Scarica Riassunto procedura penale - Manuale A. Scalfati 2023 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PARTE I - I PRINCIPI CAPITOLO I: OBIETTIVI PROCESSUALI E MODELLI GIUDIZIARI. 1. Funzione del processo La disciplina processuale regola la dinamica giudiziaria diretta a stabilire se il precetto penale è stato violato e quali sanzioni infliggere; anche quando l’esito culmina nel proscioglimento, il giudice avrà risolto negativamente il quesito sull’applicabilità della norma incriminatrice o avrà adottato una causa scriminante, di non imputabilità, di non punibilità o di estinzione del reato. Possono emergere anche vicende che influenzano l’iniziativa penale o la sua prosecuzione (es. assenza di querela, ne bis in idem, improcedibilità ratione temporis durante le impugnative). Tale rilievo apre una prospettiva più ampia, secondo cui l'accertamento giudiziario compie una "verifica su se stesso" e cioè, valuta le regole da applicare per il suo funzionamento: es. occorre stabilire se il giudice è ricusabile, se una prova è ammissibile. Naturalmente, l'analisi sulla legge applicabile postula vicende umane, e anche queste sono oggetto di accertamento nella loro descrizione materiale (es. incidente mortale sui luoghi di lavoro) Il complesso itinerario del processo è forgiato in modo da rispondere alle esigenze di ricostruire episodi già accaduti rispetto ai quali occorre applicare le regole di diritto sostantivo. Sotto tale profilo, l'esito presuppone, in linea di massima, un giudizio di fatto e un giudizio di diritto: il primo elabora la ricostruzione fattuale e il secondo individua rispetto a questa le norme più idonee. L’osservazione giudiziaria riguarda vicende passate, i protagonisti si attivano per elaborare un quadro fattuale che sarà oggetto della decisione. Tuttavia, non trattandosi di un esperimento scientifico che tende a riprodurre un evento in laboratorio, ma filtrando la dinamica ricostruttiva attraverso un reticolo di norme, non è detto che il quadro elaborato tramite l’accertamento coincida con l’episodio verificatosi in natura. L'accertamento processuale, piuttosto che "i fatti", ha ad oggetto la rappresentazione dei fatti allegati dalle parti, le quali indicano ipotesi da sottoporre alla procedura dimostrativa. Il contenuto finale della verifica manifesta semplicemente un enunciato naturalistico-descrittivo elaborato dal giudice. In secondo luogo, il processo si snoda attraverso un insieme di regole che non rendono libero l'accertamento, ma lo obbligano a percorrere canali predeterminati dal legislatore, ciò incrina la pretesa di eguaglianza tra il risultato ricostruttivo rappresentato nel giudizio e i contenuti di vicende umane consegnati alla storia. 2. Verità come scopo Nelle trattazioni classiche si è discusso sulla possibilità che il processo penale fosse diretto al perseguimento della c.d. verità materiale, come se il potere giudiziario si dotasse della capacità di riportare alla luce episodi passati, scoprendo la condotta dell’imputato. Il richiamo alla verità, quale scopo del processo penale, implica una tensione etica. Paradigma di questo pensiero è l’art. 299 co.1 del 1930 laddove stabiliva che “il giudice ha l’obbligo di compiere quegli atti che appaiono necessari alla ricerca della verità”: il legislatore era pervaso dall’idea che l’arsenale giudiziario potesse riesumare il quadro storico della vicenda umana. Il narrato processuale non è la verità storica, ma è un risultato che non è sovrapponibile al passato. L’accertamento penale sembra pervaso dal compito di perseguire la c.d. verità processuale (Art. 111 co. 2 Cost) è l’esito del processo con le regole fissate dal legislatore. L’epilogo dell’accertamento è il frutto dello scenario del processo con regole costituzionali. Oggi la decisione mostrerebbe un quadro fattuale la cui solidità, se non coincide con un approccio scientifico si fonda sul migliore sforzo ricostruttivo maggiore. Secondo un'ottica più neutra, che non pretende di omologare l'accertamento giudiziario all'analisi storica e tantomeno a quella scientifica, il complesso delle regole che governano il procedimento giudiziario rappresenta un fenomeno pratico, utile al contesto sociale perché mira a stabilire se e come adottare la norma sostanziale. La conoscenza giudiziaria ha ad oggetto la rappresentazione dei fatti dedotta dalle parti e si realizza tramite un congegno di regole i cui contenuti corrispondono a valori da garantire soprattutto sul valore della libertà individuali. Sotto tale profilo il giudizio di fatto rappresenta l’epilogo socialmente accettabile di un itinerario cognitivo regolato dalla legge. 3. Modelli Il complesso delle statuizioni o delle prassi giudiziarie è influenzato dalle forme di Governo, dalle correnti politico-ideologiche dominanti. Quando la relazione tra Stato e individuo è asimmetrica e diritti individuali sono posti ai margini, in nome dell'interesse collettivo la durezza dell'apparato si trasferisce sui modi dell'accertamento, delineandone contorni spiccatamente autoritari. Simile modo di concepire il processo penale è abbinato alle opinioni di chi lo ritiene uno strumento destinato a stabilire la verità, in tale ottica l’obiettivo va realizzato senza la collaborazione degli interessati lasciando lavorare la magistratura. All'opposto, quando la tutela delle libertà individuali emerge tra gli obiettivi basilari dello Stato, le scelte concernenti l'amministrazione della giustizia penale tratteggiano modelli di accertamento partecipati e trasparenti, dove l'esigenza della funzione giudiziaria trova un costante bilanciamento con le garanzie della persona. Le due prospettive riflettono i caratteri essenziali di sistemi inquisitorio e accusatorio. Nei modelli del primo tipo, l'apparato giudiziario (polizia e magistratura) capeggia in ogni stadio del processo, che è spesso impiegato come strumento repressivo, con venature di prevenzione generale, e l’accusato subisce un potere pubblico indifferente alle libertà e dotato di discrezionalità. Nei sistemi del secondo tipo, la magistratura fa i conti con le garanzie individuali, talvolta intese come soglie invalicabili dell’intervento giudiziario, concepite in posizione di bilanciamento con quest’ultimo, qui la figura dell’imputato, al centro di una dinamica scandita dalla legge, può contribuire, con le proprie condotte, a determinare l’esito della controversia. Occorre dire che il modello accusatorio e quello inquisitorio rappresentano categorie generali enucleate dalla letteratura, la quale non sempre è concorde nell’individuare i caratteri di un modello in contrapposizione all’altro. In secondo luogo è difficile che le discipline processuali siano perfettamente inquadrabili nell’uno o nell’altro modello, spesso ci sono elementi comuni ad entrambi. Si può sostenere che la struttura di un determinato processo, desunta dal complesso normativo, si ispiri al modello accusatorio piuttosto che a quello inquisitorio, o viceversa, ma è difficile negare che persistano tratti tipici del modello al quale meno somiglia. Stabilire se un determinato corpus processuale tenda al sistema accusatorio o inquisitorio dipende anche dalle prassi applicative e dalla mentalità degli operatori. Pertanto la tensione verso il modello è tradita da una ricerca interpretativa diretta a preferire soluzioni autoritarie. 4. Modello inquisitorio 2 risultati, formulano le richieste, mentre il secondo controlla che il loro operato sia conforme alla legge e decide senza condividerne attività e interessi. Da un punto di vista soggettivo, il modello accusatorio esalta le garanzie individuali. Innanzitutto emerge la presunzione di non colpevolezza, in base alla quale l'accusato è considerato innocente fino alla decisione che accerta il contrario, con significativi effetti sul piano del suo trattamento processuale e sul versante della ripartizione del rischio relativo alla mancata prova d’accusa. Spicca, poi, la valorizzazione del diritto di difesa non solo come insieme di diritti volti ad accrescere l’informazione e la partecipazione attiva a favore dell’imputato, ma anche come regola della “non collaborazione” la quale si traduce nel diritto al silenzio o a non dichiarare contra se. (C’è CONTRADDITTORIO) Infine il modello accusatorio valorizza le manifestazioni delle libertà individuali potenzialmente compromesse dall'esercizio del potere rispetto alle quali affiorano interessi da bilanciare, legati alle esigenze dell'accertamento giudiziario. 