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Riassunto "Nozioni di Diritto della Previdenza Sociale" - Ferrante + Schemi, Dispense di Diritto della Previdenza Sociale

Riassunto del libro di testo "nozioni di diritto della previdenza sociale", autori: Ferrante, Tranquillo + Schemi finali sugli argomenti principali. materia: diritto della previdenza sociale (corso A), Giurisprudenza, università Cattolica

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 23/02/2022

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Scarica Riassunto "Nozioni di Diritto della Previdenza Sociale" - Ferrante + Schemi e più Dispense in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! AT 1 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Nozioni di Diritto della Previdenza Sociale di Vincenzo Ferrante e Tullio Tarquillo CAP. I - Storia e Fondamento della Previdenza Sociale A seguito del sopraggiungere dell’industrializzazione i lavoratori iniziarono a istituire le prime società di mutuo soccorso: si trattava di formazioni sociali locali (es. società di mutuo soccorso per i marittimi di una città portuale). Questi rinunciavano volontariamente ad una parte del proprio guadagno al fine di costituire un fondo comune dal quale poter attingere quando si necessitasse di un capitale o di una rendita in caso di inabilità o di vecchiaia e talvolta anche una tantum a favore dei superstiti in caso di morte/malattia di un associato. Questo sistema mutualistico si diffuse rapidamente, tuttavia mostrò i suoi limiti dovuti all’assenza di una precisa correlazione attuariale tra gli importi accantonati e quanto necessario per fronteggerei le richieste degli aventi diritto (-> matematica attuariale = studia la probabilità che un certo fatto accada; è la matematica posta a fondamento delle assicurazioni). Inizialmente si discuteva se la responsabilità dell’imprenditore avesse natura aquilana o contrattuale; distinzione di fondamentale importanza per stabilire su chi ricade l’onere della prova. - r. Contrattuale; è sufficiente che il lavoratore provi l’infortunio - r. Aquilana; è necessario provare sia il fatto dannoso, sia la colpa del datore Con l’introduzione dell’art. 2087 cc si stabilisce che la responsabilità dell’imprenditore è dotata sia di natura contrattuale che extracontrattuale (= aquilana). << l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro >> Sull’esempio della legislazione tedesca fu con la l.80 17.3.1898 contro gli infortuni sul lavoro nell’industria sorge sugli imprenditori l’obbligo di assicurarsi contro i rischi derivanti dall’esercizio dell’impresa. Ciò al fine di non incorrere nell’impossibilità che il lavoratore-infortunato non riceva alcun risarcimento (es. perché l’imprenditore si trovi sprovvisto del patrimonio). Tuttavia, tale assicurazione risarciva solo un indennizzo calcolato sulla base della retribuzione percepita in via ordinaria dal lavoratore, senza che il danno ulteriore potesse trovare risarcimento; in questo modo però si garantiva una facile quantificazione degli importi dovuti. Questo modello assicurativo venne esteso anche ad altre vicende che mettevano in pericolo il lavoratore; sorsero: - le assicurazioni sociali contro il rischio della perdita di capacità lavorativa conseguente a maternità (1910) - le assicurazioni sociali contro gli infortuni nel settore agricolo (1917) - le assicurazioni sociali contro disoccupazione involontaria (1919) Tra le norme dedicate alla previdenza e all’assistenza obbligatoria spicca l’art. 2116 cc, principio di automaticità, le prestazioni sociali sono dovute anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti. Nell’assicurazione contro gli infortuni il sistema si basa sul meccanismo attuariale; si ripartisce il rischio dell’indennizzo tra tutti gli assicurati sulla base dell’ammontare complessivo dei premi raccolti annualmente. La misura dei premi è stabilita con atto ministeriale secondo classi di rischio differenziate in ragione della tipologia di attività svolta. AT 2 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Per quanto riguarda il sistema pensionistico, anch’esso si fonda sulla logica assicurativa: i lavoratori hanno diritto ad una pensione che è commisurata (a partire dalla riforma del 1995) alla quantità dei contributi versati in relazione alla speranza di vita. Si garantisce una pensione in misura sempre uguale nel tempo, anche qualora venga superata la speranza di vita media; tali spese vengono sostenute trattenendo i contributi versati e non consumati da coloro che vengono a mancare precocemente (= i contributi non consumati non vanno agli eredi del defunto ma restano acquisiti dal fondo). Con la codificazione della Costituzione (1948) l’assistenza sociale assume rilevanza costituzionale (art. 38). << ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera. >> Nell’ordinamento sono presenti anche prestazioni previdenziali NON correlate ai contributi versati, si possono fare gli esempi della pensione ai superstiti (= riconosciuta al coniuge e ai figli minori del lavoratore defunto), assegno sociale (= per i cittadini italiani e comunitari residenti in Italia che abbiano raggiunto un’età avanzata e che godano di un reddito esiguo, inferiore a certi limiti periodicamente fissati). Si deve distinguere tra sistema retributivo e sistema contributivo. Alle origini il quantum pensionistico veniva calcolato sulla base dei versamenti al netto delle spese di gestione dell’istituto previdenziale (= s. contributivo). A seguito della riforma del 1969 la pensione viene calcolata in via percentuale sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro dell’assicurato (= s. retributivo). Con il sistema retributivo, dunque, si faceva riferimento non tanto ai contributi versati, quanto al livello di reddito raggiunto. Mentre originariamente ogni lavoratore - a seguito del versamento dei contributi - precostituiva la copertura finanziaria delle prestazioni che avrebbe poi goduto al momento di andare in pensione [s. contributivo]; successivamente le prestazioni hanno trovato copertura economica in un diverso sistema che fa ricadere tale onere sulla popolazione attiva che versa i contributi [s. retributivo]: sono i lavoratori attivi di oggi che pagano le pensioni mediante i propri contributi, le pensioni dei lavoratori attivi di oggi saranno dunque soddisfatte dai contributi dei lavoratori attivi di domani. Tale meccanismo è stato definito: “patto di solidarietà intergenerazionale”. A seguito di un forte calo della natalità si è determinato un innalzamento dell’età media avendo sempre più anziani e sempre meno lavorati. Il legislatore ha dovuto abbandonare la pretesa di utilizzare come riferimento per determinare il quantum della pensione il livello retributivo di cui godeva il lavoratore prima del pensionamento, prendendo come base il montante dei contributi versati durante l’intera carriera lavorativa rapportandolo in relazione alla speranza di vita del soggetto. Il metodo contributivo, a partire dal 2011, è stato esteso a tutti i lavoratori subordinati (pubblici e privati). AT 5 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo La subordinazione ex art. 2094 cc riguarda il potere del datore di lavoro di poter organizzare a proprio piacimento la prestazione del lavoratore non soltanto in relazione al risultato, ma anche con riguardo alle modalità di raggiungimento dello stesso. La prestazione di lavoro è stata definita come quell’attività lavorativa destinata ad essere inserita in un’organizzazione sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo ed essere utilizzata secondo le direttive del datore. Il legislatore, mano a mano, ha progressivamente ampliato il numero dei soggetti protetti, prevedendo forme di tutela ormai per ogni figura di lavoratore, come meglio si dirà nei paragrafi che seguono, all’esito di più analitico esame dei tipi contrattuali tutelati. L’assicurazione previdenziale del lavoratore subordinato ricorre anche in caso di appalto / somministrazione di manodopera. L’appalto (1655 cc) è il contratto in base al quale un soggetto appaltatore assume con l’organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio l’obbligo nei confronti del committente del compimento di un’opera. Con “organizzazione dei mezzi necessari” si ricomprende anche la gestione organizzativa e direttiva dei lavoratori: i lavoratori sono coordinati dall’appaltatore e alle sue dipendenze. In caso manchino le suddette caratteristiche verrà in rilievo una mera somministrazione di manodopera (e non un appalto). La somministrazione di manodopera consiste in un rapporto tra tre soggetti: un’agenzia di somministrazione(1) fornisce i lavoratori(2) - presso la stessa assunti - alle imprese utilizzatrici(3) che ne facciano richiesta sulla base di un ‘contratto di somministrazione’. Il prestatore di lavoro è assicurato presso l’INPS quale lavoratore subordinato. In caso di appalto, sono tenuti al pagamento dei contributi sia il committente quanto l’appaltatore (in solido tra loro). La responsabilità solidale è prevista anche in caso di somministrazione di lavoro. Il contratto di lavoro in somministrazione può essere stipulato anche a tempo indeterminato. L’impresa è tenuta - per tutto il periodo di mancata assegnazione del lavoratore - al pagamento di un’indennità di disponibilità, sulla quale la contribuzione viene versata nella misura effettiva. Oggigiorno sono assicurati ai fini previdenziali anche altri soggetti NON rientranti nella categoria dei lavoratori subordinati, ma che comunque svolgono attività di carattere lavorativo. In caso di assenza di un datore di lavoro mutuo le disposizioni inerenti il versamento dei contributi. In rilievo il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (= co.co.co. / anche detti lavoratori para-subordinati) caratterizzato da una prestazione d’opera resa da un soggetto in assenza di una propria organizzazione d’impresa (= prevalentemente personale), ma che differentemente dal lavoro autonomo può essere richiesta anche da un solo committente al fine di inserirla all’interno di un ciclo produttivo. Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è priva di un controllo della controparte sul momento di esecuzione della prestazione lavorativa, venendo a costituire una sorta di sottospecie di lavoro autonomo, caratterizzata dalla stabile relazione che intercorre con l’organizzazione imprenditoriale del committente. - Lavoro autonomo Il contratto d’opera abbraccia tutte le ipotesi di lavoro autonomo, sia che si tratti di attività individuale, sia che si tratti di attività che porti in rilievo i tanti lavoratori dediti a professioni intellettuali per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione ad albi o ordini professionali. Per i lavoratori autonomi la tutela previdenziale conosce forme varie e differenti. AT 6 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo I lavoratori autonomi tenuti a iscriversi ad un apposito albo professionale sono assicurati presso appositi enti di settore (distinti dall’INPS) governanti dagli stessi professionisti. Sono esonerati dall’obbligo solo coloro che svolgono attività lavorativa autonoma puramente occasionale, se il reddito annuo non sia superiore a 5000€. - Lavoro del socio di impresa cooperativa Nelle imprese aventi natura cooperativa si verificava una mancanza della figura del datore di lavoro in senso stretto in quanto in caso di prestazione resa nei confronti della società non sembrava sussistere una rapporto di subordinazione ex art. 2094 cc in quanto si riteneva che la prestazione lavorativa venisse resa in esecuzione del vincolo sociale. Oggigiorno sussiste un obbligo contributivo nei confronti dei soci lavoratori, secondo il tipo di lavoro (subordinato/autonomo) realizzato senza possibilità di distinguere tra lavori assunti dalla società per conto di terzi e lavori rientranti nello scopo mutualistico. Con il d.lgs. 423/2001 - a partire da gennaio 2007 - sono state soppresse le disposizioni di legge che stabilivano, a beneficio delle società, un salario convenzionale di importo minimo; l’intero settore cooperativo è stato equiparato alle altre imprese. Al fine di ridurre il contenzioso relativo la qualificazione del rapporto, il d.lgs. 276/2003 artt. 75 ss., contempla la possibilità di certificare i contratti di lavoro ad opera di apposite commissioni. Le parti possono richiedere la certificazione della natura subordinata del rapporto ai fini previdenziali; tale certificazione ha effetto anche verso i terzi (es. ist. previdenziali). In caso di erronea qualificazione del rapporto, previo tentativo di conciliazione extra-processuale, è possibile far ricorso al giudice del lavoro. Tale sentenza è dotata di efficacia ex tunc (= retroattiva). L’effetto della certificazione consiste nella nullità di qualsiasi atto che presupponga una qualificazione del rapporto diversa rispetto quella certificata. Tale istituto ha tuttavia trovato una ridotta applicazione pratica. Si deve inoltre aggiungere che piena parificazione è garantita ai lavoratori, indipendentemente da sesso, età, nazionalità sia in materia di “rapporto di lavoro”, sia “previdenziale”. Tale principio (= divieto di discriminazioni) trova fondamento tanto nel diritto costituzionale (art. 3), quanto nel diritto europeo (art. 21 Carta di Nizza). Un ulteriore disposizione cardine è dettata dall’art. 37 Cost.: << la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano ai lavoratori. >> Tutti i testi normativi emanati nel tempo sono stati poi raccolti nel d.lgs. 198/2006 denominato “codice delle pari opportunità tra uomo e donna”. Ai fini previdenziali rilevano gli artt. 30 e 30bis. art. 30 d.lgs. 198/2006 c.3 riguarda le maggiorazioni delle pensioni, gli assegni familiari e le aggiunte di famiglia; quest’ultime si differenziano dagli assegni familiari in quanto competono solo ai dipendenti pubblici. Oggigiorno la lavoratrice subordinata - anche se sposata, sia con un lavoratore autonomo, sia subordinato - può percepire gli assegni familiari. I commi 4 e 5 dell’art. 30 si occupano dei trattamenti ai superstiti parificando le situazioni indifferentemente dal sesso; in passato la pensione di reversibilità era riconosciuta senza limiti alla moglie vedova, mentre il marito superstite aveva diritto a percepirla solo se invalido in misura superiore al 66%. Anche nel caso di superstite determinato a causa di infortunio sul lavoro, sono state estese le stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore. AT 7 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Punto di maggior interesse riguarda l’età di accesso alla pensione, che in numerosi regimi è stata spesso fissata in misura inferiore per le donne; l’art. 30 d.lgs. 198/2006 sancisce espressamente che le donne lavoratrici hanno diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini” (è stata dunque prolungata l’età pensionabile delle donne). La Corte Costituzionale nel 1966 ha dichiarato l’illegittimità della disposizione della legge sui licenziamenti dove consentiva il licenziamento della donna lavoratrice al compimento dell’età utile per il conseguimento della pensione di vecchiaia. Il licenziamento della donna che ancora non abbia raggiunto l’età massima pensionabile prevista per l’uomo è da considerarsi discriminatoria. Anche il diverso trattamento inerente l’età pensionabile, diversificata tra uomo e donna, è stata dichiarata dalla Corte illegittima in quanto viola i principi di parità di trattamento. La minore età pensionabile delle donne è destinata ad essere completamente eliminata a partire dal 1 Gen 2021. La Costituzione prevede già un divieto di discriminazione per età rivolto a evitare che ai minori vengano applicate condizioni deteriori per la retribuzione. Tale divieto è venuto in rilievo nella giurisprudenza al fine di correggere quelle norme della contrattazione collettiva che definivano inquadramenti differenziati in relazione all’età. Si sono ritenute illegittime le previsioni di “salari d’ingresso”, se non nel caso dei contratti con finalità formative che garantiscono al giovane un trattamento formativo, utile a fini della determinazione del complessivo trattamento retributivo. Il contratto di apprendistato - che prevede robusti sgravi a beneficio del datore - non danneggia il giovane in quanto vede riconosciuta un’integrazione contributiva a carico dell’INPS degli interventi assistenziali e di sostegno. In materia di previdenza sociale vige il principio di territorialità: venendo in rilievo norme di diritto pubblico, la loro applicazione è cogente con riguardo a tutti i soggetti che prestano lavoro subordinato in Italia, salvo alcune eccezioni (-> personale dirigente delle ambasciate straniere). Ai lavoratori stranieri soggiornanti in Italia si applica la normativa italiana: anche per essi si provvede al versamento dei contributi presso INPS. I lavoratori stranieri extra-Ue hanno diritto a maturare la pensione al compimento del 65° anno d’età; tuttavia, la pensione viene erogata solo se tempestivamente richiesta, spesso accade che i contributi rimangano nella disponibilità dell’INPS. Esiste una limitazione al principio di parità di trattamento previsto in generale per le assicurazioni sociali, tale regola trova fondamento nella più antica disciplina dell’OIL (del 1939 e riveduta del 1949): si ancorava la materia assistenziale-previdenziale ai soli stranieri che avessero un determinato radicamento sociale valutato in termini di durata di residenza nel paese.; la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha però inteso dilatare il generale precetto di eguaglianza, cancellando tali differenze. Anche la Corte Costituzionale italiana ha dichiarato l’incostituzionalità di tali norme che richiedevano la residenza pluriennale al fine di poter accedere ai suddetti servizi. AT 10 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo pensione sia 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale [assegno sociale anno 2021 = 460,28€ x 13mensilità]. Il d.l. 4/2019 [Quota 100] ha previsto la possibilità di accedere al pensionamento con 38anni di contributi (rispetto i 42 della pensione anticipata) e a 62 anni, maturando il diritto al trattamento solo al termine di un periodo di 3 (settore privato) o 6 mesi (settore pubblico). Fu a partire dalla fine degli anni ’50 che il legislatore inizia a estendere la tutela pensionistica anche ai soggetti che svolgevano attività di lavoro NON subordinato. Furono istituite delle gestioni speciali per i commercianti, artigiani, coltivatori diretti e altri lavoratori a questi assimilati. Si trattava di fare corretta applicazione del precetto costituzionale contenuto nell’art. 35 Cost. che tutela il lavoro indipendentemente dalla specifica forma che assume il rapporto contrattuale. Le imprese, al fine di aggirare i costi generati dal lavoro subordinato, adottavano la forma delle “collaborazioni”. A tali situazioni il legislatore pose un rimedio istituendo nel 1995 presso l’INPS l’ennesima (quarta) gestione speciale presso la quale si raccoglievano sia i lavoratori autonomi privi di disciplina contributiva, sia quanti fossero assunti con il co.co.co. (= contratto di collaborazione coordinata e continuativa). Con le successive riforme la disciplina dei soggetti iscritti a questa gestione speciale fu oggetto di un progressivo innalzamento delle percentuali contributive, inoltre venne estesa alcune tutele già presenti per i lavoratori subordinati anche ai lavoratori parasubordinati. In conclusione, presso l’INPS furono costituite 3 gestioni speciali: - IVS, assicurazione di invalidità, vecchiaia e per i superstiti - per i lavoratori NON subordinati (= artigiani, commercianti, coltivatori, coloni, ecc..) - più recentemente è stata istituita la terza gestione speciale (nonché 4°gestione) avente carattere residuale idonea a comprendere tutte quelle figure professionali prive di una collocazione. - Lavoratori agricoli, commercianti, artigiani L’istituzione della gestione speciale presso la quale sono iscritti i coltivatori diretti, i coloni, i mezzadri e gli imprenditori agricoli professionali è stata istituita nel 1957 con la l.1947/1957. Per “attività agricola” dev’essere inteso NON solo la coltivazione del fondo ma anche la silvicoltura, l’allevamento di bestiame, la pesca, l’acquacoltura e tutte le attività ad esse connesse. Ulteriore gestione è stata istituita con la l.437/1959 al fine di permettere l’iscrizione anche agli artigiani e tutti i familiari dei medesimi che svolgono attività abituale e prevalente presso la stessa impresa artigiana. Alla gestione degli esercenti attività commerciali è stata, invece, istituita dalla l.613/1966; sono iscritti tutti coloro che esercitano attività commerciale, turistica o attività inerenti il settore terziario (oltre i familiari che svolgono presso la stessa attività abituale e prevalente). La riforma del 1995 [l.335/199] ha modificato il sistema di assicurazione introducendo anche per questi lavoratori il metodo contributivo. A seguito della riforma, la pensione di vecchiaia viene liquidata al raggiungimento dell’età pensionabile (66 anni da 1.1.2019) in presenza di un’anzianità contributiva di 20 anni; la pensione di anzianità spetta nell’ipotesi di un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi. - Liberi Professionisti Le leggi che regolano le singole professioni intellettuali prevedono, ai fini previdenziali, l’obbligo dell’iscrizione ad una cassa di categoria per quanti esercitino in via abituale la professione. AT 11 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo - Lavoratori iscritti alla 4° gestione La l.355/1995 ha previsto l’istituzione di una “apposita gestione separata presso INPS” per tutti coloro che: • svolgano attività di lavoro autonomo senza aver titolo per l’iscrizione ad alcuna delle casse previste per i liberi professionisti • i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e gli incaricati di vendita a domicilio L’assicurazione che ha carattere obbligatorio, si presenta come una forma di tutela per invalidità, vecchiaia e a favore dei superstiti (IVS) ed è regolata da un sistema contributivo, secondo disposizioni analoghe a quelle applicare ai soggetti di nuova iscrizione al regime dell’assicurazione generale obbligatoria. Il legislatore ha disposto che coloro che svolgono attività di lavoro autonomo / vendita a domicilio, siano obbligati all’iscrizione alle gestione separata ogni volta che il reddito annuo derivante da tali attività sia >5000€, ovvero (anche se l’importo è minore) l’impegnò complessivo superi le 30gg lavorative annue. - Lavoro Subordinato Flessibile Alcune disposizioni speciali regolano i trattamenti pensionistici a favore di lavoratori subordinati il cui contratto si distacchi dallo standard del “lavoro a tempo pieno e indeterminato”. L’art. 25 d.lgs. 81/2015 dispone l’applicazione di un principio di NON discriminazione per ogni trattamento in atto nell’impresa, con previsione che si applica anche per gli aspetti previdenziali. Più recentemente si è ritenuto di dover scoraggiare - a mezzo degli oneri contributivi - il ricorso a forme di lavoro precario: la Legge Fornero aveva introdotto una contribuzione aggiuntiva del 1,4% sull’imponibile contributivo di tutti i contratti a tempo determinato; importo ulteriormente incrementato di 0,5 punti percentuali (= 1,9%) in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato. Al fine di invogliare l’assunzione a tempo indeterminato, il contributo addizionale può essere recuperato in caso di successiva assunzione a tempo indeterminato del lavoratore. In merito al lavoro a tempo parziale, alcune speciali disposizioni hanno regolato la misura della contribuzione imponendo il rispetto degli importi giornalieri minimali. Tra i contratti “speciali” di lavoro devono menzionarsi: i contratti di lavoro a contenuto formativo (es. apprendistato). Si tratta di un rapporto speciale già regolato dal cc (2130 ss.) che si avvantaggia dal finanziamento ad aliquota contributiva ridotta, in particolare per le imprese con max 9 dipendenti. Verso lo stesso senso andava la disciplina del contratto di formazione e lavoro che stabiliva un’articolata serie di sgravi contributivi (per incoraggiare l’assunzione di giovani). - Lavoratori dipendenti da PA Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è stato lungamente disciplinato da una normativa diversa rispetto a quella applicata ai lavoratori del settore privato, non solo per quanto attiene agli aspetti previdenziali ma in relazione alle posizioni soggettive delle parti nella fase di esecuzione del rapporto. La parificazione dei requisiti previsti per il settore privato e pubblico è apparsa quanto mai necessaria, non solo ai fini della garanzia dell’equilibrio dei conti pubblici, ma anche per evidenti ragioni di equità. Nel caso di dimissioni, alle donne coniugate o con prole a carico spettava un aumento dell’anzianità di servizio fino a 5 anni. Tale disposizione ha fatto sì che molte lavoratrici potessero andare in pensione con solo 11 anni di attività effettivamente espletata (cd pensioni baby). AT 12 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Indipendentemente dai vantaggi legati alla maternità, poiché l’accredito dei contributi nel settore pubblico avveniva su base semestrale, al dipendente erano sufficienti 19anni, 6mesi 1 giorno di servizio effettivo per poter accedere al trattamento pensionistico. Per scoraggiare il ricorso a facili forme di pensionamento il legislatore inizialmente definì un correttivo in sede di calcolo della prestazione concretamente erogabile, escludendo parzialmente dalla base di calcolo della pensione l’indennità integrativa speciale, che costituiva una voce estremamente rilevante dell’intero stipendio. A partire dal 1° Gennaio 1996 si previde che il trattamento di fine servizio, comunque denominato, fosse regolato in base a quanto previsto dall’art. 2120 cc [disciplina TFR], affidando alla contrattazione collettiva il compito di disporre la progressiva omogeneizzazione dei due istituti, tenendo anche conto dell’esigenza di applicazione della disciplina sulla previdenza complementare. La disciplina della riforma del 1995 ha realizzato una parificazione totale tra il regime “dipendenti pubblici” e “dipendenti privati”, applicando anche ai primi il metodo contributivo per quanti fossero stati assunti successivamente alla data di entrare in vigore della riforma. La pensione di anzianità viene riconosciuta a parità di condizioni con i lavoratori privati, purché si sia in presenza di 42 anni di contribuzione e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, mentre nel caso di uscita con “quota 100” la durata della finestra è raddoppiata (da 3 a 6 mesi). Il recesso dal rapporto di lavoro è regolato diversamente dal settore privato, dove non esistono veri e propri limiti massimi di età (questi sono presenti nel settore pubblico). L’art. 72 d.l. 112/2008 consente ora unilateralmente al datore pubblico “con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati” e senza pregiudizio per l’erogazione dei servizi, di procedere al licenziamento con preavviso del lavoratore che abbia maturato il diritto a pensione anticipata. Il dipendente pubblico deve cessare dal servizio quando ha raggiunto una certa età anagrafica, oltre la quale non è più consentita la prosecuzione del rapporto di lavoro. Il rapporto di lavoro può proseguire oltre i 65 anni e sino all’età per la pensione di vecchiaia, SOLO nel caso in cui il lavoratore non abbia maturato il requisito contributivo necessario per l’accesso alla pensione di vecchiaia; in tale circostanza è prevista, in via eccezionale, la possibilità di permettere il proseguimento dell’impiego anche fino ai 70anni. Grosso nodo di ogni riforma del sistema pensionistico riguarda il problema del cumulo di redditi da lavoro (autonomo o dipendente) con le prestazioni pensionistiche. Essendo la pensione un rimedio a tutti coloro che si trovino nella condizione di non essere idonei a produrre un reddito, sorge il problema di regolarizzare la posizione di tutti colo che, pur in pensione, continuano a lavorare (irregolarmente) senza il versamento dei contributi. Dal 2001 i titolari di pensione di vecchiaia (liquidata con sistema contributivo) NON sono soggetti al divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo; solo a partire dal 2009 tale divieto è venuto meno anche con riguardo ai redditi da lavoro dipendente. Disposizioni limitative sono in vigore solo per quanti trasformano il lavoro da full time a part time, iniziando a godere di un trattamento anticipo per una quota pari alla riduzione operata ovvero (temporaneamente) per quanti abbiano accesso alla pensione quota 100. Nell’ambito del lavoro autonomo NON è richiesto al pensionato di interrompere la propria attività neanche per un momento: la stessa regola si applica anche al lavoro subordinato a fronte del venire meno del divieto di cumulo. L’attività di lavoro subordinato svolta dal pensionato viene assoggettata alla medesima contribuzione prevista per tutti gli altri lavoratori in forza dei contributi versati destinato ad aggiungersi al trattamento previdenziale già in godimento. Da ricordare la pensione supplementare che spetta ai titolari di trattamenti pensionistici quando possono far valere dei contributi nei confronti dell’INPS in misura insufficiente per il sorgere del diritto alla pensione di vecchiaia. AT 15 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo • In mancanza delle persone suddette, la pensione di reversibilità spetta ai genitori dell’assicurato che abbiano compiuto i 65 anni e NON godano di trattamenti pensionistici; in mancanza di questi ultimi i fratelli celibi e le sorelle nubili sempre se inabili e a carico dell’assicurato-defunto. Con l’istituto della perequazione automatica, il legislatore ha inteso far fronte alla diminuzione del reale potere d’acquisto delle pensioni, conseguente agli aumenti del costo della vita sopravvenuti al momento della loro liquidazione. Istituto introdotto con la l.153/1969, nel corso del tempo ha conosciuto diverse modalità di applicazione. - Fino al 28.2.1986 l’aumento avveniva secondo il criterio del punto unico: tutte le pensioni, a prescindere dall’ammontare, venivano aumentate di una cifra fissa uguale per tutti in relazione ad ogni punto di contingenza. - la l.41/1986 stabilì una perequazione semestrale (1 Maggio / 1 Novembre di ogni anno) che operava tramite la variazione percentuale semestrale della scala mobile dei lavoratori dell’industria; percentuale applicata per l’intero sulle quote di pensione NON eccedenti il doppio del trattamento minimo; per il 90% per pensioni di importi compresi tra doppio e triplo; 75% per le pensioni oltre il triplo. - con il d.lgs. 503/1992 l’istituto è tornato a cadenza annuale (ogni 1° Novembre), tuttavia l’aumento è calcolato sull’effettivo incremento del costo della vita, e non più sul tasso d’inflazione. La cd. Integrazione al trattamento minimo altro non è che l’integrazione, fino un certo ammontare, automaticamente disposta con riguardo ai trattamenti pensionistici che, calcolati in base alle modalità più sopra esaminate, risultino di importo inferiore al detto ammontare minimo. Tale prestazione (oggi > 513,01€/mese) NON è più prevista a beneficio delle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo in virtù dell’art. 1 c.16 l.335/1995. L’assegno sociale (pensione a tutti gli effetti) costituisce attuazione dell’art. 38 Cost. [= diritto all’assistenza e al mantenimento sociale], concretizzandosi in un trattamento avente natura strettamente assistenziale, riconosciuto in caso di bisogno al singolo, indipendentemente da ogni requisito contributivo. L’assegno sociale è erogato da un ente distinto dall’INPS, ovvero: il GIAS “Gestione degli Interventi Assistenziali e di Sostegno alle gestioni previdenziali”; istituto è finanziato direttamente dallo Stato. Il diritto all’assegno sociale spetta ai cittadini italiani residenti in Italia che hanno compiuto i 67 anni: il venir meno della residenza comporta la revoca del diritto. Analogo diritto spetta ai residenti di San Marino o comunitari che abbiano svolto attività lavorativa in Italia; ai rifugiati politici residenti in Italia; ai cittadini extracomunitari che hanno ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo. L’erogazione della prestazione è subordinata alla condizione che l’interessato non sia titolare di reddito alcuno ovvero lo sia per un ammontare inferiore a quello della pensione sociale. La prestazione ha carattere provvisorio, è esente da imposizione tributaria e NON è reversibile, né cedibile / sequestrabile o pignorabile. Per armonizzare le discipline degli ordinamenti europei in materia di previdenza sociale sono stati emanati appositi regolamenti comunitari, i cui principi fondamentali: - Parità di trattamento tra lavoratori dei paesi comunitari Ue - Assoggettamento del lavoratore alla legislazione previdenziale dello Stato presso cui lavora, quindi non solo lo Stato in cui c’è la sede principale dell’impresa datrice ove è assunto - Possibilità di cumulare (non sovrapporre) i periodi contributivi ovunque localizzati nell’Ue AT 16 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo In merito a questo punto è comunque necessario un certo numero di contributi (es. 20anni per pensione di vecchiaia); il principio della cumulabilità significa che il minimo contributivo NON dev’essere raggiunto interamente in uno stato, ma cumulando i periodi trascorsi nei vari paesi Ue. Non possono considerarsi distintamente periodi contributivi temporalmente coincidenti, pertanto la doppia contribuzione NON rileva ai fini della maturazione del diritto bensì rileva ai fini dell’importo. L’INPS NON dovrà sobbarcarsi l’intero onere economico della quota ma opererà pro quota; l’INPS calcolerà l’importo teorico della prestazione alla quale l’interessa avrebbe diritto se tutti i periodi di contribuzione compiuti sotto i diversi stati fossero stati compiuti in Italia e successivamente ripartirà l’importo tra tutti gli Stati presso i quali il pensionato ha versato contributi. L’assicurato NON dovrà inoltrare la domanda a ciascun istituto previdenziale presente in ogni stato, sarà sufficiente fare richiesta presso l’INPS indicando i vari anni di contribuzione presso i vari Stati. Presso i paesi extra-Ue la tutela previdenziale del lavoratore italiano all’estero è regolata da apposite convenzioni bilaterali, la cui disciplina è sostanzialmente analoga a quella prevista per i paesi dell’Unione. Cosa succede quanto manca un accordo internazionale? Si tratta del caso del “lavoratore