Scarica Riassunto libro Questioni di carattere (Manuela Rattin - Matteo Ricci) e più Sintesi del corso in PDF di Tipografia solo su Docsity! Questioni di carattere_ la tipografia in Italia dal 1861 agli anni Settanta Introduzione Tipografia e progetto in Italia La cultura occidentale è passata dall'essere solo orale ad uno sempre più grafo-figurativa permettendo alla scrittura di diventare lo strumento privilegiata per trasmettere le informazioni. Questa trasformazione è dovuta alla diffusione della parola scritta grazie all'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Il carattere tipografico esprime una cultura e la sua storia è strettamente legata alla civiltà che lo ha prodotto. Il periodo di cui si parlerà va dal 1861 (nascita della tipografia italiana) fino agli anni '70 periodo in cui la tipografia classica stenta a tenere il passo alle nuove tecnologie rimanendo ancorata all'Arte della Stampa. La disciplina della progettazione di caratteri ha risentito dello scollamento tra i fattori artistici e tecnici del libro, non permettendo agli operatori del settore di stare al passo con i rinnovamenti industriali. PARTE 1 La tipografia italiana dopo l'unità nazionale I trattisti moderni La nascita dello stato unitario vede la tipografia in Italia attraversare un grave stato di crisi produttiva e progettuale. In questo clima di smarrimento ed incertezza emergono comunque personaggi che si basano alla ricerca di una forma editoriale dignitosa ed inequivocabilmente individuabile come espressione del genio e della creatività autoctone. La stretta vicinanza temporale con Bodoni e con i trionfi della sua Stamperia Reale porta questi personaggi ad erigerlo a modello ideale da studiare e da seguire. La voce più influente è stata quella di Raffaello Bertieri, per merito soprattutto della sua rivista "Il Risorgimento Grafico”. Le personalità che più si adoperano per raggiungere lo scopo furono il fiorentino Salvatore Landi e il bolognese Cesare Ratta. Nel contesto degli scritti sul mito della perfezione tecnica di Bodoni, si fa riferimento costante alle prime manifestazioni di questo spirito unitario che ebbero inizio nel 1869 con la pubblicazione del periodico "L'Arte della Stampa" a Firenze, fondata e diretta da Salvatore Landi. Nel periodo tra il 1892 e il 1896, Landi pubblicò il manuale "Tipografia", un'opera significativa che organizzava in modo razionale le attività legate alla stampa, con l'obiettivo di ottenere un prodotto finale migliore attraverso migliori condizioni culturali e ambientali in officina. Il manuale si rivolgeva agli addetti al lavoro e agli allievi compositori, offrendo insegnamenti e consigli sulle particolarità tecniche della composizione tipografica. Nel 1914 viene stampato La Tipografia, un volume di nozioni professionali curato da Gianolio Dalmazzo, successivamente venne ripubblicata con il nome “Il Libro e l’Arte della Stampa”. Dalla lettura di quest'ultimo emerge come la figura di Dalmazzo sia un professionista intriso di poesia e arte, concependo la tipografia come una missione per migliorare l'espressione editoriale italiana. Pur dimostrando competenza tecnica, Dalmazzo umanizza i temi con saggezza filosofica, trasformando l'opera in una bibbia tecnica e morale della tipografia italiana. È interessante sottolineare che all'inizio del secolo a Torino, all'epoca capitale del Regno, coesistevano la principale fonderia di caratteri italiana, la Nebiolo, e la Regia Scuola Tipografica. Queste istituzioni, insieme alla Scuola del Libro di Milano, rappresentavano dei pilastri nel settore. Cesare Ratta: il libro della Nazione italiana Cesare Ratta (direttore della Scuola d'Arte tipografica del comune di Bologna) ha ricoperto un ruolo di primaria importanza all’interno del movimento che teorizzava e sperimentava la nuova forma della tipografia italiana. Nell'introduzione di "L'arte del libro e della rivista nei paesi d'Europa e d'America" Ratta dà la sua definizione di libro bello racchiudendo in essa come per bello non si intenda l'argomento che tratta, ma il libro in sè (inteso come arte della stampa e altre arti che concorrono a creare il libro). Tutta la sua opera è funzionale a far sì che lo stampato venga concepito come oggetto che procura piacere indipendentemente dal contenuto. Poi fa un'analisi dell'influenza che hanno i caratteri tipografici nella forma del libro affermando che è proprio il carattere tipografico a costituire un fattore prezioso che dona una particolare attrattiva alle parti del libro o della rivista. Proprio in questa parte parla di come in Italia non esistesse un carattere tipografico nazionale tanto che i libri venivano pubblicati