6. Matrice vigente Stando all'art. 2 della legge n.81 del 16 febbraio 1987 -delega per l’emanazione del nuovo codice- nel processo penale vanno attuati i caratteri del sistema accusatorio secondo quanto elencato dal provvedimento legislativo. Tramite il d.p.r. n.447 del 22 settembre 1988 è emersa una struttura improntata alla separatezza tra i ruoli dei protagonisti processuali e una propensione alla tutela di diritti individuali. Affiora una netta demarcazione tra il ruolo del giudice e quello del pubblico ministero, attribuendosi al secondo un potere investigativo e requirente, mentre sul primo incombe il dovere di pronunciarsi solo dietro impulso delle parti. Il magistrato del pubblico ministero realizza l’inchiesta preliminare, formula e conduce l’iniziativa giudiziaria, mentre si solidifica sul giudice la funzione decisoria e di controllo. La separatezza tra le due figure è influenzata sia dall’interpretazione delle norme, sia dal contesto dell’ordinamento giudiziario. Soprattutto in quest’ultima ottica l’appartenenza di un ordine comune della condivisione di prerogative di rilievo costituzionale e dei percorsi carrieristici costituiscono i fattori di appartenenza tra magistrato del pm e magistrato con funzione di giudice. Il giudice non formula ipotesi investigative, non procede d’ufficio e assume inevitabilmente una posizione di distacco rispetto agli interessi in gioco. Le prove sono acquisite con il determinante contributo delle parti, salvo ipotesi di assoluta necessità, tassativamente statuite, nelle quali il giudice interviene autonomamente; sotto tale profilo, viene valorizzato il criterio dialettico. Nella codificazione vigente una particolare premura e dedicata alla tutela dei diritti fondamentali dell'individuo, attuata tramite articolati settori della disciplina dove emerge lo sforzo di bilanciare l'effettiva dell'accertamento e le prerogative della persona. In questa prospettiva la tutela delle libertà è notevolmente arricchita dallo sviluppo auto-espansivo della Costituzione e delle Carte sovranazionali sui diritti umani. Quanto alla struttura si evidenziano le fasi e i gradi in cui si snoda l'articolazione principale, cioè quella diretta a sfociare in una sentenza che regoli l’applicazione delle norme penali al caso specifico. Nel procedimento di primo grado si distinguono le fasi delle indagini preliminari, dell'udienza preliminari, del dibattimento o dei riti alternativi; dopo la sentenza che chiude il giudizio di primo grado possono innestarsi procedimenti volti ad istaurare i gradi successivi, secondo il complesso regime delle impugnazioni. Uno dei caratteri salienti dell'attuale modello è la c.d. separazione delle fasi, espressione con la quale non si allude solo alla trasparenza processuale e al puntuale confinamento dei poteri all'interno di ciascuno stadio: di separazione delle fasi se ne parla essenzialmente con riguardo al rapporto tra indagini preliminari e dibattimento laddove, nella prima fase, le parti mirano ad acquisire elementi investigativi in vista delle proprie iniziative e, nella seconda, edificano, dinanzi al giudice, il materiale probatorio utile alla decisione. Le investigazioni sono realizzate unilateralmente da ciascuna parte (soprattutto dall’apparato del pm, anche se sono consentite le indagini condotte dalla difesa), secondo una propria ipotesi ricostruttiva. In linea generale le indagini condotte dalle parti sono caratterizzate dalla segretezza e non possono essere impiegate per la decisione. Nella fase del dibattimento, destinata a sfociare nella pronuncia conclusiva sull’imputazione, la procedura dimostrativa rilancia pubblicità, contraddittorio e immediatezza: le parti si confrontano in udienza pubblica, con identità di poteri, dinanzi al giudice che emette la decisione, la formazione del materiale istruttorio avviene soprattutto su loro impulso e contributo. La separazione tra i due segmenti, richiede che contenuti dimostrativi assunti durante le indagini preliminari non penetrino al dibattimento dove, invece, il giudice si pronuncerà utilizzando il solo materiale acquisito in tale fase con la modalità dialettiche. La regola secondo cui la decisione dibattimentale si fonda sulle prove formate con il tributo dialettico delle parti è stata messa in crisi dal principio innovatore della “non dispersione” di elementi di prova. Al metodo dialettico, quale regola per formare la conoscenza dibattimentale, sì è affiancata l'esigenza di conseguire l'epilogo indipendentemente da detta regola. Si tratta di scelta alla quale diventano funzionali anche i dati conoscitivi assunti unilateralmente dal pubblico ministero in fase investigativa. Così il dibattimento si è rivelato permeabile agli atti di indagine ad es. lettura dei verbali di dichiarazione di un coimputato il quale sceglie di sottrarsi all’esame della difesa, dissolvendo i canoni fondamentali del modello accusatorio, ovvero la separazione tra le fasi, l’immediatezza e la dialettica in tema di prova. Dopo qualche anno il legislatore si distacca dalla prospettiva inaugurata dalla Corte Costituzionale che ritocca alcune previsioni codicistiche con l. 7 agosto 1997 n276 le quali più di altre avevano inquinato il modello originario, laddove consentivano agli elementi acquisiti dal magistrato d’accusa di diventare materiale probatorio utile alla decisione dibattimentale, la Corte Costituzionale interviene con una pronuncia la sentenza 14 ottobre 1998 n 361 che sterilizza una parte consistente della menzionata novazione legislativa. Infine dinanzi alla perdurante svalutazione del metodo dialettico, il legislatore realizza una manovra riformatrice, introducendo il principio del contraddittorio per la prova nell'articolo 111 co4. Cost, aspetto al quale segue in via di attuazione il ripristino normativo del quadro codicistico originario, volta a sancire, l'impermeabilità del dibattimento gli atti investigativi. (Effetti della differenza tra sistema accusatorio ed inquisitorio sono: nel rito inquisitorio il giudice istruttore svolge l'indagine più complesse e raccogliere prove. Nel rito accusatorio le indagini sono svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, il giudice ha solo il compito di giudicare. Nel rito inquisitorio la polizia giudiziaria ed il pubblico ministero raccolgono le prove nel corso delle indagini senza contraddittorio; nel rito accusatorio le prove si raccolgono nella dialettica del dibattimento e non sono utilizzabili le dichiarazioni e gli accertamenti raccolte nel corso delle investigazioni). 6 Oggi prevale la disciplina secondo cui la sentenza dibattimentale è il frutto di un giudizio basato su prove formate dinanzi al giudice di tale fase tramite il contributo paritetico dei contendenti, spiccano il principio di immediatezza e oralità che soffrono di limitazioni secondo un fisiologico bilanciamento di interessi. 