Scarica Riassunto manuale di Scienza politica Capano, il Mulino e più Appunti in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! SCIENZE POLITICA. Capitolo 1. POLITICA E SCIENZA POLITICA La scienza politica ha come scopo primario lo studio e la ricerca sui diversi aspetti della realtà politica attraverso il metodo delle scienze empiriche e sulla base di un’ampia varietà di tradizioni, ricerca e approcci. Il significato che viene attribuito al termine “politica” è mutato nel corso del tempo. La politica degli antichi greci è diversa da quella contemporanea. Nella concezione greca non vi era alcuna distinzione tra “politica” e “società”. La politica era la dimensione collettiva del vivere sociale che differenziava l’essere umano (in quanto tale) dagli altri esseri viventi. Ecco perché la definizione Aristotelica di “essere umano” come “animale politico” in realtà non definiva la politica, ma l’essere umano. L’UOMO POLITICO PER ARISTOTELE: La Politica è un'opera di Aristotele dedicata all'amministrazione della polis. Centrale è il riferimento alla natura: l'uomo è un «animale politico» e in quanto tale è portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità. Aristotele afferma anche che l'uomo è un animale naturalmente provvisto di logos (Termine che nella filosofia greca classica ha due significati, ‘pensiero’ e ‘parola’, che tuttavia si raccolgono in uno: il primo è infatti come un discorrere interiore secondo ragione, la seconda è l'espressione o manifestazione del pensiero, che in questo esprimersi si concreta) che ben si accorda con la sua innata socialità, perché è mediante il logos che gli uomini possono trovare un terreno di confronto. Per Aristotele la politica ha una certa autonomia rispetto alla filosofia: il politico e il legislatore possono svolgere bene il proprio compito grazie alla loro saggezza pratica. La politica è però finalizzata alla filosofia in quanto deve creare le condizioni affinché si possano coltivare il tempo libero e le attività teoretiche (tra cui rientrano, oltre alla filosofia, anche la matematica, la fisica, lo studio del cielo). Aristotele cerca la forma di governo più adatta a tutte le città, scelta intermedia tra una esistente ed una ideale. Aristotele divide le forme di governo in: - monarchia in cui governa il solo; - aristocrazia in cui governano i migliori; - costituzionale che oggi definiremmo democratiche, in cui governano i più. Esse degenerano perché ognuna agisce per il proprio interesse: la monarchia degenera in tirannide, l’aristocrazia in oligarchia e la costituzione in democrazia, ovvero dominio dei nullatenenti in cui nessuno mira al bene comune. Ogni forma di governo struttura in maniera differente le proprie istituzioni così l’equilibrio migliore si ha quando governa la classe media agricola piuttosto che quando governano i più ricchi che vogliono mantenere l’ineguaglianza o i poveri che vogliono sovvertire lo “Status quo”. È bene che nello Stato governino gli anziani, siccome vi è meno amarezza nell’obbedire ad una persona più anziana e si potrà poi occupare il suo posto. Comunque i filosofi non sono posti al capo della città, ma occupano il ruolo di consiglieri: difatti ciò che è necessario all’uomo politico è la saggezza pratica. Compito principale dello Stato è l’educazione, uguale per tutti, che miri al conseguimento della virtù. La “politica classica” intesa come il dispiegarsi quotidiano del vivere collettivo, ha poco a che fare con quella concezione moderna in cui emerge con forza la sua dimensione di verticalità. La politica che emerge come un pilastro della cultura occidentale fino ad influenzare il pensiero politico dei secoli successivi è la proprio la Pagina 1 di 49 concezione aristotelica. La politica aristotelica è dominata dal principio di verità fondato sulla volontà divina, principio che tiene assieme politica, religione, morale e diritto. La verticalità del fenomeno politico viene ricondotta unicamente all’attività di governare una collettività, focalizzando l’attenzione su chi esercita il potere e su come lo esercita. Machiavelli viene considerato generalmente il primo pensatore capace di definire la politica in modo realista e autonomo dalla dimensione morale e religiosa che per secoli l’aveva caratterizzata. È con Machiavelli che il potere comincia ad emergere come la dimensione fondante dell’azione politica. Con Machiavelli la politica comincia ad assumere un significato più vicino a quello contemporaneo e inizia un percorso di autonomizzazione, non solo dalla morale e dalla religione, ma anche dalla società e dall’economia. LA POLITICA PER MACHIAVELLI: Secondo Machiavelli la politica deve essere nettamente separata dalla morale e dall'etica. Machiavelli definisce la politica laica in quanto nettamente separata dalla religione e dalla morale. La politica viene definita anche realistica siccome si occupa dei veri problemi della società. Da qui si può capire come Machiavelli non sia contro religione e morale, ma secondo il suo pensiero sono due cose completamente diverse e non possono legarsi alla politica in quanto l'utilizzo del male in particolari momenti permette la salvezza dello stato. La politica deve avere due obblighi per poter diventare scienza: deve aderire alla verità effettiva - ossia alle situazioni così come sono nella realtà e non come si vorrebbe che fossero - e deve emanciparsi dalla religione e dalla morale, ovvero l'uomo politico deve agire in piena libertà senza farsi alcuno scrupolo di infrangere leggi morali o religiose qualora lo richieda il benessere dello Stato. Con il processo di costruzione dello Stato moderno la politica inizia ad essere considerata come un’attività autonoma da altre sfere del comportamento umano anche se fortemente legata al potere statuale. Il percorso inaugurato da Machiavelli giunge con Weber alla sua conclusione e con il termine corretto. LA POLITICA SECONDO WEBER: Weber è interessato allo studio della politica intesa come studio dell'agire umano, gli interessa sapere che cosa spinge l'individuo a interessarsi della politica. La politica è scontro, non è morale: chi si vuole occupare di politica deve mettere in preventivo che essa è competizione ed è sconfiggere l'avversario. La potenza in politica è responsabilità di compiere le scelte più opportune. La politica si compie attraverso il potere che necessita di essere legittimato. Esistono tre forme di legittimazione del potere, le prime due classiche, la terza introdotta dallo stesso Weber: - l'autorità della legalità (i doveri sono normativizzati, riconosciamo che esistono delle leggi e vi obbediamo), - l'autorità tradizionale (esiste una dinastia ed i sudditi, per tradizione, sono abituati ad obbedirvi: è una legittimazione che viene dal passato), - l'autorità del carisma (peculiarità individuale di natura straordinaria, che appartiene solo ad alcuni). Weber fa una distinzione tra politici d'occasione e politici di professione: i primi siamo noi quando mettiamo la scheda nell'urna; i secondi possono vivere per la politica (non hanno necessità di trarre rendite da essa, la praticano con passione e impegno), o vivere di politica (sfruttano la politica per Pagina 2 di 49 LA POLITICA SECONDO MOSCA: Gaetano Mosca è classificato tra i più importanti esponenti della corrente di pensiero dell'elitismo. Mosca, nella sua analisi sul potere politico, critica la tripartizione aristotelica delle forme di governo (monarchia, oligarchia, democrazia). Egli sostiene che esiste una sola forma di governo e di classe politica, cioè, l'oligarchia. Mosca fa tale affermazione perché sostiene che in ogni società vi sono due classi di persone: i governanti (che sono le élite che hanno il potere politico) e i governati (il resto della società). Secondo Mosca l'élite al potere è organizzata in modo tale da mantenere a lungo la propria posizione e tutelare i propri interessi, anche utilizzando i mezzi pubblici a sua disposizione. In questi anni, la scienza politica acquista una autonomia propria, distinguendosi dalla sociologia e dal diritto pubblico. Solo nel corso del Novecento, in paesi come Italia e Francia, la scienza politica sarebbe divenuta una materia universitaria a tutti gli effetti, con insegnamenti attivati in tutti i principali atenei. La scienza politica è la disciplina che studia i fenomeni politici al fine di comprenderne la natura e spiegarli mediante l’adozione delle metodologie proprie delle scienze empiriche. La scienza politica è una scienza empiricamente orientata. Deve dare dimostrazione, attraverso le diverse tecniche del metodo scientifico, che le sue affermazioni sono sufficientemente supportate dall’evidenza dei fatti. La scienza politica contemporanea (quella che si