Scarica Riassunto perfettamente sostitutivo e molto chiaro di Unione Europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! INTEGRAZIONE DIFFERENZIATA E LE COOPERAZIONI RAFFORZATE A. INTEGRAZIONE DIFFERENZIATA: A partire dal Trattato di Amsterdam, in relazione al progressivo incremento dei campi di azione dell’UE ed al numero dei suoi membri, si è cominciata a prevedere nei Trattati la possibilità di realizzare forme di integrazione differenziata, attraverso il meccanismo della cooperazione rafforzata. INTEGRAZIONE DIFFERENZIATA —> con l’espressione “integrazione differenziata” si suole indicare la possibilità concessa agli Stati membri dell’UE di dare vita a forme di collaborazione basate su ritmi differenti e finalizzate, in relazione alle rispettive capacità ed esigenze, al raggiungimento di obiettivi diversificati (è quella che viene chiamata “l’Europa a due velocità”). Una prima forma di integrazione differenziata era stata realizzata con gli Accordi di Schengen del 1985 e 1990 (= l’accordo sulla soppressione graduale dei controlli alle frontiere comuni), ai quali inizialmente avevano aderito solo alcuni degli Stati membri (Francia, Germania e paesi del Benelux). Con il Trattato di Amsterdam si è poi giunti ad un’istituzionalizzazione della facoltà di procedere ad un’integrazione differenziata, attraverso il meccanismo della cooperazione rafforzata. (Tra le forme di integrazione differenziata più recenti ricordiamo invece il Fiscal Compact ed il Trattato MES, realizzate attraverso la conclusione di accordi internazionali). A partire dal Trattato di Maastricht è stata introdotta una seconda forma di integrazione differenziata, rappresentata dalle clausole di opting out (negoziate in occasione di conferenze intergovernative di revisione dei Trattati e contenute in alcuni Protocolli ad essi allegati), le quali esentano taluni Stati membri dal rispetto di specifiche parti del diritto dell’UE. In questo modo alcuni Stati membri sono sottratti all’obbligo di rispettare parti della disciplina comune che non sono disposti ad accettare per ragioni di carattere politico o giuridico, es. vi sono limiti all’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE per il Regno Unito e la Polonia. B. COOPERAZIONE RAFFORZATA: COOPERAZIONE RAFFORZATA = meccanismo che attribuisce agli Stati membri che intendano perseguire determinate politiche comuni a procedere anche in assenza di una volontà comune, rimanendo però comunque all’interno del sistema dell’UE anziché ricorrere allo strumento pattizio. • Per quanto riguarda il NUMERO DEI PARTECIPANTI —> l’ART. 20 n. 2 TUE prevede che una cooperazione rafforzata possa instaurarsi tra almeno 9 Stati membri, ma l’ ART. 328 TFUE specifica che, comunque, la Commissione e gli Stati membri si devono adoperare perché vi partecipi il maggior numero possibile di Stati. Pertanto, la cooperazione deve essere aperta in qualsiasi momento a tutti gli Stati membri = non solo nel momento della sua instaurazione, ma anche in ogni altro momento successivo. Se uno Stato membro volesse in un secondo momento partecipare ad una cooperazione rafforzata già in corso, deve notificare tale intenzione al Consiglio e alla Commissione e deve essere autorizzato secondo la procedura indicata dall’art.331 TFUE. • Per quanto riguarda il loro OGGETTO —> le cooperazioni rafforzate possono riguardare solo settori in cui l’UE abbia una competenza non esclusiva e devono, in ogni caso, essere volte "a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a proteggere i suoi interessi ed a rafforzare il suo processo di integrazione" (articolo 20 n°1 TUE). Inoltre, le cooperazioni rafforzate devono rispettare i Trattati ed il diritto dell’UE ed in particolare: non devono recare pregiudizio al mercato interno, né alla coesione economica, sociale e territoriale + non possono costituire un ostacolo o una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri, né possono provare distorsioni di concorrenza tra questi ultimi. • Per quanto riguarda la PROCEDURA —> la richiesta di istituire una cooperazione rafforzata va presentata dagli Stati membri interessati alla Commissione, la quale può o inoltrare al Consiglio una proposta a riguardo o può informare gli Stati circa i motivi per i quali decide di non presentare tale proposta. Nel caso di presentazione della proposta al Consiglio, questo decide a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo. (Nel caso di cooperazione rafforzata nel settore della PESC, però, la procedura è diversa: gli Stati membri interessati presentano direttamente la loro richiesta al Consiglio, che decide all’unanimità su parere della Commissione e dell’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Di conseguenza, ognuno degli Stati membri ha un diritto di veto relativamente all’instaurazione di una cooperazione rafforzata da parte di altri Stati membri in tale settore). E’ importante notare che la decisione del Consiglio che autorizza una cooperazione rafforzata può essere adottata solo "in ultima istanza” = qualora esso stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall'Unione nel suo insieme = solo situazioni caratterizzate dall’impossibilità di adottare in un futuro prevedibile una normativa valida per tutta l’UE possono condurre all’adozione di una decisione che autorizza una cooperazione rafforzata. A seguito dell'autorizzazione ad istituire una cooperazione rafforzata, gli Stati membri partecipanti ad essa possono darvi attuazione adottando - secondo le procedure di volta in volta applicabili - gli atti previstiti da queste stesse procedure. Gli atti adottati nell’ambito di una cooperazione rafforzata sono obbligatori solo per gli Stati partecipanti e, se del caso, si applicano solo all'interno di questi ultimi. Solo dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona si sono registrate le prime applicazioni di questo istituto (prima di detto Trattato i profili della procedura di autorizzazione erano troppo restrittivi). Queste cooperazioni rafforzate hanno interessato il settore della cooperazione giudiziaria civile (nello specifico alcuni profili di diritto internazionale privato della famiglia es. per il divorzio) ed il settore dell'istituzione di una tutela brevettuale unitaria. Più di recente, altre cooperazione rafforzata sono state realizzate in due ambiti di grande rilievo: l'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale e l'ambito della difesa. Il risultato è che più organi, rappresentativi di diversi interessi, esercitano congiuntamente i propri poteri nell’ambito di una stessa funzione (es. della funzione legislativa). Alcune istituzioni dell’UE, per la natura dei loro membri e per i poteri di cui sono titolari, possono essere qualificate come istituzioni politiche —> è il caso del Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio e Commissione). La Corte di giustizia dell’UE è invece qualificata come istituzione giudiziaria. A) IL PARLAMENTO EUROPEO Il Parlamento europeo è l’unica istituzione dell’UE direttamente eletta dai cittadini dell’Unione (è una manifestazione dei principi democratici dell’UE). Il Parlamento europeo esercita, insieme al Consiglio sia la FUNZIONE LEGISLATIVA (tranne che in alcune aree in cui si applicano procedure legislative speciali) che la FUNZIONE DI BILANCIO; in più, svolge funzioni di controllo politico e funzioni consultive. I membri del Parlamento europeo sono eletti ogni cinque anni a suffragio universale diretto. • Per quanto riguarda le modalità di elezione: N ci si è riusciti ad accordare su una procedura elettorale uniforme = la procedura elettorale resta disciplinata in ciascuno Stato membro dalle rispettive disposizioni nazionali. Sono stati stabiliti, invece, dei principi comuni contenuti nell’ “Atto relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto” —> tale Atto prevede che le elezioni debbano svolgersi con il metodo proporzionale Quindi, a parte tali principi comuni, la procedura elettorale resta disciplinata in ciascuno Stato membro dalle rispettive disposizioni nazionali = ciascuno Stato membro è competente a determinare i titolari del diritto di voto attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo (comunque nel rispetto dei vincoli derivanti dal diritto dell’UE). Di conseguenza, gli Stati membri possono anche decidere di concedere il diritto di voto a persone che, pur non avendo cittadinanza dell’UE, possiedono stretti legami con essi + possono anche escludere dai beneficiari del diritto di voto per le elezioni del Parlamento europeo le persone alle quali è stata inflitta una condanna penale definitiva per un delitto grave. Ricordiamo che può essere eletto anche un cittadino di uno Stato membro diverso da quello in cui si svolgono le elezioni. • Per quanto riguarda il numero dei componenti del Parlamento europeo: il tetto è di 751 membri (750 deputati + il presidente). A seguito della Brexit il tetto è di 705 membri (compreso il Presidente). La ripartizione dei seggi non è proporzionale alla popolazione degli Stati —> la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale = il criterio demografico non verrà rigorosamente rispettato, l’unica previsione in tal senso è che nessun Paese meno popolato possa avere più seggi di un Paese più popolato. La composizione effettiva del Parlamento europeo è decisa dal Consiglio europeo all’unanimità, su iniziativa e previa approvazione del Parlamento europeo. • Per quanto riguarda lo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni dei parlamentari europei: Sono stabiliti dallo stesso Parlamento europeo,previo parere della Commissione e previa approvazione del Consiglio. I parlamentari sono liberi ed indipendenti: non possono ricevere istruzioni, né mandati imperativi. • Per quanto riguarda le INCOMPATIBILITA’ dei membri del Parlamento europeo (sono stabilite dall’Atto relativizzo all’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto) : - Non può essere deputato europeo chi è anche membro di altre istituzioni dell’UE o di un governo nazionale (quest’ultima incompatibilità deriva dalla caratteristica principale del parlamento europeo, che ha il compito di rappresentare i cittadini e non gli stati) - La carica di parlamentare europeo è incompatibile anche con la carica di parlamentare nazionale (incompatibilità volta a scongiurare il pericolo di assenteismi dovuti alla necessità di adempiere delle incombenze derivanti dalla carica nazionale). Altre incompatibilità possono essere previste dalla legislazione dei singoli Stati membri. • Per quanto riguarda le IMMUNITA’ ed i PRIVILEGI dei membri del Parlamento europeo: - I parlamentari europei non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti per le opinioni o i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni - Per la durata delle sessioni del Parlamento, godono sul territorio nazionale delle immunità riconosciute ai parlamentari del loro paese + sul territorio di ogni altro Stato membro godono dell’esenzione da ogni provvedimento di detenzione o di ogni procedimento giudiziario, anche