7. Lineamenti strutturali La procedura penale vigente manifesta fasi e gradi in cui si snoda la dinamica principale, cioè quella diretta ad ottenere una pronuncia che regoli stabilmente l'applicazione delle norme penali nella vicenda oggetto dell’imputazione. È possibile distinguere il procedimento dal processo, intendendo, il primo, come il segmento che dura dall’inizio delle investigazioni fino all'ultimo atto che precede l'imputazione (ovvero l’esercizio dell’azione penale) e, il secondo, come lo stadio che comincia dall'imputazione e termina con la sentenza definitiva. Il distinguo terminologico dovrebbe identificare due diverse funzioni del procedere. Procedimento implica una sequela di atti, solitamente condotti alla parte, di regola non assistiti dalla giurisdizione e non sostenuti da un metodo dialettico, orientati a compiere le scelte sull’alternativa azione-richiesta di archiviazione. Processo richiede la stabile presenza del giudice che si pronuncia sull’imputazione nel rispetto delle garanzie partecipative. La complessità strutturale cresce quando accanto al procedimento principale, ovvero quello diretto alla verifica dell’imputazione, si innestano itinerari giurisdizionali, volti ad affrontare aspetti di stretta funzionalità all’accertamento principale (ad esempio acquisizione anticipata della prova), o indirizzati a risolvere questioni a quest’ultimo collegate ( ad esempio l’adozione di un sequestro preventivo) sono i c.d. procedimenti incidentali i quali manifestano i requisiti di accessorietà, strumentalità, eventualità, sommarietà e precarietà della pronuncia. Si tratta di percorsi che si presentano formalmente svincolati dalla pronuncia principale benché abbiano un legame finalistico rispetto ad essa. La dinamica processuale principale si distingue in gradi. Nell’ambito del primo grado emergono fasi ben distinte: le indagini preliminari, l'udienza preliminare, il dibattimento, i giudizi speciali. Le indagini preliminari sono contestuali o immediatamente successive all'acquisizione della notizia di reato, consistono in un insieme delle attività investigative realizzate dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero. Sul piano funzionale la fase tende a verificare la consistenza di elementi a carico, idonei a sostenere l'accusa nel giudizio. Nell'ipotesi in cui le risultanze investigative si rivelino inadeguate, il pubblico ministero chiede l'archiviazione, all'esito della quale, il giudice per le indagini preliminari deciderà se accogliere o meno la richiesta. Nel caso inverso, il pubblico ministero chiude le indagini con un atto formale, tramite cui svela i contenuti investigativi. Poi se non ci ripensa in base alle indicazioni fornite dalla difesa, egli formula l'atto di accusa (l’azione penale) tramite la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'imputato. Entrambi questi atti servono da impulso per l'udienza preliminare o udienza predibattimentale monocratica, fasi destinate a misurare la sostenibilità dell’accusa. Va chiarito che la dinamica appena descritta non è l'unica consentita al pubblico ministero. L'impulso penale si può manifestare tramite atti strutturalmente differenziati (secondo regole e condizioni fissate dal legislatore) volti ad introdurre percorsi semplificati nei quali manca l'udienza preliminare o predibattimentale. Il dibattimento quando si svolge costituisce il segmento più articolato tramite cui si effettua l’esame di merito sull’imputazione. A sua volta ripartito in stadi, il dibattimento disvela tutte le potenzialità delle individuali siano compromesse il minimo necessario a raggiungere lo scopo per il quale è contemplato l’uso de potere pubblico. D'altro canto, quanto al significato della formula secondo cui la giurisdizione si attua tramite un giusto processo, è scontato che la disciplina relativa alla dinamica giudiziaria si ispiri ai canoni enunciati dalla carta fondamentale. Tuttavia l'introduzione esplicita del giusto processo rappresenta un invito ad adottare una prospettiva più pragmatica, molto vicina al significato che assume l'insieme delle corrispondenti statuizioni contemplate dall'articolo 6 Cedu: il principio del giusto processo evoca l'esigenza secondo cui la conciliabilità formale delle norme ordinarie con la Costituzione può rivelarsi insufficiente se la gestione della vicenda processuale si fonda su esegesi devianti o su esercizi eterodossi del potere. In definitiva il giusto processo diventa un punto di orientamento nell’esercizio quotidiano del potere giudiziario. 3. Principio di legalità L'art. 111 co1. Cost impone un processo "regolato dalla legge". Pertanto si invoca il principio di legalità della dinamica giudiziaria. Carattere non tipico degli ordinamenti dell’Europa continentale bensì mutato dai sistemi di matrice britannica, il due process of law costituisce un antagonista della gestione autoritaria del processo, ambito in cui l’esercizio del potere si disinteressa delle regole. Tale principio pretende che l'esito giudiziario è il frutto di un percorso dove i diritti, poteri, oneri e facoltà sono normativamente predefiniti, sulla base di un bilanciamento degli interessi sottratto alla volontà dei protagonisti processuali. La decisione è giuridicamente accettabile se sono state rispettate le "regole del gioco" durante la procedura. Nell'art. 111 co.1 Cost. l’espressione secondo cui la giurisdizione si attua sulla base di un processo regolato dalla legge schiude una pluralità di implicazioni tra loro connesse; emerge l'esigenza che la disciplina processuale sia contemplata dalla legge non da fonti normative secondarie. Il bilanciamento di valori coinvolti nella dinamica giudiziaria, soprattutto quando è in gioco la libertà personale, deve essere rimesso alle scelte degli organi legislativi primari, dove il confronto della pluralità ideologica a base della produzione normativa manifesta la miglior garanzia nella composizione tra gli interessi. Pur non formulata come una riserva assoluta di legge, la previsione costituzionale richiede che eventuali fonti di secondo grado abbiano carattere puramente integrativo, attengano al funzionamento dell’apparato amministrativo e siano sorrette da precise indicazioni adottate con legge. In un'ottica distinta, il regime di legalità richiama il principio di determinatezza contenutistica delle statuizioni; è evidente che i presupposti di esercizio del potere, o le modalità tramite cui realizzarlo, quanto più sono ancorati ad un criterio di tipicità, tanto più garantiscono la sfera giuridica individuale. L'esigenza di tipicità della disciplina si riflette sul terreno degli atti, consentendo di valutare con maggiore puntualità se le condotte processuali compiute sono conformi a quelle contemplate dal legislatore o se essendo queste difformi dai modelli, debbano essere censurati. Un corollario molto importante del principio di legalità riguarda la dinamica delle prove e consiste nella necessità che l'opera istruttoria si svolga sulla base di modelli contemplati dalla legge a pena di inutilizzabilità. Occorre, infine, precisare che il principio di legalità è lo strumento più efficace per conseguire l'uguaglianza di trattamento dell'individuo, secondo l'art. 3 Cost. la garanzia non si arresta alle norme del diritto penale sostanziale ma si estende all’esercizio delle prerogative contemplate nell’area dell’accertamento. 4. Libertà individuali 2 Un aspetto importante nell'ambito della disciplina del processo penale è il regime dei diritti inviolabili della persona, che costringe a individuare il limite in cui questi diritti possono essere compromessi in funzione di obiettivi propri dell'accertamento giudiziario. Le garanzie fondamentali sono contemplate dagli articoli 13, 14, 15 della Costituzione e sono qualificabili come libertà psico-corporale, libertà del domicilio, libertà e segretezza delle comunicazioni. Spiccano i rapporti tra le statuizioni costituzionali, da un lato, e le misure limitative ad personam, le intrusioni nel domicilio, le intercettazioni di flussi comunicativi, dall’altro. Sul piano generale, le regole costituzionali riguardano ogni strumento capace di influire sulle menzionate libertà, anche le limitazioni di minima portata non sfuggono alla garanzia. Pertanto, assumono rilievo anche l'accompagnamento coattivo, la momentanea immobilizzazione fisica, le ispezioni o perquisizioni corporali, ecc... la copertura costituzionale delle libertà deve misurarsi con il progresso tecnologico, il quale fornisce strumenti in grado di compromettere le aree più intime della persona (spionaggio tramite social network) Bisogna considerare che le suddette regole specificate dalla Carta fondamentale non esauriscono l'ambito della libertà, stante l'art. 2 Cost. che, con formula aperta, tutela i diritti inviolabili dell'uomo, si tratta di una disciplina in progressiva espansione, non solo nel recepire le garanzie della persona tracciate sul