Scarica La lingua e la poesia di Dante: il volgare e la Commedia - Prof. Geymonat e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! La lingua di Dante, Paola Manni Dante e il volgare: premessa Dante nasce e si forma nella Firenze della seconda metà del Duecento, quando la città è nel pieno della sua espansione economica e sociale e il volgare, favorito da una crescente alfabetizzazione va imponendosi a tutti i livelli. Alle opere in volgare è affidata la vicenda artistica e autobiografica di Dante, mentre il latino è riservato a opere scientificamente oggettive o di alta ufficialità come il De vulgari eloquentia o Epistole. Vediamo i due grandi momenti dell’itinerario dantesco: da un lato la produzione lirica e prosastica anteriore alla Commedia, cui corrispondono gli interventi teorici più ampi e diretti su lingua e stile; dall’altro lato l’esperienza sotto tutti i punti di vista dirompente della Commedia. Lo studio del volgare in Dante richiede una premessa: non ci è pervenuto nessun autografo La legittimazione del volgare nella “Vita nuova” e nel “Convivio” L’inizio della carriera artistica di Dante e il suo primo contatto col volgare attraverso la lirica, s’inquadrano nella consolidata tradizione che lega in un nesso inscindibile la poesia volgare al tema amoroso. Il principio è espresso Nella vita nuova in un contesto volto ad affermare la pari dignità fra poesia altina e poesia volgare. Il ragionamento si sviluppa poi in un confronto fra poesia e la prosa. Se alla poesia è attribuita una maggiore libertà espressiva, alla prosa spessa il compito di aprire la ragione che è sottesa alla poesia. Ben più ampia è la difesa e l’esaltazione del volgare nel Convivio, opera incompiuta, nata dal proposito di offrire un commento alle canzoni dottrinarie, tradizionalmente ascritta agli anni fra il 1304 e il 1307. Preme a Dante giustificare in un’opera del genere l’uso di una lingua che non era ancora stata sperimentata in tale campo. Quasi tutto il primo trattato è dedicato a difendere il commento, presentato come il pne che accompagna la vivanda. La legittimazione del volgare è fondata sue tre ragioni: 1. Il primo motivo risiede in uno scrupolo di coerenza interna all’opera, nella necessità di adottare nel commento delle canzoni quella stessa lingua volgare in cui le canzoni erano composte. Non sarebbe stato lecito usare nel commento una lingua che rispetto a quella delle liriche fosse sovrana per nobiltà. Inoltre il latino avrebbe esposto le canzoni solo ai litterati, mentre il volgare era inteso da chiunque. 2. Raggiungere un pubblico più vasto ed essere comprensibile a chiunque 3. Il naturale amore per la propria eloquenza Tutto il capitolo XI è costituito da un’invettiva contro gli uomini d’Italia che commentano negativamente il volgare. È evidente la volontà di promuovere un atteggiamento culturale nuovo. Dante spiega negli ultimi due capitoli come l’amore per la propria loquela risulti in lui perfettissimo in quanto hanno agito in esso come vuole la dottrina dell’etica aristotelica sia le cause generative, sia le cause acrescitive, sia la concordia di studio. Soffermandosi sul volgare Dante afferma che permise ai suoi genitori di unirsi. La concordia di studio è provata dal fatto che poetando in volgare Dante ha concorso alla sua stabilità e quindi alla sua conservazione. Il De vulgari eloquentia I motivi di riflessione sulla lingua e letteratura volgare trovano approfondimenti nel De vulgari eloquentia, opera destinata a offrire una trattazione completa e sistematica del tema dell’eloquenza in volgare. Rivolto ai più alti livelli il trattato i configura come un’enciclopedia stilistica e linguistica che doveva abbracciare non solo la scala completa dei livelli di stile ma tutte quelle varietà d’uso volgare. L’ambizioso progetto non fu portato a termine, composto tra il 1304 e il 1305 è rimasto come anche il convivio incompiuto. Quanto possediamo ci dà l’idea parziale di ciò che sarebbe stato. Libro I. Il linguaggio nella sua eccezione più generale e astratta, appare come prerogativa esclusiva dell’uomo, che ha avuto il dono divino di poter trasmettere i suoi pensieri. Fra tutte le lingue solo l’ebraico continua il primordiale linguaggio