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Riassunto Manuale Simone TFA 2023, Dispense di TFA Sostegno

Riassunto Manuale Simone TFA 2023 VIII ciclo PER LE PROVE PRESELETTIVE

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 09/03/2023

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Scarica Riassunto Manuale Simone TFA 2023 e più Dispense in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! CONOSCENZA DEI BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E DELLE DISABILITA’ INDICE 1. Bisogni educativi e scuola dell’inclusione 2. I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) 3. La scuola dell’integrazione multiculturale 4. Bullismo, devianza e dispersione scolastica 5. Pedagogia speciale e disabilità nei manuali diagnostici 6. I disturbi dello sviluppo intellettivo 7. I disturbi dello spettro dell’autismo 8. I disturbi del linguaggio 9. Disabilità sensoriale 10. Valutazione degli alunni BES 11. I disturbi del movimento 12. Disturbi d’ansia e fobia in età evolutiva 13. Disturbi del comportamento e della condotta 14. La personalità ossessiva in età evolutiva 15. Identità sessuale e disforia di genere 16. Disturbi del comportamento alimentare 17. Disturbo depressivo in età evolutiva SEZIONE PRIMA: BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E STRATEGIE DIDATTICHE BISOGNI EDUCATIVI E SCUOLA DELL’INCLUSIONE 1. Approcci teorici Oggi termini quali “handicap” o “svantaggio” sono ritenuti scorretti e viene scoraggiato, se non addirittura vietato il loro uso, in quanto essi producono degli stereotipi che tendono ad indentificare dei soggetti ritenuti “diversi” come inferiori. L’OMS ha per questo motivo eliminato il termine handicappato dalla “condizioni di salute”. Da questo punto di vista l’inclusione non deve prevedere solo la risoluzione di un gap tra lo standard di normalità e quello di presunta disabilità, ma piuttosto deve concentrarsi sull’individualità di ciascuno e sul diritto di tutti alla partecipazione. Il riconoscimento dell’individualità nel gruppo: è questo lo scopo dell’inclusione. 2. I Bisogni Educativi Speciali: dalla direttiva ministeriale 27 dicembre 2012 alla L. 107/2015 (cd. Buona scuola) I Bisogni Educativi Speciali (BES) hanno iniziato ad essere attenzionati dalla Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, che segue il modello diagnostico ICF (international classification of Funcioning) dell’OMS. I BES si dividono in tre sottocategorie: disabilità; disturbi evolutivi specifici; svantaggio economico, linguistico, culturale. Per disturbi evolutivi specifici si intende:  Del linguaggio  Delle abilità non verbali  Della coordinazione motoria  Dell’attenzione  Dell’iperattività La legge 107 del 13 luglio 2015 delega il Governo a rafforzare l’inclusione scolastica principalmente attraverso:  La ridefinizione del ruolo del personale docente di sostengo attraverso appositi percorsi di formazione universitaria  Garantire che gli alunni possano fruire dello stesso insegnante di sostegno per tutto il corso curricolare  Indicatori più chiari per autovalutazione e valutazione dell’inclusione scolastica  Criteri per la certificazione dei BES  Razionalizzazione degli organismi operanti al livello territoriale per il supporto all’inclusione  Obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici  Obbligo di formazione per il personale amministrativo  Garanzia dell’istruzione domiciliare per gli alunni che ne necessitano 3. Strumenti di intervento e piano per l’inclusione L’orientamento normativo attuale è quello di elaborare percorsi specifici che riguardino l’individuo  Garantisce il diritto all’istruzione  Il successo scolastico  Assicura una formazione adeguata Essa prevede: - Modalità di formazione dei DS e docenti - Misura educative e didattiche - Uso di strumenti compensativi e dispensativi - Uso di didattica individualizzata e personalizzata 3. Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA: D.M. 5669/2011 Questo è un decreto attuativo della 170/2010 e prevede l’istituzione dei percorsi di didattica individualizzata e personalizzata. Le istituzioni scolastiche possono attivare questi percorsi tramite il Piano didattico personalizzato. Così come le misure compensative e dispensative, garantite dall’Art. 6, comma 4 di questo decreto, per cui le istituzioni possono dispensare gli studenti con DSA dall’apprendimento delle lingue straniere. Per essere dispensati è necessaria la certificazione di DSA e l’approvazione da parte del consiglio di classe che confermi la dispensa. In sede di esami di Stato le prove di lingua vengono sostituite da altre, stabilite dalle commissioni. Le famiglie devono firmare un documento in cui esprimono il consenso alla dispensa. 4. Le competenze del referente d’istituto e del docente Gli istituti hanno la facoltà di nominare un referente per le problematiche relative ai DSA. Tale docente deve approfondire le tematiche connesse ai DSA. Le lingue guida del DM 12 luglio 2011 precisano che il referente: - fornisce informazioni circa le disposizioni normative - fornisce indicazioni di base su strumenti compensativi - collabora e elabora strategie - offre specifici materiali didattici - cura dotazioni bibliografiche - pubblicizza iniziativi di formazione specifica - fornisce informazioni riguardo Associazioni alle quali fare riferimento - informazioni su sito online - mediatore tra famiglia, alunno e colleghi - informa eventuali supplenti in servizio Allo stesso tempo però tutti i docenti sono altrettanto responsabili della formazione sul tema e hanno compiti analoghi al referente. 5. La didattica per i DSA Cosa si intende per didattica individualizzata e personalizzata? Individualizzata consiste nell’attività di recupero individuale che l’alunno può svolgere per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze. La didattica personalizzata invece calibra l’offerta didattica e le modalità relazionali sulla specificità ed unicità al livello personale dei bisogni educativi della classe. La prima quindi è un approccio particolare sull’individuo, la seconda invece è un approccio generale sugli individui (persone). A seguito di diagnosi di DSA e presentazione documentazione i docenti provvedono alla stesura di un PDP, piano didattico personalizzato, definito entro tre mesi dall’inizio dell’anno. Viene redatto dal consiglio di classe. Gli strumenti compensativi sono didatti e tecnologici:  sintesi vocale  registrazione  programmi di video scrittura  calcolatrice  tabelle, formulari, mappe concettuali Le misure dispensative invece evitano inutili fatiche allo studente, le quali non produrrebbero oltretutto nessun vantaggio nell’apprendimento. L’approccio didattico deve partire dall’analisi della situazione di partenza, attraverso:  Analisi documenti clinici  Conoscenza della famiglia e dei terapisti  Raccolta informazioni da docenti precedenti  Raccolta materiale scolastico degli anni precedenti L’analisi di partenza viene poi adeguata con l’analisi all’interno del contesto classe:  Osservazione partecipata e partecipante  Creazione attività didattiche opportunamente strutturate  Studio competenze acquisite attraverso prove di ingresso, le quali però non devono valere da votazione o giudizio IL DISTURBO DA DIEFITI DELL’ATTENZIONE/ IPERATTIVITA’ (DDAI O ADHD) 1. Che cos’è l’attenzione E’ il processo grazie al quale alcune parti dell’informazione sensoriale vengono codificate ed elaborate, mentre altre vengono escluse. Essa è quindi un meccanismo di selezione. Richiede almeno cinque meccanismi: allerta, attivazione, orientamento, detezione e consapevolezza. L’allerta indica la quantità di attenzione implicata in un compito. Il livello di allerta si riduce per stimoli ripetuti e aumenta per stimoli ritenuti interessanti. Gli indici fisiologici che la testimoniano sono: ritmo cardiaco, ritmo respiratorio, motilità degli stimoli elettrici del sistema nervoso. Gli indici comportamentali invece sono: variazione di ritmo di suzione non nutritiva nei primi stadi dell’infanzia; tempi di reazione per i bambini in età scolare. L’attivazione invece è coinvolta nell’elaborazione dell’informazione: genera la rappresentazione interna dello stimolo percepito. L’orientamento direzione e coordina l’attenzione in direzione della sorgente dello stimolo è accompagnata dalla rotazione degli occhi e del capo quando è esplicita; non è accompagnata da questi quando è implicita. La detezione o rilevamento dell’infromazione è un meccanismo cognitivo di elaborazione dell’informazione selezionata. Molti sostengono che l’attenzione sia una facoltà autonoma, mentre altri dicono che è un’attività della coscienza. 2. Criteri diagnostici secondo il DSM 5 La disattenzione è diagnosticata se persistono per 6 mesi, 6 o più dei seguenti sintomi:  Non si presta attenzione ai particolari  Difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti  Non ascolta  Non segue le istruzioni  Difficoltà di organizzazione  Evita di impegnarsi  Perdita di oggetti necessari  Distratto da stimoli esterni  Sbadato quotidianamente Per adolescenti o adulti bastano 5 sintomi Iperattività e impulsività, sono necessari 6 di questi sintomi:  Si agita e batte le mani  Lascia il proprio posto  Scorrazza e salta  Incapacità di giocare tranquillamente  Si sente “sotto pressione” o è “azionato da un motore”  Parla troppo  “spara” risposte prima del termine delle domande  Non rispetta il proprio turno  Interrompe gli altri 3. La classificazione dell’ICF Il disturbo dell’attenzione è un disturbo ipercinetico caratterizzato da un esordio precoce (nei primi 5 anni), con inclinazione a incidenti e problemi disciplinari che complicazioni secondarie come comportamento antisociale e scarsa autostima. 4. Caratteristiche del deficit dell’attenzione e/o iperattività La caratteristica fondamentale è la persistente disattenzione associata a iperattività e impulsività. La disattenzione è l’incapacità di soddisfare le richieste o seguire regole, l’impulso a passare da un’attività all’altra; distrazione per stimoli irrilevanti. L’iperattività si manifesta con agitazione e il dimenarsi del bambino. L’iperattività non può essere evidente quando il bambino gioca, ma risulta evidente nei contesti scolastici, soprattutto dal movimento dei piedi. Nella prima adolescenza i sintomi sono meno comuni e vengono sostituiti da una sorta di irrequietezza e nervosismo. - offerta culturale valida - predisposizione percorsi integrativi - corsi di italiano - collaborazioni internazionali Con la circolare 160/2001 si attivano i corsi e le iniziative per minori stranieri e per le loro famiglie. Con quella n.24 2006 invece le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri. Nel 2014 ancora vengono emanate nuove linee guida per il reciproco riconoscimento e arricchimento dal ministro dell’istruzione Maria Chiara Carozza. Nel 2014 il MIUR ha istituito l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli studenti stranieri per l’intercultura. 2. L’iscrizione a scuola di alunni stranieri La normativa BES include anche gli alunni con svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale, considerando però che questi hanno carattere transitorio. Il disagio linguistico è frequente negli alunni stranieri di prima (giunti da poco) o di seconda generazione (nati in Italia). Le indicazioni nazionali 2012 prevedono un piano di integrazione, così come la Carta Costituzionale suggerisce, per la valorizzazione della cultura di appartenenza. L’iscrizione è obbligatoria per gli stranieri come per gli italiani e può avvenire in qualsiasi momento, rimettendo al Consiglio di istituto e al Collegio la responsabilità di un corretto inserimento. E’ necessario per questo, attivare spesso percorsi individualizzati e personalizzati o strumenti compensativi e dispensativi. 3. Le Linee guida del 2014 Le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione del 2014 hanno come fonti normative la legge sull’immigrazione n.40 del 1998 e il decreto legislativo 286 del 1998 “testo unico immigrazione”. Si prevedono in dettaglio le situazioni: - Alunni con cittadinanza non italiana sono il 9 percento del totale - Alunni con ambient familiare non italofono - Minori non accompagnati (con genitori deceduti o rimasti nel paese d’origine) - Alunni figli di coppie miste - Alunni arrivati per adozione internazionale (conflitto colla cultura d’origine) - Alunni Rom, Sinti e Caminanti: presentano un altissimo tasso di evasione scolastica, spesso fondato sia su condizioni di svantaggio economico, ma anche su rifiuto culturale e resistenza psicologica verso la scolarizzazione percepita come minaccia. Necessitano di percorsi super personalizzati. In molte regioni d’Italia, soprattutto del Nord, il tasso di allievi stranieri è molto alto. Questo tasso, per legge (Circolare MIUR 2/2010) deve essere inferiore al 30% del totale, anche se può essere innalzato dai DS se gli alunni sono in possesso di adeguate competenze linguistiche. Nel dettaglio le Linee guida 2014 hanno previsto:  Risorse finanziarie  Accordi di rete tra scuole e enti locali  Assegnazione degli alunni non italiani nelle classi autonomamente decisa dalle scuole  Corsi di potenziamento 4. Gli alunni stranieri adottati Fattispecie regolata dalla nota MIUR n. 7443 2014. Si prevede che tali alunni possano avere difficoltà del tipo: - Esperienze particolarmente sfavorevoli nei paesi di origine (es. orfanotrofi ecc.) - Distacco dal paese di origine Si riconoscono arre critiche di intervento: - Difficoltà di apprendimento - Difficoltà psico-emotive - Scolarizzazione differente nei paesi d’origine - Bambini con bisogni speciali (disabilità, problemi salute) - Età presunta - Preadolescenza o adolescenza: conflitto di sovrapposizione dell’età di adozione con quella dello sviluppo - L’italiano come L2, ovvero non come seconda lingua “additiva” come lingua “sottrattiva”, il che comporta talvolta dei vuoti di vocaboli - Identità etnica I campi di intervento sono principalmente:  amministrativo-burocratico  comunicativo-relazionale  continuità nel percorso curricolare Per la stessa normativa è auspicabile che nella scuola di infanzia e primaria, il bambino adottato non si inserisca prima di dodici settimane dal suo arrivo, mentre per la secondaria non prima di 4/6 settimane. Si raccomanda inoltre di applicare cautela all’approccio alle storie personali, che potrebbero risvegliare traumi. 5. L’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (L2) La modalità di intervento per l’integrazione precede l’apprendimento dell’italiano come L2. Esistono quindi docenti specializzati e a partire dalla Riforma delle classi di concorso del 2016, una specifica classe di concorso, la A23, Lingua italiana per discenti di lingua straniera. Questa materia dovrebbe prevedere dalle 8 alle 10 ore settimanali per 3-4 mesi. Lo strumento essenziale è il laboratorio linguistico. L’obbiettivo nelle prime fasi è quello di assicurare la capacità di ascolto, l’acquisizione delle strutture linguistiche di base e la capacità tecnica di lettura e scrittura. 6. Le reti tra istituzioni scolastiche, società civile e territorio Molte spesso il diritto all’integrazione è localizzato e molte scuole sottovalutano la sua importanza. E’ quindi necessaria una grande integrazione tra scuola e territorio che formi i docenti e realizzi rete di scuole. La scuola dell’autonomia, con la funzione strategica del DS è perfetta per colmare questi gap. 7. Il Protocollo di accoglienza degli alunni stranieri Il Protocollo di accoglienza è deliberato dal Collegio docenti e viene poi inserito nel PTOF. Prevede le seguenti fasi:  iscrizione  accoglienza  assegnazione classe  definizione curriculo  valutazione  orientamento  rapporti con famiglia C’è la possibilità di costituire una Commissione di accoglienza composta da referenti, personale di segreteria, DS e mediatori. Essa può esaminare la documentazione, effettuare colloquio con la famiglia, fornisce le informazioni alla famiglia, effettua colloquio valutativo con l’alunno. 8. I compiti nella scuola dell’integrazione il DS è coinvolto in tutta l’accoglienza fin dal colloquio. Dopo di esso, si scrive una relazione sull’alunno e avviene l’assegnazione. BULLISMO, DEVIANZA E DISPERSIONE SCOLASTICA 1. Devianza e delinquenza minorile Gli episodi di devianza scadono spesso in vera e propria delinquenza minorile. Derivano da una grande varietà di fattori. Il passaggio alla devianza si attua con una violazione sistemica e consapevole di norme e aspettative sociali. Spesso però c’è il rischio di trattare atteggiamenti sporadici come sintomi di devianza sistemica. In questo caso si parla di labelling (etichettamento), il quale è dimostrato che crea un circolo vizioso che contribuisce a condurre i ragazzi verso la condizione di devianza. Spesso la violenza e la devianza sono causate dall’acquisizione di una serie di parametri assunti dai mass-media che contribuiscono a idolatrare figure e comportamenti antisociali. 2. Consumo di droghe, alcol e tossicodipendenza La devianza è spesso legata al consumo di droga. Il primo contatto con le sostanze avviene nell’adolescenza. Bisogna però sempre distinguere tra consumo e dipendenza. Solo in questo secondo caso si può parlare di tossicodipendenza, la quale spesso conduce a comportamenti criminali. L’OMS ha elencato alcuni fattori principali come cause della tossicodipendenza:  identità sessuale  età  pressione del gruppo  automedicamento  difficoltà familiari  problemi e profili di personalità SEZIONE II: PEDAGOGIA SPECIALE, DISABILITA’ E SOSTEGNO PEDAGOGIA SPECIALE E DISABILITA’ NEI MANUALI DIAGNOSTICI 1. La pedagogia speciale La questione delle differenze e della diversità tra gli individui costituisce il campo specifico della pedagogia speciale. Il primo incontro con il “diverso” avvenne con il caso del bambino selvaggio dell’Avevron, documentato dalla Societe des Observateurs de l’homme agli iniizi dell’ottocento. Il medico francese Jean Itard prese in cura questo ragazzo ritrovato nella foresta, tendando di educarlo. Ci si accorse che il ragazzo ebbe forti difficoltà ad imparare il linguaggio, ma aveva uno spiccato talento per la musica e l’aritmetica. In Italia la pedagogia speciale deve le sue origini al Maria Montessori e Giuseppe Montesano che istituirono la prima scuola ortofrenica. Grazie al loro i bambini ricevettero un’attenzione pedagogica e non più solo medica. 2. Disabilità e famiglia La notizia della disabilità di un figlio, per un genitore attiva un processo di lutto che si scandisce in quattro stadi o fasi di crisi: 1. Impatto: disorientamento, sensazione di catastrofe immotivata 2. Negazione: viene rimosso l’evento e si spera in una miracolosa guarigione 3. Percezione del dolore: consapevolezza piena dell’irreversibilità; avvio dell’elaborazione oppure fallimento esistenziale 4. Reazione attiva: interpretazione del deficit come condizione esistenziale che fa parte della vita 3. Menomazione, disabilità, handicap. Distinzioni concettuali L’OMS intende la menomazione come una perdita o un’anomali a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche. La menomazione è segnata da: - Perdite o anormalità transitori o permanenti - Anomalie, difetti o perdite su funzioni corporee o psichiche Esistono fari gradi di menomazione che distinguono tra la necessità di intervento terapeutico volto ad eliminare la malattia e la necessità di intervento riabilitativo. Si intende per disabilità, invece, qualsiasi restrizione o carenza conseguente ad una menomazione, della capacità di svolgere un’attività nel mondo normale.  Oggettiva difficoltà nella realizzazione dei compiti  Transitoria o permanente  Conseguenza diretta o indiretta della menomazione  Oggettivazione della menomazione in una molteplicità di disturbi  Esito non necessario della menomazione come reazione soggettiva Si possono riconoscere questi sintomi a un livello psico-pedagogico con:  Osservazione del personale ambiente di vita  Insieme dei valori normativi in funzione della tipologia dell0individuo Per handicap invece si considera una generale condizione di svantaggio come conseguenza di menomazione o di una disabilità, che limita la possibilità di occupare il ruolo che normalmente si attende da quella persona. Esso è segnato dallo sfasamento tra efficienza reale e aspettative di efficienza potenziale. In termini psico-sociologici è la socializzazione di una menomazione o di una disabilità. 