con caratteri che arrivavano da altri paesi o copiati da altri paesi. Ratta considera il carattere di Bodoni come "nazionale": l'immenso prestigio del tipografo parmense come incisore e stampatore autorizza, secondo Ratta, a considerare il suo carattere come espressione di una nazione che non solo non esisteva, ma che egli non aveva alcuna intenzione di rappresentare. Ratta esalta la tradizione grafica italiana, ma evidenzia la carenza di caratteri tipografici competitivi. Ad esempio nel libro popolare che non aveva la cura editoriale che invece aveva nei paesi esteri editorialmente più evoluti. Non si era ancora arrivati a un carattere che portasse il segno della migliore tradizione. Questo costituisce l'unico ostacolo alla realizzazione de "Il libro della Nazione Italiana”. Raffaello Bertieri: la polemica sulle regole dell'Arte Raffaello Bertieri, una figura chiave nella storia della progettazione tipografica, svolse un ruolo fondamentale nel risvegliare l'interesse nazionale per la tipografia, iniziando la sua opera a Milano nel 1901. Attraverso la fondazione de "Il Risorgimento Grafico", Bertieri mirava a migliorare le condizioni lavorative in tipografia, promuovendo standard stilistici oggettivi e un distintivo aspetto italiano nel prodotto finale. La sua visione includeva la formazione di "tipografi illuminati", professionisti consapevoli dell'impatto del loro lavoro. Sebbene sostenesse la caratterizzazione nazionale, la sua battaglia per una "tipografia italiana" incontrò sfide, nonostante il sostegno fascista. Raffaello Bertieri, figura chiave nella storia della progettazione tipografica italiana, con Piero Vanzetti fonda un'officina grafica a Milano e dirige la Scuola del Libro presso la Società Umanitaria. La sua battaglia è contro l'improvvisazione tipografica e la mancanza di comprensione dell'arte da parte degli operatori grafici di fronte alle nuove tecnologie. Bertieri critica aspramente le "Regole dell'Arte" e promuove un'approccio flessibile alla forma artistica, basato su genio e innovazione, distaccandosi dai canoni tradizionali. Il futurismo in tipografia Nello stesso periodo in cui Bertieri porta avanti la sua battaglia contro le “Regole dell’Arte” le prime espressioni della rivoluzione tipografica futurista prendono corpo dai manifesti di Filippo Tommaso Marinetti. La distruzione della sintassi, l’uso del verbo all’infinito, l’abolizione dell’aggettivo, dell’avverbio, della punteggiatura sono alcuni dei mezzi che il poeta indica per liberare la parola e rinnovare la scrittura poetica e la pagina tipografica. Marinetti dice che bisognava introdurre degli elementi nella letteratura fino a quel momento trascurati e cioè: - il Rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti); - il Peso (facoltà di volo degli oggetti) - l’Odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti). La classica gabbia del libro viene distrutta da questi elementi e perde la sua pomposità accademica. attorno all'ambito culturale e geografico da cui era partito il tentativo di rilancio nel primo Novecento. A Milano, aveva preso vita il rinnovamento delle espressioni editoriali ed artistiche poichè la guerra le aveva danneggiate ma rinascono più forti di prima; cosa che non successe con il Risorgimento Grafico, la specificità della tipografia nn è più stata difesa. Venezia, Bologna e Firenze erano sempre vissute in secondo piano e non emersero. La progettazione di caratteri tipografici nel dopoguerra in Italia è stata spesso trascurata dalla committenza editoriale e industriale. Tuttavia, negli anni '50, la casa editrice Einaudi ha introdotto un cambiamento significativo nella sua veste grafica, collaborando con la Simoncini di Bologna e la fonderia Ludwig & Mayer per creare un nuovo carattere Garamond. Analizzando i caratteri progettati nel dopoguerra, si nota che solo pochi sono destinati alla composizione di testi, come il Simoncini Garamond e i caratteri di Aldo Novarese. La predominanza del design grafico-pubblicitario ha spesso superato la tradizione tipografica classica, portando a una crisi nella progettazione tipologica in Italia. Parte 2 I PROTAGONISTI DEL MONDO TIPOGRAFICO Le fonderie di caratteri Nell'Italia post-unitaria, gli sforzi per stabilire una tipografia nazionale di successo erano falliti, evidenziando una crisi di identità nel mondo tipografico. Questo problema si estendeva anche alle fonderie di caratteri, fondamentali per migliorare la produzione editoriale. Nel XIX secolo, pur essendoci fonderie in ogni grande città, i caratteri italiani erano di qualità inferiore a quelli stranieri, spesso male incisi e fusi con materiali scadenti. Le