italiano all’estero per contro di un’impresa italiana” che presta lavoro all’interno di uno Stato extra-Ue con il quale l’Italia non ha statuito alcun accordo internazionale in materia di assistenza previdenziale. La Corte Costituzione riconosce al cittadino la tutela della prestazione pensionistica in virtù dell’art. 35 cost. che “garantisce la tutela del lavoro italiano all’estero”. Tornando sul metodo di calcolo delle pensioni. Per quanto riguarda i contributi versati: - Fino al 31/12/1995 si deve applicare il metodo retributivo. - Dal 1/1/1996 ex d.l.335/1995, si applica il metodo contributivo per tutti i contributi successivi tale data; per i contributi precedenti al 1/1/1996 si fa una duplice distinzione. a. Per i lavoratori che abbiano versato meno di 18 anni di contributi si applica il metodo contributivo b. Per i lavoratori che abbiano versato almeno 18 anni di contributi si continua ad applicare il metodo retributivo - Dal 1/1/2012 ex d.l.214/2011 [riforma Fornero], si applica per tutti i contributi di nuova maturazione il metodo contributivo. Per coloro che prima della riforma del ’96 avessero almeno 18 anni di contributi si utilizza il calcolo “pro quota”. In sintesi: [Opz. A] Fino 31/12/1995 → solo metodo retributivo [Opz. B] Dopo 1/1/1996, SE → [b.1] al 31/12/1995 + 18 anni di contributi = solo metodo retributivo → [b.2] al 31/12/1996 – 18 anni di contribuiti = solo metodo contributivo [Opz. C] Dopo 1/1/2012 → solo metodo contributivo SE, in presenza di [b.2], → calcolo pro quota = metodo retributivo per tutti i contributi fino al 31/12/2011 + metodo contributivo per tutti i contributi a partire dal 1/1/2012. AT 17 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo CAP. 3 - Le prestazioni: (Parte II) interventi di sostegno al reddito e a tutela del lavoro Già negli anni immediatamente successivi la legge 355/1995 emerse chiaramente il profondo legame che univa questo intervento normativo alla regolamentazione della disciplina del lavoro subordinato. L’invecchiamento della popolazione e il contestuale ridotto tasso di natalità fanno sì che il sistema di previdenza si mantenga sempre sull’orlo di un pericoloso crinale: l’INPS a differenza dei fondi di previdenza complementare non gode di accantonamenti patrimoniali, di modo che il pagamento delle pensioni avviene utilizzando le somme che l’Istituto ritrae mensilmente dal pagamento dei contributi. L’equilibrio economico del sistema pensionistico rimane fragile in quanto basta una riduzione del gettito contributivo per metterlo in crisi. Pertanto, il legislatore ha mirato a rendere più stabile il sistema pensionistico attraverso provvedimenti che mirano all’ampliamento della popolazione attiva comportante dunque un incremento del gettito contributivo. Nella stessa direzione si è mossa anche l’Ue, imponendo a tutti gli Stati membri un’azione di contrasto alla disoccupazione. Il principale obiettivo perseguito del legislatore negli anni successivi alla riforma del 1995 è consistito nel fare in modo che al finanziamento del sistema previdenziale partecipasse una base quanto più ampia possibile di lavoratori tra i 15 e i 64 anni. In primis si è tentato di far emergere il “lavoro in nero” attraverso programmi di regolarizzazione graduale e successivamente abbandonati in favore dell’intensificazione dei controlli. Per quanto riguarda l’ampliamento della popolazione attiva si è provato innanzitutto ad attirare sempre più donne sul mercato del lavoro contrastando le difficoltà che incontrerebbero nel conciliare il “doppio ruolo” lavoro-mamma. A tal fine si sono adottate tutta una serie di misure idonee a contrastare la tendenza alla riduzione delle nascite (es. ampliando la base contributiva). Si è provato ad abbassare l’età dell’ingresso nel mondo del lavoro attraverso l’apprendistato, ritenendo che la sua diffusione potesse facilitare la collocazione dei giovani nel mondo del lavoro. Si è inoltre potenziato il sistema degli ammortizzatori sociali (= indennità di disoccupazione) estendendola a tutte quelle fasce di lavoratori che inizialmente non ricevevano alcuna tutela. In materia di disoccupazione, gli ultimi anni hanno visto tre importanti interventi di riforma: 1. Riforma Fornero l. 92/2012; dichiara di mirare alla creazione di un sistema ispirato al principio di eguaglianza, nel quale i trattamenti di disoccupazione vengono ad essere indirizzati al fine di garantire parità di condizioni a tutti i lavoratori, così da incrementare la protezione per coloro che, pur nell’ambito di un rapporto di lavoro di natura subordinata, fossero comunque esclusi dalle forme già protettive di tutela contro la disoccupazione. L’obiettivo viene perseguito attraverso il rafforzamento dell’indennità di disoccupazione ridenominate “assicurazione sociale per l’impiego” (ASpI) e mediante l’istituzione di fondi bilaterali di solidarietà, destinati a operare per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale. 2. Jobs Act l. 22/2015; ha inteso portare a compimento la riforma di tre anni prima [rif. Fornero] attraverso un ampliamento dei soggetti protetti e il contestuale assorbimento in essa di ogni altra indennità ancora lasciata in vita dalla riforma del 2012. Il decreto dà vita alla Nuova ASpI (NASpI) cioè una prestazione che aspira a essere universale, che allarga il periodo da prendere a riferimento per la durata della prestazione, così da dare rilievo alla contribuzione del quadriennio antecedente la perdita del lavoro. Risultato: ai lavoratori che abbiano goduto di continuità di occupazione viene assicurata una prestazione di durata biennale calcolata in misura pari alla metà delle settimane di contribuzione fatta registrare nell’ultimo quadriennio antecedente la fine del rapporto di lavoro. Il Jobs Act inoltre ha aperto in maniera più stabile al DIS-COLL anche ai soggetti che prima NON potevano aspirare ad alcun trattamento (= indennità di disoccupazione mensile; è una prestazione a sostegno dei collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, assegnisti di ricerca e AT 20 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo La Cassa integrazione guadagni trova origine nel contratto collettivo (del 1941) stipulato dalle Confederazioni degli industriali e dei lavoratori dell’industria, dotato di efficacia erga omnes e riferito esclusivamente agli operai del settore industriale; per gli impiegati era già prevista un’apposita forma di tutela, in forza della quale, in caso di interruzione o sospensione del lavoro, questi avrebbero avuto diritto alla retribuzione. Le previsioni del contratto collettivo e dei successivi interventi legislativi andavano a favore del datore di lavoro; si voleva evitare che i lavoratori abbandonassero il loro datore; grazie all’intervento della cassa sulla quale gravava il finanziamento degli interventi di integrazione salariale tramite una traslazione dell’onere retributivo a carico degli istituti previdenziali. La legge Fornero (l.92/2012) ha messo ordine nella materia, ampliando definitivamente il campo di applicazione ad ulteriori tipologie di imprese, provvisoriamente inserite nel novero dei beneficiari, ed eliminando alcune ipotesi fra quelle suscettibili di integrazione salariale. L’integrazione salariale è sempre dovuta nella misura dell’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai dipendenti per le ore di lavoro non prestate, comprese tra le 0, e il limite dell’orario settimanale fissato nei contratti collettivi. Nei periodi di cassa integrazione il lavoratore ha diritto alla contribuzione figurativa. Sulla retribuzione erogata per le ore di lavoro prestate nel caso di integrazione ad orario ridotto occorre pagare, secondo la regola generale, i relativi contributi effettivi. Durante il periodo di integrazione salariale - a pena di perdere il diritto al trattamento - vige il divieto di svolgere attività di lavoro subordinato / autonomo durante il periodo di integrazione salariale. L’intervento di integrazione salariale può rivestire carattere ordinario [causa: crisi d’impresa non imputabile al datore, es. “crisi globale”; la richiesta di CIGO è presentata all’INPS] ovvero straordinario [cause: riorganizzazione aziendale, contratto di solidarietà, crisi aziendale; la richiesta della CIGS è presentata al Ministero], secondo presupposti distinti (le cc.dd. “cause integrabili”) e con durata diversa; in relazione al tipo di intervento mutano anche le imprese ammesse al beneficio e i correlativi oneri contributivi. La distinzione tra i due tipi di trattamento si coglie innanzi tutto in relazione al campo d’azione, che ricomprende nel caso dell’intervento ordinario non solo l’industria e il settore edilizio ma anche un’ampia serie di attività. Il trattamento è stato esteso ai dipendenti di imprese appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione la cui attività risenta della contrazione o sospensione dell’attività dell’impresa presso la quale svolgono i suddetti servizi; beneficiano dell’intervento di integrazione salariale anche imprese di commercializzazione del prodotto delle imprese industriali nonché quelle dell’indotto che estende i benefici alle imprese artigiane che sospendano l’attività per contrazione o sospensione dell’attività dell’impresa committente il 50% del fatturato dell’impresa artigiana. Sul piano della procedura, l’intervento ordinario postula una delibera della sede provinciale dell’INPS, mentre l’intervento straordinario richiede un decreto del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale. Il coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori nel procedimento di concessione dell’intervento integrazione salariale è conseguenza di una precisa opzione del legislatore: si tratta di una norma chiave per comprendere la frattura che si è determinata tra l’antica concezione dell’istituto, favorevole al datore di lavoro, e alla nuova prospettiva della normativa, in favore dei lavoratori. Tra l’iter procedimentale suddetto il datore non può più abusare dell’istituto in esame: in passato accadeva che l’imprenditore in prossimità di rinnovi contrattuali, dinanzi la richiesta di aumento dello stipendio, il datore avanzasse domanda di cassa di integrazione. Al momento della presentazione della domanda di concessione di trattamento straordinario di integrazione salariale l’impresa deve trasmettere l’elenco nominativo dei lavoratori interessati dalle sospensioni o riduzioni di orario, affinché l’INPS, a sua volta, possa inoltrare in via elettronica tali AT 21 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo informazioni alle strutture regionali competenti per i necessari controlli e per attivare nei confronti dei lavoratori eventuali misure di formazione o per la ricerca di nuova attività. La sospensione o la riduzione dell’orario ha inizio entro 30 giorni dalla data di presentazione della domanda. La connessione della “cassa” avviene con decreto del Ministero del lavoro da adottarsi entro 90giorni della presentazione della domanda da parte dell’impresa; la domanda deve essere presentata contestualmente al Ministero del Lavoro e alle Direzioni territoriali del lavoro competenti per territorio. Alternativa alla cassa integrazione è rappresentata dal contratto di solidarietà cd. “difensivo”, diretto ad evitare il licenziamento di una parte del personale di un’impresa attraverso una riduzione (attraverso contrattazione collettiva aziendale) dell’orario individuale in modo da ridistribuire tra tutti i lavoratori gli effetti conseguenti alla contrazione della produzione industriale. Istituto