piano sovranazionale, ma anche nel riconoscere forme di tutela che nascono da nuove esigenze individuali. Esempio implicito delle connessioni tra art. 2 Cost. e il diritto processuale penale sta nella disciplina delle interdizioni cautelari artt. 287 ss. le quali pur non influendo fisicamente sull’individuo, sono dirette a comprimere l’esercizio di facoltà che rappresentano immediata manifestazione della personalità umana. Un aspetto oggi emergente, riferibile all'art. 2 Cost. è la tutela della libertà morale e di autodeterminazione, che nel procedimento penale produce ricadute sul terreno della prova, inibendo forme istruttorie capace di invadere e compromettere il "foro interno" della persona. Altro attuale profilo critico, ancora una volta connesso all'art. 2 Cost. è il diritto alla riservatezza, dinanzi ai molteplici strumenti in grado di attenuarne il rilievo si pensi ai mezzi in grado di conoscere e, soprattutto, di conservare dati relativi alle parti costitutive della persona, come l'immagine in movimento o i profili genetici. Sul piano strutturale, le libertà fondamentali sono "inviolabili", secondo l'incipit degli artt. 2, 13, 14, 15 della Costituzione: un carattere comune che possiede una considerevole forza evocativa in termini di insolubilità delle prerogative, tale profilo induce a ritenere che la loro compressione è considerata una deroga al principio dell’inviolabilità e caratterizzata dai requisiti di tassatività e stretta interpretazione. Punto di riferimento per la tutela della libertà individuale e l'art. 13, co.1 e 2 Cost. laddove prescrive che le limitazioni alla libertà psico-corporale potranno avvenire, per un verso, solo nei casi e nei modi stabiliti dalla legge e, per altro, esclusivamente tramite intervento motivato dell'autorità giudiziaria. I poteri in materia della polizia giudiziaria sono autorizzati nelle ipotesi di necessità e urgenza art. 13 co. 3 Cost. su di essi incombe il controllo dell’autorità giudiziaria in un tempo non superiore a novantasei ore (arresto in flagranza, fermo, perquisizione personale). L'interesse principale cade sulle misure restrittive, soprattutto di natura cautelare, dove la legge deve statuire le condizioni, la tipologia, la procedura applicativa, i criteri di scelta. La codificazione ha previsto un apparato normativo concernente le coercizioni personali, fissando un complesso reticolo di disposizioni relative all’an e al quomodo dell’intervento e prevedendo un ventaglio di misure a intensità progressiva, da quella meno afflittiva fino alla custodia in carcere. Un aspetto non trascurabile consiste nell'attribuzione esclusiva all'autorità giudiziaria del potere di limitare la libertà personale. La regola vigente nella disciplina Codicistica ha affidato solo al giudice, su richiesta delle parti, la pronuncia sull'intervento cautelare coercitivo. Si tratta di una scelta che attira nell'orbita della giurisdizione il regime delle misure ante judicium ma volte ad incidere sulla libertà 3 corporale, in aderenza ad una più penetrante lettura del combinato disposto degli articoli 13 co.2, 101 co.2, 111 co.2 e 6 Cost. Sfuggono alla più elevata forma di tutela alcune limitazioni transitorie, dove l'esercizio del potere è attribuito anche al pubblico ministero, come nel caso della perquisizione e ispezione sul corpo o dell'accompagnamento coattivo per atti diversi dall'interrogatorio e dal confronto. I provvedimenti in materia sono corredati di motivazione. Lo impone la Carta fondamentale: il legislatore ha obbedito, curando nel dettaglio i criteri dell’esposizione tramite cui si giustifica l’esercizio del potere coercitivo cautelare. Il testo costituzionale vieta ogni forma di violenza, anche morale, verso il soggetto privato della libertà. Infine, emerge una riserva di legge quanto ai limiti cronologici della custodia cautelare. Si tratta di una fondamentale disposizione diretta ad escludere che la limitazione della libertà sia destinata a cessare solo quando termina il processo. La sua durata va stabilita sulla base di esigenze e di tempi espressi dal legislatore, in sintonia alla natura provvisoria delle misure ante judicium. Nonostante la sua dettagliata formulazione, l'art. 13, co2 Cost., prescrive garanzie formali, senza indicare quali sono gli scopi che autorizzano il legislatore a privare la libertà dell'individuo durante il procedimento penale. Passando alla libertà del domicilio, essa presenta una tutela analoga a quella psico-corporale. L'art. 14 co1 Cost, da un lato, stabilisce una riserva di legge sulle condizioni che legittimano l'introduzione e, dall'altro, impone le garanzie giudiziarie previste dall'art.13, co.2 e 3 della Costituzione. L'esercizio del potere è consentito anche al magistrato del pubblico ministero al quale spetta il compito di convalidare l'operato della polizia giudiziaria svolto nei casi statuiti dalla legge. L'art. 14 co1 Cost. tutela i luoghi dove la personalità dell'individuo può liberamente esprimersi a riparo dallo sguardo altrui. Il perimetro è più ampio rispetto ai tradizionali spazi domiciliari protetti dal codice penale (articolo 614 c.p.c.). Peraltro, lo sviluppo tecnologico non esclude che sia oggetto di copertura anche la privatezza di luoghi virtuali. Lo sviluppo tecnologico non esclude che sia oggetto di copertura anche la privatezza dei luoghi virtuali destinati all’accumulo dei dati informatici rappresentativi della personalità umana c.d. domicilio informatico, sotto questo profilo il legislatore ha codificato le condizioni di accesso a sistemi informatici, equiparando la ricerca probatoria alle perquisizioni domiciliari. La garanzia non si erge solo contro forme di intrusione materiale nel domicilio, ma si estende a qualsiasi altra modalità realizzata a distanza con mezzi in grado di osservare o riprodurre immagini di comportamenti tenuti in luoghi protetti, il che implica la necessità di una disciplina specifica diretta a stabilire i presupposti e la legittimazione del potere, senza la quale interventi di questo tipo risultano vietati es. videoriprese nel domicilio dirette a captare atti non comunicativi. Per finire, La tutela costituzionale della persona riguarda anche la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione (articolo 15 Cost.), nel senso che queste non possono essere compromesse, né conosciute da soggetti estranei alla comunicazione. La copertura cessa se all'insaputa degli altri, uno dei conversanti volontariamente consente a terzi di conoscere i contenuti comunicativi, ciò lascia intatto il problema della violazione della riservatezza con una serie di implicazioni processuali come la legittimità sinora ammessa l’agente di polizia che ascolta conversazioni telefoniche in viva voce per scelta di uno degli interlocutori. La protezione si estende ad ogni comunicazione, tra soggetti presenti o lontani, tramite suoni o gesti, indipendentemente dagli strumenti utilizzati, sempre che essa abbia un oggettivo carattere di riservatezza e cioè sia realizzata in modo da evitare che altri ne possano percepire i contenuti senza l’uso della tecnologia, sotto questo profilo sono conversazioni protette anche quelle che avvengono ad es. tramite email o messaggistica. L'intrusione nella predetta libertà è consentita tramite atto motivato dall'autorità giudiziaria. È escluso pertanto, l'intervento autonomo della polizia giudiziaria. Il codice 4 tramite la procedura giudiziaria, si tratta della facoltà di accedere alla giurisdizione per la propria tutela. La regola può trovare una sua estensione all’ambito penalistico, quanto al diritto di promuovere la giurisdizione incidentale per la tutela delle libertà fondamentali. Non sembra offra una copertura rafforzata alle pretese risarcitorie formulati dal danneggiato dal reato nel processo penale, considerato il suo diritto di vantarle dinanzi alla giurisdizione civile. 