4. Il modello ICF L’OMS ha il compito di monitorare le patologie e si è dotata di uno standard diagnostico l’ICD (international Classification of Diseases) che definisce le caratteristiche eziologiche, fisiologiche e anatomiche dei disturbi umani. Questo è affiancato da un’appendice ICIDH (international classification of impairments, disabilities and Handicaps) che distingue terminologicamente la menomazione, la disabilità e l’handicap. Nel testo vengono inoltre considerati tra livelli di gravità e tre approcci corrispondenti:  Prevenzione  Potenziamento  Supporto  Sostituzione Nel 1999 l’OMS ha revisionato tali parametri per stilare la classificazione ICIDH 2, dove non compaiono più le categorie di disabilità e di handicap, ritenute connotate negativamente, ma si valuta solo funzionalmente le activities psico-fisiche. Il documento finale in base a queste variazioni è quello del 2001, l’ICF (international classificazione of funioning, diability and health). L’attenzione è sul concetto di funzionamento piuttosto che su quello di mancanza. Le abilità del soggetto vengono classficiate per Funzioni corporee, strutture corporee, attività e partecipazione e fattori ambientali. L’ICF non è solo per i disabili, ma è impiegato per chiunque. Esso associa una lettera ad ogni parametro e un numero che rivela il grado di abilità per ogni caratteristica. 5. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) E’ un manuale americano alla V edizion nel 2014 che indica tutti i disturbi mentali conosciuti. Il disturbo mentale è definito come: un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni e del comportamento, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici ed evolutivi. I DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO 1. Dal ritardo mentale alle disabilità intellettiva L’espressione ritardo mentale è stata abbandonata e sostituita da quella di disabilità intellettiva. Essa si concentra si comportamenti funzionali e sui fattori contestuali e risulta meno discriminante. Nel DSM-5 per disabilità intellettiva si intendono quei disturbi che insorgono nel periodo dello sviluppo che riguardano disfunzioni della concettualizzazione, della socializzazione e delle capacità pratiche. Ci sono tre criteri per individuarle: 1. funzioni intellettive, apprendimento, problem solving 2. Manifstazione di deficit del funzionamento adattivo 3. Insorgenza deficit durante sviluppo Possono essere: lievi, moderati, gravi ed estremi 2. Diagnosi e livelli di disabilità intellettiva secondo il DSM 5 Esistono diversi tipi di test. I più diffuso sono la Scala Stantford-Binet e il test della serie Wechsler. Il test consiste nel sottoporre una serie di prove, il numero di prove determina il QI. Un QI inferiore a 70 è sintomo di disabilità intellettiva. Le funzioni intellettive sono relative al ragionamento, problem solving, pianificazione, capacità di giudizio. 3. Cause della disabilità intellettiva Le infezioni in gravidanza sono una possibile causa, così come l’uso cronico di alcol e droghe in gravidanza. L’uso di alcuni farmaci è dimostrato che comporta delle malformazioni del feto, come il talidomide e il litio. La sindrome di down, detta anche del cromosoma 21 è un difetto cromosomico, per la presenza di un doppio cromosoma 21. Le cause sono in parte sconosciute anche se l’età avanzata dei genitori può essere una concausa, insieme all’esposizione i raggi x. La sindrome della X fragile comporta disabilità intellettiva con gravi carenze linguistiche, iperattività e autismo. La sindrome di Cri-du-chat, causata dalla mancanza di parte del quinto cromosoma porta gravi ritardi mentali e malformazioni fisiche gravi Il PKU, descritto per la prima volta nel 1934, è un errore congenito del metabolismo. Può essere parzialmente curato con una dieta a vita. Infezione e traumi sono anche causa di disabilità. 4. Sviluppo e decorso Alcune disabilità hanno uno sviluppo progressivo mentre altre si allentano con l’età. 5. Diagnosi differenziale La pseudo-insufficienza mentale è quando essa può essere reversibile oppure quando è concomitante a malattie mentali come schizofrenia o autismo 3. Il disturbo di Rett Medico viennese che nel 1966 riferì di 22 bambini che presentavano grave disabilità neuropsichica. Si tratti una forma dello spettro dell’autismo molto intensa che interessa solo il sesso femminile, con la peculiare caratteristica di inibire e deteriorare il movimento delle mani e condurre alla perdita totale del linguaggio. Si manifesta tra i 6 mesi e i 2 anni e mezzo. Peculiare la piccolezza del cranio. 4. Le linee guida per l’autismo della Società italiana di neuropsicologia: approcci metodologici Lo spettro descrive una serie di disturbi che colpiscono le abilità sociali e di comunicazione e in misura variabile le abilità motorie e linguistiche. Le apposite Linee guida per l’autismo della società italiana di neuropsichiatria definiscono l’autismo come una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato; ovvero disabilità permanente con espressività variabile nel tempo. Occorre perciò insegnare schemi di comportamento e modelli condivisi per favorire l’autonomia. Gli allievi con autismo che frequentano la scuola sono seguiti costantemente dall’insegnante di sostegno. Il trattamento più efficace sembra essere l’Applied Behavior Analysis (ABA) cioè l’analisi comportamentale applicata per la modifica dei comportamenti sociali. Un approccio molto diffuso è anche il Programma evolutivo e psicoeducativo TEACCH, in cui è al centro la strutturazione spazio- temporale. Nello specifico gli obbiettivi possono essere: - Facilitare la consapevolezza delle intenzioni - Facilitare la capacità di raccontare le proprie esperienze - Sviluppare abilità di mantenere e di modificare il tema di conversazione - Sviluppare l’uso del linguaggio per mediare - Sviluppare l’uso del linguaggio per esprimere sentimenti ed empatia - Facilitare l’uso del linguaggio avanzato - Incoraggiare acquisizione di convenzioni verbali - Incoraggiare acquisizione di segnali non verbali - Aumentare l’abilità di interpretare ed usare il linguaggio in modo flessibile L’analisi di comportamento applicata (ABA) utilizza i dati ricavati per formulare teorie relative al perché un determinato comportamento si verifica in un dato contesto e mette in atto una serie di interventi finalizzati a modificare il comportamento. Il programma di intervento che prendi in considerazione gli antecedenti, il comportamento, le conseguenze e il contesto, utilizza le tecniche della sollecitazione (prompting), riduzione delle sollecitazioni (fanding), il modellamento (modelling), l’adattamento (shaping) e il rinforzo. L’obiettivo del metodo è quello di ridurre i comportamenti disfunzionali e ampliare quelli adattivi Nell’ottica neo-comportamentale si ritiene più adatto implementare l’utilizzo dell’ABA negli ambienti naturali del bambino, coinvolgendo i genitori, i fratelli, gli insegnanti e i coetanei, per centrare sempre di più l’attenzione sul bambino. Lo shaping serve a rinforzare le risposte inducendo stimoli aggiunti. Il prompting serve a aggiungere aiuti verbali o gestuale ed è seguito dal fading, cioè dalla riduzione dell’aiuto. I DISTUBRI DEL LINGUAGGIO 1. La classificazione dei disturbi del linguaggio e della comunicazione Il linguaggio è una funzione complessa e a sua maturazione è dovuta allo sviluppo di strutture fonoarticolari (labbra, lingua ecc.), apparato sensopercettivo (orecchio e vie uditive), strutture del cervello. Oltre a questo occorrono che vengano acquisite una serie di competenze che riguardano il riconoscimento dei suoni, delle parole e del significato delle frasi e dei toni. Il DSM V classifica i disturbi della comunicazione come segue: - Disturbo del linguaggio - Disturbo fonetico-fonologico - Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia - Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) 2. Disturbo del linguaggio secondo il DSM V e l’ICF Secondo il DSM V il disturbo del linguaggio è caratterizzato da difficoltà persistenti nell’acquisizione e nell’uso di diverse modalità di linguaggio e deficit della comprensione e della produzione. L’ICF definisce i disturbi evolutivi specifici del linguaggio (codice F80) come quei disturbi in cui l’acquisizione delle normali abilità linguistiche è compromessa sin dai primi stadi di sviluppo. Non devono essere attribuibili alterazione neurologiche per favorire una diagnosi di tali disturbi. 3. Disturbo fonetico-fonologico E’ una persistente difficoltà nella produzione dei suoni del linguaggio e impedisce la comunicazione verbale dei messaggi. Alcune consonati sono impedite nella pronuncia. Si diagnostica di solito ai 4 anni. Solitamente tale disturbo si risolve positivamente se adeguatamente trattato. 4. Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie) La balbuzie è un disturbo dell’articolazione della parola dovuto ad uno spasmo intermittente dell’apparato fonatorio. Si caratterizza per il verificarsi di ripetizioni di suoni e sillabe, prolungamenti di suoni delle consonanti e delle vocali, interruzioni delle parole. L’alterazione causa ansia nel parlare o limitazione dell’efficacia della comunicazione. Entro i 6 anni si sviluppa per l’80 percento dei casi. Nella maggioranza dei casi (70 percento) il disturbo si risolve. 5. Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) Il disturbo della comunicazione sociale è caratterizzato dalla difficoltà dell’uso sociale del linguaggio. Si ha difficoltà a salutare e a scambiare informazioni, a modificare la comunicazione al fine di renderla adeguata al contesto. Alcuni bambini migliorano notevolmente nel tempo, mentre altri la portano fino all’età adulta. Essa si distingue dall’autismo perché non vi sono impedimenti nel comportamento, interessi e percezione degli stimoli esterni. 6. Proposte didattiche in presenza di disturbi del linguaggio  Promozione attività laboratoriali  Insegnare la divisione in sequenze di un testo  Evidenziare gli aspetti salienti di un testo  Favorire l’acquisizione di strategie mentali  Promuove l’apprendimento attraverso il cooperative learning  Lunghe esposizioni orali (da dispensare)  Eseguire compiti e verifiche (da dispensare)  Utilizzo di rappresentazioni e schemi (per compensare)  Fotocopie (per compensare)  Programmi didattici specifici (per compensare) DISABILITA’ SENSORIALI 1. Il deficit visivo Il deficit visivo di origine congenita o ad insorgenza successiva alla nascita è regolamentato dalla legge n. 138 del 2001 che classifica così la ipovisione:  Cecità totale: - mancanza totale della vita per entrambi gli occhi - mera percezione dell’ombra - residuo perimetrico binoculare inferiore al 3 percento  Cechi parziali: - residuo visivo non superiore a 1/20 - perimetrico binoculare è inferiore al 10 percento  Ipovedenti gravi: - residuo visivo non superiore a 1/10 - perimetrico binoculare è inferiore al 50 percento  Ipovedenti lievi: - residuo visivo non superiore a 3/10 - binoculare è inferiore al 60 percento Gli interventi del docente di sostegno sono orientati a potenziare le aree più deboli degli studenti ipovedenti: spazi, orientamento, comunicazione scritta, interazione con gli altri. Alcune strategie didattico-metodologiche: - Scegliere la posizione del banco vicino alla cattedra - Diminuire lo spostamento dell’arredo - Utilizzo sistema BRAILLE - Limitazione del linguaggio scritto - Promozione attività laboratoriali - Promozione programmi videoscrittura - Utilizzo testi didattici igranditi 8. La valutazione degli alunni con PDP Occorre sempre tenere conto delle specifiche situazioni soggettive e fornire eventuali strumenti compensativi e tempo più lunghi. Per la lingua straniera ugualmente ci si deve adattare alle capacità specifiche di ogni caso. SEZIONE III: PSICOPATOLOGIA IN ETA’ EVOLUTIVA I DISTURBI DEL MOVIMENTO 1. Il nuovo raggruppamento diagnostico Secondo il DSM V rientrano nell’area dei disturbi del movimento i disturbi della coordinazione, il disturbo da movimenti stereotipati, il disturbo da tic e il disturbo di Tourette. Il disturbo dalla coordinazione è una marcata compromissione dello sviluppo della coordinazione motoria che interferisce in maniera significativa con le attività della vita quotidiana. I bambini più piccolo posso presentare ritardo nel raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio. I grandi possono mostrare difficoltà nelle componenti motorie dell’assemblaggio di puzzles, modellismo, sport. Spesso si osserva una non stabilità della dominanza emisferica per cui i soggetti appaiono ambidestri. Di solito i disturbi si manifestano tra i 5 e 10 anni. Per essere classificati come disturbi del movimento essi non devono avere chiara origine da traumi neurologici e non devono essere confusi i deficit di attenzione/iperattività. Il disturbo da movimento stereotipato è una patologia per la quale si effettuano movimenti ripetitivi che interferiscono in maniera negativa con le normali attività. Esempi sono la tendenza a mordere parti del corpo, mangiarsi le unghie, dondolare la testa, tremolio delle mani. Il disturbo da tic è una manifestazione patologica a cavallo tra neurologia, psichiatria e psicologia, caratterizzata da movimento involontari rapidi e ripetitivi, dall’emissione non intenzionali di suoni o vocalizzi. Consegue in genere a un impulso violento, ma può essere soppresso con la volontà. Possono essere coinvolti capo, tronco o gli arti. Sono esacerbati dall’ansia e dallo stress e si attenuano durante attività non impegnative fino a scomparire nel sonno. L’esordio è nella fanciullezza o nell’adolescenza, raramente dopo i 40 anni. Caratterizzati a volte da schiocchi della lingua, tossi stizzose o spasmus mutans, ovvero movimento della testa continui o intermittenti e talvolta anche da nistagmo (movimento involontario dei globi oculari. Nell’infanzia è presente a volte la tipica postura della testa, inclinata da un lato come un gallo. Secondo Meige e Feindel, nel 1902, l’origine dei tic sarebbe dovuto ad anomali congenite o da un ritardo nella stabilizzazione della dominanza emisferica. Secondo Snyder e Ferrari, alla fine del 900, invece sarebbe presente un sostrato organico: disfunzione dei sistemi dopaminergici mesolimbini e mesocorticali implicati nell’arricchimento emotivo. Tuttavia l’inefficacia delle terapie farmacologiche lascia escludere queste ipotesi. I clinici comportamentisti ritengono che l’origine sia dovuta a abitudini condizionate in risposta abnorme a una situazione stressante. Il disturbo di Tourette implica tic motori multipli e uno o più tic vocali che si ripetono più volte al giorno. Il che causa notevole malessere nell’ambito sociale, lavorativo e altri contesti. L’esordio può avvenire anche a due anni, ma di solito avviene intorno ai 7 e dura per tutta la vita, con fasi di remissione che vanno da settimane ad anni. Nella maggior parte dei casi si riduce nell’adolescenza. E’ più comune nei maschi. La coprolalia, un tic che comporta lo sbottare come parole oscene è presente nel 10 percento dei casi. Molti tic riguardano l’inginocchiarsi, accovacciarsi, toccare e fare piroette. I sintomi più frequenti sono ossessioni e compulsioni: ne deriva iperattività, distraibilità e impulsività e anche a volte complicazione ortopediche. Non è infrequente la coesistenza di altre malattie come l’epilessia. Si pensa che la malattia sia dovuta a una patologia del nuclei della base da cui deriva un’iperattività dopaminergica. DISTUBRI D’ANSIA E FOBIA IN ETA’ EVOLUTIVA 1. Il soggetto iperansioso E’ un soggetto caratterizzato da ansia eccessiva e irrealistica quando si rapporta ad eventi futuri come interrogazioni, esami, attività di gruppo con i coetanei. Presenta insonnia, tremore, mordersi le unghie, senso di costrizione alla gola e disturbi gastrointestinali. Il fanciullo è spesso inconsapevole di ciò che sottende la propria ansia e spesso la sua origine rimane poco chiara. E’ più comune nelle famiglie poco numerose e nei primogeniti, così come nelle aree urbane rispetto a quelle rirali. 2. L’ansia da separazione Appare nei bambini con meno di 12 anni e tende a diminuire nell’adolescenza. Consiste in reazioni di panico alla separazione, forse a causa di un evento stressante di entità traumatica. E’ necessario valutare: il contesto e le circostanze; il tipo di comunicazione e il legame con le figure genitoriali; gli aspetto cognitivi ed emozionali. 3. Le fobie La fobia è una paura o ansia intensa verso un oggetto o situazione; paura immotivata o sproporzionata alla situazione reale. Esistono fobie specifiche e fobia sociale. Le fobie specifiche sono relative ad oggetti o a situazioni specifiche: provocano una risposta ansiosa immediata che si esprime attraverso pianti, scoppi di ira, irrigidimento. Il DSM V classifica le seguenti tipologie:  Tipo animali: aracnofobia, ornitofobia, cinofobia (insetti), ailurofobia (gatti), fobia dei topi ecc.  Tipo ambiente naturale: brontofobia (temporali), acrofobia (altezze), scotofobia (buio), idrofobia (acqua)  Tipo sangue: fobia degli aghi  Tipo situazionale: trasporti pubblici, tunnel, arei, viaggi  Altro tipo: malattie Si sviluppano in genere nella prima infanzia. Tuttavia ogni bambino ha delle paure che vanno considerati naturali e hanno un carattere provvisorio. Se persistono diventano caratteri nevrotici sistemici. Secondo il modello cognitivo-emotivo-comportamentale i disturbi di tipo nevrotico devono una certa importanza alla comunicazione delle informazioni da parte di insegnanti, parenti e altre persone. Esse permettono di trasmettere pattern cognitivi, emozionali e comportamentali decisivi. Dato che la differenza tra organico e psicologico, nel contesto dell’insegnamento, risulta obsoleta, poiché le trasformazioni neurochimiche delle sinapsi sono concomitanti a quelle psicologiche comportamentali; sarà necessario prendere in considerazione l’ambiente di formazione come centrale all’interno dello sviluppo di queste nevrosi. Alcuni considerano le paure del bambino come appartenenti ad un programma innato di memoria di specie, trasmesso geneticamente. Altri come Bowlby pongono l’accento sulle vicissitudini dell’attaccamento nella fase iniziale dello sviluppo. Il momento topico sarebbe quello che Spitz definisce l’angoscia dell’estraneo, il quale si patologizza nel caso in cui l’attaccamento materno non è stato soddisfacente o non ha avuto la giusta distanza emozionale. Un accudimento ansioso e iperprotettivo comporta l’assimilazione di schemi cognitivo emozionali fragili e instabili. Durante la crescita esistono alcune paure standard dette arcaica che subentrano tra i 4 e i 7 anni. La prima è, come già detto, la paura per l’estraneo. Altre molto diffuse sono quelle nei confronti della scuola e per le malattie. Esse si sviluppano particolarmente nei contesti socio-economici deficitari. Nel bambino molto piccolo, gli stimoli che inducono paura sono sostanzialmente incondizionati, nel senso che le reazioni che conseguono appartengono al patrimonio genetico. La coppia agorafobia e claustrofobia è una fobia certamente collegata al rapporto con la figura materna. La fobia per la scuola si presenta in frequenza piuttosto elevata. Di solito avviene in scolari molto interessati al rendimento. I sintomi sono panico, mal di pancia, paure ipocondriache. Eventi come la nascita di un fratellino, malattie, lutti, cambio di scuola o abitazioni conducono spesso a questa fobia, che riflette un’ansia di separazione dei genitori. La fobia sociale si manifesta specialmente negli adolescenti e si caratterizza da un timore persistente e irrazionale verso situazioni che possono comportare umiliazioni e giudizi degli altri. Si sviluppano complessi di inferiorità e decresce progressivamente l’autostima. Si può recuperare attraverso programmi di social skill training. Per intervenire in queste circostanze è necessario prima di tutto condurre un’attenta analisi della situazione di partenza. Spesso l’eccessiva pressione e paura riflessa dai genitori non fa altro che aumentare le fobie. Non bisogna preoccuparsi quando la fobia appare isolata, ma piuttosto quando si presentano molteplici fobie, poiché esse poi danno vita ad una vera e propria nevrosi 4. Il disturbo d’attacco di panico Il disturbo di attacco di panico è raro in età infantile e vi è un alto rischio di incidenza nella fase terminale dell’adolescenza. Si caratterizza per la classica “fame d’aria”, tachicardia. Si risponde con terapia antidepressiva. I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO E DELLA CONDOTTA 1. I disturbi da deficit del controllo degli impulsi Esistono impulsi che si presentano con un carattere di incoercibilità e di non controllabilità seguiti da comportamenti esplosivi finalizzati a ridurre o eliminare lo stato di tensione. Taluni li considerano come varianti dei disturbi ossessivo-compulsivi tipici. Il DSM V li considera concernenti soprattutto la prima adolescenza. 