che ha avuto scarsa applicazione pratica. La norma stabilisce che la riduzione media oraria NON può essere superiore al 60% dell’orario giornaliero/settimanale/mensile dei lavoratori interessati; la percentuale di riduzione complessiva NON può essere superiore al 70% nell’arco dell’intero periodo per il quale il contratto di solidarietà è stipulato. Il legislatore ha stabilito che il trattamento di integrazione salariale è ridotto in corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale. Infine, il legislatore stabilisce che le quote di accantonamento del t.f.r. relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell’orario di lavoro restano a carico della gestione dell’Istituto previdenziale, purché i lavoratori ammessi a beneficio NON vengano successivamente licenziati per motivo oggettivo entro 90gg successivi la fine della fruizione del trattamento di integrazione salariale. Nell’ambito delle tutele predisposte per ipotesi di crisi d’impresa deve richiamarsi la speciale assicurazione sociale diretta ad attribuire al lavoratore la garanzia del pagamento del trattamento di fine rapporto. Costituisce un elemento retributivo obbligatorio per tutte le categorie dei prestatori di lavoro subordinato, che viene maturato nel corso della prestazione, in proporzione al salario dovuto al lavoratore ma suscettibile di essere meglio definita dalla contrattazione collettiva. La somma così accantonata viene in concreto corrisposta solo al momento dell’interruzione del rapporto di lavoro, indipendentemente dalla causa che lo abbia determinato, salvo che nell’ipotesi che ne sia stata richiesta l’anticipata corresponsione parziale, prevista dalla legge a determinate condizioni. Sulla scia di una direttiva comunitaria, si è dato vita ad un sistema assicurativo diretto alla tutela del credito, garantendo al lavoratore subordinato una prestazione di importo pari al tfr maturato ogni volta che il relativo debito sia stato accertato con l’inserimento nello stato passivo ovvero tutte le volte che sia stata inutilmente intrapresa l’esecuzione forzata, nei confronti dei datori di lavoro che NON sono soggetti a procedure concorsuali. Il trattamento si estende alle ultime 3 mensilità anche quando non corrisposte. Il fondo è istituito presso l’INPS, che lo gestisce. L’esigenza di corrispondere un più elevato trattamento agli assicurati con familiari a carico costituisce il fondamento dell’assegno unico per il nucleo familiare. Il sistema di corresponsione si basava - fino al 1988 - sull’erogazione di un importo fisso per ciascun familiare a carico; dal 1988 la disciplina è cambiata radicalmente. Oggigiorno è previsto un assegno unico per il nucleo familiare unitariamente considerato. I parametri di determinazione dell’importo tengono conto di due variabili: 1. numero di componenti 2. ammontare di reddito complessivo (del nucleo stesso) AT 22 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo L’assegno per il nucleo familiare viene erogato dal datore di lavoro per conto dell’INPS a favore dei lavoratori dipendenti. L’onere contributivo grava esclusivamente sul datore di lavoro, in percentuale sull’ammontare delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori, ancorché privi di familiari a carico: diversamente, il dare sarebbe indotto ad assumere solo lavoratori liberi da responsabilità familiari. Nel nucleo familiare sono ricompresi il coniuge e i figli di età <18 anni (compiuti); i figli maggiorenni possono essere ricompresi se inabili al lavoro. NON hanno titolo per la corresponsione dell’assegno: - i lavoratori subordinati, che prestano la loro attività presso due distinti datori se l’erogazione avvenga già da parte di uno di essi - i coniugi e i figli del datore di lavoro, essendo nei loro confronti il datore già tenuto all’obbligo degli alimenti - i lavoratori autonomi e i pensionai da lavoro autonomo. Una prestazione assimilabile all’assegno per il nucleo familiare è l’assegno per congedo matrimoniale. La maternità si configura - al pari della malattia e infortunio - come un’evenienza che sospende l’esecuzione del rapporto lavorativo, determinando il venir meno della retribuzione. Una tale situazione fa sorgere l’esigenza di sopperire alla riduzione del reddito. L’ordinamento prevede il diritto del lavoratore di astenersi dalla prestazione in relazione a 3 distinte ipotesi: - congedo di maternità; è riconosciuto alla lavoratrice nei 2 mesi antecedenti la data presunta del parto fino ai 3 mesi successivi la nascita. Spetta un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera. - congedo di paternità; analogo congedo [al sopradetto “congedo di maternità”] spetta al padre qualora la madre fosse impossibilitata a fruirne per i primi 3mesi di vita del bambino. - congedo parentale; riconosciuto ad entrambi i genitori (un tempo era definito: “periodo di astensione facoltativa”), consente a uno dei due genitori di astenersi dal lavoro fino all’ottavo anno di vita del bambino, per una durata complessiva di 10 mesi per ogni singolo bambino [compete alla madre o al padre]. Spetta un’indennità giornaliera pari all’30% della retribuzione media globale giornaliera. La legge inoltre prevede - per i soli lavoratori subordinati - per il primo anno di vita del neonato 2h di permesso giornaliero “per allattamento”. L’indennità è anticipata dal datore di lavoro che successivamente provvederà a rifarsi sull’INPS mediante trattenute dei contributi mensilmente dovuti. Per quanto riguarda l’indennità giornaliera di malattia, questa è posta a carico dell’INPS ed è prevista per i soli operai [in quanto per gli impiegati è ancora in vigore una previsione del 1924 che impone al datore di lavoro di retribuire le assenze per malattia dei propri dipendenti]. L’indennità giornaliera spetta solo al termine di un periodo di “carenza” di durata generalmente pari a 3 giorni, per un periodo massimo di 180giorni in un anno solare. L’importo varia in relazione alla durata della malattia (crescente dopo un periodo iniziale). Il lavoratore assente per malattia è obbligato a comunicare al datore il motivo della sua assenza e la durata presunta della malattia, nonché a provvedere successivamente - entro 2 giorni dall’inizio dell’assenza - a trasmettere all’INPS e al datore copia di un certificato del medico. La ritardata trasmissione determina la perdita dell’indennità di malattia per il periodo corrispondente ai giorni in cui il ritardo si è protratto. AT 25 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo - spetterà tra 50-60% se l’inabilità è compresa tra 11-60%; - spetterà in misura analoga all’inabilità se questa è compresa tra 61-79%; Nei casi di [b] “inabilità totale” [80-100%] la rendita è parti al 100% della retribuzione. Tali % sono da effettuare sulla retribuzione annuale. Come ulteriori prestazioni, l’art. 66 TU contempla un assegno per l’assistenza personale continuativa, una rendita ai superstiti (in caso di morte dell’assicurato) e un’assegno una tantum per spese funerarie, le cure mediche e chirurgiche, e le forniture di protesi. Altro problema è determinato dalle concause di inabilità e si verifica nelle ipotesi in cui un soggetto subisca, nel corso del tempo, più lesioni la cui somma determinerebbe un’incapacità in misura superiore al 100%. Secondo la cd. “formula Gabrielli” la perdita percentuale derivante dagli infortuni successivi al primo NON dev’essere calcolata in termini assoluti, bensì in relazione al grado di attitudine lavorativa sussistente dopo l’ultimo infortunio verificatosi. Il termine di prescrizione del diritto alle prestazioni comincia a decorrere dal giorno dello stesso infortunio, e si prescrive nel termine breve di 3 anni. L’assicurazione contro gli infortuni si estende anche a quella contro le malattie professionali, in quanto si tratta di eventi che incidono negativamente sulla capacità lavorativa dell’assicurato. Le malattie professionali sono contratte non solo “in occasione” del lavoro, ma “a causa” di questo. Si prende in considerazione 3 circostanze: - tipo di malattia, - lavori svolti, - periodo di indennizzabilità decorrente dalla cessazione dell’attività [anche dopo il periodo lavorativo, SE avvengono entro il predo previsto dalle tabelle]. Le prestazioni per malattie professionali sono dovute anche quando l’assicurato abbia cessato di prestare la sua opera nelle lavorazioni per le quali è ammesso il diritto alle prestazioni a condizione che l’inabilità o la morte insorgano nel periodo di tempo indicato in tabella. In caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale ascrivibile ad un fatto illecito del datore di lavoro-assicuratore o dei soggetti della cui condotta lo stesso debba rispondere, viene in rilievo l’art. 2087 cc [= tutela delle condizioni di lavoro], che impone in capo allo stesso una vera e propria obbligazione di protezione in favore dei suoi dipendenti. Il sistema della responsabilità civile viene derogato in base all’art. 10 t.u. [sull’assicurazione degli infortuni sul lavoro] << [c.1] L’assicurazione a norma del presente articolo esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro. [c.2] Nonostante l’assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato. [c.3] Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l’infortunio sia derivato per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se dal fatto di essi debba rispondere secondo il Codice Civile. [c.4] Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto da cui l’infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa. [c.5] Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell’imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se, per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo. >> AT 26 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo In altri termini, si verifica un esonero da responsabilità civile dell’assicurante, salvo nel caso di evento dannoso derivante da una condotta che ha costituito oggetto di sentenza penale di condotta. Per le somme erogate dall’INAIL, l’art. 11 prevede la possibilità dell’ente di agire in regresso verso il datore di lavoro a fronte dell’erogazione di prestazioni previdenziali nei casi in cui sia prevista la responsabilità civile di questi. In tutti i casi in cui il danno sia causato da un comportamento costituente reato perseguibile d’ufficio. Detto accertamento è divenuto possibile anche in via incidentale davanti al giudice civile, adito al fine di ottenere la condanna al risarcimento sul presupposto di un fatto di reato. L’assicurato gode del diritto ad un integrale risarcimento del danno e l’INAIL può agire per le somme versate. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’agire dell’INAIL in regresso nei confronti del datore di lavoro per quei casi in cui, a seguito del processo penale, il datore venga assolto. A partire dall’anno XX, la giurisprudenza ha cominciato a riconoscere diritto suscettibile di autonomo risarcimento in caso di lesione: il danno biologico. Oggetto del danno biologico è l’alterazione delle qualità psico-fisiche dell’individuo o la sua salute, tutelata dall’art. 32 Cost. [diritto alla salute]. Essendo la salute un diritto fondamentale dell’individuo, la sua lesione comporta necessariamente un obbligo risarcitorio a favore dell’assicurato e a carico dell’assicurante che ne fosse civilmente responsabile. Anche la lesione della capacità lavorativa era indennizzata all’INAIL senza riferimento all’incidenza dell’infortunio o della malattia sul patrimonio dell’assicurato danneggiato. L’INAIL può agire per il recupero delle somme erogate a titolo di “prestazioni economiche” a favore dell’assicurato nei confronti del datore di lavoro assicurante [azione di regresso: art. 11 tu], ovvero del terzo responsabile [azione di surroga: art. 1916 cc.]; due tipologie di azioni che nel complesso vengono qualificate come “azioni di rivalsa”. L’azione di regresso presuppone la responsabilità civile del datore derivante da un fatto di reato del medesimo o dei suoi collaboratori, e che il reato sia perseguibile d’ufficio [circostanze accertabili dal giudice incidenter tantum]. La Corte Costituzionale ha precluso all’INAIL di esercitare l’azione surrogatoria nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile: si trattava del caso di infortunio derivante da incidente stradale causato da un terzo. La Corte ha ammesso che l’assicurato percepiva un risarcimento per due distinti danni: uno rientrante nella disciplina INAIL, l’altro (quello biologico) risarcibile tramite l’assicurazione del responsabile civile. A seguito di successive sentenze, la Corte ha statuito che il danno biologico e il danno coperto dall’INAIL sono parzialmente coincidenti. Infine venne dichiarata l’illegittimità dell’art. 10 tu nella parte in cui precludeva all’assicurato di chiedere a condanna del datore di lavoro al risarcimento dell’intero danno biologico. Si costituisce una sorta di “sdoppiamento del danno biologico”: una prima parte completamente estranea al sistema della copertura assicurativa dell’INAIL, ed una seconda collegata con una riduzione o perdita della capacità lavorativa generica, e come tale indennizzata dall’INAIL. L’assicurato danneggiato NON può pretendere dal danneggiante l’intero risarcimento del danno biologico, ma una sola frazione individuata nella misura di 2/3 del medesimo [1/3 è a carico dell’INAIL]. Tutt’oggi, il risarcimento del danno biologico avviene sulla base di tabelle predisposte in via ufficiosa. AT 27 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo L’INAIL, qualora eroghi delle prestazioni economiche a favore dell’assicurato a seguito di infortunio sul lavoro causato da un terzo, subentra (ex art. 1916 cc) nel diritto al risarcimento del danno dell’assicurato nei confronti del responsabile civile. La ratio dell’istituti è quella di evitare che l’infortunio possa conseguire per effetto del medesimo accadimento dannoso un doppio risarcimento. Nel caso di surroga si discute se la successione dell’assicuratore nei diritti dell’assicurato si verifichi a seguito della comunicazione al terzo responsabile da parte dell’assicuratore della volontà di avvalersi della surrogazione ovvero solo a seguito del pagamento dell’indennità assicurativa. Una volta che l’INAIL abbia esercitato il diritto di surroga, subentra nella stessa situazione sostanziale del danneggiato; il terzo responsabile potrà sollevare eccezioni inerenti a tale rapporto. In caso di concorso di colpa dell’assicurato, si è stabilizzato il principio generale secondo il quale lo stesso attiene al quantum del risarcimento sul piano dei rapporti con il terzo responsabile. Il diritto di regresso postula l’ammissione dell’assicurato alle prestazioni erogate dall’INAIL, e l’esistenza della responsabilità civile del datore di lavoro derivante da un fatto di reato perseguibile d’ufficio commesso dallo stesso datore o da personale dipendente del cui operato egli debba rispondere a norma delle leggi civili. Perseguibili d’ufficio i reati di omicidio colposo, le lesioni personali colpose gravi / gravissime. Il regresso è un diritto che sorge autonomamente in capo all’INAIL per effetto dell’erogazione delle prestazioni economiche da parte dello stesso e nei casi in cui l’assicurante NON è esonerato da responsabilità civile. L’INAIL - agendo in regresso - scarica sull’assicurante il costo delle prestazioni erogate - ossia dell’indennità per inabilità assoluta temporanea. AT 30 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Ai fini del riconoscimento del diritto, la capacità lavorativa dev’essere ridotta in misura pari o superiore al 74%, e il richiedente NON deve percepire redditi superiori a determinati limiti annualmente individuati. Al compimento del 67° anno d’età, l’assegno mensile si trasforma in pensione sociale. Oltre al requisito sanitario [1], e al requisito reddituale [2], è richiesto che i beneficiari NON svolgano attività lavorativa, di modo che l’assegno possa essere erogato <<solo per il tempo in cui tale condizione sussiste>>; tale situazione di fatto è provata mediante la produzione annuale della dichiarazione sostitutiva di certificazione. [2] La pensione di inabilità è corrisposta ai soggetti tra 18-65anni, 7mesi che sono riconosciuti “invalidi al 100%”, con totale e permanente inabilità al lavoro. Anche la pensione di inabilità – al conseguimento del 66° anno – si trasforma in pensione sociale, MA – a differenza dell’assegno mensile – la pensione di inabilità è compatibile con altre prestazioni (a differenza della pensione sociale). [3] L’indennità di accompagnamento è una prestazione di assistenza NON reversibile, alla quale hanno diritti gli invalidi civili che si trovino nell’impossibilità di deambulare [= camminare] senza l’aiuto permanente di un accompagnatore ovvero non essere in grado di compiere gli atti quotidiani; necessitano di una continua assistenza. Trattandosi di un indennizzo volto a sostenere il nucleo familiare a farsi carico di tali soggetti, per quanto riguarda l’indennità di accompagnamento, il requisito reddituale è irrilevante ai fini della concessione del beneficio. [4] L’indennità di frequenza è una prestazione assistenziale attribuibile ai minori di 18 anni che hanno difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età; nonché coloro che presentino una perdita uditiva superiore a determinati standard stabiliti dalla legge. Al fine della concessione dell’indennità è richiesta la frequenza (continua o periodica) di centri ambulatoriali o di centri diurni che operino a scopo terapeutico/riabilitativo/di recupero, ovvero è richiesta la frequenza di scuole (pubbliche/private) di qualunque grado. L’intero procedimento per l’ottenimento di queste prestazioni è gestito dalle ASL e dall’INPS, ed ha inizio con l’invio (ASL→INPS) della domanda di invalidità civile: è l’ASL esegue l’accertamento sanitario attraverso le proprie Commissioni mediche integrate dalla presenza di un medico dell’INPS scelto a rotazione tra quelli in servizio presso il “Centro Medico Legale” dell’INPS [CML]. Se l’accertamento è espresso all’unanimità, il verbale è subito trasmesso all’interessato; mentre, in caso di “esito positivo a maggioranza” è possibile che venga disposta un’ulteriore visita da effettuarsi entro 20gg. Al termine della XVII legislatura [governo Letta (2013-2014), Renzi (2014-2016), Gentiloni (2016-2017)], con il d.lgs. 147/2017 venne introdotto il cd. REI: Reddito di Inclusione, come misura a sostegno dei nuclei familiari che facessero registrare la presenza di un minorenne, di una persona disabile, di una donna in gravidanza, o di un disoccupato ultra 55enne. Dopo poco – 1 Luglio 2018 – tutti i requisiti familiari vennero meno; il ReI divenne disponibile per tutti coloro che si trovassero in una situazione di disagio economico, indipendentemente dalla propria composizione familiare. Tali misure hanno però trovato applicazione per un breve periodo in quanto con il d.l. 4/2019, successivamente convertito con modifiche nella l.26/2019 si è proceduto ad una profonda rivisitazione di tale sistema, ed all’introduzione del reddito (e pensione) di cittadinanza, quale misura a sostegno dei nuclei familiari e dei singoli che si trovino in condizione di bisogno, in quanto dotati di requisiti ex lege: - requisiti di reddito: ISEE < 9.360€/annui [pari a 780€/mese]; - patrimonio immobiliare e disponibilità liquide per un valore NON superiore ai parametri calcolati dalla legge secondo indici variabili, ed in relazione ai componenti del nucleo familiare. AT 31 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Il reddito di cittadinanza prende la forma di integrazione del reddito familiare, ed è costituita dall’importo dell’integrazione annua [soglia max di 6.000€/annui = 500€/mese] e dall’aggiunta di un importo opzionale solo per chi è in affitto ovvero abbia un mutuo [importo pari al canone di locazione, fino ad un max di 3.360€/annui = 280€/mese]. Trattandosi di una prestazione mensile, l’importo totale spettante dev’essere diviso per 12, ed in ogni caso non può eccedere i 780€/mese [= 9360€]. L’erogazione di tali importi è riconosciuta in costanza di requisiti per un periodo continuativo e rinnovabile NON superiore a 18 mesi, ed è subordinato all’adozione di misure di attivazione: il fruitore dovrà sottoscrivere il Patto per il Lavoro presso un centro per l’impiego, ed il Patto per l’inclusione sociale al fine di rendersi attivamente disponibile alla sottoscrizione di un contratto lavorativo; sarà possibile rifiutare un max di 3 proposte lavorative – 1 qualora il RdC sia stato rinnovato – pena la decadenza dal diritto di percezione del RdC. Il maggiore rischio comportante il RdC è che possa essere idoneo ad invogliare al lavoro in nero. AT 32 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo CAP. 4 – La Contribuzione Per quanto riguarda l’obbligo di pagamento dei contributi previdenziali, il primo problema che viene in rilievo concerne le modalità di calcolo. Annualmente l’INPS rende note apposite tabelle all’interno delle quali si espongono le aliquote vigenti - a secondo del settore di attività del datore - a seconda delle diverse gestioni (es. assegni familiari, indennità di disoccupazione, …). Le aliquote presenti nelle tabelle sono indicate nella loro misura totale, e in quella a carico del lavoratore; la differenza costituisce quella in capo al datore. La vera questione però consiste nella base di calcolo (cd. base imponibile) sulla quale devono essere applicate le aliquote, cioè sulla “retribuzione”. In merito alla retribuzione, questa non era di pacifica individuazione in quanto la materia era disciplinata da molteplici norme che spesso ponevano distinzioni, es. tra dipendenti pubblici e dipendenti privati. A ragione del mancato coordinamento delle norme, che imponeva che determinante voci retributive potessero considerarsi imponibili ai fini INPS e non imponibili ai fini INAIL, e viceversa. Si consideravano “retribuzione” solo quelle somme che, erogate dal datore, trovavano giustificazione nella “prestazione lavorativa del dipendente”. Inizialmente, le somme erogate nei periodi di inattività (es. in caso di malattia) non erano considerate retribuzione in quanto erogate non in virtù di una prestazione di lavoro; successivamente venne rivisto il concetto di retribuzione nel quale vennero ricomprese anche tutte le prestazioni NON immediatamente connesse all’attività lavorativa del dipendente, ma conseguenti ad esse (es. ferie, malattia, …). Al fine di rendere certo il “cosa dovesse essere intero per retribuzione”, il legislatore intervenne sostituendo le normative previgenti con l’art. 12 l. 153/1969. La norma NON precisava il concetto di “retribuzione in generale”, ma cosa s’intendesse per retribuzione ai fini previdenziali: <<si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura … in dipendenza del rapporto di lavoro>>; disposizione tutt’oggi centrale. Per quanto riguarda la categoria delle prestazioni in natura, queste devono essere valutate secondo l’applicazione di criteri analitici, al fine di precisare quale valore debba essere attribuito. Inoltre, vi