Scarica Riassunto Musei e media digitali - Nicolette Mandarano e più Dispense in PDF di Storia Dei Media solo su Docsity! Musei e media digitali Nicolette Mandarano Introduzione L’ICOM definisce il museo come “un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”1. Definizione in cui sono raccolte tutte le funzioni principali del museo: un luogo di apprendimento, di diffusione della conoscenza e allo stesso tempo di svago, ma deve ricoprire anche l’importante ruolo di comunicatore, dando per scontato che esso comunica a partire dall’allestimento e dall’esposizione delle opere al suo interno, prima ancora che in altri modi. Il 21 febbraio 2018 è stato emanato dal MIBACT il D.M. n. 113, Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale. Nell’Allegato I al decreto, relativo ai Livelli uniformi di qualità per i musei, la III parte è dedicata alla Comunicazione e ai rapporti con il territorio: - I musei hanno come finalità istituzionale quella di offrire alla collettività un servizio culturale fondato sulla conservazione e valorizzazione delle loro collezioni. Strumenti fondamentali solo la comunicazione e la promozione del patrimonio. - Adeguato spazio va dato all’utilizzo delle tecnologie. L’importanza della rete come primo approccio conoscitivo fra l’utente/visitatore e gli istituti museali è stata più volte messa in evidenza. Pertanto, la disponibilità di informazioni online sull’accesso al museo, sulle collezioni, sui servizi, sulle attività extra – inclusi social network, applicazioni, ecc. – e la loro efficacia in termini di aggiornamento ed esaustività delle informazioni, diventano di primaria importanza. Oggi per analizzare il tema della comunicazione, e della valorizzazione e promozione del patrimonio culturale, non è più possibile prescindere dalle tecnologie e dalle innovazioni tecnologiche, che popolano da tempo musei e istituzioni culturali, e tanto meno non si può prescindere dall’utilizzo della rete e dei social media. Il 22 maggio 2018 la Commissione europea ha pubblicato la Nuova agenda europea per la cultura e fra gli obiettivi di sostegno all’innovazione, alla creatività, alla crescita e alla creazione di posti di lavoro sostenibili sono sottesi due temi trasversali: la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e la strategia digitale (Digital4Culture). Viene sottolineato come le tecnologie e la comunicazione digitale stiano trasformando la società, lo stile di vita, i modelli di consumo e le relazioni economiche, ed è quindi necessario che i settori creativi e culturali colgano l’opportunità del cambiamento digitale. I dispositivi tecnologici e le piattaforme per la comunicazione online si dimostrano fondamentali ai fini della valorizzazione del patrimonio culturale perché (se utilizzati consapevolmente) forniscono all’istituzione strumenti utili per accrescere quel portato di conoscenza che si muove intorno a ogni opera d’arte (che nella maggior parte dei casi era stata decontestualizzata) e al contesto più generale dell’istituzione culturale, permettendo in tal modo al proprio pubblico di comprendere in 1 Nuova definizione di museo ICOM 2022 (24 agosto, Praga) 1 maniera efficace ciò che sta guardando agevola l’esercizio di lettura e di interpretazione capace di ricreare la relazione che lega un manufatto al proprio contesto storico, socioeconomico e culturale, ma anche al territorio che lo custodisce, e alle vicende della sua conservazione e fruizione. Comunicare si trasforma in valorizzazione. Sono mezzi che accostati ai tradizionali supporti analogici, forniscono la grande opportunità di moltiplicare le possibilità di espressione e comunicazione. Bisogna sviluppare un sistema integrato di comunicazione che favorisca l’accesso al bene a un ampio pubblico, andando oltre il concetto di “museo quale sistema complesso di contenuti e nessi, sovente autoreferenziale e referenziati, accessibili solo a coloro che posseggono le chiavi a stella per la comprensione sia del rapporto tra lo spazio e le collezioni, sia dell’opera, della testimonianza in sé”. Per superare questo ostacolo possiamo contare su una narrazione museale che può basarsi su più livelli e strumenti che, integrati fra loro, possono a loro volta rendere il museo realmente accessibile a tutti. A una corretta comunicazione dei contenuti specificamente pensati vanno, pertanto, affiancati i mezzi più adatti per veicolarli. Siamo in un nuovo contesto sociale in continua evoluzione in cui è cambiato il modo di entrare in contatto con le istituzioni culturali e con le opere d’arte in generale. Il Rijksmuseum di Amsterdam, per esempio, ha colto l’occasione per istituire un forte legame fra una delle sue opere più rappresentative, la Ronda di notte di Rembrandt, e il proprio pubblico l’opera doveva essere restaurata in occasione della mostra dedicata per il 350° anniversario della morte dell’artista (2019), e la direzione del museo ha deciso di eseguire il restauro nella sala in cui l’opera è solitamente esposta, collocandola in una camera di vetro, in modo che fosse sempre visibile per far vedere ai visitatori le varie fasi dell’intervento. È stata inoltre realizzata una piattaforma digitale per consentire di seguire l’intero processo anche online. La cultura del digitale sta quindi cambiando anche l’aspetto dei musei e la modalità di dialogo con i visitatori, che grazie al digitale diventano sempre più protagonisti e partecipi del processo di produzione di contenuti. La stessa evoluzione degli strumenti, con la centralità degli smartphone e schermi touch costringe a una nuova riflessione sul loro utilizzo e sull’esperienza d’uso a partire dalla visualizzazione, che infatti, impone un cambio di paradigma rispetto alla visualizzazione mediante desktop. Per affrontare questa rivoluzione è fondamentale dominare e comprendere come utilizzare i mezzi nel percorso museale per “farli parlare”. Quali sono gli strumenti tecnologici migliori? Come riconoscerne la reale efficacia comunicativa? Che tipo di contenuti richiedono e come strutturarli? Come dialogare con i visitatori e rispondere alle loro esigenze? 1. Tra storia e attualità: il contesto del libro 1.1 In principio era il CD-ROM Molteplici e diverse sono le tappe del rapporto fra tecnologie e beni culturali, qui se ne segnalano solo alcune, quelle che hanno contribuito più di altre all’evoluzione di questo rapporto. Si tratta di momenti che con diversi mezzi (postazioni multimediali, ricostruzioni, siti web, ecc.) hanno visto coinvolti insieme contesti, fruitori e opere d’arte, fuori e dentro i musei. - 1994. Roma, Fondazione Memmo, mostra “ Nefertari , Luce d’Egitto ” . In una delle sale era proposta un’esperienza (al tempo insolita): visitare la tomba di Nefertari come se ci si trovasse al suo interno. Questo grazie ad un dispositivo indossabile che permetteva di visitare virtualmente l’ambiente. I visitatori potevano ammirare la tomba come l’aveva vista l’archeologo Ernesto Schiapparelli al momento della sua scoperta nel 1904. La storia inizia con questo primo passo significativo, una visita che contemplava un’immersione nella realtà virtuale (all’epoca apice della tecnologia), che veniva messa a disposizione per una 2 priori delle opere indipendentemente dagli interessi specifici dei visitatori. Le opere sono preselezionate e il fruitore può solo decidere se ascoltare o meno le informazioni su una determinata opera. Le audioguide hanno un loro mercato in Italia e all’estero, soprattutto per i turisti stranieri, che spesso trovano in questo sistema l’unica interfaccia nella loro lingua. In questi anni sono stati numerosi gli strumenti che hanno popolato le sale museali, alcuni hanno avuto vita brevissima (promossi forse più per moda che per una reale sperimentazione), un esempio sono i Google Glass nel 2013 al Museo Egizio di Torino è stato sperimentato GoogleGlass4Lis, un sistema che permetteva ai non udenti di visualizzare, grazie agli occhiali, le informazioni tradotte nella lingua dei segni da un avatar. Era un modo per rendere il museo più accessibile ma ora non sono più in uso. La tecnologia fine a sé non è una strada da