consolida a partire dal secondo dopoguerra), è originata da una comune matrice teorica: il comportamentismo. Si tratta di un movimento epistemologico che spinge a focalizzare l’attenzione degli studiosi sul reale comportamento politico degli individui, senza prestare attenzione al potere e al ruolo delle istituzioni. L’analisi politica deve studiare il comportamento politico in modo neutrale prestando attenzione ai fatti che devono essere rilevati attraverso tecniche innovative. In questo modo la scienza politica può produrre spiegazioni verificabili, attendibili e neutre. La svolta comportamentista è assolutamente importante perché rappresenta il vero spartiacque verso la costruzione di una disciplina empiricamente orientata. È grazie al comportamentismo che la scienza politica acquisisce alcuni elementi costitutivi della sua autonomia e identità: la ricerca di regolarità, l’esigenza di verificare empiricamente le generalizzazioni, l’esigenza di adottare tecniche sofisticate di analisi e dare forma all’oggetto analizzato. L’epoca comportamentista produce anche un tentativo di teoria generale per l’analisi della politica, quello di Easton che propone il primo approccio teorico in cui lo Stato non è il centro motore della politica. Esso viene sostituito dal concetto di “sistema politico”, ovvero quell’insieme di interazioni interdipendenti tra attori politici e attività funzionali della società, mediante il quale vengono prodotte e attuate decisioni politiche e ripartiti i valori in una società. Successivamente il comportamentismo e l’analisi sistematica di Easton vengono Pagina 5 di 49 criticati e abbandonati. Il declino del progetto eastoniano ha prodotto un’importante frammentazione dal punto di vista teorico nella scienza politica che ha visto l’emergere e il coesistere di diversi paradigmi teorici. Il processo di globalizzazione ha ulteriormente contribuito all’evoluzione della scienza politica che oggi si muove in una dimensione fra due aree: quella della politica comparata (riguarda la comparazione degli Stati) e quella delle relazioni internazionali (riguarda la politica tra gli Stati). Introducendo gli elementi evolutivi della scienza politica si è incrociato nell’approccio teorico, ovvero i modi in cui possiamo “vedere le cose” e interpretare i fenomeni politici. Seguire un approccio significa presupporre che la realtà sia costituita da un certo tipo di materiale e sia mossa da un certo tipo di forza. A seconda dell’approccio teorico scelto, lo scienziato politico, si orienterà verso un certo tipo di fenomeno e misurazione, ignorando altri possibili aspetti della realtà perché ritiene i primi costitutivi del fenomeno politico. Gli approcci teorici sono legati ai metodi e alle tecniche della ricerca scientifica e il loro successo determina la storia della scienza politica. Gli approcci riconosciuti oggi nella scienza politica sono: - approccio strutturalista designa tutte le visioni che guardano a fattori strutturali per spiegare eventi e comportamenti politici. - approccio pluralista (di stampo comportamentista), al centro dell’analisi pluralista vi è la convinzione che il potere politico non si annidi nelle strutture economiche sociali, ma sia determinato dall’interazione di gruppi di persone che si mobilitano a favore di questa. Per studiare il potere occorre osservare il suo esercizio in corso d’opera, analizzando attraverso l’osservazione partecipante chi fa e decide cosa. - approccio neoistituzionalista dall’interesse per lo Stato l’agenda istituzionalista si è estesa a tutte le istituzioni vantandosi della qualifica di “neo”; questo approccio si è differenziato in tre filoni: 1) neoistituzionalismo storico -> colloca i processi politici all’interno di percorsi dai quali essi sono dipendenti sia in relazione alla loro persistenza sia in relazione al loro cambiamento; 2) neoistituzionalismo sociologico-organizzativo -> sottolinea come il comportamento politico sia fortemente influenzato da modalità mediante le quali le “istituzioni” formano le preferenze degli individui e quindi ne influenzano il comportamento; 3) neoistituzionalismo razionale -> sviluppa l’esigenza di collocare i comportamenti individuali in contesti istituzionalmente vincolati. - approccio culturalista alla sua base sta la convinzione che la cultura e i valori siano Pagina 6 di 49 fondamentali decisivi del comportamento politico. - approccio ideazionale raccoglie quelle filiere teoriche che, nell’analisi delle politiche pubbliche, hanno enfatizzato il ruolo delle idee, dei valori, dell’argomentazione e delle norme condivise come fondamenti dell’azione politica. Questo approccio è variegato e spesso viene perseguito tramite ibridazioni di tipo neoistituzionale ed è anche molto contestato da coloro i quali assumono una prospettiva orientata dell’azione politica. In conclusione possiamo dire che la scienza politica serve: - in primo luogo, serve ad offrire ai cittadini e ai decisori una visione dei fenomeni politici, delle loro cause e dei loro potenziali effetti. La scienza politica “illumina” aiutando gli attori a guardare le cose che essi non sono abituati a guardare; - in secondo luogo, la scienza politica è una disciplina che educa alla democrazia perché, svelando come davvero funziona la politica, ne fa emergere in modo empirico i vizi e i problemi; - ed infine la scienza politica aiuta la democrazia a correggere i propri errori e a migliorarsi. Pagina 7 di 49 Chiamiamo intensione l’insieme delle caratteristiche che spiegano un concetto; chiamiamo estensione l’insieme dei referenti empirici indicati dal concetto. Possiamo stabilire che fra l’intensione ed estensione esiste un rapporto inverso: quanto più limitata è l’intensione tanto più ampia sarà l’estensione e viceversa. L’intensione del concetto ci permette di stabilire con precisione l’estensione, ovvero quali casi empirici vengono indicati dal concetto e possono essere oggetto di indagine. I concetti sono le variabili della nostra ricerca; per utilizzarli come tali bisogna tradurre le caratteristiche che compongono l’intensione in tanti altri indicatori osservabili e in ciò consiste l’operazionalizzazione del concetto. Per poter formulare un’ipotesi nuova di ricerca del fenomeno si inizia con una “modalità di scoperta”: si osservano grandi quantità di fenomeni e si catalogano a seconda delle caratteristiche più evidenti (es. insetto). Una volta terminata la fase della raccolta dei fenomeni si inizierà a mettere in rapporto due o più caratteristiche: si potrà così iniziare ad ipotizzare delle correlazioni fra le varie caratteristiche dei fenomeni. La costruzione di una tipologia è il primo passo per la formulazione di ipotesi che, se confermate da successive osservazioni, potrebbero essere variate in teorie. Le classificazioni e le tipologie, affinché siano utili a sviluppare ipotesi di ricerca devono essere esaustive. Lo scienziato sociale cerca in ogni passaggio di monitorare il proprio ragionamento ed evitare errori comuni. Gli errori più comuni sono: 1. La sovra-generalizzazione del risultato (concludere che quello che vale per i casi che conosciamo valga per tutti i casi); 2. Le osservazioni sbagliate (osservazioni poco precise o errate); 3. I ragionamenti viziati Le strategie di ricerca sono determinate dal contesto sociale, politico e culturale nel quale si muove il ricercatore e possono avere una pesante influenza sulle domande che il ricercatore si pone e sulle strategie di ricerca che mette in atto per rispondervi. Bisogna, infine, saper fare una distinzione tra variabili “dipendenti”, “indipendenti”, “intervenienti” e “di contesto”. - variabile dipendente -> è il fenomeno o l’evento che intendiamo spiegare; - variabile indipendente -> quelle condizioni che determinano il verificarsi di un evento o del fenomeno che vogliamo spiegare; - variabile intervenienti -> quelle variabili che alterano l’intensità delle altre variabili indipendenti; - variabile di contesto -> quelle variabili che definiscono le circostanze in cui l’analisi paragonata ha luogo. (leggere pag 73-74-75) Pagina 10 di 49 Possiamo sintetizzare gli elementi fondamentali delle tecniche di ricerca partendo dalla distinzione tra “analisi primarie” e “analisi secondarie” dei dati. Quando il ricercatore ha l’opportunità di “costruire” i propri dati, ordinando le informazione tramite un’attività di raccolta dei dati, può condurre un’analisi primaria dei dati stessi. Quando, invece, dovendo occuparsi di fenomeni non direttamente osservabili, sarà costretto ad adattarsi ai dati già esistenti e spesso custoditi da enti appositi. In questo caso dovrà procedere a un’analisi secondaria che sarà associata a strategie di ricerca estensive (ovvero condotte