relativamente ad atti compiuti al di fuori delle loro funzioni. Questa immunità, però, viene meno in caso di flagrante delitto. • Per quanto riguarda l’organizzazione ed il funzionamento del Parlamento europeo: sono disciplinati dal suo regolamento interno (che è l’espressione del potere di auto-regolamentazione di cui gode la maggior parte degli organi di organizzazioni internazionali), che il Parlamento europeo adotta a maggioranza dei membri che lo compongono. Il regolamento interno non potrebbe, in teoria, contenere disposizioni eccedenti i poteri attribuiti al Parlamento europeo dai Trattati; tuttavia, attraverso tale regolamento, il Parlamento a volte ha tentato di dotarsi di poteri non previsti dai Trattati —> un esempio lampante è costituito dalla disposizione del regolamento interno (art.81 n.5) che prevede la preventiva approvazione da parte del Parlamento europeo per i Trattati di adesione all’UE di nuovi Stati membri, approvazione che appunto non è contemplata dall’art. 49 TUE. A volte tali tentativi hanno incontrato l'acquiescenza degli Stati membri, ma sono stati ritenuti annullati dalla Corte di giustizia su ricorso di qualche Stato membro. - In merito all’organizzazione generale, il Parlamento europeo si organizza al proprio interno secondo gruppi politici che condividono idee politiche affini e, quindi, non secondo la nazionalità dei propri componenti. Il regolamento interno stabilisce che, per costituire un gruppo politico, occorre un numero minimo di 25 parlamentari eletti in almeno 1/4 degli Stati membri. - Quanto all’organizzazione dei loro lavori —> i parlamentari europei si suddividono in commissioni permanenti, cui è attribuita una competenza per materia. Il Parlamento europeo elegge al proprio interno un Presidente ed alcuni Vicepresidenti, che rimangono in carica due anni e mezzo (così da favorire l’alternanza dei diversi gruppi politici) —> tutti insieme costituiscono l’ufficio di presidenza; l’ufficio di presidenza nomina un Segretario generale, che è il capo del Segretariato generale del Parlamento. Il Presidente del Parlamento europeo ha visto con il tempo a crescere il suo peso politico, in corrispondenza con l’aumento dei poteri dell’organo stesso. Il TFUE ha stabilito che il Parlamento europeo debba tenere una sessione annuale. All’interno di questa sessione annuale, il Parlamento tiene una tornata plenaria al mese. • Per quanto riguarda la sede del Parlamento europeo: Ha comportato non pochi scontri tra gli Stati membri, praticamente tutti interessati ad ospitarne le sedute e soprattutto tra Francia e Lussemburgo. Alla fine, la sede del Parlamento europeo è fissata a Strasburgo = qui si tengono le 12 tornate plenarie mensili. Le tornate plenarie aggiuntive e le Commissioni si riuniscono invece a Bruxelles. Il Segretariato generale del Parlamento europeo ed i suoi servizi sono a Lussemburgo. • Per quanto riguarda le DELIBERAZIONI del Parlamento europeo: Il Parlamento europeo, se i Trattati non dispongono diversamente, delibera a maggioranza dei suffragi espressi. Il quorum è raggiunto quando sia presente in aula 1/3 dei membri del Parlamento ma le votazioni sono valide comunque anche se questo quorum non è raggiunto, a meno un certo numero di parlamentari richieda la verifica della mancanza del quorum e da questa verifica risulti la mancanza del quorum stesso. Per le delibere più importanti, invece, è richiesta la maggioranza assoluta dei membri del Parlamento europeo, ad es. per l’approvazione del proprio regolamento interno o in materia di procedura semplificata di revisione dei trattati. C) IL CONSIGLIO Il Consiglio è un organo collegiale di Stati che ha il compito primario di esercitare, congiuntamente al Parlamento europeo, la FUNZIONE LEGISLATIVA e la FUNZIONE DI BILANCIO. Il loro esercizio congiunto implica che occorra in via generale l’accordo delle due istituzioni, cioè sia del Consiglio che rappresenta gli Stati membri nei loro interessi particolari, sia del Parlamento europeo che rappresenta i cittadini dell’UE. Vi sono però delle eccezioni a quest’esercizio congiunto, che vedremo. Di conseguenza, in via sempre generale, il mancato accordo di queste due istituzioni paralizza l’azione dell’UE, in quanto nessuna delle due può indirizzare tale azione esclusivamente secondo il suo volere. Oltre a queste due funzioni, il Consiglio ha anche il compito di definire le politiche ed il compito di coordinamento, alle condizioni stabilite dai trattati. Inoltre, il Consiglio è inoltre titolare di un potere generale di emanare raccomandazioni. • La composizione: Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, che sia in grado di impegnare il governo dello Stato membro. Questa formulazione così ampia comporta una maggiore flessibilità = implica la partecipazione alle riunioni di Ministri/sottosegretari/qualsiasi altra figura di rango ministeriale; ciò va sicuramente a favore degli ordinamenti federali come la Germania, che non ha un unico ministro (ma un ministro per ogni Land) e, di conseguenza, la previsione della partecipazione necessaria di un "ministro" creerebbe difficoltà di individuazione. Inoltre, la norma è stata interpretata abbastanza elasticamente, cosi che ad alcune riunioni del Consiglio, quando i ministri o i sottosegretari sono impossibilitati, partecipano funzionari governativi di rango inferiore, quali i membri del COREPER. • La presidenza del consiglio: La presidenza del Consiglio e, quindi, delle sue formazioni, è esercitata dai suoi membri secondo un sistema di rotazione paritaria, con la sola eccezione della presidenza della formazione "affari esteri", che spetta di diritto all'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Questo sistema di rotazione paritaria è stato stabilito dal Consiglio europeo con decisione adottata a maggioranza qualificata —> il Consiglio europeo ha stabilito che la Presidenza del Consiglio e delle sue formazioni (sempre con esclusione della formazione “affari esteri”) venga esercitata da gruppi predeterminati di 3 Stati membri per un periodo di 18 mesi, nell'arco del quale ciascuno di tali Stati esercita a turno la presidenza per un periodo di 6 mesi, mentre gli altri due Stati lo assistono in tale compito. I gruppi di 3 Stati vengono determinati sulla base di un sistema di rotazione paritaria degli Stati membri, tenendo conto della loro diversità e degli equilibri geografici dell’Unione. Le modalità di determinazione dei gruppi di tre Stati membri e dell’ordine in cui i singoli Stati membri sono chiamati ad esercitare la presidenza, sono stabilite dal Consiglio. • Le riunioni del Consiglio: Il Consiglio si riunisce in varie formazioni, che corrispondono ai settori di attività dell’UE. L’elenco di tali formazioni è stabilito dal Consiglio europeo con decisione adottata a maggioranza qualificata. Tale elenco deve comprendere: - una formazione “affari generali” che assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio e che prepara le riunioni del Consiglio europeo - una formazione “affari esteri” che elabora l’azione esterna dell’UE secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’UE nel settore. Attualmente, le formazioni del Consiglio sono 10 e coprono nel complesso tutti i settori di attività dell’UE. Il Consiglio, nelle sue varie formazioni, si riunisce su convocazione del suo Presidente, per iniziativa di quest’ultimo o di uno dei suoi membri oppure su iniziativa della Commissione = il Consiglio, quindi, NON è un organo permanente. Per ovviare agli inconvenienti creati dalla crescente frequenza delle riunioni, si è sviluppata la prassi della procedura scritta, secondo cui il testo di una determinata risoluzione viene inviato ai vari Stati membri, che manifestano per iscritto il proprio dissenso o assenso senza la necessità di una riunione —> il ricorso a questa procedura richiede, però, l'unanimità del Consiglio o del COREPER. • “Assistenti” del Consiglio: Il Consiglio è assistito da un Segretario generale (che svolge le stesse funzioni di assistenza anche nei confronti del Consiglio europeo) e dal COREPER. IL COREPER : Il COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti) è composto dai rappresentanti permanenti di ciascuno Stato membro, ossia i rappresentanti diplomatici che ciascuno Stato membro accredita presso l’UE (= sono ambasciatori dell’Unione Europea). A differenza del Consiglio, il Coreper è un organo permanente. Il Coreper svolge un ruolo cardine nel processo decisionale dell’Unione —> coordina e prepara i lavori di tutte le riunioni del Consiglio ed esegue i compiti che il Consiglio gli assegna. In sostanza, il Coreper filtra le proposte della Commissione: o bloccando proprio le proposte che gli Stati membri non sono nemmeno preparati a discutere o, se non le blocca, esprimendo un accordo un anime su di esse, con la conseguenza che: - tali proposte vengono poi sottoposte al Consiglio per la sola ratifica formale (punti A dell’ordine del giorno), oppure: - inoltra al Consiglio per la discussione quelle più problematiche (punti B) E’ ovvio che in questo modo il COREPER frena il potere di iniziativa della Commissione. I lavori del Coreper sono preparati da numerosi gruppi di lavoro specializzati per materia (composti da funzionari di ciascuno Stato membro), che compiono un primo esame di carattere tecnico delle proposte della Commissione. • Le deliberazioni del Consiglio: Quando i Trattati non dispongono diversamente (ad es. per le decisioni importanti come l'adesione di nuovi Stati per la quale è richiesta l’unanimità), il Consiglio delibera a maggioranza qualificata. Il sistema di voto a maggioranza qualificata comporta la necessità di una doppia maggioranza: il consenso di almeno 55% dei membri del Consiglio, con un minimo di 15 Stati che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Si tiene, così, conto sia degli Stati individualmente considerati (ad ogni Stato viene attribuito un voto), che dell’ “importanza” degli stessi sulla base della loro popolazione (per evitare che una decisione possa essere adottata solo dagli Stati più piccoli, in quanto questi non raggiungerebbero il secondo requisito del 65% della popolazione). La “minoranza di blocco”,cioè il numero di Stati in grado di bloccare con il loro dissenso il raggiungimento della suddetta maggioranza, necessita di almeno 4 Stati contrari alla proposta (la regola di almeno 4 paesi evita che 3 paesi popolosi possano bloccare una decisione approvata dagli altri 24 paesi). NB: Regole lievemente diverse sono previste nel caso in cui il Consiglio non deliberi su proposta della Commissione o dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e della politica di sicurezza, ma di sua iniziativa o su proposta proveniente da altri soggetti —> in tali casi, è richiesto il consenso del 72% dei membri del Consiglio (anziché il 55%), mentre la maggioranza richiesta per la popolazione resta al 65%. Queste regole sulla maggioranza qualificata, previste dal Trattato di Lisbona, non sono tuttavia entrate in vigore contestualmente a quest’ultimo, ma solo dal 