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RIASSUNTO MANUALE di DIRITTO AMMINISTRATIVO di MARCELLO CLARICH 5° edizione, Dispense di Diritto Amministrativo

Riassunto paragrafo per paragrafo, capitolo per capitolo - con stessi titoli dei paragrafi e dei capitoli per un più semplice orientamento all'interno del documento - del manuale di diritto amminitrativo di Marcello Clarich

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 24/07/2023

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Scarica RIASSUNTO MANUALE di DIRITTO AMMINISTRATIVO di MARCELLO CLARICH 5° edizione e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI CAPITOLO PRIMO - INTRODUZIONE PREMESSA [Il diritto amministrativo può essere definito, come la branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto l'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione. Esso riguarda in particolare i rapporti che quest'ultima instaura con i soggetti privati nel' esercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura di interessi della collettività.] Si compone di un corpo di regole e di principi, autonomo dal diritto privato. Si tratta dunque di un diritto recente. STATO DI DIRITTO E STATO A REGIME DI DIRITTO AMMINISTRATIVO [Lo Stato di diritto presuppone il trasferimento della titolarità della sovranità dal rex legibus solutus a un parlamento eletto da un corpo elettorale, dapprima ristretto poi sempre più esteso (suffragio universale) Inoltre, esso si fonda sul principio della tendenziale separazione dei poteri], necessaria per rompere il monopolio del potere in capo al sovrano assoluto, unita alla previsione di un sistema di pesi e contrappesi (checks and balances) volto a evitare abusi a danno dei cittadini? Secondo la tripartizione dei poteri, il potere legislativo spetta a un parlamento elettivo, il potere esecutivo al re e agli apparati burocratici da esso dipendenti, il potere giudiziario a una magistratura indipendente. [Il potere esecutivo viene così sottoposto alla legge, cioè alla supremazia del parlamento, espressione della volontà popolare.] Per i suoi caratteri di generalità e di astrattezza, la legge garantisce l'uguaglianza e i diritti di libertà dei cittadini contro gli arbitri dell'esecutivo. [Un terzo elemento strutturale dello Stato di diritto è l'inserimento nelle costituzioni di riserve di legge.] Queste escludono o limitano, anzitutto il potere normativo del governo. Per rendere effettive la sottoposizione del potere esecutivo alla legge e la garanzia dei diritti di libertà, lo Stato di diritto richiede un [quarto elemento: che al cittadino sia riconosciuta la possibilità di ottenere la tutela dei diritti vantati nei confronti della pubblica amministrazione innanzi a un giudice imparziale, indipendente dal potere esecutivo.] La giustizia nell'amministrazione venne realizzata, attraverso l'istituzione verso la fine del XIX secolo di un giudice speciale: [il Consiglio di Stato.] IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E I SUOI RAPPORTI CON LE ALTRE BRANCHE DEL DIRITTO IL DIRITTO COSTITUZIONALE Rileva la distinzione tra diritto costituzionale e diritto amministrativo. Il primo riguarda i «rami alti» dell'ordinamento, i diritti dei privati le fonti del diritto. Il secondo riguarda i «rami bassi», cioè quel complesso poliedrico di apparati pubblici che si è sviluppato soprattutto nel corso del XX secolo, ciascuno dei quali dotato di una gamma più o meno ampia di poteri. Il primo trova fondamento e una disciplina positiva nelle costituzioni scritte. L'istituzione delle corti costituzionali in molti Paesi europei ha contribuito a rafforzare l'autonomia del diritto costituzionale. Il secondo è regolato in prevalenza da 1 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI fonti normative subcostituzionali e dai principi di elaborazione giurisprudenziale. Il diritto costituzionale e il diritto amministrativo sono tuttavia strettamente legati. Almeno due sono i nessi da considerare. In primo luogo, [il diritto amministrativo, per riprendere l'espressione di Fritz Werner, presidente della Corte amministrativa federale tedesca verso la seconda metà del secolo scorso, non è altro che il «diritto costituzionale reso concreto», cioè colto nella sua effettiva realizzazione nella legislazione e nella vita dell'ordinamento.] La Corte costituzionale ha provveduto, specie nei primi anni della propria attività, a dichiarare incostituzionali disposizioni contenute nelle leggi amministrative di settore, come per esempio le disposizioni di matrice illiberale contenute nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al r.d. 18 giugno 1931, n. 773. Un secondo nesso tra diritto costituzionale e diritto amministrativo è riassunto dall'affermazione di uno dei maggiori giuristi tedeschi del primo Novecento (Otto Mayer), secondo il quale «il diritto costituzionale passa, il diritto amministrativo resta». Le riforme amministrative, al contrario, mirano a modificare l'organizzazione e il modo di operare di apparati burocratici caratterizzati da strutture, personale, prassi operative e cultura istituzionale formatesi lentamente, per stratificazioni successive, e strutturalmente poco permeabili al cambiamento. È importante la l. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo. IL DIRITTO EUROPEO [Il diritto amministrativo italiano ha acquisito peraltro una dimensione europea sotto cinque profili principali: la legislazione amministrativa, l'attività, l'organizzazione, la finanza, la tutela giurisdizionale.] In primo luogo, l'art. 117, comma 1, Cost. stabilisce che [la potestà legislativa dello Stato e delle regioni deve essere esercitata nel rispetto, oltre che della Costituzione, «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario».] Questo vincolo condiziona la legislazione amministrativa statale e regionale che in molte materie è ormai nient'altro che la trasposizione, con gli adattamenti e le integrazioni necessarie, delle direttive europee. In secondo luogo, l'art. 1, comma 1, [l. n. 241/1990 include tra i principi generali dell'attività amministrativa (economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità) anche «i principi generali dell'ordinamento comunitario». Questi ultimi sono ricavabili sia dai Trattati e dalle altre fonti del diritto europeo, sia dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. In terzo luogo il diritto europeo condiziona l'assetto organizzativo degli apparati pubblici.] Così numerose agenzie e autorità indipendenti sono state istituite in Italia specie nell'ultimo quarto di secolo in attuazione di direttive europee. Esse hanno dato origine in taluni casi a una vera e propria rete integrata di organismi istituiti in ciascuno Stato membro che svolgono in modo coordinato la propria attività in gran parte allo scopo di curare l'attuazione del diritto europeo in particolari materie. [In quarto luogo il diritto europeo impone agli Stati membri vincoli stringenti alla finanza pubblica che condizionano in ultima analisi l'operatività delle pubbliche amministrazioni e l'attuazione dei loro programmi di intervento. Infine, il diritto europeo esercita un'influenza sul diritto processuale amministrativo.] Il Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione 2 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI Stato. In definitiva], come ha chiarito da tempo lo stesso Consiglio di Stato, [il diritto amministrativo non è composto soltanto da norme, ma anche da «principi che dottrina e giurisprudenza hanno elevato a dignità di sistema». Per dirimere i contrasti giurisprudenziali, interviene l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, collegio allargato composto da giudici provenienti da tutte le sezioni giudicanti (II, III, IV, V, VI e VII). Essa svolge una funzione nomofilattica, cioè di promozione di un'applicazione del diritto uniforme,] che è stata rafforzata dal Codice del processo amministrativo. Infatti, nel caso in cui una sezione giudicante ritiene preferibile un'interpretazione diversa da quella dell'Adunanza Plenaria, non può decidere, ma deve rimettere il caso alla decisione di quest'ultima e deve poi conformarsi al suo orientamento. La l. n. 241/1990, che contiene una serie di disposizioni generali sul procedimento e sul provvedimento amministrativo, offre una base legislativa molto più solida agli istituti fondamentali del diritto amministrativo. Tuttavia neppure essa supera del tutto la natura giurisprudenziale del diritto amministrativo. Da un lato, infatti, essa in alcuni casi ha soltanto legificato e precisato istituti e principi già elaborati dalla giurisprudenza; dall'altro, essa ha posto una disciplina meno organica e di dettaglio rispetto a quella posta da altre leggi sul procedimento amministrativo, lasciando così ampi spazi di integrazione e di adattamento alla giurisprudenza. [Il diritto amministrativo ha un'altra caratteristica che lo avvicina in qualche modo all'esperienza della common law e cioè l'elasticità e adattabilità al variare delle situazioni e all'emergere di nuove esigenze.] IL DIRITTO AMMINISTRATIVO GENERALE E SPECIALE [Emerge la distinzione tra diritto amministrativo speciale e generale. Il diritto amministrativo speciale è costituito dai filoni legislativi che disciplinano i vari campi di intervento delle pubbliche amministrazioni. Il diritto amministrativo generale ha invece natura trasversale ed è opera soprattutto della scienza giuridica.] Essa procede anzitutto alla rielaborazione del materiale giuridico grezzo, costituito dalle norme vigenti e dalle sentenze dei giudici, attraverso un'attività di classificazione, di individuazione di strutture portanti e di costanti. Interviene poi l'attività di elaborazione dei concetti giuridici che costituiscono il nucleo essenziale della dogmatica del diritto amministrativo. Diritto generale e diritto speciale si condizionano reciprocamente e si evolvono di pari passo. Il diritto amministrativo generale, dunque, per propria natura non può aspirare a un inquadramento completo, coerente e definitivo del proprio oggetto. Può mirare soltanto a tracciare le coordinate principali e le costanti volte a inquadrare nel modo più preciso i fenomeni analizzati. Il diritto amministrativo generale è comunque il nucleo costitutivo della materia, in gran parte codificato nella l. n. 241/1990. Il diritto amministrativo speciale, talora incorporato in codici di settore, è invece oggetto di trattazioni organiche, per lo più a uso didattico o indirizzate agli operatori pratici, dedicate a uno solo dei subsettori. CAPITOLO SECONDO - LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO PREMESSA 5 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI In molti casi la legge si limita a porre i principi generali della disciplina di una determinata materia e delega agli apparati amministrativi il compito di porre in via sublegislativa, con regolamenti e con altri tipi di atti, le regole di dettaglio volte a disciplinare anche i comportamenti dei privati. [La cosiddetta funzione regolatrice della pubblica amministrazione include tutti gli strumenti formali e informali dei quali essa dispone per orientare e condizionare l'attività dei privati.] In molti ambiti, la pubblica amministrazione ha sia il potere di porre le regole, pur nei limiti stabiliti dalla legge, sia di applicarle nei singoli casi con provvedimenti di tipo individuale. Le pubbliche amministrazioni, peraltro, prima ancora che soggetti regolatori, sono soggetti regolati sottoposti a un corpo più o meno esteso di norme. Emerge qui dunque una [distinzione tra «fonti sull'amministrazione» e «fonti dell'amministrazione». Le prime hanno come destinatarie le pubbliche amministrazioni che diventano così soggetti eteroregolati, sottoposti ai principi dello Stato di diritto. Esse disciplinano l'organizzazione, le funzioni e i poteri di queste ultime e fungono da parametro per sindacare la legittimità dei provvedimenti da esse emanati. Le fonti sull'amministrazione sono costituite, in base al principio della riserva di legge relativa di cui all'art. 97 Cost., anzitutto da fonti normative di rango primario e, in secondo luogo da fonti normative di rango secondario. Le seconde, invece, sono strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni sia per regolare comportamenti dei privati sia, nei limiti in cui la legge riconosca ad esse un ambito di autonomia organizzativa, per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento.] LA COSTITUZIONE Essa è il parametro in base al quale la Corte costituzionale esercita il sindacato sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. La revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali richiede un procedimento di approvazione da parte del parlamento con maggioranze qualificate (art. 138 Cost.). La Costituzione enuncia i principi essenziali in tema di organizzazione, di raccordi tra politica e amministrazione, di assetto della giustizia amministrativa. Lo stesso principio di legalità è dato per presupposto e non è esplicitato in disposizioni specifiche. Sul versante organizzativo la Costituzione pone l'accento sul principio autonomistico (art. 5), poi sviluppato nell'articolazione «ascendente» dei livelli di governo, a partire dai comuni fino allo Stato (art. 114), ed enuncia il principio di sussidiarietà (art. 118). FONTI DELL'UNIONE EUROPEA Vige il principio secondo il quale [le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate. Questo principio vale] sia per i giudici nazionali, ai quali, nell'ambito di una controversia, spetta il compito di individuare la norma applicabile al caso concreto; sia [per le pubbliche amministrazioni, quando esercitano un potere amministrativo ed emanano un provvedimento. Per la pubblica amministrazione, il vincolo derivante dal diritto europeo è addirittura più stringente di quello che discende dalla Costituzione. Essa infatti non può disapplicare le leggi contrarie alla Costituzione, né ha il potere attribuito ai giudici di sollevare in via incidentale la questione alla Corte 6 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI costituzionale. Il primato del diritto europeo si spinge invece fino al punto di vietare alle pubbliche amministrazioni di dare esecuzione a un provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sentenza passata in giudicato, allorché esso sia stato ritenuto contrario al diritto europeo dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.] I regolamenti, disciplinati dagli artt. 288 ss. TFUE, hanno portata generale e sono direttamente vincolanti per gli Stati membri e per i loro cittadini. Non richiedono alcuna forma di recepimento da parte degli Stati membri e non possono essere derogati da questi ultimi. A differenza degli atti normativi nazionali, i regolamenti europei devono essere motivati. Le direttive impongono agli Stati membri soltanto un obbligo di risultato e non incidono sull'autonomia di questi ultimi nell'individuare le modalità concrete e il tipo di atti che devono essere adottati per raggiungere gli obiettivi. [In base ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, le direttive devono essere preferite ai regolamenti e le direttive quadro a quelle dettagliate.] Queste ultime, emanate sempre più di frequente in settori rilevanti per il diritto amministrativo, contengono anche prescrizioni puntuali. Per quanto concerne invece il recepimento delle norme europee lo strumento specifico è costituito da due leggi annuali di iniziativa governativa: la legge europea che modifica o abroga le disposizioni statali vigenti contrastanti con il diritto europeo; la legge di delegazione europea, che attribuisce deleghe legislative al governo per il recepimento delle direttive europee. Quest'ultima prevede che nelle materie non coperte da riserva di legge il recepimento possa avvenire anche in via regolamentare e individua i principi fondamentali ai quali le regioni si devono attenere per dare attuazione alle direttive europee nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa concorrente. FONTI NORMATIVE STATALI, RISERVA DI LEGGE, PRINCIPIO DI LEGALITÀ Le riserve di legge sono di tre tipi: assoluta, rinforzata e relativa. [La riserva di legge assoluta richiede che la legge ponga una disciplina completa ed esaustiva della materia ed esclude l'intervento di fonti sublegislative. La riserva di legge rinforzata aggiunge al carattere dell'assolutezza il fatto che la Costituzione pone direttamente taluni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario. La riserva di legge relativa, come per esempio quelle in materia tributaria (art. 23) e di organizzazione dei pubblici uffici (art. 97), richiede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l'emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di dettaglio che completano la disciplina della materia.] Il principio di legalità costituisce uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo. Esso è richiamato dall'art. 1 l. n. 241/1990, secondo il quale l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge. II principio di legalità assolve a una duplice funzione: di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità-garanzia); di ancoraggio dell'azione amministrativa al principio democratico e agli orientamenti che emergono all'interno del circuito politico-rappresentativo (legalità-indirizzo). Infatti la legge, manifestazione della sovranità popolare, funge da fattore di legittimazione e da guida dell'attività amministrativa. [Il principio di legalità può essere inteso in due accezioni. In un primo senso, esso va inteso come preferenza della legge: gli atti emanati dalla pubblica amministrazione non possono porsi in contrasto con la legge. La legge costituisce cioè un 7 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI [Lo strumento di riordino più tradizionale è costituito dai testi unici che accorpano e razionalizzano in un unico corpo normativo le disposizioni legislative vigenti relative a una determinata materia. Si distinguono usualmente i testi unici innovativi e quelli di mera compilazione.] I primi sono emanati sulla base di un'autorizzazione legislativa che stabilisce i criteri del riordino (cosiddetti testi unici autorizzati o delegati). Essi sono fonti del diritto in senso proprio (di rango primario o secondario, a seconda del tipo di autorizzazione legislativa) in quanto sono atti a innovare il diritto oggettivo e determinano l'abrogazione delle fonti legislative precedenti. I secondi, rari nella prassi, sono emanati su iniziativa autonoma del governo (testi unici «spontanei») e hanno soltanto la funzione pratica di unificare in un unico testo le varie disposizioni vigenti, rendendo così più semplice il loro reperimento. CENNI ALLE FONTI NORMATIVE REGIONALI, DEGLI ENTI LOCALI E DI ALTRI ENTI PUBBLICI [La Costituzione prevede tre fonti normative regionali: gli statuti, le leggi e i regolamenti. Lo statuto delle regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Per esso è previsto un procedimento aggravato sotto forma di duplice approvazione a maggioranza assoluta da parte del consiglio regionale, con possibilità di sottoposizione a referendum popolare. Lo statuto delle regioni speciali è approvato con legge costituzionale (art. 116). Le leggi regionali sono approvate dal consiglio regionale e promulgate dal presidente (art. 121) nelle materie attribuite dall'art. 117 Cost. alla competenza regionale concorrente e residuale.] GLI ATTI DI REGOLAZIONE AVENTI NATURA NON NORMATIVA La funzione di regolazione delle pubbliche amministrazioni si esplica anche attraverso atti aventi natura non normativa. GLI ATTI AMMINISTRATIVI GENERALI Di regola i provvedimenti amministrativi hanno un contenuto concreto e si rivolgono a uno o più destinatari determinati. Fissano cioè autoritativamente il modo di essere di un rapporto giuridico tra pubblica amministrazione e privato in relazione alla specifica situazione di fatto e, nel caso in cui si tratti di un potere discrezionale, agli interessi pubblici e privati in gioco. Tuttavia di frequente la pubblica amministrazione ha il potere di emanare [atti amministrativi aventi contenuto generale. Essi sono propedeutici all'emanazione di provvedimenti puntuali o trovano svolgimento in un'attività organizzativa degli uffici pubblici. Si rivolgono in modo indifferenziato a categorie più o meno ampie di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili sulla base di esso. Gli atti amministrativi generali sono soggetti a un regime giuridico che deroga in parte a quello proprio dei provvedimenti amministrativi e che ricalca quello degli atti normativi.] 10 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI I BANDI DI CONCORSO E GLI AVVISI DI GARA Sono privi del carattere di astrattezza, e hanno dunque natura non normativa, i bandi di concorso per l'assunzione di dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, e i bandi o avvisi di gara relativi ai contratti delle pubbliche amministrazioni. Costituiscono l'atto di avvio del procedimento per la selezione di personale delle pubbliche amministrazioni. Essi specificano, in applicazione delle leggi, i requisiti di partecipazione, le modalità e i termini per la presentazione delle domande di partecipazione, lo svolgimento delle prove scritte e orali, i criteri per l'attribuzione dei punteggi. Hanno contenuto concreto poiché esauriscono i loro effetti al completamento della procedura, che avviene con l'approvazione della graduatoria finale. GLI ATTI DI PIANIFICAZIONE E DI PROGRAMMAZIONE [Una delle esigenze che presiedono all'esercizio dei poteri amministrativi è che esso avvenga in modo coerente con una strategia complessiva. Pertanto in molte materie, a monte dell'emanazione di provvedimenti puntuali o dell'erogazione di servizi, la legge prevede un'attività di pianificazione o programmazione con la quale si prefigurano obiettivi, priorità, limiti, contingenti e altri criteri che presiedono all'esercizio dei poteri amministrativi e all'attività degli uffici pubblici.] L'attività di pianificazione e di programmazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo secondo il metodo della cosiddetta pianificazione a cascata. Il piano regolatore generale è lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni. È disciplinato oggi, insieme agli altri strumenti urbanistici, dalle leggi regionali che in questa materia hanno adottato talora soluzioni originali e innovative. [Il piano regolatore suddivide anzitutto il territorio comunale in zone omogenee (cosiddetta zonizzazione) con l'indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili, in base a criteri e parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale. Il piano individua poi le aree destinate a edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico (cosiddetta localizzazione). Se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata quinquennale che decade se nel frattempo non interviene l'espropriazione.] Il piano regolatore è corredato dalle cosiddette norme tecniche di attuazione che specificano, in particolare, le distanze, le altezze e le destinazioni d'uso degli edifici. Il piano regolatore generale si inserisce in un sistema articolato di strumenti di pianificazione. È controversa la natura giuridica del piano regolatore. Si discute cioè se abbia natura essenzialmente normativa (regolamentare), tale da condizionare soltanto l'adozione dei piani attuativi, oppure di atto amministrativo generale tale da produrre effetti giuridici immediati in capo a destinatari ben individuati (i proprietari dei terreni soggetti ai vincoli). [Prevale in giurisprudenza la tesi intermedia della natura mista dei piani regolatori che, «da un lato, dispongono in via generale ed astratta in ordine al governo ed all'utilizzazione dell'intero territorio comunale, e, dall'altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano». Ne consegue che occorre valutare caso per caso i contenuti del piano] allo scopo di appurare se esso leda in via immediata posizioni giuridiche di singoli proprietari e pertanto sia necessario impugnarlo nel termine perentorio di 60 giorni; oppure se abbia una valenza 11 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI solo programmatoria e che pertanto solo l'emanazione dei provvedimenti attuativi determini una lesione delle situazioni giuridiche soggettive tale da rendere necessaria la proposizione di un ricorso giurisdizionale. LE ORDINANZE CONTINGIBILI E URGENTI A livello subcostituzionale, numerose disposizioni di legge attribuiscono ad autorità amministrative il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti delle quali è discussa la natura amministrativa o normativa. Il sindaco, nella sua veste di ufficiale del governo, può adottare «provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana». Può adottarli anche in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica in ambito locale nonché per ragioni di sicurezza urbana, decoro, vivibilità, tranquillità e riposo dei residenti. Poteri analoghi sono attribuiti alle regioni e al ministro della Salute nel caso di situazioni che interessino territori e comunità più ampie. Un potere di ordinanza è previsto anche in materia di protezione civile. Le ordinanze sono immediatamente efficaci e vengono attuate a cura del capo del dipartimento della Protezione civile. Il ruolo preminente a quelle adottate, come si è già accennato, nella forma del decreto del presidente del Consiglio dei ministri e ciò al fine di evitare misure troppo differenziate a livello regionale e locale. L'autorità competente è dunque titolare di un'ampia discrezionalità, sia nel momento in cui apprezza in concreto se la situazione di fatto giustifica l'esercizio del potere di ordinanza, sia nel momento in cui essa individua le misure specifiche da adottare. Le ordinanze in questione operano in definitiva una deroga al principio della tipicità degli atti amministrativi, in base al quale la norma attributiva del potere deve definirne in modo sufficientemente preciso presupposti e contenuti, e sollevano dunque, un problema di compatibilità con il principio di legalità inteso in senso sostanziale. La giurisprudenza anche costituzionale ha chiarito da tempo che, quanto meno, le ordinanze non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell'ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione. Inoltre devono avere un'efficacia limitata nel tempo e devono essere motivate e adeguatamente pubblicizzate. Un limite interno è costituito dal principio di proporzionalità, e pertanto il contenuto delle ordinanze deve essere calibrato in funzione dell'emergenza specifica che deve essere in concreto fronteggiata. Da qui anche il carattere tendenzialmente temporaneo e provvisorio delle misure introdotte. Trattandosi di uno strumento extra ordinem, il potere di ordinanza ha un carattere residuale, nel senso che non può essere esercitato in luogo di poteri tipici previsti dalle norme vigenti già idonei a far fronte a quel tipo di situazione. Le ordinanze hanno di regola natura non normativa anche quando si rivolgono a categorie più o meno ampie di destinatari. Le ordinanze contingibili e urgenti vanno distinte da altri atti amministrativi che hanno come presupposto l'urgenza, ma il cui contenuto e i cui effetti sono predefiniti in tutto e per tutto dalla norma attributiva del potere. LE DIRETTIVE E GLI ATTI DI INDIRIZZO Affini agli atti di pianificazione, in quanto espressione della funzione di indirizzo politico- amministrativo, sono le direttive amministrative. Caratteristico di questo tipo di atti è il loro contenuto. Esso è limitato all'indicazione di fini e obiettivi da raggiungere, criteri di 12 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI LA SOFT LAW, LE RACCOMANDAZIONI E LE LINEE GUIDA La linea direttrice principale è