dei segnisistema dei gesti usato dai sordomuti I sistemi prossemico e aptico sono dei sistemi di contatto. La prossemica riguarda la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio, della distanza e del territorio nei confronti degli altri. Si va da una distanza minima (zona intima) a una distanza massima (zona pubblica). L’aptica fa riferimento all’insieme di azioni di contatto corporeo con un altro. I sistemi non verbali di significazione e di segnalazione risultano poco idonei a definire e a trasmettere conoscenze, soprattutto quelle astratte, perché presentano un grado limitato di convenzionalizzazione (componente proposizionale). Si dimostrano potenti ed efficaci per generare, sviluppare e mantenere o modificare le relazioni interpersonali (componente relazionale) questa loro efficacia relazionale si evidenzia in particolare nella manifestazione delle emozioni e dell’intimità, nella regolazione delle relazioni di potere e di dominanza e nei processi di persuasione. 6.2 SINTONIA SEMANTICA E PRAGMATICA La molteplicità e la diversità dei sistemi di significazione e di segnalazione (linguistici e non linguistici) concorrono congiuntamente alla produzione del significato finale di un enunciato/atto comunicativo. Questa unitarietà finale (o modale) del significato è resa possibile dal processo di sintonia semantica e pragmatica, che coordina in modo convergente i diversi sistemi di significazione e di segnalazionegrazie a questo processo, giungiamo a elaborare il significato modale di un certo messaggio il significato prevalente in situazioni convenzionalmente stabilite all’interno di una data cultura. Grazie alla sintonia semantica, abbiamo: • da un lato, la necessaria flessibilità nella produzione e nella condivisione dei significati, • dall’altro lato la necessaria stabilità e prevedibilità grazie alla regolarità dei contesti e ai sistemi culturali di riferimento. La comunicazione si presenta come partecipazione, in base a cui il parlante e destinatario sono sullo stesso piano e hanno un identico grado di responsabilità. Quando le persone comunicano, devono adattare i loro stili personali le une con le altre attraverso un processo di coordinazione attiva e di aggiustamento reciproco processo chiamato sincronia comunicativa, è generato da modelli stabili di ritmo interpersonale. Giles e Smith (1979) hanno elaborato la teoria dell’accomodazione comunicativa come forma di adattabilità reciproca nella realizzazione degli scambi comunicativi. Tale sincronia è il risultato dell’alternanza fra: • la coordinazione “in-fase” le azioni dell’interlocutore corrispondono in modo equivalente a quelle dell’altroes. entrambi parlano alla stessa velocità di eloquiosituazione di convergenza Gli ideali che abbiamo sono una condizione essenziale per definire la nostra identità, per metterci in rapporto con altri individui e gruppi, per condividere con altri traiettorie di senso DESIDERIO E SPERANZA La psicologia del desiderio ha ricevuto un notevole impulso dai nuovi apporti della psicologia positiva. Questa a partire dai primi anni del 2000 ha focalizzato la sua attenzione sul benessere soggettivo e sulla qualità della vita secondo una prospettiva: • sia edonica dimensione di piacere come benessere personale, legato a sensazioni ed emozioni positive) • sia eudaimonica realizzazione delle potenzialità dell’individuo, prende in considerazione la soddisfazione individuale e l’integrazione con il mondo fisico e sociale circostante. La psicologia positiva enfatizza la funzione fondamentale delle risorse e delle potenzialità dell’individuo sono promossi gli interventi finalizzati ad attivare le abilità della persona, anziché a compensare le sue limitazioni o a curare le sue patologie. Il desiderio è il tendere a qualcosa il cui raggiungimento ci consentirà di trovarci in uno stato delle cose migliore rispetto a quello in cui siamo. Nel desiderio, sono presenti la “molla” che spinge ad arrivare ad un traguardo, l’impegno per conseguirlo e la convinzione di stare meglio dopo averlo raggiunto nasce da una condizione, reale o presunta, di carenza. Il desiderio è strettamente connesso con il costrutto della speranza è il sentimento che i propri scopi possano essere raggiunti e che i propri desideri possano essere soddisfatti. Di fronte a un ostacolo le persone con un livello più elevato di speranza sono