2014 (fino al 2014, quindi, ha continuato ad applicarsi, per il calcolo della maggioranza qualificata, il sistema di ponderazione dei voti stabilito dal Trattato di Nizza). L’introduzione del nuovo sistema di calcolo della maggioranza qualificata è stata accompagnata da ulteriori cautele, per rendere più difficile l’adozione di decisioni a maggioranza qualificata e, quindi, per favorire gli Stati dissenzienti. Il Compromesso di Ioannina prevede che, se un numero di membri del Consiglio che rappresenta a) almeno il 55% della popolazione necessaria per costituire una minoranza di blocco, oppure b) almeno il 55% degli Stati membri necessari per costituire una minoranza di blocco, manifesta l’intenzione di opporsi all’adozione di un atto a maggioranza qualificata, il Consiglio prosegue la discussione per un periodo di tempo ragionevole, con l’obiettivo di pervenire a una situazione soddisfacente per gli Stati dissenzienti, anche se minoritari. Questo dimostra l’attaccamento da sempre dimostrato dagli Stati membri alla regola dell’unanimità. Per quanto riguarda i casi in cui il Consiglio decide all’unanimità, sono ancora tantissime le disposizioni che prevedono ancora che il Consiglio deliberi all’unanimità in tantissime materie. Questo conferma di nuovo l’attaccamento degli Stati membri alla regola dell’unanimità. • La nomina dei membri della Commissione: La procedura di nomina dei membri della Commissione si svolge in più fasi: 1) il Consiglio europeo, a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di Presidente della Commissione. La proposta va formulata dopo aver effettuato le consultazioni appropriate e tenendo conto delle elezioni al Parlamento europeo —> è infatti il Parlamento europeo che deve eleggere, a maggioranza dei membri che lo compongono, il Presidente della Commissione proposto dal Consiglio europeo. 2) Una volta eletto il Presidente della Commissione, il Consiglio adotta, in accordo con tale Presidente, l’elenco degli altri candidati che poi propone di nominare come Commissari (fatta eccezione per l’Alto rappresentante). Tale elenco è stabilito in base alle proposte presentate dagli Stati membri. 3) Infine il Presidente, l’Alto rappresentante e gli altri Commissari così designati sono soggetti, collettivamente e non individualmente, a un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo. 4) Dopo tale approvazione, l’intera Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata. NB: sebbene l’approvazione del Parlamento europeo sia richiesta solo per la nomina dell’intera Commissione, il Parlamento europeo ha instaurato la prassi di procedere, prima del voto di approvazione, ad audizioni pubbliche dei candidati Commissari. • La durata del mandato dei Commissari: I Commissari durano in carica 5 anni. Oltre che per decorrenza del termine, essi vengono a scadere anche per decesso, dimissioni d’ufficio (richieste dal Presidente della Commissione o dichiarate dalla Corte di giustizia) o dimissioni volontarie. Il Consiglio, d’accordo con il Presidente della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, li sostituisce con un membro della stessa nazionalità per la restante parte del mandato (tranne per la sostituzione del Presidente o dell’Alto rappresentante, per i quali si deve ricorrere alla stessa procedura prevista per la loro nomina). Il Consiglio può anche decidere di non coprire il posto vacante (tranne che si tratti del Presidente o dell’Alto rappresentante, che devono essere necessariamente sostituiti), es. se manca poco alla scadenza del mandato. • Il Presidente della Commissione: Il Presidente della Commissione gode di molti poteri; tra questi: - Definire gli orientamenti generali della Commissione e dei suoi compiti - Decidere sull’organizzazione interna della Commissione - Nominare i Vicepresidenti (eccetto per l’Alto rappresentante, che è Vicepresidente di diritto) - Il suo potere più importante è quello di obbligare un Commissario a rassegnare le dimissioni (anche in questo caso con la sola eccezione dell’Alto rappresentante, al cui mandato solo il Consiglio europeo può porre fine). NB: l’esercizio di questo potere non è legato ad alcun inadempimento del Commissario, ma risponde solo a valutazioni di opportunità politica. Vediamo ora più nello specifico la figura dell’ ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA DI SICUREZZA: L’Alto rappresentante è nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione. Il Consiglio europeo ha anche il potere di porre fine al suo mandato, seguendo la medesima procedura. Il Parlamento europeo non è coinvolto nella nomina dell’Alto rappresentante, ma i suoi poteri riguardanti l’approvazione di tutti i membri della Commissione nel suo complesso, coinvolgono anche l’Alto rappresentante. Per quanto riguarda i suoi compiti, esso: - guida la politica estera e di sicurezza comune dell’UE, attuando tale politica in qualità di “mandatario” del Consiglio - presiede il Consiglio “Affari esteri” L’Alto rappresentante, come appena visto, è anche membro della Commissione, della quale è di diritto uno dei Vicepresidenti —> nell’ esercizio di queste funzioni, l’Alto rappresentante si avvale del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE). Questo cumulo di funzioni, tuttavia, espone nello stesso tempo l’Alto rappresentante a una duplice lealtà: nei confronti del Consiglio e nei confronti della Commissione , che sono interessi non sempre conciliabili. Da ciò ne discende il rischio di attriti tra l’Alto rappresentante e gli altri membri della Commissione, in particolare il suo Presidente. E) LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha sede a Lussemburgo ed è concepita come istituzione unitaria, ma si articola in una pluralità di organi giurisdizionali: - Corte di giustizia - Tribunale - tribunali specializzati (anche se attualmente non ne esistono di questo tipo) • Il compito della CGUE: Ha il compito di assicurare “il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati” —> l’azione della Corte è fondamentale per assicurare sia la corretta applicazione del diritto dell’UE da parte degli Stati membri, sia la sua interpretazione uniforme. • Le funzioni della CGUE: La Corte ha essenzialmente tre funzioni: - Si pronuncia in via pregiudiziale su “questioni pregiudiziali” sollevate dai giudici nazionali degli Stati membri —> il rinvio pregiudiziale dà al giudice nazionale facoltà di chiedere alla Corte una pronuncia sull’interpretazione o sulla validità di una norma comunitaria quando siffatta pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui il giudice nazionale è investito. - Si pronuncia in via contenziosa sui ricorsi presentati da Stati membri, istituzioni dell’UE o persone fisiche/giuridiche - Ha il potere di formulare pareri nell’ambito della sua funzione consultiva • La sua disciplina: L’organizzazione ed il funzionamento della CGUE sono disciplinati, oltre che dai Trattati, dallo Statuto della stessa —> questo statuto ha rango di fonte primaria dell’ordinamento dell’UE. • La composizione: La CGUE è composta da un giudice per Stato membro ed è assistita da avvocati generali, il cui numero è stato aumentato a 11. La Corte si riunisce in seduta plenaria solo in casi di eccezionale importanza, mentre, normalmente, le varie cause vengono affidate a sezioni composte da 3 o 5 giudici / alla grande sezione composta da 15 giudici. • La figura dell’avvocato generale: L’avvocato generale non è né un pubblico ministero, né il titolare dell’azione davanti alla Corte —> egli è membro della Corte, che ha l’ufficio di presentare pubblicamente - con assoluta imparzialità e in piena indipendenza - conclusioni motivate sulle cause che richiedono il suo intervento. Il suo, quindi, non è un intervento obbligatorio: la Corte può escludere la necessità del suo intervento quando la causa non solleva nuove questioni di diritto. Inoltre, la CGUE non è vincolata all’accoglimento delle conclusioni dell’avvocato generale. F) LA BANCA CENTRALE EUROPEA La BCE e le banche centrali nazionali di tutti gli Stati membri costituiscono il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC). La disciplina della BCE e del SEBC si rinviene, oltre che nei Trattati, anche nello Statuto del SEBC e della BCE. L’ Eurosistema raggruppa la BCE e le Banche Centrali Nazionali degli Stati membri dell'UE che hanno adottato l'euro. La sede della BCE è a Francoforte. • I compiti: Al SEBC è affidata la gestione della politica monetaria —> l’obiettivo principale di tale politica è la stabilità dei prezzi, che la stessa BCE ha quantificato in un livello di inflazione inferiore al 2% nel medio termine. La SEBC, inoltre, sostiene le politiche economiche generali dell’UE al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’UE. • Lo status della BCE: Il TFUE attribuisce alla BCE una personalità giuridica distinta rispetto a quella dell’UE e dispone che la BCE è indipendente, nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze, da istituzioni/organi/organismi dell’UE, nonché dai governi degli Stati membri. • L’indipendenza della BCE e delle banche centrali nazionali: La BCE e le banche centrali nazionali devono essere indipendenti = - indipendenza istituzionale —> la BCE e le banche centrali nazionali non possono ricevere ordini né istruzioni dalle altre istituzioni dell’UE - indipendenza personale —> gli individui che compongono i loro organi non possono subire influenze - indipendenza funzionale —> in quanto la BCE dispone di tutti i poteri necessari per l’esercizio delle sue funzioni - indipendenza finanziaria —> la BCE dispone di proprie risorse finanziarie e ha un proprio bilancio, separato da quello dell’UE. La forte indipendenza di cui gode la BCE ha lo scopo di mettere al riparo la politica monetaria da pressioni dei governi, potenzialmente desiderosi di misure efficaci sulla crescita a breve termine. Tale indipendenza comporta, però, che la BCE sia anche sottratta a un effettivo controllo politico da parte del Parlamento europeo. A ciò si cerca di ovviare con un rafforzamento dei meccanismi volti a garantire la trasparenza della sua azione; a tale riguardo, la BCE pubblica tutte le informazioni rilevanti sulla politica monetaria. Sul piano giuridico, invece, rimane ferma la giurisdizione della Corte di giustizia sugli atti della BCE. • Organizzazione interna della BCE La BCE si compone di tre organi, che sono: A. Il comitato esecutivo —> comprende il Presidente, il Vicepresidente e altri 4 membri. Tutti questi membri sono nominati dal Consiglio europeo tra persone di riconosciuta esperienza nel settore monetario o bancario e che abbiano la cittadinanza di uno Stato membro. Il loro mandato ha una durata di 8 anni e non è rinnovabile, il comitato esecutivo è responsabile della gestione degli affari correnti della BCE. B. Il consiglio direttivo —> comprende i membri del comitato esecutivo nonché i governatori delle banche centrali nazionali degli Stati membri la cui moneta è l’euro. Esso formula la politica monetaria dell’UE. C. Il consiglio generale —> comprende il Presidente