2. Il disturbo esplosivo intermittente Incapacità di controllare impulsi aggressivi, viene diagnosticato solo in assenza di altre patologie 3. Il disturbo della condotta Caratteristica essenziale è la modalità ripetuta e persistente di comportamento in cui vengono violati 3. Anomalie del sesso gonadico Anomalie funzionali: 1. Pubertà precoce 2. Ritardi della pubertà Anomali organiche: ermafroditismo 4. La disforia del DSM V Per disforia si intende “sopportazione di un male”, dalla parola greca. La disforia di genere diviene quindi un disturbo solo quando provoca una reale sofferenza nell’individuo che la subisce. Essa consiste nel non sentirsi identificato nel proprio sesso biologico. Si manifesta spesso dall’infanzia attraverso comportamenti quali il travestimento e giochi di ruoli che emulano il sesso opposto. DISTURBO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE I disturbi del comportamento alimentare sono molto diffusi soprattutto tra le ragazze adolescenti. Quelli che si manifestano nell’infanzia sono fondamentalmente diversi perché si collegano al rapporto con la madre, mentre quelli nell’adolescenza dipendono da un rapporto idealizzato col proprio corpo. 1. L’anoressia mentale (nervosa o psicogena) Anoressia, dal greco: privo di appetito. In effetti però questi soggetti non sono privi di appetito, ma lo controllano patologicamente. La proporzione dell’incidenza della malattia è di 9 a 1 tra femmine e maschi. I soggetti sviluppano un’alterazione della propria immagine corporea; si vedono grasse e tendono a dimagrire per questo motivo. Si nascondono in bagno e vomitano i pochi cibi ingeriti. Si oppongono alle terapie e rifiutano di avere un problema. Talvolta è richiesta l’ospedalizzazione per procedere con la nutrizione forzata. 2. La bulimia nervosa Caratterizzata dalle crisi bulimiche dove i soggetti ingurgitano grandi quantitativi di cibo e poi li vomitano subito dopo. Può accompagnarsi sia a dimagrimento che a incremento ponderale. Gli eventi scatenanti le crisi sono spesso il rimanere soli a casa. L’abbuffata provoca grande piacere e serve per clamare l’angoscia. Si pensa che questo disturbo sia generato da un errore di valutazione delle cure materne. La madre forniva il cibo per placare le crisi di angoscia dell’infante. Di conseguenza egli si è abituato a compensare con la nutrizione la sua ansia. Una volta ingerito per provocare piacere, però, il cibo smette di essere utile e può essere rigettato. 3. L’organizzazione della personalità nei soggetti con disturbo della condotta alimentare Le ragazze bulimiche presentano una personalità tendenzialmente normale ed estroversa secondo molti. Secondo Hilde Bruch invece questa è solo apparente perché invece esse mantengono un disturbo borderline di fondo. 4. Terapie dei disturbi della condotta alimentare Bisogna intervenire per modificare l’appercezione della propria immagine. Correggere le distorsioni cognitive e condurre la ristrutturazione cognitiva. IL DISTURBO DEPRESSIVO IN ETA’ EVOLUTIVA 1. Il disturbo depressivo in età evolutiva La reale incidenza del disturbo depressivo è controversa. Essa si manifesta con frequenti episodi discontrollo comportamentale, irritabilità, scoppi di collera, pensieri suicidi. Può poi condurre ad una depressione nell’età adulta. Va gestita con atteggiamenti accondiscendenti, gratificazioni e stabilità emotiva e lavorativa. INDICE SEZIONE I: L’AUTONOMIA SCOLASTICA E L’OFFERTA FORMATIVA 1. Principi costituzionali e riforme della scuola 2. L’autonomia scolastica 3. Gli ordinamenti didattici 4. Continuità educativa e orientamento 5. Valutazione e autovalutazione delle scuole 6. La cultura del rapporto scuola territorio 7. Offerta formativa e programmazione 8. Scuole delle competenze e documenti europei in materia educativa SEZIONE II: NORMATIVA SULL’INCLUSIONE 1. Normativa sull’integrazione degli alunni disabili: storia ed evoluzione 2. L’attuale quadro normativo in materia di inclusione 3. Le tappe dell’inclusione scolastica e il piano educativo individualizzato 4. La professione del docente specializzato nel sostegno didattico La riforma Gelmini, tra il 2008 e il 2011, si colloca nel quadro del Piano programmatico di razionalizzazione delle risorse umane e prosegue con un complessivo riorganizzo del sistema scolastico al fine di aumentare l’efficienza del servizio:  Reintroduzione del maestro unico nella scuola primaria  Reintroduzione dei voti da 1 a 10 nel primo ciclo  Innalzamento dell’obbligo scolastico ai 16 anni  Indicazione degli obiettivi specifici di apprendimento, come linee guida per le conoscenze fondamentali, le quali lasciano comunque molto margine di autonomia ai docenti  Riordino di istituti professionali, tecnici e licei 8. La riforma della Buona Scuola La riforma Buona Scuola (L.13-7-2016, n. 107) interviene sugli aspetti cruciali dell’autonomia scolastica, dei poteri dei Dirigenti e sul Piano Triennale dell’Offerta Formativa:  Si istituisce il PTOF il quale sostituisce il POF poiché ha programmazione triennale e non più annuale. Inoltre esso riguarda non solo la formazione ma la gestione del personale docente, amministrativo e ausiliario (ATA) e la definizione del fabbisogno di risorse. Viene elaborato dal Collegio dei docenti su indicazione del dirigente scolastico e poi approvato dal Consiglio di istituto. Il Dirigente dovrà tenere conto di Rapporto di autovalutazione (RAV), esigenze territoriali, risorse dell’autonomia, mission.  Curriculum studentesco che certifica il percorso dello studente arricchito da eventuali insegnamenti disponibili opzionali e dai percorsi di scuola lavoro. Viene valutato in ambito di esame di Stato  Rafforzamento collegamento tra scuola e lavoro con alternanza scuola lavoro obbligatoria negli ultimi tre anni di scuola superiore. Si effettua in musei e altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e della attività culturali, artistiche, musicali oppure attraverso l’impresa formativa simulata. Il dirigente deve individuare le imprese e compilare al termine dell’anno la scheda di valutazione  Comitato di valutazione dei docenti. Il dirigente può assegnare un bonus retributivo per valorizzare i docenti sulla base dei criteri individuati dal Comitato per la valutazione de docenti ovvero: qualità dell’insegnamento in base al successo formativo degli studenti, risultati ottenuti nell’innovazione didattica e ricerca, responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo. Inoltre il comitato valuta l’anno di formazione e di prova per la conferma del docente di ruolo.  Piano nazionale scuola digitale  Organico dell’autonomia: assegnamento del personale e delle risorse in base al fabbisogno  Piano straordinario di assunzioni di docenti  Portale unico di dati della scuola pubblici (bilanci, sistema nazionale valutazione, anagrafe edilizia, anagrafe studenti, osservatorio tecnologico. La legge promuove la piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche in continuità con le leggi Bassanini e l’innalzamento delle competenze degli studenti, la prevenzione dell’abbandono scolastico, diritto allo studio. L’AUTONOMIA SCOLASTICA 1. L’autonomia delle istituzioni scolastiche L’attuazione dell’autonomia finanziaria, organizzativa e didattica si sviluppa a partire dall’art.21 della legge 59/1997 (legge Bassanini) per una riforma in termini di modernità ed efficienza verso un sistema organizzativo non piramidale ma orizzontale, dove la scuola non aveva più un ruolo ricettivo dei regolamenti imposti dall’alto, ma diviene centro di erogazione di servizi e quindi soggetto protagonista. L’autonomia organizzativa e didattica si concretizza nel potere del capo di istituto che organizzi servizi didattici alternativi, introduce nuove tecnologie, predispone corsi extracurriculari sia verso il mondo del lavoro sia per la formazione di adulti. I programmi nazionali sono sostituiti quindi da indirizzi o indicazioni mentre il curricolo didattico viene elaborato nel Piano dell’offerta formativa delle singole scuole. Con la legge costituzionale n.3 del 2001 vengono modificati molti articoli del Titolo V della costituzione indicando chiaramente che le scuole dovranno ampliare il loro rapporto unidirezionale col Ministero rivolgendosi oltre che allo Stato verso le Regioni, i Comuni e le Province e l’istituzione scolastica autonoma stessa. 2. L’autonomia didattica (art. 4, D.P.R. 275/1999) Con l’art. 4, D.P.R. 275/1999 si sancisce l’autonomia didattica che richiama inequivocabilmente alla libertà di insegnamento dell’art.34 costituzionale. L’attenzione al diritto ad apprendere di tutti gli alunni secondo le esigenze e le potenzialità di ciascuno porta alla personalizzazione dei piani didattici con la possibilità di queste prerogative:  Rimodulare il monte ore annuale di ciascuna disciplina  Programmare percorsi formativi specifici (es. insegnamento lingua straniera)  Organizzare iniziative di recupero e sostegno  Ampliare l’offerta formativa  Definire unità di insegnamento non coincidenti con i 60 minuti  Attivare percorsi didattici individualizzati  Definire diverse modalità di valutazione  Aggregare discipline in ambiti disciplinari  Definire criterio di riconoscimento crediti scolastici e debiti L’organico dell’autonomia è istituito formalmente dalla L. 107/2015 che lo considera funzionale alle esigenze formative essendo costituito da: Posti comuni, posti per il sostegno, posti per il potenziamento dell’offerta formativa. I docenti di questo organico sono individuati dal Dirigente scolastico che li utilizza per realizzare il PTOF insieme ai docenti di ruolo e può anche utilizzarli in classi di concorso diverse da quelle in cui sono stati abilitati. 3. L’autonomia organizzativa (art. 5, D.P.R. 275/1999) Questo articolo sancisce l’espressione di un’ampia libertà progettuale che consente:  Diversificare l’impiego dei docenti per classi e sezioni  Modificare calendario scolastico  Organizzazione flessibile dell’orario del curricolo in non meno di 5 giorni Questi criteri flessibili permettono accordi di rete con altre scuole, soggetti esterni, consorzi ecc. 4. L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo (art. 6, D.P.R. 275/1999) Con questo articolo si sancisce l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nelle scuole. Si può quindi elaborare progetti, attuarli e modificarli senza l’approvazione costante del Ministero.  Progettazione formativa e ricerca valutativa  Aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico  Innovazione metodologica e disciplinare  Ricerca su tecnologia, informazione, comunicazione La ricerca pedagogica istituzionale si caratterizza per una dimensione di ricerca-azione poiché si volge non tanto all’elaborazione teorica, ma alla risoluzione pratica e contingente dei problemi relativi alla didattica e all’organizzazione scolastica nel solco della propria autonomia. 5. L’autonomia finanziaria Attraverso l’art. 21 della legge 59/1997 afferma che la scuola ha autonomia dei fondi pervenuti dallo stato, tasse e contributi studenti, più autofinanziamento. La dotazione essenziale per il funzionamento ordinario è concessa per legge dallo Stato. La scuola su tutti i fondi ha quindi autonomia contabile, amministrativa e di bilancio secondo il Regolamento di contabilità e può quindi utilizzare i fondi senza vincolo di destinazione che non sia quello prioritario per le attività scolastiche stesse. Può ricevere fondi anche da Unione Europea, Regioni, enti locali e privati (donazioni, eredità). Deve quindi rispettare i criteri aziendali dell’efficacia, efficienza ed economicità e ispirarsi ai principi contabili di trasparenza, annualità, integrità, universalità, veridicità. Le risorse straordinaria per attività speciali, viaggi di istruzione, assicurazioni per infortuni possono essere chieste alle famiglie con contributi fissi e forfettari aggiuntivi rispetto alle tasse scolastiche le quali sono obbligatorie solo per l’ultimo biennio. I contribuiti forfettari, ha ribadito il MIUR, non sono obbligatori ma volontari, sempre. La scuola gode anche di autonomia negoziale, quindi può chiedere finanziamenti, accendere mutui, acquistare e vendere immobili, aderire a reti e consorzi. 6. Le reti di scuole (art. 7 D.P.R. 275/1999 e 46-47 2018) Le scuole possono stipulare convezioni con privati o pubblici operanti su territorio per obbiettivi di vario tipo. Gli accordi di rete vengono approvati dal Consiglio di Istituto o anche dal Collegio docenti quando riguardano didattica, ricerca e formazione, possono riguardare:  Attività didattiche  Circolazione documenti e ricerche  Gestione amministrativa e contabile  Formazione personale  Orientamento scolastico  Acquisto beni e servizi  Scambio di docenti  Organizzazione laboratori Esterni specializzati quindi intervengono nella gestione amministrativa e di coordinamento implementando una Cultura di rete. Con la buona scuola si è ulteriormente potenziato il sistema di reti, con la creazione delle reti territoriali per la gestione dell’organico dei docenti, con l’intento di ridurre il personale amministrativo. Enti specializzati assumono compiti istruttori che formano i docenti a gestire compiti burocratici sostituendo così il personale amministrativo. GLI ORDINAMENTI DIDATTICI 1. Scuola dell’infanzia L’ordinamento della scuola d’infanzia è disciplinato da D.p.r. 89/2009 (riforma Gelmini) e prevede che duri tre anni e la sua frequenza non è obbligatoria. Le classi non sono inferiori a 18 e non superiori a 26 (20 in caso di bambini con disabilità grave). L’orario è di 40 ore settimanali con possibilità di prolungamento a 50 o di riduzione a 25 ed è compresa una quota per l’insegnamento della religione. 2. Scuola primaria Il primo ciclo di istruzione si divide in: 1) scuola primaria (5 anni) 2) secondaria di primo grado (3 anni) Scuola primaria è articolata in un primo anno pensato come continuo della scuola di infanzia, due bienni al termine dei quali si passa alla secondaria di primo grado. La sua frequenza è obbligatoria. 9. L’iscrizione a scuola e le vaccinazioni Per facilitare l’orientamento le scuole organizzano open day. L’iscrizione è da effettuarsi solo online (d.l. 95/2012) e si necessità del consenso di entrambi i genitori. Alunni con disabilità devono consegnare la certificazione dell’Asl di competenza. Anche gli alunni di cittadinanza non italiana seguono la stessa procedura. Prima ci si poteva iscrivere solo alla scuola del luogo di residenza, ora c’è libera scelta ma vincolata all’accettazione con riserva delle scuola in base alle risorse e i posti disponibili. Per l’art.3 del d.l. 73/2017 in L.119/2017 i Dirigenti scolastici devono verificare che all’atto dell’iscrizione il minore compreso tra 0 e 16 anni presenti la documentazione provante l’avvenuta effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie. Per nidi e scuole di infanzia la suddetta certificazione costituisce requisito di accesso. Le vaccinazioni sono obbligatorie e gratuite. In caso di mancata osservanza il dirigente si riserva di convocare a colloquio i genitori, i quali se si rifiutano ulteriormente pagano una multa dai 100 ai 500 euro. Con la circolare 20546/2018 per i minori dai 6 ai 16 anni resta valida la documentazione già presentata all’anno di iscrizione. Per i minori tra i 0 e i 6 anni per la prima iscrizione è possibile presentare dichiarazione sostituiva di autocertificazione di avvenuta vaccinazione. 10. L’insegnamento della religione cattolica (IRC) I genitori possono scegliere se avvalersi di questa attività, disciplinata tra lo Stato e la Santa Sede con l’accordo del 1985. Gli esentati possono scegliere tra attività alternative quali: didattica alternativa, studio individuale, non frequenza della scuola. I docenti di religione cattolica partecipano al Consiglio di classe. CONTINUITA’ EDUCATIVA E ORIENTAMENTO 1. Il principio della continuità Mira alla conoscenza approfondita dell’alunno attraverso una logica di sviluppo progressivo e continuativo. La continuità verticale raccorda i diversi ordini di scuola e le diverse classi dello stesso ordine, mentre la continuità orizzontale si focalizza sulla comunicazione e sullo scambio tra le diverse agenzie educative (scuola, istituzioni, famiglia, territorio). La continuità verticale si sviluppa tra infanzia, primaria e secondaria di primo grado, mentre nel passaggio alla secondaria di secondo grado essa si traduce in attività di orientamento. 2. La continuità orizzontale Per l’articolo 30 Cost. l’azione della scuola si esplica attraverso la collaborazione con la famiglia. La continuità dipende da tre fattori:  Stili relazionale: l’educatore analizza la relazione tra il bambino e i parenti per entrare a farne parte  Lo spazio e i materiali: introdurre nello spazio scolastico oggetti di uso quotidiano del bambino  La gestione della routine: conoscere le abitudini quotidiane in casa 3. La continuità verticale I tre ordini di scuola coinvolti (infanzia, primaria e sec. di sec. gr.) sono stati riformati tutti tra gli anni ’80 e ’90 in un’ottica di continuità. La prima scuola è la scuola della simbolizzazione: la primaria procede dal predisciplinare alle discipline, mentre la secondaria di I grado è la scuola disciplinare per eccellenza. La continuità non è una prosecuzione meccanica ma una successione non traumatica di esperienze diverse. 4. Gli istituti comprensivi Con la L. 111/2011 le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado devono essere obbligatoriamente aggregate in istituti comprensivi. Questo consente l’affermazione di una scuola unitaria di base che prende in carico i bambini dai 3 anni fino al termine del primo ciclo. E’ prevista l’unitarietà degli organi collegiali dei 3 ordini e un unico collegio docenti. Il decreto 65/2017 istituisci il sistema integrato 0-6 anni e la costituzione di poli per l’infanzia presso gli istituti comprensivi. 5. L’orientamento Orientamento permette il passaggio dal primo al secondo ciclo. L’orientamento però è un diritto del cittadino in ogni età per gestire e pianificare il proprio apprendimento e le proprie esperienze. Esso è lifelong learning.  Orientamento educativo: conoscenza delle proprie attitudini  Orientamento formativo: ricerca autonoma di fonti, tecniche di porblem solving ecc.  Orientamento informativo: informazioni fornite da insegnanti ed esperti  Orientamento personale: rapporto interpersonale fra chi chiede aiuto ed esperto VALUTAZIONE E AUTOVALUTAZIONE DELLE SCUOLE 1. La valutazione nel sistema scuola Diversi profili di valutazione: didattica, di istituto, del sistema scuola. Le scuole dell’autonomia sono tenute a dotarsi di strumenti e procedure per verificare i risultati in riferimento agli standard. Vi è quindi una valutazione interna (autovalutazione) e una esterna di sistema. Il Sistema Nazionale di valutazione è stati istituito nel 2004 2. Il Sistema nazionale per la valutazione del sistema educativo D. Lg. 19-11-2004 articola quindi lo SNV con l’obbiettivo di valutare efficienza ed efficacia del sistema. Dal dpr 28-3-2013, n. 80 esso si articola in: - INVALSI -INDIRE -CONTINGENTE ISPETTIVO Non dovrebbe sussistere nessuna volontà sanzionatoria o punitiva ma altrimenti migliorativa. L’INVALSI ha il compito più ampio diventando più importante del MIUR per la definizione dei contenuti della formazione e dei curricula. Per l’art.3 infatti essa possiede il compito di proporre protocolli di valutazione, programmi di visita alle istituzioni scolastiche da parte degli ispettori, definire indicatori di efficacia e ed efficienza e per la valutazione dei Dirigenti. L’INDIRE fornisce sostegno ai processi di miglioramento e innovazione educativa, di formazione del personale di scuola e di documentazione e ricerca. Infine il corpo ispettivo ha la funzione di valutare scuole e dirigenti scolastici coordinato dalla funzione ispettiva dell’SNV e dai nuclei di valutazione esterna. 