6. Presunzione di non colpevolezza Nell'art. 27 co2 Cost. è ribadito l'imputato "non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". La formula costituzionale è deliberatamente ambigua: Non essere ritenuto colpevole non significherebbe propriamente essere considerato innocente. Il dato lessicale ha alimentato tentazioni autoritarie, collocando l’imputato nel limbo di chi, pur non essendo considerato colpevole non è detto che sia completamente innocente, malgrado l’assenza di una condanna definitiva. Simile orientamento ha permesso la sopravvivenza, fino alla codificazione, di alcune regole di ispirazione inquisitoria. Oltre a consentire una disciplina assai disinvolta in tema di mezzi di coercizione preventiva ante judicium, il codice di procedura penale del 1930 prevedeva la formula di proscioglimento “per insufficienza di prove”: un epilogo secondo cui si ammoniva l’imputato assolto di non potersi considerare estraneo alla vicenda, essendo colpito da elementi a carico che lasciavano un’ombra di colpevolezza dalla quale conseguiva qualche effetto punitivo indiretto. Nell'attuale contesto, l'imputato è dichiarato colpevole o nei suoi confronti è pronunciato un proscioglimento senza alcuna connotazione allusiva, indipendentemente dai motivi che giustificano la decisione. Oggi la formula costituzionale viene letta nel senso che l'imputato è sempre considerato non colpevole fino a quando un provvedimento di condanna irrevocabile statuisca il contrario. Stridono i tentativi di anticipare effetti sanzionatori a momenti che precedono l’inoppugnabilità della sentenza. L’anticipazione punitiva può nascondersi dietro alcune disposizioni apparentemente rispettose del principio come per es. la disciplina che neutralizza, durante il procedimento per cassazione, i termini di fase della custodia cautelare nelle ipotesi di chi è stato condannato nei due gradi del giudizio di merito o nei casi di impugnativa proposta unicamente dal pm. La statuizione dell'art. 27 co.2 Cost., punto di riferimento dei diritti inviolabili riconosciuti in ambito giudiziario, determina un insieme di importanti corollari, delle quali si darà sinteticamente conto. Innanzitutto, la presunzione di non colpevolezza rappresenta una regola di trattamento per l'imputato; sotto nessun profilo egli potrà essere equiparato al colpevole durante l'intera procedura giudiziaria, fin quando se ne decreta la chiusura tramite una statuizione irrevocabile. Viola la tutela anche la diffusione di notizie che descrivono l’accusato come l’individuo verso il quale è già stata accertata la responsabilità. Un tentativo di porre rimedio al malcostume è oggetto del d.lgs. 8 nov 2021 n.188, intervenuto in attuazione della direttiva 2016/343/UE emanata in tema di presunzione di innocenza. La menzionata regola di trattamento influisce su tutte le situazioni soggettive che coinvolgono l’imputato, dalla tutela delle libertà individuali al diritto di difesa, nella generale duplice prospettiva di non impiegare gli strumenti processuali in chiave punitiva e di favorire l’effettività dei diritti necessari a condurre liberamente le proprie scelte giudiziarie. Qualsiasi disciplina che produca afflizioni non funzionali all’accertamento penale o sproporzionate rispetto all’obiettivo da perseguire, si rivelerebbe in contrasto con la regola che vieta l’equiparazione dell’imputato al colpevole. Tale aspetto determina ricadute significative sulla disciplina delle misure cautelari personali, soprattutto coercitive. Al riguardo occorre tenere conto dell’art. 13 Cost. Si ricorda che le regole espresse in 7 proposito della Carta fondamentale, oltre alla previsione delle garanzie formali della “doppia riserva” (legislativa e giurisdizionale), manifestano un “vuoto dei fini”, perché non indicano quali sono gli obiettivi che autorizzano il legislatore a limitare la libertà dell’imputato durante il procedimento. L’assenza di un perimetro entro cui articolare le condizioni di esercizio del potere coercitivo potrebbero generare un’indiscriminata scelta legislativa, laddove si pensasse che le predette garanzie formali bastino a soddisfare il quadro dei valori insito nella carta fondamentale. L’art. 27 co.2 Cost. vieta di trattare l’imputato come il colpevole: dal principio si ricava che le misure cautelari sono permesse nei limiti in cui esse sono funzionali all’accertamento giudiziario, sotto tale profilo, le misure sono compatibili con la norma costituzionale quando risultano utili a proteggere la genuinità della verifica processuale o ad assicurare effetti eventualmente scaturenti dalla condanna, sempre che si rivelino di afflittività proporzionata al grado delle esigenze da tutelare. L'intera disciplina che autorizza restrizioni alla libertà corporale dell'imputato è strettamente legata all'art. 27 co.2 Cost., soprattutto nelle parti in cui contempla il presupposto probatorio cautelare (fumus commissi delicti), delinea gli scopi della cautela(pericula libertatis), predisporre i criteri di scelta tra le diverse misure, fissa il regime dei tempi massimi di custodia, avendo pure in generale che gli interventi cautelari non rivestano una funzione parasanzionatoria. In definitiva, se il trattamento dell'imputato non è equiparabile a quello del colpevole, nessuna misura adottata nei suoi confronti può assumere connotati punitivi. Tuttavia, la possibilità di adottare misure cautelari sul presupposto che l'imputato delinqua nuovamente ipotesi prevista dall’art. 274 co.1 lett. c) non appare proprio in linea con l'art. 27 co.2 Cost. La finalità preventiva dello strumento e il postulato di pericolosità dell’individuo sono caratteri tipici delle figure sanzionatorie e appaiono sganciati dalla tutela di esigenze funzionali al processo, con l’effetto di attribuire all’imputato un trattamento sanzionatorio simile a chi subisce le conseguenze di una condanna. La Corte costituzionale non ha mai ritenuto contrario all’art. 27 co.2 l’allestimento di misure cautelari volte a garantire la collettività da future condotte criminose dell’imputato, sempre che il pericolo tutelabile sia circoscritto dal legislatore a determinati illeciti capaci di generare uno specifico allarme sociale. Va detto che la tutela cautelare preventiva oggi è racchiusa soprattutto negli artt. 274 lett.c) e 312 e ss. Dalla presunzione di non colpevolezza derivano altri due collari: La necessità che la responsabilità penale dell'imputato sia provata da parte di chi ne ha interesse (pm) e l’esigenza che su quest’ultimo ricade il rischio della mancata prova. Quanto al primo aspetto, si sostiene abitualmente che sul pubblico ministero incomba l'onere di prova, in ordine alla colpevolezza dell'imputato. L'onere, tuttavia, a differenza dell'obbligo o della potestà, postula la scelta del titolare sul se esercitare il diritto sottostante il quale si presenta disponibile. Il magistrato d'accusa, invece, esercita una vera e propria funzione pubblica in chiave repressiva, di cui non può disporre (art.112 Cost.). Pertanto si può dire che il pubblico ministero, invece di un onere di prova, ha il dovere di prova in ordine alla responsabilità dell'imputato, perché non ricorrano i presupposti per chiedere l’archiviazione del procedimento. Venendo al secondo profilo, strettamente legato al primo, se l'imputato non ha il compito di provare la sua non colpevolezza, ma è il pubblico ministero obbligato a dimostrare il contrario, è evidente come su quest’ultimo ricada il rischio della mancata prova. Un panorama probatorio d'accusa insufficiente o contraddittoria non riesce a travalicare la presunzione d’innocenza, di qui l'esigenza legislativa di precisare, tramite adeguate regole di giudizio, che il proscioglimento dell'imputato si impone anche nelle ipotesi dubitative o quando la colpevolezza non è provata al di là di ogni ragionevole dubbio. 