e il Vicepresidente della BCE e i governatori delle banche centrali nazionali di tutti gli Stati membri, inclusi quelli che non hanno ancora adottato la moneta unica. Tra i suoi compiti rientra quello di favorire il coordinamento tra l’Eurosistema e le banche centrali degli Stati membri che non hanno adottato l’euro. G) LA CORTE DEI CONTI La Corte dei conti assicura il controllo dei conti dell’UE. In particolare, essa controlla la legittimità e la regolarità delle entrate e delle spese dell’UE e ne accerta la sana gestione finanziaria. Il suo controllo è, quindi, esterno, in quanto effettuato sulle entrate e sulle uscita di altri organi/organismi/istituzioni dell’UE. La Corte dei conti esercita anche in alcuni casi una funzione consultiva e può essa stessa ricorrere alla Corte di giustizia per salvaguardare le proprie prerogative. La sede della Corte dei conti è a Lussemburgo. • La composizione: La Corte dei conti è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro ed è esercita le sue funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’UE. I suoi membri sono scelti tra personalità che fanno/hanno fatto parte, nei rispettivi paesi, delle istituzioni di controllo esterno o che possiedono comunque una qualifica specifica per tale funzione. Ad essi sono sostanzialmente richieste le stesse garanzie di indipendenza, incompatibilità ed immunità dei giudici della Corte di giustizia. La Corte dei Conti è quindi un organo collegiale di individui. ALTRI ORGANI ED ORGANISMI A parte le istituzioni sopra menzionate (che costituiscono il quadro istituzionale dell’UE), esistono nell’UE anche molti altri organi e organismi, alcuni dei quali già previsti nei Trattati originari, altri aggiunti successivamente. 1) IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE ED IL COMITATO DELLE REGIONI: Tra questi, ne assumono particolare rilievo due Comitati, in quanto attraverso le loro funzioni consultive assistono il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Si tratta del: •COMITATO ECONOMICO E SOCIALE—> è composto da rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro, di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della società civile = il Comitato economico e sociale è la sede di rappresentanza della società civile ed organizzata, a ulteriore conferma del fatto che l’UE non si limita a realizzare una cooperazione tra Stati, ma coinvolge in maniera immediata i loro cittadini. • COMITATO DELLE REGIONI —> è composto da rappresentanti delle collettività regionali e locali, i quali devono essere titolari di un mandato elettorale nell’ambito di una di tali collettività o comunque responsabili politicamente verso un’assemblea eletta = è la sede di rappresentanza delle collettività regionali e locali. Sono molti i tratti comuni tra Comitato economico e sociale e Comitato delle regioni: - entrambi sono organi collegiali di individui, in quanto i loro membri non sono vincolati da alcun mandato imperativo ed esercitano le loro funzioni consultive in piena indipendenza e nell’interesse generale dell’UE - il numero dei loro componenti non può essere superiore a 350 - in entrambi i casi all’Italia sono attribuiti 24 membri. - l’elenco dei componenti dei due Comitati è adottato dal Consiglio, previa consultazione della Commissione. Per il solo Comitato delle regioni viene anche nominato un numero di supplenti uguale a quello dei suoi componenti I pareri emessi dai due Comitati nell’ambito della loro funzione consultiva e indirizzati al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione, possono essere: A) obbligatori —> quando i Trattati prevedono che un determinato atto non possa essere adottato senza averli preventivamente ottenuti. Quando il parere è obbligatorio, la sua mancanza rende l’atto impugnabile per violazione delle forme sostanziali. Tuttavia, tale impugnazione è riconosciuta solo al Comitato delle regioni. Ricordiamo anche che il Comitato delle regioni può proporre ricorso alla Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà relativamente ad atti legislativi per la cui adozione sia richiesta la sua consultazione. B) facoltativi —> quando i destinatari dei pareri hanno la facoltà, ma non l’obbligo di richiederli C) possono essere formulati di propria iniziativa da entrambi i Comitati. Il potere di iniziativa: La procedura è avviata quando la Commissione presenta una proposta legislativa al Consiglio e al Parlamento europeo —> “un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente”. L’effettiva portata del potere di iniziativa delle Commissione si è venuta, però, progressivamente attenuando: - Il dialogo tra la Commissione e il Consiglio è stato sostituito da un dialogo tra la Commissione e il COREPER, che, in quanto organo permanente (a differenza del Consiglio), finisce con il condizionare notevolmente il potere di iniziativa della Commissione, dato che ne passa al vaglio tutte le proposte. - Un altro condizionamento al potere di iniziativa della Commissione è stato poi introdotto a seguito del graduale affermarsi del Consiglio europeo come sede di definizione degli orientamenti e delle priorità politiche dell’UE, che la Commissione deve tener conto nelle proprie proposte. - Va aggiunto che la presentazione di una proposta da parte della Commissione su una determinata materia può può avvenire anche sulla base di una specifica richiesta del Consiglio, del Parlamento europeo o di almeno un milione di cittadini; a tali richieste, tuttavia, non corrisponde un obbligo della Commissione di presentare una proposta. - Inoltre, anche se proposta della Commissione costituisce la regola nell’ambito delle procedure legislative, in alcuni casi specifici determinati dai Trattati, gli atti legislativi possono essere adottati su iniziativa di un gruppo di Stati membri o dal Parlamento europeo, su raccomandazione della BCE o su richiesta della Corte di giustizia o della BEI. Tali casi circoscritti, non escludono comunque, l’esercizio di potere di iniziativa da parte della Commissione. Tornando all’ipotesi in cui è necessaria la proposta della Commissione, ovviamente il Consiglio può adottare o meno un atto conforme alla proposta della Commissione, ma può emendarla (= correggerla) solo deliberando all’unanimità. NB: gli emendamenti del Consiglio non possono snaturare la proposta della Commissione. Fin quando il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può in qualsiasi momento modificare la propria proposta. Di recente, la Corte di giustizia ha riconosciuto alla Commissione anche il potere di ritirare la propria proposta, sebbene tale potere non sia espressamente previsto dai Trattati, precisando che la Commissione deve adeguatamente motivare il ritiro e che questo deve avvenire sulla base di “elementi convincenti” es. se l’emendamento del Parlamento o del Consiglio stravolge la proposta della Commissione, la Commissione ha il diritto di ritirarla. Va inoltre ricordato che ogni proposta di atto legislativo dell’UE, da chiunque provenga, deve essere trasmessa ai Parlamenti nazionali e deve essere adeguatamente motivata sotto il profilo dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, ivi compreso il suo impatto finanziario. 1. LA PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA La procedura legislativa ordinaria consiste “nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione” = è una procedura di codecisione ove Parlamento europeo e Consiglio sono co-legislatori. La procedura legislativa ordinaria costituisce la modalità più diffusa di adozione degli atti legislativi. • Le caratteristiche: Tale procedura si caratterizza per i seguenti elementi fondamentali: a) I provvedimenti sottoposti a tale procedura possono essere adottati solo con il consenso di entrambe le istituzioni, ossia Consiglio e Parlamento europeo = a ciascuna compete un diritto di veto e nessuna delle due è in grado da sola di determinare l’adozione di un atto secondo il suo volere b) In caso di dissenso tra Parlamento europeo e Consiglio, si convoca un comitato di conciliazione paritetico, con il compito di raggiungere un accordo (in assenza del quale il provvedimento non viene adottato) c) Se vi è l’accordo del Parlamento europeo, nelle ultime fasi della procedura il Consiglio può adottare anche a maggioranza qualificata un atto che contenga emendamenti alla proposta della Commissione d) La Commissione svolge il ruolo di mediatore tra Consiglio e Parlamento europeo, nel quadro di una cooperazione tra le 3 istituzioni che è l’indispensabile presupposto di questa procedura. • Le fasi della procedura: 1) La procedura legislativa ordinaria inizia con la presentazione di una proposta da parte della Commissione (salvo rare eccezioni), simultaneamente al Consiglio e al Parlamento europeo. 2) Il Parlamento europeo esamina la proposta ed inoltra al Consiglio la sua posizione. 3) - Se il Consiglio approva tale posizione (deliberando a maggioranza qualificata, ma all’unanimità se vuole apportare degli emendamenti), l’atto è adottato e la procedura si conclude. - Se, invece, il Consiglio non è d’accordo sulla posizione del Parlamento europeo, esso formalizza la propria posizione e la trasmette al Parlamento europeo per una nuova lettura —> questa fase è chiamata “PRIMA LETTURA”. Si passa quindi al punto 4. 4) E’ la fase della “SECONDA LETTURA” —> Il Parlamento europeo esamina la posizione del Consiglio entro 3 mesi dalla trasmissione e può: A) approvarla = l’atto si considera adottato e la procedura si conclude (lo stesso avviene anche se il Parlamento europeo non si pronuncia entro i 3 mesi) B) respingerla (a maggioranza dei membri che lo compongono) = l’atto si non entra in vigore e la procedura si conclude con un insuccesso C) proporre emendamenti alla posizione del Consiglio, sui quali la Commissione deve formulare un parere. In questo caso si passa al punto 5. 5) A sua volta il Consiglio, entro ulteriori 3 mesi dalla comunicazione di tale emendamenti, può: a) approvare tutti gli emendamenti, così che l’atto è adottato e la procedura si conclude b) non approvare tutti gli emendamenti, con la conseguente convocazione di un comitato di conciliazione. Si passa in questo caso al punto 6 6) Alla seconda lettura segue, se appunto il Consiglio non approva tutti gli emendamenti, la FASE DELLA CONCILIAZIONE —> il comitato di conciliazione, composto dai membri del Consiglio e da un numero uguale di membri del Parlamento europeo, ha il compito di raggiungere un accordo su un progetto comune, che deve essere approvato a maggioranza qualificata dei membri/rappresentanti del Consiglio e a maggioranza dei rappresentanti del Parlamento europeo. La Commissione partecipa ai lavori del comitato, prendendo ogni iniziativa necessaria per favorire un riavvicinamento tra le posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio. - Se entro 6 settimane dalla convocazione il comitato di conciliazione non raggiunge un accordo, l’atto si considera non adottato e la procedura si conclude con un insuccesso. - Se, invece, il comitato di conciliazione raggiunge un accordo su un progetto comune, si passa alla fase della “terza lettura” di cui al punto 7. 