tipografie, specialmente quelle senza fonderia, preferivano commissionare all'estero a causa della maggiore qualità. Anche se esistevano eccezioni, come la fonderia diretta da Bodoni a Parma, la quale produceva caratteri di alta qualità ma a prezzi proibitivi per molti clienti. Finalmente negli ultimi anni dell’800 e i primi del 900 apparve sul mercato italiano una fonderia che poteva fare concorrenza a quelle straniere e cioè la Nebiolo di Torino. Gli sforzi per far rinascere l'industria tipografica culminarono nell'esposizione internazionale del 1884, dove la Nebiolo e altre 5 fonderie esposero i loro prodotti. Il problema delle fonderie italiane, oltre alla qualità e al costo dei caratteri, era anche legato dalla scarsa inventiva e originalità poiché venivano copiati da caratteri già esistenti, a cui venivano fatti piccoli cambiamenti che peggioravano soltanto il carattere. Nel 1934 solo la Nebiolo cominciò a studiare la fusione di nuovi caratteri italiani e soprattutto Aldo Novarese. Ma i loro sforzi vennero vanificati da un errata gestione ai vertici che portò alla scomparsa dell'azienda negli anni Settanta. Altre due fonderie meritano di essere citate: - Reggiani di Milano: non è rimasta traccia. Essa trasformò nel 1931 il suo bollettino interno in una rivista tecnica "Tipografia" e creò il carattere Triennale, bastone utilizzato in periodo fascista poichè adeguato allo spirito dell'epoca. - Fonderia Tipografica Cooperativa di Milano: nasce da Antonio Maggi. Dopo la Seconda Guerra mondiale venne aperto l'ufficio tecnico per la progettazione diretto da Umberto Finocchiaro (allievo di Novarese). Egli disegnò il Linea, il Sigla, il Brio e l'Armonia. La fonderia Nebiolo La fonderia Nebiolo nacque nel 1878, quando Giovanni Nebiolo acquistò una piccola fonderia di caratteri di proprietà di Giacomo Narizzano. Il gusto tipografico di quel tempo procedeva secondo la moda Art Nouveau e dunque si volle apportare un rinnovamento e per farlo erano necessarie nuove tecniche e nuovi stili ornamentali e decorativi. Grazie all'associazione con Lazzaro Levi, la Nebiolo diventò una vera e propria industria. In quegli anni a Milano operava una grossa fonderia, la Società Urania e esercitava una forte concorrenza nei confronti della Nebiolo. Nel 1908 i titolari delle due aziende si unirono per cercare di battere il mercato estero usando il nome di Società Augusta. Dopo la prima guerra mondiale la fonderia riacquistò il suo nome originarioanche dopo la seconda Guerra Mondiale, non si piegò ricominciando con il suo ritmo di produzione. Il motivo che rende forse unica la società di Torino è la creazione per opera di Raffaello Bertieri, nel 1933 di uno studio artistico, lo Studio Artistico Nebiolo e gestito nel 1952 da Aldo Novarese. Ma un grave momento fu quando non venne compreso il passaggio all’era della fotocomposizione e si diede poca importanza a chi aveva previsto che con tecniche più avanzate non si sarebbe più prodotto il piombo. Prima che la fonderia venisse assorbita dalla Fiat si delineò un alfabeto che doveva risolvere dei problemi di leggibilità (più del Forma) ma il lavoro svolto fu inutile perché nel 1977 la Fiat aveva bisogno di un font per la propria immagine coordinata ma la fonderia chiedeva un costo troppo alto e la Fiat preferì adottare l'Univers di Frutiger. Un lato negativo della Nebiolo era che nonostante la cura posta nella progettazione, ogni lettera era preparata su un pre modello di rame e poi le matrici venivano incise con i pantografi e quindi tutti i copri si basavano sullo stesso disegno; sarebbe stato più giusto che ogni corpo avesse il proprio disegno. Dopo essere stata assorbita dalla Fiat l’unica fonderia italiana che avrebbe potuto competere in campo internazionale è sopravvissuta solo fino al 1977 ma non è rimasto nessun archivio perchè le matrici sono andate perse. I diritti d'autore Nel 1935 un articolo de “Il Risorgimento Grafico” ironizzava polemicamente sulla italianità dei caratteri prodotti dalle nostre fonderie. Sfogliando le riviste italiane della tipografia degli anni 10, 20 e 30 non si può non notare un'assidua campagna di diffide condotte dalle fonderie straniere per dissuadere la distribuzione di versioni non autorizzate dei loro alfabeti. Le diffide recavano generiche indicazioni inerenti il diritto d’autore. Non è difficile intuire la portata del fenomeno della copiatura nel campo del disegno dei caratteri tipografici. La copiatura sistematica di caratteri disegnati registrati da fonderie straniere appare molto diffusa nel nostro paese. In molte città esistevano fonderie con un volume di affari che non permetteva loro di affrontare i problemi e gli