rappresentata dalla cosiddetta soft lato. Questa consiste nell'insieme di strumenti, spesso informali volti a influenzare i comportamenti delle autorità amministrative e dei soggetti amministrati. La soft law mette in discussione il principio di tipicità delle fonti e degli atti amministrativi con valenza regolatoria, che costituisce un'esplicazione del principio di legalità, nonché la nozione di vincolatività. LA BETTER REGULATION E ALTRI MODELLI DI REGOLAZIONE L'analisi di impatto della regolazione (AIR) obbliga le pubbliche amministrazioni, prima di approvare un atto di regolazione, a individuare tutte le soluzioni astrattamente possibili (inclusa la cosiddetta «opzione zero», cioè quella di non introdurre alcuna nuova norma) valutando i costi e i benefici (cost-benefit analysis) di ciascuna di esse e a esplicitarle in un documento che correda la proposta di atto normativo. Una volta approvate, le norme devono essere sottoposte anche a una verifica ex post che accerti in particolare i loro costi, le eventuali difficoltà applicative e i risultati effettivamente conseguiti rispetto alle attese. A questo fine interviene la cosiddetta verifica dell'impatto della regolamentazione (VIR). Essa consiste in una valutazione, operata dopo il primo biennio di applicazione delle norme e periodicamente a cadenza biennale. che può sfociare nella proposta di perfezionare, modificare o abrogare le norme emanate. A livello governativo, nell'ambito del dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio dei ministri (DAGL) è stato istituito un ufficio di livello dirigenziale generale per l'analisi e la verifica dell'impatto della regolamentazione (AVIR). Entro il 30 aprile di ogni anno il presidente del Consiglio dei ministri presenta al parlamento una relazione sullo stato di applicazione dell'AIR. Si tratta di strumenti utilizzati poco e male e che solo alcune autorità di regolazione hanno applicato in modo puntuale. In epoca recente sono stati sperimentati in vari Paesi modelli di regolazione innovativi. Lo Stato, anziché obbligare i soggetti privati a tenere determinati comportamenti, magari anche con la minaccia di sanzioni, individua l'opzione che ritiene preferibile per tutelare i reali interessi degli stessi soggetti privati, senza però eliminare la loro libertà di scelta. L'opzione proposta dai pubblici poteri si applica per così dire di default, cioè in mancanza di una diversa manifestazione di volontà esplicita del soggetto interessato. Alcuni modelli di regolazione attenuano la distinzione tra provvedimenti di tipo individuale e atti normativi. L'autorizzazione è definita come atto amministrativo che consente l'esercizio di un'attività rimuovendo un limite all'esercizio di un diritto e che è emanata su istanza della parte interessata, acquista una dimensione regolatoria nei casi in cui la legge preveda l'emanazione da parte dell'autorità amministrativa delle cosiddette autorizzazioni generali. CAPITOLO TERZO - IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO GLI INTERESSI PUBBLICI, LE FUNZIONI E L'ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA La funzione di amministrazione attiva consiste nell'esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico al 15 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI fine di curare, nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati, l'interesse pubblico. Gli interessi pubblici: il diritto consiste essenzialmente nella regolazione di interessi. Gli interessi sono di più tipi. Vi sono interessi privati e altri interessi che invece hanno una dimensione collettiva. Altri interessi hanno un carattere diffuso (interessi diffusi o adespoti) come per esempio l'interesse correlato a un ambiente salubre. Gli interessi pubblici presuppongono un riconoscimento formale da parte di una legge dello Stato che li individui, ponga regole e istituisca apparati che si facciano istituzionalmente carico della loro cura. Gli interessi qualificati come pubblici variano nel tempo in funzione dell'evoluzione della consapevolezza sociale e politica. Per esempio gli interessi correlati alla tutela dell'ambiente o alla protezione dei dati personali, considerati oggi come interessi pubblici di rango primario, fino a qualche decennio a avevano una rilevanza marginale. Gli interessi pubblici inoltre possono porsi talora in contrasto tra loro e richiedono da parte del legislatore o da parte delle pubbliche amministrazioni un bilanciamento e una composizione. L'ordinamento può graduare la rilevanza degli interessi pubblici. Nel contesto costituzionale attuale alla cura degli interessi pubblici, che di regola è affidata ad apparati pubblici, possono concorrere soggetti privati, in attuazione, come si vedrà, del principio di sussidiarietà verticale. Le funzioni: allorché istituisce un apparato amministrativo, la legge ne delinea anzitutto le funzioni correlate alle finalità di interesse pubblico. I fini pubblici concorrono a definire, con espressione atecnica, la «missione» affidata a un soggetto pubblico che consiste appunto nella cura di un determinato interesse pubblico individuato dalla legge. L'esigenza di tutelare un interesse pubblico si afferma via via nella coscienza sociale e ciò si traduce di regola, come si è già chiarito, in normative che prevedono anche l'istituzione di un apparato pubblico per lo svolgimento delle attività necessarie per curare tale interesse. Nel contesto che qui rileva, per funzioni amministrative si intendono i compiti che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo. L'apparato è tenuto a esercitarle per la cura in concreto dell'interesse pubblico. A tal fine la legge conferisce agli apparati amministrativi le risorse e i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità di questi ultimi tra gli organi che compongono l'apparato (competenze). Di regola le funzioni amministrative vengono individuate dalla legge in modo più o meno analitico o al momento dell'istituzione di un apparato amministrativo, o in sede di riassetto della legislazione di settore e degli apparati amministrativi. L'attività amministrativa: essa consiste appunto nell'insieme delle azioni e delle decisioni riconducibili a una pubblica amministrazione in relazione alle funzioni affidate ad essa da una legge. L'attività amministrativa è rivolta a uno scopo o fine pubblico, cioè alla cura di un interesse pubblico e, per questo, anch'essa è dotata del carattere della doverosità. Il mancato esercizio dell'attività può essere fonte di responsabilità. essa «persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza». Sotto il profilo giuridico, la nozione di attività amministrativa non coincide con quella di atto o provvedimento. Essa si riferisce all'operato complessivo delle singole amministrazioni, valutato in termini sia di legalità, sia soprattutto di efficienza, efficacia ed economicità. Una siffatta valutazione è effettuata da organi di controllo come soprattutto la Corte dei conti, preposta al controllo successivo sull'attività degli enti pubblici. La giurisprudenza tende a ritenere che un apparato pubblico svolge attività amministrativa «non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato». 16 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI IL POTERE, IL PROVVEDIMENTO, IL PROCEDIMENTO L'attività amministrativa può esprimersi, oltre che in azioni e comportamenti materiali, nell'adozione di atti o provvedimenti che sono la manifestazione concreta dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico. La legge individua in modo puntuale i poteri conferiti al singolo apparato. Il potere: la nozione di potere appartiene alla teoria generale e può riferirsi, oltre che al potere amministrativo, al potere legislativo, che consiste nel dettare norme generali e astratte che innovano l'ordinamento giuridico; al potere giurisdizionale, che consiste nel risolvere una controversia con una sentenza suscettibile di passare in giudicato; e, secondo alcune ricostruzioni, anche al potere negoziale, che consiste nella possibilità di disporre autonomamente dei propri interessi. I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si esprime nella possibilità di produrre, con una manifestazione di volontà unilaterale, effetti giuridici nella sfera dei destinatari. Essa si aggiunge, integrandola, alla capacità giuridica generale di diritto comune, intesa quest'ultima come attitudine ad assumere la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive previste dall'ordinamento, di cui essi, al pari delle persone giuridiche private, sono dotati. Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovraordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. Occorre distinguere tra potere in astratto e potere in concreto. La legge definisce gli elementi costitutivi di ciascun potere (potere in astratto). Ove l'amministrazione agisca in mancanza di una norma attributiva del potere, si configura un difetto assoluto di attribuzione che, come si vedrà, determina la nullità del provvedimento. Il potere in astratto ha il carattere dell'inesauribilità: fin tanto che resta in vigore la norma attributiva, esso si presta a essere esercitato in una serie indeterminata di situazioni concrete. Ogni qual volta poi si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, l'amministrazione è legittimata a esercitare il potere (potere in concreto o atto di esercizio del potere) e a provvedere così alla cura dell'interesse pubblico. Oltre che legittimata, in virtù del principio di doverosità che connota, come si è accennato, l'intera attività amministrativa, l'amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l'emanazione di un atto o provvedimento idoneo a incidere nella sfera giuridica del soggetto destinatario e a disciplinare il rapporto con l'amministrazione. Emerge così un elemento dinamico del potere, che dalla dimensione statica della norma si traduce in un atto concreto produttivo di effetti giuridici. L'atto e il provvedimento: nel diritto italiano manca una definizione legislativa di atto o provvedimento. [Nel nostro ordinamento l'atto amministrativo costituisce invece una nozione elaborata essenzialmente dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Alcune indicazioni si possono peraltro ricavare sia dalla Costituzione sia da alcune leggi generali. In particolare, l'art. 113 Cost. stabilisce che «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale»; la legge determina quali organi giurisdizionali abbiano il potere di «annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge». Queste disposizioni richiamano due aspetti del regime giuridico degli atti amministrativi: la loro sottoposizione necessaria a un controllo giurisdizionale operato dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario; la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche. 17 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI amministrativo su iniziativa del soggetto nella cui sfera giuridica l'atto impugnato ha prodotto l'effetto. Nel caso del potere amministrativo questo schema trova giustificazione nell'esigenza, ritenuta prevalente, di garantire la realizzazione immediata dell'interesse pubblico la cui cura è affidata all'amministrazione. Inoltre, poiché essa, in base alla l. n. 241/1990, è tenuta a ispirare la propria attività a criteri di correttezza, imparzialità e trasparenza e al principio di partecipazione, la posizione dei soggetti destinatari del provvedimento trova già una qualche tutela nella fase procedimentale, cioè prima che l'effetto giuridico si sia prodotto. Il potere amministrativo trova fondamento di retto nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere, piuttosto che nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si produce l'effetto, e senza che sussista, di regola, un rapporto giuridico preesistente tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione. In ogni caso, solo in senso figurato si può ritenere che la legge abbia un fondamento in ultima analisi consensuale, per il fatto cioè che, nei regimi parlamentari, essa è approvata dai rappresentanti degli elettori. [Per altro verso, il potere della pubblica amministrazione non è sempre integralmente vincolato. Anzi, di regola, la legge attribuisce all'amministrazione margini più o meno ampi di apprezzamento e valutazione discrezionale che, come si vedrà, possono determinare una modulazione del contenuto e degli effetti del provvedimento emanato. La disciplina degli interessi in conflitto non è posta, dunque, integralmente e direttamente dalla norma, ma quest'ultima rimette almeno una parte della determinazione dell'assetto finale degli interessi al soggetto titolare del potere. Ne consegue che in presenza di una contestazione relativa all'atto di esercizio del potere, il giudice potrà operare un sindacato pieno soltanto sugli aspetti vincolati del potere e non potrà sostituirsi al titolare del potere nell'operare la valutazione discrezionale. Accertato che il potere è stato esercitato in modo non corretto, esso dovrà limitarsi ad annullare il provvedimento rimettendo all'amministrazione il compito di emanare un nuovo atto, esente dai vizi riscontrati, che rinnovi la valutazione discrezionale. LA NORMA ATTRIBUTIVA DEL POTERE Le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di due tipi: norme di azione e norme di relazione. Le prime disciplinano il potere amministrativo nell'interesse esclusivo della pubblica amministrazione, hanno come scopo quello di assicurare che l'emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell'interesse dei soggetti privati. Esse seguono lo schema norma- fatto-potere-effetto, già esaminato. Le norme di relazione, invece, sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra l'amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di questi ultimi, definendo direttamente l'assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e pubblica amministrazione. Esse seguono l'altro schema norma-fatto-effetto, tipico, come si è visto, del diritto soggettivo. La norma di azione segna i limiti per così dire interni al potere volti a guidare l'attività dell'amministrazione, mentre la norma di relazione segna i limiti per così dire esterni al potere tracciando i confini tra la sfera giuridica dei soggetti privati rispetto a quella dell'amministrazione. Ne derivano, a cascata, una serie di conseguenze: sul piano delle situazioni giuridiche soggettive, la distinzione tra interesse legittimo, correlato alla prima, e diritto soggettivo, correlato alla seconda; sul piano delle qualificazioni giuridiche, l'applicazione della categoria dell'illegittimità (annullabilità) o della illiceità (nullità) agli atti che violano l'uno o l'altro tipo di norma; sul piano della giurisdizione, l'attribuzione delle controversie al giudice 20 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI amministrativo o al giudice ordinario e la definizione dei rispettivi poteri (annullamento o disapplicazione). Mentre il giudice ordinario è chiamato ad accertare la conformità o meno del fatto rispetto alla norma di relazione, il giudice amministrativo è chiamato ad accertare la conformità, non solo del fatto, ma anche e soprattutto dell'atto rispetto alla norma di azione. In attuazione del principio di legalità che, come si è già sottolineato, costituisce il principio cardine nella teoria dell'atto e del procedimento amministrativo, la norma attributiva del potere individua, in termini astratti, gli elementi caratterizzanti il particolare potere (potere in astratto) attribuito a un apparato pubblico: il soggetto competente; il fine pubblico; i presupposti e i requisiti; le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma; gli effetti giuridici. Quanto al soggetto competente, ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico dalla norma alla titolarità di uno e un solo soggetto e, ove l'organizzazione di questo prevede una pluralità di organi, a uno e un solo organo. L'atto emanato da un soggetto o organo diverso da quello previsto è affetto, come si vedrà, da vizio di incompetenza. Il fine pubblico, correlato a quello che viene definito come l'interesse pubblico primario affidato alla cura dell'apparato amministrativo titolare del potere, costituisce un elemento specificato in modo espresso dalla norma di conferimento del potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina la particolare materia. L'amministrazione non è dunque libera di esercitare il potere per il perseguimento di qualsivoglia finalità autodeterminata. Il fine pubblico è invece eteroimposto dalla norma e orienta le scelte effettuate in concreto dall'amministrazione. La violazione del vincolo del fine, cioè il perseguimento da parte del provvedimento emanato di un fine (pubblico o privato) diverso da quello previsto dalla norma, configura un vizio di eccesso di potere per sviamento. Un terzo elemento consiste nei presupposti e requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato. La loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l'esercizio legittimo del potere. la seconda delle espressioni linguistiche utilizzate, il potere può risultare più o meno ampiamente vincolato o, per converso, più o meno ampiamente discrezionale. Ciò lungo una linea continua delimitata da due estremi. Al primo estremo si collocano i poteri integralmente vincolati. In relazione ad essi l'amministrazione non ha altro compito se non quello di verificare, in modo quasi meccanico, se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati in modo univoco ed esaustivo dalla norma attributiva e, nel caso positivo, di emanare il provvedimento che produce gli effetti anch'essi rigidamente predeterminati dalla norma. Gli atti emanati nell'esercizio di poteri integralmente vincolati, sarebbero inidonei, quindi, a produrre effetti auto-nomi, cioè che non siano già prodotti direttamente dalla norma applicata al fatto concreto. Al secondo estremo si pongono i poteri sostanzialmente «in bianco» che rimettono al soggetto titolare del potere spazi molto ampi di apprezza-mento, di valutazione delle fattispecie concrete e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un determinato interesse pubblico. La discrezionalità emerge allorché la norma autorizza ma non obbliga l'amministrazione a emanare un certo provvedimento. Ciò accade anzitutto quando il legislatore prevede che l'amministrazione «può» oppure «ha la facoltà di» emanare un determinato atto; oppure usa aggettivi come «opportuno», «indispensabile», «conveniente» riferiti a una misura o al contenuto di un provvedimento, rinviando così a valutazioni necessariamente soggettive dell'interesse pubblico. In generale, gli spazi di valutazione dei fatti costitutivi del potere sono tanto più ampi quanto più la norma fa ricorso ai cosiddetti «concetti giuridici indeterminati» espressione ripresa anche dalla giurisprudenza. La norma definisce cioè i presupposti e i requisiti con formule linguistiche 21 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI tali da non consentire di accertare in modo univoco il loro verificarsi in concreto. II concetti giuridici indeterminati possono essere di due tipi: i concetti empirici o descrittivi, che si riferiscono al modo di essere di una situazione di fatto; i concetti normativi o di valore, che contengono un elemento di soggettività. I primi involgono giudizi a carattere tecnico-scientifico e coprono, come si vedrà, l'area delle valutazioni tecniche; i secondi involgono giudizi di valore e coprono, come si vedrà, l'area della discrezionalità amministrativa. Con riguardo ai primi l'indeterminatezza rende problematica la sussunzione della fattispecie concreta nel parametro normativo; con riguardo ai secondi è, a monte, la stessa interpretazione del parametro normativo a presentare margini di opinabilità elevati essendo legata inevitabilmente ai valori e alla sensibilità soggettiva dell'interprete. In generale, si ritiene che i concetti giuridici indeterminati presentino un «nocciolo» di certezza, che include i casi che, secondo ragione e l'apprezzamento comune, rientrano o meno nel parametro normativo, e un «alone» di incertezza, con riferimento alle situazioni limite nelle quali la sussunzione del caso concreto nel parametro normativo è incerta e opinabile. Sorge così il problema di chi abbia il «diritto di ultima decisione», e cioè fino a che punto le valutazioni compiute dall'amministrazione in sede di interpretazione e di applicazione dei concetti giuridici indeterminati possano essere sindacate dal giudice. Non è infatti scontato, come si vedrà, quanto «deferente» deve essere l'atteggiamento di quest'ultimo rispetto alla prima ove si rientri nell'alone di incertezza o del «dubbio possibile». La tecnica normativa dei concetti giuridici indeterminati, nei limiti in cui concedono all'amministrazione spazi di valutazione e di decisione non sindacabili, comporta una caduta del valore della legalità sostanziale. Invero, in un mondo ideale che realizzi al massimo grado lo Stato di diritto, i poteri amministrativi dovrebbero essere integralmente vincolati. La norma attributiva del potere prescrive anche i requisiti formali degli atti (di regola la forma scritta) e le modalità di esercizio del potere, indicando la sequenza degli atti e degli adempimenti necessari per l'emanazione del provvedimento finale che danno origine, come si è già accennato, al procedimento amministrativo. La struttura del procedimento è individuata, attraverso sequenze più o meno complesse e articolate di atti e di adempimenti, nelle singole leggi amministrative di settore e nelle normative attuative, integrate con i principi generali posti dalla l. n. 241/1990. Ai sensi dell'art. 21-octies l. n. 241/1990, la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non determina in modo automatico l'annullabilità del provvedimento. La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l'elemento temporale dell'esercizio del potere e ciò sotto più profili. Può in primo luogo individuare un termine per l'avvio dei procedimenti d'ufficio, In secondo luogo deve specificare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il procedimento, l'amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo. L'art. 2 l. n. 241/1990 pone un sistema di regole completo volto a stabilire per tutti i tipi di procedimenti il termine in questione. In terzo luogo, le leggi amministrative scandiscono talora anche i tempi per l'adozione degli atti endoprocedimentali. Infine la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti giuridici prodotti dall'atto amministrativo emanato all'esito del procedimento. Più in generale, i provvedimenti in quanto manifestazione del potere hanno l'attitudine a produrre effetti costitutivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. Di rado invece la norma attributiva del potere menziona tutti gli interessi privati qualificabili come interessi legittimi, rendendo così talora incerta, come si vedrà, la distinzione con gli interessi di fatto. 22 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI riferimento e nel bando. I criteri così stabiliti vincolano l'attività dell'amministrazione e la violazione dei medesimi è sindacabile da parte del giudice amministrativo in modo non dissimile dalla violazione di norme giuridiche in senso proprio. L'autovincolo alla discrezionalità costituisce in definitiva un tentativo di recuperare in parte, sia pure in via sublegislativa, le esigenze sottese alla legalità sostanziale sacrificate attraverso la tecnica del conferimento di poteri discrezionali. Il merito amministrativo: il merito ha infatti una dimensione essenzialmente negativa e residuale: esso si riferisce all'eventuale ambito di valutazione e di scelta spettante all'amministrazione che si pone al di là dei limiti coperti dall'area della legalità. Se il potere è integralmente vincolato, lo spazio del merito risulta nullo. ¡Il merito connota, in definitiva, l'attività dell'amministrazione da considerare essenzialmente libera. La scelta tra una pluralità di soluzioni tutte legittime. Può essere apprezzata cioè solo in termini di opportunità o inopportunità. Essa è insindacabile nell'ambito del giudizio di legittimità nel senso che il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'amministrazione. In relazione al merito la giurisprudenza riconosce in definitiva una «riserva di amministrazione». La distinzione tra legittimità e merito rileva in più contesti. II primo è quello dei controlli amministrativi. Questi ultimi si articola-no, come si vedrà, in controlli di legittimità e di merito, i primi finalizzati eventualmente ad annullare gli atti amministrativi illegittimi, i secondi a modificare o sostituire l'atto oggetto del controllo. In secondo luogo, il Codice del processo amministrativo distingue la giurisdizione di legittimità, che è quella di cui è investito in via ordinaria il giudice amministrativo, dalla giurisdizione «con cognizione estesa al merito», nell'esercizio della quale «il giudice amministrativo può sostituirsi all'amministrazione». Il giudice amministrativo può cioè rivalutare le scelte discrezionali dell'amministrazione e sostituire la propria valutazione. In terzo luogo, i confini tra legittimità e merito rilevano anche in materia di responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici in relazione al cosiddetto danno erariale provocato all'amministrazione che rientra nella giurisdizione della Corte dei conti. La legge 14 gennaio 1994, n. 20 stabilisce che la responsabilità del funzionario possa sorgere per atti o omissioni commessi con dolo o colpa grave, ma prevede l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali» (art. 1, comma 1) da parte della Corte dei conti. Le valutazioni tecniche: la discrezionalità amministrativa va distinta dalle valutazioni tecniche. Queste ultime si riferiscono al caso in cui la norma attributiva del potere, nell'utilizzare concetti giuridici indeterminati di tipo empirico, rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità. Nell'epoca attuale (nella cosiddetta società del rischio) questo genere di giudizi è sempre più frequente. [Mentre la discrezionalità amministrativa attiene al piano della valutazione e comparazione degli interessi, le valutazioni tecniche attengono al piano dell'accertamento e della qualificazione di fatti alla luce di criteri tecnico-scientifici. A proposito delle valutazioni tecniche è ancora oggi in uso l'espressione «discrezionalità tecnica», che è in realtà impropria perché nella discrezionalità tecnica manca l'elemento volitivo che connota invece, come si è visto, la discrezionalità amministrativa. Il Codice del processo amministrativo ricorre più correttamente alla formula «valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche». La valutazione del giudice è necessariamente altrettanto opinabile rispetto a quella dell'amministrazione e dunque non ci sarebbe ragione per preferirla. Pertanto, il giudice può soltanto ripercorrere dall'esterno l'attività valutativa per verificare se essa è affetta da vizi logici, incongruenze o da altre carenze utilizzando le tecniche di rilevamento dell'eccesso di potere. In caso di 25 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI valutazioni tecniche che presentano un oggettivo margine di opinabilità, il giudice può soltanto accertare che il provvedimento non abbia esorbitato da esso. L’«attendibilità» non coincide necessariamente con la «condivisibilità», nel senso che il giudice potrebbe ben ritenere una valutazione tecnica come attendibile, cioè formulata sulla base di argomentazioni logiche e tecniche ben strutturate, e dunque legittima, pur non condividendola personalmente. Nel sindacare le valutazioni tecniche il giudice amministrativo è agevolato dal fatto di poter ricorrere allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio, nominando un esperto il quale, in contraddittorio con i consulenti delle parti, fornisce una risposta a quesiti su questioni tecniche posti dal giudice. Secondo un filone giurisprudenziale recente, il giudice non deve limitarsi a sindacare l'attendibilità in sé della valutazione operata dall'amministrazione, ma può apprezzare la maggiore o minore attendibilità di tale valutazione rispetto a quella operata dalle parti del giudizio e dal consulente. La valutazione tecnica può essere dunque sindacata solo se non è stata effettuata in base a presupposti, metodi e procedimenti obiettivi, se non abbia accertato in modo pertinente e completo tutti i fatti rilevanti, o se siano stati commessi altri errori. Valutazioni tecniche ed esercizio della discrezionalità amministrativa, proprio perché riguardano momenti logici diversi, possono coesistere in una stessa fattispecie. Al riguardo si usa talora l'espressione «discrezionalità mista». Le valutazioni tecniche vanno distinte, oltre che dalla discrezionalità amministrativa, anche dai meri accertamenti tecnici. Questi ultimi riguardano fatti la cui esistenza o inesistenza è verificabile in modo univoco, sia pure con l'impiego di strumenti tecnici. L’INTERESSE LEGITTIMO Questa situazione giuridica soggettiva costituisce una delle principali specificità del nostro sistema giuridico, non essendo emersa in nessun altro ordinamento. Al pari del diritto soggettivo, l'interesse legittimo trova un riconoscimento costituzionale nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale (artt. 24, 103 e 113 Cost.) ed è dunque una situazione giuridica soggettiva dalla quale, nonostante tutte le critiche, non si può prescindere. La distinzione tra le due categorie di situazioni giuridiche è assurta a criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, il primo investito della giurisdizione sui diritti soggettivi. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione del 22 luglio 1999, n. 500, ha aperto la strada alla risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. La Corte costituzionale, infatti, in una sentenza che può essere considerata come la pronuncia più importante in materia di assetto della giustizia amministrativa (sentenza 6 luglio 2004, n. 204) ha ribadito che la giurisdizione amministrativa ha per oggetto gli interessi legittimi. L’origine della legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, che mirava a integrare la legge del 1865 introducendo un nuovo rimedio per tutelare tutte le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo. La IV Sezione venne dunque investita del potere di decidere sui ricorsi contro gli atti o provvedimenti illegittimi aventi per oggetto «un interesse d'individui o di enti morali giuridici». La giurisprudenza e la dottrina si dovettero confrontare subito con il problema di riempire di contenuto la formula generica di «interesse», posta dal legislatore come requisito per poter proporre il ricorso alla IV Sezione e ottenere l'annullamento del provvedimento. In buona sostanza, con una singolare inversione 26 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI logica, la previsione di una nuova forma di tutela processuale precedette storicamente l'individuazione di una situazione giuridica soggettiva in relazione alla quale la tutela poteva essere accordata. Il diritto fatto valere come interesse: dalla giurisprudenza, che invece ancorò il riparto di giurisdizione al criterio più oggettivo della causa petendi, cioè della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio. L'interesse legittimo come interesse di mero fatto: l'interesse legittimo fu cioè considerato come un interesse di mero fatto, collegato alla norma d'azione volta a tutelare in modo esclusivo l'interesse pubblico. Il diritto alla legittimità degli atti: secondo un'altra visione risalente, l'interesse legittimo doveva essere qualificato come un «diritto alla legittimità degli atti della funzione governativa», cioè un diritto soggettivo avente per oggetto esclusivamente la pretesa formale a che l'azione amministrativa sia conforme alle norme che regolano il potere esercitato. In realtà, la legittimità dell'azione amministrativa non sembra costituire di per sé un «bene della vita» suscettibile di essere oggetto di una situazione giuridica di diritto soggettivo. Il diritto affievolito: teoria della «degradazione» o dell'«affievolimento» del diritto soggettivo. Essa considera l'interesse legittimo come un «diritto affievolito», cioè come la risultante dell'atto di esercizio del potere amministrativo che incide su un diritto soggettivo. Il provvedimento autoritativo (o imperativo), ancorché illegittimo, è idoneo a intaccare (appunto a «degradare») il diritto soggettivo trasformandolo in interesse legittimo. L'interesse occasionalmente protetto: altre ricostruzioni tradizionali dell'interesse legittimo sottolineano il fatto che l'interesse privato è posto in una posizione subalterna e ancillare rispetto all'interesse pubblico. Solo in presenza di un diritto soggettivo, infatti, l'interesse del privato correlato a un bene della vita è oggetto di una tutela diretta e immediata da parte dell'ordinamento. Le norme che disciplinano il potere hanno come scopo primario la tutela dell'interesse pubblico e il soggetto privato può trovare in esse una qualche protezione solo in via riflessa e indiretta. L'interesse legittimo si distingue dunque dal diritto soggettivo proprio per il fatto che l'acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela appunto in modo diretto solo l'interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo, senza che peraltro sussista alcuna garanzia in ordine alla sua acquisizione o conservazione. La presenza di un ambito di discrezionalità esclude infatti che il soggetto titolare sia in grado di prevedere ex ante l'assetto finale degli interessi posto dal provvedimento emanato. [L'interesse legittimo fonda, dunque, in capo al suo titolare soltanto la pretesa a che l'amministrazione eserciti il potere in modo legittimo, cioè in conformità con la norma d'azione. Il titolare dell'interesse legittimo può cercare di influenzare l'esercizio del potere in senso a sé più favorevole attraverso la partecipazione al procedimento, fornendo elementi che possono orientare in tal senso la valutazione discrezionale. La norma attributiva del potere offre in definitiva al titolare dell'interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l'esercizio del potere, anziché finale, come accade invece per il diritto soggettivo, nel quale la norma attribuisce al suo titolare in modo diretto un certo bene della vita o utilità. Ove il potere sia stato esercitato in modo non conforme alla norma attributiva del potere, il titolare dell'interesse legittimo può proporre ricorso al giudice amministrativo al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento lesivo. Le ricostruzioni più recenti dell'interesse legittimo: che la Costituzione attribuisce ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi una pari dignità e che pertanto a entrambi l'ordinamento deve assicurare una tutela piena ed effettiva (art. 24). L'interesse legittimo ha acquisito una valenza sostanziale una volta che è stata aperta la strada della sua risarcibilità ad opera della 27 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI l'emanazione, rebus sic stantibus, di un nuovo provvedimento sostitutivo di quello annullato produttivo dei medesimi effetti, l'interesse legittimo oppositivo esce dalla vicenda procedimentale e processuale addirittura rafforzato. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è legato invece all'interesse all'acquisizione del bene della vita. Infatti non determinano in via immediata l'acquisizione del bene della vita in capo al titolare dell'interesse legittimo che richiede invece l'adozione da parte dell'amministrazione del provvedimento. Solo una sentenza che accerti la spettanza del bene della vita e che condanni l'amministrazione a emanare il provvedimento richiesto risulta pienamente satisfattiva. Prevista dal Codice del processo amministrativo. Anche la tutela risarcitoria, che può essere attivata per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica, [si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi. Con riferimento agli interessi legittimi oppositivi essa ha per oggetto i danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecu-zione. La sentenza di annullamento con efficacia retroattiva, infatti, pur eliminando l'atto e i suoi effetti, non pone rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi la tutela risarcitoria ha per oggetto i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l'amministrazione sia rimasta inerte. La sentenza che accoglie l'azione di adempimento, condannando l'amministrazione a emanare il provvedimento richiesto, non riesce infatti a porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno. Vi sono poi i provvedimenti «a doppio effetto», essi producono un effetto ampliativo e un effetto restrittivo nella sfera giuridica di due soggetti distinti e che danno origine a un rapporto giuridico trilaterale. I CRITERI DI DISTINZIONE TRA DIRITTI SOGGETTIVI ED INTERESSI LEGITTIMI La dottrina e la giurisprudenza, investita di questioni attinenti al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, hanno individuato alcuni criteri interpretativi. 1. Un primo criterio si incentra sulla struttura della norma attributiva del potere. Ricorre ancora nella giurisprudenza la distinzione tradizionale, già esaminata in senso critico, tra norma di relazione e norma d'azione: la prima volta a regolare il rapporto giuridico tra pubblica amministrazione e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche e alla quale è correlato il diritto soggettivo; la seconda, volta a disciplinare l'attività dell'amministrazione ai fini di tutela dell'interesse pubblico e alla quale è correlato l'interesse legittimo. Nella prima la produzione dell'effetto giuridico avviene, come si è visto, in modo automatico sulla base dello schema norma-fatto-effetto. L'eventuale atto dell'amministrazione che accerta il prodursi dell'effetto giuridico e dei diritti e degli obblighi posti in capo alle parti ha un carattere meramente ricognitivo. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione va qualificato come illecito e lesivo del diritto soggettivo. L'accertamento della illiceità spetta, di regola, al giudice ordinario. Nella norma di azione la produzione dell'effetto giuridico avviene secondo lo schema norma-fatto-potere-effetto. Il provvedimento emanato dall'amministrazione ha un carattere costitutivo dell'effetto giuridico nella sfera giuridica del destinatario. Il provvedimento assunto in violazione della norma di azione va qualificato, come si vedrà 30 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI trattando dei vizi dell'atto amministrativo, come illegittimo e lesivo di un interesse legittimo. L'annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al giudice amministrativo. 2. Un secondo criterio consiste nella distinzione tra potere discrezionale e vincolato. In presenza di un potere discrezionale la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre ed esclusivamente l'interesse legittimo. Di fronte al potere discrezionale il soggetto privato non è in grado di prevedere con certezza se la sua pretesa verrà soddisfatta dall'amministrazione all'esito del procedimento. Nel caso in cui il potere sia vincolato, il soggetto privato, valutando autonomamente la situazione concreta in cui egli si trova, è in grado di prevedere con certezza se l'amministra-zione, ove agisca in modo conforme alle norme applicabili, riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. Il cosiddetto «giudizio di spettanza» ha cioè un carattere univoco, ove la situazione di fatto e di diritto venga ricostruita in modo corretto dall'amministrazione. In definitiva, il criterio offre una soluzione certa solo quando il potere ha natura discrezionale, che esclude in radice la possibilità di qualificare come diritto soggettivo la situazione giuridica correlata. , 3. Un terzo criterio tradizionale introdotto dalla Corte di cassazione si fonda sulla diversa natura del vizio dedotto dal soggetto privato nei confronti dell'atto emanato. Ove venga contestata la cosiddetta carenza di potere, cioè l'assenza di un fondamento legislativo del potere o una deviazione abnorme dallo schema normativo, l'atto emanato è in realtà una parvenza di provvedimento, inidoneo a produrre l'effetto tipico nella sfera giuridica del destinatario. La situazione giuridica soggettiva di cui quest'ultimo è titolare, e in particolare il diritto soggettivo, resiste, per così dire, di fronte al potere e non subisce alcun «affievolimento» tramutandosi in un interesse legittimo. Ove invece il soggetto privato lamenti il cattivo esercizio del potere, senza però contestarne in radice l'esistenza, deducendo un vizio di legittimità del provvedimento, la situazione giuridica fatta valere nei confronti dell'amministrazione ha la consistenza di un interesse legittimo. La carenza di potere in concreto si verifica nei casi in cui la norma in astratto attribuisce il potere all'amministrazione, ma manca nella fattispecie concreta un presupposto essenziale per poterlo esercitare. L'art. 21-septies l. n. 241/1990 elenca le ipotesi tassative di nullità, tra le quali figura anche il difetto assoluto di attribuzione che coincide con la carenza di potere in astratto. Di conseguenza, per implicazione negativa, la carenza di potere in concreto sarebbe inquadrabile nella categoria generale della violazione di legge e determinerebbe ormai, com'è già affermato da un indirizzo giurisprudenziale e dottrinale, soltanto l'annullabilità del provvedimento emanato. La nullità di un provvedimento sembra atteggiarsi in modo diverso a seconda che il potere miri a restringere o ad ampliare la sfera giuridica del destinatario. Nel primo caso, la nullità priva il provvedimento della sua forza imperativa e pertanto della sua idoneità a incidere sulle situazioni di diritto soggettivo di cui è titolare il privato, le quali, dunque, non subiscono alcun affievolimento. Nel secondo caso, il provvedimento di diniego, affetto vuoi da un vizio che comporti la nullità, vuoi da un vizio che comporti l'annullabilità, lascia comunque insoddisfatta la pretesa del soggetto privato e non sembra influire sulla configurazione della situazione giuridica soggettiva di base di cui quest'ultimo è titolare. 31 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI IL «DIRITTO» DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI Il diritto di accesso ai documenti amministrativi che costituisce uno degli strumenti principali volti ad accrescere la trasparenza dell'attività amministrativa e promuovere l'imparzialità. L'accesso ai documenti amministrativi consiste nel «diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi». Esso è incluso dalla l. n. 241/1990 tra i livelli essenziali delle prestazioni ai quali fa riferimento l'art. 117 Cost. e rientra dunque nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. È inoltre definito come «principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza». Si distingue anzitutto tra accesso procedimentale e non procedimentale. Quanto al primo, il diritto di accesso rientra, come si vedrà, tra quelli attribuiti ai soggetti che partecipano a un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire ad essi di tutelare meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e documenti acquisiti al fascicolo. Si instaura così un legame funzionale tra principio di trasparenza (accesso ai documenti) e diritto di partecipazione, che ne esce così rafforzato (partecipazione informata). Quanto al secondo, il diritto di accesso può essere esercitato in via autonoma da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una pubblica amministrazione (accesso non procedimentale) Ad esso la l. n. 241/1990 dedica l'intero Capo V. In entrambe le fattispecie la l. n. 241/1990 sembra costruire il diritto di accesso secondo lo schema del diritto soggettivo. In particolare con riguardo all'accesso non procedimentale, esso sorge quando il soggetto che richiede l'accesso dimostri «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso». Non basta la semplice curiosità. È necessario invece che la richiesta di accesso abbia alla base un interesse in qualche modo differenziato e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante. [Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l'amministrazione deve dunque compiere una duplice operazione. Deve anzitutto comparare l'interesse all'accesso e il contrapposto interesse alla riservatezza di terzi oltreché se l'accesso ha il carattere della «necessarietà», poiché la l. n. 241/1990 prescrive che deve essere comunque garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti «la cui conoscenza sia necessaria per curare e difendere i propri interessi giuridici». Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Sembra però prevalere l'interpretazione che non si tratti di un diritto soggettivo in senso proprio, ma che l'accesso vada inquadrato, al di là del nomen utilizzato dalla legge, nella categoria dell'interesse legittimo. Da ciò è stata tratta la conseguenza che il diniego di accesso costituisce un provvedimento in senso proprio impugnabile nel termine di decadenza di 30 giorni, piuttosto che nel termine più lungo di prescrizione applicabile in via ordinaria ai diritti soggettivi. Accanto a questa forma di accesso introdotta dalla l. n. 241/1990, sono state aggiunte via via altre fattispecie di accesso qualificabili invece in termini di diritto soggettivo in senso proprio. Anzitutto, in materia di tutela dell'ambiente, l'accesso alle informazioni è consentito a chiunque ne faccia richiesta senza necessità di dichiarare un proprio interesse. L'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 prevede due ipotesi. La prima ipotesi (accesso cosiddetto semplice) riguarda le informazioni e i dati che le amministrazioni hanno l'obbligo di pubblicare sui propri siti o con altre modalità. Se questo adempimento non è stato effettuato, chiunque può richiedere l'accesso. La seconda ipotesi (accesso cosiddetto generalizzato) tende a «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e 32 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI funzioni, N.d.A.]», e il principio di differenziazione, che mira a tener conto «delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi». La l. n. 59/1997 menziona altresì i principi di efficienza e di economicità, di responsabilità e unicità dell'amministrazione, di omogeneità, di copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l'esercizio delle funzioni, di autonomia organizzativa e regolamentare. La Costituzione richiama anche la cosiddetta sussidiarietà orizzontale, che serve invece a definire i rapporti tra poteri pubblici e società civile. L'art. 118, comma 4, stabilisce, infatti, che lo Stato e gli enti territoriali «favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Questa disposizione ha il valore simbolico, da un lato, di escludere che i poteri pubblici detengano il monopolio nella cura degli interessi della collettività, e, dall'altro, di valorizzare le forme di autorganizzazione della società civile. Sul piano logico la dimensione orizzontale della sussidiarietà precede quella verticale. Per quanto concerne il principio di proporzionalità è necessario valutare se «l'obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva». I principi sull'attività: secondo l'art. 1 l. n. 241/1990 «l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza nonché dai principi dell'ordinamento comunitario». Tali criteri o principi, sebbene riferiti testualmente all'attività, possono valere in realtà anche per l'atto e il procedimento amministrativo. La nozione di «amministrazione di risultato» che si aggancia al principio più tradizionale di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Si tratta di una nozione dai contorni sfumati che, però, tende a mettere in luce come nell'attuale fase evolutiva dell'ordinamento sia cresciuta l'attenzione nei confronti dell'efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa. L'amministrazione di risultato richiama la nozione di performance degli apparati amministrativi. il legislatore ha disciplinato il cosiddetto «ciclo delle performance» che si applica agli apparati amministrativi nel loro complesso. Le fasi del ciclo delle performance sono principalmente le seguenti: la definizione di obiettivi, l'allocazione delle risorse, il monitoraggio in corso di esercizio, la misurazione e valutazione della performance organizzativa e dei singoli dipendenti, l'utilizzo di sistemi premianti. La performance organizzativa si riferisce, in particolare, al grado di soddisfazione dei cittadini e degli utenti, all'efficienza nell'impiego delle risorse, alla quantità e qualità dei servizi erogati (art. 8). Ad essa si collega poi la performance individuale dei dipendenti pubblici. Più precisamente, secondo le scienze aziendali, il principio di efficienza, richiamato dall'art. 1 l. n. 241/1990 attraverso il riferimento all'economicità, mette in rapporto la quantità di risorse impiegate con il risultato dell'azione amministrativa e focalizza l'attenzione sull'uso ottimale dei fattori produttivi. È efficiente l'attività amministrativa che raggiunge un certo livello di performance utilizzando in maniera oculata le risorse disponibili e scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impiego di mezzi. Il principio di efficacia misura invece i risultati effettivamente ottenuti rispetto agli obiettivi prefissati. I due principi operano in modo indipendente. L'economicità si riferisce alla capacità di lungo periodo di un'organizzazione di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi e, in qualche modo, condensa gli altri due principi. Il principio di pubblicità e di trasparenza è enunciato a livello europeo. Infatti, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea precisa che «Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione operano nel modo più trasparente 35 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI possibile». Il principio di pubblicità e trasparenza rileva principalmente in due ambiti. Il primo ambito si riferisce all'organizzazione e all'attività della pubblica amministrazione che è tenuta a mettere a disposizione della generalità degli interessati, con modalità di pubblicazione predeterminate da parte dell'amministrazione, un'ampia serie di informazioni. La normativa anticorruzione enuncia il principio generale di trasparenza «intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche». Come specificazione del principio di trasparenza, il d.lgs. n. 33/2013 prevede obblighi di pubblicità per un'amplissima serie di informazioni relative ai dati patrimoniali di chi ricopre cariche elettive e incarichi in enti pubblici e società pubbliche, agli incarichi di consulenza esterna, etc. ¡Il secondo ambito, più specifico, si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi che, come si è già visto, la l. n. 241/1990 definisce «principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza». Il diritto di accesso è stato ampliato, come si è visto, con l'introduzione dell'accesso civico. È stata anche prevista, sotto il profilo organizzativo, la nomina all'interno di ogni pubblica amministrazione di un responsabile per la trasparenza. Quest'ultimo deve monitorare il rispetto degli obblighi di pubblicazione segnalando le inadempienze all'organo di indirizzo politico, all'organismo indipendente di valutazione e all'Autorità nazionale anticorruzione. La pubblicità e la trasparenza così intese si ricollegano alla concezione dell'amministrazione come «casa di vetro», e sono un fattore volto a promuovere la verificabilità ex post dell'attività e dunque, in de-finitiva, l'imparzialità anche in funzione di prevenzione della corruzione. II principi sull'esercizio del potere discrezionale: i principi che presiedono all'esercizio del potere discrezionale sono essenzialmente il principio di imparzialità, di proporzionalità, di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento, di precauzione. Il principio di imparzialità è richiamato dall'art. 97 Cost. Riferito all'esercizio della discrezionalità, esso consiste essenzialmente nel «divieto di favoritismi». Il principio di imparzialità così inteso, è posto a garanzia della parità di trattamento (par condicio) e, in definitiva, dell'uguaglianza dei cittadini di fronte all'amministrazione. Il principio di imparzialità impone alle amministrazioni un vincolo giuridico che è assente nel caso dell'agire dei soggetti privati. Un secondo principio che presiede all'esercizio della discrezionalità è il principio di proporzionalità. Il principio di proporzionalità richiede all'amministrazione di applicare in sequenza tre criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza della misura prescelta. L'idoneità mette in relazione il mezzo adoperato con l'obiettivo da perseguire. In base a tale criterio vanno scartate tutte le misure che non sono in grado di raggiungere il fine. La necessarietà, detta anche la «regola del mezzo più mite», mette a confronto le misure ritenute idonee e orienta la scelta su quella che comporta il minor sacrificio possibile degli interessi incisi dal provvedimento. L'adeguatezza consiste nella valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario del provvedimento: gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti e se essi superano un determinato livello va rimessa in discussione la scelta medesima. In definitiva, per riprendere una nota immagine, la proporzionalità consiste «nell'accertare se per sparare ai passeri si è impiegato un cannone». Il principio di proporzionalità costituisce una specificazione di un principio ancora più generale, di natura in realtà pregiuridica, costituito dal principio di ragionevolezza. Un altro principio che presiede all'esercizio della discrezionalità, è il principio del legittimo affidamento. 36 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI Esso mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla pubblica amministrazione con un suo atto o comportamento. Tale principio ha come destinatario anzitutto il legislatore (non retroattività, stabilità e coerenza delle norme), ma implica che anche l'agire dell'amministrazione deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. Va menzionato, da ultimo, il principio di precauzione, enunciato in materia ambientale nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ed elevato dalla giurisprudenza comunitaria a principio di carattere generale applicabile nei campi di azione che involgono interessi pubblici come la salute e la sicurezza dei consumatori. Il principio di precauzione comporta che, quando sussistono incertezze in ordine all'esistenza o al livello di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. Il principio di precauzione costituisce soprattutto un principio guida per il legislatore. I principi sul provvedimento: i principi che si riferiscono specificamente al provvedimento amministrativo, in aggiunta al principio di legalità sono il principio della motivazione e il principio di sindacabilità degli atti. Il primo è desumibile dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea laddove sancisce «l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni» e, come si vedrà, dalla l. n. 241/1990. Secondo la giurisprudenza amministrativa e costituzionale, l'obbligo di motivazione è «il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo e, per questo, un presidio di legalità sostanziale». Poiché attraverso la motivazione il destinatario del provvedimento e il giudice amministrativo sono messi in grado di ricostruire le ragioni poste a fondamento della decisione, il principio della motivazione può essere messo in relazione con il principio di trasparenza e, in ultima analisi, con quello dell'imparzialità della decisione. Il principio di sindacabilità degli atti amministrativi è sancito dagli artt. 24 e 113 Cost.: gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice amministrativo. I principi sul procedimento: i principi relativi al procedimento amministrativo sono il principio del contraddittorio, il principio di certezza dei tempi, il principio di efficienza, il principio di correttezza e buona fede. Il principio del contraddittorio è richiamato nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea secondo la quale ogni individuo ha diritto «di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio». Esso è stato poi sviluppato nella l. n. 241/1990, che disciplina la partecipazione al procedimento amministrativo. La Corte di giustizia dell'Unione europea lo ha qualificato come «principio di diritto amministrativo ammesso in tutti gli Stati membri della Comunità e che risponde alle esigenze della giustizia e della sana amministrazione». Un altro principio è costituito dal principio di certezza del tempo dell'agire amministrativo e di celerità. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea attribuisce a ogni individuo anche il diritto a «che le questioni che lo riguardano siano trattate [...] entro un termine ragionevole». La l. n. 241/1990 lo rende concreto nella disciplina volta a individuare per ciascun tipo di procedimento un termine massimo entro il quale l'amministrazione deve emanare il provvedimento finale che conclude il procedimento amministrativo. La durata ragionevole del procedimento e il rispetto dei termini massimi perseguono due obiettivi. In primo luogo, tutelano gli interessi dei soggetti coinvolti. In secondo luogo, tendono a promuovere l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa. La l. n. 241/1990 richiama anche il principio di efficienza, prevedendo, in particolare, che l'amministrazione «non può aggravare il procedimento se 37 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI di imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi è attribuito all'amministrazione solo «nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge». In relazione agli obblighi nascenti da un provvedimento amministrativo, quest'ultimo deve indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, l'esecuzione coattiva può avvenire solo previa adozione di un atto di diffida con il quale l'amministrazione intima al privato di porre in essere le attività esecutive già indicate nell'at-to, concedendo così al privato un'ultima chance. L'esecutorietà dà dunque luogo a un procedimento d'ufficio in contraddittorio con il soggetto privato. Il comma 2, infine, menziona l'esecuzione delle obbligazioni aventi a oggetto somme di danaro, precisando che ad esse si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato. L'esecutorietà presuppone che il provvedimento emanato sia efficace ed esecutivo. La l. n. 241/1990 dedica due articoli all'efficacia e all'esecutività (o forse, più correttamente, eseguibilità) del provvedimento. Secondo l'art. 21-bis il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario e ha dunque natura di atto recettizio. Sono peraltro esclusi dall'obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi carattere «cautelare e urgente» che sono immediatamente efficaci. I provvedimenti limitativi non aventi carattere sanzionatorio possono contenere una clausola motivata di immediata efficacia. L'art. 21-bis detta alcune disposizioni minute sulla modalità da seguire per la comunicazione del provvedimento. L'esecutività è disciplinata dall'art. 21- quater, secondo il quale i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento. All'efficacia del provvedimento consegue dunque la necessità che esso, in linea di principio, venga portato subito a esecuzione, a seconda dei casi, dalla stessa amministrazione che ha emanato l'atto o dal destinatario del medesimo, là dove il provvedimento faccia sorgere in capo a quest'ultimo un obbligo di dare o di fare. In realtà, non tutti i provvedimenti pongono un problema di esecutività (o eseguibilità). Spesso infatti la produzione dell'effetto giuridico realizza di per sé l'interesse pubblico alla cui cura è finalizzato il provvedimento emanato, senza bisogno di ulteriori attività di tipo esecutivo. In base all'art. 21-quater l'esecuzione del provvedimento può essere differita o sospesa discrezionalmente dall'amministrazione. Nel complesso, le disposizioni in tema di esecutorietà e di efficacia del provvedimento contenute nella l. n. 241/1990 hanno accresciuto il livello delle garanzie per il privato. D) L'INOPPUGNABILITÀ Un'ultima caratteristica del provvedimento consiste nella cosiddetta inoppugnabilità, che si ha allorché decorrono i termini previsti per l'esperimento dei rimedi giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo. In particolare, l'azione di annullamento va proposta, di regola, nel termine di decadenza di 60 giorni; l'azione di nullità è soggetta a un termine di 180 giorni; l'azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma nel termine di 120 giorni. L'inoppugnabilità non esclude peraltro che l'amministrazione possa rimettere in discussione il rapporto giuridico esercitando, come si vedrà, il potere di autotutela (annullamento d'ufficio o revoca). L'atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in seguito ad acquiescenza da parte del destinatario, che consiste in una dichiarazione espressa o tacita (per facta concludentia) di assenso all'effetto prodotto dal provvedimento. 40 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI GLI ELEMENTI STRUTTURALI DELL'ATTO AMMINISTRATIVO. L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE Anche per il provvedimento amministrativo possono essere individuati alcuni elementi strutturali che consentono, di volta in volta, di identificarlo e di qualificarlo. Sono essenzialmente il soggetto, la volontà, l'oggetto, il contenuto, i motivi, la motivazione e la forma. 1. II soggetto si individua in base alle norme sulla competenza. 2. Un secondo elemento è costituito dalla volontà. Il provvedimento è manifestazione della volontà dell'amministrazione in senso oggettivato. I vizi della volontà non determinano, in via diretta l'annullabilità del provvedimento, rilevano tutt'al più, come figura sintomatica dell'eccesso di potere. 3. Quanto all'oggetto del provvedimento, si tratta della cosa, attività o situazione soggettiva cui il provvedimento si riferisce. L'oggetto deve essere determinato o quanto meno determinabile. 4. Il contenuto si ricava dalla parte dispositiva dell'atto e consiste in «ciò che con esso l'autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare» può essere integrato con clausole accessorie che, fissano prescrizioni e condizioni particolari Esse non possono snaturare il contenuto tipico del provvedimento e devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dalla legge attributiva del potere. 5. La motivazione è la parte del provvedimento che, secondo la definizione contenuta nell'art. 3 l. n. 241/1990, enuncia i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione in relazione alle risultanze dell'istruttoria. L'obbligo di motivazione, la cui violazione può essere una causa di annullabilità, costituisce, come si è già anticipato nel capitolo precedente, uno dei principi generali del regime degli atti amministrativi, che lo differenzia da quello sia degli atti legislativi, sia degli atti negoziali. La motivazione, insieme ad altri istituti come la partecipazione al procedimento, concorre dunque a promuovere «accettabilità dell'attività amministrativa» da parte dei soggetti amministrati. La motivazione adempie a tre funzioni principali: promuove la trasparenza dell'azione amministrativa perché rende palesi le ragioni sottostanti le scelte amministrative; agevola l'interpretazione del provvedimento; costituisce una garanzia per il soggetto privato che subisce dal provvedimento un pregiudizio perché consente un controllo giurisdizionale più incisivo sull'operato dell'amministrazione. La motivazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti, acquisiti nel corso dell'istruttoria procedimentale, che hanno indotto l'amministrazione a operare una determinata scelta. Dalla motivazione deve essere possibile ricostruire in modo puntuale l’iter logico seguito dall'amministrazione per pervenire a una certa determinazione. La motivazione può essere anche per relationem, cioè con un rinvio ad altro atto acquisito al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni. La motivazione assume particolare importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre in quelli vincolati essa può essere limitata all'enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l'esercizio del potere. Essa è infatti lo strumento principale per sindacare la legittimità, in particolare in termini di ragionevolezza e di proporzionalità, delle scelte operate dall'amministrazione. In generale, quanto più ampio è l'ambito della 41 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI discrezionalità tanto più stringente è da ritenere l'obbligo di motivazione. 6. L'atto amministrativo richiede di regola la forma scritta. In taluni casi l'atto può essere esternato oralmente. Il provvedimento può assumere, a determinate condizioni, la veste formale di un accordo tra l'amministrazione titolare del potere e il privato destinatario degli effetti volto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento. L'art. 11 l. n. 241/1990 prevede, a pena di nullità, la forma scritta. In giurisprudenza emerge talora anche la nozione di provvedimento implicito. Quest'ultimo si configura allorché la volontà in esso espressa sia desumibile da un comportamento concludente dell'organo o da un precedente atto del quale l'atto implicito si imponga «quale unica conseguenza possibile». L'art. 21-septies I. n. 241/1990 contiene un richiamo agli «elementi essenziali» del provvedimento, la mancanza dei quali costituisce una delle cause di nullità. Gli elementi essenziali dell'atto amministrativo non sono elencati in modo puntuale dalla legge. Essi vanno dunque individuati in via di interpretazione. Su un piano della redazione formale, l'atto amministrativo indica nell'intestazione l'autorità emanante, contiene nel preambolo i riferimenti alle norme legislative e regolamentari che fondano il potere esercitato, richiama gli atti endoprocedimentali e altri atti ritenuti rilevanti, e sviluppa la motivazione, enuncia nel dispositivo la determinazione o statuizione finale. Reca anche la data e la sottoscrizione e menziona i destinatari e l'organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere contro l'atto e il termine entro il quale il ricorso va proposto. I PROVVEDIMENTI ABLATORI REALI, I PROVVEDIMENTI ORDINATORI E LE SANZIONI AMMINISTRATIVE I provvedimenti si prestano a essere ordinati secondo una pluralità di criteri che possono essere usati anche in modo concorrente. È opportuno riprendere la distinzione tra provvedimenti aventi effetti limitativi della sfera giuridica del destinatario e provvedimenti aventi effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario. Le principali subcategorie dei primi sono i provvedimenti ablatori reali e personali, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori. I provvedimenti ablatori reali: tra i provvedimenti ablatori reali va ricordata soprattutto 'espropriazione per pubblica utilità, nella quale si manifesta al massimo grado il conflitto tra l'interesse pubblico e gli interessi privati. [La disciplina sostanziale (tipologia di beni, indennizzo) e procedimentale in materia è contenuta nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità che raccoglie tutte le disposizioni legislative le regolamentari previgenti. L'indennizzo non coincide necessariamente con il valore di mercato, ma non deve essere neppure irrisorio. Su questo aspetto è intervenuta più volte la Corte costituzionale che ha posto il principio del «serio ristoro». In base ad esso, occorre far riferimento «al valore del bene in relazione. Alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge». Tra i provvedimenti ablatori reali si annoverano anche l'occupazione temporanea preordinata all' espropriazione di opere dichiarate indifferibili e urgenti, che consente così la presa in possesso e l'avvio immediato dei lavori nelle more della conclusione del procedimento espropriativo; la requisizione in uso di beni mobili e immobili per periodi di tempo limitati, che può essere disposta per gravi e urgenti necessità pubbliche militari o civili; le servitù pubbliche disciplinate da leggi speciali e dal codice civile, che annovera tra i modi di costituzione delle servitù coattive. I provvedimenti ordinatori: tra i provvedimenti ablatori personali rientrano gli ordini amministrativi e i provvedimenti che impongono ai 42 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI e può essere considerata ancora come libera, anche se è condizionata e conformata da norme di tipo amministrativo. Per agevolare i controlli effettuati dall'amministrazione, in un secondo gruppo di casi di attività libere nel senso ora precisato, la legge grava i privati di un obbligo di comunicare a una pubblica amministrazione l'intenzione di intraprendere un'attività. Talvolta la comunicazione è contestuale all'avvio dell'attività; altre volte tra la comunicazione e l'avvio dell'attività è previsto un termine minimo. Un regime generale di comunicazione preventiva, cioè della segnalazione certificata d'inizio di attività (cosiddetta SCIA) è posto dall'art. 19 l. n. 241/1990. Le attività sottoposte al regime della SCIA, come chiarito dalla giurisprudenza (da ultimo Corte costituzionale 6 febbraio 2019, n. 45), sono libere, anche se conformate da un regime amministrativo. Il decreto legislativo di recepimento della direttiva servizi (CE) 2006/123, nel porre una definizione di autorizzazione, specifica che la SCIA «non costituisce regime autorizzatorio». La SCIA riconduce una serie di attività, per le quali in precedenza era previsto un regime di controllo preventivo (ex ante) sotto forma di «autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta comunque denominato» (comma 1), a un regime meno intrusivo di controllo successivo (ex post), effettuato cioè dall'amministrazione una volta ricevuta la comunicazione di avvio dell'attività. La SCIA non è qualificabile come istanza ex art. 2 l. n. 241/1990 che dà avvio a un procedimento amministrativo volto al rilascio di un titolo abilitativo. Essa ha soltanto la funzione di consentire all'amministrazione di verificare se l'attività in questione è conforme alle norme amministrative. L'avvio dell'attività può essere contestuale alla presentazione della SCIA allo sportello unico indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione (art. 19-bis). Il privato deve corredare la segnalazione con un'autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell'attività. In caso di dichiarazioni mendaci scattano sanzioni amministrative e penali. L'attività viene cioè intrapresa sulla base di un'autovalutazione della conformità dell'attività alla legge. In caso di «accertata carenza dei requisiti e dei presupposti» previsti dalla legge, nel termine di 60 giorni, l'amministrazione emana un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti. Se emanato dopo la scadenza del termine, l'atto è inefficace. In alternativa, ove possibile, può invitare il privato a conformare l'attività alla normativa vigente entro un termine non inferiore a 30 giorni prescrivendo le misure necessarie. Nel caso della SCIA, dunque, l'amministrazione esercita un potere d'ufficio di verifica che può sfociare in un provvedimento di tipo ordinatorio. Il rapporto giuridico amministrativo si struttura così secondo lo schema del potere e dell'interesse legittimo oppositivo. Ciò a differenza del regime autorizzatorio tradizionale nel quale, come si è visto, il rapporto giuridico amministrativo segue lo schema del potere e dell'interesse legittimo pretensivo. Peraltro anche dopo la scadenza del termine di 60 giorni per l'attività di controllo, l'amministrazione può esercitare i poteri di vigilanza, prevenzione e controllo previsti da leggi vigenti. Può persino attivare il potere interdittivo sopra esaminato ove sussistano I presupposti previsti dalla l. n. 241/1990 per l'annullamento d'ufficio dei provvedimenti illegittimi che, come si vedrà, richiede una serie di apprezzamenti discrezionali e prevede un termine di 18 mesi nel caso di provvedimenti autorizzativi. Il rinvio al regime dell'annullamento d'ufficio introduce peraltro un elemento di ambiguità perché questo potere (di autotutela) ha per oggetto provvedimenti in senso proprio, mentre nel modello della SCIA non vi è alcun atto di assenso esplicito da parte dell'amministrazione e l'attività resta libera. Il campo di applicazione della SCIA è definito dall'art. 19 della l. n. 241/1990. Essa sostituisce di 45 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI diritto ogni atto di tipo autorizzativo «il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge», cioè, ogni atto di tipo vincolato. In presenza di discrezionalità, infatti, non è concepibile che il soggetto privato possa farsi carico, in luogo dell'amministrazione, di una valutazione e ponderazione degli interessi in gioco. Deve trattarsi inoltre di atti autorizzativi per i quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o altri strumenti di programmazione di settore. La SCIA, la denuncia e la dichiarazione di inizio di attività «non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'"azione contro il silenzio". In pratica, il terzo che desideri contrastare l'avvio dell'attività deve invitare l'amministrazione a emanare un provvedimento che vieti la prosecuzione dell'attività e se l'amministrazione non provvede può rivolgersi al giudice amministrativo per far accertare l'obbligo di provvedere. Tuttavia, secondo la Corte costituzionale, anche in presenza di un siffatto invito, vale per l'amministrazione il termine perentorio di 60 giorni e di 18 mesi prima richiamati, termine che tende a tutelare l'affidamento ingenerato in chi ha presentato la SCIA. la stessa Corte costituzionale, rendendosi conto che le norme vigenti sono insoddisfacenti, ha invitato il parlamento a introdurre alcune modifiche specifiche. Il problema della tutela del terzo non è dunque risolto. LE AUTORIZZAZIONI E LE CONCESSIONI Con i regimi autorizzatori, che introducono un controllo ex ante, subordinando l'avvio dell'attività a un provvedimento di assenso, si passa invece al modello dell'amministrazione titolare di poteri il cui esercizio determina effetti ampliativi della sfera giuridica del privato. Secondo la teoria della regolazione amministrativa esso è considerato come maggiormente intrusivo nelle libertà dei privati. La scelta da parte del legislatore tra il controllo ex post o ex ante richiede una valutazione caso per caso. I regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale» indicati in un elenco tassativo piuttosto esteso. L'autorizzazione preventiva è ammessa quando l'obiettivo della tutela dell'interesse pubblico «non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia». La Costituzione pone, in particolare, il divieto di introdurre regimi autorizzatori che condizionano il diritto di associazione e di stampa, o prevede, nel caso delle riunioni in luogo pubblico, che possa essere imposto solo un obbligo di preavviso. ¡Nell'ambito del modello del controllo ex ante sulle attività dei privati vanno considerate principalmente le autorizzazioni e le concessioni. Conviene anzitutto dar conto del loro inquadramento tradizionale, per poi introdurre qualche elemento di critica. L'autorizzazione è l'atto con il quale l'amministrazione rimuove un limite all'esercizio di un diritto soggettivo del quale è già titolare il soggetto che presenta la domanda. Il suo rilascio presuppone una verifica della conformità dell'attività ai parametri normativi posti a tutela dell'interesse pubblico (funzione di controllo). Le autorizzazioni danno dunque origine, come si è accennato, al fenomeno dei diritti soggettivi in attesa di espansione, il cui esercizio è appunto subordinato a un controllo preventivo da parte di una pubblica amministrazione. Rispetto a un siffatto potere «conformativo» dell'amministrazione, il soggetto privato vanta una posizione di interesse legittimo (pretensivo) che fa coppia con il diritto soggettivo preesistente. La concessione è invece l'atto con il quale l'amministrazione attribuisce ex 46 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo a un soggetto privato. Nel rapporto giuridico amministrativo che si instaura tra il soggetto privato che presenta l'istanza di concessione e l'amministrazione, il primo si presenta titolare di un interesse legittimo (pretensivo), per così dire, allo stato puro. Solo in seguito all'emanazione del provvedimento concessorio sorge in capo al privato un diritto soggettivo pieno che può essere fatto valere anche nei confronti dei terzi. Sul piano funzionale l'autorizzazione, come si è visto, è uno strumento di controllo da parte dell'amministrazione sullo svolgimento dell'attività allo scopo di verificare preventivamente che essa non si ponga in contrasto con le norme che definiscono i presupposti e i requisiti. L'autorizzazione spesso si esaurisce uno actu, senza cioè che si instauri una relazione con l'amministrazione che vada al di là di una generica attività di vigilanza da parte di quest'ultima sulla permanenza in capo al soggetto privato delle condizioni previste dalla legge. La concessione instaura invece in molti casi un rapporto di lunga durata con il concessionario. Tale rapporto è caratterizzato da diritti e obblighi reciproci e da poteri di vigilanza continuativi e talora anche di indirizzo delle attività poste in essere in base alla concessione. La concessione costituisce spesso uno strumento attraverso il quale l'amministrazione, anziché provvedere con le proprie strutture alla gestione di beni e servizi, l'affida a soggetti privati. La concessione può avere dunque una valenza di tipo organizzativo e realizza una forma di partenariato pubblico-privato. Il concessionario può essere tenuto, a certe condizioni, a rispettare regole pubblicistiche, per esempio per l'acquisto di beni e servizi. Le concessioni si suddividono descrittivamente in due subcategorie: concessioni traslative e costitutive. Le prime trasferiscono in capo a un soggetto privato un diritto o un potere del quale è titolare l'amministrazione. Quanto all'oggetto, invece, le concessioni sono di più specie. Vi sono in primo luogo le concessioni di beni pubblici, come in particolare i beni demaniali sui quali possono essere attribuiti diritti d'uso esclusivo. Una seconda specie è data dalle concessioni di servizi pubblici o di attività ancor oggi sottoposte, ai sensi dell'art. 43 Cost., a un regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello Stato o di enti pubblici. Una terza specie è data dalle concessioni di lavori o di servizi assimilate dal Codice dei contratti pubblici a normali contratti. Infatti, la sola differenza rispetto ai contratti di appalto di lavori e di servizi, aggiudicati all'esito di una procedura ad evidenza pubblica, consiste nel fatto che nelle concessioni di questo tipo il corrispettivo non è a carico dell'amministrazione appaltante. Esso è invece costituito esclusivamente dal diritto a gestire l'opera o il servizio applicando un prezzo o una tariffa agli utenti che consentono il recupero dei costi per la realizzazione e la gestione dell'infrastruttura e il conseguimento di un utile d'impresa. Esse perseguono l'obiettivo di evitare esborsi diretti in capo all'amministrazione committente. Rientrano infine nel fenomeno concessorio alcuni tipi di sovvenzioni, sussidi e contributi di danaro pubblico erogati, spesso con criteri discrezionali, per il perseguimento di interessi pubblici. Con la concessione-contratto il fenomeno concessorio si sdoppia così in due componenti: un provvedimento volto ad attribuire al concessionario il diritto a svolgere una certa attività; un contratto o una convenzione volti a regolare su base paritaria i diritti e gli obblighi delle parti nell'ambito di un rapporto di durata. Tra questi rientrano tipicamente l'obbligo in capo al concessionario di corrispondere un canone concessorio, di effettuare investimenti, di assicurare agli utenti determinati livelli di prestazione, di informazione. Tra i poteri in capo al concedente vi sono, per esempio, quelli di verifica sull'andamento della gestione, di approvazione delle tariffe praticate dal concessionario agli utenti. Il contratto regola 47 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI 1. Un primo criterio riguarda la provenienza soggettiva del provvedi-mento. Accanto ai casi nei quali il provvedimento è emanato da un organo di tipo monocratico, si pongono i casi nei quali il provvedimento è riconducibile alla volontà di più organi o soggetti e ha dunque natura di atto complesso. Le delibere assunte dagli organi collegiali avvengono con modalità procedurali definite negli statuti o nei regolamenti dei singoli enti e amministrazioni. La delibera è validamente assunta ove sia approvata dalla maggioranza. La delibera è riferibile unitariamente all'organo collegiale, ma le eventuali responsabilità che possano sorgere non ricadono sui componenti dell'organo assenti o dissenzienti. 2. Un secondo criterio è quello dei destinatari del provvedimento. Esso consente di individuare anzitutto la categoria degli atti amministrativi generali già esaminata nel capitolo precedente. Questi atti si rivolgono, anziché a singoli destinatari, a classi omogenee più o meno ampie di soggetti. Dagli atti generali vanno tenuti distinti gli atti collettivi e gli atti plurimi. Anche i primi si indirizzano a categorie, generalmente ristrette, di soggetti considerati in modo unitario, i quali, però, a differenza degli atti generali, sono già individuati singolarmente con precisione. Anche gli atti plurimi (o a contenuto plurimo) sono rivolti a una pluralità di soggetti, ma i loro effetti, a differenza di quanto accade per gli atti collettivi, sono scindibili in relazione a ciascun destinatario. 