7) TERZA LETTURA —> Parlamento europeo e Consiglio hanno entrambi un termine di 6 settimane per adottare l’atto (deliberando, rispettivamente, a maggioranza dei voti espressi e a maggioranza qualificata). - Se lo fanno, l’atto è adottato e la procedura si conclude con successo - In caso contrario, l’atto si considera non adottato e la procedura si conclude con un insuccesso. Precisazioni: - Nella fase della conciliazione ed in quella della terza lettura, il Consiglio può approvare emendamenti alla proposta della Commissione a maggioranza qualificata, non più all’unanimità. - I termini di 3 mesi e di 6 settimane sono prorogabili. Conclusioni finali: Nonostante i miglioramenti apportati con le varie revisioni dei Trattati, la procedura legislativa ordinaria resta articolata e laboriosa. Nella prassi, si cerca di ovviare a queste difficoltà attraverso i “triloghi” = contatti informali tra rappresentanti del Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione, mediante i quali si mira a trovare un accordo prima ancora che il Parlamento e il Consiglio procedano alla prima lettura, così che l’atto possa poi essere adottato già in questa prima fase. Tale prassi, se da un lato agevola un esito positivo della procedura legislativa, dall’altro ha però l’effetto di ridurre la trasparenza del processo legislativo. È dunque importante, in questa prospettiva, la recente sentenza in cui il Tribunale dell’UE ha affermato il diritto di accesso del pubblico ai documenti dei triloghi. B) LA FUNZIONE NORMATIVA DELEGATA Oltre all’emanazione di atti legislativi, nell’UE è prevista anche l’emanazione di ATTI NORMATIVI DELEGATI e di atti di esecuzione (che vedremo dopo) che comporta in entrambi i casi l’attribuzione di poteri decisionali alla Commissione (salvo le limitate ipotesi in cui è il Consiglio ad esercitare competenze di esecuzione). ATTI DELEGATI —> Un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di emanare atti, definiti atti non legislativi di portata generale, che integrano o modificano elementi non essenziali dello stesso atto legislativo. La ratio è quella di evitare di ricorrere - per integrazioni/modificazioni di elementi non essenziali - ad atti eccessivamente dettagliati (atti legislativi), che sono sottoposti alle complesse procedure legislative appena viste. Tali atti così delegati alla Commissione, avendo anch’essi portata generale, sono quindi dei veri e propri atti normativi di competenza della Commissione, pur se definiti “non legislativi”. Essi hanno, però, un rango inferiore rispetto agli atti legislativi —> infatti, l’atto legislativo che contiene la delega alla Commissione, deve esplicitamente delimitare “gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere”. Inoltre, tale atto legislativo di delega deve fissare le condizioni cui è soggetta la delega stessa; tali condizioni possono essere di due tipi: - In primo luogo, l’atto legislativo può attribuire al Parlamento europeo e al Consiglio il potere di revocare (anche disgiuntamente) la delega. - In secondo luogo, l’atto legislativo può disporre che l’atto delegato possa entrare in vigore solo se, entro un termine fissato, né il Parlamento europeo né il Consiglio hanno sollevato obiezioni. Quindi, al Parlamento europeo e al Consiglio è attribuito un potere di controllo sugli atti delegati. Gli atti delegati devono contenere la denominazione “delegato” o “delegata” -> si tratterà, quindi, di “regolamenti delegati", “direttive delegate” o “decisioni delegate". Precisazioni: - Non vi possono però essere decisioni delegate a portata individuale, in quanto gli atti delegati sono atti a portata generale. - Non vi possono essere atti delegati che vertano su elementi essenziali dell’atto legislativo contenente la delega. Ma quali sono gli elementi essenziali di un atto legislativo? La Corte di giustizia ha recentemente affermato che “un elemento ha carattere essenziale se la sua adozione richiede scelte politiche rientranti nelle responsabilità proprie del legislatore dell’Unione, o se permette ingerenze talmente incisive nei diritti fondamentali delle persone coinvolte, da rendere necessario l’intervento del legislatore dell’Unione.” C) LA FUNZIONE ESECUTIVA Gli atti delegati alla Commissione si distinguono concettualmente dagli ATTI DI ESECUZIONE = atti meramente esecutivi degli atti giuridicamente vincolanti dell’UE. Essi sono destinati ad operare all’interno di ciascuno Stato membro e, perciò, sono le autorità nazionali ad essere preposte all’esecuzione degli stessi. La ratio degli atti di esecuzione è quella di precisare il contenuto di un atto legislativo, per garantire la sua attuazione a condizioni uniformi in tutti gli Stati membri. E’ un modello decentralizzato di esercizio del potere esecutivo in capo agli Stati membri —> gli Stati membri devono adottare tutte le misure di diritto interno necessarie per l’attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’UE. • L’esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti: Qualora siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione, gli atti giuridicamente vincolanti dell’UE possono attribuire la relativa competenza di esecuzione alla Commissione —> a tali atti della Commissione deve essere aggiunta la denominazione “di esecuzione”: vi sono, pertanto, regolamenti di esecuzione, direttive di esecuzione, decisioni di esecuzione. La competenza di esecuzione può essere attribuita anche al Consiglio, ma solo “in casi specifici debitamente motivati”. • Il controllo dell’esecuzione: Mentre l’esercizio da parte della Commissione della funzione normativa delegata è soggetto, come detto, al controllo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, l’esercizio delle sue competenze di esecuzione è sottoposto a un controllo da parte degli Stati membri, secondo modalità stabilite dal Consiglio e dal Parlamento europeo —> si è affermato, al riguardo, il sistema della comitologia, consistente nell’affiancare alla Commissione dei comitati composti da rappresentati degli Stati membri (e presieduti da un rappresentante della Commissione), ai quali la Commissione è tenuta a chiedere un parere sui progetti degli atti di esecuzione che essa intende emanare. A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il sistema della comitologia è stato profondamente riformato: è stato stabilito che l’atto di base può prevedere l’applicazione di: - Una procedura consultiva —> la Commissione deve sottoporre il progetto di atto di esecuzione al comitato, ma non è obbligata a seguirne il parere. - O di una procedura d’esame —> la Commissione può adottare l’atto di esecuzione solo se il parere del comitato è positivo, mentre non può farlo se il parere del comitato è negativo; se il comitato non raggiunge la maggioranza qualificata necessaria per deliberare in un senso o nell’altro, la Commissione può adottare l’atto di esecuzione solo se questo non riguarda alcune materie particolarmente sensibili. Nei casi in cui non può adottare l’atto di esecuzione, la Commissione può sottoporre una versione modificata del proprio progetto al comitato, oppure presentare il progetto originario a un comitato di appello. D) LA FUNZIONE DI CONTROLLO POLITICO L’UE prevede una funzione di controllo in riferimento alle istituzioni che partecipano all’esercizio del potere legislativo e di quello esecutivo, nonché nei confronti degli Stati membri. Tale controllo è di duplice tipo: - Da una parte vi è un controllo di natura politica in riferimento all’operato di tali istituzioni. - Dall’altra vi è un controllo di natura giuridica, che riguarda sia le istituzioni dell’UE che gli Stati membri. Nei confronti degli Stati membri, tale controllo è relativo all’adempimento degli obblighi che gravano su di essi sulla base dei Trattati. Nei confronti delle istituzioni dell’UE, tale controllo si traduce in un giudizio di legittimità sui loro atti, nonché sull’eventuale inadempimento del loro obbligo. Tratteremo ora del controllo di natura politica. E’ il Parlamento europeo a detenere i poteri di controllo di natura politica, come avviene anche per i poteri dei quali godono i Parlamenti nazionali negli Stati. La somiglianza, però, si ferma ad aspetti per lo più formali, in quanto il Parlamento europeo dispone di significativi poteri di controllo nei confronti della sola Commissione e non, invece, nei confronti delle istituzioni responsabili dell’azione dell’UE, ossia il Consiglio europeo e il Consiglio (bisogna ammettere che un controllo politico da parte del Parlamento europeo sul Consiglio europeo o sul Consiglio sarebbe incompatibile con la natura dell’UE). Quindi, il controllo politico del Parlamento europeo si estrinseca essenzialmente nei confronti della sola Commissione, e ha la sua più importante manifestazione nel potere di approvare una mozione di censura nei confronti della Commissione stessa. • LA MOZIONE DI CENSURA: In qualsiasi momento almeno un decimo dei Parlamentari europei può presentare al Presidente del Parlamento europeo una mozione di censura sull’operato della Commissione, perché questa venga messa ai voti ed eventualmente approvata. A seguito dell’approvazione di una mozione di censura, i membri della Commissione sono costretti collettivamente a dare le dimissioni, incluso l’Alto rappresentante che, però, cessa solo dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione, non anche da quelle che svolge nell’ambito del Consiglio. Ne deriva che, anche nell’ipotesi in cui la sfiducia del Parlamento si riferisca all’operato di un singolo Commissario, in virtù della responsabilità collegiale della Commissione, tutti i suoi membri devono abbandonare le loro funzioni. Date le gravi conseguenze che vi sono ricollegate, la procedura per l’approvazione di tale mozione è circondata da particolari garanzie: 1. il Parlamento europeo non può pronunciarsi su tale mozione prima che siano trascorsi almeno 3 giorni dalla sua presentazione 2. La votazione deve avvenire a scrutinio pubblico 3. E’ richiesta la maggioranza dei 2/3 dei voti espressi, che costituiscano la maggioranza dei membri che compongono il Parlamento europeo. • Il vincolo di destinazione delle risorse proprie: Le diverse categorie di risorse proprie sono accomunate dal vincolo di destinazione, in virtù del quale esse spettano di diritto all’UE. Tuttavia, solo le risorse proprie tradizionali possono essere considerate espressione di un’autonoma capacità impositiva dell’UE; sia la risorsa IVA che la risorsa RNL, invece, sono in sostanza dei contributi obbligatori degli Stati membri, rispetto ai quali l’imponibile armonizzato all’IVA e l’RNL fungono da parametri di riferimento per il calcolo dell’ammontare dovuto da ciascuno Stato membro. • La procedura di decisione sulle risorse proprie: Il Trattato non specifica quali siano le risorse proprie, ma detta la procedura per l’adozione di una decisone al riguardo, che si articola in due fasi: 1) La decisione è adottata dal Consiglio secondo