in grado di sviluppare un numero più esteso di percorsi alternativi idonei e si sentono sfidate dagli scopi e fortemente motivate a perseguirli; invece chi ha un modesto livello di speranza tende a demoralizzarsi e a desistere. La speranza costituisce una potente leva per sostenere la realizzabilità dei desideri, in quanto rivolti al futuro. I desideri devono avere una certa probabilità di realizzazione, assegnata dalla speranza. Possiamo avere desideri: • in positivoraggiungimento di un livello di esistenza migliore • in negativosuperamento di una situazione di disagio Hanno un carattere di selettività non sono tutti uguali e ogni desiderio cade su un certo oggetto, una certa situazione o persona in modo mirato esiste una gerarchia dei desideri in funzione della loro priorità. Selettività e priorità stanno alla base anche dei valori. SENSIBILITÀ AI VANTAGGI (GUADAGNI) E AGLI SVANTAGGI (PERDITE) Nell’appagamento dei desideri entrano in gioco potenti fattori, sia negli animali sia negli umani, associati alla gratificazione della ricompensa. A livello neurobiologico, regioni della corteccia parietale laterale inferiore sono attivate in associazione con l’ampiezza della ricompensa. Il sistema della dopamina svolge una funzione importante nella ricompensa. la ricompensa è il segnale dell’appagamento del desiderio in oggetto genera uno stato di benessere e di completezza con la sensazione di un significativo innalzamento della qualità della vita. Siamo molto sensibili a ciò ce ci può portare vantaggio e beneficio, come anche a ciò che ci può arrecare danno e perditaesiste un’asimmetria fra vantaggi e svantaggi, poiché l’ostilità verso ciò che per noi è negativo è più intensa della propensione verso ciò che per noi è positivo. Secondo il modello del valore atteso (o utilità attesa), elaborato intorno agli anni ’60 nello studio degli atteggiamenti verso il rischio, le persone presentano alcune caratteristiche ricorrenti: a) In caso di guadagnoemerge un effetto di diminuzione dell’utilità marginale; i guadagni aggiuntivi sono valutati di meno rispetto agli stessi guadagni compiuti all’inizio b) In caso di perdita le perdite maggiori colpiscono di più di quelle minori ma la sofferenza diminuisce quando le perdite aumentano c) In ogni casol’avversione verso le perdite presenta una rilevanza psicologica doppia rispetto all’attrazione per il guadagno La frustrazione è più intensa che la soddisfazione a parità di un evento. La perdita del valore nel cedere qualcosa in nostro possesso è maggiore del guadagno del valore nell’ottenere la medesima cosa per la prima volta come se un oggetto acquistasse valore solo per fatto che ci appartiene o che ci è appartenuto per un certo periodo di tempo è l’effetto dote. Le diverse attribuzioni di valore allo stesso oggetto in caso di cessione o di acquisto sono alimentate dagli effetti di cornice questo fenomeno indica che la formulazione di un problema in termini di valori in positivo o in negativo conduce a orientamenti diversi nelle persone; laddove se queste fossero razionali seguirebbero il principio dell’invarianza procedurale il valore di un oggetto è il medesimo sia in caso di acquisto sia di vendita, in modo indipendente dal fatto di averlo posseduto. Ma le nostre azioni sono costantemente governate non dalle circostanze ma dalla valutazione che diamo alle circostanze stesse. Questi processi sono stati illustrati dalla teoria del prospetto avanzata da Kahneman e Tversky (1979) in riferimento ai valori che seguiamo e alle scelte che facciamo in situazioni di rischio l’inquadramento dei valori in positivo e di quelli in negativo è in relazione a un punto di riferimento centrale non fisso, dato dalla situazione stessa prima di ogni scelta o decisioneun guadagno e una perdita della stessa entità non hanno lo stesso peso sulla scelta soggettiva, una perdita ha proporzionalmente un impatto maggiore (le persone preferiscono certezza in caso di guadagno e incertezza in caso di perdita). 