3. Un terzo criterio prende in considerazione la natura della funzione esercitata e l'ampiezza della discrezionalità. In base ad esso è stata elaborata la categoria degli atti di alta amministrazione, distinta da quella degli atti politici non sottoposti al regime del provvedimento amministrativo. Il giudice amministrativo ha accolto una nozione oggettiva di atto politico. In essa rientrano gli atti che, a differenza di quelli amministrativi, sono liberi nel fine e sono emanati da un organo costituzionale nell'esercizio di una funzione di governo. Altri atti del governo, definiti atti di alta amministrazione, hanno invece una natura amministrativa, anche se sono caratterizzati da un'amplissima discrezionalità. Tra di essi rientrano i provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei ministeri. Questi atti operano un raccordo tra la funzione di indirizzo politico e la funzione amministrativa. Essi devono essere motivati e sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo, il quale però esercita su di essi un sindacato meno intenso, limitandosi a rilevare le violazioni più macroscopiche dei principi che presiedono all'esercizio del potere discrezionale. L'INVALIDITÀ DELL'ATTO AMMINISTRATIVO Nei casi di imperfezioni minori l'atto è semplicemente irregolare ed è suscettibile di rettifica o regolarizzazione. Si ha invalidità allorché la difformità tra atto e norme determina una lesione di interessi tutelati da queste ultime e incide sull'efficacia del primo in modo più o meno radicale, sotto forma di nullità o di annullabilità. L'invalidità trova una disciplina compiuta nella l. n. 241/1990 in seguito alle modifiche introdotte dalla l. n. 15/2005 e, per i risvolti processuali, nel Codice del processo amministrativo. La teoria generale opera una distinzione tra norme che regolano una condotta e norme che conferiscono poteri. Le prime impongono obblighi comportamentali o attribuiscono diritti; le seconde conferiscono poteri, come per esempio quello di fare testamento, di contrarre un matrimonio o di porre in essere un contratto, e regolano le procedure, i presupposti e i limiti all'esercizio di poteri volti alla produzione di effetti giuridici. Esse sono state 50 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI variamente etichettate come norme primarie e norme secondarie, norme di condotta e norme sulla produzione giuridica, norme di relazione e norme di azione. I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come illeciti e contro di essi l'ordinamento reagisce in vario modo. Gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi e contro di essi l'ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L'invalidità può essere definita più precisamente come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale. Essa può essere sanzionata, in funzione della gravità della violazione, secondo due modalità: l'inidoneità dell'atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell'ordinamento (nullità); l'idoneità a produrli in via precaria, cioè fin tanto che non intervenga un giudice (o un altro organo) che, accertata l'invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore (annullamento). La nullità del provvedimento è invece prevista, come si vedrà, solo in relazione a poche ipotesi tassative, mentre la violazione delle norme attributive del potere viene attratta nel regime ordinario dell'annullabilità. le norme in materia di contratti hanno di regola carattere dispositivo, possono cioè essere derogate dalle parti. Le norme imperative, un fenomeno quantitativamente limitato, segnano invece in negativo i limiti all'autonomia negoziale a tutela di interessi generali. Nel diritto amministrativo, le norme attributive del potere, hanno di regola carattere cogente (imperativo). Esse non possono essere cioè derogate o disapplicate dall'amministrazione. Sanzionare con la nullità ogni difformità tra provvedimento e norma attributiva del potere costituirebbe una reazione sproporzionata da parte dell'ordinamento. In secondo luogo, nel diritto amministrativo le cosiddette figure sintomatiche dell'eccesso di potere, frutto dell'elaborazione giurisprudenziale, sono, come si vedrà, una sorta di catalogo tendenzialmente aperto e non tipizzato. In definitiva, l'annullabilità costituisce il regime ordinario del provvedimento amministrativo invalido mentre la nullità è «categoria residuale del diritto amministrativo». L'invalidità può essere totale o parziale: la prima investe l'intero atto, la seconda una parte di questo, lasciando inalterata la validità e l'efficacia della parte non affetta dal vizio. Anche il provvedimento può essere colpito da invalidità totale o parziale. Quest'ultima evenienza si può avere nel caso di provvedimenti con effetti scindibili, come in quello, già esaminato, degli atti plurimi. In genere si ritiene applicabile al provvedimento il principio enunciato dall'art. 159 cod. proc. civ., secondo il quale l'invalidità di una parte dell'atto si estende alle altre parti solo ove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. Può assumere rilievo anche il principio civilistico in base al quale la nullità di una parte o di una clausola del contratto comporta la nullità del contratto solo quando risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte. L'invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta. 1. Nel caso di invalidità propria assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l'atto. Nel caso di invalidità derivata, l'invalidità dell'atto discende, per così dire, per propagazione dall'invalidità di un atto presupposto. L'invalidità derivata può essere di due tipi: a effetto caducante, quando travolge in modo automatico l'atto assunto sulla base dell'atto invalido; a effetto invalidante, quando l'atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato. L'effetto caducante si verifica in presenza di un rapporto di stretta causalità (o consequenzialità diretta e necessaria) tra i due atti: il secondo costituisce una mera esecuzione del primo. Se invece l'atto successivo non costituisce una conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori apprezzamenti che segnano una discontinuità fra due atti, 51 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI l'invalidità derivata ha soltanto un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve essere fatta valere attraverso l'impugnazione autonoma di quest'ultimo. 2. Passando a considerare l'invalidità originaria e sopravvenuta, va premesso che in linea di principio trova applicazione anche nel diritto amministrativo il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità di un provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Peraltro, poiché l'esercizio del potere avviene nella forma del procedimento, cioè attraverso una pluralità di atti funzionalmente collegati e strumentali all'adozione del provvedimento finale, si pone talora la questione delle conseguenze del mutamento delle norme vigenti sui procedimenti avviati, ma non ancora conclusi. Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti nei casi di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova legge rende, ora per allora, viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e dei rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che non si tratti di rapporti esauriti, cioè di fattispecie ormai interamente realizzate. La giurisprudenza interpretò la formula «eccesso di potere» non già come «straripamento di potere», bensì come «sviamento di potere». Il primo riguarda i casi di sconfinamento macroscopico dall'ambito di competenza da parte di un'autorità amministrativa; il secondo i casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere. Il giudice amministrativo elaborò, come si vedrà, le cosiddette figure sintomatiche dell'eccesso di potere, rendendo così sempre più penetrante il sindacato sulla discrezionalità amministrativa. in secondo luogo, nel silenzio della legge, la giurisprudenza individuò ipotesi nelle quali il provvedimento è affetto da deviazioni abnormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura emanato in assenza di una base legislativa. Emerse così una tipologia di vizi più gravi sussunti nella categoria della carenza di potere o anche della nullità In presenza di tali vizi, come si è già accennato nel capitolo precedente, il provvedimento perde il carattere imperativo e dunque non è in grado di travolgere i diritti soggettivi. La distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell'amministrazione. Da un lato vi sono i «meri comportamenti» assunti in violazione di una norma di relazione, cioè lesivi di un diritto soggettivo, e ascrivibili alla categoria della illiceità. Essi sono equiparabili ai comportamenti posti in essere da un soggetto privato non conformi alle norme civilistiche. Dall'altro vi sono i comportamenti nei quali il collegamento funzionale tra provvedimento invalido e l'attività materiale esecutiva posta in essere dall'amministrazione integra una violazione della norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo confluire, in definitiva, l'intera fattispecie nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. Importante è la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 500/1999 che ha affermato il principio della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. L'illegittimità del provvedimento, infatti, è uno degli elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. Come ha chiarito anche la giurisprudenza amministrativa, il danno non è cagionato «dal provvedimento in sé stesso, ma da un fatto, ossia da un comportamento» e assume dunque rilievo non già «una mera illegittimità del provvedimento in sé ma un'illiceità della condotta complessiva». L'annullabilità è disciplinata dall'art 21-octies l. n. 241/1990 e dall'art. 29 Codice del processo amministrativo. Entrambe le disposizioni riprendono la tripartizione tradizionale dei vizi di 52 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI simulazione è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, l'atto non può essere annullato. thc La disposizione presenta però due specificità: manca il riferimento alla natura vincolata del potere; si richiede all'amministrazione che ha emanato l'atto di dimostrare «in giudizio» che il vizio procedurale o formale accertato non ha avuto alcuna influenza sul contenuto del provvedimento. Quanto al primo aspetto, la disposizione include nel suo campo di applicazione anche i poteri discrezionali. Solo qualora risulti ex post, tenuto conto di tutte le circostanze, che l'amministrazione non aveva altra scelta legittima se non quella di emanare un atto con quel contenuto, può operare il principio della non annullabilità per violazione delle norme formali e procedurali. Quanto al secondo aspetto, l'onere della prova grava sull'amministrazione nei confronti della quale sia stato proposto un ricorso per l'annullamento del provvedimento. L'art. 21-octies, comma 2, si inserisce nella tendenza del nostro ordinamento a valorizzare il principio di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa. Il regime della legittimità degli atti amministrativi si avvicina così a quello degli atti processuali per i quali vale il principio che «la nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato». Il disvalore della violazione delle norme sulla forma dell'atto e sul procedimento previsto dall'art. 21-octies, comma 2, sembra essere maggiore rispetto a quello di una mera irregolarità non lesiva di alcun interesse pubblico apprezzabile, proprio per la funzione di garanzia che può essere riconosciuta agli aspetti formali. È preferibile un'interpretazione che qualifica come illegittimi anche i provvedimenti non annullabili ai sensi della disposizione. L'art. 21- octies, comma 2, in definitiva, ha stabilito soltanto che per taluni atti illegittimi l'annullamento, vuoi da parte del giudice vuoi d'ufficio, costituisce una reazione dell'ordinamento non proporzionata, visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. C) L'ECCESSO DI POTERE L'eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali. Esso mette in condizione il giudice di operare un sindacato che va oltre la verifica del rispetto dei vincoli puntuali posti in modo esplicito dalla norma attributiva del potere le che può spingersi invece fino alle soglie del merito amministrativo. Secondo la ricostruzione più diffusa, l'eccesso di potere riguarda l'aspetto funzionale del potere, cioè il perseguimento in concreto dell'interesse pubblico affidato alla cura dell'amministrazione. L'eccesso di potere è stato ricostruito in dottrina variamente come un vizio della causa, della volontà, dei motivi, del contenuto del provvedi-mento. L'elaborazione oggi prevalente lo definisce come vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. In tale passaggio, all'interno cioè delle fasi del procedimento, possono emergere anomalie, incongruenze e disfunzioni che danno origine appunto all'eccesso di potere. Si è già ricordato come la figura primigenia dell'eccesso di potere è lo sviamento di potere che consiste nella violazione del vincolo del fine pubblico posto, dalla norma attributiva del potere. Una siffatta violazione si ha allorché il provvedimento emanato persegue un fine diverso da quello in relazione al quale il potere è conferito dalla legge all'amministrazione. Talvolta il fine pubblico non è posto in modo espresso dalla legge, ma va ricavato in via interpretativa. Lo sviamento di potere è peraltro difficile da provare, in quanto il provvedimento, all'apparenza, si presenta come perfettamente conforme alle 55 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI disposizioni normative che regolano quel particolare potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza, come si è accennato, a rilevare il vizio in via indiretta, attraverso elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionale costituiti dalle cosiddette figure sintomatiche. Le figure sintomatiche dell'eccesso di potere costituiscono una categoria aperta, non tipizzata dal legislatore. Alcune sono ormai consolidate in dottrina e nella prassi applicativa e si prestano a essere classificate secondo vari criteri. Uno di essi può essere di riferirle, in ordine logico, alle fasi del procedimento, distinguendo quelle che riguardano la fase istruttoria e quelle che riguardano la fase decisionale. Un altro criterio è quello di distinguere tra figure sintomatiche intrinseche, che emergono direttamente dall'analisi del provvedimento e degli atti procedimentali, le figure sintomatiche estrinseche, che invece emergono dal confronto tra il provvedimento ed elementi di contesto esterno. Le principali fattispecie: ⁃ Errore o travisamento dei fatti. Se il provvedimento è emanato sul presupposto, richiamato nell'atto medesimo, dell'esistenza di un fatto o di una circostanza che risulta invece inesistente o, viceversa, della non esistenza di un fatto o di una circostanza che invece risulta esistente emerge la figura dell'eccesso di potere per errore di fatto. L'errore di fatto, che spesso consegue a un'altra figura sintomatica costituita dal difetto di istruttoria, può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente, sia in seguito all'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amministrativo. ⁃ Difetto di istruttoria. Nella fase istruttoria del procedimento l'amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti, ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile per operare una scelta consapevole e ponderata. Ove questa attività svolta dal responsabile del procedimento manchi del tutto o sia effettuata in modo frettoloso, incompleto o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell'eccesso di potere per difetto di istruttoria. Annullato l'atto e posta in essere una nuova istruttoria, questa volta in modo corretto, l'amministrazione ben potrebbe adottare un atto con il medesimo contenuto. ⁃ Difetto di motivazione. Nella motivazione del provvedimento l'amministrazione, come si è già detto, deve da conto, in sede di decisione, delle ragioni che sono alla base della scelta operata. Per quanto sintetica, essa deve consentire una verifica del corretto esercizio del potere, cioè dell'iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel provvedimento, traendo le fila degli elementi istruttori rilevanti e operando la ponderazione degli interessi. Il difetto di motivazione ha varie sfaccettature. La motivazione può essere in primo luogo insufficiente, incompleta o generica, se da essa non traspare in modo percepibile l'iter logico seguito dall'amministrazione e non emergono le ragioni sottostanti la scelta operata. La l. n. 241/1990 contiene alcune disposizioni che specificano il contenuto minimo della motivazione. La motivazione può consistere soltanto in «un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo» nel caso in cui l'amministrazione ritenga un'istanza manifestamente inammissibile o infondata. Non esiste un criterio univoco per determinare se una motivazione sia sufficiente. Si può peraltro ritenere che quanto più ampia è la discrezionalità dell'amministrazione e quanto più gravosi sono gli effetti del provvedimento nella sfera soggettiva dei destinatari, tanto più elevato è lo standard quantitativo e qualitativo imposto alla motivazione. Nel caso in cui la motivazione espliciti una pluralità di ragioni autonome poste alla base del provvedimento, è sufficiente che 56 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI una sola ragione sia legittima per escludere l'annullabilità dell'atto. [La motivazione può essere inoltre illogica e contraddittoria, allorché essa contenga proposizioni o riferimenti a elementi incompatibili tra loro. Può essere perplessa o dubbiosa là dove non consenta di individuare con precisione il potere che l'amministrazione ha inteso esercitare. Anche nel caso del difetto di motivazione, non è da escludere che, una volta annullato il provvedimento, l'amministrazione possa emanarne uno di contenuto identico, emendato dal vizio rilevato. Peraltro, come già accennato, non è consentito all'amministrazione di integrare o emendare la motivazione del provvedimento in sede di giudizio. Nel caso in cui la motivazione manchi del tutto, il vizio può essere qualificato come violazione di legge, in quanto l'obbligo di motivazione è ora previsto espressamente dall'art. 3 l. n. 241/1990. ⁃ Illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà. Si è già osservato trattando dei principi che presiedono all'esercizio della discrezionalità, che il diritto amministrativo assume, come principio logico prima ancora che giuridico, che la pubblica amministrazione agisca come un soggetto razionale. Pertanto, emerge un vizio di eccesso di potere tutte le volte che il contenuto del provvedimento e le statuizioni del medesimo fanno emergere profili di illogicità o irragionevolezza, apprezzabili in modo oggettivo in base a canoni di esperienza. Costituisce una sottospecie dell'illogicità e irragionevolezza la contraddittorietà interna al provvedimento. Questa emerge, in particolare, se non vi è coerenza tra le premesse del provvedimento e le conclusioni tratte nel dispositivo. La contraddittorietà può essere anche esterna al provvedimento, quando è rilevabile dal raffronto tra provvedimento impugnato e altri provvedimenti precedenti dell'amministrazione che riguardano lo stesso soggetto. La contraddittorietà intrinseca o estrinseca costituisce una violazione del principio di coerenza che deve presiedere all'agire della pubblica amministrazione. ⁃ Disparità di trattamento. I principi di coerenza e di uguaglianza impongono all'amministrazione di trattare in modo uguale casi uguali. Il vizio può emergere sia allorché casi uguali siano trattati in modo disuguale, sia allorché casi disuguali siano trattati in modo uguale. Per stabilire in concreto se le situazioni da confrontare siano identiche o differenziate va utilizzato il criterio della ragionevolezza. ⁃ Violazione delle circolari e delle norme interne, della prassi amministrativa. L'attività della pubblica amministrazione deve essere posta in essere non solo in conformità con le disposizioni contenute in leggi, regolamenti e in altre fonti normative. Essa deve essere conforme anche alle norme interne contenute in circolari, direttive, atti di pianificazione o altri atti contenenti criteri e parametri di vario tipo che hanno come scopo quello di orientare l'esercizio della discrezionalità da parte dell'organo competente a emanare il provvedimento. I principi di coerenza e di rispetto dell'assetto organizzativo dell'amministrazione richiedono che l'organo titolare di un potere discrezionale, nel momento In cui emana un provvedimento, tenga conto delle norme interne. Se ciò non accade emerge un sintomo dell'eccesso di potere. Per evitare di cadere in questo vizio il titolare del potere deve esplicitare nella motivazione le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere nel caso concreto le prescrizioni poste dalle norme interne. Una particolare specie di norma interna è costituita dalla prassi amministrativa che, come si è accennato, si forma all'interno delle amministrazioni attraverso una serie di comportamenti e decisioni assunte in situazioni similari. Anch'essa crea un vincolo di coerenza e di parità di trattamento. Pertanto, se l'amministrazione disattende in un caso particolare la prassi 57 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI un'illegittimità accertata, l'amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere presente al momento in cui è disposto l'annullamento d'ufficio. 3. È richiesta in terzo luogo una ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Devono essere valutati, specificamente, oltre all'interesse pubblico all'annullamento, da un lato, quello del destinatario del provvedimento, che per esempio ha ottenuto un provvedimento favorevole Itale da ingenerare una situazione di affidamento; dall'altro quello degli eventuali controinteressati, come, per esempio, i proprietari di terreni confinanti con quello in relazione al quale è stato rilasciato un permesso a costruire illegittimo. 4. Infine, la valutazione discrezionale deve tener conto del fattore temporale. L'annullamento può essere disposto «entro un termine ragionevole», principio espresso dalla giurisprudenza europea e previsto anche in altri ordinamenti. Se infatti è trascorso un lungo lasso di tempo dall' emanazione del provvedimento illegittimo, prevale tendenzialmente l'interesse a mantenere inalterato lo status quo e a tutelare l'affidamento creato. Se invece l'amministrazione rileva immediatamente l'illegittimità del provvedimento emanato, magari prima ancora che esso sia portato a esecuzione, essa può procedere all'annullamento d'ufficio senza dover valutare in modo approfondito interessi diversi dal mero ripristino della legalità. Per alcuni tipi di provvedimenti il termine decorso il quale l'amministrazione decade dal potere è stato ridotto a dodici mesi. Il potere di annullamento d'ufficio deve essere esercitato nel rispetto delle regole generali della l. n. 241/1990 in tema di comunicazione di avvio del procedimento e di partecipazione dei soggetti interessati. Rimangono peraltro ferme «le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo». ⁃ La convalida: in alterativa all'annullamento d'ufficio, l'art. 21-nonies, comma 2, prevede che l'amministrazione possa procedere alla convalida del provvedimento illegittimo, sempre in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Il potere in questione è espressione del principio generale della conservazione dei valori giuridici, che permea il diritto amministrativo così come il diritto privato, attraverso l'eliminazione del vizio del quale è affetto il provvedimento. A differenza di quanto avviene nei rapporti interprivati, nei quali la convalida del negozio costituisce una facoltà del soggetto leso al quale spetta l'azione di annullamento (art. 1444 cod. civ.), la convalida del provvedimento è disposta dalla stessa amministrazione cui è imputabile il vizio rilevato e opera retroattivamente. ⁃ La sanatoria: si parla talora anche di sanatoria nei casi in cui l'atto è emanato in carenza di un presupposto e quest'ultimo si materializza in un momento successivo, oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo. ⁃ La conferma e l'atto confermativo: all'esito di un procedimento di riesame aperto su sollecitazione di un privato o anche d'ufficio e dell'istruttoria, l'amministrazione può convincersi che il provvedimento non è affetto da alcun vizio. In questi casi l'amministrazione emana un provvedimento di conferma. In giurisprudenza si distingue tra conferma, che costituisce un provvedimento autonomo dal contenuto identico rispetto a quello oggetto del riesame, e atto meramente confermativo. Con quest'ultimo 60 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI l'amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non vi sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova istruttoria. L'atto meramente confermativo non ha valenza provvedimentale e dunque non è suscettibile di impugnazione. ⁃ La conversione: ai provvedimenti nulli e annullabili si ritiene generalmente applicabile, anche in assenza di una disposizione legislativa espressa, la conversione, sulla falsariga del modello civilistico. ⁃ La revoca: gli atti ai quali si è fatto sin qui cenno sono assunti all'esito di procedimenti di secondo grado aventi per oggetto provvedimenti affetti da invalidità. Ma anche i provvedimenti validi sono passibili di un riesame che ha invece per oggetto il merito (opportunità), cioè la loro conformità all'interesse pubblico. Interviene qui uno degli istituti più caratteristici del diritto amministrativo, cioè la revoca del provvedimento. Nel diritto amministrativo la revoca è considerata come una manifestazione del potere di autotutela della pubblica amministrazione ed è ammessa da sempre dalla giurisprudenza. Il potere di revoca, che ha carattere discrezionale, è giustificato dall'esigenza di garantire nel tempo la conformità all'interesse pubblico dell'assetto giuridico derivante da un provvedimento, esigenza che è ritenuta prevalente rispetto a quella di tutela degli affidamenti creati. L'art. 21-quinquies l. n. 241/1990 pone una disciplina generale della revoca precisandone i presupposti e gli effetti. La disposizione distingue anzitutto due fattispecie: la revoca per sopravvenienza e la revoca espressione dello jus poenitendi. La revoca per sopravvenienza si ha in due ipotesi tipizzate. La prima ipotesi è la revoca per «sopravvenuti motivi di pubblico interesse», che interviene allorché l'amministrazione opera una rivalutazione dell'assetto degli interessi alla luce di fattori ed esigenze sopravvenuti, cioè non presenti al momento in cui l'atto era stato emanato. Una seconda ipotesi di revoca per sopravvenienza è quella per «mutamento della situazione di fatto» non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento, ipotesi peraltro sovrapponibile all'altra. Infatti, l'esigenza di rivalutare l'interesse pubblico dipende spesso da mutamenti della situazione di fatto. [Passando a considerare la seconda fattispecie della revoca jus poe-nitendi, essa riguarda l'ipotesi di «nuova valutazione dell'interesse pubblico originario», nei casi in cui l'amministrazione si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi nel momento in cui ha emanato il provvedimento. Si tratta di un'ipotesi controversa, che legifica quasi un «diritto all'arbitrio o al capriccio» in contrasto con il principio del legittimo affidamento, e di dubbia compatibilità con il diritto europeo. Nel 2014 l'art. 21-quinquies l. n. 241/1990 è stato modificato nel senso di vietare questo tipo di revoca in relazione ai provvedimenti di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici. Sotto il profilo soggettivo la revoca può essere disposta «dallo stesso organo che ha emanato l'atto ovvero da altro organo previsto dalla legge». La differenza dell'annullamento d'ufficio, che ha efficacia retroattiva (ex tunc), la revoca «determina l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti». La revoca ha tipicamente per oggetto provvedimenti a efficacia durevole». L'art. 21- quinquies prevede un obbligo di indennizzo nei casi in cui la revoca «comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati». I commi 1-bis e 1-ter dell'art. 21- quinquies pongono alcuni criteri per quantificare l'indennizzo in caso di revoca di atti che incidono su rapporti negoziali. L'indennizzo è limitato al danno emergente. Sotto il profilo procedimentale, la revoca è un procedimento di secondo grado che si apre con la comunicazione di avvio ed è aperto alla partecipazione dei soggetti interessati. Il 61 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI provvedimento deve essere motivato. La revoca di cui all'art. 21-quinquies va distinta dalla cosiddetta revoca sanzionatoria (o anche decadenza) e dal mero ritiro. La prima può essere disposta dall'amministrazione nel caso in cui il privato, destinatario di un provvedimento favorevole, non rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti oppure non intraprenda l'attività oggetto del provvedimento entro il termine previsto. Il mero ritiro ha per oggetto atti amministrativi non ancora efficaci. Può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica dell'interesse pubblico e degli interessi dei destinatari del provvedimento, e ciò proprio perché non ha ancora inciso in modo diretto su situazioni giuridiche soggettive di soggetti terzi. ⁃ Il recesso dai contratti: l'art. 21-sexies l. n. 241/1990 disciplina anche il recesso dai contratti della pubblica amministrazione prevedendo che esso sia ammesso solo «nei casi previsti dalla legge o dal contratto». Si tratta di una disposizione che riguarda l'attività negoziale di diritto privato della pubblica amministrazione ed è impropria pertanto la sua collocazione nella l. n. 241/1990, atteso che il recesso non ha di regola natura provvedimentale. CAPITOLO QUINTO - IL PROCEDIMENTO NOZIONE E FUNZIONI DEL PROCEDIMENTO Il procedimento amministrativo è dato dalla sequenza di atti e operazioni posti in essere in vista dell'emanazione di un provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica di un soggetto privato. Il procedimento è una nozione di teoria generale collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico. Nello schema già esaminato norma-fatto- effetto, l'effetto giuridico si produce alcune volte al verificarsi di un singolo accadimento; altre volte al verificarsi di una pluralità di accadimenti. Nel caso di fatti complessi l'effetto giuridico deriva dunque da una combinazione di eventi, comportamenti o atti che devono verificarsi o essere posti in essere in parallelo o in sequenza (fattispecie a formazione successiva). Nella fattispecie a formazione successiva l'effetto giuridico si produce solo allorché la sequenza si è integralmente realizzata secondo l'ordine normativamente dato. Prima di tale momento possono sorgere tutt'al più effetti prodromici. La fattispecie complessa a formazione successiva. Nel diritto privato il procedimento ha avuto uno sviluppo limitato. Nel diritto pubblico, al contrario, come si è visto, il procedimento è la modalità ordinaria di esercizio dei poteri dello Stato proprio in relazione alle esigenze di trasparenza e di garanzia dei soggetti interessati. Per poter operare una scelta corretta, tutti i fatti e gli interessi rilevanti devono essere, prima ancora che valutati e ponderati, acquisiti all'interno del procedimento dall'organo decidente. La sequenza delle operazioni e degli atti previsti dalle singole leggi serve dunque soprattutto a immettere in modo strutturato nel processo decisionale gli interessi più rilevanti. Il responsabile del procedimento può valutare caso per caso, nel corso dell'istruttoria, se sia necessario acquisire qualche altro interesse potenzialmente inciso dall'atto da emanare. Il procedimento, come si è accennato, assolve a una pluralità di funzioni. 