una procedura legislativa speciale, con voto unanime e previa consultazione del Parlamento europeo 2) Tale decisione deve essere approvata da tutti gli Stati membri. Si tratta, quindi, di una decisione che ha sostanzialmente la natura di un accordo internazionale tra gli Stati membri, ed è in questo senso assimilabile ai Trattati sui quali l’UE si fonda. • Cosa stabilisce la decisione: La decisione disciplina due aspetti fondamentali del sistema: I. Essa stabilisce il tetto massimo annuale delle risorse proprie, che viene fissato all’1,23% della somma degli RNL degli Stati membri. II. La decisione prevede una serie di correzioni a favore degli Stati membri che rappresentano dei “contributori netti”, al fine di ridurre l’aliquota di prelievo della risorsa IVA o al fine di ottenere riduzioni lorde del proprio contributo annuo basato sull’RNL. Queste correzioni sono state previste soprattutto a favore del Regno unito, il cui “sconto” risale già alla metà degli anni ottanta. • Le altre entrate dell’UE: Per quanto riguarda le “altre entrate” dell’UE, esse hanno un peso assolutamente marginale e si concretano, essenzialmente, nelle trattenute sugli stipendi dei funzionari dell’UE e nelle ammende e somme forfettarie. Conclusioni finali: In definitiva, dunque, possiamo affermare che il descritto sistema di finanziamento se da un lato ha garantito all’UE la regolare disponibilità di risorse finanziarie (entro i limiti del tetto massimo di volta in volta fissato dalle decisioni sulle risorse proprie), dall’altro non le ha assicurato una reale autonomia finanziaria dagli Stati membri. • IL QUADRO FINANZIARIO PLURIENNALE DELL’UE: A partire dagli anni 80, è nata la prassi di delineare le prospettive finanziarie = delineazione della ripartizione delle spese dell’UE per grandi categorie, in un arco di tempo pluriennale. Il Trattato di Lisbona ha preso atto di questa prassi, delineando e regolamentando il quadro finanziario pluriennale (o bilancio a lungo termine dell’UE) = piano che fissa i limiti di spesa per ciascuna categoria, garantendo l'ordinato andamento delle spese dell’UE entro i limiti delle sue risorse proprie ed in linea con i suoi obiettivi politici. A questo fine, esso fissa il tetto degli stanziamenti annuali per grandi categorie di spesa, corrispondenti ai grandi settori di attività dell’UE. Il QFP deve avere una durata almeno quinquennale e deve essere rispettato da parte dei vari bilanci annuali. • Gli stanziamenti: La maggior parte degli stanziamenti è destinata alle due politiche di maggior peso nel bilancio dell’ UE: la politica di coesione economica, sociale e territoriale + la politica agricola comune. Stanziamenti di minore entità sono destinati a finanziare le attività dell’UE sui temi della sicurezza interna e della cittadinanza, le politiche nelle quali si articola l’azione esterna dell’UE ed il funzionamento amministrativo dell’UE. • Come viene stabilito il QFP: Il QFP deve essere stabilito mediante un regolamento adottato secondo una procedura legislativa speciale, ove il Consiglio delibera all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo (è prevista anche una “passerella”: il Consiglio europeo può decidere, all’unanimità, che il Consiglio possa deliberare a maggioranza qualificata quando adotta il suddetto regolamento). La prima applicazione si è avuta con il regolamento del Consiglio del 2013, che ha stabilito il QFP per il periodo 2014-2020. • IL BILANCIO ANNUALE DELL’UE: Il bilancio annuale dell’UE viene stabilito congiuntamente dal Parlamento europeo e da Consiglio secondo una particolare procedura legislativa: 1) In primis, entro il 1 luglio di ciascun anno, ogni istituzione dell’UE (eccetto la BCE che ha un bilancio proprio) deve preparare una previsione delle proprie spese per l’esercizio finanziario successivo, che ha inizio il 1 gennaio e si chiude il 31 dicembre. 2) La Commissione, quindi, prepara e sottopone al Parlamento europeo e al Consiglio, entro il 1 settembre, un progetto preliminare di bilancio comprendente una previsione delle entrate e una previsione delle spese. 3) Il Consiglio adotta la sua posizione sul progetto di bilancio a maggioranza qualificata e la comunica al Parlamento europeo entro il 1 ottobre. 4) - Se, entro un termine di 42 giorni da tale comunicazione, il Parlamento europeo approva la posizione del Consiglio o non delibera al riguardo (silenzio-assenso), il bilancio si considera definitivamente adottato. - Se, invece, entro tale termine il Parlamento adotta, a maggioranza dei membri che lo compongono, degli emendamenti, il progetto di bilancio così emendato è trasmesso al Consiglio e alla Commissione —> è la cosiddetta FASE DI PRIMA LETTURA; in questo caso di passa al punto 5. 5) A questo punto si apre tra Parlamento europeo e Consiglio la FASE DELLA CONCILIAZIONE, con modalità simili a quelle previste per la procedura legislativa ordinaria. - Se il comitato paritetico di conciliazione (composto dai membri del Consiglio e da altrettanti membri del Parlamento) non raggiunge, entro 21 giorni dalla convocazione, un accordo su un progetto comune di bilancio, la Commissione dovrà sottoporre un nuovo progetto di bilancio. - Se, invece, il comitato di conciliazione raggiunge un accordo su tale progetto comune, si apre la fase di seconda lettura (si passa al punto 6). 6) FASE DI SECONDA LETTURA: Parlamento europeo e Consiglio hanno ulteriori 14 giorni per approvare il progetto comune, rispettivamente a maggioranza dei voti espressi e a maggioranza qualificata. - Il bilancio si considera effettivamente adottato se entrambe le istituzioni approvano il progetto comune o non riescono a deliberare/una delle due approva mentre l’altra non riesce a deliberare. - Se, invece, il Parlamento europeo o entrambe le istituzioni respingono il progetto comune, la Commissione dovrà presentare un nuovo progetto di bilancio. Quindi, in materia di approvazione del bilancio annuale, Consiglio e Parlamento europeo sono su un piede di assoluta parità. La procedura, qualora abbia avuto esito positivo, si chiude con la formale constatazione, da parte del Presidente del Parlamento europeo, che il bilancio è definitivamente adottato; questo atto conferisce forza obbligatoria al bilancio, sia nei confronti delle istituzioni che degli Stati membri. • Come si è giunti a questa particolare procedura: Questa procedura è il frutto di un compromesso con gli Stati membri: questi, infatti, in base al principio “no taxation without representation”, non potevano CAP. 5 L’ORDINAMENTO GIURIDICO DELL’UE L’ordinamento giuridico dell’UE ha natura autonoma sia rispetto al diritto internazionale che al diritto interno degli Stati membri, ed è dotato di fonti, norme, istituzioni, procedure, soggetti, sanzioni e meccanismi interpretativi suoi propri. Tale ordinamento difetta del carattere dell’originarietà ed ha, invece, carattere derivato, in quanto l’esistenza dell’UE e l’estensione dei suoi poteri derivano dalla volontà che gli Stati membri hanno espresso in una serie di Trattati internazionali stipulati tra di loro. • Il rapporto con gli Stati membri: Per via del suo carattere derivato, il diritto dell’UE per essere applicato all’interno del territorio degli Stati membri necessita della cooperazione delle autorità statali, in quanto l’UE non dispone di una propria sfera di sovranità, ma solo delle competenze attribuite dagli Stati membri (e che in precedenza facevano parte della sovranità di questi ultimi). L’ordinamento dell’UE si affianca, quindi, agli ordinamenti interni, e gli eventuali conflitti sono risolti sulla base del primato del primo sui secondi. La diretta applicabilità ai singoli e l’efficacia diretta di alcune norme dell’ordinamento dell’UE sono assicurate dagli Stati membri nel quadro del loro obbligo di leale cooperazione. • I rapporti con l’ordinamento internazionale: Per quanto riguardo i rapporti dell’ordinamento dell’UE con l’ordinamento internazionale, l’UE è dotata di soggettività in quest’ultimo ordinamento ed è quindi tenuta al rispetto delle norme di diritto internazionale generale al pari degli altri soggetti internazionali = le istituzioni dell’UE devono conformarsi a tali norme nell’emanazione dei loro atti e nella loro azione. • La violazione delle norme di diritto internazionale da parte dell’UE: Se l’UE, nelle relazioni esterne, viola una norma di diritto internazionale (es. inadempimento di un accordo internazionale dell’UE con Paesi terzi), tale violazione costituisce un illecito internazionale da parte dell’UE e, quindi, soggetti terzi eventualmente lesi potrebbero anche decidere di adottare nei confronti dell’UE contromisure, sulla base delle condizioni previste dal diritto internazionale stesso. Diversa previsione è prevista in riferimento agli Stati membri: essi non possono farsi giustizia da sé e, quindi, non possono ricorrere a contromisure di diritto internazionale generale = devono ricorrere alle garanzie proprie dell’ordinamento dell’UE. Se l’UE emana atti contrari alle norme di diritto internazionale, ciò comporta l’illegittimità di tali atti nello stesso ordinamento dell’UE, che può essere fatta valere dinanzi alla Corte di giustizia. • Le garanzie del diritto dell’UE: In tema di garanzie dell’ordinamento dell’UE rilevano le garanzie previste negli ordinamenti degli Stati membri —> questo perchè l’UE non ha poteri coercitivi e, di conseguenza, il diritto dell’UE ha bisogno delle garanzie che solo gli Stati membri stessi possiedono e che devono offrire all’’UE, attraverso il loro apparato giudiziario ed amministrativo, per l’efficace attuazione delle norme dell’UE al loro interno, sulla base dell’obbligo di leale cooperazione. NB: quando gli organi amministrativi e giudiziari degli Stati membri agiscono per l’attuazione del diritto dell’UE, non agiscono comunque come organi dell’UE —> in particolare, le funzioni di governo del territorio spettano tuttora agli Stati membri e, quando questi danno attuazione a norme dell’UE in adempimento ad obblighi derivanti dai Trattati, pongono in essere comportamenti esclusivamente imputabili agli Stati stessi, sia sul piano interno, che su quello del diritto dell’UE, che su quello del diritto internazionale. L’eventuale inottemperanza o l’inesatta esecuzione da parte degli organi di uno Stato membro di prescrizioni del diritto dell’UE potrà esporre lo Stato nel suo complesso ad azioni in varie sedi: ad un ricorso per infrazione innanzi alla Corte di giustizia o ad azioni innanzi ai giudici nazionali (vedremo dopo). LE FONTI DELL’ORDINAMENTO DELL’UE Come ogni ordinamento giuridico, anche quello dell’UE è provvisto di un suo sistema di fonti. I Trattati non tracciano un chiaro ordine gerarchico tra di esse. Si possono comunque individuare diversi elementi per distinguere un diverso rango tra le fonti di diritto dell’UE: A. Tra le FONTI PRIMARIE rientrano principalmente i Trattati e la Carta dei diritti fondamentali (alla quale il Trattato di Lisbona ha riconosciuto lo stesso valore giuridico dei trattati). B. Le FONTI SECONDARIE sono invece costituite