su un ampio numero di casi). Venendo alle tecniche per l’analisi primaria dei dati, vi possono essere diverse strade da seguire a seconda dell’oggetto della ricerca e dal tipo di strategia seguita. Possiamo dividere l’insieme di questi strumenti in 3 classi, relative all’analisi del contesto, dei messaggi e delle risposte. - L’analisi del contesto: comporta l’immersione da parte del ricercatore nel mondo dove si verifica il fenomeno da studiare. Se questo ha a che vedere con comportamenti individuali o sociali, la tecnica per eccellenza è quella della partecipazione. - L’analisi dei messaggi: si rifà al tentativo di spiegare in modo ordinato le informazioni contenute in documenti tra loro simili che costituiscono l’unità di analisi di una specifica ricerca. - L’analisi delle risposte: i ricercatori devono misurarsi con le risposte dei soggetti indagati. Queste sono le tecniche più eseguite nella scienza politica, poiché qualsiasi problema politologico ha a che vedere con le opinioni di alcuni singoli o di interi gruppi sociali. Più grandi sono i gruppi da esaminare più difficile sarà condurre interviste aperte. Lo strumento tipico per questa situazione sarà quello del sondaggio di opinione. I sondaggi possono essere rivolti a gruppi più o meno selezionati, ma anche ad intere popolazioni. In scienze politica una metodologia che sta trovando terreno fertile per la sua applicazione è il metodo sperimentale. Si tratta di ricercare le cause di effetti attraverso un metodo di manipolazione controllata. La differenza con gli altri metodi è che i dati che lo scienziato politico analizza non sono solo osservati, ma sono generati e manipolati dallo stesso. Si tratta di osservare un insieme di soggetti studiati (che sono stati in qualche modo manipolati) affrontarsi con un altro gruppo non sottoposto ad alcuna manipolazione (detto di controllo). Se si dovessero riscontrare delle differenze significative fra il comportamento di uno e dell’altro gruppo, allora la variabile manipolata potrebbe essere individuata come causa dell’effetto. La manipolazione può avvenire in laboratorio presentando ad alcuni soggetti delle informazioni manipolate e ad altri soggetti vengono sottoposte le medesime Pagina 11 di 49 informazioni non manipolate e si chiede ad entrambi i gruppi di compiere delle scelte sulla base di queste informazioni. La manipolazione può avvenire pure sul campo in cui in contesti socioeconomici diversi vengono attuate politiche o vengono impiantate istituzioni politico-amministrative. Pagina 12 di 49 Per Easton l’idea di un sistema politico si rivela un punto di partenza appropriato di una scienza politica empirica. Dal che consegue la messa a fuoco di alcuni punti teorici e metodologici. Nel sistema politico di Easton un aspetto importante è l’esistenza di uno scambio tra il sistema e il suo ambiente di riferimento. Lo studioso spiega che l’ambiente di un sistema ha natura plurale: può essere biologico, geografico, sociale o internazionale (cioè fatto da altri sistemi politici). Da tutti questi ambienti il sistema politico riceve input (domande) ai quali deve cercare di rispondere se vuole adattarsi e sopravvivere. Il che avviene attraverso degli output (risposte) vincolanti. Gli input che arrivano dall’ambiente sono di 2 tipi: ci sono - le domande che sono delle richieste di assegnazioni di beni e valori; - i sostegni cioè quell’energia che da modo al sistema politico di funzionare. Si tratta di apporti che hanno carattere materiale o che sono associate all’obbedienza che gli individui devono alle decisioni politiche. Tale sostegno può essere specifico quando la conformità alle decisioni è il risultato dei benefici e delle convivenze che si ricava dalle politiche pubbliche; oppure diffuso quando i cittadini sentono il dovere morale o civico di rispettare le decisioni politiche (come ad es. l’aumento delle tasse) e di accettarne le conseguenze e, quindi, si conformano. Easton aveva individuato una serie di domande, chiamate within-input, che provengono dall’interno dello stesso sistema e che arrivano direttamente dai leader, dai partiti e dalle istituzioni. Per fare chiarezza sul processo di conversione delle domande in risposte Almond e Powell pubblicarono un lavoro in cui evidenziavano che il processo di conversione viene spacchettato in quattro funzioni diverse: • articolazioni degli interessi -> il processo politico si mette in moto quando gruppi o individui formulano una domanda che ha a che fare con i loro interessi e bisogni. La trasmissione della domanda richiede l’intervento di due aspetti 1) le caratteristiche delle strutture politiche coinvolte 2) il modo di accesso delle domande nel sistema politico (legale o illegale) Ogni sistema politico deve cercare di aggregare le domande che riceve tramite un processo di combinazione, coesione e armonizzazione . La realizzazione ti tale funzione richiede la mobilitazione di risorse politiche e la formazione di coalizioni politiche a sostegno della realizzazione. Esistono 3 tipi di realizzazioni - la negoziazione basata sui compromessi Pagina 15 di 49 - il riferimento a valori assoluti che comporta il rispetto di principi rigidi - la tradizione dove prevalgono gli interessi territoriali. • formulazione delle politiche e produzione delle norme -> in cui le domande vengono convertite in decisioni. Almond e Powell individuano 4 categorie di output. Gli output in questione sono: 1) output estrattivi appropriazioni di risorse che provengono dall’ambiente esterno; 2) output regolativi controllo e sanzione del comportamento degli individui al fine di conseguire specifici obiettivi politici; 3) output distributivi destinazione ad individui e gruppi di denaro, beni materiali etc.; 4) output simbolici volti a rafforzare l’identificazione dei cittadini e comprendono discorsi politici, rituali e cerimonie. • Esecuzione e amministrazione -> una volta formulate le politiche devono essere attuate mediante 2 canali: quello burocratico che implica l’applicazione delle decisioni; e quello giudiziario che ha a che fare con la funzione amministrativa della giustizia. LO STATO: La definizione della parola Stato è attribuibile a Machiavelli; questa parola ha sempre fatto riferimento alla territorialità. Lo Stato è costituito da un popolo che vive stabilmente su un territorio delimitato da confini ed è governato da un proprio apparato sovrano. I tratti distintivi di uno Stato sono: - la territorialità -> cioè un'area geografica ben definita, su cui si diffonde la sovranità; - la sovranità -> non vi sono riconosciuti poteri superiori allo Stato; - il popolo -> che ha a che fare con il grado di partecipazione attiva dei cittadini. Lo stato moderno si afferma in Europa tra il XV (1400- 1500) e il XIX (1801-1900) secolo. La sua formazione avviene attraverso un progressivo accentramento del potere e della territorialità dell'obbligazione politica. Infatti scompaiono le frammentazioni del sistema feudale in favore di un potere centrale o omogeneo in un determinato territorio. Anche la Chiesa si subordina allo Stato. Fondamentale per la nascita dello Stato moderno fu la statalizzazione del diritto di emettere moneta e la conseguente affermazione di un’economia monetaria: le retribuzioni lavorative avvenivano con salari pagati con una valuta e non più in natura, come accadeva nel sistema feudale. Democrazia significa “governo del popolo” in cui la sovranità è esercitata direttamente dal popolo. La parola democratia apparve per la prima volta in Europa nel 1260 quando fu Pagina 16 di 49 pubblicata la traduzione in latino del trattato Politica di Aristotele. Il concetto di democrazia fu successivamente discusso nel periodo illuminista; significativo, inoltre, è il contributo di Rousseau secondo cui il potere che spetta al popolo è inalienabile. Montesquieu nel suo scritto "Lo spirito delle leggi" enuncia la teoria della separazione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), applicabile in via teorica a tutte le forme di governo, anche quelle non democratiche. La democrazia nasce nel 1800 in Italia, Francia e Inghilterra. Il processo che ha condotto alle prime democratizzazioni si intreccia con il processo di costruzione della nazione. Finer fa una distinzione fra “Stato nazionale” e “Stato nazione”, definendo quest’ultimo uno “Stato nazionale” in cui è la nazione a controllare e possedere lo Stato e non una qualche dinastia o aristocrazia. La prima ricostruzione è quella di Tilly che prende in esame i processi di democratizzazione in Europa. Per Tilly la realizzazione della democrazia consiste nell’impostazione di una relazione tra autorità e cittadini. Affinché la democrazia possa nascere, c’è bisogno di un’elevata capacità