7. Magistratura, pubblico ministero e obbligo di iniziativa penale 8 Il pubblico ministero è un magistrato ordinario che ha il dovere di esercitare l'azione penale art. 112 Cost. La magistratura ordinaria, nel sistema costituzionale, rappresenta un ordine dotato di autonomia e indipendenza rispetto a qualsiasi altro potere dello Stato art. 14 co.1 Cost., in modo da garantire lo svolgimento del ruolo a riparo da ogni diverso interesse, tratta di un regime che esclude la magistratura da ingerenze capaci di influire sulla corretta applicazione della legge. L'indipendenza è garantita, oltre che dalla selezione tramite concorso pubblico, mediante un organo di autogoverno, anch’esso di rilievo costituzionale, Consiglio superiore della magistratura, che svolge un ruolo amministrativo in ordine alla carriera dei magistrati (destinazione, trasferimenti, funzioni, promozioni, procedure disciplinari) sottraendolo al potere esecutivo, al quale restano gli aspetti organizzativi circa i servizi di supporto. L'indipendenza della magistratura è ritenuta una garanzia per la tutela dei diritti e per l'uguaglianza di trattamento dell'individuo dinanzi alla legge. Una regola così spiccata nella Carta fondamentale nasce dall’esperienza di un governo autoritaria che pretendeva di orientare anche l’intervento giudiziario a vantaggio dello Stato, non è detto che oggi una disciplina tanto rigorosa non sia rimodulabile per evitare che l’operato della magistratura diventi immune da ogni forma di contro-limiti esterni. I magistrati si distinguono esclusivamente per le funzioni loro assegnate art. 107 co.3 Cost., il che implica l'assenza di una vera e propria gerarchia interna dipendente dall’attività concretamente svolta, profilo che rafforza l’autonomia di ciascun componente. Sebbene il sistema complessivo attinente alla magistratura sia dominato da un criterio indifferenziato di prerogative, la Costituzione distingue i ruoli del giudice (artt. 25 co1, 101 co2, 102 ,111 co1e2 Cost.) e di pubblico ministero (artt.107 co4 ,108 co2,112 Cost.). Fermo che le garanzie del pubblico ministero sono disciplinate dalla legge di ordinamento giudiziario art. 107 co.4 Cost., e che pertanto entro certi limiti niente impedisce di organizzare gli uffici in modo più rispondente alla loro peculiare funzione è proprio l'art.112 Cost. a rimarcare la componente accusatoria del ruolo: spetta al pubblico ministero l'iniziativa diretta a promuovere l'intervento del giudice, chiedendogli di pronunciarsi sulla responsabilità dell'imputato. L'attribuzione della potestà di domandare una decisione punitiva consegna al pubblico ministero la tutela di interessi giudiziario-repressivi di pertinenza statale, profilandone la figura di parte processuale di matrice pubblicistica. La scelta soggettiva attuata dalla Costituzione risponde all'esigenza di affidare ad un magistrato il compito di condurre l'azione penale, cioè un funzionario statale che appartiene a un ordine autonomo e indipendente da altri poteri, la qual cosa mira evitare che la procedura giudiziaria si realizzi per finalità eterodosse rispetto a quella di fronteggiare la violazione della norma penale. La previsione costituzionale, nell'istituire il monopolio del pubblico ministero in materia, non sembra escludere la possibilità che altre figure, in casi strettamente individuati per legge, esercitano iniziativa penale, sempre che il magistrato del pubblico ministero realizzino attività concorrente o sostitutiva nelle ipotesi di inerzia (es. ricorso immediato al giudice di pace a cura della persona offesa). Ancora per ragioni di obiettività nella condotta repressiva, in particolare allo scopo di garantire un trattamento egualitario dinanzi alla legge penale artt. 3, 25 co. 2 e 112 Cost., il pubblico ministero non può sottrarsi all'agire sulla base di scelte arbitrarie. Ecco perché la Costituzione, lontana dall’idea di legare a una semplice facoltà l’esercizio dell’azione penale, sottolinea la presenza di un obbligo al riguardo. La previsione di una condotta doverosa non significa che il pubblico ministero è tenuto a formulare al giudice la propria richiesta appena conosce la notizia di reato. In una prospettiva pratica che valorizza la 9 procedimento penale il pubblico ministero e il polo difensivo devono potersi esprimere con eguali potenzialità: il contraddittorio non è affare che riguarda solo la parte processualmente più debole, ma investe anche le prerogative del magistrato d’accusa. Il contraddittorio oltre ad essere modulato in ragione delle diverse fasi in cui interviene (es. procedure nelle quali la presenza delle parti non è necessaria ma solo eventuale), può persino essere temporaneamente indebolito a svantaggio di uno dei contendenti, senza per questo bollare la rispettiva disciplina come costituzionalmente incompatibile. La regola generale espressa dall'art. 111, co2 Cost. può subire pressioni sempre in via transitoria, ove prevalgono altri valori da garantire. Occorre, tuttavia, che il legislatore preveda meccanismi di recupero della tutela nei successivi stadi del procedimento. La conduzione delle indagini preliminari è, per sua natura, priva di contraddittorio, l’apparato repressivo acquisisce elementi indiziari unilateralmente e lo può fare per proprio conto persino la difesa. L'intervento del giudice, quando non si realizza all’oscuro dell'imputato (es. decisione sulla richiesta di intercettazioni di colloqui), avviene in forme di dialettica debole, soprattutto perché la difesa non ha modo di conoscere, o di conoscerlo integralmente e tempestivamente, il dossier del pubblico ministero in via di confezionamento. In ogni caso, il rispetto della regola costituzionale impone che la povertà di contraddittorio in fase di indagini preliminare sia compensata da un insieme di diritti e facoltà a favore dell'imputato previsto nello stadio successivo, dopo che egli abbia completamente conosciuto il panorama investigativo acquisito dal pubblico ministero e dunque sia messo nella condizione di effettuare, dinanzi al giudice, le scelte che crede. In definitiva nei confronti dell'imputato, la tutela generale del contraddittorio, carente durante le indagini preliminari si misura sull'idoneità degli strumenti accordati successivamente al polo difensivo per fronteggiare l'attività del magistrato d'accusa. 10. Segue: confronto per la prova Di grande rilievo la precisazione che ogni segmento del processo penale in cui si acquisisce la prova deve essere assistito dal contraddittorio (art. 111 co4 Cost). La regola intende sottolineare che la scelta tra condanna e proscioglimento è giusta solo se fondata su un contributo dialettico paritario nella formazione della conoscenza giudiziaria. Il richiamo alla parola prova, operata nel testo costituzionale, esclude dalla copertura l’assunzione di elementi dimostrativi impiegati per emettere pronunce diverse dalla sentenza che vaglia il merito dell’accusa (es. Ordinanze in materia di misure cautelari). Scontato che l'unica modalità di conoscenza consiste nel metodo dialettico, sono banditi i dati acquisiti tramite una morfologia istruttoria immune dal contraddittorio: si delinea il principio di oralità, attuato tramite il meccanismo della separazione delle fasi, secondo il quale lungi dall’essere precostituiti, gli elementi di prova emergono con il contributo delle parti realizzato di regola nella sede in cui occorre decidere. Inoltre perché il contraddittorio generi i propri frutti sulla decisione, occorre che chi decide sia lo stesso giudice che ha governato l'istruttoria: si tratta del principio di immediatezza, susseguente corollario del metodo dialettico contemplato in materia di prova e desumibile dall’art. 111 co3 Cost. laddove stabilisce che l’esame delle fonti dichiarativa a discarico avvenga davanti al giudice. Dall'art. 111 co4 Cost deriva il riconoscimento di un vero e proprio diritto alla prova attribuito alle parti art. 190 cpp, le quali, alle condizioni stabilite dalla legge, possono ottenere l'acquisizione di mezzi istruttori sulle circostanze che intendono dimostrare, dando vita ad un vero e proprio sub-procedimento integralmente imperniato sul principio dialettico. È bene sottolineare che la tutela del diritto alla prova nel processo penale non implica il riconoscimento assoluto del principio dispositivo in materia di prova, inteso come una facoltà di gestire a piacimento il diritto di dimostrare i fatti allegati. 