sono norme dirette a prevedere esoneri su specifici aspetti, al fine di favorire l’incremento di produttività del lavoro e la contrattazione collettiva aziendale. Non rileva la retribuzione in concreto pagata, ma quella dovuta ex contratti collettivi sottoscritti dai sindacati. È pacifico che i contributi debbano essere versati anche in assenza di un effettivo pagamento al lavoratore. Si è posta da subito la questione dell’imponibilità ai fini contributivi di importi che hanno natura risarcitoria, o che mirano a tenere indenne il lavoratore da spese che egli abbia affrontato nell’interesse del datore e al solo fine di eseguire correttamente la propria prestazione; es. le somme rimborsate per le spese di viaggio/vitto/alloggio giustificate da motivi lavorativi. NON è compreso, il pagamento (da parte del datore) dell’abbonamento ferroviario di cui il lavoratore si avvale giornalmente per raggiungere il luogo di lavoro, in quanto in questa ipotesi la spesa NON riveste “carattere eccezionale” bensì è connessa ad una specifica prestazione. Analogo caso è rappresentato dall’“indennità di cassa” a favore del lavoratore che sia a diretto contatto con il denaro del datore e per il quale debba rispondere personalmente. Si tratta di una serie di ipotesi non sempre di facile soluzione; nel caso dell’“indennità di trasferta” il legislatore – con disposizione di legge – ha statuito che tali erogazioni sono imponibili al 50% del loro ammontare. L’indennità di trasferta consiste nell’importo previsto nei Contratti Collettivi necessario al fine di coprire le spese che il lavoratore sostiene qualora sia temporaneamente chiamato a svolgere la propria prestazione lavorativa al di fuori della propria sede lavorativa abituale. AT 35 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Sono riconducibili, a richiesta dell’interessato, in corrispondenza di determinati periodi NON coperti da contribuzione effettiva: servizio militare; periodi di persecuzione politica / raziale subita dai cittadini durante il fascismo; periodi di assenza per malattia e infortunio sul lavoro (fino max 12 mesi); periodi di assenza obbligatoria e facoltativa dal lavoro per gravidanza / congedo familiare. Ai fini della maturazione del diritto alla pensione e dell’incremento del quantum, l’assicurato può richiedere il versamento (a suo carico) di contributi effettivi in relazione a determinati periodi di tempo nel corso dei quali NON ha svolto attività lavorativa. È possibile riscattare presso l’INPS gli anni del corso legale di laurea, ovvero gli anni di lavoro subordinato all’estero. Il riscatto è consentito anche per i periodi di formazione professionale / studio / ricerca / inserimento nel mercato del lavoro. Tuttavia, tale procedura è spesso molto costosa, di fatto molti vi hanno rinunciato negli ultimi 2 decenni. Con la ricongiunzione il lavoratore può ricostituire un’unica posizione assicurativa tramite il trasferimento dei contributi da una gestione pensionistica all’altra; solitamente ciò avviene presso l’ente che eroga il trattamento pensionistico più vantaggioso. Ricongiunzione: permette a chi ha posizione assicurativa in gestioni previdenziali differenti, di riunire mediante trasferimento tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione per ottenere una sola pensione. La ricongiunzione deve riguardare l’intero periodo di contribuzione maturato presso le altre pensioni. È onerosa I contributi confluiscono in un’unica cassa come se fossero sempre stati versati nel fondo di destinazione. Totalizzazione: consente a tutti i lavoratori dipendenti, autonomi e liberi professionisti che hanno versato contributi in diverse casse, gestioni o fondi previdenziali di acquisire il diritto a un’unica pensione. Finalità è quella di sommare periodi assicurativi, non coincidenti, maturati presso gestioni previdenziali diverse per consentire un’unica pensione. Sono legittimati coloro che sono stati iscritti presso diverse gestioni previdenziali per periodi non coincidenti, a condizione che non risultino titolari di alcun trattamento pensionistico. È gratuita. I contributi sono sommati al solo fine del diritto alla pensione; si usa solo il metodo contributivo e le gestioni operano pro-quota. Cumulo: consente ai lavoratori iscritti presso più gestioni di utilizzare i contributi non coincidenti per ottenere un’unica prestazione. La domanda di cumulo può essere presentata solo in occasione della maturazione dei requisiti per il pensionamento. A differenza della totalizzazione, la quota del trattamento è calcolata secondo le regole di ciascuna gestione (pro quota), e non obbligatoriamente con sistema contributivo. È gratuita. Permette di sommare tutti i contributi come nella ricongiunzione, ma la misura della prestazione (come in caso di totalizzazione) è calcolata pro quota; può esser utilizzato sia il metodo contributivo, sia il metodo retributivo. AT 36 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo CAP. 5 – Le Omissioni Contributive Il pagamento dell’obbligazione contributiva (cd. riscossione dei contributi) avviene mediante accredito bancario / postale tramite il modello F24, mentre mensilmente vengono denunciati all’INPS in via telematica – tramite il modello uniemens – i dati retributivi e contributivi del personale dipendente cui si riferisce la contribuzione: dati che assumono valore di confessione stragiudiziale. I mancati versamenti dei contributi da parte del datore generano un danno nei confronti del lavoratore. In passato, spesso, accadeva che i lavoratori si accorgessero del mancato versamento dei contributi solamente nel momento in cui il lavoratore si fosse presentato agli sportelli dell’ente previdenziale al fine di richiedere la pensione, trovandosi privi di ogni tutela in quanto spesso le omissioni erano riferiti a periodi così lontani da esser già decorsa la prescrizione. Negli ultimi anni si è cercato di mettere a punto metodi di riscossione dei contributi più efficienti. Venne istituito con il d.lgs. 149/2005 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro [INL] avente funzioni ispettive. Un controllo indiretto si ricava dall’istituzione del documento unico di regolarità contributiva (DURC) che attesta “l’assenza di ogni pendenza” e che viene obbligatoriamente richiesto alle imprese e ai singoli. Per valutare il concreto danno conseguente l’omissione, e le possibili forme di tutela riconosciute all’assicurato, si deve accertare se l’obbligo contributivo sia prescritto o meno; anche se prescritto, il lavoratore che abbia visto un accredito ridotto rispetto al dovuto potrà comunque far valere le sue pretese nei confronti dell’imprenditore inadempiente. Per il diritto civile, ex art. 2946 cc. << salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di 10 anni. >>; ne consegue che il titolare di un diritto, decorsi 10 anni dall’ultimo esercizio, NON potrà più esercitarlo nel caso in cui il debitore eccepisca la prescrizione. Per singole categorie di rapporti esistono le cd. prescrizioni brevi [5 anni], es. per le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro. Diverso il concetto di prescrizione presuntiva, operante sul piano del diritto processuale: chi agisce per soddisfare il proprio diritto è tenuto a provare solo l’obbligazione; sarà il debitore onerato della prova dell’avvenuto adempimento; il discorso cambia nell’ipotesi in cui siano decorsi i termini propri delle prescrizioni presuntive [1 o 3 anni]. Nel caso in cui il lavoratore agisca oltre i termini della prescrizione presuntiva per pretendere l’adempimento dell’obbligo retributivo del datore, deve provare sia il suo credito, sia il mancato adempimento, es. le retribuzioni (mensile e periodiche) sono soggette a prescrizione presuntiva triennale; dies a quo decorre dalla scadenza della singola prestazione periodica. In ambito previdenziale il regime generale della prescrizione soffre di una significativa serie di eccezioni. L’assicurante – decorso il termine di prescrizione dell’obbligo contributivo (rilevabile d’ufficio) – NON può più adempiere nemmeno spontaneamente, né l’INPS può accettare il pagamento tardivo. Tale deroga è motivata dal fine di evitare il rischio di ricostruire posizioni contributive senza fondamento finanziario, con conseguenti esborsi privi di copertura. La prescrizione può essere interrotta sia dal creditore, sia dall’atto di diffida dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro; oggigiorno il termine generale di prescrizione in materia previdenziale è di 5 anni. La Cassazione ha affermato che la denuncia del lavoratore deve avvenire prima dello scadere della prescrizione quinquennale, per consentire il meccanismo del raddoppio della prescrizione da 5 a 10 anni. È noto che il termine prescrizionale del credito retributivo decorre dalla data di maturazione del credito stesso, o dal momento di estinzione del rapporto di lavoro – a seconda del tipo di tutela assicurata al lavoratore in ordine alla stabilità del rapporto –. AT 37 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Nel caso di omissione contributiva, il lavoratore può subire danni in ordine al quantum o all’an della prestazione (per mancato raggiungimento del periodo contributivo minimo richiesto ai fini del sorgere del diritto). Per salvaguardare il diritto dell’assicurato alle prestazioni, l’ordinamento previdenziale ha previsto il principio di automaticità delle prestazioni: il lavoratore ha diritto alla pensione anche quando il datore non abbia versato i relativi contributi. In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di competenza dell’INAIL, il principio di automaticità trova applicazione: gli assicurati hanno diritto alla prestazione anche se il datore non ha adempiuto agli obblighi contributivi prescritti dalla legge, salvo il diritto di rivalsa dell’Istituto nei confronti del datore. L’ordinamento predispone rimedi volti a tutelare l’assicurato nel caso di mancato versamento dei contributi. Al fine di sollecitare il lavoratore alla cura della propria posizione assicurativa, grava sul datore l’obbligo di consegnare ogni anno al lavoratore un prospetto attestante l’avvenuto versamento dei contributi dovuti. In caso di inadempimento del datore di lavoro, l’assicurato può sollecitare l’intervento dell’ente tramite una raccomandata. L’assicurato – in caso di mancato pagamento di contributi NON prescritti – può agire sia contro l’INPS, sia contro il datore. Nel primo caso, agisce contro l’INPS al fine di attuare il principio di automaticità; dovrà dimostrare [a] l’esistenza di un rapporto subordinato, [b] l’effettivo pagamento della retribuzione, e [c] la mancanza dell’impedimento che deriva dall’intervenuta prescrizione del credito contributivo dell’assicurante. In caso di soccombenza, l’INPS agirà in sede di regresso per il recupero dei contributi omessi nei confronti del datore di lavoro inadempiente. Nel secondo caso, l’assicurato agirà per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi evasi a favore dell’ente previdenziale, cioè per la regolarizzazione della posizione assicurativa. L’istituto previdenziale, in riferimento al periodo contributivo prescritto, NON è più titolare del credito contributivo tant’è che un eventuale pagamento da parte dell’assicurante NON verrebbe accettato; permane – in capo all’assicurato – il diritto al risarcimento del danno derivante dall’omissione contributiva in esame. L’obbligo di contribuzione sorge come effetto di natura legale, derivante dal contratto di lavoro; datore e lavoratore NON possono accordarsi