dello Stato di attuare le decisioni che assume. Le forme e i risultati di tale processo dipendono dalla capacità dello Stato di mettere in pratica le decisioni politiche che assume. Per Dahl le democrazie di massa sono contraddistinte dalla capacità di rispondere alle preferenze espresse dai cittadini. Questa capacità è il frutto di due sub-processi: 1) la liberalizzazione -> che si riferisce al riconoscimento di quelle libertà personali e diritti civili che rientrano nella nozione di cittadinanza; 2) l’inclusione -> cioè l’estensione della popolazione che è legalmente titolare di diritti politici. Lo Stato assoluto ha lasciato gradualmente la scena a regimi più aperti dove la competizione pubblica- prima riservata alle élite - è stata poi estesa a uomini e donne, anche se con tempi differenti. Date queste nuove relazioni tra cittadini e sistema politico si sono venuti a creare due pilastri nel nuovo ordinamento statale: uno è caratterizzato dalle libertà persona li e l’altro è costituito dalle strutture di rappresentanza e dal diritto al voto. Lo sviluppo e l’intreccio tra Stato nazionale, democrazia e capitalismo sono alla base della formazione sociale nota come Stato del benessere (o Stato sociale). Il nome deriva dall’inglese Welfare State, un’espressione coniata prima dell’inizio della seconda guerra mondiale per contrapporre allo Stato totalitario nazionalfascista la forma evoluta di Stato liberale centrata sui diritti sociali. L’evoluzione dello Stato sociale si incarica di assicurare a tutti i membri di una data comunità politica un’adeguata opportunità di vita. Pagina 17 di 49 MODELLI DEMOCRATICI Il cambiamento politico è caratterizzato da reazioni a catena e dal tentativo di riprodurre valori e pratiche già comparsi in aree vicine o culturalmente omogenee. È necessario tornare alle esigenze del secolo passato per capire come la democrazia contemporanea sia un tipo di regime del tutto nuovo, ispirato ai modelli antichi e condizionato dai processi storici di lungo periodo. La creazione degli attuali regimi democratici ha costituito un fenomeno importante che risulta critico e incerto. Le democrazie non sono nate nello stesso modo, nello stesso momento storico e non hanno avuto esiti simili. Si può dire che i diffusi processi di prima democratizzazione hanno mutato il significato della nozione di democrazia. Il significato della nozione di democrazia non è stato sempre lo stesso: secondo Aristotele, la democrazia, è quel sistema di governo che garantisce l’accesso a un numero di soggetti più vasto possibile, ma costituisce una forma corrotta perché orientata al soddisfacimento del bene dei soli governanti e non della collettività. La forma benefica del governo di molti è la politeia il cui significato etimologico è più vicino al concetto di cosa pubblica che oggi riferiamo alla forma di stato per indicare un preciso modello normativo di democrazia. La democrazia classica rappresentava l’avvento del principio di legittimità per cui i cittadini devono godere di eguali diritti politici che consentono loro di governare ed essere nel contempo, governati. La democrazia liberale trova un’ambivalenza tra una versione protettiva e una democrazia di sviluppo. La democrazia protettiva promuove il culto della libertà individuale. Secondo Schumpeter la democrazia è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare. Secondo Dahl la democrazia è un regime politico caratterizzato dalla continua capacità di risposta del governo alle preferenze dei suoi cittadini, considerati politicamente uguali. Nella definizione di Schumpeter si enfatizzano due elementi: il forte collegamento tra inclinazione democratica e presupposti della competizione elettorale e la delega a una classe politica chiamata a esercitare un potere non bilanciabile all’azione della gente comune. Pagina 20 di 49 Nella definizione di Dahl si coglie la trasformazione della democrazia contemporanea che distacca il cittadino di una comunità democratica rispetto al suddito di un qualsiasi regime illiberale. La definizione empirica di democrazia secondo Dahl: Il regime democratico è un regime che presenta: a) un suffragio universale maschile e femminile; b) elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette; c) più di un partito; d) diverse e alternative fonti di informazione. Il lavoro di Dahl è un riferimento importante per classificare i diversi risultati dei processi di formazione delle proto-democrazie (che Dahl chiama poliarchie). Un altro capostipite della politica moderna è Rokkan che focalizzò le circostanze storiche che hanno caratterizzato il processo di democratizzazione. Definì tale sequenza in 4 soglie: 1. Legittimazione ovvero l’effettivo riconoscimento delle libertà; 2. Incorporazione ovvero l’espansione della cittadinanza politica; 3. Rappresentanza ovvero l’espansione del circuito elettorale e istituzionale a tutti i tipi di partito; 4. Democratizzazione del potere esecutivo ovvero lo stabilire delle regole che ancorano l’esistenza di un governo ad un principio di scelta elettorale. Lo studio di Rokkan sulle modalità di accesso a queste soglie presenta una mappa storica precisa dei percorsi di democratizzazione. I fattori determinanti per il superamento delle soglie storiche disegnate da Rokkan sono: a) i tempi del consolidamento territoriali di un dato paese; b) l’esistenza di tradizioni di rappresentanza delle istituzioni nazionali; c) l’indipendenza delle istituzioni nazionali; d) lo status internazionale di un dato paese; e) i rapporti di forza tra paese dominante e subordinato. Il lavoro di Rokkan era focalizzato sulla spiegazione della diversità presente nella storia dello Stato-nazione europeo, tenendo assieme gli elementi fondamentali della teoria weberiana con le teorie basate sulla nozione di cittadinanza. La scienza politica si è interrogata sui modi di perfezionare la democrazia, renderla più stabile e più vicina alle aspettative della gente. Possiamo classificare 3 livelli diversi di investigazione che riporta a: 1. Questioni cognitive tese a chiarire l’estensione empirica di un fenomeno come la democrazia contemporanea; Pagina 21 di 49 2. Interpretative finalizzate a stabilire precisi nessi causali alla base delle diverse affermazioni di tale fenomeno; 3. Normative orientate a prescrivere una specifica modalità del fenomeno, giudicata come preferibile. Gabriel Almond, tra i fondatori della moderna scienza politica, aveva ragionato sulla differenza dei sistemi politici tra le due rive dell’Atlantico, ma lo studioso che da allora ha approfondito questa aspetto è Lijphart che nei suoi primi studi osservava il modello consociativo di democrazia, al fine di spiegare la tendenza di alcuni sistemi dell’Europa continentale a creare le condizioni di un “governo allargato” con maggioranze eccessive e coalizioni complesse rispetto al governo maggioritario. La prima tipologia di Lijphart si basava su due dimensioni di analisi: la configurazione della società e i rapporti tra le èlite. Lijphart ha fatto risalire 4 tipi di democrazia: 1. Consociativa -> cultura politica eterogenea e un’èlite portata al compromesso; 2. Spoliticizzata -> cultura politica omogenea e un’èlite coesa; 3. Centripeta -> cultura politica omogenea, me un’èlite in conflitto; 4. Centrifuga -> cultura politica eterogenea e un’èlite in conflitto. Nel volume Le democrazie contemporanee (1984) Lijphart basa due modelli polari denominati modello maggioritario e modello consensuale di democrazia. - MODELLO MAGGIORITARIO: sulla base del principio di maggioranza la democrazia è un regime i cui rappresentanti – eletti con elezioni libere, competitive e ricorrenti – raggiungono le proprie decisioni in base al principio di maggioranza. - MODELLO CONSENSUALE: sottolinea, invece, l’importanza della ricerca dell’accordo e del compromesso. Le caratteristiche del modello maggioritario convergono verso la concentrazione del potere politico nella maggioranza e quella del modello consensuale convergono nella diffusione e ripartizione del potere. Le due dimensioni principali di un regime democratico sono da una parte il potere esecutivo e i partiti, dall’altra l’ordine federale di un regime politico. Combinando tali dimensioni emerge un modello di democrazia definito Westminster, che è contraddistinto da un esecutivo formato da un solo partito e con maggioranze limitate , vi è una fusione del potere esecutivo con il legislativo e quindi un dominio del governo. Perché si chiama Westminster? Il nome "Westminster", a causa dei legami del quartiere con le attività politiche è usato come metonimia per il Parlamento e la comunità politica del Regno Unito in generale. Di conseguenza il toponimo è utilizzato anche in riferimento