investimenti legati al mantenimento di uno studio di progettazione interno. Per queste realtà la copiatura di alfabeti era l’unica maniera per poter disporre di un campionario allettante. Gli inconvenienti legati alla copiature erano principalmente 2: - diritto di autore: la prima legge per la regolamentazione di questo aspetto risale alla seconda guerra mondiale. Ma già nel 1938 su Campo Grafico, esce un articolo in cui si parla di una legge del 1868 in cui c'era una distinzione tra nuovi caratteri e caratteri di pubblico dominio. Si prevedeva quindi una protezione effettiva dei progetti originale ma terminava dopo un periodo di 2 anni e successivamente diventava di pubblico dominio. Qualche anno dopo viene Prodotta una relazione in cui si dichiarava che era necessario dichiarare la provenienza del carattere in modo da non dare vita a concorrenza sleale. Per aggirare l'ostacolo delle citazioni legali, venivano apportare leggere modifiche e veniva registrato il carattere con un nuovo nome. È il caso del Semplicità. - Risultati peggiori: la pratica di modificare un carattere senza una riflessione approfondita sui valori e le conseguenze delle modifiche, solo per considerarlo un nuovo disegno, spesso peggiorava le qualità dell'alfabeto originale. Questa tendenza si intensificava con le copie successive, sia degli antichi alfabeti che dei classici tipi per la composizione editoriale. I peggioramenti formali colpivano soprattutto i caratteri famosi, come i Romani antichi, Elzeviriani, Bodoniani, Aldini e le numerose imitazioni di font moderni come Futura, Helvetica e Times New Roman. La copia degli alfabeti perdurò per diverso tempo, fermandosi quando la crisi della composizione in piombo fece sparire le piccole fonderie e gli artefici della violazione del diritto d'autore. Solo in tempi recenti la Terza Commissione della Comunità Europea si è fatta promotrice del Libro Verde per la tutela del Design in cui si promuove la protezione legale dei caratteri. Le riviste tipografiche: lo scontro tra italianità e razionalismo Le diverse riviste tipografiche in Italia riflettono le evoluzioni della società nel tempo. La crisi nel settore della progettazione tipografica è dovuta alla mancanza di una cultura tecnica e professionale consolidata. Mentre alcuni paesi come l'Inghilterra hanno affrontato con successo l'industrializzazione, l'Italia ha preferito un recupero formale del passato anziché abbracciare i cambiamenti epocali. Le scelte del passato hanno escluso l'Italia dalla Rivoluzione Industriale, mentre in Inghilterra le private presses hanno guidato l'innovazione tipografica attraverso il recupero dei valori filologici. Le riviste tecniche che nascono in Italia successivamente al periodo dell’Unità nazionale propongono una tipografia italiana che riprenda vita da dove Bodoni l’aveva abbandonata. “L’arte della stampa”, “Archivio tipografico” e il “Risorgimento Grafico” si fanno banditrici del rinnovamento delle espressioni grafiche seguendo un modello di arte legato a una congiuntura storica passata difficilmente applicabile su larga scala. In un articolo del 1914 su "Archivio Tipografico", viene sollevato il problema di seguire un modello artistico superato nella tipografia italiana. L'autore critica la situazione e si chiede se non sia possibile perseguire la pura arte in tipografia. Questo riflesso della crisi espressiva nel settore è condiviso da Raffaello Bertieri, che denuncia il degrado nell'uso dei caratteri tipografici e sostiene l'arte tipografica pura contro gli interessi commerciali delle fonderie. La rivista "Il Risorgimento Grafico" di Bertieri ha svolto un ruolo cruciale nell'indirizzare i gusti tipografici in Italia, focalizzandosi sulla promozione della qualità tecnica come fondamento essenziale per l'eccellenza artistica e contrastando espressioni editoriali errate. Tuttavia, con l'avvento della nuova tendenza pubblicitaria e razionalista, gli ideali classicisti e bibliofili hanno ceduto il passo a nuove esperienze figurative. La polemica tra "Il Risorgimento Grafico" e riviste come "Campo Grafico" è stata intensa, concentrandosi soprattutto sul ruolo del razionalismo nella produzione grafica e artistica. La vena polemica di Campo Grafico si concentrava sulla pomposità e sull'accademicità del pensiero di Bertieri. L'adozione di soluzioni moderniste da parte di "Campo Grafico" ha rappresentato una rivincita contro le posizioni di Bertieri, evidenziando un significativo cambiamento nelle visioni culturali. In questo contesto, Carlo Frassinelli, già autore della “Rivoluzione Grafica” del 1922, ha espresso rinnovati sentimenti artistici. Il suo clamoroso cambiamento