percorrere, non basta inserire un prodotto tecnologico in un museo per acquisire appeal. Quando si vuole introdurre una novità in un museo bisogna analizzare il contesto di riferimento, valutare e scegliere le opere e le storie da raccontare e decidere come devono essere raccontate e attraverso quali mezzi è più opportuno. È necessario capire a quale tipo di visitatore ci stiamo rivolgendo e con quale linguaggio sia meglio farlo, affinché la nostra lingua sia sempre comprensibile e sia possibile creare complicità con il visitatore. Questi processi possono essere affrontati solo grazie alla collaborazione di tutte le figure professionali di un museo. Sono necessarie: - una visione ampia - una programmazione che preveda una strategia comunicativa chiara - una progettazione adeguata (hardware, software e contenuti) per ogni mezzo Anche sui contenuti, che sono la parte fondamentale di ogni prodotto multimediale, è necessario seguire delle regole, per evitare testi poco comprensibili o troppo lunghi. Norme dello storytelling museale proposte da Margaret e Raymond Di Blasio (1983): - Il testo deve fornire al pubblico gli elementi per comprendere opera e contesto, deve essere credibile, avere un linguaggio visuale, coinvolgere e sedurre, essere sintetico. Meglio essere brevi e puntare su pochi concetti chiari per avere un messaggio incisivo. Una narrazione errata allontana i visitatori e crea un danno peggiore rispetto alla mancata comunicazione. Replicare o meno l’immagine in prossimità dell’opera all’interno di un museo è un dibattito ancora in corso a volte è difficile associare i contenuti all’opera corretta, come ad esempio nel caso di quadrerie. Al National Museum of Scotland di Edimburgo hanno deciso di lavorare su quanto emergeva dalle interazioni dei visitatori con le etichette digitali (piccoli schermi touch vicini alle opere) e hanno scoperto che tendevano a leggere solo i contenti esplicitamente correlati all’oggetto che stavano guardando attraverso la replica dell’immagine dell’oggetto. Raccontare la storia e il significato culturale di un oggetto è fondamentale, ma se non si riesce a creare una connessione visiva esplicita i visitatori potrebbero non comprendere la correlazione. Le cose cambiano poi da museo a museo bisogna ascoltare il proprio pubblico, raccogliere le opinioni e monitorarne i comportamenti per costruire una comunicazione mirata. Oltre i contenuti, dal punto di vista hardware e software, sarebbe opportuno usare tecnologie già testate per non incorrere in imprevisti. Dovrebbero essere tecnologie semplici da usare e poco invasive, perché il digital divide connota il nostro paese e quindi delle tecnologie complesse distrarrebbero il visitatore dall’opera e dal museo, rischiando di creare nuove barriere cognitive allontanando altri visitatori interessati. Il museo non dovrebbe rincorrere l’effetto “wow” perché non è la tecnologia a dover essere il polo attrattivo dell’istituzione ma sempre l’opera. 5 Tuttavia, sono in corso sperimentazioni interessanti come la tecnologia Wall++ della Disney Research e della Carnegie Mellon University, che permetterà alle pareti di una stanza di trasformarsi in un touchpad con l’uso di vernice conduttiva e componenti elettroniche. Così il muro di un qualsiasi ambiente museale potrà diventare interattivo consentendo di progettare nuovi modelli di comunicazione e fruizione. Nell’ambito del progetto Connecting Early Medieval European Collections (CEMEC) dell’ITABC del CNR, in collaborazione con Encoded Visions on Canvas (EVOCA), è in via di sperimentazione una vetrina olografica con la quale si intende ricostruire la dimensione sensoriale intorno all’oggetto esposto al suo interno attraverso una nuova forma di drammaturgia. La vetrina è concepita come un piccolo palcoscenico con controlli per la regia e luci, audio e proiezioni. Le opere saranno “supportate” da proiezioni ed effetti sonori ottenendo un risultato di mixed reality cambiando radicalmente il modo di comunicare, dal momento che i contenuti digitali non sono più collocati in spazi separati ma proiettati nello spazio stesso dell’oggetto. Il primo test è stato fatto per una spada del VII secolo conservata all’Hungarian National Museum di Budapest, tramite un’esperienza olografica pensata in tre fasi: nella prima fase l’attenzione è concentrata sull’oggetto esposto con didascalie digitali sui contenuti essenziali; nella seconda fase viene rappresentato il processo di creazione dell’oggetto; nella terza l’oggetto viene contestualizzato. Sono in via di sviluppo anche i sistemi di tracciamento, piccoli oggetti di design (es. clip o braccialetto) che vengono dati al posto del biglietto (come accade al Nationalmuseet di Copenaghen) o come gadget. Così si può mappare il percorso del visitatore all’interno dell’istituzione e valutare il tempo passato davanti alle opere/sale. Questo consente di studiare gli allestimenti (ad es. mettere in evidenza un’opera che non viene adeguatamente valorizzata) e monitorare gli afflussi. Altra tecnologia usata invece dagli Uffizi in collaborazione con il Museo Galileo nella mostra L’acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci, è stata quella di rendere i fogli del codice leonardesco fruibili con il sussidio multimediale Codescope che permette di sfogliare virtualmente i singoli fogli su schermi digitali e ricevere informazioni, accedere alla trascrizione dei testi, alle note, ecc, rendendo le complesse pagine del manoscritto accessibili a tutti i visitatori. Già di comune utilizzo e che ormai rientrano fra i prodotti tradizionali per spiegare opere e contesti, sono invece i totem e i tavoli multimediali; altri sono in via di sperimentazione come i chatbot e altri in continua evoluzione come le app. 1.3 I musei e la comunicazione online La presenza online di un museo è fondamentale. Nel 2016 nell’indagine ISTAT degli Aspetti della vita quotidiana affermava che il 63,2% degli italiani utilizzava internet di cui il 34% ogni giorno. Analizzando i dati dell’agenzia internazionale We Are Social in collaborazione con Hootsuite, nel 2019 gli utenti internet nel mondo superano i 4 miliardi (in Italia 54 milioni), con un tempo medio di utilizzo di 6 ore. dati da aggiornare Negli ultimi anni abbiamo assistito anche ad un incremento dei visitatori dei musei, infatti, secondo i dati MIBACT nel 2018 è stata superata la soglia dei 55 milioni. Grazie a questi numeri si è iniziato a parlare delle istituzioni museali più spesso anche sui media tradizionali, ma un ruolo importante dell’aumento del pubblico dei musei è occupato anche dalla progressiva espansione della loro presenza in rete, grazie alla realizzazione ex novo o al restyling di alcuni siti web, ma anche grazie all’apertura di profili ufficiali sui principali social network. L’aumento del dialogo di alcune istituzioni museali con i pubblici online ha permesso di incrementarne la visibilità e di attirare l’attenzione anche su luoghi che prima erano poco o 6 parzialmente conosciuti. Anche se negli ultimi anni sono state prese molte iniziative, grazie anche all’autonomia concessa ad alcune istituzioni museali dalla Riforma Franceschini (legge 29 luglio 2014, n. 106), ad oggi sono ancora troppi i musei (specialmente le piccole realtà) che non hanno un sito web o ne hanno uno che non risponde agli standard. Da un’indagine ISTAT sui servizi digitali più utilizzati dai musei nel 2015 emerge che il sito web è adottato dal 57% dei musei; mentre sono il 41% le istituzioni museali italiane che hanno aperto profili social. Analisi dell’Osservatorio Innovazione digitale nei beni e attività culturali del Politecnico di Milano su un campione di musei nel 2016 evidenzia un avanzamento verso l’utilizzo dei social: 52% possiede un account, principalmente su Facebook (51%), Twitter (31%), Instagram (15%). Anche il MIBAC ha riconosciuto la centralità di internet dal punto di vista comunicativo attribuendogli una funzione legata al processo di valorizzazione. Investire nella comunicazione digitale è oggi importante per promuovere un museo ma anche per intercettare un pubblico che si muove sempre più in rete