al modello di governo parlamentare democratico che si è evoluto nel Regno Unito. REGIMI ANTAGONISTI Pagina 22 di 49 I PARTITI Un partito politico è un'associazione tra persone accomunate da una medesima visione politica di interesse pubblico relativa a questioni fondamentali circa la gestione dello Stato e della società. L'attività del partito politico, volta ad operare per l'interesse comune, locale o nazionale, si compie attraverso un programma o piano politico da seguire e, nelle attuali democrazie rappresentative, ha per "ambito prevalente" quello elettorale. Un partito politico, così come definito dall' articolo 49 della Costituzione della Repubblica Italiana, rappresenta un'associazione libera di cittadini i quali detengono il diritto di amministrare democraticamente la vita politica. Sartori ci presenta due prospettive di definizione di partito: una minima e l’altra estesa: Definizione minima-> un partito è un qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni ed è capace di collocare, attraverso le elezioni, candidati alle cariche pubbliche. È minima poiché punta l’attenzione sulle caratteristiche necessarie di un partito e non consente di distinguere tra diversi tipi di partiti. Definizione estesa -> i partiti sono associazioni di donne e uomini che competono per i voti popolari al fine di fare accedere i loro leader alle cariche pubbliche e quindi cercare di influenzare le scelte collettive. In questa definizione si chiarisce cosa sono i partiti e di cosa si occupano. I partiti svolgono molteplici attività, alcune principali (ad es. ricercare i voti), altre secondarie (ad es. reperire i fondi, organizzare campagna etc.). In quanto fenomeni organizzativi, i partiti, possono essere analizzati ricorrendo a una serie di elementi interni (cioè l’ideologia, la struttura, la leadership, le strategie) o esterni (rapporti con le società, lo Stato o l’ambiente internazionale). Dalla combinazione di questi elementi ricaviamo un certo tipo di partito. Vi sono 3 diversi tipi di partiti storici: partito d’èlite, partito di massa e partito elettorale. PARTITO D’ÈLITE Si tratta di partiti borghesi che si affermano nel XIX secolo in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e poi nel resto dell’Europa. I partiti d’èlite si limitano a svolgere una funzione di “rappresentanza individuale”. La loro unità organizzativa elementare è formata dal comitato elettorale costituito da gruppi ristretti di persone scelte di norma per cooptazione. I comitati sono degli organismi instabili e temporanei che si attivano soltanto durante le campagne elettorali. Pagina 25 di 49 • PARTITI DI MASSA Si formano in seguito all’allargamento del suffragio. Si tratta di grandi organizzazioni collettive, radicate nella società e con vasti apparati di militanti e iscritti. Svolgono una funzione di integrazione sociale e favoriscono la partecipazione degli iscritti che costituiscono la loro fonte principale di funzionamento. Un altro elemento organizzativo centrale per il funzionamento dei partiti di massa è la sezione, termine che significa parte di un tutto. Si tratta di un’unità aperta a tutti i cittadini e alla quale ci si può iscrivere liberamente. Entrare in una sezione e prendere parte alle sue attività comporta lo sviluppo di regole formali e di un’attività ordinaria su base quotidiana. La partecipazione assume una doppia valenza in quanto esprime l’appartenenza e la solidarietà a un gruppo e mira anche ad influenzare il governo a perseguire diverse finalità. • PARTITI ELETTORALI Hanno strutture organizzate leggere e intermittenti. Possono favorire la partecipazione dei simpatizzanti e utilizzarla per ragioni competitive tra leader. Il partito pigliatutti, è una tipologia di partito politico che nasce nel secondo dopoguerra per l'esigenza, da parte dei partiti di massa, di attrarre il consenso del massimo numero di elettori e di oltrepassare gli interessi di gruppo al fine di conquistare una fiducia generale. Sono partiti interessati ad attirare più elettori possibili e di ogni ceto sociale. Il crescente ruolo dei mass media che enfatizzano l’immagine dei leader, hanno posto le condizioni per lo sviluppo dei nuovi partiti personali. Il partito si identifica con il leader, la cui immagine politica è enfatizzata dai media. I cartel party (partiti di cartello )anziché competere apertamente, ricorrono a forme di protezione che assicurano l’autoconservazione e la prevedibilità della competizione. Poiché i partiti sono anche delle agenzie di rappresentanza, riflettono le divisioni fondamentali e i conflitti (cleavages) che attraversa la società. La definizione di cleavages indica quelle fratture che dividono i membri di una comunità in gruppi. Si tratta di una divisione politica fondamentale di conflitti forti e radicati nella struttura sociale. Essendo fonti di conflitto, le fratture, sono anche fattori di identificazione dei membri di una collettività e in questo modo finiscono per assolvere una funzione di mobilitazione di gruppi sociali sulla base dello schema binario nemico-amico. Tali fatture portano alla costruzione di identità collettive attorno alle quali nascono movimenti e partiti politici. Rokkan elabora una delle teorie più note delle rotture sociali. Egli parla di fratture e divisioni interne alla società causate proprio dai partiti politici. Pagina 26 di 49 Vi sono 4 tipi fondamentali di fratture prodotte dalle due maggiori rivoluzioni: Rivoluzione nazionale e Rivoluzione industriale. Alla Rivoluzione nazionale (rivoluzione Francese) è collegata la frattura tra centro- periferia e la frattura Stato-Chiesa; Alla Rivoluzione economica la frattura industriale-rurale e la frattura lavoro-capitale. • Frattura Stato-Chiesa: la frattura tra Stato e Chiesa porta all’affermazione di movimenti fondamentalisti e a conflitti su temi di alta valenza simbolica che per la chiesa erano taboo come l’aborto, il divorzio, le unioni civili, l’eutanasia etc. • Frattura centro-periferia: il centro era considerato il fulcro del potere dove venivano prese le decisioni, mentre la periferia era subordinata al centro e doveva sottostare alle decisioni prese. Attorno a questa frattura si sono venuti a creare partiti nazionali ed etno-regionalisti come era in origine la lega nord (con l’indipendenza dalla Padania). • Dalla città verso campagna: nascita degli opifici (industrie-fabbriche) che determinano uno spostamento delle persone dalle campagne verso le città. Nascono i partiti agrari che tutelano le campagne che pian piano si stanno spopolando e i partiti liberali che favoriscono l’apertura dei mercati. • Imprenditori-operai: gli operai all’interno delle strutture operano in determinato contesto sociale e lavorativo dove mettono a disposizione la manodopera. Dall’altra parte gli imprenditori vogliono aumentare il capitale. A difesa della classe operaia nascono i partiti comunisti volti a conquistare determinati diritti; a difesa degli imprenditori nasce il partito socialista volto a supportare gli interessi della classe imprenditoriale. I partiti politici sono delle istituzioni in quanto svolgono delle funzioni importanti per la politica. Per comprendere come si formano e come operano i partiti dobbiamo soffermarci sul termine “istituzioni” che indica l’insieme di regole e procedure stabili e condivise dalla collettività. Vi sono due modi di formazione dei partiti; una ad origine interna e una ad origine esterna. L’affermazione di un governo responsabile nei confronti del parlamento favorisce la comparsa dei partiti di origine interna (o parlamentari); il progressivo allagamento del suffragio, invece, rimanda all’affermazione dei partiti di origine esterna (o extraparlamentari). Da un punto di vista operativo la competizione politica può essere vista come una sequenza di fasi che riduce il numero dei partiti in campo: dai “partiti potenziali o immaginabili”, ai “partiti effettivamente creati” e infine – con numero ancora più inferiore – ai “partiti conosciuti” che hanno un’elevata possibilità di essere votati. Tale processo di riduzione avviene grazie al sistema elettorale. Pagina 27 di 49 Sartori ha poi individuato un ulteriore aspetto per i sistemi competitivi: la meccanica; cioè la logica di funzionamento del sistema. Dalla combinazione tra formato numerico e meccanica di ricavano 3 configurazioni sistemiche: - Unipolare: tipica delle situazioni monopartitiche non democratiche; - Bipolare: Il bipolarismo è la versione estrema del bipartitismo dove sono presenti numerosi partiti, ma sono caratterizzati da una forte polarizzazione tale per cui i partiti competono divisi in due grandi coalizioni (destra-sinistra) radicalmente opposte, dove non è presente una forza politica tale da