testimonia la necessità di proteggere le espressioni grafiche italiane dalla contaminazione estera, con una particolare influenza della cultura fascista. La contrapposizione culturale ha portato alcuni a cercare un compromesso, promuovendo un'origine ed un'impronta italiana nello stile razionale. Alla morte di Raffaello Bertieri nel 1941, "Il Risorgimento Grafico" perse la sua guida e chiuse definitivamente nel 1942. Nel dopoguerra, nuove riviste emersero, ma mancava un continuo impegno nella difesa dell'immagine tipografica italiana. Il panorama editoriale si orientò verso la cultura del progetto grafico anziché tipografico. Il fallimento dei concorsi per la progettazione di alfabeti La polemica sull'italianità del libro e dei caratteri trovò sfogo nei concorsi grafici promossi da "Il Risorgimento Grafico". Tuttavia, la scarsa formazione e la committenza poco qualificata riflettevano la crisi espressiva del settore. Il primo concorso noto, del 1905 e organizzato dalla Società Urania di Milano, mirava a creare caratteri tipografici italiani. Tuttavia, sebbene si auspicasse uno stile ispirato alla classicità italiana, il regolamento indicava il Liberty come ambito stilistico, contraddicendo l'obiettivo dichiarato. Dei risultati non è stata trovata traccia. Nel 1910, la fonderia Augusta organizzò il secondo concorso di caratteri tipografici, riportato su "Archivio Tipografico" da Raffaello Bertieri nel 1940. Il vincitore, Natale Varetti, creò l'alfabeto Tanagra, ispirato alla forma classica romana con elementi decorativi adatti a diversi contesti, inclusi lavori artistici e fantasiosi. Tuttavia, un articolo su "Archivio Tipografico" nel 1924, pubblicato dalla Nebiolo, conteneva informazioni generiche e erronee sul concorso. Una maggiore consapevolezza sull'importanza del design degli alfabeti avrebbe dovuto portare a • Il Veltro, primo disegno di Giulio Da Milano, è un carattere che simula la scrittura a penna, irregolare e inclinata a destra. Nonostante somiglianze con il Signal della fonderia tedesca Berthold, il Veltro, lanciato nel 1934, rappresenta il primo carattere sviluppato nello Studio Artistico Nebiolo, mantenendosi nei cataloghi fino al 1961. • Il Razionale, carattere lineare per titolazioni lanciato nel 1935, ha lettere in negativo su uno sfondo a blocchetti rettangolari. Offre due modalità d'uso: con sfondo a livello della testa e del piede o con il Fregio Razionale, blocchetti aggiuntivi per un contorno esteso. Questo carattere ha incontrato successo nella pubblicità e nelle riviste, nonostante le sfide di stampa dovute ai blocchetti a spigolo vivo. • Il Neon, carattere creato da Giulio Da Milano nel 1935, si distingue per la sua particolarità: ogni dimensione del carattere ha una larghezza diversa, con le lettere che si allungano al crescere del corpo. Questo carattere, concepito come lineare-fantasia per titolazioni, è disponibile solo in maiuscolo. Nel 1936, Giulio Da Milano lasciò lo Studio Artistico Nebiolo, e al suo posto subentrò Alessandro Butti. Quest'ultimo fu responsabile della progettazione di diverse serie di caratteri, ma attribuire con certezza la paternità del lavoro è complicato. La presenza di Aldo Novarese alla Nebiolo dal 1936 rende difficile distinguere chiaramente le nuove creazioni, poiché la collaborazione eccellente tra i due contribuì significativamente a questo processo creativo. I suoi principali caratteri sono stati: • Il Fluidum (Butti) carattere che ricalca la scrittura a penna • Il Quirinus (Butti) che ricalca il Corvinus creato da Reiner • Il landi echo, una variazione più fantasiosa del Landi. Butti sovrappose al carattere originale in nero, la costruzione in bianco del suo corsivo. • Il Rondine Del 1948, con le volute maiuscole ampie e una leggera inclinazione. • Il Normandia è un alfabeto ispirato alle scritte della stampa commerciale e pubblicitaria del XIX secolo, con due varianti distintive. Una versione è caratterizzata da grazi bodoniane sottili, creando un forte contrasto, mentre l'altra è più stretta ed allungata, emanando un'eleganza particolare. • L'Augustea è un carattere basato sul lapidario romano delle iscrizioni sulla Colonna Traiana a Roma. Butti e Novarese hanno lavorato per replicarne accuratamente le proporzioni, originariamente con solo il maiuscolo. Successivamente, Novarese lo reintrodusse come Nova Augustea, apportando correzioni e disegnando anche il minuscolo. • Il Microgramma, un carattere solo maiuscolo progettato da Alessandro Butti, è un lineare ideale per le intestazioni. Creato per essere leggibile anche in dimensioni molto ridotte, è ottimale per corpi di testo molto piccoli. Per dimostrarne l'alta