per non essere irrilevanti bisogna essere presenti, ed essere presenti è un’opportunità per attrarre visitatori e creare con loro un legame duraturo. Una strategia di comunicazione complessa deve partire dalla definizione di un’immagine coordinata dell’istituzione, dalla creazione di un logo, e deve poi esplicarsi in ogni forma comunicativa dall’analogico al digitale (carta intestata, biglietti da visita, banner, locandine, sito, social) permettendo all’istituzione di avere una sua identità riconoscibile in ogni declinazione. Dopo aver individuato l’immagine coordinata, una corretta strategia digitale richiede per prima cosa la creazione di un sito web, che è la fonte informativa principale. Solo dopo aver progettato un sito web efficace e funzionale si potrà pensare alla sua integrazione con i profili social (ma tuttavia alcune istituzioni aprono profili social senza sito web). A questo proposito emergono due problemi: - il pubblico che naviga in rete può non essere lo stesso che usa i social - una comunicazione data sui social viaggia velocemente, a volte scorre sulle timeline senza neanche essere vista La comunicazione sui social ha quindi spesso bisogno di integrarsi con quella sul sito per fornire informazioni maggiori che durino per il tempo necessari. Realizzare un sito web adeguato ad aprire i profili social è solo il primo passo ai fini di una valida comunicazione online; sono il mantenimento continuo, la presenza quotidiana anche nell’interazione e creazione di contenuti specifici che possono garantire un corretto posizionamento dell’istituzione sul web. Aprire un sito web che non viene aggiornato o creare un profilo social poi abbandonarlo provoca solo un danno e una ricaduta negativa sul museo e sulla sua reputazione. 2. On Site Qui si parlerà delle tecnologie che si possono incontrare nelle sale museali: dalle postazioni multimediali alle app, dai chatbot ai videogame, passando per la realtà virtuale, la realtà aumentata e la realtà mista. Non sempre però i progetti di cui si parla sono classificabili perché spesso sono un mix tra diversi sistemi tecnologici. 2.1 Totem e tavoli multimediali Sono ottimi sistemi comunicativi per incrementare la conoscenza all’interno di un percorso museale. Possono essere a bassa o alta interazione a seconda del punto in cui andranno collocati nel percorso espositivo. - Prodotti a bassa interazione, con approfondimenti specifici su un’opera, possono essere collocati vicino alle opere, non devono disturbare la visione ma essere utilizzati solo se si vuole conoscere il contesto dell’oggetto specifico. 7 - Met App, lanciata dal Metropolitan Museum nel 2014, pensata per consentire ai visitatori di scoprire le opere della collezione (suddivise per aree tematiche), le mostre temporanee, gli eventi e avere accesso a tutto il sistema informativo del museo già presente sul sito, mettendo a disposizione anche le mappe della sede principale e quelle dei Cloisters (sede dedicata all’arte medievale). Realizzazione possibile grazie all’investimento sulla digitalizzazione dell’intero patrimonio. - App del British Museum, sviluppata in dodici lingue, viene presentata come una guida portatile del museo, con mappe interattive, possibilità di selezionare le opere per periodo storico o temi, e zoom sui dettagli. - App del Centre Pompidou è divisa in quattro sezioni “Oggi al centro Pompidou” per le attività giornaliere; “Il museo”, “La cronologia” e “I percorsi”. Utilizzabile come una guida alla scoperta dei piani e delle collezioni, con approfondimenti specifici su opere e tematiche, oppure seguendo dei percorsi. È particolare in quanto presenta una timeline che contribuisce a “dare un orizzonte e dei punti di riferimento cronologici mettendo in relazione gli elementi della collezione con momenti storici significativi, quali la nascita di alcune tendenze, scuole, movimenti”. - App del Moma (MOMA Audio) ha come punto centrale l’audio, prodotto multilingue e multi- target utilizzabile sia prima sia nel corso della visita come una sorta di audioguida. Consente di avere una visione diversa delle opere e delle mostre temporanee grazie al racconto dei curatori, degli allestitori e degli artisti. - Streetmuseum, app del Museum of London introdotta nel 2010, portava il museo fuori dal museo, era basata sulla geolocalizzaione e realtà aumentata e consentiva di sovrapporre immagini storiche di Londra (conservate al museo) sulle vedute contemporanee. Alle circa 100 immagini (datate fra 1863 e 2003) erano poi collegati contenuti testuali sulla storia di Londra. - Ask app del Brooklyn Museum di NY, si invitano gli utenti a porre domande sulle opere tramite l’app. alle domande rispondono in tempo reale un gruppo di esperti del museo composto da un archeologo, un antropologo, storici dell’arte ed educatori (team di 5 persone per turno che oltre a conoscere la propria area di competenza, hanno capacità nell’effettuare ricerche in tempo reale). Grande successo dell’app anche grazie all’anonimato, ma che richiede un grande investimento economico in termini tecnologici e di risorse umane. 2.3 Realtà aumentata, realtà virtuale e realtà mista La realtà aumentata (augmented reality, AR) è una realtà potenziata che non sostituisce la nostra visione ma la arricchisce di informazioni con testi, immagini, video e animazioni. Questo avviene con lenti trasparenti che permettono di vedere anche la realtà che ci circonda, fruendo al tempo stesso di dati aggiuntivi (es. vedere la parte mancante di un edificio). Può essere fruita anche da dispositivi mobili. Per realtà virtuale (virtual reality, VR) si intende un ambiente tridimensionale digitale che si sostituisce alla realtà che di solito ci circonda consentendo di interagire con esso come se ci si trovasse realmente al suo interno. Richiede un impiego molto più impegnativo in quanto necessita di dispositivi che oscurano la visione reale per “proiettarci” in una nuova realtà creata digitalmente, e questi dispositivi che richiedono una manutenzione maggiore non sono sempre graditi ai visitatori. o Nel 2014 il Museo nazionale scienza e tecnologia di Milano ha sperimentato il dispositivo Oculus Rift per la VR immersiva. Sviluppando un’esperienza immersiva in un sottomarino S506 Enrico Toti. Nasce così Toti Submarine VR Experience tramite app per 10 smartphone con immagini a 360° ed effetti sonori reali concesse dalla Scuola sommergibili della Marina militare italiana. o La VR può essere anche utilizzata per l’archiviazione delle mostre temporanee. Questo esperimento è stato fatto a Roma nel 2017 al MACRO ed è stato possibile rivivere l’esperienza di visitatore alla mostra sull’arte contemporanea dell’anno precedente (Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea) riscoprendo un valore aggiunto che le foto di un allestimento non riescono a restituire: la collocazione di un’opera nello spazio e la sua relazione con lo stesso e con le altre opere. o Un altro esperimento di realizzazione più complessa ma con un maggiore coinvolgimento multisensoriale, è stato proposto a Londra da Mat Collishaw con Thresholds, una mostra in VR dedicata al riallestimento di una rassegna fotografica del 1839 (in cui lo scienziato William Henry Fox Talbot esponeva per la prima volta le sue stampe fotografiche alla King Edward’s School di Birmingham). Era stato tutto ricostruiti digitalmente e anche con effetti sonori e olfattivi (odore di riscaldamento a carbone). Oltre alla AR e alla VR oggi si parla anche di MR, mixed reality, dove i due sistemi di fondono o affiancano nella creazione di un unico prodotto che permetta di incrementare la conoscenza del patrimonio. o Un caso di MR è quello di L’ara com’era di Zètema (in collaborazione con la Sovrintendenza di Roma Capitale) per far vedere ai visitatori com’era l’Ara Pacis nel momento in cui era stata costruita (9 a.C.), con tanto di colori originali mostrati anni prima con delle proiezioni sul monumento. Ad ogni visitatore veniva dato un Samsung Gear VR che con uno smartphone Samsung S7 permetteva di accedere a nove point of interest (POI), alcuni in AR e altri in VR. In AR erano i colori