dominare la guida politica entro ciascuno dei due poli. - Multipolare: in cui la competizione tende ad essere centrifuga, presenta forze estremizzate e opposizioni bilaterali. Pagina 30 di 49 Capitolo 6 ASSEMBLEE E CIRCUITI RAPPRESENTATIVI. Il sistema parlamentare è un tipo di forma di governo democratica (diffusa principalmente in Europa) in cui la volontà popolare è affidata al parlamento. Essa si può distinguere in: - Repubblica parlamentare -> il capo dello stato viene eletto dal parlamento in seduta comune e assume una carica temporanea; - Monarchia parlamentare -> la carica di capo dello stato viene rappresentata dal monarca, designato per via ereditaria o dinastica. Entrambe le forme di governo sono articolate secondo la stessa fisionomia di tipo monistico; il che vuol dire che il potere politico si concentra in un unico organo: il Parlamento. Esso è il rappresentante del Corpo elettorale e il mandante del potere esercitato dal Governo. La storia del parlamentarismo è legata all'evoluzione dell'istituto parlamentare moderno. Sorto in Inghilterra, l'istituto elettivo (Camera dei Comuni) – prima con la rivoluzione antiassolutista e poi con il Bill of Rights (1689) - strappò alla corona il potere legislativo. Successivamente riuscì a sottoporre il potere esecutivo al suo controllo mediante la concessione della fiducia necessaria al mantenimento in carica dei governi nominati dal sovrano. Nell'Italia postunitaria, il parlamentarismo ha dato origine al fenomeno del trasformismo. Dopo la parentesi del fascismo e la costituzione della Repubblica, il parlamentarismo è stato compresso dall'invadenza dei partiti (la cosiddetta partitocrazia) i cui vertici hanno finito per controllare strettamente l'opera dei singoli deputati eletti. Successivamente all’età delle rivoluzioni e allo sviluppo dello Stato liberale, la riflessione sulla nozione di “rappresentanza” si è concentrata sugli effetti reali del rapporto politico che si instaura tra rappresentati e rappresentanti. Si deve attendere l’epoca della democrazia matura per una definizione teorica di rappresentanza” elaborata da Pitkin. Rappresentare significa agire nell’interesse dei rappresentati in modo da rispondere ai loro bisogni. Il rappresentante deve agire con discrezionalità e giudizio. Anche il rappresentato deve essere capace di azione e di giudizio, non deve solo essere accudito. E se dovesse sorgere un conflitto fra il rappresentante ed il rappresentato circa ciò che c’è da fare il rappresentante deve dare una spiegazione. Pitkin giunge a definire 4 varianti teoriche: 1) Simbolica -> si basa sui simboli come ad es. il Capo dello stato rappresenta la Nazione 2) Descrittiva -> l’eletto è scelto perché possiede caratteristiche simili ai sui elettori (razza, genere); Pagina 31 di 49 3) Formalistica -> l’eletto è un delegato, questa rappresentanza si basa su due elementi: 1 autorizzazione conferita dalla comunità al governante; 2 responsabilità nei confronti degli elettori, l’operato è sottoposto a verifica e se non ci sono risultati convincenti il candidato non viene rivotato; 4) Sostantiva -> si basa sulla capacità di risposta di un rappresentante. La rappresentanza democratica viene garantita dalle assemblee elettive. I sistemi elettorali costituiscono una variabile fondamentale per capire il funzionamento dei moderni parlamenti. Per sistema elettorale s’intende il procedimento attraverso il quale avviene la trasformazione dei voti espressi dal corpo elettorale in seggi. I principali sistemi elettorali si possono dividere in: • Sistemi maggioritari: nei quali viene eletto quel candidato che conquista il maggior numero di voti. Il sistema maggioritario secco (in uno in Gran Bretagna) prevede l’elezione di quel candidato che ha raggiunto nel collegio il maggior numero di voti. Devono perciò esistere tanti collegi quanti sono i deputati da eleggere. Il sistema maggioritario è necessariamente uninominale: gli elettori scelgono sulla base di liste che presentano un solo candidato. ( Se, ad es., in un collegio vi sono tre candidati che realizzano rispettivamente A il 40%; B il 39 %; e C il restante 21%, verrà eletto il solo candidato A e i voti degli altri verranno “gettati via”). • Sistemi proporzionali: fondati sul principio della corrispondenza tra i voti complessivamente ottenuti dalle liste dei partecipanti alle elezioni e i seggi a esse assegnati. Nel sistema proporzionale puro valgono i voti ottenuti da ogni singola lista nel complesso del paese: la ripartizione dei seggi avviene sulla base della percentuale ottenuta da ciascuna lista (se la lista A ha ottenuto il 30% dei voti avrà il 30% dei seggi). Il sistema proporzionale è necessariamente plurinominale gli elettori possono scegliere fra liste in ciascuna delle quali sono presenti più candidati perché nello stesso collegio ci sono più seggi da distribuire, per cui ogni gruppo può aspirare a ottenere l’elezione di più di un candidato. Le decisioni delle Camere sono sempre prese mediante votazione. Alle votazioni (in base al c. 3 dell’art 64 Cost.) deve sempre essere presente almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto: esso è il numero legale. Viene quindi approvata solo la proposta che ha ottenuto l’approvazione della maggioranza. Le diverse maggioranze sono: - Maggioranza semplice -> che è costituita dalla metà più uno (50%+1) dei Pagina 32 di 49 Capitolo 7 ISTITUZIONI E LIVELLI DI GOVERNO Al governo è affidato il potere esecutivo dello Stato L’attività esecutiva consiste nel realizzare le funzioni amministrative dello Stato, dando esecuzione alla legge. La legge è infatti la volontà prima dello Stato, a cui tutti i suoi apparati sono subordinati. Il Governo è responsabile politicamente dei suoi atti verso il Parlamento dal momento che deve rispondere della sua azione sarà responsabile solo di atti da lui decisi e messi in atto. La sua funzione è quella di indirizzo politico dell’attività dello Stato. Nelle scienze politiche, secondo il principio di separazione dei poteri dello Stato, il potere esecutivo (posseduto da un'istituzione denominata "governo") è il potere di applicare le leggi. Partendo dal tipo di legittimazione del vertice dell’esecutivo si fa una distinzione tra presidenzialismo – nel quale il capo del governo viene scelto da popolo attraverso un’elezione diretta – e parlamentarismo – nel quale viene il capo del governo viene selezionato dall’assemblea dei rappresentanti del popolo. Cheibub ha proposto una nuova tipologia di sistemi di governo, distinguendo: sistemi presidenziali ( nei quali il governo risponde al presidente e non al parlamento); sistemi parlamentari (dove il governo è responsabile di fronte al parlamento) e sistemi misti. Per giungere a un’analisi più precisa esaminiamo due diverse dimensione: • la prima dimensione corrisponde al tipo di legittimazione del capo del governo che può essere popolare o indiretta (ovvero mediata dal parlamento); • la seconda dimensione riguarda i termini di durata dell’ufficio di capo del governo che può essere costituzionalmente indicata o vincolata al principio fiduciario col Parlamento. Gran parte delle democrazie contemporanee sono basate su 3 tipi di forme di governo: presidenziale, parlamentare e semipresidenziale. - PRESIDENZIALE -> La repubblica presidenziale (o presidenzialismo) è una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente che è sia il capo dello Stato sia il capo del governo. Generalmente questo è democraticamente eletto dai cittadini e forma il suo governo; essendo capo di Stato Pagina 35 di 49 non ha bisogno di voto di fiducia parlamentare anche perché, avendo già ottenuto il voto della maggioranza dei cittadini, non ha bisogno della fiducia dei loro rappresentanti. La legittimazione attraverso il voto conferisce al presidente una chiara superiorità rispetto ai suoi ministri. - PARLAMENTARE -> la nomina di presidente del governo è di competenza del Parlamento secondo una mozione di fiducia\sfiducia. Il Parlamento può in qualsiasi momento ritirare la delega con una mozione di sfiducia che interromperebbe l’esistere del governo. - SEMIPRESIDENZIALE -> è una forma di governo appartenente alle forme della democrazia rappresentativa o indiretta. In tale contesto il governo si trova a dipendere dalla fiducia di due organi designati da due differenti consultazioni elettorali, il Presidente della repubblica e il Parlamento. Il Primo Ministro viene perciò nominato dal Presidente, ma necessita della fiducia parlamentare. La formazione del Governo è delineato dalla nostra Costituzione che si limita a stabilire che la nomina del Presidente del Consiglio avviene per decreto del Presidente della Repubblica. Il capo dello Stato nomina anche i ministri