1. Una prima funzione, che emerge già nelle prime due ricostruzioni del procedimento sopra esaminate, è consentire un controllo sull'esercizio del potere, attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e operazioni normativamente predefinita. 2. Una seconda funzione, presente soprattutto nella terza ricostruzione del procedimento 62 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI 3. In terzo luogo, la l. n. 241/1990 supera in gran parte il principio del segreto d'ufficio sulle attività interne che rendeva imperscrutabile l'operato dell'amministrazione. La l. n. 241/1990 enuncia infatti il principio di pubblicità e trasparenza (art. 1) e pone una disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi. Essa non riconosce una riservatezza dell'amministrazione. L'obbligo in capo ai dipendenti pubblici di mantenere il segreto d'ufficio, cioè di non divulgare informazioni riguardanti l'attività amministrativa di cui l'impiegato è in possesso, opera in via residuale, cioè «al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso». Per garantire l'accessibilità «totale» delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni è previsto inoltre l'obbligo di rendere pubblici molti atti e documenti ed è stato introdotto, come si è visto, l'accesso civico. 4. In quarto luogo, la l. n. 241/1990 fa cadere l'anonimato tra il cittadino e gli apparati amministrativi visti dall'esterno come un tutto indistinto spersonalizzato. La figura del responsabile del procedimento. 5. In quinto luogo, la l. n. 241/1990 cerca di contrastare la tradizionale separatezza tra le stesse pubbliche amministrazioni. Sono privilegiati strumenti di collaborazione paritaria per lo svolgimento di attività di interesse comune e di coordinamento tra procedimenti paralleli. Inoltre esse devono scambiarsi reciprocamente gli atti e i documenti da acquisire ai procedimenti di loro pertinenza. Si sgrava così il privato dall'onere di procurarseli autonomamente e si richiede a quest'ultimo soltanto un'autocertificazione (art. 18). In definitiva, la l. n. 241/1990, in linea con i valori espressi dalla Costituzione, supera il modello autoritario dei rapporti tra Stato e cittadino a favore di un modello che pone l'accento sui «nuovi diritti» di cittadinanza amministrativa. LE FASI DEL PROCEDIMENTO Il procedimento si articola in tre fasi: l'iniziativa, l'istruttoria e la conclusione. A) L'INIZIATIVA La prima fase è quella dell'iniziativa, cioè dell'avvio del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento finale produttivo di effetti nella sfera giuridica del destinatario. Va posta anzitutto la distinzione tra obbligo di procedere e obbligo di provvedere, entrambi espressione del principio generale della doverosità dell'esercizio del potere amministrativo. In base al primo, l'amministrazione competente è tenuta ad aprire il procedimento su istanza di parte o d'ufficio e a porre in essere le attività previste nella sequenza procedimentale. Il secondo pone in capo all'amministrazione il dovere di portarlo a conclusione, una volta aperto, attraverso l'emanazione di un provvedimento espresso. I due obblighi si deducono dall'art. 21. l. n. 241/1990. Infatti, da un lato, il comma 1 fa riferimento all'ipotesi in cui il procedimento «consegua obbligatoriamente a un'istanza» e a quella in cui esso «debba essere iniziato d'ufficio». Dall'altro il medesimo comma pone il dovere di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Nei procedimenti su istanza di parte, l'atto di iniziativa consiste in una domanda o istanza presentata all'amministrazione da un soggetto privato interessato al rilascio di un provvedimento favorevole. Tuttavia non ogni istanza del 65 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI privato fa sorgere l'obbligo di procedere. In alcuni casi il procedimento è aperto su impulso di pubbliche amministrazioni che formulano proposte all'amministrazione competente. Nei procedimenti d'ufficio, l'apertura del procedimento avviene su iniziativa della stessa amministrazione competente a emanare il provvedimento finale. Essi riguardano per lo più poteri il cui esercizio determina un effetto restrittivo nella sfera giuridica del soggetto privato destinatario. Nei procedimenti d'ufficio si pone il problema di individuare con precisione il momento in cui sorge l'obbligo di procedere. L'apertura del procedimento avviene all'esito di una serie di attività cosiddette preistruttorie, condotte sempre d'ufficio, dalle quali possono emergere fatti che rendono necessario l'esercizio di un potere. Il potere di ispezione attribuito dalla legge ad autorità di vigilanza è esercitato nei confronti di soggetti privati allo scopo di verificare il rispetto delle normative di settore. L'ispezione consiste in una serie di operazioni di verifica effettuate presso un soggetto privato, in contraddittorio con quest'ultimo, delle quali si dà atto in un verbale. L'ispezione può concludersi con la constatazione che l'attività è conforme alle norme, oppure può far emergere fatti suscettibili di integrare una o più violazioni. In quest'ultimo caso, sorge in capo all'amministrazione l'obbligo di aprire un procedimento volto a contestare la violazione e che può concludersi con l'adozione di provvedimenti ordinatori o sanzionatori. Le ispezioni possono essere condotte anche all'interno delle pubbliche amministrazioni e spesso la funzione è affidata ad appositi uffici. Altre attività preistruttorie includono, variamente in base alle singole leggi amministrative, accessi a luoghi, richieste di documenti, assunzione di informazioni, rilievi segnaletici e fotografici, analisi di campioni e altre verifiche tecniche. Lo svolgimento delle attività preistruttorie e l'avvio dei procedimenti d'ufficio possono avvenire anche in seguito a denunce, istanze o esposti di soggetti privati. Rientra infatti nella discrezionalità dell'amministrazione valutarne la serietà e la fondatezza. L'amministrazione deve dare comunicazione dell'avvio del procedimento anzitutto al soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedi-mento, cioè a coloro «nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti». La comunicazione viene inviata anche a eventuali altri soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento e, più in generale, a soggetti individuati o facilmente individuabili che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, sempre che non sussistano ragioni particolari di impedimento. Per quest'ultimo gruppo di soggetti, la l. n. 241/1990 individua criteri piuttosto elastici. La comunicazione deve indicare l'amministrazione competente. L'oggetto del procedimento, il nome del responsabile del procedimento, il termine di conclusione del procedimento, l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Nei procedimenti d'ufficio la comunicazione di avvio del procedimento è funzionale a garantire il contraddittorio. L'omessa comunicazione rende annullabile il provvedimento finale, ma, come si è già sottolineato, l'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990 ha ristretto i casi in cui ciò può avvenire. B) L'ISTRUTTORIA L'istruttoria del procedimento ha lo scopo di accertare i fatti e di acquisire gli interessi rilevanti ai fini della determinazione finale. I fatti da accertare riguardano i presupposti e i requisiti richiesti dalla norma di conferimento del potere ovvero, secondo la l. n. 241/1990, «le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione del provvedimento» valutati dal responsabile del 66 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI procedimento. Gli interessi da acquisire entrano in gioco esclusivamente nei procedimenti relativi a poteri propriamente discrezionali, l'interesse pubblico cosiddetto primario, desumibile dalla norma di conferimento del potere, deve essere valutato e ponderato unitamente agli interessi secondari, pubblici e privati. L'istruttoria è retta dal principio inquisitorio. Il responsabile del procedimento «accerta d'ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari». Quest'ultimo effettua dunque di propria iniziativa le indagini necessarie, senza essere vincolato alle allegazioni dei soggetti privati e ciò perché l'esercizio dei poteri avviene per curare interessi pubblici. Nel procedimento amministrativo l'amministrazione può compiere tutti gli accertamenti necessari con le modalità ritenute più idonee. Il responsabile del procedimento deve anche compiere le verifiche della documentazione prodotta dalle parti e, in particolare, della veridicità dei dati autocertificati dall'interessato. Nella scelta dei mezzi istruttori l'amministrazione deve attenersi ai principi di efficienza e di economicità, evitando, come si è accennato, di aggravare il procedimento al di là di quanto necessario. I pareri, espressione della funzione consultiva, possono essere obbligatori o facoltativi. I primi sono previsti dalla legge in relazione a specifici procedimenti e l'omessa acquisizione rende illegittimo il provvedimento finale. L'amministrazione competente a esprimere il parere deve rilasciarlo entro un termine di 20 giorni. In caso di ritardo, l'amministrazione titolare della competenza decisionale può procedere indipendentemente dall'espressione del parere. I pareri facoltativi, invece, sono richiesti ove l'amministrazione procedente ritenga possano essere utili ai fini della decisione. In casi non frequenti, i pareri possono essere, oltre che obbligatori, anche vincolanti: l'amministrazione che li riceve non può assumere una decisione difforme dal contenuto del parere, neppure motivando le ragioni in relazione alle quali essa ritiene di discostarsi. I pareri obbligatori costituiscono una modalità di coordinamento tra amministrazioni che curano interessi pubblici distinti, ma con ambiti di interferenza. L'art. 17-bis della I. n. 241/1990, introdotto dall'art. 3 della l. n. 124/2015, allo scopo di accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti introduce un meccanismo inedito di silenzio-assenso tra amministrazioni. Il termine può essere interrotto nel caso in cui l'amministrazione che deve rendere l'assenso, il concerto o nullaosta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica motivate. Il silenzio-assenso tra amministrazioni non vale nel caso in cui il diritto dell'Unione europea richieda l'adozione di provvedimenti espressi. L'art. 17-bis non chiarisce peraltro se questo tipo di silenzio- assenso può essere annullato d'ufficio o revocato. L'attività istruttoria può essere effettuata anche con modalità informali. Le attività istruttorie compiute e le risultanze delle medesime vengono verbalizzate. In quanto provenienti da un'autorità amministrativa i verbali fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti che in essi risultino menzionati. L'istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto di intervenire e partecipare al procedimento. Ad essi l'amministrazione è tenuta a comunicare l'avvio del procedimento. Hanno facoltà di intervenire anche i portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. La partecipazione si sostanzia in due diritti. Il primo è quello di prendere visione degli atti del procedimento. Il secondo consiste nella possibilità di presentare memorie scritte che illustrano il punto di vista del soggetto interessato e documenti. Nel loro insieme essi concorrono a fondare il diritto alla partecipazione informata. L'amministrazione ha l'obbligo di valutare i documenti e le memorie presentate, ove pertinenti all'oggetto del procedimento facendone menzione nella motivazione del provvedimento. L'istruttoria è affidata al 67 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI secondo le normali regole vigenti per il processo amministrativo. Le ipotesi legislative di silenzio-assenso sono molto più numerose, in linea con la tendenza a rimuovere gli ostacoli alle attività dei privati. Il regime non vale anzitutto nei casi di provvedimenti autorizzatori. Non vale inoltre per i procedimenti che riguardano un elenco piuttosto lungo di interessi pubblici. Non vale in terzo luogo neppure nei casi in cui la normativa europea impone l'adozione di un provvedimento formale. Non vale in quarto luogo nei casi tassativamente previsti per legge di silenzio-rigetto. Non vale infine per i procedimenti individuati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri. L'amministrazione può evitare che si formi il silenzio-assenso non soltanto provvedendo nel termine previsto, ma anche indicendo entro 30 giorni dalla presentazione dell'istanza una conferenza di servizi. Il silenzio-assenso ha, come si è chiarito, valore provvedimentale. Ciò determina due conseguenze: il silenzio può essere oggetto di provvedimenti di autotutela sotto forma di revoca e di annullamento d'ufficio; può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo, per esempio da un soggetto terzo che vuol contrastare l'avvio dell'attività da parte del soggetto che ha presentato l'istanza. Sotto il profilo procedurale, quest'ultimo deve dichiarare sotto propria responsabilità la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge. In conclusione, il regime del silenzio- assenso non fa venir meno l'obbligo di provvedere in capo all'amministrazione, non altera la struttura del procedimento, ma incide solo sulla fase decisionale, introducendo un incentivo al rispetto del termine. In definitiva, il silenzio-assenso è una scorciatoia non risolutiva del problema del mancato rispetto dei termini che non giova né all'interesse pubblico né a quello privato. 3. Gli accordi integrativi e sostitutivi. Il provvedimento unilaterale costituisce l'esito normale e più frequente del procedimento amministrativo. Esiste tuttavia una modalità alternativa di conclusione del procedimento che la l. n. 241/1990 tende a favorire e cioè l'accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento. Là dove occorra valutare e ponderare più interessi di regola «è preferibile la composizione negoziata a quella imposta», anche perché si riducono i rischi di possibili contenziosi. Non è raro che il provvedimento unilaterale sia il frutto di un qualche contatto o negoziazione informale preventiva. L'accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è finalizzato a ricercare un miglior contemperamento tra l'interesse pubblico perseguito dall'amministrazione procedente e l'interesse del privato. L'accordo può essere promosso dal privato, il quale può presentare a questo fine osservazioni e proposte in sede di partecipazione al procedi mento. L'accordo fa salvi i diritti dei terzi che ben potrebbero contestarne i contenuti proponendo un'azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo, il responsabile del procedimento, per favorire l'accordo, può organizzare anche incontri informali con i soggetti privati interessati avviando veri e propri tavoli di trattativa. L'amministrazione non è tuttavia obbligata a concludere accordi integrativi o sostitutivi con i privati e può sempre optare per il provvedimento unilaterale non negoziato. Gli accordi devono essere stipulati per atto scritto, a pena di nullità, salvo che la legge disponga altrimenti e devono essere motivati. Ad essi si applicano i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Data la matrice pubblicistica degli accordi, le controversie relative alla loro conclusione ed esecuzione rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Gli accordi possono essere integrativi o sostitutivi del provvedimento. I primi servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale che viene emanato in attuazione dell'accordo. Sul piano formale il provvedimento mantiene la sua configurazione di atto unilaterale 70 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI produttivo di effetti. Gli accordi integrativi pongono la questione se il mancato o parziale recepimento dei suoi contenuti nel provvedimento finale renda quest'ultimo illegittimo. Negli accordi sostitutivi gli effetti giuridici si producono in via diretta con la conclusione dell'accordo, senza necessità di un atto formale di recepimento. Tuttavia, a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, gli accordi devono essere preceduti da una determinazione dell'organo competente per l'adozione del provvedimento la quale autorizza e stabilisce i limiti della negoziazione. In questo modo si recupera indirettamente, a monte dell'accordo, un momento di unilateralità. Un altro momento di unilateralità può emergere anche dopo la conclusione dell'accordo. Infatti, l'amministrazione, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può recedere dall'accordo e ciò anche se il recesso non sia espressamente previsto in quest'ultimo. Il recesso ha cioè fonte legale ed è dunque espressione di un potere in senso proprio. Non va pertanto confuso con il recesso dai contratti già esaminato. Il potere di recesso è invece riconducibile alla revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990. Ad esso si accompagna l'obbligo di liquidare un indennizzo per gli eventuali danni subiti dal privato. La disciplina degli accordi ha il valore simbolico di proporre l'immagine di un'amministrazione più aperta al dialogo e ai contributi propositivi dei privati. Nella pratica, peraltro, gli accordi sono ancora poco utilizzati. PROCEDIMENTI SEMPLICI, COMPLESSI, COLLEGATI. IL SUBPROCEDIMENTO I procedimenti possono avere una struttura semplice o complessa a seconda del loro oggetto, del numero e della natura degli interessi pubblici e privati incisi e dunque della necessità di coinvolgere una pluralità di amministrazioni. Si spazia tra due estremi: procedimenti autorizzatori semplici nei quali la sequenza procedimentale consiste soltanto in una domanda o istanza, in un'istruttoria limitata a poche verifiche documentali e in una decisione affidata a un'unica autorità; procedimenti complessi che richiedono accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali e locali. Talvolta i subprocedimenti si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche soggettive. Producono cioè effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all'effetto giuridico primario riferibile al provvedimento assunto a conclusione del procedimento. Questa fase è volta a individuare, in applicazione di requisiti minimi di capacità tecnica e finanziaria definiti dal bando di gara, le imprese ammesse alle fasi successive di presentazione e valutazione delle offerte che si concludono con l'aggiudicazione. Inoltre, dopo la conclusione della fase di valutazione delle offerte vi è una fase di verifica delle eventuali offerte anomale che dà origine a un subprocedimento in contraddittorio che può concludersi anche in questo caso con l'esclusione dall'impresa. La non ammissione alla presentazione di un'offerta al termine della fase di prequalifica e l'esclusione dell'impresa che ha presentato un'offerta anomala a conclusione del subprocedimento di verifica sono ad un tempo atti endoprocedimentali o provvedimenti autonomi: endoprocedimentali, perché fanno parte della sequenza che dal bando di gara si sviluppa fino al provvedimento finale di aggiudicazione; autonomi, in quanto producono effetti giuridici negativi nella sfera giuridica del loro destinatario e sono dunque suscettibili di impugnazione immediata. Un punto fermo è che l'unitarietà del procedimento si ha solo nel Caso in cui nessuno degli atti endoprocedimentali è suscettibile di produrre effetti giuridici esterni. In caso contrario 71 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI potrebbe essere più corretto ricorrere alla nozione di procedimenti autonomi ancorché collegati. In termini generali, si parla di procedimenti collegati nelle ipotesi in cui una pluralità di procedimenti, da avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali a un risultato unitario. I procedimenti di primo grado e di secondo grado. Gli uni sono finalizzati all'emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti esterni e alla cura di un interesse pubblico. Gli altri hanno invece per oggetto provvedimenti già emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l'interesse pubblico. Un'altra distinzione è tra procedimenti finali e strumentali. Mentre i primi sono funzionali alla cura immediata di interessi pubblici nei rapporti esterni con i soggetti privati, i secondi hanno una funzione prevalentemente organizzatoria e riguardano principalmente la gestione del personale e delle risorse finanziarie. Un'ulteriore distinzione è tra procedimento in senso proprio e procedura interna all'amministrazione. Il primo si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina nella legge o in una fonte normativa in senso proprio. La procedura interna riguarda invece gli atti e adempimenti interni all'amministrazione che sono previsti da regole di tipo organizzativo. LA CONFERENZA DI SERVIZI E ALTRE FORME DI COORDINAMENTO La l. n. 241/1990 individua come strumento principale di coordinamento e di accelerazione dei tempi delle decisioni la conferenza di servizi. Alcune fattispecie di conferenza di servizi sono disciplinate da leggi speciali. la conferenza di servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta interessate che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il proprio punto di vista e, nel caso di conferenza decisoria, anche a deliberare. Con la conferenza di servizi viene meno la sequenzialità degli atti endoprocedimentali attribuiti alla competenza di ciascuna amministrazione. I rappresentanti delle amministrazioni sono chiamati a un confronto e a operare una valutazione dell'interesse pubblico affidato alla cura di ciascuna di esse, in connessione con gli altri interessi pubblici curati dalle altre amministrazioni che partecipano alla conferenza. La l. n. 241/1990 distingue tre tipi di conferenza di servizi: istruttoria, decisoria, preliminare. 1. La conferenza di servizi istruttoria è sempre facoltativa e ha la funzione di promuovere un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento singolo o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti medesime attività o risultati. Nel caso di procedimento attribuito alla competenza di una sola amministrazione, la conferenza di servizi istruttoria serve a raccogliere in un unico contesto, e con il confronto di tutti gli uffici interni interessati, gli elementi. 2. La conferenza di servizi decisoria è un modulo procedimentale volto a sostituire i singoli atti volitivi e valutativi delle amministrazioni competenti a emanare «intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati», che devono essere acquisiti per legge da parte dell'amministrazione procedente. La conferenza è convocata dall'amministrazione procedente, anche su richiesta del soggetto privato interessato, nei casi in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo autorizzativo che condizionano l'avvio di un'attività. La conferenza si conclude con un verbale nel quale sono riportate le posizioni espresse da ciascuna amministrazione partecipante. Sulla base del verbale, che, è ancora un atto a rilevanza interna non impugnabile, l'amministrazione procedente assume una determinazione motivata di conclusione del procedimento che «sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso comunque 72 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI 2. La dichiarazione di pubblica utilità costituiva in passato una fase essenziale del procedimento di esproprio essendo volta ad accertare la conformità dell'opera da realizzare all'interesse pubblico, così da giustificare il trasferimento coattivo del diritto di proprietà dei terreni sui quali è prevista la costruzione dell'opera. In molti casi infatti la dichiarazione di pubblica utilità è implicita, perché costituisce uno degli effetti automatici prodotti da alcuni atti come l'approvazione del progetto definitivo di un'opera pubblica, oppure l'approvazione di un piano particolareggiato o di lottizzazione. Si ritiene infatti che con questi atti risulti accertato in re ipsa l'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera. La dichiarazione di pubblica utilità ha a sua volta un'efficacia temporalmente limitata e prima della scadenza del termine deve intervenire il decreto di esproprio. La scadenza del termine ha natura perentoria e comporta l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. 3. Il decreto di esproprio determina il trasferimento del diritto di proprietà dal soggetto espropriato al soggetto nel cui interesse il procedimento è stato avviato. A questo effetto si aggiunge anche l'estinzione automatica dei diritti reali o personali gravanti sul bene espropriato, salvo quelli compatibili con i fini cui l'espropriazione è preordinata. l'efficacia del provvedimento non è immediata, ma è subordinata a due Condizioni sospensive. Infatti, l'effetto traslativo si produce in seguito alla notifica e all'esecuzione del decreto, che deve avvenire nel termine perentorio di due anni mediante l'immissione in possesso del beneficiario dell'esproprio. 