1.3 CONTINGENZA E NECESSITÀ DEI VALORI ORIGINE CONTINGENTE DEI VALORI I valori sono prodotti storici, determinati dalle vicende storichehanno una radice intrinseca di contingenzasono elaborati nello scambio continuo, fitto e inestricabile dei rapporti interpersonali nell’arena sociale. Sono l’esito di un accordo più o meno esplicito su ciò che è bene e ciò che è male fra le persone di una società e sono oggetto di un incessante processo di negoziazione. Diventa così impossibile l’ipotesi dell’esistenza dei valori assoluti, universali, perenni nella specie umanal’errore di questa impostazione è quello di considerare il proprio punto di vista (parziale e limitato) sui valori come l’unico valido e accettabile. Tale impostazione va incontro a un “salto logico” impercorribile secondo la legge di Hume (1739-40) derivare logicamente da premesse esclusivamente descrittive una conclusione prescrittiva implica un passaggio logico ingiustificato. Inferire una prescrizione da una descrizione configura un vizio di ragionamento e un errore logico noto come fallacia naturalistica. Anche a livello storico, la prospettiva dei valori universali appare contraddittoria, segnata da debolezze storiche e da una costante catena di insuccessi es. il valore della vita è ritenuto sacro e inviolabile eppure le guerre, gli omicidi, il tirannicidio che pongono in evidenza non solo la storicità dei valori ma anche la criticità del decretare valori assoluti e universali. Questo aspetto, si sposta sul campo dei diritti universali dell’uomo stabiliti a Parigi nel dicembre 1948 nella Dichiarazione universale dei diritti umaniil loro fondamento appare risiedere nel consenso generale, storico e contingente da parte dei paesi membri. Questa origine contingente ha consentito e consente la formazione di prospettive ispirate al relativismo (ogni cultura è unica, diversa dalle altre) nel giustificare qualsiasi costellazione di valori può condurre a un atteggiamento di autoriferimento e di indifferenza verso gli altri. Nel confronto fra i valori di diversi gruppi tendono a prevalere i rapporti di forza, alla base della competizione, vittoria e sopraffazione dell’avversario. I gruppi che dispongono di maggiori risorse, sono propensi a far valere e imporre i propri valori su quelli degli altril’esito del relativismo è equivalente a quello dell’assolutismo: la sopraffazione del più debole, il ricorso alla violenza per imporre le proprie regole, lo sfruttamento delle risorse altrui. STATUTO NECESSARIO DEI VALORI Una volta ammessa l’origine contingente dei valori, da tale condizione deriva la loro necessità una volta istituiti in una data comunità, diventano vincolanti e tassativila loro violazione è percepita come un atto di minaccia alla stabilità stessa della comunitàogni violazione è portatrice di valori nuovi, positivi o negativi, e va a influenzare direttamente l’assetto strutturale e dinamico del gruppo. Lo statuto necessario dei valori li fa uscire da una condizione di incertezza e provvisorietà e attribuisce loro visibilità, consistenza, solidità e robustezza nonché continuità nel tempo fornisce i criteri con cui organizzare i valori in una costellazione definita fornisce agli individui le linee di condotta a cui attenersi, assegna loro la responsabilità delle loro azioni e stabilisce un sistema di premi e punizioni consente e promuove il confronto fra i valori dei diversi gruppi umani assieme a valori specifici, ci possono essere valori comuni. Nella famiglia delle società si fonda la possibilità del pluralismo come via intermedia fra assolutismo e relativismo. I valori sono al plurale, organizzati in un insieme riconoscibile e definito, oggetto di possibile confronto. Il pluralismo consente la molteplicità senza correre il rischio dell’uniformità vincolante. Il fondamento del pluralismosi basa sul confronto diretto e sullo scambio fra gruppi interessati. Tale confronto implica il riconoscimento reciproco della legittimità del rispettivo punto di vista. È l’esito di un’attività incessante di negoziazione alla ricerca di possibili convergenze nel rispetto delle divergenze. Segue il principio della tolleranza è la disponibilità degli individui ad accettare la diversità come risorsa quale condizione per raggiungere forme soddisfacenti di convivenza fra gruppi umani, all’interno del parametro della pari dignità. Questa impostazione rifiuta l’intolleranza, intesa come violenza, sopraffazione, persecuzione dell’altro in quanto privo di dignità umana condizione che suscita in noi la reattanza psicologica (Brehm 1966) in una circostanza di intolleranza, proviamo una reazione emotiva per recuperare il nostro spazio e i nostri gradi di libertà nell’interazione sociale con altri gruppi umani. Segue il principio dell’intolleranza dell’intolleranza avanzato da Voltaire 1763 e ripreso da Popper 1945 “dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti. (…) ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge”. 