12 Non può abdicarvi il pubblico ministero perché è obbligato all'esercizio della funzione racchiusa nell'art.112 Cost e, pertanto non può sottrarsi al compito istituzionale di sostenere la verifica giudiziaria. D’altro canto l’inerzia dell’imputato in materia è giustificabile da una presunzione art. 27 co2 Cost., in base alla quale è l’accusatore a dover dimostrare la colpevolezza, cosicché l’inattività dell’imputato, piuttosto che il principio di disponibilità della prova, risponde alla libertà nella scelta difensiva manifestata anche in forma omissiva. In ogni caso, il dato costituzionale specifica il diritto alla prova dell'imputato, altrimenti detto diritto di difendersi provando, nella parte in cui sancisce che egli può ottenere la convocazione e l'esame di persone a suo vantaggio, simmetricamente al diritto riconosciuto all’accusa, e ogni altro mezzo istruttorio suo favore art. 111 co3 Cost. Laddove, al contrario, la formula costituzionale, richiedendo che tale diritto si eserciti davanti al giudice, alludesse anche ad elementi dimostrativi ad acquisire in vista di pronunce diverse da quelle dibattimentali, la garanzia riguarderebbe i segmenti decisionali in cui occorre compensare la posizione della difesa rispetto ai poteri investigativi dell'accusa ( es. Nel procedimento di riesame delle misure cautelari coercitive). Secondo una lettura più articolata, la regola in esame suggella il diritto dell'imputato alla prova contraria, smentendo ogni possibilità di negargli l'ammissione di strumenti diretti a dimostrare circostanze uguali speculari rispetto ai contenuti probatori in accusa. Ulteriore e significativo corollario del contraddittorio per la prova è il diritto a confrontarsi con l'accusatore art. 111 co3 Cost. Il principio è riassunto nella facoltà dell'imputato di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico. Il diritto a confrontarsi con l'accusatore ha generato una regola di esclusione, secondo cui la colpevolezza non può essere pronunciata sulla base di dichiarazioni rilasciate da chi, per libera scelta, si è volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore. Il dato positivo non avrebbe avuto necessità di specifica indicazione nella carta fondamentale se non fosse stato ignorato fino al decennio precedente la riforma costituzionale del 1999, laddove la responsabilità dell’imputato ha trovato fondamento sulle dichiarazioni contra alios rese da chi si rifiutava di sottoporsi all’esame della difesa. Il testo normativo è costruito come una garanzia per l’imputato, nell’ipotesi predetta sei vietata una condanna, è sempre consentito una sentenza di proscioglimento basata sulle dichiarazioni di chi preclude alla difesa il diritto di confronto Il testo normativo è costruito come una garanzia per l’imputato, nell’ipotesi predetta sei vietata una condanna, è sempre consentito una sentenza di proscioglimento basata sulle dichiarazioni di chi preclude alla difesa il diritto al confronto o di non si sottopone all’esame del pubblico ministero sui contenuti dichiarativi favorevoli all’imputato. Infine la garanzia vige se la difesa chiede l’esame del dichiarante e quest’ultimo si sottrae al contraddittorio per sua libera scelta: cioè se è ancora in vita, è compos sui, è volontariamente irreperibile o non risponde senza aver subito costrizioni dirette ad influenzare la sua volontà di silenzio. Deroghe al contraddittorio per la prova sono esplicitamente contemplate nell'art. 111 co5 Cost. Il legislatore, tipizzandoli, ha inteso fissare i casi in cui è giustificabile la non dispersione di elementi dimostrativi acquisiti senza il regime dialettico. Trattandosi di deroghe al canone generale, esse vanno considerate non estendibili analogicamente e attuabili secondo parametri di stretta determinatezza. Spicca il consenso dell'imputato a formare la prova senza contraddittorio, la qual cosa presuppone una scelta difensiva consapevole nell’autorizzare che la decisione sulla colpevolezza intervenga sulla base di atti acquisiti in assenza del metodo dialettico. Il contraddittorio, qui più che mai, pare un diritto disponibile dell'imputato, l’ipotesi eclatante è rappresentata dal rito abbreviato, dove l'imputato sceglie un giudizio basato su elementi dimostrativi assunti unilateralmente, senza modulo dialettico. 13 Talvolta la codificazione permette di evitare il contraddittorio solo dietro accordo tra le parti, autorizzando giudizi non sostenuti, anche solo parzialmente dal confronto probatorio. In secondo luogo è autorizzata l'assenza di contraddittorio a causa di un’accertata impossibilità di natura oggettiva di ricompiere l'atto tramite il metodo dialettico. In tal caso, la costituzione autorizza il recupero dei dati acquisiti unilateralmente dal pubblico ministero o della polizia giudiziaria. L'impossibilità deve rivestire carattere oggettivo e deve essere accertata; la qual cosa esclude che la mancata acquisizione in contraddittorio dipende da scelte della fonte( es. Il prossimo congiunto che si avvale della facoltà di non rendere dichiarazioni) o si realizzi quando ci siano difficoltà logistiche a ottenere un risultato istruttorio tramite il metodo dialettico ( es. Testimone residente all’estero verso il quale può essere disposta la citazione tramite rogatoria internazionale o l’audizione in videoconferenza). La deroga in esame viene molto sfruttata per impiegare nella decisione dibattimentale i c.d. atti irripetibili, in funzione dei quali l'impossibilità di compiere nuovamente l'atto utilizzando il metodo dialettico può essere, sia sopravvenuta ( es. dichiarazioni rese da una fonte poi deceduta), sia originaria, cioè legata ad una caratteristica intrinseca dell'atto, di per sé non utilmente rinnovabile rispetto ad un determinato contesto spazio-temporale (es. Un sequestro, una perquisizione). Risalta, infine, il contraddittorio negato a causa di una provata condotta illecita che abbia influito sulla fonte di prova. Vengono in rilievo comportamenti di inquinamento istruttorio, da chiunque effettuati, in forza dei quali l'ordinamento reagisce assicurando la non dispersione processuale di elementi acquisiti senza dialettica. Occorre che l’influenza ab externo abbia carattere di illiceità, anche di natura non penale, stando al tenore della norma. La mancata precisazione circa i contenuti della condotta rilevante apre una scelta ampia guidata soltanto dall’implicito scopo della tutela. La condotta che azzera il contraddittorio per la prova è quella capace di influenzare la genuinità della fonte. È importante precisare che il comportamento inquinante deve essere accertato e dunque non semplicemente sul posto magari dal contesto ambientale. 11. Controllo della pronuncia, obbligo di motivazione e principio di pubblicità. Nel sistema costituzionale italiano manca un' esplicita copertura al diritto di proporre appello contro la sentenza. Secondo talune prospettazioni il diritto al controllo di merito della decisione di condanna trova la propria fonte normativa dell'art.14 co5, Patto internazionale dei diritti civili e politici e nell'art. 2 del VII Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nelle parti in cui stabiliscono il diritto dell'imputato di ottenere un controllo della sentenza di condanna da parte di un tribunale della giurisdizione superiore, secondo i parametri stabiliti dalla legge. Sul piano costituzionale sovranazionali, mancano agganci positivi per sostenere la necessità che il pubblico ministero sia titolare del diritto di appellare, né tale prerogativa potrebbe essere desunta dall'art. 112 della Costituzione, considerati i contenuti specifici di tale previsione, difficilmente estensibile al potere di impugnare del pubblico ministero. Altro interrogativo è se il magistrato d'accusa deve essere dotato della potestà di appellare le sentenze di proscioglimento con ampiezza simmetrica a quanto è riconosciuto all'imputato contro le sentenze di condanna. Stando alla Corte costituzionale la risposta al quesito dovrebbe essere affermativa. Tuttavia si tratta di postulato discutibile, in quanto poggia su una pretesa parità di potere tra le parti processuali, accusa e difesa, che la disciplina processuale non garantisce con effettività. Invece l'art. 111 co7 Cost. statuisce l'obbligo di prevedere il ricorso per cassazione contro le sentenze e i provvedimenti in materia di libertà personale, cosicché, anche quando il legislatore non lo ha esplicitamente contemplato, il rimedio non deve ritenersi escluso. 