originali, in VR vi erano filmati con riproduzioni 3D. Vi erano poi contenuti narrativi per far conoscere meglio il monumento. o VR e videomapping sono le tecnologie adottate per la messa in valore del cantiere del restauro della Domus Aurea, durante la visita vengono proposte una proiezione sulla storia della Domus e un’installazione VR tramite Oculus Rift nella sala della volta dorata. Ci si immerge così nella reggia di I secolo visitandone gli ambienti originari, il portico, le stanze e il giardino. Gli strumenti AR e VR sono molto utili per i beni culturali, soprattutto al fine di ricostruire realtà ormai non più esistenti. Sarebbero dispositivi adatti anche nei siti archeologici, soprattutto dove abbiamo pochi resti, per far comprendere cosa celava quel posto nell’antichità. Il 3D e l’AR sono stati utilizzati anche per ricostruire i “teatri di guerra”. o Un esempio è Open Heritage di Google Arts & Culture che permette di visitare siti a rischio o che non esistono più. L’idea è dell’ingegnere iracheno Ben Kacyra che sta allestendo un archivio digitale dei patrimoni culturali in pericolo, con fini educativi ma anche per preservarne la memoria. Il progetto ha due finalità: offrire l’opportunità di visitare virtualmente i luoghi ricostruiti in digitale e con il laser scanner 3D permette di identificare aree danneggiate e supportare fasi di restauro. Ad oggi troviamo 25 siti di interesse internazionale in tutto il mondo. Ad oggi comprende 25 siti di interesse internazionale come ad esempio, il sito di Bagan, danneggiato nel 2016 da un terremoto, prima del sisma era stato scansionato e fotografato dall’alto con i droni, ora sono stati ricostruiti tridimensionalmente tutti i principali monumenti visibili tramite visore con fruizione da desktop. 11 2.4 Videomapping Tecnologia che permette di proiettare fasci di luce su superfici reali trasformando oggetti e edifici in schermi per la proiezione di contenuti video. È una sorta di AR perché grazie alla proiezione altera la visione reale. Fenomeno che ha preso piede soprattutto nei contesti urbani, ad esempio al Festival delle luci di Lione o di Berlino oppure le proiezioni del festival Lumiere intemporelle sulle pareti esterne della cattadrale di Strasburgo. Uno dei primi spettacoli che unisce arte, architettura e proiezioni fu Monet et son Lumière, progetto di Skertzo del 2004, che prevedeva di illuminare la cattedrale di Rouen tramite le tele dedicate da Monet alla cattedrale un connubio che riproduce un contesto storico artistico preciso. Ora il videomapping è utilizzato prevalentemente per la performance artistica e per progetti di storytelling (volti a raccontare la storia del luogo/edificio). Il videomapping (come AR, VR e MR) si può utilizzare per ricreare un contesto non più esistente e infatti è molto utilizzato in ambito archeologico. È un modello di valorizzazione che fa riferimento all’evoluzione di due sistemi: la lastra di plexiglass serigrafata e le ghost structures. Questi si utilizzano solitamente in siti archeologici quando vi sono impossibilità di installare soluzioni digitali. - Le lastre di plexiglass consentono di ricostruire l’aspetto originario sfruttando l’anamorfismo, il visitatore guarda attraverso queste lastre in un punto preciso e vi sarà la coincidenza del disegno dell’edificio. - Le ghost structures evocano in ambiente tridimensionale i volumi che sono andati persi. Ad esempio, a Siponto in Puglia con una rete metallica hanno ricostruito la basilica di Santa Maria Maggiore rendendone comprensibili i resti al pubblico. Per ricreare parti mancanti di un manufatto o edificio può essere usata anche la stampa 3D, tecnologia che consente una maggiore accessibilità al patrimonio culturale soprattutto per gli ipovedenti, ma anche utile per finalità di studio e ricerca e per la creazione di merchandising. Fra gli esempi di valorizzazione tramite la videoproiezione vanno menzionati due progetti dell’area archeologica legati a Viaggio nei Fori, promossi da Roma Capitale Assessorato alla crescita culturale – Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e prodotti da Zètema progetto cultura. La prima idea era legata alla valorizzazione del Foro di Augusto, a cui successivamente si è aggiunta la valorizzazione del Foro di Cesare. Il progetto del foro di Augusto prevede una staticità del visitatore che assiste allo spettacolo seduto sugli spalti. Nel foro di Cesare invece vi è installato un percorso itinerante con narrazioni sonore, illuminazioni selettive e multi-proiezioni di luci consentendo di rivivere l’emozione della vita nella Roma del tempo con tanto di persone che si aggirano tra i borghi e taverne i resti di difficile interpretazione di trasformano in narratori della propria storia. Un altro progetto in cui è stata impiegata la videoproiezione e quello del 2018 nel parco archeologico del Colosseo che coinvolge anche il Museo Palatino, la Casa di Augusto e la Casa Livia, l’Aula isiaca con la Loggia Mattei, il tempio di Romolo e tanti altri. Nel contesto come sempre sono stati utilizzati effetti di luce, video e narrazioni sonore per permettere una maggiore comprensione. Ad esempio, nella casa Augusto una videoproiezione racconta l’evoluzione della residenza dell’imperatore, dall’impianto primitivo fino ad arrivare al palazzo del princeps. La visita è accompagnata da una voce narrante che descrive gli affreschi delle diverse stanze, messi in evidenza grazie all’illuminazione selettiva. Quindi il campo in cui vengono utilizzate maggiormente queste tecnologie è quello archeologico, infatti, questi sistemi permettono una più grande comprensione e valorizzazione senza interferire con la conservazione del bene. 12 era la connessione con il pubblico di visitatori del museo e quelli virtuali. Il videogame viene visto come una nuova forma di valorizzazione del museo e delle sue collezioni, ma anche del territorio e dell’intero contesto di riferimento. Questo gioco è narrativo in 2D con grafiche dipinte a mano (dall’artista Sean Wenham e colonna sonora originale di Arkadiusz Reikowski), pensato per scoprire la città di Napoli e il museo: il gioco racconta la storia di Michael, un ragazzo che si reca a Napoli per incontrare il padre mai conosciuto che lavora al museo. Il giocatore si trova a vivere attraverso varie epoche storiche. Il progetto ha avuto un successo incredibile con 3 milioni di download ad un anno dal lancio. Progetto multilingue e scaricabile gratuitamente, è stato scelto da Apple come prodotto della vetrina principale. A otto mesi dal lancio, 12.000 visitatori si sono geolocalizzati al MANN durante la partita per sbloccare contenuti extra del gioco. È stato deciso di far uscire il Father and Son 2 nel 2019. - Lo stesso Team (TuoMuseo) ha lavorato a “Past for Future”, del museo archeologico di Taranto (MARTA), che conduce il giocatore a scoprire la storia della città con salti temporali e scelte con finali alternativi. - Il Museum of London invece usa Minecraft (gioco con impostazione aperta che lascia al giocatore la possibilità di modificarne il mondo) per ricreare Londra nel 1666, anno del grande incendio. Con “The Great Fire”, creato in occasione del 350° anniversario dell’incendio gli storici del museo hanno lavorato con gli sviluppatori di Minecraft per costruire un modello virtuale dettagliato della Londra del XVII secolo, per vederla prima durante e dopo l’incendio e per cercare di combatterlo e poi ricostruire la città. - Sempre Minecraft viene usato nella Galleria Nazionale di Urbino, il progetto è “Raffaello in Minecraft”, concorso destinato alle elementari e medie per accostare la cultura storica artistica e il mondo dei videogiochi e far conoscere la città natale di Raffaello in occasione dei 500 anni dalla morte (2020). I giovani devono creare un contenuto che racconti una parte della vita del pittore, creando una sorta di narrazione partecipata. L’obiettivo è far convergere l’interesse dei ragazzi sul rinascimento con una modalità divertente che già conoscono. Il videogame viene visto come una nuova forma di valorizzazione del museo e delle sue collezioni. È un mondo che necessita di essere analizzato e compreso in tutta la sua complessità e nella sua potenzialità di diffusore di un messaggio. Se ben progettato un videogioco può diventare uno strumento utile per coinvolgere una fascia di pubblico che è disposta a giocare ma poco attratta dai musei. 