leggibilità venne realizzato l'intero ave Maria in latino su un blocchetto di 2,25 per 3,8 mm, ogni lettera risulta di 0,15 mm. Quando Aldo Novarese assunse la direzione dello Studio nel 1952, ebbe il controllo completo della progettazione dei caratteri presso la Nebiolo fino alla fine degli anni Sessanta. Durante questo periodo, si sperimentò una collaborazione in equipe tra grafici milanesi e tipografi torinesi, dando vita ai caratteri Forma e Dattilo. L'obiettivo era creare un carattere ideale, bilanciato psicologicamente e adatto all'uso universale nella grafica. Le riunioni e le discussioni sull'estetica proposta da Novarese durarono due anni. La collaborazione tra progettisti di caratteri e grafici, fu utile a questi ultimi per comprendere a pieno le caratteristiche di un carattere e per farne un uso corretto. Vennero realizzate diverse ricerche presso l'Università di Ginevra da Alberto Munari e si scoprì che la forma di un carattere poteva influire sulla facilità e la rapidità di percezione delle lettere. Questi risultati vennero applicati alla progettazione. Ed i caratteri di maggior successo di questo periodo sono: • Nel 1968 fu introdotto il carattere Forma, un lineare con leggeri ispessimenti alle estremità delle aste per migliorare la leggibilità e la resa di stampa nei testi continui. Nonostante sia stato candidato al Compasso d'Oro nel 1970, non ottenne un grande successo. Inizialmente progettato per il piombo, fu successivamente adattato anche per l'utilizzo sulla Linotype. • Nel 1972 fu presentato il carattere Dattilo, un egiziano con elementi dei caratteri ottocenteschi pubblicitari, adattato alle nuove esigenze grafiche. Una ricerca approfondita fu condotta per conferire al carattere una compattezza spesso difficile da ottenere negli egiziani, risultando in una forma ironica che richiamava l'alfabeto delle macchine da scrivere. Dopo successi tra il 1968 e il 1972, lo Studio Artistico Nebiolo mantenne contatti con la grafica milanese ma non generò nuovi caratteri. L'attività di progettazione continuò fino al 1978, quando la Fiat, che aveva acquisito la fonderia nel 1974, la liquidò. La mancata transizione alla fotocomposizione, suggerita da Novarese, portò alla chiusura della Fonderia Caratteri Nebiolo. Aldo Novarese Aldo Novarese (1920-1995) dedicò oltre cinquant'anni al design tipografico, iniziando negli anni Trenta a Torino. Dopo la sua formazione alla Regia Scuola Tipografica, iniziò la collaborazione con Alessandro Butti presso la Nebiolo nel 1936. Dichiaratosi antifascista durante la guerra, Novarese sfuggì a due fucilazioni, esperienze che influenzarono profondamente la sua personalità. Tornato alla Nebiolo dopo la guerra, assunse la direzione dello Studio Artistico nel 1952, mantenendosi legato alla fonderia fino alla sua chiusura nel 1978. Dalla fine degli anni Settanta, con la cessazione della produzione alla Nebiolo, Novarese intraprese una nuova fase come disegnatore di caratteri freelance, presentando le sue creazioni a fonderie straniere e aziende di fotocomposizione, offrendo un contributo distintivo per diverse identità aziendali. Novarese ha vissuto un'importante esperienza partecipando per molti anni ai Renconters de Lure, riunioni di specialisti nel settore della tipografia e della grafica, che miravano a creare uno scambio culturale tra esperti da diverse parti del mondo. Durante questi incontri, si promuoveva un clima di riflessione e collaborazione, con momenti chiave in cui i partecipanti mostravano i propri progetti, avviando discussioni costruttive e stabilendo accordi impliciti per proteggere le creazioni dalla copia. Nel 1955, Vox presentò la sua classificazione dei caratteri. Due anni dopo, Novarese presentò la sua classificazione in uno stampato intitolato "Il Carattere”. Suddivise i caratteri in 10 famiglie e cioè Lapidari, Lineari, Veneziani, Medioevali, Bodoniani, Egiziani, Transizionali, Fantasia, Ornati e Scritti e per ogni denominazione definì un simbolo basato sul terminare della lettera I per facilitare l'identificazione. Novarese creava caratteri con ispirazione intuitiva, basandosi sulla sua sensibilità per proporzione e forma tipografica. Nonostante la mancanza di una cultura tipografica consolidata, le sue creazioni, particolarmente nel campo pubblicitario, sono ampiamente utilizzate, nonostante alcuni esempi meno riusciti nella sua produzione. Per i suoi caratteri, Novarese ricavava tutte le regole di proporzione che rendono una lettera armonica con un'altra. Egli procedeva con inchiostro e tempera a mano libera, fotografava e riproduceva in varie dimensioni per verificare la coerenza del carattere. Alcuni dei suoi