4. Il decreto di esproprio deve indicare l'importo dell'indennità che è quantificato all'esito di una fase in contraddittorio con gli interessati. Infatti, non appena è divenuta efficace la dichiarazione di pubblica utilità, il promotore della procedura espropriativa formula ai proprietari un'offerta. possono indicare il valore da attribuire al bene ai fini della determinazione dell'indennità. L'autorità procedente, valutate le osservazioni degli interessati, determina in via provvisoria la misura dell'indennità. Nei 30 giorni successivi i privati possono comunicare all'autorità espropriante una dichiarazione irrevocabile di assenso rispetto alla proposta. In questa ipotesi il beneficiario dell'espropriazione e il proprietario possono stipulare la cessione volontaria del bene, con il pagamento immediato dell'indennità concordata. Se il privato non accetta la proposta, o comunque decorsi inutilmente 30 giorni dalla notifica dell'atto che determina l'indennità provvisoria, l'autorità competente emana il decreto di esproprio e deposita l'indennità provvisoria rifiutata presso la Cassa depositi e prestiti. Da questo momento in poi il procedimento per la determinazione in via definitiva dell'indennità ha uno svolgimento autonomo, con un'ulteriore fase di contraddittorio con il privato, che può nominare anche un tecnico di fiducia. Il procedimento prevede, in ultima battuta, l'intervento di una commissione provinciale istituita presso l'ufficio tecnico erariale che procede alla determinazione definitiva dell'importo. A questo punto il proprietario che intenda contestare quest'ultima può avviare un procedimento innanzi alla Corte d'appello per ottenere una determinazione in via giudiziale dell'indennità. Il giudizio deve essere instaurato entro 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio o della stima peritale. Il procedimento di esproprio è espressione di un potere tipicamente unilaterale. Tuttavia l'ordinamento tende a favorire soluzioni consensuali attraverso l'istituto della cessione volontaria del bene. Quest'ultima è configurata come un diritto soggettivo dell’espropriando nei confronti del beneficiario dell'espropriazione che può essere esercitato fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio. In definitiva, il procedimento di espropriazione si 75 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI caratterizza per la presenza in tutte le fasi di garanzie del contraddittorio particolarmente rigorose. La vicenda espropriativa può dar luogo al fenomeno, cui si è fatto cenno in precedenza, dei procedimenti collegati in parallelo. Avviato il procedimento di espropriazione e, più precisamente, subito dopo che sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità e prima dell'emanazione del decreto di esproprio, l'amministrazione può avviare il procedimento di occupazione d'urgenza al fine di acquisire immediatamente la disponibilità materiale del bene e di intraprendere i lavori per la realizzazione dell'opera pubblica. Vi sono tre ipotesi: allorché l'amministrazione ritenga che l'avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza tale da non consentire il perfezionamento del procedimento ordinario; in relazione ai progetti delle grandi opere pubbliche previste dalla cosiddetta legge obiettivo per le quali l'urgenza è già accertata per legge; allorché la procedura espropriativa riguardi più di cinquanta proprietari. Anche il procedimento di occupazione d'urgenza prevede un contraddittorio con i proprietari nella fase di immissione nel possesso dei loro beni. La retrocessione consiste infatti nel diritto del soggetto espropriato di riacquistare la proprietà del bene nei casi in cui l'opera pubblica non viene realizzata o non tutto il bene espropriato viene utilizzato. La retrocessione totale può essere richiesta di regola dopo dieci anni dall'esecuzione del decreto di espropriazione ed è previsto il pagamento di una somma a titolo di indennità. La retrocessione parziale ha per oggetto le parti del bene espropriato che non siano state utilizzate una volta completata l'opera pubblica. Il comune ha tuttavia un diritto di prelazione sull'area inutilizzata che può essere così acquisita al patrimonio indisponibile dell'ente territoriale. Il corrispettivo a carico del soggetto che richiede la retrocessione è determinato tra le parti e in caso di mancato accordo può essere avviata la stessa procedura prevista per la determinazione dell'indennità di esproprio innanzi alla commissione provinciale. Conviene infine menzionare la cosiddetta acquisizione sanante, oggetto di interventi normativi e di pronunce della Corte costituzionale. L'istituto in questione consente all'amministrazione che ha occupato sine titulo un bene per scopi di pubblica utilità, che ha visto annullati dal giudice amministrativo o che abbia annullato d'ufficio in pendenza di giudizio i provvedimenti emanati di disporne l'acquisizione, non retroattiva, al suo patrimonio indisponibile. Il provvedimento deve prevedere un indennizzo corrispondente al valore venale del bene e un risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo. Il provvedimento di acquisizione richiede una motivazione puntuale in particolare «in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione». In definitiva, una siffatta compressione del diritto di proprietà, che ha superato il vaglio di costituzionalità, deve costituire una sorta di extrema ratio. B) LE SANZIONI PECUNIARIE E DISCIPLINARI Il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni, al pari di quello espropriativo, è strutturato in modo da garantire il rispetto del principio del contraddittorio. Il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni di tipo pecuniario è disciplinato in termini generali dalla legge 1981, n. 689 che distingue più fasi: l'accertamento; la contestazione degli addebiti; l'ordinanza-ingiunzione. Quest'ultima può essere oggetto di un'opposizione, cioè di una fase di verifica giurisdizionale. 76 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI 1. Vi è anzitutto la fase dell'accertamento che consiste in un'attività di raccolta e di prima valutazione di elementi di fatto suscettibili di integrare una fattispecie di illecito amministrativo. L'attività preprocedimentale, come si è visto, consiste nell'assunzione di informazioni, in rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, in ispezioni di cose e luoghi le in altre operazioni tecniche. Queste attività sono effettuate dagli agenti accertatori individuati nelle normative di settore, come gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria e gli organi amministrativi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista una sanzione pecuniaria. Le attività poste in essere e le risultanze delle medesime confluiscono in un processo verbale redatto dall'agente accertatore. Il verbale fa piena prova fino a querela di falso in relazione agli elementi fattuali oggettivi. 2. Se l'accertamento fa emergere la violazione di norme amministrative, l'ufficio competente procede alla contestazione dell'illecito al trasgressore. Ove possibile essa deve essere immediata e in ogni caso deve essere notificata nel termine di 90 giorni dall'accertamento. Questo termine ha natura perentoria in quanto il suo decorso determina l'estinzione dell'obbligazione del pagamento della somma dovuta. L'immediatezza o il termine breve per la contestazione costituiscono una prima garanzia per l'interessato, perché il decorso di un lungo lasso di tempo può rendergli più difficoltosa la ricostruzione dei fatti e l'individuazione di elementi a difesa. La contestazione deve indicare con sufficiente precisione gli elementi di fatto suscettibili di essere sussunti in una fattispecie sanzionatoria. Entro 30 giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono presentare scritti difensivi e documenti. Possono anche chiedere di essere sentiti personalmente dall'autorità amministrativa. entro 60 giorni dalla notificazione della contestazione l'interessato può procedere all'oblazione, cioè al pagamento di una somma ridotta, che estingue l'obbligazione pecuniaria senza che si proceda a un accertamento definitivo dell'illecito. 3. Ove ritenga provata la violazione all'esito della valutazione degli elementi istruttori e dell'eventuale audizione orale, l'autorità procedente emana l'ordinanza-ingiunzione che determina l'ammontare della sanzione pecuniaria e ingiunge al trasgressore il pagamento della medesima, insieme con le spese, entro un termine di 30 giorni. Il pagamento deve avvenire entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. L'ordinanza-ingiunzione vale come titolo esecutivo. 4. Contro l'ordinanza-ingiunzione può essere proposta opposizione innanzi al giudice ordinario entro un termine di 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. La giurisdizione del giudice ordinario si giustifica in quanto la situazione giuridica soggettiva del soggetto nei cui confronti viene irrogata la sanzione ha la consistenza di un diritto soggettivo. la vicenda sanzionatoria, attesa la natura vincolata del potere, può essere sussunta nella categoria delle obbligazioni pubbliche ex lege, secondo lo schema norma- fatto-effetto giuridico. Di conseguenza l'oggetto del giudizio innanzi al giudice ordinario non consiste nell'accertamento della legittimità dell'ordinanza-ingiunzione, bensì nell'accertamento dei presupposti di fatto e di diritto della violazione e, di conseguenza, della sussistenza della pretesa creditoria dell'amministrazione e del correlato obbligo al pagamento della somma di danaro in capo al trasgressore. Tale obbligo sorge nel momento in cui è commesso l'illecito e non anche quando è emanata l'ordinanza- ingiunzione e ciò si ricava indirettamente dalla disposizione secondo la quale l'obbligazione si estingue in caso di omessa notificazione della contestazione nel termine 77 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI informale si può avere quando non vi siano soggetti controinteressati per i quali si ponga un problema di riservatezza. La richiesta può essere anche verbale, è esaminata immediatamente e, senza formalità ed è accolta senza l'adozione di un particolare atto, ma, più semplicemente, mediante l'esibizione del documento o l'estrazione di copia. L'accesso formale è necessario nei casi in cui l'amministrazione riscontri l'esistenza di potenziali controinteressati, o quando sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente sotto il profilo dell'interesse o sulla accessibilità di un documento in relazione alle norme sull'esclusione e in altre ipotesi che richiedono una valutazione più approfondita. La richiesta va presentata anche in via telematica e deve indicare gli estremi del documento o gli elementi che consentano di individuarlo. Essa deve inoltre essere motivata sotto il profilo dell'interesse diretto, concreto e attuale connesso all'oggetto della richiesta. Il procedimento prevede una fase di contraddittorio con i soggetti controinteressati ai quali l'amministrazione deve dar comunicazione della richiesta presentata con l'assegnazione di un termine di 10 giorni per l'eventuale presentazione di un'opposizione motivata. L'accesso è gratuito e consiste nell'esame dei documenti presso l'ufficio con la presenza, ove ritenuta necessaria, di personale addetto. L'accesso è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata. Il procedimento di accesso deve concludersi entro 30 giorni dalla richiesta. Decorso il termine la richiesta «si intende respinta», si forma, cioè, come si è già accennato, il silenzio-diniego. Il provvedimento che rifiuta, limita o differisce l'accesso deve essere motivato. L'atto di accoglimento della richiesta indica l'ufficio e il periodo di tempo concesso per prendere visione o per ottenere copia dei documenti. Il procedimento può concludersi, oltre che con un provvedimento che concede o nega l'accesso, anche con un provvedimento che dispone il differimento. Quest'ultimo si giustifica nei casi in cui l'accesso possa compromettere, il buon andamento dell'azione amministrativa, fermo restando che una volta concluso il procedimento non vi è alcuna ragione per non rendere disponibile agli interessati l'intera documentazione. Anche qui, nella scelta tra diniego e differimento, sembra esservi spazio per una qualche valutazione discrezionale. Contro il diniego espresso o tacito può essere proposto un ricorso giurisdizionale entro 30 giorni innanzi al giudice amministrativo. Il processo si può concludere con una sentenza di condanna che ordina l'esibizione dei documenti richiesti. In alternativa al ricorso giurisdizionale, la l. n. 241/1990 prevede, in prima battuta, un ricorso amministrativo esperibile, a seconda dei casi, innanzi al difensore civico o alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri. che si devono pronunciare entro 30 giorni. Decorso inutilmente questo termine, il ricorso si intende respinto e può essere proposto ricorso in sede giurisdizionale. Se ritengono illegittimi il diniego o il differimento dell'accesso, il difensore civico o la Commissione lo comunicano all'autorità amministrativa. Se quest'ultima non emana un provvedimento confermativo motivato entro 30 giorni, «l'accesso è consentito», cioè si forma un silenzio-assenso. L'accesso civico è disciplinato dal d.lgs. n. 33/2013 e si caratterizza per il fatto di non richiedere la titolarità di una situazione giuridica soggettiva in capo al richiedente. La richiesta di accesso civico non riguardante documenti la cui pubblicazione è obbligatoria deve essere comunicata dall'amministrazione a eventuali controinteressati che possono presentare una opposizione motivata. Il procedimento deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di 30 giorni. Nel caso di diniego il richiedente può presentare una richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. 80 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI CAPITOLO OTTAVO - L'ORGANIZZAZIONE NOZIONE, FONTI NORMATIVE E PRINCIPI GENERALI In termini generalissimi l'organizzazione può essere definita come una unità di persone, strutturata e operante su base continuativa al fine di perseguire scopi comuni che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente. Ogni organizzazione ha una propria struttura gestionale. che stabilisce funzioni e ruoli e attribuisce compiti e responsabilità ai singoli appartenenti. Una distinzione elementare è tra organizzazioni informali o di fatto e organizzazioni formali o di diritto. L'organizzazione pubblica è disciplinata nel nostro ordinamento da una pluralità di fonti che, assommate, regolano la struttura degli apparati amministrativi in modo molto minuzioso. Al livello più alto si colloca la Costituzione. Essa enuncia anzitutto i principi generali dell'imparzialità e del buon andamento, ai quali devono ispirarsi sia l'attività sia l'organizzazione degli apparati pubblici, e il principio autonomistico. Individua poi i livelli di governo chiarendo che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. Prevede in particolare, come articolazioni fondamentali dello Stato, i ministeri, demandando alla legge statale il compito di determinarne il numero, le attribuzioni e l'organizzazione e di disciplinare gli enti pubblici nazionali. Dedica l'intero Titolo V all'organizzazione e ai poteri di regioni, province e comuni. Enumera in particolare gli organi delle regioni precisandone le funzioni (art. 121). Demanda invece alla legge statale il compito di individuare gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitana. La Costituzione stabilisce ancora che nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. A livello europeo, l'art. 298 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea pone il principio di un'amministrazione «aperta, efficace e indipendente». In attuazione della Costituzione, numerose fonti legislative primarie disciplinano l'organizzazione dei ministeri e della presidenza del Consiglio dei ministri, degli enti locali e degli apparati ed enti pubblici di più antica o recente istituzione. L'organizzazione statale è disciplinata anzitutto con regolamenti governativi. Inoltre, le amministrazioni pubbliche, mediante atti organizzativi emanati secondo i rispettivi ordinamenti individuano le linee fondamentali dell'organizzazione degli uffici, nonché gli uffici di maggiore rilevanza e determinano le dotazioni organiche complessive. Gli atti organizzativi in questione sono pubblicati, insieme alle direttive, ai programmi, alle istruzioni e alle circolari, secondo le modalità previste dai singoli ordinamenti. In attuazione delle fonti normative pubblicistiche che disciplinano la macro-organizzazione, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici, nonché le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte, dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Una fonte di disciplina dell'organizzazione amministrativa, da considerare anche per gli sviluppi sull' operatività delle pubbliche amministrazioni, è costituita dal Codice dell'amministrazione digitale (CAD). Dalle fonti costituzionali e legislative si possono ricavare alcuni principi generali in materia di organizzazione. 1. Il principio del buon andamento ha risvolti non solo, in tema di attività della pubblica amministrazione, ma anche di organizzazione. Questa seconda dimensione emerge in disposizioni legislative come quelle, che disciplinano la valutazione del personale; che 81 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI prevedono un sistema completo di controllo di gestione; che sottopongono le spese degli apparati a controlli rigorosi. 2. Il principio di imparzialità, anch'esso riferibile all'organizzazione oltre che all'attività, si esprime anzitutto nelle regole volte a far sì che la politica non si ingerisca nell'amministrazione e in particolare, nel principio organizzativo della distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo proprie dei vertici politici delle amministrazioni e funzioni di gestione riservate ai dirigenti. Esso inoltre sta alla base dell'obbligo del responsabile del procedimento e dei titolari degli uffici di dichiarare situazioni di conflitto di interessi e pertanto di astenersi dall'esercizio dei propri poteri. È sotteso poi al principio della rotazione degli incarichi dirigenziali anche a fini di anticorruzione. Anche la regola del concorso per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mira a garantire l'imparzialità, oltre che il buon andamento. 3. Si è già fatto cenno al principio di pubblicità e di trasparenza riferito al procedimento amministrativo. La normativa anticorruzione sviluppa anche una dimensione organizzativa del principio di trasparenza. Il d.lgs. n. 33/2013 impone infatti alle pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti e di aggiornare le informazioni e i dati concernenti la propria organizzazione. La dimensione organizzativa del principio di trasparenza si esprime poi nella già ricordata figura del responsabile della trasparenza, di norma coincidente con il responsabile per la prevenzione della corruzione. È stato introdotto inoltre il programma triennale per la trasparenza e l'integrità che definisce le misure, i modi e le iniziative volti all'attuazione dei molteplici obblighi di pubblicazione introdotti. Reso obbligatorio anche l'inserimento nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni di una sezione denominata Amministrazione trasparente. 4. La Costituzione enuncia il principio autonomistico che ispira i rapporti tra Stato ed enti territoriali. Come chiarisce meglio l'art. 114, la Repubblica è composta, oltre che dallo Stato, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni, definiti come «enti autonomi». 5. II principio autonomistico ha implicazioni su diversi versanti: autonomia statutaria, titolarità di funzioni proprie distribuite in base al già menzionato principio di sussidiarietà verticale (art. 118), autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119), potestà legislativa e regolamentare (art. 117). Il principio autonomistico trova un bilanciamento nel principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, dal quale derivano obblighi di consultazione e informazione reciproci, doveri di coordinamento, ecc. Pur non trovando un riferimento espresso nella Costituzione, il principio di leale collaborazione è estrapolato dall'art. 4, comma 3, TUE che lo enuncia con riferimento ai rapporti tra l'Unione e gli Stati membri. 6. Le pubbliche amministrazioni devono assicurare, in coerenza con l'ordinamento europeo, l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. PERSONE GIURIDICHE ORGANI E UFFICI Le persone giuridiche pubbliche, hanno dunque la medesima capacità giuridica delle persone giuridiche private, salvo il regime derogatorio che può derivare da norme speciali. Lo Stato costituisce poi, come è stato detto, la persona giuridica per eccellenza o 82 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI Manca in ogni caso nel nostro ordinamento una definizione legislativa di pubblica amministrazione alla quale si ricolleghi l'applicazione di un corpo di regole e principi omogeneo. Molte leggi amministrative settoriali individuano il proprio campo di applicazione attraverso un elenco tassativo di enti. Alcune leggi invece prevedono che esse si applichino alle pubbliche amministrazioni senza darne una definizione precisa. La necessità di costruire in via interpretativa, secondo un approccio funzionale, la nozione di pubblica amministrazione. Essa può essere desunta induttivamente dalle leggi amministrative settoriali che pongono definizioni o elenchi di enti e soggetti che rientrano nel loro campo di applicazione. Così può accadere che alcuni enti o soggetti ricadano in più definizioni legislative e che pertanto ad essi si applichino cumulativamente i regimi speciali pubblicistici posti dalle leggi settoriali. Prendendo a prestito nozioni della teoria degli insiemi, si potrebbe affermare che l'insieme degli enti che sono inclusi in tutti i regimi speciali in base alle definizioni previste dalle singole leggi amministrative di settore costituiscono la pubblica amministrazione in senso stretto. In esso rientrano principalmente le amministrazioni statali le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici non economici le autorità indipendenti. L'insieme degli enti che sono inclusi in uno solo o in pochi regimi speciali pubblicistici vanno considerati invece come casi eccezionali di espansione del diritto amministrativo a soggetti privati o, tutt'al più, come pubbliche amministrazioni in senso lato. I principali regimi speciali da considerare sono principalmente quelli relativi al pubblico impiego, al procedimento amministrativo, ai contratti pubblici, alla finanza pubblica. 1. Un primo gruppo di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel citato d.lgs. n. 165/2001 che pone la disciplina generale dell'organizzazione degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro. 2. Un secondo gruppo di norme pubblicistiche è costituito dalla disciplina del procedimento amministrativo contenuta nella l. n. 241/1990 che rende anche applicabili in modo inderogabile alcune disposizioni della legge genericamente «a tutte le amministrazioni pubbliche». Ancora, la l. n. 241/1990 si applica anche ai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative. Inoltre, ai fini dell'applicazione del diritto di accesso, la l. n. 241/1990 intende per pubblica amministrazione tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dal diritto comunitario. 3. Un terzo gruppo di norme pubblicistiche riguarda i contratti per l'acquisto di beni, servizi e lavori nel Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 50/2016. Il Codice pone una serie di definizioni riferite sia a tipologie di contratti sia, per quel che qui rileva, di soggetti volta a individuare in modo specifico le parti del Codice e le procedure di volta in volta applicabili. 