3. Online Si parla della comunicazione online delle istituzioni museali. Analisi e importanza dei siti web in quanto prima indispensabile “vetrina” dell’istituzione e dei social network, ritenuti i più importanti ai fini comunicativi per diffusione e popolarità. Inoltre, i siti e le piattaforme social raccolgono informazioni fondamentali per comprendere il pubblico con gli analytics e i feedback. 3.1 I siti web museali in Italia e nel mondo Nel 1995 è sbarcato online il sito del Louvre. Veronique Petitjean, responsabile della comunicazione aveva infatti dichiarato la volontà di aprire il Museo anche a coloro che non hanno la possibilità di visitarlo. Attualmente la via più veloce per entrare in contatto con il pubblico digitale sono i social network, ma il sito web è imprescindibile come punto di partenza; rimane il canale principale su cui lavorare e richiede un aggiornamento continuo. Oltre alle informazioni generali, dai contatti agli orari, dalle collezioni alla storia del museo, ogni mostra, conferenza e presentazione deve essere comunicata, così come vanno segnalate le opere in prestito o l’eventuale temporanea chiusura di una sala. È fondamentale che i visitatori siano sempre aggiornati su ciò che accade. Deve essere cura del web comunicare scambi fra istituzioni che 15 permettono di vedere opere che non fanno parte delle proprie collezioni. Un sito web esaustivo e ricco di contenuti consente di accedere ad approfondimenti, indipendentemente dalla visita. Dal 2016 ad oggi vi è stato un grande cambiamento nel panorama dei siti web museali, molti sono stati rinnovati e altri creati ex novo. A livello internazionale si è assistito al restyling dei siti del Rijksmuseum di Amsterdam, della Tate e del Victoria and Albert di Londra, del Met di New York; a livello nazionale sono nati i siti della Pinacoteca di Brera a Milano, delle Gallerie nazionali di arte antica di Palazzo Barberini e Galleria Corsini a Roma, della Galleria Nazionale delle Marche, del MANN, degli Uffizi e del Parco archeologico del Colosseo. Questi siti sono passati dall’essere testuali e concentrati sulle informazioni pratiche ad avere una base visuale, con un incremento dell’offerta informativa e di servizi per comprendere ogni aspetto del museo (didattica, ricerca, presentazione delle mostre, e-shop e fruizione online della collezione). L’accesso illimitato al catalogo delle opere è oggi il punto di forza di qualsiasi sito web museale e l’obiettivo primario. Questi siti devono essere ricchi di contenuti ma anche basilari: chi entra in un sito deve visualizzare una struttura con suddivisioni chiare per trovare velocemente le informazioni. In homepage dovrebbero esserci le informazioni utili come indirizzo, prezzi, orari di apertura ed eventuali avvisi. - Partendo dai presupposti di facilità nella navigazione e di reperimento delle informazioni è stato realizzato il sito delle Gallerie nazionali di arte antica Palazzo Barberini e Galleria Corsini il cui obiettivo principale è la chiarezza, in quanto due gallerie, con sedi diverse ma con un unico catalogo. Si è scelto un carattere bastone (senza grazie), nero su fondo bianco, per agevolare la lettura. Tutti i contenuti sono stati ricondotti a solo sei sezioni, nello stile dei siti web anglosassoni, in un’ottica di maggiore navigabilità. Si è scelto di dare ampia visibilità ai social dell’istituzione e al coinvolgimento e dialogo con i pubblici, ponendo le icone delle piattaforme al centro della testata, fra le sezioni. Nella home page sono poi state inserite tutte le informazioni pratiche di base, cercando di rispondere alle prime domande di un visitatore. Il sito è in continua implementazione per quanto riguarda il catalogo digitale e le opere. - Dal punto di vista della completezza di contenuti probabilmente il più esaustivo è quello del MET. La home page, con immagini a scorrimento delle mostre in corso, riporta orari delle diverse sedi, le mappe, gli eventi e le news. In alto la testata con i colori del brand (bianco su rosso) è divisa in sette sezioni principali: Visit, Exhibitions, Events, Art, Learn, Join and Give, Shop. Sulla destra, la possibilità di acquistare i biglietti online e di accedere alla stringa di ricerca. Ognuna di queste sezioni permette la navigazione grazie a menu a tendina, nei sottomenu. Oltre alle indicazioni pratiche, il sito consente di consultare il database dell’intera collezione. Alle opere si può accedere cronologicamente (timeline), selezionando un’area geografica, o cercando un artista o tematica nella stringa di ricerca che appare cliccando su “The Met Collection”. Effettuata la ricerca, cliccando sulla thumbnail dell’immagine o sul titolo si apre la scheda dell’opera, che può essere ingrandita e scaricata, corredata dei dati tecnici fondamentali, si ha anche la possibilità di avere informazioni di approfondimento che raccontano la provenienza dell’opera, le cita<ioni inventariali, la storia, l’iconografia, la bibliografia essenziale ecc. La scelta comunicativa è interessante per l’idea di caricare online una scheda dettagliata che coinvolge molti pubblici, ognuno dei quali potrà scegliere il livello di interazione più consono. In molti ora stanno lavorando seguendo le orme del MET (digitalizzazione e schedatura della collezione). Alcuni musei prestano solamente l’immagine ingrandibile con una breve scheda divulgativa, come ad esempio la Pinacoteca di Brera o Gallerie nazionali Barberini Corsini (che però sta sviluppando un sistema di gestione delle collezioni, interoperabile con il sito e gli altri strumenti digitali che verranno rilasciati, che consentirà di mettere online l’intera collezione con diversi livelli di approfondimento). Altri musei, come gli Uffizi forniscono schede già di base più dettagliate. 16 Ogni museo sta lavorando all’ampliamento della fruibilità della collezione online, con la consapevolezza che il sito è uno strumento imprescindibile per la strategia di comunicazione, in quanto può essere il punto di partenza per un’esperienza di arricchimento che porti alla fruizione reale delle collezioni o un approfondimento post visita. Inoltre, la possibilità di accedere al sito da mobile permette ai visitatori di consultare le schede delle opere anche durante la visita, utilizzandolo come una sorta di guida interna (dato emerso dallo studio della geolocalizzazione). Questi esempi però non sono rappresentativi del panorama dei siti web nazionali, ancora moltissimi musei infatti, non hanno un sito adeguato, spesso con poche informazioni, non aggiornati, esclusivamente in italiano e “vetrine “ obsolete. 3.2 Le piattaforme social Il 17 gennario 1997 viene registrato il brevetto del social network SixDegrees, una rete social che partiva dal presupposto che, attraverso la rete di conoscenze, ciascun individuo è potenzialmente connesso a tutti gli altri. Vantava le caratteristiche che ancora oggi sono il fondamento dei social: chiedeva l’inserimento dei dati degli utenti per creare profili personali, la possibilità di accettare o rifiutare contatti e di far comunicare gli utenti tra di loro. Non vi erano bacheche o flussi di messaggi pubblici ma avveniva tutto in modo privato. La piattaforma non ebbe fortuna forse per la scarsa rete internet ma gettò le basi per tutti gli altri social. I social media possono essere definiti come piattaforme online che le persone usano per condividere contenuti (testuali, fotografici, audio o video). Servizi connessi al web 2.0. In origine il web permetteva di visualizzare contenuti statici e si caratterizzava per un flusso di informazioni che andavano da pochi (produttori di contenuti) a molti (fruitori); non era possibile interagire se non grazie alla navigazione ipertestuale o attraverso l’uso di e-mail. Con l’evoluzione al web 2.0, quelli che prima erano fruitori ora sono produttori di contenuti, grazie