caratteri: • Nova Augustea Introdotto nel 1951, rivisitando l'Augustea di Butti con l'aggiunta del minuscolo. Per questo alfabeto fu disegnato anche il corsivo, che però non fu mai messo in produzione. • Juliet, creato nel 1954 ispirato alla calligrafia inglese, tracciato con minore inclinazione per semplificare la fusione su blocchetti normali invece che su crocettati che avrebbero reso la produzione più difficile, in quanto delicati. Il corsivo del Juliet non è stato messo in produzione. • Nel 1956, Novarese presentò il Garaldus, un carattere classico ispirato alla tradizione veneziana del Cinquecento, con tondo influenzato da Claude Garamond e corsivo da Aldo Manuzio. Il Garaldus cambia aspetto a seconda del metodo di stampa e del tipo di carta. Nonostante ciò, non fu ampiamente adottato dagli editori italiani, a causa della preferenza per altri caratteri classici e della sua non disponibilità in matrici per Linotype, limitandone la sua diffusione. Invece venne utilizzato nella stamperia Tallone per le note del Canto Gregoriano trovandolo il più appropriato alle cadenze della scrittura musicale. • All'inizio degli anni Cinquanta, diversi studi, ispirati a ricerche dell'Ottocento, hanno dato vita a progetti per famiglie di caratteri lineari. Tra queste, l'Helvetica di Miedinger e l'Univers di Frutiger hanno ottenuto notevole successo. Nel 1958, anche Novarese ha contribuito a questo panorama con il Recta, un carattere completo con ventuno serie, seguendo il modello dell’Univers. • Nel 1962, Novarese ha modificato il Microgramma, come aveva precedentemente fatto con l'Augustea, creando l'Eurostile, un carattere ampiamente utilizzato anche all'estero. In questa occasione, oltre ad aggiungere il minuscolo mancante, Novarese ha completamente ridisegnato le curve del maiuscolo, mantenendo intatto l'aspetto complessivo. • Nel 1966, Novarese creò il carattere transizionale Magister, descritto da Attilio Rossi come l'equivalente di un abito grigio, né chiaro né scuro, essenziale in ogni guardaroba. Analogamente, il carattere Magister era considerato indispensabile in ogni tipografia. Si ispirava a quei caratteri nati tra il 1692 e il 1775 tra cui quello di Granjean (Roman du roi). • Un anno dopo il Magister, Novarese creò il Metropol, un carattere stretto e compatto derivato dall'Eurostile, definito una textura gotica moderna. Progettato con proporzioni e struttura di antichi caratteri stretti e gotici, il Metropol presenta un profilo rigoroso e moderno, unificando gli spazi delle lettere per un effetto di sorprendente regolarità. Ideato per pubblicità, è adatto alle titolazioni di quotidiani e riviste. (È un condensed). • Nel 1970, Aldo Novarese lanciò il carattere Stop, inizialmente criticato ma successivamente ampiamente utilizzato in pubblicità. L'obiettivo di Novarese era offrire una "nuova visione ai grafici in continua ricerca per una comunicativa rivoluzionaria". Il carattere ottenne un effetto distintivo sintetizzando le caratteristiche più rilevanti delle lettere, evidenziando le parti essenziali e riducendo o eliminando quelle meno importanti. Nonostante il suo successo continuo, va notato che questo carattere 'sperimentale' e 'rivoluzionario' fu progettato nel 1970 per la composizione in piombo, una tecnologia ormai in declino. Già nel 27 AM Cassandre aveva fatto un'operazione simile con il Bifur nato proprio per la pubblicità. • Nel 1978, Novarese creò il carattere che porta il suo nome, diventando un capolavoro del design tipografico degli anni Settanta. Con la Nebiolo in crisi, i diritti furono acquistati dalla ITC, portando il nome di Novarese oltre oceano. La caratteristica distintiva del Novarese è l'assenza di maiuscole corsive; il minuscolo corsivo è stato progettato per un accostamento coerente al maiuscolo tonde. Nel 1980 la ITC acquistò anche i diritti del fenice un neoclassico bodoniano con un minuscolo dilatato e grazie accorciate, compatto ed economico. Giovanni Mardersteig Mardersteig, nato in Germania nel 1892, si trasferì in Italia dopo cambiare nome da Hans a Giovanni ottenendo la cittadinanza. Laureato in legge, il suo amore per i libri lo portò a lavorare con l'editore Kurt Wolff a Lipsia. Durante gli anni espressionisti, diresse la rivista “Genius" e entrò in contatto con gli esponenti della corrente. Dopo l'esperienza con i caratteri bodoniani, fondò nel 1922 l'Officina Bodoni a Montagnola di Lugano. Amante dello stile classico, ottenne dal governo italiano il permesso di fondere direttamente gli alfabeti originali di Bodoni. Dal 1923, l'Officina si dedicò alla produzione di libri, con attenzione a ogni dettaglio, dalla scelta della carta al carattere