2. MOTIVAZIONE Il nostro comportamento non è casuale ma motivato (spiegato) da una serie di cause ed è orientato alla realizzazione di determinati scopi nonché alla soddisfazione di specifici bisogni. Motivando un’altra persona siamo nella prospettiva di influenzarla attivamente e di orientare le sue risorse in una direzione piuttosto che in un'altra. La motivazione (dal latino motus= movimento) è una spinta a svolgere una certa attività e si può definire come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Tale processo implica l’avvio, la direzione, l’intensità, la durata e la cessazione di una condotta da parte del soggetto. A questi 5 livelli motivazionali si potrebbero aggiungere i bisogni di trascendenza intesi come la tendenza ad andare oltre se stessi per sentirsi parte di una realtà più vasta, cosmica o divina. I bisogni dei primi gradini della piramide sono bisogni di carenza, in quanto cessano solo con il loro appagamento, i bisogni dei gradini successivi sono bisogni di crescita che continuano a svilupparsi mano a mano che sono soddisfatti. 3. ESEMPIO DI MOTIVAZIONE PRIMARIA: LA FAME Bisogno della fame come bisogno primario, indispensabile per la sopravvivenza; prendendo in considerazione gli aspetti psicologici, tralasciando quelli di pertinenza biologicainfatti la motivazione primaria della fame non è regolata solo dai processi neurofisiologici (condizione necessaria e non sufficiente per spiegare il comportamento alimentare degli individui) ma si manifesta in una gamma assai estesa di comportamenti, dato che siamo onnivori. Possiamo mangiare e digerire di tutto eppure ognuno di noi non mangia di tutto, ma fa riferimento a una dieta specifica, che, pur essendo variegata e differenziata, è comunque limitata. 3.1 IL BUONO DA MANGIARE Bisogna comprendere la genesi e la natura delle preferenze e delle avversioni alimentari di ognuno di noi. Quello che è buono da mangiare è in primo luogo buono da pensare Il cibo prima di essere nutrimento, è un prodotto mentale e culturale. La psicologia alimentare si dà come proposito quello di individuare gli aspetti e i processi psicologici, individuali e collettivi, sottesi all’alimentazione. Apprendimento alimentare ognuno di noi, fin da piccolo, impara ad apprezzare certi gusti, a consumare i cibi con una certa consistenza, forma, colore e dimensione, ad avere un certo ritmo nella regolazione dei pasti. Questo apprendimento alimentare ci accompagna per tutta la vita e troviamo particolarmente appetitosi i piatti che abbiamo mangiato da piccoli. Tali preferenze e avversioni alimentari non riguardano solo il singolo individuo ma le culture nel loro insieme ogni cultura elabora e definisce un sistema di pratiche alimentari che regola i gusti, distingue i cibi •esigenza di realizzare la propria identità •di portare a compimento le proprie aspettative e potenzialità •occupare una posizione significativa all'interno del proprio contesto sociale Bisogni di AUTOREALIZZAZIONE •di essere rispettati, apprezzati e approvati •di sentirsi competenti e di essere produttiviBisogni di STIMA •sentirsi parte di un gruppo •di essere amati e di amare •esigenza di cooperare con altri Bisogni di APPARTENENZA e di ATTACCAMENTO •devono garantire all'individuo protezione, prevedibilità, tranquillità, libertà dalla paura ed evitamento delle condizioni di precarietà Bisogni di SICUREZZA •connessi con la sopravvivenza dell'organismo (fame, sete, sonno)Bisogni FISIOLOGICI che fanno bene da quelli che fanno male, definisce le modalità di cottura e di conservazione degli alimenti, indica le priorità nell’importanza delle ricette, fornisce norme sociali precise nel consumo dei cibi. Ogni cultura favorisce la continuazione e lo sviluppo della propria tradizione gastronomica come fattore di identità e di appartenenza. Sulla base di queste tradizioni e pratiche ogni cultura innesca la formazione di determinate disposizioni o abitudini alimentari (gli italiani apprezzano la carne bovina e suina e per niente quella di cavallette, proverà una reazione di reale disgusto all’idea di dover mangiare i ratti; eppure in Africa occidentale/Asia meridionale milioni di uomini mangiano roditori selvatici perché ritengono che sia un’ottima fonte di proteine). Il buono da mangiare quindi, non è nel piatto ma nella mente degli individui. 