su proposta del presidente del Consiglio stesso (art. 92 Cost.) L’art 94 c. 3 stabilisce che il Governo si deve presentare – entro 10 giorni dal giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica - alle camere per ottenere la fiducia. Ottenuta la fiducia delle Camere, il Governo, è nel pieno nelle sue funzioni. Nel caso in cui non dovesse ottenere la fiducia, il Governo, resta comunque in carica per ordinaria amministrazione finché non viene nominato un nuovo governo. Nei sistemi parlamentari l’esecutivo deve essere formato in modo da godere della fiducia della maggioranza parlamentare. In scienza politica si è voluto analizzare il modo in cui si formerà - secondo diverse probabilità - un governo, considerando i partiti come giocatori impegnati a contendersi varie poste durante i processi di formazione degli esecutivi. Gamson e Riker elaborarono delle teorie di coalizione. Con il principio della coalizione minima vincente, Riker, prevede che si formino coalizioni a cui partecipano solo i partiti minimamente vincenti; cioè coalizioni a cui partecipano solo i partiti minimamente necessari per l’ottenimento della maggioranza. La coalizione a grandezza minima in cui i partiti, se vogliono escludere da un governo di coalizioni i partner non necessari, devono aumentare al massimo la propria quota di potere e allora preferire una base di governo il più ristretta possibile. Coalizioni a distanza minima questa teoria parte dal presupposto che sia più facile costituire e mantenere una coalizione formata da partiti aventi preferenze politiche piuttosto che da partiti molto distanti da questo profilo. Pagina 36 di 49 Governo di coalizione come espressione di accordo tra più attori Coalizioni con il minor numero di partiti; Coalizioni a maggioranza contratta; Coalizioni a maggioranza minima connessa. La nozione di core executive è utile perché permette di distinguere gli attori che effettivamente esercitano i poteri di indirizzo politico rispetto ai meri esecutori. Questa immagine è importante anche in un contesto come l’Unione Europea nel quale alcuni attori istituzionali nazionali sono più importanti degli altri per il fatto di partecipare a processi decisionali sovranazionali. Questo genera un distacco netto tra le competenze e le opportunità di partecipazione ai processi di alcuni ministri rispetto ad altri. Un altro elemento importante da tenere in considerazione è quello dell’accentuazione della forza dei leader. Questa osservazione è applicabile in tutti i sistemi ed è associabile con il termine leaderizzazione. La conquista della leadership e le caratteristiche personali del candidato migliore per questa finalità sono divenute gli elementi dominanti dei processi elettorali, attirando sempre più l’attenzione di elettori alla ricerca della “persona giusta” più che del partito o degli stessi programmi. Pagina 37 di 49 La partecipazione politica è l’insieme di tutte quelle occasioni in cui donne e uomini fanno uso di un certo repertorio di azioni per cercare di influenzare le decisioni di chi ricopre cariche pubbliche rappresentative e di governo al fine di modificare il sistema di interessi e di valori dominanti. Questa definizione consente di cogliere una varietà di forme di partecipazione convenzionale. Tuttavia la partecipazione politica è un evento che difficilmente si realizza. Alcuni studiosi americani hanno sostenuto che nelle democrazie avanzate sarebbe opportuno invertire il quesito e chiedersi piuttosto il motivo per cui la gente non partecipa alla vita politica. Le persone non prendono parte principalmente per 3 ragioni: a) non possono, a causa di fattori strutturali che impediscono o ostacolano la partecipazione; b) non vogliono, in conseguenza degli orientamenti psicologici o soggettivi che spingono un individuo alla partecipazione c) nessuno glielo chiede, a causa dei fattori organizzativi o associativi che supportano la partecipazione. Stando alla teoria dello status socioeconomico chi ricopre una posizione socioeconomica più elevata o centrale è maggiormente interessato alla politica e, pertanto, partecipa di più. Si possono menzionare altri meccanismi istituzionali che condizionano la partecipazione elettorale: - il voto obbligatorio (in Italia fino alla riforma del 1993); - i sistemi elettorali proporzionali; - la registrazione automatica degli elettori nelle liste elettorale una volta compiuta la maggiore età; - la previsione di particolari giornate per il voto, etc. Pizzorno per spiegare la partecipazione politica fa riferimento al modello dell’identificazione partitica. Per Pizzorno si partecipa solo se si è tra uguali, ma il sentimento di uguaglianza è una costruzione sociale delle attività politiche e associative che ci coinvolgono. Per aspettative di benefici futuri possiamo rifarci a 3 categorie: - Incentivi individuali -> per lo più costituiti da ricompense materiali anche se non esclusivamente economiche; - Incentivi collettivi -> che sono di due tipi espressivi quando derivano dal sentimento di appartenenza; di scopo se conseguono dall’impegno di realizzare certe finalità; - Incentivi organizzativi -> ricavati dal coinvolgimento attivo dei membri nelle attività decisionali interne e attraverso i meccanismi di delega e decentramento. Pagina 40 di 49 La comunicazione politica riguarda gli scambi e le interazioni che hanno a che fare con l’interesse generale, anche se talvolta si tratta di temi controversi, diventano fonte di mobilitazione di schieramenti pro e contro. La comunicazione sembra riconducibile alla dimensione orizzontale della politica. Anche dal punto di vista delle èlite, governare un società comporta un costante ricorso alla comunicazione per informare i cittadini e per consentire la trasmissione e l’applicazione delle decisioni vincolanti. La comunicazione politica si pone l’obiettivo di persuadere i cittadini per conseguire determinati fini (propaganda). Un’ulteriore precisazione deriva dai soggetti coinvolti nel processo comunicativo e dal sistema di interdipendenza che ne consegue. Da questo punto di vista la comunicazione politica si risolve nell’insieme di scambi o interazioni che si realizzano nel triangolo costituito dagli attori politici, dai mass-media e dal pubblico dei cittadini. Tutti e tre devono essere coinvolti allo stesso tempo e con la stessa intensità in ogni attività comunicativa. Queste relazioni tra attori politici, mass-media e pubblico è stato chiamato modello mediatico della comunicazione politica e si adatta alle tendenze strutturali in atto nella società. In questo contesto si parla di mediatizzazione della politica che rinvia alla centralità dei mass-media e dei professionisti dell’informazione. La mediatizzazione si divide in 2 parametri: a) sistemico che mira a cogliere il grado di subordinazione\autonomia dei media e degli operatori della politica; b) massmediale relativo all’orientamento professionale dei mezzi di comunicazione di massa. Questi due modelli tendono a convergere negli studi che si sono occupati degli sviluppi della comunicazione politica. Farrell e Webb hanno parlato dell’esistenza di 3 fasi della comunicazione politica che caratterizzerebbero le democrazie occidentali: la prima fase della comunicazione politica è contraddistinta dal dominio dei partiti di massa e, quindi, dall’influenza indiretta del sistema dei media; le due più recenti sono caratterizzate dalla mediatizzazione e dalla politica. Con l’avvento del XXI secolo, si registra un predominio dei nuovi media. Sempre più si parla di quarta età della comunicazione politica caratterizzata dalla disinter- mediazione o mediatizzazione estesa. I gruppi di interesse sono organizzazioni formali dotate di personale a tempo pieno, che si specializzano nell’opera di individuazione, promozione e difesa degli interessi, influenzando e contestando le politiche pubbliche. Pagina 41 di 49 I tratti che caratterizzano i gruppi di interesse sono sia organizzativi che attinenti alle modalità d’azione. Vi è una distinzione tra gruppo di interesse e gruppo di pressione: - gruppo di interesse si qualifica come attore del sistema sociale, volto alla tutela di specifici interessi economici; - gruppo di pressione rimanda alle strategie adottate per il perseguimento dei fini istituzionali. Almond e Powell individuarono una tipologia classica dei gruppi di interesse. La tipologia dei due studiosi americani prevede i seguenti tipi di gruppi: • Gruppi anomici cioè strutture e non formalizzate che danno voce alla protesta, talvolta anche violenta, nei confronti di ciò che le autorità e i governi fanno o non fanno; • Gruppi di interesse non associativi si basano su legami non tradizionali (razza, lingua, religione) o su interessi comunemente