tipografico. Mardersteig, motivato dal suo profondo interesse per la storia della stampa, ha iniziato a studiare le origini delle lettere tonde e corsive, disegnando razionalismo tedesco perchè la ricerca stilistica portò al disegno di tipi che avevano un'impronta fortemente ideologica. Nel periodo tra il 1927 e il 1930, Paul Renner creò il Futura, che ebbe un grande successo in quanto univa la volontà di geometrizzare dell'avanguardia con l'attenzione alle specificità formali della tipografia. Paul Renner ottenne la perfetta geometrizzazione ma applicando delle correzioni ottiche tipiche della cultura tipografica. In Italia arrivò nel 1933, ma già qualche anno prima la fonderia Nebiolo commercializzò il Semplicità dai tratti molto simili. Da molti è considerato il ridisegno italiano del Futura, perchè ha molti punti in comune. Ma è da considerare il contesto storico che portò alla creazione di tanti alfabeti lineari e razionalisti, di cui il Futura è solo il principale esponente. Il semplicità per quanto geometrico, risulta ancora influenzato da una matrice Liberty. Nelle lettere minuscole si possono trovare le sostanziali differenze con il Futura. Dall'analisi di tutte le caratteristiche formali e funzionali, si può intuire che sono di più i difetti, ma nonostante questo ha un'importanza fondamentale nella storia della tipografia italiana perchè segna lo sfondamento della cultura razionalista e introduce l'immagine istituzionale del regime fascista (che puntava ad avere un'iconografia che palesasse la presenza. Il carattere bastone e maiuscolo nasce per gli spazi urbani. Mentre in altri Paesi la matrice razionalista viene rifiutata come nel caso del regima nazista che Aveva chiuso il bauhaus, che puntava più verso caratteri gotici in quanto ritenuti più consoni alle radici del regime. Il Garamond di Simoncini (1958): un carattere per una linea editoriale Esistono due approcci alla design del libro e delle collane: - il primo si concentra più sull'imballaggio (contenitore) e culmina con la realizzazione di un'immagine di copertina che permetteva di riconoscere una determinata edizione e individuarne il contenuto tematico. In questo caso però la realizzazione del libro è frutto di un'operazione commmerciale - Il secondo invece è lo studio dell'impatto visivo del testo. Questo deve rispondere a valutazioni che si fondano sull'ambito storico-culturale. Questi due approcci possono coesistere, ma in Italia si è avuta una prevalenza dell'atteggiamento commerciale rispetto a quello funzionale. Einaudi invece è la rappresentazione di come i due aspetti possono vivere di pari passo. Infatti al lavoro grafico di Huber e Munari, si affianca la volontà di di definire una veste micro-tipografica che caratterizzasse le collane della casa editrice. Nasce l'idea di progettare un nuovo carattere tipografico. Einaudi propone di comporre in Monotype con un Garamond studiato appositamente. La scelta deriva da: - monotype: il disegno dei caratteri può essere più accurato (perchè il quadrato su cui si costruisce la lettera, ha più divisioni). Ma verrà sconsigliato e non portata avanti per gli alti costi di produzione. - Garamond: si allaccia alla tradizione calligrafica umanistica e rimane uno dei caratteri più leggibili e funzionali. Incontra così Simoncini e l'omonima azienda. La Simoncini è una realtà commerciale che aveva saputo svilupparsi anche a livello internazionale con un prodotto preciso e di qualità. Inizialmente produceva solo caratteri stranieri, ma dopo decise di aprire uno studio per la progettazione di caratteri Verso la metà degli anni '50. Ma per una commissione così importante come Einaudi, Simoncini decise di affidarsi anche a uno studio esterno che avesse una grande esperienza e da qui nasce la collaborazione con la Ludwig & Mayer di Francoforte. Il Garamond viene realizzato in due anni (1956-1958). Venne realizzato nei peso 8,10, 12 ma venne richiesto di ampliarli. Le varie dimensioni non erano ottenute tramite l'uso del pantografo ma tramite il disegno specifico per ogni corpo. Una particolare attenzione richiesta da Eiunaudi fu quella di avvicinare le lettere, in modo che non si formassero macchie di testo e si potesse ottenere una pagina uniforme. Lo studio di questo problema, portò ad affrontarne un altro ovvero la deformazione durante il processo di stampa. Vennero adottate delle contro-deformazioni in modo da bilanciare quelle subite in stampa. Queste modifiche riguardavano le grazie che in stampa sarebbero risultate arrotondate. Einaudi portò un elevato standard nella produzione libraria italiana permettendo di imporsi come modello per tutto il resto della produzione.