alla possibilità di interagire con piattaforme di semplice accesso e utilizzo. Il web diventa così un luogo dinamico e di scambio. La principale caratteristica che differenzia le reti sociali dai siti web è la modalità di utilizzo e fruizione: l’utente di un sito web è un consumatore (consumer), quello dei social diventa anche un produttore (producer), e che può essere oggi identificato con il termine “prosumer”. L’utente oggi può anche decidere quale testo scritto da altri merita di essere divulgato fra i suoi contatti, generando effetti di ridondanza di un determinato contenuto, fino a renderlo virale. Caratteristiche principali dei social media: - Strumenti accessibili a tutti (salvo limitazioni imposte da alcuni Stati) - Gratuiti (non richiedono alcuna forma di pagamento per l’iscrizione) - Semplici da utilizzare, permettono di accedere ad un numero illimitato di informazioni - I contenuti possono raggiungere un gran numero di persone - Veloci nella comunicazione e misurabili - Rispetto la comunicazione degli altri canali il vantaggio dei social è l’immediatezza hanno una comunicazione in tempo reale o quasi. I contenuti digitali sono: - Persistenti (hanno un ciclo di vita) - Replicabili (possono essere rapidamente diffusi grazie alla possibilità di riprodurre in una forma identica il contenuto originale) 17 thefacebook.com, online dal 2004, nel cui primo mesi più di metà della popolazione universitaria è iscritta al nuovo servizio. Nel 2007 Facebook.com (dominio acquisito nel 2005) entra nella classifica dei 10 siti più visitati al mondo. Nel 2008 esplode il successo anche in Italia e l’incremento segnerà numeri importanti e la popolarità non cala neanche per lo scandalo Cambridge Analytica e delle fake news. Facebook è il social più utilizzato dai musei, sembra che il 79% delle istituzioni abbia un account ufficiale su questa piattaforma. Il primo passo da compiere per un’istituzione culturale che decida di presentarsi su Facebook è quello di aprire una pagina (e non un profilo). - Profilo = strettamente personale e serve a stringere legami con altre persone (“amici”). - Pagina = destinata a soggetti non personali, come aziende, enti, associazioni, ecc. e serve a promuovere le attività e a raccontarsi. Inoltre, non ha un limite di contatti come per i profili (5.000) e consente una serie di azioni come, ad esempio, l’accesso ai dati di analisi sui fan (insights) o la possibilità di creare campagne promozionali con contenuti sponsorizzati. Utilizzare un profilo privato come pagina pubblico comporta una violazione dei termini di servizio di Facebook con conseguente chiusura del profilo e perdita dei collegamenti. Aperta la pagina, gli utenti possono esprimere il proprio apprezzamento con i “Mi piace”, permettendo di creare un pubblico attivo di potenziali visitatori. Attraverso la pagina e seguendo il calendario editoriali, l’istituzione pubblica gli “aggiornamenti di stato”, cioè post testuali, corredati di immagini e/o video, comunicando così con i propri fan. La pagina deve avere la stessa immagine coordinata per tutte le altre forme comunicative dell’istituzione il logo identificherà la pagina e sarà accompagnato dal nome dell’istituzione e da una breve descrizione. La testata, che sarebbe opportuno coordinare con quella di Twitter, potrà essere fissa, con un’immagine dedicata al museo, o potrà variare a seconda delle necessità. - @barberinicorsini ha scelto di utilizzare la testata per dare visibilità alle mostre in corso pubblicandone le locandine, così come fanno, ma attraverso video dedicati alle singole esposizioni, anche la National Gallery di Londra o il Louvre. - I Musei in Comune di Roma, hanno deciso nel 2018 di riservare la testata alla pubblicizzazione della MIC card, carta riservata ai residenti che consente l’accesso ai musei del sistema comunale a 5 euro. Altra operazione fondamentale è compilare la voce “Informazioni”, dove vanno inseriti gli orari di apertura, le informazioni di contatto (dall’indirizzo al numero di telefono, dal sito web ai collegamenti dei profili social) e la storia dell’istituzione. Dalla pagina è poi possibile creare “Eventi”, ad esempio per pubblicizzare l’apertura di una mostra, di un convegno, un laboratorio didattico o la presentazione di un libro. Sotto l’immagine di copertina (pensata appositamente per l’evento), compaiono tutte le informazioni utili per parteciparvi: orari, eventuale costo, luogo. È poi importante inserire una breve descrizione dell’evento. L’istituzione può invitare all’evento i propri contatti, e i contatti che hanno confermato la partecipazione potranno a loro volta invitare. Per la comunicazione di un evento non basta la sua creazione, ma serve anche mantenerlo: pubblicando prima delle data contenuti volti a destare la curiosità, il giorno dell’evento pubblicando contenuti live, e dopo l’inaugurazione foto e racconti dell’apertura. La pagina consente, poi, di accedere al Business Manager, che permette la creazione di campagne pubblicitarie e la sponsorizzazione dei post. Facebook deve essere sapientemente usato per informare e raccontare tutto quello che accade in un’istituzione culturale, per attivare quel tramite “attraverso il quale creare un rapporto di intermediazione tra ricerca e divulgazione finalizzato alla disseminazione della conoscenza”. - Una pagina museale Facebook (ma anche Twitter e Instagram) interessante, che adotta una modalità comunicativa efficace e divertente, è quella della Fondazione Sandretto Re 20 Rebaudengo di Torino. I loro post, creati quotidianamente, rompono i confini fra i diversi linguaggi creando una comunicazione che ormai è diventata unica e identitaria per la fondazione. Il social media manager, Silvio Salvo, attinge da fonti molto diverse come Barbara d’Urso e Verdone, da Quelo a Fantozzi, da Radiohead ad Alessandro Bergonzoni. Creando meme con personaggi universali e assecondando i trend è stato possibile rendere riconoscibile lo spazio del museo e un modo di comunicare unico, efficace proprio perché non convenzionale. Monitorare l’andamento dei dati dei contenuti pubblicati permette di valutare l’apprezzamento dei contenuti e il rapporto con la propria community. I dati che emergono dagli insights della pagina Facebook sono prevalentemente di tipo quantitativo. In questa sezione si raccolgono una seria di indicatori generali, che vanno dal numero degli utenti, il numero di persone raggiunte dai post nell’ultima settimana, quello di interazione sui post, ecc. Si possono visualizzare poi l’andamento degli ultimi 5 post pubblicati e la data in cui sono stati messi in rete, i destinatari, la copertura del post (= numero di persone che hanno visualizzato il post) e le interazioni (“Mi piace”, commenti, condivisioni). In presenza di una campagna di sponsorizzazione viene visualizzata sia la copertura organica del post (numero di persone a cui viene mostrato il post non a pagamento), sia quella a pagamento. Il menu sinistra sotto “Panoramica” presenta tutta una serie di informazioni per un quadro più approfondito e in alto a destra la voce “Esporta dati” permette di scaricare un file Excel con tutte le metriche della pagina. Cliccando “Mi piace”, nella colonna sx si può visualizzare l’andamento nel tempo degli iscritti, i nuovi iscritti e il numero di coloro che hanno deciso di abbandonare la pagina. In “Persone” è possibile visualizzare i dati di dettaglio relativi ai fan: genere, età anagrafica, localizzazione e lingua parlata. Ma nella valutazione dell’engagement è importante distinguere tra la semplice fruizione dello “stream” (like/following alla pagina) e quella partecipativa (commenti, condivisioni, tag). All’analisi quantitativa/numerica è quindi necessario accompagnarne una di tipo qualitativo, che non può essere fatta in automatico si tratta della lettura dei commenti che vengono rilasciati. Instagram Fra il 2017 e il 2018 ha visto triplicare gli utenti a livello mondiale, gli utenti a livello mondiale sono circa un miliardo (in Italia 19 milioni sono attivi su Instagram). Instagram è una piattaforma a base visiva, ideata da Kevin Systrom e Mike Krieger, che