3.2 L’IMMONDO MAIALE Nelle pratiche alimentari, assieme alla rilevanza delle scelte, contano anche le proibizioni. Es. il divieto di mangiare il maiale, considerato “immondo” per ebrei e musulmanidivieto esplicito religioso riportato sia nel Levitico sia nel Corano. Dato che l'unico beneficio offerto dal maiale è la sua carne, allevare maiali era troppo costoso e dispendioso per popolazioni nomadi dedite alla pastorizia e all'agricoltura. Il divieto del Levitico nei confronti della carne di maiale fu ripreso in molto tassativo da Maometto nel Corano nel suo processo di diffusione verso oriente e occidente, l’Islam riscosse la massima adesione presso quelle popolazioni per cui la carne di maiale aveva scarsissima, o nulla, rilevanza; invece nelle comunità in cui il consumo della carne di maiale rappresenta un pilastro dell'alimentazione tradizionale, come in Europa, l'islam non è mai riuscito a conquistare la maggioranza della popolazione esistono profondi intrecci fra cultura, valori religiosi e pratiche alimentari. 3.3 LA DIETA INSETTIVORA Per spiegare la dieta insettivora da parte delle popolazioni umane occorre fare riferimento alla teoria dell'ottimizzazione del foraggiamento al pari degli altri animali, l'uomo sceglie gli alimenti più convenienti nel rapporto costi-benefici e quelli che sono più facili da ottenere rispetto al territorio praticato per la loro abbondanza e per le loro dimensioni in effetti, le società che vivono nell'ecosistema tropicale hanno accesso numero limitato di vertebrati di grossa taglia, hanno una dieta insettivora, poiché in quel clima abbondano insetti anche di notevoli dimensioni; per contro, le società che hanno a disposizione abbondanti quantità di grandi vertebrati, come quelle europee e nordamericane, non hanno bisogno di far ricorso agli inserti per la loro dieta anzi provano nei confronti di quest'ultimo solo reazioni di ribrezzo e disgusto. 4. PUNTI DI VISTA SULLA MOTIVAZIONE Nessuna condotta può essere considerata come il risultato diretto ed esclusivo di un’unica spinta motivazionale, bensì sottolineano come essa sia influenzata da una combinazione e da una concatenazione di diverse motivazioni. 4.1 TEORIA BIOLOGICA La scoperta dei centri e dei meccanismi biologici sottesi alle motivazioni, soprattutto primarie, ha indotto a ritenere che tali centri e processi fossero in grado di spiegare in modo esauriente la loro origine e il loro svolgimento, che, in particolare, fossero a servizio dell’omeostasi, concepita come l’esigenza di conservare in modo stabile nel tempo i livelli di equilibrio adatti per il funzionamento dell’organismo. In realtà, gli aspetti biologici rappresentano condizioni necessarie ma non sufficienti per spiegare le condotte motivazionali dell’individuo. Se ci fossero solo i valori omeostatici da mantenere, saremmo ridotti a servomeccanismi che replicano in modo automatico se stessi, senza alcuna possibilità di sviluppo e di cambiamento; al contrario, l'essere umano si caratterizza per la propria capacità di differenziarsi, di evolvere, di creare novità, di adattarsi in modo flessibile a situazioni sempre diverse grazie a una disposizione costante ad apprendere. 4.2 CONCEZIONE COMPORTAMENTISTA Il comportamentismo propose un modello esplicativo dei bisogni degli individui fondato sull’interazione fra pulsione e abitudine. La pulsione, che nasce da una condizione di carenza per la comparsa di un bisogno, fornisce la spinta propulsiva e determina una condizione di attivazione nell’organismoserve a mantenere il livello ottimale di stimolazione per rispondere in modo efficiente agli stimoliserve a raggiungere una certa meta (oggetto del bisogno) o a evitare una condizione frustrante. L’elaborazione delle pulsioni secondarie avviene per apprendimento grazie all’associazione, secondo i principi del condizionamento classico e operante. L’associazione ripetuta fra pulsione e risposta crea nell’individuo un’abitudine che serve a dare direzione al comportamento e rende prevedibile la condotta opportuna per soddisfare o ridurre il bisogno in oggetto. Certe situazioni ambientali diventano incentivi grazie all'associazione ricorrente con le proprie esperienze gratificanti o di insoddisfazione. Fin dai primi anni, gli incentivi naturali che stabiliscono connessioni fisiologiche tra bisogni, stimoli e risposte, si intrecciano fra loro e danno origine a nuovi incentivi sociali, di natura appresa. 