3. L’INVALSI Oltre a svolgere un ruolo di coordinamento funzionale dell’SNV è un ente di ricerca che si occupa di:  verifiche periodiche sulle abilità degli studenti  ricerca nell’ambito delle sue finalità  studiare le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica  iniziative per assicurare la partecipazione ai progetti di ricerca europea  attività di supporto e assistenza tecnica all’amministrazione scolastica  attività di formazione del personale docente e dirigente  formulare proposte al MIUR  rilevazioni periodiche nazionali  metodologie per la valutazione  prove nazionali per esami di Stato  iniziative di valorizzazione del merito  supporto a regioni e enti territoriali per loro attività di monitoraggio 4. L’INDIRE Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa è un ente di ricerca articolato in tre nuclei territoriali: Torino, Roma, Napoli:  formazione personale docente  formazione personale non docente e dei Dirigenti scolastici  utilizzo nuove tecnologie per innovazione didattica  sviluppo collaborazione internazionale delle istituzioni scolastiche e universiarie  aggiornamento continuo delle scuole, insegnanti, dirigenti, personale ATA 5. Il processo di valutazione e autovalutazione delle scuole Il processo di valutazione delle scuole può sintetizzarsi in tre fasi: 1) autovalutazione: analisi e verifica del servizio su base dei dati del sistema informativo del Ministero. Elaborazione del Rapporto di Autovalutazione (RAV) e formulare un piano di miglioramento. La gestione è affidata al Dirigente 2) Valutazione esterna: visite di nuclei di valutazione che ridefiniscono i piani di miglioramento (10 percento delle scuole ogni anno) 3) Azioni di miglioramento: definizione e attuazioni di interventi con il supporto dell’INDIRE e di altri istituti. 6. L’autovalutazione delle scuole: Il Rav Il RAV è curato dal dirigente scolastico insieme al NIV (nucleo di valutazione interno). Possono fare parte del NIV tutti i docenti. Il Rav costituisce una versione semplificata del modello INVALSI CIPP con tre differenti aree di analisi: esiti, contesto e processi:  Contesto e risorse: contesto socie economico, opportunità e debolezzi, territorio, capitale sociale, risorse economiche, materiali, risorse professionali.  Esiti degli studenti: soprattutto quelli delle prove standardizzate e i risultati degli alunni dopo la scuola  Processi metti in atto dalla scuola: pratiche educative e didattiche, stato del ambienti di apprendimenti, metodologie innovative, metodologie relazionali. 7. L’autovalutazione delle scuole: il Piano di miglioramento (PDM) La fase successiva al Rav prevede il PDM (piano di miglioramento) curato dal Dirigente e NIV, basato su due tipi di interventi: pratiche educative e pratiche organizzative.  Scelta obbiettivi più utili alle priorità trovate nel Rav (opzionale)  Individuazione azioni da mettere in atto (opzionale)  Pianificazione degli obbiettivi di processo (obbligatorio)  Valutazione condivisione e diffusione del lavoro svolto dal NIV (obbligatorio) Per un PDM più efficace bisogna analizzare la situazione esistente, la situazione desiderata ad elaborare un piano di miglioramento sostenibile con una priorità strategica, obbiettivo di miglioramento e traguardo di lungo periodo. il PDM poi diventa parte integrante del PTOF. 8. La valutazione esterna Finalizzata a:  Miglioramento della qualità dell’offerta  Riduzione della dispersione  Rafforzamento competenze  Valorizzazione degli esiti Affidata ai Nuclei di valutazione esterna (NEV) costituiti da ispettori (dirigenti tecnici) essa ha come punto di partenza il processo di autovalutazione e prevede tre fasi: 1)Lettura e analisi documenti 2) visita, con raccolta di dati e interviste ed esame documentazione scolastica 3) Incontro conclusivo col dirigente scolastico e il NIV con valutazione e comunicazione informale 11. Il Consiglio di circolo o d’istituto Il Consiglio di istituto è l’organo a cui è affidato il governo economico finanziario della scuola. Composto da 14/19 membri, fanno parte i rappresentanti del personale docente, del personale non docente, dei genitori, degli studenti e il Dirigente. Possono partecipare specialisti ed esperti con ruolo consultivo. E’ presieduto da uno dei suoi membri eletto tra i rappresentanti dei genitori a maggioranza assoluta e il segretario viene nominato dal presidente. L’organo dura in carica tre anni. I rappresentanti studenteschi vengono eletti anno per anno. Le sue funzioni sono:  Approva il PTOF  Approva il bilancio preventivo e il conto consuntivo  Adotta il Regolamento di istituto  Adatta il calendario scolastico I Consigli eleggono una Giunta esecutiva, nella quale ci sono il Dirigente che presiede, capo dei servizi di segreteria, un docente, un non docente, due genitori. La giunta resta in carico tre anni e svolge compiti preparatori ed esecutivi. Il Regolamento d’istituto è il documento emanato dal Consiglio di Istituto e si compone in più parti e comprende norme riguardanti:  Vigilanza sugli alunni  Comportamento alunni  Regolamentazione ritardi, uscite, assenze, giustificazioni  Uso degli spazi comuni, laboratori e biblioteca  Conservazione delle strutture e delle dotazioni  Mensa  Uso di dispositivi multimediali  Assicurazione  Viaggi di istruzione  Modalità di comunicazione con studenti e gentori  Calendario riunioni degli incontri scuola famiglia 12. Il Comitato per la valutazione degli insegnanti La L. 107/2015 introduce il Comitato per la valutazione dei docenti, che coadiuva il DS nell’assegnazione dei bonus di merito. Ha durata triennale, presieduto dal DS ed è composto da tre docenti – due scelti dal Collegio e uno dal Consiglio – due rappresentanti dei genitori, un componente esterno – scelto dall’Ufficio regionale. 13. L’assemblea dei genitori Gli studenti della scuola secondaria superiore e i genitori degli alunni di ogni ordine hanno diritto alla assemblea nei locali della scuola. Le assemblee studentesche di classe e di istituto sono proprie della scuola superiore e sono momenti di partecipazione democratica. L’assemblea di classe è convocata su richiesta dei genitori eletti e autorizzata dal Dirigente 14. Il Dirigente scolastico e i suoi collaboratori Soprattutto con la Buona Scuola il DS assume un ruolo di rilevo, essendo responsabile della gestione unitaria dell’Istituzione, delle risorse umane, finanziarie e organizza l’attività scolastica e le relazioni sindacali. Esso è un vero e proprio datori di lavoro ed è chiamato ad una gestione imprenditoriale delle proprie funzioni nell’ottica di un’azienda-scuola. Può avvalersi di docenti da lui individuati per specifici compiti ed è coadiuvato dal Direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA). Questi docenti verranno retribuiti con i finanziamenti a carico del fondo per le attività aggiuntive (FIS). IL collaboratore vicario, ex-vicepreside, sostituisce il DS in caso di assenza, su delega. Le funzioni strumentali sono funzioni obiettivo dell’autonomia per la realizzazione del PTOF e vengono assegnate a dei docenti scelti dal DS. IL DSGA sovraintende i servizi amministrativi e coordina il personale ATA. LA CULTURA DEL RAPPORTO SCUOLA-TERRITORIO 1. Definizione di territorio Da tempo nel nostro paese è in atto uno snellimento dell’amministrazione al fine di fornire alle scuole strumenti di autonomia, ridefinire strumenti di governo, costruire partecipazione e consenso. Una rete di soggetti, quali il Ministero, i suoi organi periferici, le scuole, il sistema delle autonomie locali, soggetti pubblici e privati, formano ciò che viene comunemente nominato Territorio. Esso esprime quindi unità decisionali amministrative, enti di riferimento ed è concepito come laboratorio potenziale dove sussiste la dialettica tra domande e risposte di questi enti e allo stesso tempo è banco di prova dove ogni progetto cerca compatibilità. E’ il luogo della partecipazione dei cittadini nelle strutture di volontariato, nei partiti e nei gruppi di interesse. Attraverso il territorio assistiamo all’ibridazione tra cultura locale e cultura globale in una continua contaminazione dove la scuola si colloca come mediatrice. Un progetto scuola/territorio quindi cerca di istaurare rapporto tra scuola ed enti locali per coniugare esigenze di dimensionamento e razionalizzazione con quelle di servizio e partecipazione. 2. Regionalismo Processo avviato negli anni 70 in cui si sono costituite le Regioni applicando il dettato costitutzionale per un processo di articolazione della territorialità all’interno dello Stato-Nazione. L’articolo 117 della Costituzione assegna infatti poteri decisionali ad aree geopolitiche subnazionali (20 regioni). Lo stato ha competenze legislative su alcune materie ed entra in concorrenza legislativa con le Regioni su altre. 3. Il principio di sussidiarietà Il concetto di sussidiarietà deriva dalla dottrina sociale della chiesa cattolica, emanato nell’Enciclica Quadragesima anno 1931, affermava che non si possono togliere ai singoli per trasferirli alla comunità attributi che essi stessi sono in grado di acquisire di propria iniziativa. Esso intente quini promuovere lo svilppo di copri intermedi che svolgono una funzione di raccordo tra lo Stato e i territori. Negli anni 80 il concetto entra giuridicamente attraverso l’Unione Europea del trattato di Maastricht che stabilisce una relazione di sussidiarietà tra l’ente sovraordinato che svolge la funzione sussidiaria (UE) e gli Stati che invece sono più vicini ai cittadini. La sussidiarietà in Italia comincia con la legge Bassinini del 1997 e culmina con la stesura dell’art.118 della Costituzione. Questa permette di collocare le funzioni amministrative ad un livello di governo più vicino ai cittadini. Lo Stato funzione così si sostituisce ad uno Stato persona e le istituzioni svolgono un doppio ruolo: soggettualità autonome e allo stesso tempo fanno parte della piattaforma di sistema. Non si tratta di una gerarchia bensì di un coordinamento nel quale vi è un ruolo attivo dell’UR per la promozione degli obbiettivi. Questi obbiettivi sono: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia, coerenza. L’apertura consiste nella comunicazione istituzionale. La partecipazione è lo stimolare l’interesse dei cittadini attraverso forme collaborative. L’efficacia riguarda i tempi e gli obbiettivi chiari. La coerenza riguarda le politiche dei vari soggetti che devono essere coerenti tra di loro. La sussidiarietà è verticale dallo Stato alla singola scuola e orizzontale quando equipara le scuole private e quelle pubbliche. 4. Glocalismo e analisi del territorio Glocalismo è un neologismo che significa pensare globalmente e agire localmente. Per cogliere le caratteristiche economiche, demografiche e socioculturali del territorio occorre: conoscere i dati della popolazione attiva, disoccupata ecc., stimare le risorse economiche, conoscere il sistema produttivo, verificale la possibilità di stringere alleanze col mondo economico. 5. Disegnare le mappe dell’identità socio-culturale di un territorio E’ necessario stimare: il livello di istruzione, domande di formazione da parte di età non scolare, la diffusione di strumenti culturali, le strutture che contribuiscono alla diffusione della cultura (biblioteche, teatri, cinema), eventuali bisogni linguistici delle minoranze, il rischio alfabetico, intercettare le associazioni di volontariato e di cura di sé, individuare agenzia nei settori culturali e formativi. Dal dpr. 347/2000 ci sono nuove realtà chiamate Centri intermedi di servizio i quali hanno funzione di start up nei territori dove questi elementi sono carenti. 6. Le principali forme di collaborazione interistituzionale Il partenariato è il confronto tra più soggetti di uno stesso settore. Le scuole possono promuovere partenariati locali o interistituzionali al livello locale, regionale, nazionale e Europeo. Creare anche reti di scuole è possibile con forme di partenariato che prevedono: enti locali, camere di commercio, associazioni, biblioteche, istituti di ricerca, università, privato sociale, enti di formazione. Reti di libero scambio, reti di scuole locali su tematiche di progetto, reti di servizi per la messa in comune di risorse, reti nazionali di progetti: reti di scopo. Il piano educativo territoriale teine in contro i rapporti tra famiglie, scuola e territorio. 7. Il ruolo delle famiglie Dal pdr. 235/2007 di modifica della scuola secondaria si prevedono misure sanzionatorie per allievi autori di illeciti e si richiama la famiglia alla responsabilità. Attraverso il contratto tra comunità scuola e famiglia e con l’atto di firma dell’iscrizione si divide la responsabilità tra questi due enti e si condividono i diritte i doveri per la gestione corretta del rapporto. Il contratto viene poi firmato dal Dirigente e dai genitori. OFFERTA FORMATIVA E PROGRAMMAZIONE 1. Il piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) L’autonomia didattica si estrinseca con l’attuazione del POF che prende il posto dei vecchi programmi ministeriali dal dpr. 275/1999, il quale diventa Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) nel L. 107/2015, poiché riguarda un triennio. Pur rimanendo uno strumento di programmazione e gestione interna contiene anche la programmazione extracurricolare, educativa, didattica e organizzativa e deve esse coerente con gli obbiettivi nazionali. Il PTOF è la carta di identità, la presentazione della scuola nei confronti dell’utenza e delle altre realtà socio- territoriali oltre che il profilo con il quale la scuola si mette in concorrenza con le altre scuola esattamente come un’impresa che opera sul mercato. Per questo il PTOF deve essere pubblicizzato a favore della trasparenza e dell’acceso per l’utenza. Esso è lo sviluppo del vecchio PEI (progetto educativo d’istituto). 2. Elaborazione e struttura del PTOF Deve essere predisposto entro il mese di ottobre precedente al triennio di riferimento. E’ elaborato dal Collegio dei docenti sulla base dell’indirizzo del DS il quale tiene conto delle proposto dei genitori e degli studenti. E’ approvato dal Consiglio di istituto ed è pubblicato sul sito della scuola. Gli ambiti di intervento possono essere:  Predisposizione curricolo  Progettazione attività didattiche  Individuazione fabbisogno posti comuni e di sostegno  Promozione di iniziative contro disuguaglianza socio-culturale e abbandono scolastico  Pianificazione attività per le otto competenze chiave di cittadinanza  Attuazione delle pari opportunità (parità sessi, prevenzione violenza di genere= Le iniziative devono scaturire dal Rapporto di autovalutazione ed essere coerenti con il suo Piano di Miglioramento. Per quanto riguarda la sua struttura esso può articolarsi in quattro parti: le fonti, le offerte/programmi, il regolamento, la valutazione. Si possono apportare modifiche ogni anno entro il 30 ottobre. 5. La Raccomandazione sulla promozione di valori comuni europei del 2018 La Raccomandazione Europea del 2018 vuole contribuire a contrastare i fenomeni del populismo, della xenofobia, del nazionalismo alimentati dalle fake news, sottolineando come l’UE abbia garantito pace e prosperità. Si registra una ignoranza diffusa sul funzionamento dell’UE (44% delle persone non ne sa nulla) e quindi ci si propone di promuovere l’identità europea grazie all’istruzione, insieme all’alfabetizzazione mediatica e la capacità di pensiero critico. 6. Le competenze nelle indicazioni nazionali 2007 e 2012 Nel 2007 si sono emanate nuove indicazioni per il curricolo per la scuola di infanzia e per il primo ciclo di istruzione. Ma è soprattutto nel 2012 che si pone il tema delle competenze anche in questi ordini di scuola. In particolare sull’apprendimento attivo e su:  Valorizzare esperienze e conoscenze degli alunni  Promuovere interventi adeguati per le diversità  Apprendere per esplorazione e scoperta  Apprendimento collaborativo  Consapevolezza del proprio stile di apprendimento  Laboratorialità SEZIONE II: LA NORMATIVA SULL’INCLUSIONE LA NORMATIVA SULL’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNI DISABILI: STORIA ED EVOLUZIONE 1. Dall’integrazione all’inclusione Integrazione ed inclusione sono spesso considerati erroneamente sinonimi. L’integrazione è un concetto superato, il quale prevedeva che i disabili dovessero seguire percorsi di istruzione separati. Esso fa riferimento a un modello risalente agli anni 70’. Dal 2009 si è passati definitivamente al concetto di inclusione dove non è l’alunno disabile a doversi integrare, ma è la scuola a doverlo includerlo, rimodellando il suo stesso approccio. L’inclusione della diversità, si pensi anche a quella degli allievi stranieri, è l’occasione per il confronto tra storie e culture diverse. E’ quindi importante che la scuola faccia riscoprire alle nuove generazioni il senso della memoria per aprirsi alla diversità del passato, ma anche del presente e del futuro. E’ richiesto un profondo cambiamento di stile e di comportamento da parte dei docenti nel progettare i percorsi formativi in stretta collaborazione con il sistema scuola-famiglia-territorio complessivo. 2. L’integrazione scolastica Il processo di inclusione e integrazione dei disabili si è avviato ormai da oltre 30 anni ed è stato concomitante allo sviluppo della pedagogia come scienza, le cui pratiche non possono essere per altro la semplice applicazione degli adempimenti burocratici. La scuola “aperta a tutti” nasce in Italia negli anni che seguirono la contestazione giovanile del 1968. L’obiettivo della protesta studentesca era la scuola, istituzione che rifletteva le profonde differenze sociali del mondo borghese. Le lotte studentesche, proseguite con “i ragazzi dell’85” e “la pantera” diedero una spallata alle arretrate concezioni della scuola e sensibilizzarono la collettività delle contraddizioni della società occidentale. Con la L. 30 marzo 1971, n. 118 si introduce per la prima volta il principio per il quale i minori invalidi civili devono entrare a far parte delle classi normali della scuola pubblica, salvi casi di gravi deficienze. L’inserimento per gli alunni portatori di qualsiasi tipo di handicap deve essere garantito anche alle scuola superiori e universitarie, così come da art.2. Nell’art.28, comma 1 si specificano le misura per garantire la frequenza:  Trasporto gratuito  Accesso scuola mediante eliminazione delle barriere architettoniche  Assistenza durante gli orari scolastici  Centri di degenzae e recupero Il documento Falcucci del 1975 nella forma di “relazione conclusiva della Commissione Falcucci” viene allegato alla c.m. 8 agosto 1975, n.227, “interventi a favore degli alunni handicappati” e promuove il superamento di qualsiasi forma di emarginazione oltre che a modificare il criterio di valutazione che deve valutare l’alunno sia globalmente sia per gli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto o della pagella. Il “progetto educativo” implica il superamento dell’unicità del rapporto insegnante classe attribuendo a un gruppo di insegnanti interagenti la responsabilità verso un gruppo di alunni, con facoltà specifiche di programmazione. Questi insegnanti “in più” sono gli insegnanti di sostegno. Con la L. 517/1977, n. 517 si disciplina la materia per la prima volta in maniera completa (valutazione, programmazione, abolizione esami di riparazione). Si aboliscono le classi differenziali, si introduce il sostegno nelle elementari e medie e il principio dell’individualizzazione dell’insegnamento. Per la scuola elementare (art.2) si dispone che la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative, organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse allo scopo di realizzare interventi individualizzati. Devono essere inoltre garantite l’integrazione specialistica, il servizio soco- psico-pedagogico e forme particolare di sostegno. Per la scuola media (art.7) sono previste forme di integrazione e di sostegno mediante docenti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in possesso di particolare specializzazione, entro il limite di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps e nel numero massimo di 6 ore settimanali. Con c.m. 28-7-1979, n.199 si fa chiarezza sulle “particolari forme di sostegno” specificando che l’integrazione viene raggiunta se all’alunno viene garantita una partecipazione attiva alle attività didattiche. Con la L. 270/1982, n.270 che porta correttivi alla L.517/1977, in particolare in merito alla quantificazione del sostegno, si stabilisce che ciascuna sezione di scuola materna è costituita con un numero massimo di 30 bambini e minimo di 13, che diventano 20 e 10 per le sezioni che accolgono bambini disabili (art.12). Inoltre è necessario un posto di sostegno ogni quattro bambini handicappati. Si abroga inoltre il limite delle 6 ore settimanali, con conseguente adeguamento orario in base alle esigenze. I posti del sostegno sono di ruolo come i posti comuni e si ricoprono con concorsi e graduatorie e titoli specifici. 