permette di scattare foto, applicarvi filtri e condividere. L’app viene lanciata alla fine del 2010 solo per i dispositivi Apple e in due mesi arriva ad un milione di utenti. Nel 2011 vengono inseriti gli hashtag che la caratterizzano (per “categorializzare” le immagini e ricercarle. Nel 2012 viene comprata da Mark Zuckerberg ed oggi è la terza piattaforma più utilizzata dopo Facebook e YouTube. La fascia di pubblico qui è inferiore rispetto alle altre piattaforme social, infatti, va dai 18 ai 34 anni in media (Facebook in media dai 25 ai 44 anni, seguita da vicino da quella 45-64). È un bene che un museo utilizzi Instagram proprio perché la fascia dei giovani che la utilizzano di più sono anche quelli che frequentano di meno i musei ed è il pubblico più difficile da raggiungere. Avendo poi una base visiva, si presta molto bene a una comunicazione museale. La homepage è caratterizzata da un flusso di contenuti (feed), costituito da immagini in continuo aggiornamento. Quando un’istituzione decide di iscriversi a Instagram deve aprire un profilo base per poi passare al profilo business passaggio fondamentale perché il profilo aziendale consente di accedere alle statistiche (genere, fascia anagrafica, localizzazione e orario di maggiore attività sulla piattaforma), creare inserzioni per promuovere un contenuto e inserire le informazioni di contatto. Nel profilo va poi inserita la foto (logo), che permette di identificare l’istituzione, il nome 21 e una breve bio che sintetizzi in poche parole quello che l’istituzione rappresenta o vuole dire, ciò che la rende diversa dalle altre istituzioni, tramite un motto aderente alla mission, ma senza perdere di vista la creatività. A seconda della lingua che si decide di privilegiare nella comunicazione si può scrivere in lingua originale, in inglese o in entrambe. - Es. Bio del British Museum di Londra: “A museum of the world, for the world”, seguito da “Explore 2 million years of human history” Va poi compilato il campo “Sito web” unico spazio su Instagram che consente di inserire link in uscita (ora anche tramite stories). Su Instagram bisogna lavorare con foto di qualità nel caso non fossero disponibili bisogna provvedere a una campagna ad hoc. Anche qui serve un piano di comunicazione chiaro, integrato con il piano complessivo, con obiettivi specifici da raggiungere. Per quanto riguarda il testo vi sono due scuole di pensiero: la prima sostiene che il testo che accompagna l’immagine debba essere una semplice caption, ovvero un titolo, o nel caso dei musei una didascalia; la seconda sostiene che all’immagine si possa accompagnare un testo di approfondimento, in quanto narrare quello che si sta mostrando può essere un ulteriore modo per “catturare” possibili visitatori. Ciò che non deve mai mancare all’immagine sia nel caso del titolo che del testo più lungo, sono gli hashtag. L’hashtag può essere paragonato a un’etichetta, che inserisce l’immagine in canali tematici si può definire come uno strumento utile alla classificazione. Gli hashtag devono essere coerenti con il contenuto a cui li si associa e devono permettere di contestualizzare l’immagine per migliorare la performance del contenuto. Secondo uno studio (Sure Payroll, 2016), pubblicare un contenuto su Instagram accompagnato da 11 o più hashtag (per un massimo di 30) permette di avere un tasso più alto di interazioni. Esistono hashtag molto popolari nel settore (#art) che contribuiscono a dare visibilità al contenuto (anche se molto breve). È possibile anche taggare determinate persone e/o istituzioni che possono essere interessate al contenuto. Per i musei un tag e un hashtag da inserire nella pubblicazione sono @museitaliani e #museitaliani, profilo gestito dal Ministero con l’intento di aggregare le immagini scattate nei musei nazionali. Anche su Instagram è importante rispondere ai commenti: spesso si tratta di persone che chiedono informazioni, altre volte interventi per sottolineare il gradimento di un’immagine. Rispetto a Facebook e Twitter, non compare un tasto per la condivisione, ma per l’istituzione tuttavia, può essere importante lavorare sulle immagini in cui viene taggato il museo per accrescere il dialogo con la community regram, ossia inoltrare l’immagine di un follower (utilizzando app terze, oppure realizzare uno screenshot, ricordando sempre di riconoscere la paternità della foto e ringraziare l’autore. Ricondividere le foto dei visitatori contribuisce ad incrementare l’interazione con gli stessi e a non essere percepiti solo come una vetrina di immagini. Gli utenti che condividono sui propri profili personali immagini dell’istituzione contribuiscono a diffonderne la conoscenza, generando curiosità negli altri questo elemento di diffusione lo rende un potente strumento di marketing. Esistono poi le “Storie”: immagini o video, su cui è possibile applicare testo, adesivi, musica, ecc., che rimangono online per 24 ore. Si tratta di un modo informale per raccontare le attvità dell’istituzione I musei di grande seguito su Instagram statunitensi: - Il MOMA ha 5,6 milioni di followers - Il Met ha più di 4 milioni di followers, ma con più engagement rispetto ai post del MOMA, forse perché i capolavori del Met sono universalmente più conosciuti. In Europa: 22 Anche Twitter ha i suoi analytics, cui è possibile accedere dal logo del profilo in alto a dx. la home page si apre con una panoramica sulle ultime quattro settimane, che consente di percepire l’andamento dell’account con il numero dei tweet pubblicati e dei nuovi follower, le visite al profilo e il totale delle visualizzazioni. Compare poi il tweet che ha avuto più successo in base al numero di visualizzazioni e il tweet più popolare in cui l’istituzione è stata menzionata. Alla voce “Tweet” si accede all’analisi su ogni tweet inviato, con numero di visualizzazioni, interazioni e tasso di interazione, permettendo di capire gli argomenti che attirano più attenzione. Qui l’engagement può essere misurato in termini di retweet, risposte e “mi piace”. In “Segmenti di pubblico”, si ha l’accesso ai dati demografici relativi ai follower: età, genere e la sezione “Stile di vita” in cui si possono reperire importanti informazioni sugli interessi dei followers. YouTube È la piattaforma per la condivisione e visualizzazione di video creata nel 2005 e acquistata da Google nel 2006 ed è la seconda pi utilizzata al mondo dopo Facebook. Metà degli utenti fruisce ù̀ dei contenuti video da dispositivo mobile con una media di 40 minuti per sessione e ogni minuto vi vengono caricate circa 400 ore di video. Il primo video di 18 secondi viene caricato nel 2005, dal 2007 il sito è disponibile anche in italiano. In Italia YouTube è la piattaforma più popolare, battendo di poco Facebook (interesse degli italiani per i video). Pensata per ospitare i video realizzati da chi li carica, YouTube consente di condividerli anche su altri siti web e viene considerata una piattaforma social perché gli utenti possono votare e commentare. È possibile, per un singolo ma anche istituzione culturale, accedere alla piattaforma aprendo un proprio canale che permette, oltre alla visualizzazione, anche la produzione e la messa in rete di video. Quando si decide di caricare un video, la piattaforma consente di includere una serie di informazioni di base per catalogare e descrivere i contenuti: titolo (deve essere chiaro e sintetico per essere rintracciato più facilmente), tag e impostazioni relative alla privacy. Si può anche personalizzare la pagina del canale YouTube. Un music store permette di aggiungere musica ai video e un servizio di sottotitolazioni per rendere più accessibili i contenuti. Cercando un qualsiasi canale YouTube di un’istituzione culturale, si accede alla home page da cui si possono compiere diverse azioni, dalla consultazione delle informazioni, di tutti i video e le playlist, alla possibilità di iscriversi al canale. Le potenzialità di questo social per un museo sono tante ma quasi mai sfruttate. Il canale è certamente un archivio in cui caricare i video che l’istituzione possiede, ma è soprattutto una piattaforma da inserire