adamitico. Diversamente, le altre lingue naturali sono frutto del peccato e della confusione babelica. La varietà delle lingue è un fatto negativo a cui si è cercato di porre rimedio attraverso la grammatica, ossia attraverso lingue come il latino. Questa concezione del latino come lingua artificiale era affermata sin dal proemio. La contrapposizione tra il volgare lingua naturale e il latino lingua regolata era presente anche nel Convivio. Ora però si perviene a una scala di merito opposta e si afferma che il volgare è la lingua più nobile in virtù della sua priorità nel tempo, per la diffusione e naturalità. Se nel Convivio si intende celebrale il latino come modello d’arte, nel De vulgari si afferma la superiorità del volgare in quanto strumento primario della comunicazione fra gli uomini. In Europa la frammentazione linguistica si manifesta in un idioma tripartito in tre rami. 1. Il germanico-slavo 2. Il greco 3. Il terzo ramo è triforme e comprende le tre lingue distinte dalle particelle -oc, -oil, -si quindi il provenzale, il francese e l’italiano. Il riconoscimento della parentela tra le lingue non implica però il riconoscimento della comune matrice latina. Per Dante il latino non è lingua naturale, quindi è accaduto che il latino abbia tradotto le proprie forme dalle lingue viventi. Procedendo dal generale al particolare l’attenzione si concentra sull’Italia il cui volgare si suddivide in quattordici varietà, a loro volta differenziate in una serie infinita di sottovarietà. Il ragionamento dantesco si addentra quindi in un’analisi comparativa delle singole varietà, un’analisi che è funzionale a un intento ben preciso: trovare la lingua migliore, più elegante e illustre. Ma nessuno dei volgari passati in esame nei loro tratti caratterizzanti appare degno. Tutti rivelano difetti, compresi i volgari della Toscana, distinti in fiorentino, pisano, lucchese, senese e arentino. Quell’ideale linguistico che non ha riscontrato in nessuna singola varietà, viene tuttavia realizzato dai migliori poeti, il cui canone si va definendo attraverso la rassegna dei volgari italiani. Emergono cos’ gli illustri maestri della scuola siciliana. *Addirittura l’attributo “siciliano” compete a tutto quelli che gli italiani hanno prodotto in fatto di poesia Quanto alla Toscana si distinguono due gruppi di poeti, da una parte i condannati come municipali, i rappresentanti della vecchia scuola, a partire da Guittone. Dall’altra parte, celebrati per aver raggiunto l’eccellenza del volgare, gli stilnovisti. Infine trattando del bolognese viene elogiato un gruppo di rimatori fra i quali primeggia Guinizzelli. Fonologia e morfologia della lingua della Commedia Un risultato importante si è avuto con la pubblicazione della Commedia secondo l’antica vulgata da parte di Petrocchi. Alla prima edizione del 1966-1967 ne è seguita una seconda nel 1994. La precisazione -secondo l’antica vulgata- spiega immediata che non siamo di fronte a un’edizione critica in senso proprio basata su una recensio totale, ma a un’edizione che si fonda su una parte della tradizione, che è quella più antica, costituita dai 27 testimoni anteriori al 1355. Resta fuori l’editio del Boccaccio che assunse una decisiva funzione discriminante all’interno della tradizione della Commedia, dando vita ad un processo di corruttela del testo. Due le famiglie in cui la tradizione viene poi suddivisa, l’una toscana -alfa- e l’altra settentrionale - beta-. Il codice Trivulziano 1080 della famiglia alfa, assume particolare rilievo e autorevolezza sia per la sua antichità, sia per l’affidabilità del copista, Francesco di ser Nardo, che fondò a Firenze una bottega specializzata nella trascrizione dei codici della Commedia. Nel 2001 Federico Sanguineti avvalendosi del metodo di collazione di Barbi, ha offerto un testo critico del poema fondato su uno stemma di sette codici. Un ruolo determinante è riconosciuto al manoscritto Urbinate latino 366, datato 1352, ritenuto di area emiliana o emiliano romagnola, dal quale vengono tuttavia espunti, attraverso il confronto con testimoni fiorentini e toscani, i tratti settentrionali imputabili al copista. La fisionomia del testo risulta rinnovata per molti aspetti, compreso quello