3. La legge quadro in materia di handicap: L. 104/1992 La legge del 5 febbraio 1992, n. 104 “legge quadro per l’assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” raccoglie i vari interventi legislativi in materia. Lo Stato si impegna e rimuovere le condizioni invalidanti, sia sul piano del deficit sensoriale e psico-motorio, con la riabilitazione, sia sul piano del diritto all’istruzione.  Art.12 Diritto all’eduzione e all’istruzione  Art.13 integrazione scolastica  Art.14 modalità di attuazione dell’integrazione  Art.15 gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica  Art. 16 Valutazione del rendimento e prove d’esame La legge individua gli strumenti di istruzione e formazione necessari all’integrazione:  Diagnosi Funzionale (DF)  Profilo Dinamico Funzionale (PDF)  Piano Educativo Individualizzato (PEI) Tali documenti redatti con il Servizio Sanitario Nazionale con lo scopo di riscontrare potenzialità funzionali dell’alunno con disabilità e per costruire percorsi di autonomia sono utilizzati fino al 2019, anno in cui si sostituisce il PDF con il Profilo di funzionamento. Il Pei viene realizzato dalle ALS o dagli enti locali o dalle istituzioni scolastiche. La legge del 1992 definisce tutti i criteri per l’integrazione predisponendo l’individuazione delle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti. Anche la L. 8 novembre 2000, n.328 ha questi obbiettivi e predispone i Progetti individuali per persone disabili, da realizzare d’intesa dai Comuni con le ASL. Le disposizioni della l. 1992 vengono riprese al T.U. istruzione (1994) e dal d.p.r 275/1999 che introduce la flessibilità oraria dei docenti per l’autonomia progettuale. 4. La L. 18/2009 e le Linee guida per l’integrazione degli alunni disabili La legge n.18 del 2009 ratifica la convenzione Onu 2006 ed introduce le Linee guida per l’integrazione degli alunni disabili. Si provvede al loro inserimento nella vita scolastica con il reciproco funzionamento di Stato, enti locali e ASL. Si stabilisce la progettazione individualizzata, la quale è compito prevalentemente del dirigente. 5. La normativa su DSA e BES: L. 170/2010 e gli altri provvedimenti I bisogni educativi speciali (BES) vengono interessati dalla Direttiva ministeriale 27 dicembre 2012 che il documento propedeutico alla struttura del Progetto individuale e del PEI. La novità più significativa è l’adozione del modello biopsicosociale della classificazione internazionale del funzionamento (ICF) nell’ambito del profilo di funzionamento, il quale descrive lo stato di salute in relazione ai contesti di vista e relazione. La struttura del PEI (Piano Educativo Individualizzato) non cambia ma si tiene conto che: E’ redatto in base alle certificazione di disabilità e al profilo di funzionamento; definisce gli strumento per l’effettivo svolgimento dell’alternanza scuola lavoro; garantisce l’interlocuzione tra i documenti nel passaggio di scuola a scuola. Il Progetto Individuale è redatto dai Servizi sociali in collaborazione con le famiglie, sulla base del profilo di funzionamento. Dal versante più propriamente istituzionale il Piano per l’inclusione risulta essere il principale documento programmatico. Tale documento illustra gli interventi educativi necessari e formula un’ipotesi globale di utilizzo funzionale delle risorse. Questo viene compreso nel PTOF. L’art.16 affronta il problema dei disabili domiciliati e dell’istruzione domiciliare fornendo le direttive per la collaborazione tra USR, enti locali, ASL. Un altro elemento importante è la formazione inziale universitaria specifica degli insegnanti di sostegno della scuola di infanzia e primaria, caratterizzata da un aumento dei crediti in Didattica Inclusiva e Pedagogia speciale nel corso di Laurea Magistrale in Scienze delle Formazione Primaria, per un totale di 60 crediti. 2. Le modifiche e le integrazioni del D.Lgs. 96/2019 Il decreto del 2019 amplia la responsabilità ancor di più all’intera scuola e non alla singola classe. Si pone su tre principi cardine:  Principio dell’accomodamento ragionevole (utilizzo strategico delle risorse)  Principio dell’autodeterminazione (mettere gli studenti in condizioni di potersi esprimere)  Principio della corresponsabilità educativa La domanda per l’accertamento della condizione di disabilità deve essere corredata da certificato medico diagnostico-funzionale, presentato poi all’istituto nazionale. Nell’art.4 si prevede una più dettagliata composizione delle Commissioni mediche, dove devono essere sempre presenti un medico specialista in pediatria e un medico specializzato nella patologia dell’alunno specifico. Tali commissioni sono integrate da un assistente specialistico o da uno psicologo. Contestualmente l’accertamento, ove richiesto, si accerta anche la condizione di disabilità in età evolutiva. Cioè si rilascia ad ogni passaggio di ciclo scolastico una certificazione che tiene conto dei progressi e delle evoluzioni. Anche il PEI viene adattato all’ICF e deve contenere la quantificazione delle ore e delle risorse necessarie per il sostegno, va redatto in via provvisoria entro giugno e in via definitiva non oltre il mese di ottobre. Il decreto rafforza la collaborazione interistituzionale sul territorio. IL progetto individuale quindi non è più esclusivo dell’ente locale, ma si configura in collaborazione con l’ASL. Le seguenti disposizioni sono attuate tramite questo decreto:  Nuova composizione delle commissioni mediche  Adozione profilo di funzionamento (PF)  Piano educativo individualizzato approvato dai gruppi per l’inclusione Viene poi rinnovato l’assetto dei Gruppi per l’inclusione:  GLIR: Gruppo di lavoro interistituzionale regionale che ha il compito di consulenza e proposta all’USR per la definizione dei programmi per l’inclusione  GIT (gruppo per inclusione territoriale) svolge il compito di consulenza nella verifica di congruità dei numeri di posti di sostegno richiesti dal DS  Il GLI (gruppo di lavoro per l’inclusione) ha il compito di supporto per Collegio docenti  GLO (gruppo lavoro operativo) composta da tutti i docenti di classe, con i genitori dell’alunno. Serve per redigere il PEI e formula la quantificazione delle ore per il sostegno Il decreto prevede la modulazione del personale ATA in funzione del numero di disabili. Riconosce la valenza delle azioni di rete e dei Centri territoriali di supporto. Riserva particolare attenzione alla formazione in ingresso attivando un corso di specializzazione in pedagogia e didattica per il sostegno. Prevede la possibilità della conferma sulla stessa cattedra per l’anno successivo del docente con contratto a tempo determinato con possesso del titolo di specializzazione per il sostegno. CENTRI TERRITORIALI E GRUPPI DI LAVORO 1. Centri Territoriali di Supporto (CTS) e Centri territoriali per l’inclusione (CTI) La Direttiva del 27 dicembre 2012 istituisce i Centri Territoriali si supporto (CTS) in accordo con il MIUR presso gli USR per il progetto Nuove Tecnologie e Disabilità al fine di renderli punti di riferimento per le scuole in sinergia con Province, Comuni, Municipi, Servizi Sanitari, Associazione dei disabili. I CTS informano i docenti, gli alunni, gli studenti delle risorse tecnologiche disponibili mettendo a disposizione incontri di presentazione e iniziative di formazione su inclusione scolastica. Offrono consulenza anche per le modalità didattiche. Infine possono promuovere intese e accordi territoriali coi servizi sanitari del territorio. Sono formati da tre operatori tra docenti curricurali e di sostegno e possono dotarsi di Comitato Tecnico Scientifico. Al livello territoriale meno esteso vengono predisposti invece i Centri Territoriali per l’inclusione (CTI). 2. Storia dei Gruppi di lavoro per l’integrazione (art. 15 L. 104/1992) I primi Gruppi di lavoro per l’integrazione furono previsti da L. 104/1992 con il compito di consulenza e proposta. I GLH si suddividono in GLIP (gruppi di lavoro interistituzionali provinciali) e GLH di istituto che operano nella scuola. Il GLH di istituto poi si divide in GLHI e GLHO i quali hanno il compito di coordinamento con le unità sanitarie locali. I GLHI al livello di istituto mentre i GLHO al livello di singoli alunni. Esistono poi anche i GLIR (gruppi di lavoro interistituzionali regionali). L’organizzazione territoriale per l’inclusione prevede quindi:  GLH a livello di scuola affiancati dai Gruppi di lavoro per l’inclusione appena descritti  GLH di rete o distrettuali  CTI  CTS (uno per provincia almeno) 3. Le funzioni dei GLH (GLHI e GLHO) Il GLH di istituto si riunisce due volte l’anno e presiede alla programmazione generale dell’integrazione scolastica e alla stesura del PEI. Il gruppo opera al fine di:  Analizzare la situazione circa il numero di alunni disabili  Analizzare risorse della scuola  Predisporre calendario per gli incontri operativi  Verificare periodicamente gli interventi  Formulare proposte per la formazione e l’aggiornamento per personale di scuola, delle ASL e Enti locali Le competenze del GLHI si dividono in due categorie, organizzativo e progettuale. Per l’organizzativo rientrano le competenze di:  Gestione delle risorse umane (assegnazione ore di sostegno per i singoli alunni, compresenze tra docenti, reperimento specialisti)  Modalità di passaggio e di accoglienza dei minori disabili  Gestione di risorse materiali Per il progettuale:  Continuità tra i diversi ordini  Progetti specifici per la disabilità  Progetti relativi all’organico  Progetti per l’aggiornamento del personale Il GLH operativo invece, lavora sui singoli casi ed è composto da dirigente, consiglio di classe, referente e personale ASL, Genitori dell’alunno e si riunisce tre volte l’anno svolgendo funzioni di:  Presiedere alla stesura del bilancio diagnostico e del Profilo Dinamico Funzionale  Interviene nella progettazione e verifica del Piano educativo individualizzato  Indica al GLHI le ore e le aree di sostegno necessarie per il successivo anno scolastico 4. I Gruppi di lavoro per l’inclusione della Direttiva 27-12-2012 Questa direttiva ha disciplinato i Gruppi di lavoro per l’inclusione (GLI). Essi hanno compiti di rilevazione di tutti i bisogni educativi speciali ed è composto da: dirigente, collaboratori dirigente, docenti sostegno, docenti referenti bes, handicap, dsa, rappresentanti genitori con disabilità, responsabile ASL, eventuali operatori e svolge le seguenti funzioni:  Rilevazione dei BES  Raccolta documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere  Confronto sui casi, supporto ai colleghi sulle metodologie  Monitoraggio e valutazione  Elaborazione di una proposta di Piano annuale per l’inclusività (PAI) Sulla base del PAI il GLI procede alla valutazione delle criticità e dei punti di forza della scuola in questo ambito e compone un piano strategico. Il piano viene poi discusso e deliberato dal Collegio docenti inviato agli Uffici scolastici regionali, nonché ai GLIP e al GLIR per la richiesta di organico di sostegno e alle altre istituzioni territoriali per l’assegnazione delle risorse. A seguito di ciò gli USR assegnano le risorse. All’inizio dell’anno scolastico con le risorse effettivamente assegnate il Gruppo provvede all’adattamento del Piano e il DS all’assegnazione definitiva delle risorse. Il singolo GLHO completano la redazione del PEI per gli alunni specifici. Il PAI è il documento base anche per la domanda da parte delle istituzioni per diventare CTI. 5. I Gruppi per l’inclusione nella disciplina del d.lgs. 66/2017 L’attuale disciplina definisce i nuovi gruppi per l’inclusione scolastica:  Gruppo di Lavoro Interistituzionale regionale (GLIR): istituito presso ogni USR con compiti di consulenza proposta, attuazione e verifica, supporto ai gruppo per l’inclusione territoriale e alle reti di scuole, presieduto dal direttore dell’USR prevedere la partecipazione dei rappresentanti delle regioni e degli enti locali e delle associazione dei disabili  Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT): compito di ricevere dai dirigenti la quantificazione delle risorse, confermandole o esprimendo parere difforme, è presieduto da un dirigente tecnico o scolastico ed è composto da tre dirigenti scolatici dell’ambito di riferimento, da due docenti per la scuola dell’infanzia e superiore, nominati dall’USR. Il GIT supporta le scuole nella definizione del PEI.  Il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI): istituito presso ogni istituto ha compito di programmazione, proposta, supporto al collegio docenti per il Piano per l’inclusione ed è composto da docenti, personale ATA, specialisti dell’ASL. Il metodo è improntato sulla ricerca-azione la quale deve garantire flessibilità, continuità e individualizzazione dell’apprendimento. 4. Prassi di programmazione didattica: una lezione inclusiva Nella declinazione della programmazione curriculare delle discipline i docenti dovranno tenere conto di volta in volta di ciascun obbiettivo e traguardo. La progettazione dipende da numerose variabili come analisi del contesto, situazione di partenza degli alunni, caratteristiche, conoscenze, unità di apprendimento di riferimento, discipline, classe di riferimento, docenti, età, periodo, modello, obiettivi di integrazione e inclusione, metodologie inclusive attivate, mediatori ecc. Vi sono elementi della progettazione che devono essere individuati nel dettaglio, per esempio le diverse fasi: Imput, nucleo dell’intervento e Output. LA PROFESSIONE DEL DOCENTE SPECIALIZZATO NEL SOSTEGNO DI DIDATTICO 1. Come si diventa docente di sostegno: concorso e titoli di accesso La disciplina del reclutamento è regolata dai decreti attuativi della Buona scuola, ovvero d.lg. 59/2017 e d.lg. 66/2017. L’evoluzione normativa è stata molto complessa con previsione di corsi intensivi, scuole di specializzazione, corsi universitari, fino ad arrivare con dlgs 249/20120 che ha stabilito che la specializzazione per le attività di sostegno si consegue esclusivamente presso le Università. L’attuale disciplina per l’accesso alla scuola primaria e dell’infanzia per il sostengo è introdotta dal d.lgs. 66/2017. In primo luogo è previsto il superamento di un concorso pubblico. Occorre anche un titolo valido per insegnare, come la laurea in scienze della formazione primaria oppure il diploma magistrale più il diploma di specializzazione (TFA di sostegno). Per la scuola secondaria invece è disciplinata da D.lgs. 59/2017 che ha disposto per il docente il superamento di un concorso nazionale e un successivo percorso formativo, inizialmente di durata triennale. La legge di bilancio 2019 ha modificato il reclutamento dei docenti di secondaria riducendo il periodo di formazione ad un anno, durante il quale il docente effettuerà una supplenza che vale come prova, al seguito della quale verrà assunto di ruolo. Il diploma di specializzazione costituisce un titolo di accesso al concorso, assieme all’abilitazione oppure alla laurea più 24 CFU nelle materie psico-pedagogiche. Ai percorsi di specializzazione potranno partecipare, non solo i docenti abilitati, ma anche i non abilitati in possesso di un titolo di studio valido per l’accesso a una classe di concorso, più i 24 CFU. 2. I percorsi di specializzazione I percorsi di specializzazione son corsi attivati dagli Atenei. Per l’accesso ai corsi ciascun ateneo emana un bando che prevede i numeri di posti disponibili per ciascun percorso, i programmi su cui vertono le prove di accesso e le modalità di presentazione delle domande di partecipazione. L’accesso al corso annuale di specializzazione per le attività di sostegno è subordinato al superamento di una serie di prove: un test preliminare, uno o più prove scritte e una prova orale. Il test preliminare è costituito da 60 quesiti formulati con cinque opzioni di risposta. Almeno dei 20 di questi sono sulle competenze linguistiche e comprensione testuale. La risposta corretta vale 0.5, la mancata risposta o risposta errata vale 0 punto. Il test ha durata i 2 ore. E’ ammesso un numero di candidati pari al doppio dei posti disponibili nella singola sede. Sono ammessi alla prova scritta anche colo che abbiano conseguito il medesimo punteggio dell’ultimo degli ammessi. Si forma una graduatoria. Sono richieste diverse competenze:  Socio-psico-pedagogiche  Intelligenza emotiva (riconoscimento e comprensione di emozioni, capacità di autoanalisi delle proprie emozioni)  Creatività e pensiero divergente (saper generare strategie innovative in ambito verbale e linguistico, logico matematico, linguaggio visivo, motorio, non verbale).  Competenze organizzative (organizzazione scolastica, aspetti giuridici) Il corso di sostegno didattico si articola nelle seguenti attività:  Insegnamenti  Attività laboratoriali (modalità di apprendimento cooperativo e ricerca-azione, apprendimento metacognitivo, attraverso lavori di gruppo, simulazioni, approfondimenti, esperienze applicative)  Attività di tirocinio diretto e indiretto (il diretto consiste in non meno di 5 mesi presso le istituzioni scolastiche, seguito da tutor, scelto tra i docenti; mentre l’indiretto sono attività supervisionate dai docenti del corso, presso gli atenei e le sedi di tirocinio, quali rielaborazione dell’esperienza professionale, utilizzo nuove tecnologie alla didattica speciale (TIC). 3. Utilizzo del titolo si specializzazione Una volta acquisito il titolo il docente può partecipare al concorso per il relativo grado di scuola. Il diploma può servire ai fini della mobilità, trasferimenti (da posto comune a posto di sostegno) o passaggi di ruolo. Si possono ottenere anche incarichi di supplenza nelle graduatorie di istituto. E’ possibile essere chiamati anche con la MAD (messa a disposizione) per ottenere incarichi di supplenza. I primi ad essere contattati saranno comunque quelli in possesso di specializzazione. 4. Il profilo professionale del docente specializzato Il docente è inserito in una classe con la presenza di almeno un alunno con disabilità. E’ essenziale per le attività sue peculiari, come la stesura di un Piano educativo individualizzato (PEI). Nell’allegato A al decreto ministeriale 30 settembre 2011 ha individuato i criteri e le modalità di svolgimento dei corsi di formazione per la specializzazione. Il docente:  Assume la contitolarità della sezione e della classe  Partecipa alla programmazione educativa e didattica, elaborazione e verifica delle attività di competenze dei Consigli di interclasse e di classe e del Collegio docenti.  Si occupa di attività educative e didattiche per le attività di sostegno  Si offre a supporto della collegiale azione educativa. Nel 2012 l’Agenzia Europe per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni disabili ha pubblicato il Profilo dei docenti inclusivi, un documento nato da un progetto triennale realizzato per individuare competenze, bagaglio formativo e culturale, comportamenti e valori necessari. Il profilo di divide in quattro aree:  Valorizzare la diversità  Sostenere gli alunni  Lavorare con gli altri (docenti e famiglie)  Sviluppo e aggiornamento professionale 5. Il ruolo del docente di sostegno all’interno del Consiglio di classe Il docente è assegnato alla classe e opera alla parti dei docenti comuni, per diritti e dover. Assume la cotitolarità della sezione e partecipa alla programmazione eucativa e didattica. Nella scuola dell’infanzia e primaria fanno parte del consiglio di intersezione e del consiglio classe e partecipano alla valutazione di tutte le alunne della classe. 