4.3 PROSPETTIVA COGNITIVISTA Il cognitivismo ribalta il punto di vista comportamentista, sottolineando fin da subito che le motivazioni e i bisogni cambiano in rapporto alla quantità e qualità delle informazioni provenienti dall’ambiente che l’organismo è in grado di elaborare. Il cognitivismo pone in evidenza la capacità dell’individuo nel proporsi traguardi e perseguire gli scopi prefissatila motivazione consiste in una meta da raggiungere, in grado di creare aspettative e di guidare la condotta. In tal modo, la sfera motivazionale viene sottratta alla sfera biologica. Nella concezione cognitivista l’attenzione è focalizzata sui processi cognitivi sottesi all’individuazione e alla definizione delle mete da raggiungere, alla valutazione delle probabilità di riuscita o di fallimento, alla modificazione progressiva degli scopi in funzione delle informazioni a disposizione in quel momento, alla valutazione degli esiti della propria condotta e all’assunzione di una prospettiva temporale ancorata al futuro piuttosto che al passato. Gli individui tendono a raggiungere il successo e a evitare l’insuccesso. Il successo è dato dall'interazione fra la motivazione, l'incentivo rappresentato dal suo ottenimento e la probabilità di ottenerlo in questo processo assume rilevanza anche la tendenza a evitare l'insuccesso, ovvero la paura del fallimento l’individuo con un’elevata motivazione a evitare il fallimento si orienta o verso mete altamente probabili, o verso mete il cui perseguimento risulta altamente improbabile questo perché l'insuccesso in compiti molto difficili è meno frustrante e risulta in qualche modo giustificato, in quanto esperienza condivisa da molti altri individui. Nell’anticipazione e percezione del successo/insuccesso il livello della motivazione è significativamente influenzato dalle difficoltà percepite del compito, dalle abilità che il soggetto ritiene di possedere, dall'impegno che si pensa che il compito richieda e dalla percezione del ruolo da attribuire al caso. La dimensione temporale assume un ruolo importante nell’attribuire valore a un traguardo. Passato e futuro descrivono l’orizzonte motivazionale del presentele esperienze del passato e i piani del futuro influenzano le scelte del presente. • altruismo reciproco quando un individuo presta aiuto a un altro a condizione di essere ricambiato all’interno del proprio gruppo è la legge del taglionese tu agisci in un modo io farò in modo equivalente lo stesso. L’altruismo, implica la norma della cooperazione condizionalese i componenti del gruppo collaborano, anche a te richiesto di collaborare invece se gli altri si astengono dal cooperare anche tu sei autorizzato a non collaborare; la norma è violata quando gli altri collaborano e il singolo individuo evita di fornire il suo contributo se questa violazione è sanzionato e punita, i comportamenti di cooperazione diventano più frequenti e regolari. Perché siamo altruisti? Da dove nasce l’altruismo? Già Darwin (1859) aveva spiegato l'origine dell'altruismo in alcune specie animali (api, formiche, vespe) facendo riferimento al concetto di selezione naturale ci sarebbero istinti sociali a vantaggio della propria comunità. Essi aumentano il grado di sopravvivenza della comunità nella ricerca delle risorse e nella difesa dai predatori, favorendo in modo selettivo la prosecuzione della specie stessa grazie a forme più resistenti nella lotta per l’esistenza. Darwin (1871) fa riferimento a processi culturali fondati sul meccanismo di approvazione (altruismo) e di condanna (egoismo) da parte del gruppo. Gli sviluppi successivi della teoria evoluzionistica hanno sottolineato gli aspetti genetici dell’altruismola selezione naturale favorisce i singoli che si comportano in modo da accrescere il successo riproduttivo differenziale del gruppoè la selezione del gruppo, secondo cui i vantaggi riproduttivi per il gruppo possono avere successo solo se sono svantaggiosi per il singolol’altruismo sarebbe una forma di egoismo indiretto del gruppo. Questa concezione è stata ridimensionata dalla teoria della selezione di parentela proposta da Hamilton (1964) la condotta altruista aumenta la capacità genetica del ricevente (un familiare) a spese del donatore parla dell’ipotesi di un gene per l’altruismo. Si ottiene in questo modo un’estensione del grado di adattamento alle condizioni ambientali (inclusive fitness) il comportamento altruistico produce un vantaggio globale per la famiglia superiore a quello raggiungibile senza tale comportamento. Oggi siamo ritornati a dare un’importanza fondamentale ai fattori culturali per comprendere l’altruismo nella nostra specie, come già aveva anticipato Darwin. Tali aspetti culturali emergono in modo evidente anche nell’altruismo parrocchiale (parrocchia intesa come forma di ostilità verso individui di gruppi etnici, religiosi e ideologici diversi dal proprio)l’ostilità verso altri gruppi costituirebbe una leva motivazionale efficace per suscitare solidarietà, generosità e coesione verso il proprio gruppo. L’altruismo è favorito dall’aumento della propria autostima, dell’immagine di sé e del livello della propria reputazione agli occhi degli altri, come pure dalla punizione altruistica per le condotte non cooperative. L’altruismo rimane una condotta caratterizzata da aspetti di ambiguitàè un atto di generosità e di beneficienza, è una relazione di aiuto in cui si realizza un gioco complesso fra il benefattore e il beneficiario. L’aiuto richiesto può anche essere considerato minaccioso a causa dell’implicita inferiorità, inadeguatezza e dipendenza intrinseche di chi chiede aiuto il comportamento altruista di aiuto è definito come una benedizione mista, può costruire una minaccia all’autostima: essere oggetto di aiuto rappresenta un riconoscimento implicito della propria debolezza. 5.2 BISOGNO DI SUCCESSO (2) Il bisogno di successo consiste nella motivazione a fare le cose al meglio per un intrinseco bisogno di affermazione ed eccellenza. Chi ha un elevato bisogno di successo tende ad assegnarsi scopi impegnativi ma realistici, ha una buona conoscenza delle proprie risorse e dei propri limiti e ha l’esigenza di ottenere il massimo e di ottimizzare le potenzialità a sua disposizione. Il bisogno di successo individuale è fortemente distintivo della cultura occidentalepoiché privilegia i valori dell’indipendenza e dell’autonomia, l’affermazione di sé e l’individualismo; in particolare riceve la sua massima espressione nei modelli familiari che seguono l’etica protestante. Nelle culture orientali prevale il bisogno di successo collettivo come manifestazione di forza, coesione e unità del gruppo; in certe comunità polinesiane il bisogno di successo è persino punito nei bambini, in quanto viene inteso come espressione di egoismo e di ostilità nei confronti degli altri. BISOGNO DI SUCCESSO E ASPETTATIVE Una delle radici più importanti del bisogno di successo è data dall’estensione delle aspettative che le figure parentali nutrono nei confronti del figlio: quando tali aspettative sono elevate e realistiche vi è una buona probabilità che il figlio sviluppi un elevato bisogno di successo quando invece le aspettative sono eccessivamente alte/troppo basse è probabile che il bambino cresca con un modesto bisogno di successo. I bambini e giovani con un’elevata motivazione al successo hanno, di solito, genitori che li incoraggiano maggiormente all'indipendenza, a risolvere i problemi da soli, a impegnarsi per raggiungere lo scopo prefissato. Nella cultura occidentale, i bambini con un modesto bisogno di successo hanno di solito genitori critici e svalutanti, che fanno ricorso alla colpevolizzazione e al biasimo, che interrompono maggiormente le attività del figlio, che si intromettono e si irritano di più se egli trova difficoltà in un compito. Il livello della motivazione al successo appare strettamente associato al modello familiare di educazione, soprattutto in relazione alla quantità e alla qualità delle aspettative espresse dai genitori nei confronti dei figli. BISOGNO DI SUCCESSO E MOTIVAZIONE AL LAVORO Il lavoro umano consiste in un’attività produttiva organizzata in modo collettivo da un’istituzione (azienda, scuola ecc.) che può essere alimentata e sostenuta da 3 principali motivazioni: 1. la motivazione razionale-economica consiste negli incentivi economici (stipendio e premi) e nella soddisfazione dei bisogni primari (sicurezza) attraverso un programma di rinforzi e ricompense 2. la motivazione sociale sottolinea l’appagamento dei bisogni sociali del lavoratore attraverso i vari gruppi di lavoro, l’interazione sociale 3. la motivazione all’autorealizzazione riguarda il soddisfacimento dei bisogni di curiosità, di apprendimento e di successo dei lavoratori; essi hanno l’esigenza di essere stimolati, di migliorare e di progredire. La varietà, l’impegno e la difficoltà dei compiti servono a incentivare i lavoratori e a sostenere la propria produttività. Il riuscire a fare bene la propria attività consente di mantenere un buon livello di autostima e un’immagine di sé positiva e favorevole. 