4. Un quarto gruppo di regole speciali attiene al cosiddetto Patto di stabilità e crescita concordato in sede europea che impegna gli Stati aderenti a porsi obiettivi di pareggio di bilancio nel medio termine. A questo fine in Italia è stato approvato il cosiddetto Patto di stabilità interno che attribuisce al governo strumenti per vincolare al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica anche le regioni e gli enti locali. I criteri principali per individuare le amministrazioni pubbliche e per distinguerle dal settore delle imprese sono i seguenti: deve trattarsi di enti che producono beni e servizi che non siano destinati alla vendita sul libero mercato; i beni e servizi devono essere invece messi a disposizione 85 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI della collettività gratuitamente; l'attività dell'ente deve essere finanziata in prevalenza a carico delle finanze pubbliche. L'elenco dell'ISTAT, formato sulla base di questi criteri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e aggiornato periodicamente, suddivide le amministrazioni pubbliche in tipologie: enti di regolazione dell'attività economica, agenzie, enti a struttura associativa. Volendo provare a sintetizzare i tratti caratterizzanti delle pubbliche amministrazioni, ricavandoli induttivamente dagli elenchi e dai criteri posti dalle principali normative speciali, si può anzitutto dire, in negativo, che esse si collocano al di fuori del mercato, nel senso che esse non producono beni e servizi resi sulla base di prezzi che consentano di realizzare i ricavi atti a coprire i costi e a produrre utili. In positivo, la caratteristica propria delle pubbliche amministrazioni è quella di produrre beni pubblici materiali o immateriali, quelli che cioè il mercato non è in grado di garantire in modo adeguato con finalità anche redistributive. Il finanziamento di tali attività è posto in prevalenza a carico della collettività attraverso il ricorso alla tassazione. Tali attività possono consistere, a seconda delle funzioni attribuite alla singola amministrazione, sia nell'emanazione di atti o provvedimenti amministrativi, sia in attività materiali sia in erogazione di danaro. Una definizione di pubblica amministrazione è posta a livello europeo. In pratica, la nozione europea si riferisce soltanto al nucleo ristretto di incarichi e di figure professionali che partecipano in modo diretto o indiretto all'esercizio dei poteri pubblici e alla tutela degli interessi generali dello Stato. LO STATO Il modello originario di ministero, al cui vertice si colloca il ministro, punto di raccordo tra politica e amministrazione e di collegamento con il circuito politico rappresentativo, si connotava per la sua compattezza e unitarietà, secondo il principio gerarchico. Gli uffici e le strutture operative di ciascun ministero, preposte alle singole funzioni, erano inclusi in unità di livello via via superiore fino al vertice della piramide, costituito dal ministro responsabile dell'intera attività e centro di imputazione unitario delle competenze. In base all'art. 95, Cost. spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri. Il d.lgs. n. 300/1999 contiene l'elenco completo dei ministeri, pone una disciplina generale della loro organizzazione centrale e periferica, specifica le attribuzioni e le principali aree funzionali dei singoli ministeri. Ciascun ministero è disciplinato poi da un regolamento governativo che ne specifica l'organizzazione, prevede la dotazione organica, individua gli uffici di livello dirigenziale generale. L'organizzazione dei ministeri è di due tipi a seconda che le strutture di primo livello siano formate da dipartimenti o da direzioni generali. Il modello dipartimentale è previsto per i ministeri preposti a una pluralità di ambiti di intervento, mentre quello per direzioni generali riguarda ministeri con competenze più omogenee e circoscritte. I dipartimenti assicurano l'esercizio organico e integrato di funzioni e, «compiti finali riguardanti grandi aree di materie omogenee». Ad essi è preposto un capo di dipartimento che, in attuazione degli indirizzi del ministro, coordina gli uffici di livello dirigenziale generale afferenti al singolo dipartimento. L'incarico di capo di dipartimento ha una connotazione marcatamente fiduciaria ed è conferito con un procedimento che coinvolge i vertici istituzionali dell'ordinamento. I ministeri strutturati in direzioni generali possono prevedere come figura di coordinamento un segretario generale, nominato con le stesse modalità dei capi di dipartimento, che funge da raccordo tra ministro e i dirigenti preposti alle direzioni generali. In tutti i ministeri sono istituiti uffici di diretta 86 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI collaborazione con il ministro. Alcuni compiti dei ministri possono essere delegati ai sottosegretari di Stato, usualmente nominati all'atto di insediamento di un nuovo governo. La principale struttura periferica è la Prefettura - Ufficio territoriale del governo. A quest'ufficio, che ha il compito di assicurare l'esercizio coordinato dell'attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato e la leale collaborazione con gli enti locali, è preposto il prefetto sottoposto alle direttive del presidente del Consiglio dei ministri e dei singoli ministri. A livello regionale, il raccordo con lo Stato è assicurato dal commissario del governo, con sede in ciascun capoluogo regionale, che dipende funzionalmente dalla presidenza del Consiglio dei ministri. Rispetto allo Stato, dotato di personalità giuridica, i singoli ministeri possono essere definiti come organi. Ciò anche se ad essi è riconosciuta, per consuetudine, una legittimazione sostanziale e processuale autonoma che assimila il loro regime a quello degli enti in senso proprio. Inoltre, Ciascun ministero ha una propria pianta organica, è titolare di fondi propri nell'ambito del bilancio dello Stato, gode di autonomia di spesa, è assegnatario di una dotazione di beni mobili e immobili. In ciascun ministero Opera un ufficio particolare, la ragioneria centrale che dipende organizzativamente e funzionalmente dalla ragioneria generale dello Stato, collocata presso il ministero dell'Economia e delle Finanze e che funge da raccordo per le questioni relative alla regolarità della gestione dei fondi di bilancio. Le agenzie, definite dal d.lgs. n. 300/1999 come strutture preposte allo svolgimento di attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale godono di autonomia operativa, ma sono sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza di un ministro. Dispongono di un organico e di un bilancio propri. Sono disciplinate da uno statuto approvato con regolamento governativo che definisce, in particolare, le attribuzioni del direttore generale e i poteri di vigilanza del ministro, prevede l'istituzione di un collegio dei revisori e di un organismo preposto al controllo di gestione. Presso la presidenza del Consiglio dei ministri operano anche la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. e la Conferenza Stato, città e autonomie locali, che talora si riuniscono come Conferenza unificata, presiedute dal presidente del Consiglio dei ministri. Le Conferenze hanno ruoli prevalentemente di coordinamento e consultivi. Talora adottano atti vincolanti. Alla presidenza del Consiglio dei ministri e, in particolare, al segretariato generale, afferisce, per gli aspetti organizzativi, l'avvocatura dello Stato. Si tratta di un organo ausiliario di rango non costituzionale che ha una duplice funzione: di consulenza generale, in taluni casi obbligatoria, e di rappresentanza legale in giudizio delle amministrazioni statali. Essa è articolata nell'avvocatura generale, situata a Roma, e nelle avvocature distrettuali, situate nei capoluoghi regionali ove hanno sede le Corti d'appello. Anche le regioni e altri enti pubblici possono avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato. Sul piano funzionale l'avvocatura dello Stato opera in modo indipendente e a questo fine è istituito, come organo di autogoverno, un consiglio. GLI ENTI TERRITORIALI: I COMUNI, LE PROVINCE, LE REGIONI Secondo l'art. 114 Cost., riformulato dalla legge costituzionale n. 3/2001 di modifica del Titolo V come sviluppo del principio autonomistico enunciato dall'art. 5 Cost., la Repubblica è costituita, oltre che dallo Stato, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane e dalle regioni, definiti come enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni. La Costituzione recepisce così «un disegno di tendenziale pari dignità istituzionale a tutti i livelli territoriali». Lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in tema di 87 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI capoluogo) uniti a contiguità territoriale e con rapporti di stretta integrazione in ordine all'attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali e alle relazioni sociali e culturali. La loro istituzione è stata disposta in concreto in parallelo al processo di riforma delle province. Sono organi della città metropolitana il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano, che è l'organo di indirizzo e controllo, e la conferenza metropolitana, che ha poteri propositivi e consultivi, nonché il potere di approvare lo statuto. La costituzione individua come organi di governo il consiglio regionale, la giunta, il presidente (art. 121), quest'ultimo eletto direttamente dalla popolazione. Le regioni possono disciplinare con legge regionale il sistema di elezione, sia pur nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge statale (art. 122), e individuare nello statuto la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento. Le singole regioni possono cioè richiedere «ulteriori forme e condizioni di autonomia» nelle materie di legislazione concorrente che possono essere attribuite con legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (cosiddetta Conferenza Stato-regioni) e la Conferenza Stato, città e autonomie locali. I due organi si riuniscono in Conferenza unificata in relazione a materie di interesse comune. Molte leggi amministrative affidano a questi organi, presieduti dal presidente del Consiglio dei ministri o da un suo delegato, il compito di esprimere un parere o un'intesa. Quest'ultima è rilevante soprattutto nei rapporti tra Stato e regioni poiché consente loro di assumere un ruolo di codecisione. La mancata intesa può essere superata con una delibera motivata del Consiglio dei ministri. La Corte Costituzionale ha valorizzato l'intesa nella sua versione «forte», cioè vincolante, anziché nella versione «debole», cioè con valore di parere non vincolante. In definitiva, le Conferenze realizzano la funzione di raccordo tra Stato centrale e autonomie territoriali, in una logica di equilibrio di poteri improntato al principio di leale cooperazione. GLI ENTI PUBBLICI 1. Una prima distinzione è tra enti pubblici disciplinati da leggi generali ed enti pubblici di tipo singolare, istituiti con una legge ad hoc. La legge generale assicura un'omogeneità di struttura ad enti che insistono su tutto il territorio nazionale. In generale, considerato il regime giuridico diversificato delle varie tipologie di enti pubblici nel nostro ordinamento vige il principio di atipicità degli enti pubblici. 2. Una seconda distinzione è tra enti pubblici nazionali e regionali, a seconda che si tratti di enti istituiti a livello statale o inseriti nell'ambito dell'ordinamento regionale. 3. Un'altra distinzione, alla quale si è già fatto cenno all'inizio del capitolo, è tra enti di tipo associativo e non associativo. I primi sono enti esponenziali di categorie o di gruppi. In molti di essi sono previsti organi di tipo rappresentativo. Anche gli ordini e i collegi professionali sono amministrati da organi collegiali i cui componenti sono eletti dagli iscritti all'albo. Gli enti non associativi hanno natura patrimoniale e sono gestiti generalmente da un consiglio di amministrazione con componenti nominati, a seconda dei casi, da ministeri ed enti di riferimento individuati dalla legge o dallo statuto. Gli enti di tipo associativo hanno riconosciuti generalmente ambiti di autonomia maggiori. 90 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI 4. Un'ulteriore distinzione è tra enti pubblici non economici ed economici, richiamata in vari testi legislativi. ¡Quanto a regime giuridico, gli enti pubblici non economici si connotano anzitutto per essere istituiti per realizzare uno scopo specifico e in questo si differenziano dagli enti territoriali a vocazione generale. Inoltre, sono sottoposti a poteri di vigilanza e di indirizzo più o meno penetranti da parte dei ministeri o delle regioni. Da qui l'espressione di enti strumentali per distinguerli dagli enti ad autonomia funzionale, come per esempio le università. Le risorse finanziarie di cui dispongono provengono in modo diretto o indiretto da fonti erariali, e pertanto, a differenza di molti enti pubblici economici, non operano nel mercato. Infine, esercitano la propria attività prevalentemente con moduli autoritativi. Gli enti pubblici economici hanno come particolarità il fatto che, mentre la loro organizzazione segue moduli pubblicistici, la loro attività ha natura imprenditoriale ed è retta dal diritto privato. ¡La parabola degli enti pubblici, dopo decenni di ascesa, sembra dunque aver imboccato una fase discendente con il recupero di modelli organizzativi privatistici, talora riadattati, con regole speciali, alle funzioni pubblicistiche mantenute pressoché inalterate. Un ultimo tema da considerare è la distinzione tra enti pubblici ed enti privati. In proposito, si è dubitato dell'utilità non solo di ricostruire una nozione unitaria di ente pubblico, ma anche di individuare i tratti distintivi dell'ente pubblico rispetto all'ente privato. La giurisprudenza più recente, come si è accennato, ha precisato che si tratta di una «nozione funzionale e cangiante» tale da escludere che il riconoscimento a un determinato ente della natura pubblica implica automaticamente l'applicazione integrale della disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione. In realtà, gli enti si prestano a essere collocati lungo una linea ideale che ha a un estremo le amministrazioni pubbliche per eccellenza (Stato ed enti territoriali), nella parte mediana, gli enti pubblici non economici, gli enti pubblici economici, e all'altro estremo gli enti pubblici economici disciplinati quasi esclusivamente dal diritto comune. Via via che ci si sposta verso il primo estremo prevalgono gli aspetti pubblicistici. Per risolvere le questioni relative alla qualificazione pubblica o privata di un ente, è stata elaborata la teoria degli indici della pubblicità. In assenza di un criterio univoco, si ricorre a un metodo induttivo che pone l'accento su una pluralità di caratteristiche, nessuna delle quali, presa singolarmente, appare risolutiva. Tra i vari indici o sintomi della pubblicità possono essere richiamati i seguenti: l'istituzione per legge; il fine pubblico che l'ente deve perseguire; il rapporto di strumentalità con lo Stato o un ente territoriale, in ragione del quale l'ente è sottoposto a poteri di indirizzo e di controllo; l'attribuzione per legge di poteri pubblicistici; il finanziamento a carico dell'erario; il carattere necessario dell'ente, cioè il fatto che la sua esistenza è per legge obbligatoria. Questi indici coincidono in gran parte con quelli individuati, muovendo da un altro criterio: i tratti caratterizzanti delle pubbliche amministrazioni. LE AUTORITÀ INDIPENDENTI Le autorità amministrative indipendenti costituiscono una tipologia di enti pubblici che, ha avuto diffusione soprattutto a partire dagli anni Novanta. Le autorità indipendenti si connotano, oltre che per un elevato tasso di tecnicità e di professionalità, per un marcato grado di indipendenza dal potere esecutivo. 1. Una prima ragione dell'indipendenza si riallaccia al dibattito politico-costituzionale sui cosiddetti poteri neutri, concepiti come elementi temperanti e moderatori nei sistemi 91 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI politici caratterizzati da forti contrapposizioni politiche e da fazioni. La tesi è che non tutti gli apparati pubblici devono mantenere un collegamento stretto con il circuito politico rappresentativo che risente spesso di logiche di breve periodo legate ai cicli elettorali. Una seconda ragione si riallaccia all'esigenza di garanzie rafforzate per taluni valori costituzionali nei settori cosiddetti sensibili. L'indipendenza si giustifica in terzo luogo per la necessità di prevenire conflitti di interessi tra Stato regolatore, che deve fungere da arbitro neutrale tra le imprese concorrenti, e Stato imprenditore, proprietario di imprese pubbliche, che ha invece interesse a favorire il loro sviluppo anche a scapito di quelle concorrenti. 2. Gli strumenti che tendono a garantire l'indipendenza si desumono, sia pur con qualche variazione, dalle leggi istitutive delle singole autorità. In primo luogo, le autorità indipendenti intrattengono un legame privilegiato con il parlamento piuttosto che con il governo. A quest'ultimo è invece precluso ogni potere di direttiva e di indirizzo. La nomina dei componenti dell'organo collegiale delle autorità è attribuita, non già al governo, come accade di regola per gli enti pubblici nazionali, bensì ai presidenti dei due rami del parlamento o comunque prevede un parere vincolante adottato a maggioranza qualificata dalle commissioni parlamentari competenti. Le autorità svolgono un ruolo attivo di consulenza nei confronti del parlamento attraverso il potere di segnalazione e di proposta finalizzato a sollecitare gli interventi legislativi ritenuti necessari nelle materie di competenza. Le autorità inviano infine al parlamento una relazione annuale. Un secondo presidio deriva dalla disciplina degli organi. Anzitutto il carattere collegiale assicura una minor influenzabilità delle decisioni. In secondo luogo, i componenti sono scelti in base a requisiti di professionalità, competenza e di indipendenza. In terzo luogo, la durata in carica dell'organo è particolarmente lunga e ciò garantisce un disallineamento rispetto al ciclo elettorale e dunque un distacco maggiore dagli equilibri politici del momento. Vige per le autorità la regola secondo la quale i componenti del collegio non possono essere confermati per un secondo mandato e ciò li rende meno influenzabili, perché immuni dalla tentazione di esercitare i poteri in modo compiacente, cioè nella speranza di essere rinnovati nell'incarico. Un terzo presidio è dato dall'ampia autonomia, organizzativa, funzionale e finanziaria delle autorità. Le leggi istitutive prevedono che esse operino «in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione». Esse possono inoltre disciplinare le proprie strutture interne con regolamenti di organizzazione. Possono dotarsi del personale di cui necessitano, entro i limiti numerici della pianta organica stabilita dalle leggi, sulla base di concorsi gestiti autonomamente. Un quarto presidio è, come si vedrà, l'inserimento in un circuito di autorità nazionali che fa capo a un regolatore europeo previsto nei Trattati o nel diritto derivato. 3. Passando a considerare i tratti più caratteristici del regime delle autorità indipendenti, il primo è che esse derogano, entro certi limiti, al principio della separazione dei poteri. L'attribuzione di poteri di regolazione molto estesi è resa necessaria in considerazione della già segnalata crisi della legge come strumento di disciplina di attività soggette a rapidi mutamenti tecnologici e di mercato e di complessità tecnica elevata. Le autorità sono dotate inoltre di poteri amministrativi che hanno per destinatarie singole imprese. Essi presuppongono valutazioni tecniche effettuate in base a parametri elastici. Infine, le autorità indipendenti svolgono funzioni di tipo giustiziale. Un secondo tratto distintivo è che esse esercitano i loro ampi poteri in forme paragiurisdizionali, espressione controversa che denota una certa assimilazione con il modo di operare degli organi giurisdizionali. Le leggi istitutive prevedono infatti, garanzie del contraddittorio rinforzate, cioè eccedenti la soglia minima 92 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI istituisca o designi un'autorità nazionale competente a garantire l'applicazione del nuovo complesso sistema normativo e pone il principio che deve essere salvaguardata l'obiettività e l'imparzialità della loro attività e che devono disporre di risorse finanziare e di personale sufficiente. LE RELAZIONI INTERORGANICHE E INTERSOGGETTIVE Le relazioni interne o interorganiche ed esterne o intersoggettive sono principalmente le seguenti: gerarchia, direzione, controllo, coordinamento, delega di funzioni, avvalimento. Essa connota sia il rapporto tra persone incardinate nella medesima struttura Ima anche il rapporto tra uffici. Il rapporto di gerarchia presuppone che le competenze dell'organo o ufficio sottordinato siano tutte incluse in quelle dell'organo o ufficio sovraordinato. Ciò spiega perché l'organo o ufficio gerarchicamente sovraordinato, oltre a emanare ordini puntuali, può esercitare anche il potere di avocare a sé un singolo affare usualmente rimesso alla competenza dell'organo o ufficio sottordinato; di sostituirsi a quest'ultimo in caso di inerzia; di risolvere conflitti insorgenti tra uffici sottordinati; di decidere sui ricorsi gerarchici proposti da soggetti terzi nei confronti degli atti emanati dall'organo subordinato; di annullare d'ufficio questi ultimi e di revocarli. Il rapporto di gerarchia non può sussistere invece nelle relazioni intersoggettive tra enti pubblici. Esso costituisce oggi un modello ad applicazione limitata (organizzazione militare, forze di polizia) essendo stato sostituito da modelli più rispettosi dell'autonomia e delle prerogative degli organi subordinati. 2. Il rapporto di direzione è meno intenso di quello di gerarchia. 3. Anche il controllo può avere natura interorganica (controlli interni) o intersoggettiva (controlli esterni) e dà origine a un rapporto di sovraordinazione tra l'organo o l'ufficio titolare del potere di controllo e il destinatario di quest'ultimo. Al titolare del potere di controllo è riconosciuta generalmente una posizione di indipendenza all'interno dell'organizzazione e ciò in considerazione della neutralità della funzione. 4. Risulta necessario citare i rapporti di equiparazione relativi a organi, uffici ed enti che non dipendono l'uno dall'altro, ma che sono chiamati a cooperare tra loro. Il coordinamento è un'esigenza primaria in un sistema amministrativo che ha acquisito una dimensione multilivello e di specializzazione delle funzioni. Nel modello gerarchico, il coordinamento è assicurato dalla presenza di un vertice unitario che assomma tutte le competenze. Anche nei rapporti di direzione, lo strumento della direttiva tende a promuovere, sia pur con minore intensità, la coerenza dell'attività amministrativa. È utile distinguere tra coordinamento politico-amministrativo, che attiene al livello costituzionale, e coordinamento amministrativo in senso stretto. Il livello costituzionale involge i rapporti interni al governo e quelli tra lo Stato, le regioni e il sistema delle autonomie locali. Nel primo ambito spetta al Consiglio dei ministri il compito di dirigere la politica generale, di mantenere l'unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. In contesti settoriali, il coordinamento tra una pluralità di ministeri è assicurato anche da comitati interministeriali previsti da varie leggi o istituiti ad hoc. Nel secondo ambito il coordinamento è garantito da strutture di raccordo quali, come si è accennato, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, la Conferenza Stato, città e autonomie locali, la Conferenza unificata in relazione a materie di interesse comune. Da ultimo è stato istituito, come accennato, il Nucleo PNRR Stato-regioni. A livello più propriamente amministrativo, numerosi strumenti mirano a coordinare le attività relative a uno o più procedimenti: le intese, i pareri, le 95 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI conferenze di servizi, gli accordi tra le amministrazioni, l'autorizzazione unica, gli sportelli unici, ecc. Anche gli organi di tipo collegiale, nei quali sia rappresentata una pluralità di amministrazioni, possono costituire una sede istituzionale stabile per il coordinamento. Talvolta la funzione di coordinamento è affidata a un organo in particolare, che, pur non potendo esercitare poteri di direttiva, promuove il raccordo tra le attività, lo scambio di informazioni, la valutazione congiunta dei risultati. Proprio a proposito delle autorità indipendenti è stata elaborata la nozione di relazione di indipendenza, da porre accanto a quelle di gerarchia e di direzione. In realtà, quella di indipendenza è, per così dire, una «non relazione», perché, al di fuori delle forme consensuali di coordinamento, la singola autorità può esercitare i propri poteri senza dover interagire con altri soggetti. Talvolta un ente o ufficio si mette a disposizione di un altro ente o ufficio per lo svolgimento di compiti e funzioni propri di quest'ultimo. IL DISEGNO ORGANIZZATIVO DEGLI ENTI PUBBLICI E LO SPAZIO REGOLATORIO Sono importanti due nozioni, meno tradizionali, che possono essere utili per lo studio degli apparati amministrativi: il disegno organizzativo degli enti pubblici e il cosiddetto spazio regolatorio. 1. Il primo consiste in una griglia di parametri e di indicatori che consentono di inquadrare comparativamente qualsiasi tipo di apparato pubblico. In questa sede basta indicare quelli principali. Un primo indicatore si riferisce alle fonti che disciplinano l'apparato. L'analisi delle fonti consente dunque di valutare anzitutto i margini di autonomia. Un secondo parametro riguarda la tipologia di organi previsti per ciascun ente, le modalità di nomina dei titolari dei medesimi e la ripartizione tra essi delle competenze. Leggi recenti, con funzione anche di contenimento della spesa, hanno poi ridotto il numero massimo dei componenti degli organi collegiali. Il principio organizzativo che presiede alla ripartizione delle competenze è quello della distinzione tra indirizzo e gestione: sempre più spesso all'organo preposto alla gestione è attribuita una competenza generale, riservando all'organo di indirizzo solo un elenco tassativo di competenze. Sempre con riguardo agli organi, altri indicatori sono la previsione o meno di requisiti di professionalità ed esperienza dei loro componenti e le modalità attraverso le quali essi vengono selezionati. Un terzo criterio prende in considerazione le funzioni e i poteri attribuiti all'ente dalla legge. Un quarto criterio analizza i controlli e la vigilanza ai quali è sottoposto l'ente. Un quinto indicatore è costituito dalle risorse finanziarie sulle quali può far affidamento l'ente. 2. Il disegno organizzativo tende a fornire un'immagine statica per così dire fotografica di ciascun apparato. La sua collocazione nel cosiddetto «spazio regolatorio» tende invece a coglierne l'aspetto dinamico all'interno di un sistema di relazioni in qualche misura pubblica» mobili tra apparati pubblici. Infatti, nessun attore, protagonista o comprimario, della cosiddetta «arena pubblica» agisce in modo isolato. Anzi in molti casi le competenze di ciascuno di essi si sovrappongono e talora entrano in conflitto con quelle di altri apparati. Inoltre gli attori pubblici operano in contesti nei quali interessi privati contrapposti cercano di influenzare i processi decisionali. La collocazione di un apparato all'interno dello spazio regolatorio dipende anche da elementi fattuali, come il prestigio acquisito nel tempo, l'autorevolezza dei suoi vertici, le alleanze occasionali o durevoli, le 96 COMPENDIO DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 1 – ARMANDO BIFFI relazioni personali tra i titolari delle funzioni, i condizionamenti dell'opinione pubblica, la crisi o la reviviscenza della politica e altri fattori contingenti. In definitiva, lo spazio regolatorio, più che un concetto giuridico, è la rappresentazione di un universo di apparati interdipendenti e in continua evoluzione. CAPITOLO NONO - I SERVIZI PUBBLICI PREMESSA Si trattava di servizi necessari per il benessere della collettività che il mercato non era in grado di offrire in quantità e qualità ritenute adeguate. E ciò per più ragioni: erano economicamente non profittevoli, richiedevano capitali ingenti per effettuare gli investimenti necessari; presentavano il rischio di dar origine a monopoli privati dannosi per gli utenti. Soltanto l'intervento diretto dei pubblici poteri, almeno in una prima fase, poteva risolvere questi problemi, con l'assunzione di un ruolo di supplenza rispetto alle insufficienze del mercato. La concezione oggettiva è più in linea con il già richiamato principio di sussidiarietà orizzontale volto a favorire il coinvolgimento dei privati nello svolgimento di attività di interesse generale (art. 118, ultimo comma, Cost.). Essa pone l'accento sul tipo di attività, connotata per la sua finalizzazione al benessere della collettività, a prescindere dal fatto che essa sia svolta da un soggetto pubblico o da soggetti privati, che anzi assumono un ruolo sempre più rilevante come fornitori dei servizi. La nozione di servizio pubblico, i cui confini peraltro restano ancor oggi in qualche misura indefiniti, ebbe una forza espansiva nella seconda metà del secolo scorso fino a diventare «un istituto cardine dell'intero diritto pubblico». Con l'avvio dei processi di liberalizzazione e di privatizzazione, il compito dello Stato non è più quello di erogare direttamente i servizi pubblici, ma garantire attraverso gli strumenti della regolazione che essi siano resi alla collettività, secondo livelli qualitativi e quantitativi adeguati, di regola da parte di gestori privati. Conviene dar conto di due classificazioni generali. In primo luogo, i servizi pubblici possono essere suddivisi, come si vedrà nel prossimo paragrafo, già in base al diritto europeo, in servizi aventi una rilevanza economica e in servizi non economici. I primi sono suscettibili di essere esercitati in forma imprenditoriale e si prestano più naturalmente a essere gestiti, come si vedrà, da soggetti privati in regime di concorrenza. Dei secondi si fanno carico, in genere, direttamente le pubbliche amministrazioni con oneri a carico della fiscalità generale e, in ogni caso, il coinvolgimento dei privati è possibile solo se ai gestori vengono erogati finanziamenti pubblici. Una seconda distinzione è tra servizi a fruizione collettiva necessaria e servizi a fruizione individuale. I primi si riferiscono a quelli che con il linguaggio degli economisti sono definiti come beni non escludibili, cioè beni che se sono disponibili per uno, lo sono necessariamente per tutti. Questi servizi sono erogati sulla base di atti che instaurano una relazione bilaterale tra pubblica amministrazione e gestore del servizio e vengono erogati alla collettività gratuitamente. Nei secondi, invece, il gestore del servizio intrattiene una relazione giuridica anche con gli utenti del servizio, ai quali viene richiesto usualmente un corrispettivo commisurato alle prestazioni effettivamente rese. I SERVIZI DI INTERESSE GENERALE NEL DIRITTO EUROPEO 97