6. I compiti del docente di sostegno Supporto dell’integrazione della programmazione didattica con il Piano educativo individualizzato (PEI). Al livello relazionale deve:  Curare i rapporto con le famiglie  Partecipare alla relazione con gli altri soggetti che partecipano alla realizzazione del progetto (enti locali, ASL, servizi socio-assistenziali)  Collabora con le scuole di rete Prende visione di tuta la documentazione e le iniziative sull’inclusone. Partecipa alla reazione del Profilo di funzionamento e alla predisposizione del PEI e del Progetto individuale. Fa parte del GLHI, nominato dal DS, con compito di redigere e predisporre il Piano educativo individualizzato e verificare la sua applicazione. Egli collabora con altri docenti:  Nell’elaborazione della programmazione  Nelle strategie e nei contenuti rispondenti alle esigenze degli alunni  Evidenzia il proprio orario di presenza e quello del personale assistenziale  Concorda e predispone le valutazioni  Concorda con il Consiglio eventuali percorsi speciali e riduzioni di orario o esoneri 7. I compiti di pianificazione e programmazione Il numero complessivo di ore di sostengo può essere di 18 ore, nove ore, sei ore, oppure quattro ore e mezza. Il docente nelle scuole primarie e del primo ciclo, nel momento della pianificazione delle attività deve proporre al Consiglio classe una particolare programmazione didattica per l’alunno disabile sulla base del PEI. Esso deve contenere per ogni disciplina la strategia didattica da seguire, i criteri per la valutazione, gli obbiettivi didattici. SEZIONE I: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO, INTELLIGENZA E CREATIVITA’ PERCEZIONE, ATTENZIONE E MEMORIA 1. Sviluppo neuronale e interazione con l’ambiente Il sistema celebrale si consolida progressivamente e gradualmente passando per diversi stadi determinati geneticamente ma influenzati notevolmente dall’interazione con l’ambiente. Infatti è solo tramite questa interazione che i geni si “esprimono” o non si esprimono. Le carenze ambientali possono determinare quindi deficit dello sviluppo. La maturazione celebrale consiste nella migrazione dei neuroni verso la superficie della corteccia, la quale può essere ostacolata da diversi fattori. Uno di questi è per esempio quando la madre assume sostanze tossiche durante la gestazione. mentre il numero dei neuroni alla nascita è già quasi completo, i dendriti e le connessioni sinaptiche, che permettono la trasmissione dei segnali tra i neuroni si possono moltiplicare. Alcune di queste connessioni vengono eliminate (tramite il processo di pruning, potatura) altre rinforzate, a seconda delle stimolazioni ricevute dall’ambiente. La struttura neurale, sfrondandosi si semplifica, ma allo stesso tempo si specializza. Mentre il bambino può sviluppare potenzialmente le più diverse abilità per esempio parlare lingue diverse, per l’adulto è meno probabile perché le connessioni che non vengono attivate in età infantile vengono poi eliminate. La maturazione e la specializzazione avvengono particolarmente nei cosiddetti periodi critici 2. Il cervello e la sua struttura Il cervello evolutosi in milioni di anni è l’organo fondamentale delle attività cognitive, oltre che la struttura biologica più complessa fin ora conosciuta sul pianeta. E’ composto da un numero smisurato di cellule nervose (100 miliardi nell’uomo), le quali comunicano tra di loro originando ognuna da 1000 a 10.000 connessioni. Si stima un numero di connessioni totali intorno ai 100.000 miliardi. Le funzioni della corteccia celebrale sono:  Controllo delle attività motorie  Produzione del linguaggio  Funzioni di attenzione  Elaborazione pensiero Nonostante le diverse arre della corteccia siano specializzate, la struttura risulta molto simile. Il sistema nervoso centrale ha una struttura simmetrica, ed è composto dall’encefalo e dal midollo spinale. L’encefalo si divide in strutture corticali e sottocorticali, mente la corteccia celebrare, composta da due emisferi cerebrali, è suddivisa in quattro lobi: frontale, parietale, occipitale e temporale.  Frontale: funzioni di elaborazione delle azioni, controllo movimenti, personalità individuo complessa  Parietale: funzioni che riguardano le sensazioni somatiche, l’immagine corporea, la localizzazione spaziale  Occipitale: funzione visiva  Temporale: funzioni uditive, dell’apprendimento, della memoria, del linguaggio e delle emozioni I centri del linguaggio sono quindi i lobi temporale e frontale. La nozione di plasticità indica la capacità dei circuiti nervosi di mutare le loro caratteristiche in ragione delle stimolazioni sensoriali esterne. Esiste un periodo particolarmente sensibile che è il periodo critico, il quale coincide con la nascita e l’infanzia. Gli studiosi dell’apprendimento infantile e i psicopedagogisti lo studiano da tempo. Il fenomeno di progressiva sintonizzazione tra mondo cerebrale e mondo esterno è un evento complesso che avviene con forme di accomodamento e selezione di determinati circuiti al fine di generare un comportamento che garantisca la sopravvivenza dell’organismo in un certo ambiente. L’assenza di stimolazione nel periodo critico è quindi dannosa per lo sviluppo (come dimostrano gli studi sulla deprivazione delle cure materne di René Spitz). L’impatto ambientale serve ad attivare una serie di geni che altrimenti rimarrebbero latenti. Una teoria largamente diffusa tempo fa riteneva che il cervello tendesse inesorabilmente a stabilizzarsi. Ma recenti ricerche mostrano invece che esistono zone di plasticità anche nel cervello adulto, il che garantisce la possibilità di apprendimento continuo. Studi ancora più recenti mostrano la possibilità della riorganizzazione della corteccia sensoriale anche a seguito di lesioni o amputazioni di arti, attraverso modificazione plastiche rapide e precoci che presiedono la ricomposizione di connessioni corticali. Il fatto che il cervello rimanga plastico, sensibile agli input, mostra l’utilità eventuale di un esercizio celebrale preventivo volto a migliorare la stabilità delle nostre performance, poiché le sinapsi tenute inattive tendono a perdere efficacia. 3. Percezione e attenzione Per percezione si intende il processo cognitivo che permette di trarre informazioni dal mondo esterno attraverso l’integrazione tra sensazioni raccolte, organi di senso e esperienze pregresse. L’atto di percepire non è un’operazione del tutto obiettiva, implica il concorso di elementi fisiologici e condizioni soggettive. E’ in realtà impossibile una coincidenza piena tra la realtà fisica e quella esperita; lo scarto è dovuto all’intervento delle variabili soggettive, dell’intelligenza, dell’affettività. La prospettiva psicofisiologica parte dalla capacità di discriminare i colori ed è formulata dal tedesco Hermann von Helmholtz (1821-1894) che sostenne l’esistenza di recettori differenti sensibili agli spettri cromatici del rosso, azzurro e verde. Considerava fondamentale per l’esperienza l’attiva organizzazione dei dati sensoriali. Il cervello infatti interverrebbe nel dato con inferenze inconsce componendo i dati semplici in unità La prospettiva gestaltica, dominante nel primo decennio del Novecento sostiene che l’oggetto sia il prodotto dell’associazione di elementi sensoriali distinti. La teoria della Gestalt (forma) di Max Wertheimer invece, sostenne che la percezione non dipende dai singoli elementi, ma dalla strutturazione di questi in un insieme organizzato (Gestalt). L’organizzazione finale prevale sempre sugli elementi singoli. La prospettiva funzionalista è interessata all’aspetto soggettivo della percezione. Ierome Bruner (1915 – 2016) mette in luce le variabili che si frappongono fra la presentazione dello stimolo e la risposta dell’individuo. La valenza affettiva che un dato oggetto ha per la persona influenza fortemente i tempi di riconoscimento. Secondo la teoria funzionalista (nota come new look) il soggetto interviene attivamente nel processo percettivo, mostrando implicitamente il bagaglio di esperienze passate. La prospettiva cognitivista studia i processi con cui l’individuo acquisisce le informazioni dall’esterno, le elabora e le consolida in una struttura. A differenza del comportamentismo, per il quale ogni esperienza è effetto di semplici associazioni stimolo-risposta, i cognitivisti rivalutano le operazioni che consentono questo feedback. La mente è una sorta di elaboratore elettronico di imput e output. Possiamo definire l’attenzione come la capacità cognitiva di mettere a fuoco specifici contenuti e inibire le informazioni valutate come irrilevanti. Essa è una potentissima attività di filtro che impedisce l’accumulo di dati inutili operando sull’informazione in entrata (input), selezionandola in base a interessi e aspettative. Secondo le ricerche dello psicologo inglese Donald Eric Broadbent (1926 – 1993) il filtro opererebbe in relazione a:  Finalità  Compiti  Aspettative del soggetto Selezionando stimoli rilevanti e scremando quelli irrilevanti dopo una prima analisi delle caratteristiche fisiche degli stimoli, così agisce la memoria. Le ricerche della psicologia cognitiva a partire dagli anni 80 interpretano l’attenzione come distribuita e non solo nella sua facoltà selettiva. Hist e Kalmar dimostrano infatti che i soggetti potevano prestare attenzione simultaneamente a due compiti di natura diversa compiendo un minor numero di errori rispetto a una situazione in che i due compiti fossero stati della stessa natura. L’attenzione può essere distribuita più facilmente quando i compiti riguardano abilità diverse e risorse cognitive differenti, mentre invece essa opera una selezione quando essi sono della stessa natura. L’attenzione non è considerata come un’unica risorsa ma come un sistema di organizzazione di risorse cognitive dislocate. Il compito primario è quello che riceva maggiori risorse, mentre quello secondario è quello che riceve le risorse lasciate libere dal primo. Allora l’attenzione più che un sistema di filtraggio è un sistema di controllo delle operazioni cognitive. Il modello più noto è quello Tim Shallice, per il quale l’attenzione interviene nella selezione tra un processo cognitivo e l’altro qualora questi siano in conflitto tra loro (selezione competitiva). Un’operazione può imporsi in modo automatico sull’altra in base al valore maggiore di attenzione che essa ha. Questa scelta spesso è automatica, ed è effettuata dal cosiddetto sistema attenzionale supervisore. 4. La coscienza La ricerca sui processi di coscienza alla fine dell’Ottocento nei primi del novecento era fondata sul metodo dell’introspezione, che consisteva nel fare interrogare il soggetto su se stesso per rianimare una traccia della memoria e a partire dalla consapevolezza di questa operazione si codificavano alcune caratteristiche. Secondo i comportamentisti invece il metodo introspettivo non è oggettivo e scientifico. Loro considerano la scienza come una dimensione oggettiva e pubblica e non solo soggettiva. Per molti ricercatori contemporanei invece la coscienza è concepita nei termini di un sistema di controllo attenzionale delle operazioni mentali a cui operano i lobi prefrontali. Essa matura intorno ai quattro/cinque anni di vita. L’attuale psicologia cognitiva riguarda la distinzione tra processi cognitivi  Seconda fase: Reazioni circolari primarie, dal primo al quarto mese. Si formano le prime coordinazioni tra percezione e movimento e si registra un’evoluzione degli schemi senso- motori di base, poiché il bambino tende a ripetere riflessi innati più volte comincia ad attribuirgli significato. Grazie alla ripetizione, l’azione originaria diventa schema. Nella ricerca naturale di adattamento all’ambiente si susseguono continuamente le due fasi dell’assimilazione e dell’accomodamento per raggiungere l’equilibrio detto omeostasi. In questa fase utilizza due schemi motori: vedere-afferrare, afferrare-succhiare. Inizia anche a sperimentare il gioco di esercizio, che ha come oggetto il suo stesso corpo. Egli possiede un’aspettativa passiva, poiché ha ancora un rapporto immediato con gli oggetti senza avere una loro chiara rappresentazione mentale. Inoltre vive il cosiddetto egocentrismo radicale per cui se l’oggetto scompare dalla vista, per lui non esiste.  Terza fase: Reazioni circolari secondarie che vanno dal quarto all’ottavo mese. Afferra e scuote un giocattolo, se questo produce un suono egli stupito continua a ripetere l’azione.  Quarta fase: Coordinazione e differenziazione mezzi-fine che va dall’ottavo al dodicesimo mese e compaiono i movimenti intenzionali. Punta il dito contro qualcosa che desidera per farselo prendere. Gioca meno con se stesso e di più con gli oggetti che lo circondano, il che dimostra l’emergere dell’attenzione condivisa. La nozione di oggetti inizia a consolidarsi e il bambino cerca anche gli oggetti che spariscono  Quinta fase: Reazioni circolari terziarie, dai dodici ai diciotto. Una fase di esplorazione e di interazione attiva e intenzionale col mondo esterno. La messa in atto di schemi nuovi per raggiungere nuovi e vecchi scopi e risolvere problemi. Prendere un giocattolo posto in alto aiutandosi con un altro oggetto. Richiama alla memoria oggetti assenti. Inizia ad alternare momenti diadici (madre-bambino) con le prime relazioni triadiche.  Sesta fase: L’ultima fase è quella della funzione simbolica che va dai diciotto ai ventiquattro mesi, dove vi sostituisce la rappresentazione sensoriale degli oggetti con quella mentale. Il bambino è in grado di agire sulla realtà con il pensiero dando vita al gioco simbolico “facciamo finta che”, a imitare i comportamenti e le azioni e a esprimersi tramite linguaggio verbale composto di pochi vocaboli. Raggiunge l’acquisizione della permanenza dell’oggetto, quindi la consapevolezza che gli oggetti esistano prima di essere percepiti e dopo. Il secondo stadio è quello preoperatorio (da 2 a 7 anni):  Fase preconcettuale: va dai due ai quattro anni. Una serie di progressi cognitivi portano a funzioni complesse, come il linguaggio e la scoperta delle relazioni tra oggetti e figure di riferimento. E’ fortemente presente l’egocentrismo intellettuale, totalmente concentrato su se stesso, percepisce il mondo solo dalla sua prospettiva. Induce a credere che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi desideri. La difficoltà di separare io dal non-io gli fa attribuire istanze proprie alle cose, il cosiddetto animismo infantile: il sasso sente freddo nel fiume. Il linguaggio diventa sempre più gioco simbolico, ma tutto diventa gioco, anche le attività come mangiare e lavarsi. Egli imita le persone vicine e sviluppa quindi un pensiero trasduttivo immaginando relazioni causali inesistenti  Fase del pensiero intuitivo: Va dai quattro ai sette anni. L’animismo infantile si evolve e il bambino proietta solo verso oggetti in movimento. Il pensiero pre-logico intuitivo gli permette di interpretare situazioni in base alle caratteristiche presenti al momento. Gli aspetti qualitativi e quantitativa vengono considerati separatamente per cui non riesce a distinguere la differenza di volumi (esempio bicchiere stretto e lungo). Il terzo stadio è quello operatorio concreto che va dai sette agli undici anni:  L’animismo si evolve e attribuisce la vita solo agli oggetti con movimento proprio come mare. La persistenza dell’animismo è causata dall’impossibilità di spiegare gli eventi. Infatti alla fine di questo periodo si passa repentinamente a un artificialismo, per cui tutte le cose sono opere dell’uomo. Inoltre il pensiero sviluppato in questo periodo è di tipo induttivo: “teddy e morbido, tutti i peluche sono morbidi”. Non solo inizia a utilizzare simboli, ma anche ad impiegarli in maniera logica, per questo si parla di azioni concrete. Comprende ora la differenza di volumi perché acquisisce anche il concetto di reversibilità, ovvero la capacità di comprendere quando un’azione annulla gli effetti di un’altra inversa e quindi portare avanti due pensieri contemporaneamente. [due esempi: pallina schiacciata e palline rosse-legno]. Acquisisce la nozione della causa-effetto. Inizia a transitare dal concetto di mio e tuo al concetto di nostro, attraverso il gioco di gruppo. Il quarto stadio è quello operatorio formale:  Va dagli undici anni all’adolescenza e conclude lo sviluppo cognitivo. L’animismo infantile è superato e il linguaggio diventa pienamente disponibile. Uno sviluppo esponenziale del pensiero porta a ragionare astrattamente con il sillogismo logico e si passa dall’induttivo al deduttivo. E’ presente una forma di egocentrismo detto metafisico che si manifesta col desiderio di emergere e esprimersi. In questo momento si definisce la personalità 3. Lev Semenovic Vygotsky Lo psicologo russo vissuto tra il 1896 al 1934 compie un’analisi critica delle teorie fisiologiche e psicologiche e studia con attenzione le teorie del cognitivismo sviluppano una teoria in parte opposta a quella di Piaget. A differenza dell’attivismo pedagogico di Piagete, Vygotsky propone una teoria socio -culturale dove la psiche è fortemente influenzata dal contesto sociale. Secondo Piaget la pressione dell’ambiente non avrebbe alcun effetto sul sistema nervoso, che impara interagendo con gli oggetti. Il russo sostiene invece che il pensiero non procede dalla spontaneità alla scientificità ma il processo è anche reversibile, poiché i concetti spontanei diventano scientifici, ma quelli scientifici una volta incamerati diventano spontanei. Ciò non sarebbe possibile senza interazione sociale. Piaget sostiene l’esistenza di una serie di stadi evolutivi, mentre per il russo esistono età stabili ed età critiche. Se per Piaget l’educatore deve adeguarsi alla maturità cognitiva del bambino, per il russo egli deve lavorare sulle sue potenzialità. Questo significa che esiste una zona di sviluppo prossimale che è la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo potenziale (quello che il bambino riesce a fare con l’aiuto esterno). C’è continuamente un processo di interiorizzazione dello sviluppo potenziale che diventa sviluppo effettivo di abilità e competenze autonome. Questo passaggio è reso possibile dalla continua interazione sociale tra le persone e non per passaggio diretto di conoscenza. Esistono quattro stadi di questa interiorizzazione: risposta immediata alle stimolazioni, segni esterni, significato dei segni, interiorizzazione. Questa quindi è il passaggio dall’interpsichico (rapporti con gli altri) all’intrapsichico. Il russo accetta la ricetta stimolo-reazione per i processi psichici di base, ma per quelli superiori introduce lo Stimolo-mezzo. Esso è un elemento esterno che viene coinvolto nel processo di stimolo- reazione. Per esempio il nodo al fazzoletto permette di ricordare qualcosa. Ma anche linguaggio, scrittura ecc. sono tutti stimoli-mezzi che contribuiscono al passaggio ai livelli psichici superiori. Questo autore ha influenzato molto la psicologia contemporanea in particolare il modello ecologico e la teoria dell’attività. Il primo è teorizzato da Urie Bronfenbrenner e intende l’ambiente di sviluppo del bambino con una serie di rechi concentrici legati da relazioni umane, sociali e ambientali:  Il cerchio centrale è il microsistema (famiglia, scuola)  Mesosistema (connessione tra gli elementi del primo)  Esosistema (rapporto di vita familiare, lavoro genitori)  Macrosistema (istituzioni, cultura, politica) La teoria dell’attività invece mette in evidenza le differenze tra sviluppo cognitivo animale e umano. Negli animali l’attività è un insieme di azioni finalizzate al soddisfacimento del bisogno, mentre negli uomini essa è prima interiorizzata e poi agita. I singoli membri di un gruppo sociale svolgono ciascuno una determinata azione a se stante che poi va a confluire nel complesso delle altre. 4. Jerome Seymour Bruner L’interazione tra i vari membri della società è il concetto cardine dello statunitense vissuto tra il 1915 e il 2016, il quale riprese il concetto di apprendimento come processo attivo di Piaget e lo combinò con l’importanza dell’ambiente Vygotskijana per formare una teoria chiamata culturalismo. Il soggetto proprio attraverso i rapporti interpersonali costruisce le prime basilari competenze aiutandosi con gli amplificatori culturali (cultura, linguaggio, scrittura ecc.). Dal versante macro la cultura è intesa come sistema di valor, di diritti e di doveri, dal versante micro invece è l’influenza del sistema culturale su colo che si trovano al suo interno. Lo sviluppo non si realizza attraverso una sequenza di stadi fissi, poiché l’intelligenza attua strategie diverse a seconda dei contesti, dei fattori sociali, ma anche dei fattori individuali (motivazioni, attitudini ecc.). Passando da sistemi poveri a sistemi sempre più ricchi di stimolazione ambientale si ha il passaggio delle tre forme di rappresentazione della realtà: azione, immagine e linguaggio; a cui corrispondono tre tipi di elaborazione cognitiva: esecutiva, iconica e simbolica.  Rappresentazione esecutiva: primo anno di vita in cui la manipolazione, la percezione, l’attenzione sviluppando una conoscenza motoria; agendo.  