per non adempiere o eludere gli obblighi contributivi, tale accordo sarebbe nullo ex artt. 1418 e 2115 cc. La relativa causa ha natura lavoristica (e non previdenziale). Il risarcimento può avvenire condannando il datore di lavoro assicurante al pagamento di una somma di denaro direttamente nei confronti del lavoratore assicurato. Il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria è decennale, il dies a quo ha inizio nel momento in cui l’assicurato matura i requisiti di età, contribuzione e assicurazione necessari per il sorgere del diritto pensionistico in quanto è solo a partire da questo momento che il danno ha modo di verificarsi. Oltre alla responsabilità risarcitoria nei confronti del lavoratore, in capo al datore che abbia omesso il pagamento dei contributi sono previste una serie di sanzioni civili, amministrative e penali. A] Le sanzioni civili consistono nel pagamento di una somma aggiuntiva rispetto ai contributi omessi, di importo variabile fino al 40% o 60% della somma non versata, a seconda che ricorra un’ipotesi di omissione in senso stretto [40%], o di evasione contributiva [60%]. Si ha “omissione in senso stretto” quando, in presenza di tutte le denunce e le registrazioni obbligatorie è omesso il solo pagamento [= posizione del lavoratore regolare; è in difetto solo il pagamento dei contributi]. AT 40 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Del processo è competente, ex art. 444, il Tribunale in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro. Le sentenze emanate nelle controversie ex art. 442 cpc sono provvisoriamente esecutive; ciò permette al titolare del diritto riconosciuto dalla sentenza di agire per il materiale soddisfacimento dello stesso attraverso le procedure dell’esecuzione forzata. Secondo l’art. 151 cpc, SE pendano dinanzi il medesimo giudice più procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza tra loro connessi anche solo per identità di questioni dalla cui risoluzione dipende – anche solo in parte – la decisione, devono essere riuniti, salvi i casi in cui la riunione renda troppo gravoso il processo ovvero ritardino eccessivamente la sua decisione. Anche in materia di assistenza sociale l’erogazione delle prestazioni è subordinata ad una domanda amministrativa da parte dell’assistito nei confronti dell’ente. Circa la prova del requisito reddituale dell’assistito, le Sez. Un. della Corte di Cassazione hanno ritenuto che la dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale è idonea a comprovare detta situazione nei rapporti con la PA nell’ambito dei procedimenti amministrativi. La prova della situazione reddituale grava sull’assistito anche in caso di revoca della prestazione, in quanto la revoca presuppone l’insussistenza del diritto alla prestazione con riferimento all’elemento costitutivo del reddito (e non l’illegittimità dell’atto di concessione). Il beneficio assistenziale è erogato previo accertamento dei presupposti sanitari, ad opera di commissioni mediche presso l’ASL integrate da un medico dell’INPS. In caso di rigetto della domanda amministrativa, l’assistito potrà rivolgersi direttamente al giudice, ma entro un brevissimo termine pena decadenza. Al fine di snellire l’attività di accertamento giudiziale, è stata imposta ex lege una speciale procedura d’urgenza – alternativa al processo ordinario – ex art. 445bis cpc rubricato “accertamento tecnico preventivo obbligatorio” [ATPO]. È competente il tribunale nel cui circondario risiede chi propone il ricorso. ATPO: si prevede che nelle controversie in materia di ▪ Cecità civile ▪ Invalidità civile ▪ Sordità civile ▪ Handicap ▪ Disabilità ▪ Pensione di inabilità ▪ Assegno di invalidità Colui che intenda promuovere in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti, presenta ricorso al giudice competente istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il tribunale nomina un consulente e, terminata la perizia le parti entro 30gg possono ricorrere contro la perizia. Decorso il termine, il giudice emana decreto impugnabile. AT 41 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo CAP. 7 – La Previdenza Complementare La costituzione, con l’art. 38 c.5 dichiara che l’assistenza privata è libera. L’ordinamento previdenziale nazionale si fonda su 3 pilastri: 1. dalla previdenza pubblica ed obbligatoria; 2. dai fondi pensione ad adesione volontaria; 3. dalla sottoscrizione individuale di servizi previdenziali aventi natura assicurativa. Il legislatore, in merito ai fondi di previdenza complementare, è intervenuto con il d.lgs. 124/1993 al fine di dettare una prima regolamentazione organica dei fondi di previdenza complementare: ha provveduto a disciplinare sia i fondi complementari precostituiti, sia i fondi complementari che sarebbero stati istituiti da quel momento in poi. Le disposizioni di questo regolamento hanno subito nel corso del tempo svariate modifiche al fine di incoraggiare sempre più il ricorso a forme di previdenza privata. Ad esempio, vi furono modifiche inerenti le condizioni di costituzione ed operatività dei fondi per assicurare correttamente la libertà di circolazione dei servizi finanziari previdenziali. L’erogazione dei trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico risponde all’esigenza di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale. I destinatari di previdenza complementare possono essere [ex art. 2 d.lgs. 252/2005]: • i lavoratori dipendenti (pubblici/privati); • i lavoratori autonomi; • i liberi professionisti. L’adesione dei lavoratori dipendenti può avvenire sulla base dell’appartenenza: 1. alla medesima categoria (= imprese che applicano gli stessi Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro); 2. al medesimo comparto; 3. al medesimo raggruppamento; I liberi professionisti ed i lavoratori autonomi possono aderire sulla base di raggruppamenti per aree professionali e per territorio. In ogni caso, NON è vietata l’istituzione di un fondo di previdenza complementare destinato “trasversalmente”, cioè a diverse categorie o gruppi di lavoratori. L’area dei beneficiari è estesa anche ai soci lavoratori di società cooperative, e ai soggetti che svolgono lavori di cura NON retribuiti. A favore dei soggetti NON contemplati si prevedeva la possibilità di partecipare ai cd. fondi pensione “aperti”, direttamente promossi da soggetti abilitati alla gestione del risparmio, e da imprese di assicurazione o da società di gestione del risparmio. Tali fondi – inizialmente a carattere residuale – sono divenuti “fondi alternativi” rispetto i fondi di categoria. Ai fondi aperti si sono affiancate ulteriori forme pensionistiche attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita alle quali si può aderire su base individuale. Si è realizzata così una alternativa tra le forme pensionistiche individuali [= i fondi aperti e i contratti di assicurazione sulla vita] e le forme pensionistiche collettive [= cd. fondi chiusi perché destinati a raccogliere le adesioni dei soli appartenenti a determinati ambiti]. Ab origine l’adesione a forme pensionistiche individuali era concessa solo in assenza di un fondo collettivo; oggigiorno, l’adesione è ritenuta libera, è possibile aderirvi anche in presenza di fondi chiusi di categoria. AT 42 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Le forme pensionistiche collettive cd. fonti chiuse, sono istituite attraverso “fonti” negoziali di varia natura. Può trattarsi di contratti e accordi collettivi, ovvero di accordi tra i lavoratori, ovvero dai regolamenti di enti o aziende i cui rapporti di lavoro non siano regolati da contratti o accordi collettivi. Sia gli accordi, sia gli altri atti negoziali diretti alla costituzione dei fondi, sono identificati con l’espressione “fonti istitutive”. La natura volontaria dell’adesione volontaria al fondo evita l’insorgere di ogni questione in ordine all’efficacia generale del contratto collettivo; infine, è prevista – dalla l. cost. 3/2001 – la possibilità che siano istituiti fondi in forza di leggi regionali, purché “nel rispetto della normativa nazionale in materia”. I fondi pensione possono rivestire diversa natura giuridica: può trattarsi di associazioni NON riconosciute ex art. 36 cc, ovvero di persone giuridiche di diritto privato. I fondi pensione possono presentarsi (ove sussista una specifica delibera) nella forma di un patrimonio di destinazione costituito nell’ambito di una singola società o di un singolo ente; questo patrimonio è separato e autonomo rispetto quello dell’ente istituente. La costituzione di questi fondi determina una serie di problemi in relazione agli interessi di rilievo pubblico coinvolti nella vicenda: [1] la libertà dell’assistenza privata, [2] l’iniziativa economica, [3] l’esigenza di tutela del risparmio. Il controllo sui fondi viene esercitato in costanza della loro attività sempre ad opera della Commissione, che nell’esercizio dei suoi poteri di sorveglianza deve informare il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale di fatti che possano interessare l’esercizio dei poteri di intervento e di alta vigilanza. I fondi pensione NON possono gestire direttamente le risorse loro affidate, ma devono individuare un soggetto dotato di specifica professionalità nel settore degli investimenti con il quale stipulare convenzioni per la gestione delle masse finanziarie raccolte. La gestione del fondo sarà possibile nella forma della sottoscrizione o acquisizione di azioni o quote di società immobiliari, nonché di quote di fondi comuni di investimento immobiliare chiusi. Per la stipula delle convenzioni di gestione, al fine di garantire la scelta dell’ente gestore nell’interesse degli assicurati, si prescrive che gli organismi di amministrazione dei fondi devono richiedere offerte contrattuali. Le offerte contrattuali rivolte ai fondi siano formulate per singolo prodotto. Gli enti gestori devono operare secondo le linee di indirizzo fissate nella convenzione intervenuta con gli organismi amministratori del fondo. I sindacati potrebbero acquisire il controllo delle azioni che il fondo acquista e potrebbero partecipare alle assemblee delle grandi imprese. I valori e le disponibilità affidati ai gestori costituiscono in ogni caso patrimonio separato ed autonomo. Il fondo pensione può rivendicare tutti i valori conferiti in gestione, ancorché non individualmente determinati o individuati, ed anche se depositati presso terzi diversi dal soggetto gestore: il fondo può giovarsi di ogni prova documentale, compresi i rendiconti redatti dal soggetto gestore stesso o dai terzi depositari. Le risorse dei fondi devono essere depositate presso una banca distinta dal gestore, che è tenuta ad eseguire le istruzioni da questo impartite dopo averne previamente verificato la non contrarietà alla legge, allo statuo del fondo ed ai criteri di investimento stabiliti con decreto del Ministro dell’Economia. Si tratta di individuare le attività nelle quali i fondi pensione possono investire le loro risorse ed i rispettivi limiti massimi di investimento, i criteri di investimento e le regole da osservare in materia di conflitti di interesse. Nel caso di cessazione dell’attività del datore di lavoro che abbia costituito un fondo pensione, si procederà allo scioglimento del fondo per mezzo di un commissario straordinario di nomina ministeriale. AT 45 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo Schemi Power Point AT 46 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo AT 47 Nozioni di diritto della Previdenza Sociale – Ferrante, Tranquillo