percepiti; • Gruppi di interesse istituzionali costituiti da istituzioni globali (Chiesa, esercito etc.) o da sottogruppi. • Gruppi di interesse associativi caratteristici delle democrazie pluraliste: sono strutture differenziate volte a rappresentare e tutelare gli interessi specifici di un gruppo particolare. Il termine gatekeeping è stato ampiamente usato per descrivere il meccanismo con cui avvengono le scelte nel lavoro mediale, specie le decisioni circa il lasciar filtrare o meno una particolare notizia tramite i 'cancelli' (in inglese gates) di un mezzo di informazione. Nelle società capitaliste acquistano un ruolo determinante i sistemi di mediazione degli interessi in una versione più frammentata del pluralismo o in una visione più continentale del neocorporativismo. Una versione più recente è quella dei policy networks. Le caratteristiche di questi sistemi dipendono dal grado in cui i propri attori riescono a trasmettere le preferenze dei propri membri e controllano il loro comportamento in vista del soddisfacimento di quelle richieste. Nel pluralismo esistono una molteplicità di associazioni volontarie in concorrenza tra loro e senza coordinamento. Nel neocorporativismo gli attori costitutivi sono in numero limitato e sono obbligatori. Qui prevale un coordinamento gerarchico e questi attori hanno il monopolio della rappresentanza e le loro azioni sono riconosciute e autorizzate dallo Stato. La politica del conflitto si basa sulla volontà e la capacità di impegnarsi in rivendicazioni collettive e conflittuali (scioperi, proteste etc.). Spesso si sviluppa in Pagina 42 di 49 Capitolo 10 PROCESSI DECISIONALI E POLITICHE PUBBLICHE (Qui solo definizioni). La politica, intesa come attività finalizzata a individuare e cercare di risolvere i problemi collettivi, è caratterizzata da una serie di azioni e discussioni svolte in diversi contesti all’interno dello stesso sistema politico. La politica in azione è composta da processi complessi in cui possono innescarsi dinamiche che influiscono sulle decisioni elettorali o sugli impegni presi dai detentori del potere. Per affrontare la politica in azione è necessario ricorrere al concetto di politica pubblica e, quindi, al modo di affrontare i processi decisionali per il quale chi ha il potere è solo uno degli elementi costitutivi del processo, mediante il quale si decide cosa fare e si attua la decisione presa. Una politica pubblica è un piano di azioni coordinate che permette di guidare le decisioni e le azioni di una pluralità di attori, e di ottenere esiti razionali. Il termine "politica" può essere applicato a governi e amministrazioni pubbliche, ma anche a organizzazioni del settore privato. Definizione ristretta di politica pubblica: Ogni cosa che i governi scelgono di fare o di non fare; L’insieme delle situazioni finalizzate a fissare i propositi, i mezzi e gli oggetti della coercizione; Il prodotto dell’attività di un’autorità dotata di potere politico e legittimità a governare. Queste definizioni ristrette riconducono la politica pubblica a una prospettiva tradizionale, intendendola come un fenomeno molto simile alla decisione politica discreta. Si tratta di una prospettiva legittima che, però, non consente di cogliere alcuni aspetti decisivi dei processi decisionali. Definizione ampia di politica pubblica: Un corso di azione intenzionale di una persona, un gruppo o un governo all’interno di un dato ambiente che presenta opportunità e vincoli che la policy si ripromette di utilizzare e superare nel raggiungimento di un fine o nel realizzare un obiettivo o Pagina 45 di 49 un’intenzione; Un particolare oggetto che riguarda un desiderato corso di eventi e una linea di azione; L’insieme delle azioni compiute da un insieme di soggetti finalizzate alla soluzione di un problema collettivo considerato di interesse pubblico. Queste definizioni ampie di politica pubblica consentono di includere una pluralità di dimensioni e di elementi rilevanti per un processo decisionale. La complessità dei processi decisionali, soprattutto se letti da una prospettiva di policy, ha bisogno di strumenti analitici che ne amplifichino l’articolazione. Con policy si indica un insieme di azioni (ma anche di non azioni) poste in essere da soggetti di carattere pubblico e privato, in qualche modo correlate ad un problema collettivo. Nel riordinare le attività che si manifestano nel corso dei processi di policy, gli studiosi delle politiche pubbliche, sono andati disegnando una modellistica finalizzata a ordinare la complessità di tali processi. Queste proposte suddividono le dinamiche processuali delle policy in alcune fasi: costruzione dell’agenda (che comprende l’emergere del problema, la sua definizione e il suo inserimento nell’agenda) la formulazione del programma di policy (la fase in cui la decisone viene presa) l’implementazione del programma, la valutazione e l’eventuale estinzione della politica stessa . Costruzione dell’agenda, formulazione, implementazione e valutazione sono intese come attività costitutive dei processi decisionali. Ciò significa che esse costituiscono delle vere e proprie arene politiche. Per arena politica s’intende uno schema istituzionalizzato di comportamenti in cui determinati attori perseguono un determinato obiettivo. Vi sono 3 tipi di agenda: Agenda sistemica è l’insieme delle questioni che una comunità politica ritiene meritevoli di una qualche attenzione; Agenda istituzionale è l’insieme dei problemi che vengono tenuti in esplicita considerazione dagli attori decisionali; Agenda decisionale è l’insieme dei problemi sui quali gli attori preposti alle decisioni agiscono al fine di prendere una decisione. La dinamica di formazione dell’agenda è caratterizzata da due passaggi fondamentali: la definizione del problema e l’iscrizione della questione nell’agenda decisionale. - Definizione del problema la definizione del problema caratterizza tutto il decorso Pagina 46 di 49 dei processi decisionali. Gli attori interagiscono in continuazione intorno al mantenimento\cambiamento della definizione del problema su cui si sta decidendo; - l’iscrizione della questione nell’agenda decisionale non basta che un problema venga rilevato e interpretato, ma è necessario che esso venga condiviso per riuscire ad entrare nell’agenda decisionale. La Policy window è l’opportunità che consente l’incontro tra problemi, soluzioni ed esigenze politiche. In questa prospettiva una questione entra nell’agenda politica se un determinato problema viene percepito come rilevante da un attore politico istituzionalizzato (dal governo, dai partiti etc.) Il concetto di Policy network coglie una trasformazione nei rapporti tra Stato e società che ridisegna le caratteristiche dei processi di decisione. Con questo concetto si cerca di cogliere la natura relazionale della struttura dei processi di decisione. I principali tipi di network sono: il triangolo di ferro, l’issue network, la policy community, l’advocacy coalition. - Triangolo di ferro -> rappresenta una struttura relazionale caratterizzata dalla presenza di rapporti istituzionalizzati all’interno di uno specifico settore di politica pubblica. Si tratta di una struttura che focalizza l’attenzione sulla possibilità che gli attori abbiano la massima convenienza a gestire la formulazione delle politiche in arene isolate dall’influenza dell’opinione pubblica e degli altri attori politico amministrativi. - Issue network -> si presenta come l’opposto del triangolo di ferro. Infatti esso è caratterizzato dalla presenza di un numero elevato di attori e da una elevata instabilità che una decisione venga presa. - Policy community -> si caratterizza come rappresentanza di una vera e propria comunità, in senso sociologico. I membri di questo tipo di struttura relazionale condividono interesse per un settore di politica pubblica e il riconoscimento reciproco. - Advocacy coalition -> costituisce una rappresentazione teorica forte che delinea il processo decisionale come un’arena in cui si contrappongono almeno due network che competono per imporre le proprie soluzioni. Si tratta di network composti da insiemi di attori appartenenti a una varietà di istituzioni pubbliche e private che condividono un determinato insieme di credenze fondamentali e che cercano di manipolare le regole al fine di raggiungere i loro obiettivi. Per cogliere le caratteristiche costitutive della dinamica decisionale e come si arriva a prendere una decisione politica, si devono tenere insieme tre elementi essenziali: 1. Modello razionale prevede che il decisore sia unitario e che abbia nelle proprie possibilità uno stato di certezza cognitiva che consente di massimizzare l’utilità della decisione. Pagina 47 di 49