Rappresentazione iconica: rappresentazione mentale, immagini interne; fino ai sei-sette anni.  Rappresentazione simbolica: espressione della realtà attraverso segni e simboli convenzionali Queste tre forme non sono in sequenza fissa, ma coesistono conservando ciascuna la propria autonomia. L’apprendimento è considerato quindi un processo attivo, per il quali gli elementi fondanti della mente sono i contesti socio-culturali e i sistemi simbolici. Esso si sviluppa con una graduale condivisione di linguaggi e di strumenti propri di una determinata cultura. Il ruolo del singolo è certamente importante, ma è maggiormente approfondito il rapporto tra gli individui. L’apprendimento si produce quindi in una serie di pratiche socialmente determinate (leggere, scrivere, lavorare ecc.), in cui intervengono molteplici elementi; linguaggio, strumentazioni, immagini, ruoli sociali, sistemi di giudizio, regole e stili di vita. Non ha luogo quindi solo a scuola, ma ovunque ci sia incontro e confronto tra soggetti diversi. Le neuroscienze studiano il sistema nervoso centrale per la sua struttura, funzione, sviluppo, biochimica, fisiologia. Al livello superiore esse si legano con le scienze cognitive e con la filosofia della mente per cui si parla di neuroscienze cognitive. I temi più importanti di queste scienze sono:  Funzionamento neurotrasmettitori  Funzionamento strutture neurali  Modi in cui i geni contribuiscono allo sviluppo neurale  Meccanismo biologici alla base dell’apprendimento  Strutture neurali della percezione, memoria e linguaggio La psicologia cognitiva è caratterizzata da un approccio interdisciplinare in cui convergono metodo empirici diversi. Il suo obbiettivo è stabilire una connessione tra lo studio dei comportamenti e delle capacità cognitive degli esseri umani con la loro riproduzione nei sistemi artificiali. La prima formulazione torica fu data da Ulrich Neisser il quale descrisse la mente con la teoria cibernetica dell’informazione, per la quale essa seleziona gli stimoli in entrata, filtrandoli secondo programmi definiti (input) ed elabora informazioni in uscita (output). Dagli anni 70’ però si comprende come la divisione tra mente e cervello deve essere superata:  Irruzione complessità del campo epistemologico  Uso di applicazioni informatiche simulative Con il paradigma della complessità si è integrato il principio secondo il quale la mente è il software del cervello, con l’idea che bisogna partire dalle singole componenti elementare dell’apparato neurofisiologico per comprendere la mente. La pedagogia deve calorizzare le capacità evolutive del cervello-mente con una strategia di formazione. Si possono individuare 5 punti:  Offerte formative per l’infanzia che consentano di esercitare il pensiero e di realizzare al meglio le potenzialità con un ambiente cognitivamente ricco  Offerte formative tempestive per i periodi critici: valorizzare l’idea di Montessori per cui è opportuno presentare ai bambini numerose sollecitazioni  Offerte formative che valorizzano le differenze  Qualità della formazione: clima affettivo, relazioni interpersonali  Promozione di un pensiero ecologico: intendere il mondo come partecipato, dove uomo, natura e altri esseri viventi siano un tutt’uno e non in maniera esclusivamente antropocentrica. 2. I neuroni specchio e gli studi di Rizzolatti Un forte contributo agli studi neuroscientifici l’ha dato la ricerca di Rizzolatti negli anni 90, a Parma. Si è scoperto che una scimmia guardando i ricercatori compiere della attività, attivava una parte di neuroni. Questi neuroni, chiamati specchi, si attivano solo osservando e presiedono le capacità imitative, ma anche linguistiche, metaforiche ed empatiche. LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO 1. Teoria sullo sviluppo del linguaggio Il linguaggio è la capacità di associare suoni e significati per mezzo di regole grammaticali. Imparare a parlare è la capacità tipica dell’uomo. Burrhus Frederic Skinner (1904-1990) i soggetti apprendono a parlare tramite rinforzi e punizioni, quindi attraverso il condizionamento operato dagli adulti. E’ stato molto criticato per riduce il bambino a pura passività. La teoria innatista di Chomsky (Philadelfia 1928) ritiene che la lingua è una facoltà innata, in quanto possediamo già regole complesse, ovvero una grammatica mentale, la quale poi si concretizza nei primi anni di sviluppo. Esistono due facoltà specifiche:  Competence: capacità di generare e comprendere l’insieme della frasi  Performance: costituire la possibilità concreta delle manifestazioni linguistiche I due concetti si interconnetto e si sviluppano insieme. C’è una differenza importante su questo tema tra Vygotsky e Piaget. Per Piaget lo sviluppo del linguaggio segue un percorso analogo a quello del pensiero, quindi si evolve dall’interno verso l’esterno passando dal linguaggi autistico a quello egocentrico a quello sociale. Al contrario per Vygotskij il linguaggio dell’infanzia è sociale perché viene assorbito dalla famiglia e si sviluppa dall’interpsichico all’intrapsichico. Dai due ai sei anni si espande e si arricchisce nel lessico sivluppano due piani uno sociale e uno egocentrico. Intorno al settimo anno il linguaggio egocentrico non scompare ma va in profondità e serve per ordinare le idee e categorizzare i concetti. Le caratteristiche di questo linguaggio interiore sono:  Abbreviazione  Frammentarietà  Condensazione  Aggregazione  Predicazione assoluta Invece il linguaggio parlato consta di un interlocutore fisico quindi può essere più contratto in quanto la sua comprensione dipende anche dal lato pre-linguistico e fisico. Mentre il linguaggio scritto deve essere estremamente formalizzato e complesso perché manca dell’interlocutore fisico. Uta Frith (1941), psicologa tedesca, sostiene che i bambini passino da uno stato di totale ignoranza dei rapporti tra linguaggio orale e scritto all’automatizzazione dei processi di lettura, per stadi propedeutici che sono:  stadio logografico o ideografico: età prescolare; riconoscere parole in base a elementi formali, lunghezza, struttura ecc.  Stadio alfabetico: prima scolarizzazione, esistenza forma orale e scritta, inizio sillabazione  Stadio ortografico: conversione grafema/fonema  Stadio lessicale: forma il cosiddetto magazzino lessicale, automatizzazione di lettura e scrittura 2. Fisiologia del linguaggio Due diverse discipline si occupano dei suoni del linguaggi: fonetica e fonologia.  Fonetica: studio dei suoni linguistici intesi come eventi fisico-acustici (foni)  Fonologia: differenza fonetiche tra le varie lingue Ogni fonema rappresenta una categoria di suoni astratti e le sue variazioni nella realtà sono dette allefoni del fonema. Quando percepiamo un suono si tratta di una variazione della pressione atmosferica registrata dal nostro apparato uditivo attraverso il timpano. Da questo le terminazioni nervose inviano impulsi che raggiungono la corteccia celebrale. Il sistema uditivo è formato quindi da: orecchie, parti del cervello e vie nervose di connessine. Ogni suono si caratterizza per due parametri: frequenza (hertz) e intensità (decibel). L’apparato fonatorio è composto da un certo numero di organi, la cui funzione primaria è essenzialmente biologica, ma il loro adattamento gli ha permesso di essere utili alla fonazione. La nostra muscolatura di lingua, bocca e viso è molto più complessa di quella degli animali e ci permette il controllo dettagliato dei fonemi. Nella fonazione intervengono quindi tre elementi: flusso d’aria dai polmoni, trachea che lo conduce e modificazione dello stesso all’altezza della laringe e infine modificazioni nel tratto vocale ad opera della lingua. Intervengono quindi lingua, labbra, mascella, il velo e la laringe. La vocale è quando l’aria esce liberamente dalla bocca, la consonante invece è quando l’aria è ostacolata. 3. Le tappe dello sviluppo E’ possibile determinare alcune età dove vengono raggiunti stadi fondamentali. Fin dalla nascita il cervello dei bambini sembra predisposto al linguaggio e anche il sistema uditivo si sviluppa a suo vantaggio, nel distinguere suoni linguistici, fin dalla gestazione. Alla nascita per comunicare i bambini piangono o modificano la loro espressione facciale. Alla fine del primo mese di vita appaiono del forme di vocalizzazioni, mentre ai 3-4 mesi compaiono anche i suoi consonantici. A metà del primo anno la lallazione. Siamo nel linguaggio cosiddetto olofrastico, poiché ha singole parole e non frasi. In questa fase ci sono errori di ipergeneralizzazione e ipogeneralizzazione Tra i 10 e i 20 mesi le prime parole. Tra i 18 e i 24 mesi si producono frasi con più parole, con accostamento tra differenti categorie di parole. La prima classe è quella del perno (verbi, aggettivi, pronomi), la seconda è la classe aperta e si riferisce a oggetti (“bella mamma”). Si parla in questo caso di linguaggio telegrafico. Nello stesso periodo abbiamo un’esplosione del vocabolario fino a 300 parole. A partire dai 2-3 anni si assiste a lo sviluppo della complessità grammaticale. Le emissioni verbali sono costituite da coppie di parole e compaiono i termini funzionali e le desinenze. Il bambino non apprende passivamente ma cerca un’autonomizzazione. A 5 anni ha tutte le struttura fondamentali della lingua madre. 4. La comunicazione non verbale la comunicazione non verbale riguarda i gesti, la postura, i movimento, gli sguardi, il linguaggio non parlato. Ray Birdwhistell (1918-1994) ha individuato 50 movimenti elementari del corpo (cinemi). La comunicazione non verbale è spesso involontaria. L’uomo ha la capacità di comunicare con segnali analogici e codice simbolico-numerico, insieme. Paul Ekman (1934) sostiene che esistono determinate espressioni comuni in tutto il mondo. La comunicazione non verbale si esprime attraverso tre comportamenti fondamentali: scopre il mondo degli oggetti, i quali inizialmente sono “oggetti soggettivi”. La figura materna quindi avrà il compito dapprima di stimolare l’illusione del bambino e a seguito di disilluderlo per attivare la transizione verso la sua potenzialità simbolica, una dimensione di “prassi ludica”. Esistono per W. due Sé, uno vero e uno falso. Il vero Sé comprende tutto ciò che di vivente esiste nel soggetto. Esso viene costruito grazie alla presenza della madre nella dinamica prima descritta. Inoltre il vero sé diventa tale solo in seguito alla ripetizione delle risposte della madre, che diventano poi autonomi nel bambino. Preso coscienza dei suoi impulsi esso però teme di andare in frantumi. Per proteggersi da questa angoscia crea un concetto in negativo: il falso sé. Il falso sé agisce adeguandosi alla realtà esterna, corrisponde alla dimensione superficiale e convenzionale dei legami sociali. Questo può diventare patologico se si stabilisce come personalità reale e impedisce l’espressione del vero sé. La destrutturazione del falso sé, attraverso il meccanismo della regressione, è il compito della psicoanalisi. Per W. è necessario un ambiente “abbastanza buono” per favore una crescita e sviluppo normale. L’adolescente deve metaforicamente uccidere i parenti per la sua affermazione personale. L’immaturità adolescenziale secondo W. non è solo negativa, ma è uno sforzo creativo di espressione di tutte le proprie potenzialità. Il raggiungimento della maturità attraverso il processo di crescita si attua proprio attraverso questa espressione di irresponsabilità. Per quanto riguarda le tendenze antisociali derivano dall’incapacità dell’ambiente di adattarsi al bambino. Si provocano così distorsioni dell’Io. Lo psichiatra infantile di origine austriaca René Spitz sostiene l’esistenza di determinate esperienze esistenziali che determinano lo sviluppo:  Fase pre-oggettuale: condizione di autismo  Fase dell’oggetto precursore: inizia a riconoscere il volto umano, specialmente la zona degli occhi e del naso  Fase dell’oggetto libidico (angoscia dell’ottavo mese): esprime gioia quando è insieme alle persone che conosce, timore verso quelle che non conosce, dimostra che individua l’altro da sé Margaret Mahler, ungherese, studia il processo di separazione-individuazione in quattro stadi:  Differenziazione e sviluppo dell’immagine corporea (4 – 8 mese)  Sperimentazione (8 – 14 )  Riavvicinamento (14 – 24)  Costanza dell’oggetto libidico (terzo anno) La teoria di Stern, statunitense, specializzato in infatn research, è caratterizzata dalle fase dello sviluppo del Sé:  Primi due mesi: sé emergente; stabilizzazione ciclo sonno; contatto oculare, sorriso come risposta sociale  Inizio terzo mese: azioni sugli oggetti, interazione sociale, sviluppo Sé nucleare  Settimo e nono mese: Sé soggettivo, comprensione di avere una mente, processo empatico, inferenza sociale, sintonizzazione degli affetti  Sviluppo Sé verbale 3. Ambiente e relazioni di attaccamento Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergen hanno inaugurato lo studio dell’etologia, ovvero della vita degli animali nel loro habitat naturale. Il comportamento più analizzato è quello dell’aggressività. Konrad Lorenz pubblica nel 1963 “il cosiddetto male. Per una storia naturale dell’aggressività”, dove sostiene le analogie tra uomo e animali, per cui i fattori che determinano l’evoluzione sono il cambiamento e la selezione. L’aggressività è un criterio di selezione poiché viene rivolta specificamente verso i membri della propria specie, individuando così il concorrente e migliorando la funzione della specie in quanto a istinto di aggressività nel lungo periodo. La sopravvivenza è quindi tramite l’aggressività il “principio ordinatore” della selezione naturale. All’inizio degli anni ’70 la corrente dell’etologia si sviluppa passando da un modello di lettura concentrato sull’individuo ad una concezione aperta, interattiva tra soggetto e contesti vita. John Bowlby (1907-1990) studia in particolare l’attaccamento sociale tra il neonato e la persona che si prende cure di lui. Sviluppa quindi una serie di critiche alla psicoanalisi accusata di non valorizzare abbastanza il ruolo dell’ambiente. La teoria delle pulsioni tra l’altro non prevede esperienze quali l’affetto, l’attaccamento, l’amore, la protezione, la cura che sono fondamentali per lo sviluppo. L’osservazione del legame tra madre e figlio nei primati conduce a ipotizzare che esso favorisca la sopravvivenza biologica dell’individuo, perché si nota come la sua assenza la sfavorisca. L’attaccamento quindi è definito come:  Comportamento di attaccamento  Sistema comportamentale di attaccamento  Legame di affetto Esistono due tipi specifici: attaccamento sicuro e attaccamento insicuro, i quali si sviluppano in quattro fasi della crescita:  Nella prima fase (nascita – 12 settimane), non si è in grado di riconoscere le persone intorno  Nella seconda, dopo le 12 settimane fino ai 9 mesi, si inizia a rispondere agli stimoli sociali  La terza, dai 9 mesi fino ai 3 anni, si approfondisce il rapporto con la figura di riferimento  La quarta, a partire dai 3 anni, si riesce ad avere tranquillità in un luogo con estranei, anche da solo, a patto che il genitore torni presto. L’assimilare patologie di ansia, depressione, angoscia sono da imputare a periodi in cui l’individuo ha fatto esperienza, durante l’infanzia, della separazione materna, la quale può essere traumatica. La separazione si articola in tre fasi: protesta, disperazione e distacco. Negli anni ’60 la psicologa Mary Ainsworth ha elaborato una procedura chiamata strange situation, per osservare le relazioni di attaccamento alla madre. Il bambino. Tra i 9 e i 18 mesi mentre gioca con la madre esprime caratteristiche peculiari nel momento estranei o il caregiver stesso entrano o escono dalla stanza. Si osservano due aspetti del comportamento: la quantità di comportamento esplorativo e le reazioni del bambino all’allontanamento e al ritorno. Il pattern del comportamento si classifica dunque come:  Attaccamento sicuro: la madre è sensibile alle richieste e il bambino è equilibrato, sicuro e si lascia consolare al ritorno  Attaccamento insicuro-evitante: la madre è rifiutante, il bambino la evita  Attaccamento insicuro ansioso-ambivalente: la madre è imprevedibile, il bambino è incerto, prova grande disagio alla separazione ed è inconsolabile al ritorno Successivamente gli psicoanalisti Main e Solomon hanno teorizzato una quarta categoria:  Attaccamento disorganizzato: la madre è incapace di rispondere alle richieste e il bambino è disorientato Ci sono poi gli studi dello psicologo americano Harry Harlow che studiò la separazione tra la madre e il bambino nelle scimmie rhesus, ponendole in contatto con due surrogati. Uno era un filo di ferro rivestito di gomma piuma, mentre il secondo era un filo di ferro con un biberon. Nonostante il secondo possedesse il nutrimento è stato osservato che le scimmiette si rivolgevano in misura maggior verso il filo rivestito poiché erano rassicurate dalla loro morbidezza. In ogni caso le scimmie cresciute in questo modo si sviluppavano con evidenti problemi psicologici. Questo significa che la salute mentale è strettamente connessa alle cure materne. Urie Bronfenbrenner (1917-2005) rappresenta la scuola ecologica che concepisce il soggetto in fase di sviluppo non come una tabula rasa, ma plasmato dall’ambiente. L’ambiente ecologico è costituito da una serie di strutture concentriche inserite l’una nell’altra: microsistema, mesosistema e macrosistema. 4. Teorie dello sviluppo emotivo L’emozione è la reazione fisica e psichica con cui un soggetto risponde alle situazioni reali o alle elaborazioni mentali. La funzione primordiale dell’emozione era motivazionale, consentiva di dare una risposta istantanea e garantirsi la sopravvivenza al fine di innestare condotte quali l’autodifesa, l’alimentazione, il sesso etc. Le emozioni innate sono quindi automatiche. L. Alan Sroufe è il principale esponente della teoria della differenziazione emotiva secondo la quale l’individuo possiede dalla nascita un corredo emotivo il quale poi si differenzia con lo sviluppo. Otto stadi di sviluppo passano da indifferenziato a differenziato:  Primo stadio: il bambino è invulnerabile agli stimoli esterni.  Secondo stadio (fino al terzo mese): si apre al mondo esterno e diventa sensibile alle stimolazioni  Terzo stadio (dai tre ai sei): inizia col sorriso sociale  Quarto stadio (dai 7 ai 9): gioia, paura, rabbia, sorpresa  Quinto stadio (dai 9 ai 12): periodo dell’attaccamento, si stabiliscono profondi rapporti emotivi tra il bambino e caregivers  Sesto stadio (tra i 12 e i 18): sperimentazione, comincia ad esplorare l’ambiente  Settimo stadio (tra i 18 e i 36): dalla coscienza della separazione si origina la coscienza del Sé e delle corrispondenti emozioni  Ottavo stadio (3 ai 5 anni): espressioni di emozioni complesse, conseguenze delle emozioni La teoria differenziale di Carrol E. Izard (1923 -2017) sostiene che il bambino possiede dalla nascita un corredo emotivo di emozioni fondamentali: rabbia, tristezza, gioia, disprezzo [come in Inside Out] Albert Bandura invece studia l’influenza dei mass media sui bambini sperimentando che guardare film violenti aumenti la violenza e viceversa (rinforzo sociale). nostra vita quotidiana e l’empatia ci permette la comprensione degli altri, nelle loro emozioni, intenzioni e pensieri. La parola deriva dal greco empatéia, ovvero “dentro” e “pathos”. La riflessione estetica dell’Ottocento con Robert Vicher, studioso di arti figurative, sostiene che la fonte stesa del bello non esiste in quanto tale ma è un atto di intuizione. Anche Lipps parlava di empatia intesa come Einfuhlung. L’empatia era per lui sentirsi in sintonia con l’oggetto, il cogliere che esso sente ciò che sentiamo. Dai primi del novecento la ricerca psicologia, medica, neurologica, scienze umana ha ricercato sul campo dell’empatia. Martin Hoffman ha diviso tre componenti:  La componente affettiva: la prima a svilupparsi nei neonati  La componente cognitiva: dare nome alle emozioni  Componente motivazionale: desiderio di aiuto Il concetto di empatia si amplia con:  Empatia culturale (accettare gli altri)  Empatia etno-culturale  Empatia positiva (empatizzare per la gioia altrui)  Empatia negativa Le neuroscienze con la scoperta dei neuroni specchio hanno scoperto che le cellule nervose si attivano per imitazione e quindi l’empatia è uno dei processi fondamentali che hanno permesso l’evoluzione del linguaggio. McLaren invece, ricercatrice in scienze biologiche e sociali, ha compiuto un lavoro con i sopravvissuti di traumi dissociativi capendo che l’empatia è costituita da sei aspetti essenziali:  Contagio emotivo  Accuratezza empatica  Regolazione emotiva  Cambio prospettiva  Preoccuparsi per gli altri  Coinvolgimento intuitivo 2. Empatia e prassi educativa Nella didattica sembra che a volte ci sia una frattura tra dimensione cognitiva ed emotiva, con quest’ultima relegata all’ambito familiare. Ma l’OMS ha detto che l’empatia è una delle 10 life skills più importanti per la salute. Rogers afferma che l’empatia può essere insegnata tramite un addestramento specifico. In Danimarca esiste una vera e propria materia scolastica Klassen Time dove gli alunni sono invitati a condividere esperienze e dialogo in gruppo, sviluppando problem solving e role playing. 