linguistico. Nel 2007 e 2011 Giorgio inglese esamina la tradizione dell’antica vulgata, aggiornandola e riorganizzandola in un nuovo stemma semplificato. Quanto alle scelte formali tiene conto del Trivulziano 1080, accanto al quale promuove come autorevole termine di confronto il manoscritto Palatino 313. Il testo di Petrocchi è preso come fondamento dell’edizione di Ossola. La lingua della Commedia si sottrae a un’analisi esaustiva, non si può dire nulla della fisionomia grafica del testo, ma anche l’originario aspetto fonomorfologico è destinato a rimanere in parte occultato. Un doveroso atteggiamento di cautela ha tradizionalmente indotto la critica ad attribuire particolare valore alle parole in chiusura di verso, laddove il vincolo della rima offre garanzia dell’originale, l’affidabilità della rima trova restrizione nei casi in cui compare la rima imperfetta di tipo siciliano ( e chiusa in rima con i ed o chiusa in rima con u). Petrocchi adotta un atteggiamento conservativo verso i casi di rima imperfetta. Tale criterio è estato rimesso in discussione da Castellani. La lingua della commedia nelle sue componenti fonomorfologiche deve tenere presente l’analisi di Ambrosini e anche il profilo di Inglese e Motolese appare aderente al fiorentino degli ultimi decenni del XIII secolo nel capitolo II. Si inseriscono con coerenza in tale contesto una serie di tratti il cui insediamento è avvalorato con piena o sufficiente sicurezza, quali ad esempio -an in -sanza; -e finale in -dimane, il comune esito -ggj di -gl in -tegghia, il mantenimento di -e tonica in iato nelle forme del congiuntivo -dea, -stea. Le alternanze desinenziali rappresentano tutte dei tratti evolutivi interni al fiorentino nella fase che va dagli ultimi decenni del Duecento agli inizi del Trecento. I capitoli dal primo al quinto testimoniano una propensione dell’uso dantesco verso elementi tradizionali, se non già vero veri e propri arcaismi, in quanto si sa che, agli inizi del secolo XIV, il primo tipo desinenziale di ciascuna coppia aveva lasciato il posto al secondo o era ormai in pieno regresso. Occorre sempre tenere presente come la circostanza dell’esilio abbia arretrato il fiorentino di Dante ancorandolo alla fase duecentesca. Spuntano nella morfologia verbale alcune forme non fiorentine che assumono un forte rilievo stilistico- espressivo, spesso sottolineato dal ricorrere in posizione di rima. Si tratta di occidentalismi - 3° persona plurale del presente indicativo uscente in -eno, ovvero formato dalla 3° persona singolare + no. Esempio -ponno. Più raro gli occidentalismi fonologici, fra i quali si è soliti citare -fersa, dove si nota la sibilante in luogo dell’affricata alveolare. Altra forma non fiorentina ma latamente toscana è -lassare che sostituisce -lasciare. Sulla solida fiorentinità strutturale della lingua, comunque ampiamente orientata a contributi esterni, s’innestano molteplici influssi di tipo culturale; latini, siciliani e galloromanzi. Fra i sicilianismi fonologici ricordiamo -canoscenza Occorre ricordare che i tratti di provenienza siciliana sono sostenuti da un’ampia diffusione nell’Italia mediana. L’imperfetto in -ia dei verbi di seconda e terza classe, rappresentato da -vincia e -avia Il lessico della Commedia La polimorfia della lingua della Commedia si impone a livello lessicale. La componente di base fiorentina è accolta in tutta la gamma delle sue varietà. Il coinvolgimento di determinate parole tocca il culmine nell’Inferno. Compaiono voci basse e plebee e veri idiotismi fiorentini. Dall’altro lato l’excursus espressivo verso il Paradiso segna la parabola di ascesa dei latinismi che diffusi ovunque raggiungono il loro apice nella terza cantica. I latinismi si fondono al discorso poetico, per molte parole si può individuare la provenienza in Virgilio. Molti latinismi sono usati per la prima volta con un senso originale, ad esempio -quisquilia- nel senso di -impurità-. Le voci scientifiche e tecniche sono costituite da cultismi, anche se c’è un apporto di lessico popolare. La voce -occhio- è il sostantivo più frequente con 263 ricorrenze, poi è ricorrente il lessico della medicina con parole come -febbre-, -digesto, -membro-. Non di rado la terminologia