dagli atti emanati dalle istituzioni dell’UE in conformità alle norme dei Trattati =diritto derivato. Comprende, ai sensi dell’art. 288 TFUE, i Regolamenti, le Direttive e le Decisioni (atti vincolanti), nonché i Pareri e le Raccomandazioni (atti non vincolanti). - Tra queste fonti si pongono in una posizione intermedia gli accordi internazionali conclusi dall’UE. • Per quanto riguarda TUE e TFUE: I due Trattati (TUE e TFUE) hanno “lo stesso valore giuridico” e, quindi, in caso di contrasti non c’è una prevalenza delle norme di un Trattato rispetto all’altro. Secondo quella che era l’originaria previsione, il TUE avrebbe dovuto contenere le norme relative ai principi ed alla struttura dell’UE ed i rapporti dell’UE con gli Stati membri (norme fondamentali), mentre il TFUE avrebbe dovuto contenere solo le norme relative al funzionamento e l’operatività dell’UE; a tale criterio, però, non ci si è realmente attenuti (infatti nel TFUE sono contenute anche norme fondamentali, ad es. quella sulla clausola di flessibilità). Probabilmente, proprio per la mancanza di un preciso disegno sulla ripartizione delle norme da inserire rispettivamente nei due testi, è stato inevitabile prevedere la parità gerarchica dei due Trattati. Inoltre, proprio per questa mancanza, vi è il fenomeno della ripetizione di alcune norme in entrambi i Trattati. • Gerarchia sulla base di considerazioni logiche: Ad ogni modo, sulla base di considerazioni logiche, è possibile comunque tracciare una gerarchia tra le fonti dell’ordinamento dell’UE. Facciamo qualche esempio: - Nei rapporti tra norme contenute nei Trattati, una norma contenente l’enunciazione di un principio generale di diritto dovrebbe avere un rango superiore rispetto alle altre norme specifiche. - L’atto di un’istituzione dell’UE, in quanto diritto derivato, non può essere contrario alle fonti primarie del diritto dell’UE, e quindi né ai Trattati, né alla Carta dei diritti fondamentali, né ad un principio generale. Infatti, uno dei vizi di legittimità degli atti dell’UE è costituito dalla “violazione dei Trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione” —> in questa prospettiva, quindi, le norme del diritto primario dell’UE fungono da parametro di legittimità delle norme di diritto derivato. - Nei rapporti tra le fonti di diritto derivato, gli atti delegati alla Commissione sono subordinati rispetto agli atti legislativi di base che dispongono la delega, in quanto gli atti delegati devono mantenersi nei limiti degli obiettivi, del contenuto, della portata e della durata della delega stessa. Del resto, l’atto delegato per sua natura è destinato ad integrare o modificare gli elementi non essenziali di un atto legislativo, e quindi non può porsi in contrasto con quest’ultimo. - Analogamente agli atti delegati, anche gli atti di esecuzione hanno come presupposto un atto di base, cui appunto danno esecuzione e al quale devono essere considerati subordinati. - Infine, gli accordi internazionali conclusi dall’UE hanno rango inferiore rispetto ai Trattati, ma superiore rispetto agli atti di diritto derivato. Ad ogni modo, nonostante queste precisazioni, non è stata mai definita una vera e propria gerarchia tra le fonti di diritto derivato e in particolare tra regolamenti/direttive/decisioni, nè tra atti emanati secondo la procedura legislativa ordinaria rispetto a quelli emanati secondo le procedure legislative speciali. inerenti alla vita delle persone. Iniziarono così a prendere piede norme comunitarie volte ad incidere nella sfera giuridica degli individui. Varie modifiche dei Trattati hanno portato all’introduzione di rilevanti previsioni relative ai diritti fondamentali e, ad oggi, i diritti dell’uomo sono ricompresi tra i valori fondanti dell’UE —> la loro violazione è autonomamente prevista come possibile oggetto di sanzioni ed il rispetto di tali diritti è necessario per poter essere ammessi come nuovi membri nell’UE. Possiamo affermare che la protezione dei diritti fondamentali è oggi uno dei più importanti elementi identitari dell’UE. • La protezione dei principi generali di diritto dell’UE: Quest’evoluzione appena presentata è avvenuta grazie alla Corte di giustizia, con una serie di pronunce in cui ha affermato che i diritti fondamentali costituiscono principi generali dell’Unione. E’ la Corte stessa che ha effettuato anche la ricostruzione dei diritti da proteggere, richiamando le convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo, e in particolare la CEDU, oltre alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Dopo le pronunce a riguardo da parte della Corte, i diritti fondamentali sono stati definitivamente riconosciuti come principi generali con il TUE del 1992: “i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. La qualifica dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU come principi generali dell’ordinamento dell’UE implica l’obbligo, a carico dell’UE e degli Stati membri, di conformarsi ai principi suddetti nell’emanazione, attuazione, esecuzione e interpretazione delle norme di diritto dell’UE. In caso di violazione di tale obbligo, i singoli i cui diritti siano stati lesi da norme di diritto dell’UE, hanno a loro disposizione i rimedi offerti dall’ordinamento dell’UE e, in particolare, il ricorso di legittimità alla Corte di giustizia (pur con i limiti previsti). Vi sono anche altre forme previste dall’UE per evitare casi di contrasto tra disposizioni di diritto dell’UE e i diritti fondamentali —> va menzionata, ad esempio, l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea, che fornisce consulenza alle istituzioni dell’UE e ai governi nazionali sui diritti fondamentali. 2. LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE L’UE, oltre a riconoscere le norme della CEDU come principi generali del proprio ordinamento, ha deciso di dotarsi di un proprio catalogo di diritti fondamentali —> tale catalogo è contenuto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea “proclamata” a Nizza il 7 dicembre 2000 da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione. Il testo della Carta attualmente in vigore è quello che è stato ri-proclamato a Strasburgo nel 2007. Tale Carta è stata elaborata da un’apposita commissione mista denominata “convenzione”, formata non solo da rappresentanti di Consiglio, Commissione e Parlamento europeo, ma anche da membri dei Parlamenti nazionali degli Stati membri. Inizialmente tale Carta non avrebbe dovuto avere valore vincolante, ma sin dall’inizio i giudici dell’UE hanno fatto riferimento ad essa. Il Trattato di Lisbona ha poi sancito che la Carta “ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Si può quindi dire che la Carta è entrata in vigore nell’ordinamento dell’UE nel 2009, data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Questa previsione del Trattato di Lisbona ha una “portata doppia”: - In primo luogo ha attribuito efficacia giuridicamente vincolante alla Carta. - In secondo luogo la norma attribuisce alla Carta un rango parificato a quello del TUE e del TFUE = il rango di fonte primaria, superiore a quello delle altre fonti dell’UE di diritto secondario (e intermedio). • Il contenuto della Carta: La Carta presenta un catalogo molto ampio di diritti fondamentali: enuncia i diritti civili, economici, politici e sociali dei cittadini europei, riproduce disposizioni della CEDU, riproduce disposizioni del del TUE e diritti e principi che si sono affermati più di recente (es. diritto alla protezione dei dati personali). Per quanto riguarda la collocazione dei vari diritti, le disposizioni della Carta sono raggruppate in sei capi: dignità; libertà; uguaglianza; solidarietà; cittadinanza; giustizia. Nel caso di disposizioni della Carta sostanzialmente riproduttive di disposizioni della CEDU, l’interpretazione di queste disposizioni da parte della Corte di giustizia deve avvenire prendendo in considerazione quella elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU, che opera al di fuori dell’ordinamento dell’UE). • I limiti di applicazione della Carta: I. Vediamo il primo limite —> le norme della Carta si applicano direttamente alle istituzioni, organi e organismi dell’UE, mentre la Carta si applica agli Stati membri “esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione”. Ciò significa che la Carta non può essere invocata con riferimento a qualunque atto o provvedimento di diritto interno dei singoli Stati membri: la Carta ha una rilevanza negli ordinamenti nazionali che è circoscritta alle ipotesi in cui la condotta dello Stato sia collegata al diritto dell’UE. La Corte di giustizia ha interpretato in modo estensivo questa disposizione, chiarendo che l’obbligo di rispettare i diritti garantiti dalla Carta sussiste ogniqualvolta gli Stati membri agiscano “nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione” = i margini di operatività della Carta sono ampi, in quanto sono molte le materie coperte dal diritto dell’UE. Ovviamente, nelle fattispecie puramente interne e non collegate in alcun modo al diritto dell’UE (e quindi la Carta non è invocabile), potranno entrare in gioco le norme della CEDU e, coloro che si ritengano vittime di una sua violazione da parte dello Stato, potranno rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma in modo autonomo e del tutto svincolato dal diritto dell’UE (ricordiamo che la Corte EDU opera infatti al di fuori dell’ordinamento dell’UE). II. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’UE come definite nei Trattati = la Carta non può estendere l’ambito di applicazione del diritto dell’UE, non può introdurre nuove competenze o nuovi compiti per l’UE, né può modificare quelli definiti dai Trattati. III. In base alla “CLAUSOLA GENERALE DI LIMITAZIONE”, l’UE e gli Stati membri possono porre della restrizioni ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Carta, purché le restrizioni siano previste dalla legge, non comportino una limitazione tale da violare il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà in questione, e rispettino il principio di proporzionalità. Più nello specifico, ai diritti e alle libertà previsti dalla Carta “possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Si tratta dello schema tradizionale nel campo dei diritti umani, in base al quale la pubblica autorità deve rispettare i diritti e le libertà fondamentali e deve astenersi da ingerenze nel loro godimento da parte degli individui, salvo che tali ingerenze siano “proporzionate” rispetto ad altri diritti o libertà meritevoli di analoga considerazione. Il giudizio di proporzionalità richiede una ponderazione dei vari diritti ed interessi in gioco nelle fattispecie concrete —> ad es. i diritti fondamentali possono essere compressi da una normativa dell’UE se tale compressione è proporzionata rispetto all’interesse generale dell’UE perseguito e se tale interesse non potrebbe essere adempiuto attraverso altre misure; in sostanza, la compressione dei diritti deve rappresentare l’extrema ratio, da esperire solo qualora l’interesse generale dell’UE da perseguire sia di fondamentale importanza e solo se tale compressione sia necessaria ed indispensabile al perseguimento dello stesso. • La rilevanza della Carta nella giurisprudenza della Corte di giustizia: La Corte di giustizia ha impiegato molto spesso lo strumento della Carta nelle sue decisioni, per il fatto che la Carta ha un carattere vincolante ed ha una superiorità gerarchica rispetto alle altre fonti —> quando la Corte si è trovata a pronunciarsi su questioni relative ai diritti fondamentali, ha utilizzato la Carta come parametro di validità e parametro di interpretazione degli atti dell’UE. Ed infatti, nella prassi, i giudici dell’UE impiegano la Carta come principale parametro di riferimento per valutare la validità e stabilire la corretta interpretazione egli atti dell’UE quando si pone una questione relativa ai diritti fondamentali. In ragione dell’attribuzione alla Carta del carattere di diritto primario all’interno dell’ordinamento dell’UE, la Carta può fungere da parametro diretto di legittimità rispetto alle fonti secondarie; in questi casi il sindacato dei giudici dell’UE ha come oggetto la compatibilità di atti dell’UE di diritto derivato con la Carta stessa. Questa prassi, come detto su, si è sviluppata a partire dal Trattato di Lisbona, che ha attribuito valore vincolante alla Carta. La posizione centrale accordata dalla Corte di giustizia alla Carta più che ai principi generali può essere considerata il frutto di un’evoluzione prevedibile e conseguente al valore giuridico attribuito alla Carta. B. LE FONTI SECONDARIE Come ogni ordinamento giuridico, anche l’UE contiene delle norme sue proprie sulla produzione giuridica, che stabiliscono le procedure e le competenze per l’emanazione di atti normativi. Queste sue norme proprie sono atti emanati dalle sue istituzioni, che costituiscono il diritto derivato dell’UE e che sono fonti secondarie dell’UE. Il diritto derivato dell’UE comprende sia atti tipici che vari atti atipici; questi ultimi in genere si sono affermati nella prassi dell’UE. L’ ART. 288 TFUE definisce i vari tipi di atti giuridici che l’UE può adottare —> agli atti indicati in tale articolo ci si riferisce come “atti tipici”. In diversi casi i Trattati indicano quali atti possono essere adottati dalle istituzioni dell’UE, a volte lasciando discrezionalità nella scelta tra atti diversi. In base al principio di attribuzione, le istituzioni dell’UE possono emanare un atto avente valore normativo “minore” di quello previsto dai Trattati (es. una raccomandazione anziché un regolamento), ma non uno avente valore normativo “maggiore”. Quando i Trattati non prevedono il tipo di atto da adottare, le istituzioni dell’UE lo decidono di volta in volta, nel rispetto del principio di proporzionalità. A) | GLI ATTI TIPICI (art. 288 TFUE) | 1. I REGOLAMENTI - Hanno PORTATA GENERALE = i destinatari dei regolamenti sono una o più categorie di soggetti, determinati astrattamente ed obiettivamente. I destinatari possono essere anche in concreto individuabili, ma è necessario che la loro qualifica di destinatari del regolamento dipenda da circostanze obiettive e che, quindi, la norma regolamentare abbia il carattere dell’astrattezza (ossia prescinda da singoli casi concreti). Esempio -> regolamento che determina la concessione di aiuti ai produttori di pere: anche se i destinatari sono singolarmente individuabili è un regolamento, perchè i destinatari sono individuati in base a condizioni astratte ed obiettive. Se invece i destinatari di un atto dell’UE non solo sono individuabili, ma sono anche tali in virtù di una loro specifica situazione soggettiva (=il provvedimento li qualifica come destinatari direttamente e individualmente), il provvedimento stesso (anche se denominato regolamento) è in realtà una decisione. Questo “smascheramento” è rilevante in concreto, in quanto può consentire ad una persona fisica o giuridica di impugnare il regolamento stesso con un ricorso di legittimità. - Sono OBBLIGATORI in tutti i loro elementi = gli Stati membri non possono applicare un regolamento in modo incompleto o selettivo, o porre condizioni alla sua applicazione o introdurre limitazioni alla portata delle sue norme. Con questa precisazione si distingue il regolamento dalla direttiva che, invece, obbliga gli Stati membri solo sui fini da raggiungere, lasciandoli liberi di scegliere i mezzi di esecuzione che ritengono più adeguati. - Sono DIRETTAMENTE APPLICABILI in ciascuno degli Stati membri: gli Stati membri hanno consentito ad attribuire ai regolamenti forza obbligatoria e diretta applicabilità nei confronti dei soggetti di diritto interno. Gli Stati membri hanno introdotto al loro interno un meccanismo di adattamento automatico ai regolamenti dell’UE, senza alcuna possibilità di modificarne i precetti e anche senza bisogno di un atto di esecuzione ad hoc per ogni singolo regolamento (a differenza di quanto avviene per le direttive). Quella della diretta applicabilità è la caratteristica più importante dei regolamenti, che ha rappresentato un’innovazione di grande rilevanza. • Focus sulle caratteristiche: Dal momento della loro entrata in vigore, che avviene con identici effetti e in modo simultaneo per tutti gli Stati membri, i regolamenti vincolano tutti i soggetti che si trovano o che si possono trovare nelle situazioni astrattamente descritte dal regolamento (organi nazionali, i vari operatori economici e giuridici, i privati). Gli Stati membri, di conseguenza, non possono emanare atti interni riproduttivi di un regolamento, perchè l’adattamento è appunto automatico e ciò rappresenterebbe una violazione dell’art. 288 TFUE. Ciò è ben diverso da qual che accade con le direttive, rispetto alle quali i soggetti di diritto interno sono tenuti a rispettare i provvedimenti nazionali di recepimento e attuazione (quindi le norme dettate dall’autorità nazionale), senza che sia neanche evidente che alla base di tali norme vi è una direttiva dell’UE. Un altro aspetto dell’applicabilità diretta dei regolamenti riguarda la loro attitudine a produrre effetti diretti in capo ai singoli —> essi possono incidere direttamente, dalla loro entrata in vigore, sul patrimonio giuridico degli individui, ponendo diritti ed obblighi direttamente in capo a loro. Possiamo, dunque, affermare che i regolamenti hanno effetti diretti sia nei rapporti giuridici di tipo verticale che in quelli di natura orizzontale. L’applicabilità diretta, inoltre, non esclude la possibilità che un regolamento si applichi soltanto nel territorio di alcuni Stati membri e, perfino, in determinate zone di un solo Stato membro (ciò avviene ad es. per regolamenti in materia agricola). I regolamenti sono atti legislativi se adottati con procedura legislativa ordinaria o speciale; se invece sono adottati dalla Commissione nell’ambito della sua funzione normativa delegata, essi prendono la denominazione di “regolamenti delegati”, o quella di “regolamenti di esecuzione”. • I provvedimenti integrativi: Nonostante la loro diretta applicabilità, i precetti sanciti da un regolamento in qualche misura possono richiedere l’emanazione di provvedimenti integrativi, sia da parte degli Stati membri che delle istituzioni dell’UE, per specificarne alcuni aspetti. Ad ogni modo, la necessità di misure di attuazione o integrative non impedisce l’immediata vincolatività del regolamento (a meno che la loro assenza ne renda impossibile l’applicazione). - Per quanto riguarda gli Stati membri, se questi provvedimenti sono necessari, essi sono tenuti all’emanazione in base al loro obbligo di leale cooperazione. - Per quanto riguarda i provvedimenti integrativi da parte delle istituzioni dell’UE, l’esempio più chiaro è rappresentato dagli atti delegati o di esecuzione della Commissione, che spesso discendono da un regolamento che richiede la specificazione di norme di dettaglio. 2. LE DIRETTIVE La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, lasciando alle autorità nazionali il potere di scegliere la forma e i mezzi per raggiungere tale scopo. La direttiva è un atto largamente utilizzato ed è anche l’atto tipico attraverso il quale sono state realizzate le libertà di circolazione nel mercato interno. • Le caratteristiche: - Le direttive sono indirizzate agli Stati membri: a tutti o solo ad uno. Teoricamente si potrebbe qualificare come atto a portata individuale, ma sono più frequenti quelle che hanno come destinatari tutti gli Stati membri. - NON SONO OBBLIGATORIE IN TUTTI I SUOI ELEMENTI —> la direttiva è atto vincolante solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere. - NON SONO DIRETTAMENTE APPLICABILI —> una volta adottate a livello dell’UE, sono poi recepite dagli Stati membri al fine di diventare legge in tali Stati. Esse necessitano dell’adozione di misure di attuazione nel diritto nazionale da parte degli Stati membri ed è fondamentale il rispetto del termine di attuazione: gli Stati devono adottare le misure di attuazione entro il termine imperativo fissato dalle direttive stesse. Prima che scada tale termine, gli Stati membri sono obbligati a notificare alla Commissione le proposte di provvedimenti interni di attuazione e, dopo averli adottati devono darne comunicazione nuovamente alla Commissione. La mancata comunicazione può esporre lo Stato membro ad una sanzione pecuniaria da parte della Corte di giustizia. Se quando scade il termine di attuazione, l’attuazione non si verifica o è inesatta, si verifica una violazione da parte dello Stato dell’obbligo di recepimento, che può portare ad un ricorso per infrazione contro lo Stato. La mancata attuazione delle direttive espone gli Stati inadempienti al ricorso alla Corte di giustizia da parte della Commissione o da parte di un altro Stato membro. Inoltre, i singoli hanno il diritto di richiedere, dinanzi ai giudici nazionali, il risarcimento dei danni agli Stati membri inadempienti. NB: La direttiva attuata non si estingue: essa resta in vigore e può essere utilizzata a fini interpretativi dall’operatore giuridico chiamato ad applicare la normativa nazionale di attuazione. Inoltre, nonostante l’emanazione di una normativa interna di recepimento, la direttiva può sempre essere invocata in giudizio da un privato avverso lo Stato che l’abbia recepita in modo inesatto (ed anche nel caso in cui lo Stato modifichi ex post l’atto di recepimento in senso difforme alla direttiva). • Il confronto con i regolamenti Le direttive, come i regolamenti, sono atti “legislativi” se adottate con procedura legislativa ordinaria o speciale. Esse, come i regolamenti, prendono la denominazione di “direttive delegate” se adottate dalla Commissione nell’ambito della funzione normativa delegata, o di “direttive di esecuzione” se adottate dalla Commissione stessa nell’ambito della sua competenza esecutiva. La direttiva è un atto meno invasivo nella sovranità degli Stati membri rispetto al regolamento, perchè il risultato da raggiungere viene identificato a livello dell’UE e, poi gli Stati restano liberi di determinare forma e mezzi necessari.