3. Emozioni e intelligenza In psicologia le emozioni sono uno stato complesso di sentimenti che traducono cambiamenti fisici e psicologici. Si suddividono in emozioni primarie e secondarie. Le primarie sono: rabbia, paura, gioia, sorpresa, disgusto, accettazione. Le secondarie o complesse sono la combinazione delle primarie in: invidia, allegria, vergona, ansia, rassegnazione, gelosia, speranza, perdono, offesa, nostalgia, rimorso, delusione. 4. La teoria delle intelligenze multiple di Gardner Lo psicologo statunitense nato nel ’43 sostituisce la vecchia concezione di intelligenza con il “quoziente intellettivo”, inteso come intelligenze multiple (intelligenza logico-matematica, intelligenza linguistico-verbale, intelligenza spaziale, intelligenza musicale, intelligenza cinestetica o procedurale, intelligenza interpersonale, intelligenza intrapersonale, intelligenza naturalistica, intelligenza esistenziale. Inoltre sostiene che i giovani dispongono di cinque canali per affrontare la vita: intelligenza disciplinare, intelligenza sintetica, intelligenza creativa, intelligenza rispettosa dell’alterità, intelligenza etica. 5. La teoria delle tre intelligenze di Sternberg Divide l’intelligenza in tre tipi: analitica, creativa e pratica e le difficoltà degli studenti in due tipi di origini:  Discordanza tra il modo di insegnare del docente e modo di apprendere dell’alunno  Tendenza a confondere la discordanza di stile con la mancanza di abilità La conoscenza degli stili di apprendimento quindi diventa importante per l’insegnamento. Di conseguenza le teorie sull’intelligenza spostano l’attenzione su un approccio metodologico calibrato sull’allievo. 6. La teoria di Goleman sull’intelligenza emotiva La definizione di intelligenza emotiva è data nel 1990 da Salovey e Mayer definita come l’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri. Goleman, statunitense (1946) la ritiene la capacità di persistere nel proseguire un obbiettivo rimodulando i propri stati d’animo e impedendo che la sofferenza ci limiti il pensiero, l’empatia e la speranza. Golmen dimostra quindi i limiti del QI rispetto al concetto di intelligenza emotiva, affatto considerato. Le cinque caratteristiche base dell’intelligenza emotiva sono:  Consapevolezza di sé  Dominio di sé  Motivazione  Empatia  Abilità sociale 7. La competenza emotiva Le ricerche attuali dimostrano i benefici di una adeguata educazione emotiva. L’intelligenza emotiva è correlata al completamento degli studi nel ridurre il comportamento a rischio e nel migliorare la salute. Questo processo deve essere di costante interazione con l’insegnate e col gruppo classe che deve essere un contesto di sicurezza privo di rischi o costrizione per favorire lo sviluppo emotivo. 8. L’alfabetizzazione emotiva Il rapporto tra docente e alunno deve essere di tipo empatico e l’alfabetizzazione emotiva è l’elemento centrale che incide sul rendimento scolastico tramite il miglioramento della comunicazione, dell’ascolto, elle capacità relazionali e dell’abilità di aiuto. Può offrire anche all’insegnante la sensibilità di intervenire nelle situazioni di disagio e disabilità. Esiste da questo punto di vista un vero e proprio percorso metodologico-didattico.  Imparare a dare un nome alle proprie emozioni: lessico emozionale  Comprendere il ruolo che le emozioni assumono nei rapporti sociali: comunicazione non verbale, tono voce gesti, prossemica; dialogo emotivo, diario delle emozioni, letteratura, scrittura di racconti e fiabe, recitazione. Gli obbiettivi di fondo dell’alfabetizzazione emotiva sono:  Osservare se stessi in determinati momento e riconoscere i propri sentimenti  Riconoscere i propri punti deboli e forti  Costruire un vocabolario personalizzato delle emozioni  Esplorare le emozioni con l’esposizione verbale e scritta  Sapere individuare le principali espressioni dell’esperienza emotiva  Conoscere le modalità per regolare le emozioni  Comprendere i sentimenti e le preoccupazioni  Entrare positivamente nella dinamica gruppo classe  Affrontare i conflitti lealmente e creativamente L’attuazione dell’educazione emotiva passa attraverso tre modalità:  Approccio informale  Lezioni strutturale (giochi simulazione, discussione di gruppo)  Integrazione nelle materie curriculari (in particolare italiano, storia e filosofia) CREATIVITA’ E PENSIERO DIVERGENTE 1. La creatività La creatività è la capacità della mente di creare e inventare. Negli ultimi trent’anni la ricerca ha dimostrato che essa può essere sviluppata attraverso l’educazione. In un mondo dove le informazioni crescono in maniera esponenziale rischiamo di diventare sempre più passivi e la creatività può aiutarci a sviluppare libertà di pensiero, giudizio, sentimento e di immaginazione. La creatività di fa cambiare noi stessi e ci fa uscire dagli schemi. Fino all’Ottocento essa veniva ritenuta solo un fattore irrazionale della psiche innato, ma dal Novecento con studi biologici e genetici si aprono diverse prospettive:  Psicoanalitica: come capacità di far ricorso all’inconscio per elaborare conflitti e difficoltà interne  Comportamentista: associazioni tra stimoli e risposte  Personalista: espressione del funzionamento individuale nella ricerca di equilibrio tra varie componenti comportamentali Un altro metodo è il concassage, ovvero il processo di frantumazione. Esso permette di vedere dei punti di vista del problema che prima non si pensavano esistere. Es. “cosa succede se ingrandiamo questa parte” “e se associamo questa parte con un’altra?” “ e se utilizziamo una tecnologia diversa?”. CENNI DI PSICOLOGIA SOCIALE 1. Definizioni La psicologia sociale è lo studio di come i pensieri e i comportamenti delle persone siano influenzate dalla presenza degli altri. Gli aspetto del comportamento umano più coinvolti sono: relazioni sociali, aggressività, altruismo, identità sociale, conflitto tra gruppi, processi di leadership, influenza e persuasione, pregiudizio e trovano applicazione in molti ambiti come: comunicazione politica, marketing, psicologia del lavoro, ma anche e soprattutto in ambito di psicologia scolastica. 2. Il giudizio sociale Gli ambiti fondamentali dove il giudizio sociale influisce sono:  Atteggiamenti  Pregiudizio  Formazioni impressioni Gli atteggiamenti sono le associazioni tra un oggetto e la sua valutazione che guidano l’azione. Allport li definiva come uno stato neurologico di prontezza organizzata attraverso l’esperienza che esercita un’influenza nella risposta dell’individuo verso un oggetto. Rosenberg invece li divideva in tre componenti:  Fattore cognitivo (credenze riguardo l’oggetto)  Fattore affettivo (reazione emozionale che l’oggetto provoca)  Fattore comportamentale (risposta di comportamento) Per Fazio invece si basa su disponibilità (associazione oggetto/valutazione) e accessibilità (tempo e sforzo per recuperare l’associazione) Gli atteggiamenti si misurano in modi espliciti o impliciti. I metodi espliciti consistono per esempio in un set di domande poste al soggetto che rivela la sua valutazione di un dato oggetto. La scala più utilizzata è quella Likert che è su 5/7 punti di apprezzamento (da completamente in disaccordo a completamente d’accordo). Il problema del metodo esplicito è che il soggetto può controllare le sue risposte modulandoli in base alla desiderabilità sociale. Ad esempio su una domanda diretta sull’omofobia è raro che una persona possa rispondere in maniera positiva, ma se posta in modo indiretto tipo: “è vero che gli omossessuali stanno diventando troppo esigenti nel chiedere l’uguaglianza”, anziché “è vero che gli omosessuali non sono uguali a noi” allora si otterrà un risultato più veritiero nella risposta. Anche la comunicazione non verbale è un indice indiretto sull’atteggiamento, e si divide in:  Indicatori emotivi: espressioni facciali, gesti, cinesica  Indicatori cognitivi: accelerazione battito ciglia  Indicatori comportamentali: allontanamento di un soggetto 3. Il pregiudizio Mazzarra rileva che il concetto di pregiudizio può essere inteso in due modi:  Definizione generale: giudizio precedente all’esperienza  Definizione specifica: considerare ingiustamente in modo sfavorevole persone appartenenti a un gruppo sociale diverso Uno dei metodi per la riduzione del pregiudizio è il contatto sociale che serve per distruggere gli stereotipi sociali su cui sono fondati i pregiudizi 4. Persuasione e influenza sociale La persuasione è il tentativo di influenzare credenze, atteggiamenti, comportamenti di una persona. Si attua con diversi mezzi:  Reciprocità: scambio di favori  Somiglianza: fisica o di personalità  Autorità  Riprova sociale: riprodurre comportamenti fatti da altri per deresponsabilizzarsi e rassicurarsi allo stesso tempo  Simpatia  Scarsità: far leva su risorse che altri non hanno 5. Definizione di leadership e psicologia delle folle Gary Yuki definisce la leadership come processo di influenzamento degli altri finalizzato a capire e creare consenso. Vitale invece ha riassunto la storia della leadership. Questa parola ha quasi sempre avuto una connotazione negativa, ma ora si inizia a studiare anche in maniera neutrale. Gustave Le Bon etnologo e psicologo, col suo testo “Psicologia delle folle” parla dei capi contrapposti alle folle, le quali sono governate dai loro poteri di suggestione. I principali processi di gruppo nei confronti del leader sono:  Proiezione dell’ideale dell’io sul leader  Identificazione  Minor funzionamento dell’Io  Emersione bisogni primitivi  Regressione di gruppo  Sviluppo di relazioni oggettuali primitivi Lo psicoanalista britannico Wilfred Bion individua tre assunti emotivi del gruppo:  Assunto di dipendenza  Assunto di lotta-fuga: coesione del gruppo nei confronti del nemico esterno o conflitti tra sotto gruppi dello stesso gruppo  Accoppiamento: il gruppo pone l’attenzione su una coppia all’interno del gruppo Otto Kernmerg concepisce una buona leadership come: intelligente, onesta, capace di mantenere relazioni oggettuali profonde, narcisistica in modo sano, paranoia anticipatoria sana La teoria del grande uomo assume che il successo del leader deriva da caratteristiche etniche e genetiche, ma in realtà si è oggi compreso che esso dipende dal contesto (teoria situazionale). Ma teorie ancora più recenti sottolineano come ci sia un relazione bidirezionale tra leader e componenti del gruppo: entrambi si influenzano e determinano reciprocamente. Il potere in psicologia sociale è il potenziale di influenza. Può essere:  Potere di ricompensa  Potere coercitivo  Potere legittimo  Potere di esempio  Potere di competenza 6. Dinamiche di gruppo Tajfel fondatore della teoria dell’identità sociale dice che essa si attiva presso i partecipanti a un gruppo solo quando l’appartenenza diventa “saliente”, quindi solo a certi livelli di coinvolgimento. Alcune caratteristiche del gruppo psicologico:  Deriva dalla definizione di un obiettivo comune  E’ psicologicamente significativo  Produce regole, criteri, credenze  Influenza atteggiamenti e comportamenti  Si basa sull’interdipendenza dinamica Possibili proprietà positive sono: cooperazione, coesione, leadership Possibile dinamiche negative: depersonalizzazione, diffusone responsabilità, bullismo, group thinking della personalità autonoma dell’allievo. Queste erano scuole private per la formazione della futura classe dirigente e nacquero in Inghilterra. Adolphe Ferriere fonò nel 1899 l’Ufficio internazionale delle scuole nuove per stabilire reciproco aiuto fra le scuole. I principi erano:  Espressione dell’energia vita del fanciullo  Rispetto individualità singolare  Spontanea espressione degli interessi  Attenzione fasi di sviluppo  Atteggiamento cooperativo  Coeducazione  Educazione dell’uomo e del cittadino Lo psicologo belga Qvide Decroly inventa il metodo globale. Critico verso il sistema educativo tradizionale si basa, con la scuola chiamata Ermitage, circondata dalla natura, con laboratori, campi e giardini, sul promuovere l’identità personale. Si individuano i bisogni principali degli allievi:  Nutrimento  Lottare contro le intemperie  Difendersi dai nemici  Lavorare con gli altri, riposarsi, ricrearsi Si sviluppano le attività di osservazione, associazione e espressione con un processo che va quindi dal concreto (analisi) all’astratto (sintesi). E’ stato criticato per aver ridotto a ben poco i bisogni del soggetto. John Dewey ha rivoluzionato la metodologia educativa sostenendo che l’uomo avesse bisogno di cultura e di tecnica, di pratica e di lavoro. Il lavoro viene considerato come uno strumento di formazione. I materiali didattici come strumenti di lavoro oltrepassando l’antica divisione tra cultura tecnica e umanistica. 3. La svolta di Maria Montessori Maria Montessori inventa un metodo dall’alta impronta scientifica famoso in tutto il mondo. Studiando i casi dei bambini selvaggi ha scoperto che la pedagogia soffriva di tanti pregiudizi, uno su tutti un certo adultismo che proiettava il bambino verso la sua maturazione già prefissa. L’educazione autentica è l’autoeducazione, per la realizzazione di un autentico Io. Bisogna tutelare l’energia specifica dei bambini ed evitare la repressione di essa. Nella pratica questo si realizza con al “casa dei bambini”, a loro misura:  Privi del tradizionale arredamento scolastico  Collocati nel tessuto urbano  Classi in numero ridotto  Suppellettili scientificamente fabbricate secondo la potenzialità sensomotorie dei bambini  Analogo discorso vale per la gestione degli spazi esterni con la presenza indispensabile del giardino  L’aula diventa la sala di lavoro, con una forte presenza di materiali, armadi ecc. e con l’abolizione del banco  La cura dell’igiene dei locali affidata ai bambini stessi  L’insegnante non è più una guida spirituale ma coordinatrice delle attività del bambino Il materiale didattico è ideato con funzioni esplicite di sviluppo cognitivo, ovvero della capacità anche di autocontrollarsi. La totalità degli oggetti è usata per stimolare la sensibilità, verso un’educazione sensoriale. L’attenzione verrà attuata sulle parti elementari degli oggetti (metodo analitico) attraverso l’analisi. Gli strumenti didattici sono scientifici. Oggetti solidi da incastrare, blocchi, tavole, rigure, campanellini da porre in scala, da graduare ecc. In sequenza:  Si comincia a conoscere le lettere dell’alfabeto riprodotte in dimensioni grandi  Si arriva a comporre parole con alfabeti mobili  Lettura procede simmetricamente ed esplode all’improvviso, quindi giorni dopo l’esposizione agli stimoli 4. Rosa e Carolina Agazzi Alla fine dell’ottocento Rosa e Carolina ideano un sistema pedagogico fondato sulla semplicità e l’eliminazione del convenzionalismo mnemonico. 5. Cento linguaggi del bambino: la scuola dell’infanzia di Reggio Emilia Nel 1945 in Regio Emilia con i soldi ricavati dalla vendita di un carrarmato tedesco fu costruita, con l’aiuto del CLN una scuola, affidata al maestro Malaguzzi il quale quindi originava il primo asilo pubblico popolare che poi nel 1970 fu istituito nazionalmente. Valorizza la razionalità e l’affettività e l’ambiente. TEORIE, STILI DI APPRENDIMENTO E MEDIAZIONE DIDATTICA 1. Gli stili sull’apprendimento L’apprendimento è una modificazione del comportamento che consegue a un’interazione con l’ambiente. È il risultato di esperienze che determinano nuovi schemi di risposta. I concetti più importanti per comprendere l’apprendimento sono:  Mutamento (in quanto risultato dell’interazione tra ambiente e individuo)  Stimolo (azione esercitata da un evento sull’organismo)  Risposta (il comportamento appreso) Il comportamento umano e animale non è totalmente predeterminato dall’eredità genetica quindi, ma si modifica per effetto dell’esperienza. Le teorie sperimentali sull’apprendimento sono di due tipi: quelle sul condizionamento classico e quelle sul condizionamento operante o strumentale. Le prime di riferimento a Ivan Pavlov, le secondo a Edward Lee Thorndike e Burrhus Skinner. Pavlov notò lo “stimolo incondizionato” che è la reazione automatica di fronte a uno stimolo. Esempio: salivazione alla vista della bistecca. Il riflesso in questo caso è detto “incondizionato”. Pavlov poi notò che se si prendeva uno stimolo neutro, come il suono di un campanello e lo si associava a uno stimolo incondizionato, questo iniziava a produrre un riflesso associato a quello. Si parla in questo caso di un “riflesso condizionato”, ovvero frutto di un apprendimento (associazione di due diversi stimoli e riproduzione di una risposta). Nel condizionamento operante o strumentale Thorndike ha sperimentato l’apprendimento per prove ed errori attraverso la puzzle-box. Un gatto posto all’interno di una scatola piena di leve (di cui solo una permetteva di uscire) dopo una serie di tentativi imparava il meccanismo e lo poteva ripetere anche in seguito. Questa è la cosiddetta legge dell’effetto, la quale tende a ripetere comportamenti con risultato vincente. Skinner invece studiò in condizionamento operante dimostrando l’influenza di premi e punizioni, con l’esperimento dei topi posti nella skinner-box, nella quale era presente una levetta che consegnava il cibo. I topi ben presto compresero il meccanismo e appresero i comportamenti per ricavare il cibo, in maniera intenzionale. La prova è effettuabile sia con rinforzi postivi (più efficaci) che con rinforzi negativi (punizioni). Concludendo diciamo che il condizionamento classico è indipendente dalla volontà del soggetto, mentre quello operante dipende dall’intenzionalità. Albert Bandura sostenne che il processo di apprendimento non è meramente passivo, ma attivo. L’intuizione o l’Insight fu studiata dallo psicologo Wolfgang Kohler, il quale la descriveva come una ristrutturazione concettuale dei dati. L’esperimento comprendeva degli scimpanzè che dovevano prendere una banana posta sul soffitto della gabbia. Dopo alcuni tentativi a vuoto, gli scimpanzè intuiscono che possono usare le scatole, poste l’una sull’altra, come mezzo per innalzarsi e recuperare il cibo. Questo utilizzo diversificato dell’oggetto al fine del risultato, non è indotto in qualche modo, ma è frutto di un’intuizione che ha ricombinato i dati delle proprietà spaziali dell’oggetto al fine del risultato. Edward Tolman con degli esperimenti su topi nei labirinti elabora il concetto di mappe mentali. L’esperimento prevede di porre dei topi in un labirinto e osservare, che anche modificando con degli ostacoli il percorso, dopo un numero di tentativi il topo acquisirà un orientamento spaziale, una vera e propria mappa cognitiva, la quale rimane in lui in modo latente e può essere impiegata quando se ne presenta il bisogno. Questo è il cosiddetto apprendimento latente. 2. Il costruttivismo Se di Piaget, Vygotsky e Bruner abbiamo già parlato, ora ci focalizziamo su altri esponenti di questa corrente, dal punto di vista della teoria dell’apprendimento. Per esempio George Alexander Kelly, il quale sostiene che ognuno interpreta il mondo secondo uno schema interpretativo personale. Le cosiddette “costruzioni mentali” hanno queste caratteristiche:  Costituiscono modalità di percezione, interpretazione e anticipazione dei fenomeni  Sono dinamici, si consolidano o revisionano  Sono delle astrazioni mentali L’individuo quindi costruisce gli eventi della realtà, avendo una capacità creativa, paragonabile all’opera dello scienziato che continuamente controlla e verifica i suoi concetti mentali con la realtà per adattarli. Il sociocostruttivismo pone invece il punto sulla cooperazione con gli altri, i fattori ambientale e le relazioni sociali che intervengono nell’apprendimento.
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