tecnica è investita di significati traslati. Pur non conoscendo il greco Dante si spinge a tentare alcune neoformazioni, come -teodia- nel senso di - canto rivolto a dio-. Per quanto riguarda le voci scientifiche d’origine araba figura -alchimia-. Consideriamo le altre componenti che concorrono ad arricchire la varietas lessicale della Commedia; numerosi i gallicismi. Su 23 sostantivi provenzaleggianti in -anza, 17 sono nel Paradiso. Non mancano voci influenzate dalla semantica francese. Un sicilianismo che domina rispetto alla variante galicizzante è -disio, -disiare. Fra le contaminazioni dantesche molte sono costituite da formazioni di verbi con il prefisso -in. L’inventiva dantesca coinvolge anche nomi propri e sono inventati sulla base di un significato allusivo alle qualità fisiche o caratteriali. Allotropia nella Commedia; aspetti stilistici Le diverse componenti vengono spesso a sedimentarsi in allotropi, voci che, pur risalendo alla medesima origine e conservando il medesimo significato, si presentano differenziate formalmente. Guardando all’oscillazione tra forme latineggianti e forme popolari, si possono segnalare innumerevoli casi in cui le prime s’impongono sulle seconde in contesti più elevati, con l’evidente scopo di nobilitate il linguaggio. Anche l’alternanza tra varianti di origine galloromanza e corrispondenti a voci indigene denota una scelta stilistica. L’allotropia interessa anche i nomi propri, soprattutto quelli classici o biblici. Dialettalità e inserti alloglotti nella Commedia Costituiscono una compagine a sé quei vocaboli e anche inserti alloglotti che vengono usati per caratterizzare la lingua di alcuni personaggi. Ad esempio in luogo dell’avverbio -ora abbiamo il lucchesismo -issa nel discorso di Bonagiunta Orbicciani e - istra nella frase lombarda attribuita a Virgilio. Entrambe le forme -issa e .istra presuppongono una derivazione da -ipsa hora. Da interpretare in chiave realistico-mimetica un gallicismo marcato come -giuggiare per -giudicare. Sintassi e stile della Commedia Anche per quanto riguarda la sintassi la Commedia condivide con l’uso del fiorentino dell’epoca alcune strutture che si sono evolute senza trasmettersi all’italiano. Ce ne possono dare una prova le regole che determinano la posizione del pronome atono all’interno di frase. Nei raggruppamenti dei pronomi atoni, quello con funzione di accusativo è sempre preposto a quello con funzione di dativo, come vuole la norma duetrecentesca. È rispettata la Tobler-Mussafia che obbliga a porre in posizione enclitica al verbo le particelle pronominali atone sia dopo pausa, sia dopo congiunzioni coordinanti come e ed ma. *Dopo -e- si hanno tuttavia alcuni casi di proclisi. Alla legge Tobler-Mussafia obbedisce pure il pronome atono unito all’imperativo. Noteremo anche la paraipotassi, costrutto tipicamente volgare che era quasi scomparso nella prosa del convivio e di cui nel poema si hanno esempi limitati. La sintassi non può essere analizzata senza tener conto di quelle strutture stilistiche e metriche in cui essa s’incarna. Fra le strutture fondamentali del dettato dantesco, la metafora e la similitudine, assumono un ruolo assolutamente centrale. La metafora investe il lessico anche nelle componenti più usuali. Il ricorso alla similitudine, raro nelle liriche, aveva avuto incremento nel Convivio. Nella Commedia sono di solito espresse attraverso costrutti comparativi. Le forme nominali sono le più semplici, partendo da come + sostantivo a forme più complesse. Nella loro struttura più usuale, esse stabiliscono un rapporto di analogia della congiunzione -come o -si come, alla sovraordinata evidenziata dal correlativo -così. Si dilatano anche in periodi lunghi, con ripetizioni e alliterazioni. Il procedimento ripetitivo, nel ventaglio delle possibiità, diviene elemento essenziale del ritmo narrativo. La rima nella commedia è sede privilegiata dell’inventività linguistica dantesca, sepositaria di elementi fonomoroflogici e lessicali innovativi. Nel ricchissimo repertorio delle 753 rime utilizzate nella Commedia, vediamo confluire in stretto rapporto con la molteplicità dei contesti espressivi, tutte le diverse tipologie rimiche ià esperite nell’itinerario poetico.