5.3 BISOGNO DI POTERE (3) Il bisogno di potere consiste nell’esigenza di esercitare la propria influenza e il proprio controllo sulla condotta di altre persone. Chi ha un forte bisogno di potere cerca di occupare posizioni di comando e di concentrare l’attenzione altrui su di sé; non teme il confronto né la competizione. Il bisogno di potere si manifesta con un atteggiamento positivo nei confronti dei mezzi che favoriscono la manipolazione il controllo delle decisioni dell’altro. Tale bisogno nascerebbe da uno stato di disagio e di insicurezza interiore che si placa solo attraverso la strumentalizzazione degli altri, al fine di dimostrare pubblicamente la propria capacità di dominio sociale. RELAZIONE DI POTERE Il potere non è un’entità assoluta, è una relazione fra A e B. Questa relazione è definita dalla presenza di alcuni parametri: a) le risorse possedute da A; b) l’asimmetria (A > di B); c) la sfera del potere (il potere di A su B riguarda solo certi ambiti dell’esistenza, non tutti); d) la creazione di aspettative (A ha potere su B, se B si aspetta che, adeguandosi ad A, ottenga dei vantaggi, o che rifiutando le indicazioni di A vada incontro a sanzioni). In questa prospettiva il potere può essere definito come una relazione asimmetrica, riguardante ambiti specifici, nel quale A, in virtù delle risorse che si presume disponga, appare in grado di indirizzare e di modificare in modo intenzionale la condotta di B verso la realizzazione dei propri obiettivi. La relazione di potere, pur essendo asimmetrica, è caratterizzata dalla bidirezionalità: se è vero che A influenza B, è altrettanto vero che B influenza Ala relazione di potere è frutto di un processo di percezione sociale, poiché è attribuita ad A una quantità di risorse (conoscenze, ruolo, presa di decisione) superiore a quella di B. La relazione di potere è caratterizzata da una forma intrinseca di instabilità, poiché è oggetto di continua contrattazione e influenzamento reciproco. Per sua natura la relazione di potere è luogo di scontro, di rivalità fra gli individui o i gruppi e implica il concetto di coercizione e di costrizione; ma nel momento stesso in cui il potere diventa coercizione (dittatura) va incontro al proprio fallimento e alla propria distruzione (paradosso della relazione di potere). POTERE E LEADERSHIP La leadership intesa come attività di comando, prevede di occupare una posizione sociale in grado di prendere decisioni nei confronti degli altri e di dirigere le loro azioni verso un certo traguardo. Vi sono diversi stili di leadership: 1. autoritario 2. democratico 3. permissivo Ogni stile ha i suoi vantaggi e svantaggi e non esiste uno stile migliore dell’altro in assoluto. La leadership deve essere costantemente riferita a una determinata situazione e al grado di maturazione psicologica e professionale dei collaboratori (leadership situazionale) di conseguenza, in funzione del momento, delle condizioni generali e del contesto diventa opportuno uno stile di comando piuttosto che un altro. In psicologia si distinguono 2 profili di leader: 1. leader funzionaleè centrato sul raggiungimento degli obbiettivi e sulla realizzazione dei compiti, è attivo e dinamico, possiede idee e strategie per la soluzione dei problemi e per il successo del gruppo. 2. leader socioemotivoè impegnato a mantenere la coesione del gruppo e si impegna a favorire i rapporti interpersonali. 5.4 COMPETENZA, MOTIVAZIONE INTRINSECA E INTERESSI Esiste un livello motivazionale di base che riguarda l’esigenza intrinseca di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. L’esercitare un’attività è gratificante di per sé, poiché in tal modo si possono dimostrare la propria competenza e la fiducia nelle proprie risorse è possibile raggiungere a un