nel piano strategico complessivo di comunicazione e che quindi richiede la creazione di contenuti appositi, con il tone of voice dell’istituzione e con il linguaggio indiretto e informale della piattaforma. Esempio di contenuti per YouTube: interviste ai curatori, dietro le quinte, video del restauro, “pillole” sulla storia del museo. o Il British museum è autore della serie “Curator’s Corner” dove gli addetti ai lavori raccontano la storia di un’opera da loro scelta, unendo divulgazione e intrattenimento in modo informale. A questi si aggiungono i video a puntate sul restauro dei reperti. o Il MET è autore della serie #Metkids in cui l’arte viene spiegata ai bambini con più di 80 video, che descrivono in che modo si realizzano le opere o come di narra una storia in digitale con Pur Words, Our Stories: Digital Storytelling Lab. 25 o Il museo del Prado ha moltissimi contenuti, con video sulle mostre temporanee, i restauri, gli allestimenti e la serie Obras de arte comentadas, 120 video in cui gli addetti ai lavori (conservatori, restauratori, ecc.) raccontano le opere. Anche YouTube ha gli strumenti di analitycs, cui si accede dal proprio canale cliccando sul numero complessivo di visualizzazioni. Le metriche che la piattaforma mette a disposizione sono relative a tempo di visualizzazione di un video, durata media di visione, visualizzazioni, numero di “Mi piace” e di “Non mi piace”, commenti, condivisioni e iscritti. Per ognuno di questi campi viene indicato se si registra un incremento o decremento rispetto ai 28 giorni precedenti. Vi è poi la possibilità di conoscere dati demografici relativi ai followers. 3.3 I feedback: in ascolto dei propri visitatori Il limite di insight ed analytics è che tutte le metriche si basano su elementi quantitativi (numero di follower e interazioni). Sono dati che aiutano a capire il successo di un contenuto ma non aiutano a comprendere la reazione cognitiva del pubblico. Sono state realizzate diversi software per analizzare tali effetti, ma l’interpretazione umana è ancora fondamentale. La misurazione della reputazione online è essenziale, in quanto il concetto di reputazione si forma grazie alle azioni che compiamo e a come esse vengono percepite. Avere una buona reputazione significa piacere al pubblico. Avere una buona reputazione vuol dire piacere al proprio pubblico, ottenere feedback positivi, per i contenuti che si producono, innescare un processo virtuoso secondo il quale la rete parlerà bene dell’istituzione, rispondere alle aspettative delle propria community creando contenuti di valore. Per analizzare la reputazione di un’istituzione culturale non bastano i numeri tout court, è necessario lavorare alla lettura dei feedback (non solo sul profilo dell’istituzione, ma anche in altri contesti, come forum, gruppi, ecc.). Dalla rete si può conoscere l’impatto delle strategie di comunicazione che è stata messa in atto, come si muovono i competitor e analizzare il contesto di riferimento, come si parla dell’istituzione e delle attività che essa propone (voce che copre sia l’aspetto digitale che analogico). Le conversazioni in rete spesso non si basano esclusivamente su quanto accade nel web, ma sempre più spesso sono centrate sull’esperienza reale di visita. È sul racconto di esperienza reale che si basa Trip Advisor. Questa piattaforma nasce nel 2000 (idea di Stephen Kaufer) per trasformare i viaggiatori in elargitori di consigli per altri viaggiatori con recensioni e consigli. Negli ultimi anni su Trip Advisor si utilizza lo stesso servizio anche per attrazioni e musei. È importante che i musei lo sappiano e che utilizzino questi dati come indicatori di gradimento. 4. Nuove aperture 4.1 Il museo fra on site e online Le soluzioni on site sono tante e molte sono ancora in via di sperimentazione. Non è la tecnologia a decretare l’innovazione del museo ma la politica culturale complessiva con una corretta strategia comunicativa. È opportuno non sperimentare tecnologie ancora poco testate, per il rischio di trovarsi ad operare mezzi che non rispondono alle nostre necessità. I sistemi devono essere intuitici, accessibili a tutti e non visti come una barriera o invasivi, in quanto l’opera e il visitatore devono rimanere due punti principali su cui focalizzare l’attenzione. Non sono le tecnologie a fornire l’effetto sorpresa, ma quello che l’opera riesce a raccontare coinvolgimento il visitatore. L’uso delle tecnologie presuppone anche la loro manutenzione: avere tecnologie non funzionanti rappresenta un disvalore maggiore rispetto a non averle. Questi prodotti possono diventare presto obsolescenti, sia per i mancati aggiornamenti hardware sia per l’evoluzione della tecnologia. Per 26 risolvere questi problemi bisogna lavorare correttamente alla stesura di bandi (che devono sempre prevedere la manutenzione e smaltimento) e prevedere la formazione del personale. Per l’uso delle tecnologie nel percorso espositivo, sarebbe opportuno elaborare una strategia comunicativa che preveda l’investimento in prodotti diversi a seconda della tipologia di utente e al luogo per cui vengono ideati: quelli posti in prossimità delle opere dovrebbero essere agili, veloci e a bassa interazione per non “disturbare” la fruizione. È poi necessario cercare un diverso modello comunicativo multimediale che sperimenti differenti in base all’oggetto esposto, tenendo conto del fatto che non esiste un visitatore ideale, ma esiste la realtà concreta di un pubblico differenziate. Per l’accrescimento della conoscenza online è quindi ormai un requisito fondamentale avere una presenza in rete costante, e il punto di partenza rimane comunque il sito web. Solo in secondo momento di potrà programmare la presenza sui social. Quest’ultimi vanno considerati come opportunità di marketing e come opportunità di crescita per rafforzare l’identità di un museo. 4.2 La trasformazione del museo: un’ultima riflessione In questo momento di grandi trasformazioni sociali, economiche e culturali le tecnologie e il digitale hanno un impatto enorme. Investire sulla trasformazione tecnologica di un museo vuol dire entrare nel flusso di cambiamento della società e sarebbe anacronistico e controproducente non farlo. Non si può più parlare di museo fisico e museo digitale come due cose diverse, in quanto si tratta di due facce della stessa medaglia. Bisogna lavorare quotidianamente alla comunicazione online e impegnarsi nella digitalizzazione delle collezioni e nello sviluppo di sistemi multimediali che consentano di migliorare la fruizione interna delle opere, garantendo la maggiore accessibilità possibile. Per avviare la trasformazione tecnologica e digitale in un museo è essenziale che: - Il direttore comprenda la necessità del cambiamento e individui figure professionali specifiche, con competenze particolari d’aiuto nel governarlo - Le persone scelte abbiano la capacità di coinvolgere l’intero staff del museo nel processo di cambiamento, senza imposizioni ma con il dialogo - Ogni addetto ai lavori deve prendere coscienza del cambiamento e farlo proprio, in modo che all’interno dell’istituzione si lavori con lo stesso obiettivo da perseguire: la valorizzazione inclusiva del museo - Le figure professionali che si occupano della trasformazione tecnologica e digitale in un museo posseggano, una grande conoscenza delle collezioni e della storia dell’istituzione; siano flessibili e capaci di prevedere e affrontare “crisi” (online e offline); posseggano una grande conoscenza degli strumenti che si utilizzano e sappiano adeguare la comunicazione a ogni mezzo; sappiano monitorare costantemente i dati per effettuare gli aggiustamenti necessari; abbiano una visione ampia per interpretare i cambiamenti e la voglia di continuare a studiare ogni giorno per stare dietro alle veloci evoluzioni del digitale. Va superata in modo definitivo la paura che il digitale possa allontanare dal reale. La trasformazione digitale e tecnologica ci dota di strumenti che dobbiamo comprendere e utilizzarli per portare il museo nel mondo contemporaneo e creare un dialogo fra museo e visitatore, reale, virtuale o potenziale. 27