14 PARTE I - I PRINCIPI CAPITOLO III - LE FONTI. 1. Orientamento interno. È stato detto che la Costituzione racchiude regole e principi ineludibili per la disciplina del procedimento penale, orientando le scelte legislatore. D’altro canto la manipolazione interpretativa della norma è ostacolata dal profilo testuale della disciplina, l'autorità giudiziaria nel momento applicativo dovrà proporre alla Corte costituzionale il tema di legittimità della legge in contrasto alla Carta. Quest'ultima non è direttamente applicabile in sede giudiziaria, mentre può accadere che alcune materie siano disciplinate da leggi costituzionali di immediata adozione. Le leggi ordinarie costituiscono fonti normative primarie e dirette del diritto processuale penale e si distribuiscono in leggi parlamentari, decreti legislativi, decreti-legge, legge di conversione di quest'ultimi, secondo regole comuni ad ogni altra disciplina. Il codice di procedura penale, introdotte dal d.p.r. 22 sett. 1988 n.447, pur costituendo il corpus sistematico di regole, non è l'unico tessuto normativo primario e diretto, stante la presenza di un'ampia legislazione speciale, perlopiù relativa al comparto dell’indagini di polizia giudiziaria, dei mezzi di ricerca della prova, di peculiari figure destinate assumere il ruolo di fonti di prova dichiarativa e di cooperazione europea o internazionale. Nell’ambito della disciplina specialistica emergono blocchi di norme, destinate a regolare settori peculiari dell'accertamento, come la procedura penale minorile, il procedimento penale davanti al giudice di pace, il procedimento per la responsabilità delle persone giuridiche, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, la procedura di mediazione, il complesso delle regole relative alla giurisdizione penitenziaria e all’ordinamento giudiziario. Ciascuna delle dette discipline, oltre a subire continue modifiche, a sua volta è accompagnata da complessi normativi di completamento. Anche i regolamenti costituiscono fonti normative dell'esperienza giudiziaria, non solo quando sono esplicitamente richiamati dalla legge in chiave attuativa. Oltre a non poter contenere le materie che la Costituzione riserva espressamente alla legge, i regolamenti stante l’art. 111 co2 Cost., non disciplinano i poteri dei protagonisti processuali né la struttura o la finalità degli atti. Essi piuttosto si rivolgono al personale di supporto (cancellieri, segretari) e mirano ad ordinare le loro mansioni. Malgrado il carattere di norma secondaria, i regolamenti sono di immediata applicazione e contengono previsioni che, riguardo gli strumenti amministrativi posti a sostegno della procedura giudiziaria, possono influenzarne la trasparenza e la rapidità, oltre che indirettamente incidere sull’effettività dei diritti partecipativi. Diventa sempre più diffusa la prassi di ricorrere alla c.d. soft law, consistente nella produzione di regole sotto forma di circolari e direttive che dovrebbero svolgere una semplice funzione organizzativa degli uffici ma che, invece, influiscono sull’uso del potere giudiziario con ricadute sulle situazioni giuridiche delle parti. Infine, malgrado il loro inserimento tra le fonti del diritto in generale, gli usi non possono mai costituire una matrice normativa del diritto processuale penale. Diverso è il peso da attribuire alla consuetudine internazionale. 1 2. Norme sovranazionali e garanzie fondamentali. Le regole non scritte generalmente riconosciute dalla comunità internazionale rappresentano una parte integrante dell'ordinamento italiano sulla base dell'art. 10 co1 Cost. Pertanto niente esclude che tali norme guidino le condotte processuali, giungendo persino a prevalere sulla disciplina interna incompatibile. Meno teorica è la possibilità che le regole internazionali generalmente riconosciute rappresentino una fonte integrativa, laddove l'ordinamento interno presenti una lacuna oppure le richiami espressamente, talvolta di defunti si impongono sulle norme nazionali quando il legislatore lo ha stabilito in via esplicita: es. ipotesi contemplata dall’art. 696 co1 cpp, la quale prevede, nell’ambito delle relazioni con autorità straniere, che la disciplina codicistica si applica solo se non è diversamente disposto dalle regole pattizie e dalle norme di diritto internazionale generale. Passando alla disciplina convenzionale, le leggi esecutive interne ne impongono il rispetto da parte degli operatori italiani. A parte gli accordi in materia di collaborazione giudiziaria ( es. Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e adottata con l. 23 febbraio 1961 n 215), oggi, l'attenzione si rivolge alle formule pattizie stipulate a garanzia delle libertà fondamentali. A tal proposito emergono il Patto internazionale dei diritti civili e Politici, e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali con i successivi Protocolli addizionali. Entrambi gli atti contengono le ineliminabili garanzie dell'individuo, tra le quali spiccano quelle strettamente dedicate ai rapporti tra persona e potere giudiziario. In tale ambito si identificano le seguenti fondamentali tutele: libertà personale, forme di controllo sulla sua limitazione e regole del trattamento detentivo (artt. 5 Cedu e 9 Patto int. dir. civ. pol.), imparzialità e precostituzione del giudice, durata ragionevole del processo, pubblicità delle udienze, tutela dei soggetti deboli, uguaglianza dinanzi alla legge, diritto di difesa, diritto al contraddittorio, presunzione di non colpevolezza, diritto al rispetto della vita privata e alla segretezza delle comunicazioni, diritto all’impugnazione della condanna e all’indennizzo per errore giudiziario, divieto del ne bis in idem. I principi e le regole ivi enunciate, essendo contenuti in accordi internazionali resi esecutivi tramite disciplina interna, sono stati a lungo ritenuti di pari peso alla legge ordinaria dello Stato. Nonostante i significativi valori enunciati, i menzionati complessi normativi avrebbero potuto essere teoricamente derogati da un provvedimento legislativo cronologicamente successivo alla loro ratifica. Al riguardo, allo scopo di meglio valorizzare la collocazione nella gerarchia delle fonti legislative, non ha sortito un’effettiva utilità rivendicare il loro rilievo sulla base degli artt. 10 e 11 Cost., considerando che tali previsioni propugnano l’adesione dell’Italia alle norme internazionali consuetudinarie e riconoscono le fonti pattizie e che, in alcune materie, limitano la sovranità legislativa italiana a condizione di reciprocità con gli altri Stati aderenti. Un radicale mutamento di prospettive è avvenuto dopo l'interpolazione dell'art. 117 co1 Cost., avvenuta con l'art.3 della l. Cost. 18 ottobre 2001 n.3, laddove ha sostituito che la potestà legislativa è esercitata rispettando i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli accordi internazionali. Stando al consolidato orientamento del giudice delle leggi, nell'orientamento vige l'obbligo del legislatore di rispettare i contenuti delle statuizioni convenzionali le quali, tramite l'art.117 co1 Cost., costituiscono fonti “rafforzate”, occupando un posto intermedio nella gerarchia delle fonti, tra la Carta fondamentale Italiana e la legge ordinaria, ne consegue non solo che i compilatori devono uniformarsi i contenuti della fonte pattizia ma che nessuna legge italiana precedente o successiva a quella di esecuzione è in grado di derogarvi. 2 Resta fermo che le regole e principi enunciati dalle fonti pattizie non potranno mai essere considerati di rango pari alla Costituzione, la quale prevale in ogni caso. Con l’effetto che i contenuti convenzionali possono costituire un’integrazione della tutela contemplata dalla Carta fondamentale italiana senza mai porsi in contrasto con questa. Emerge l'esigenza che la legge nazionale sia applicata tenendo conto dei parametri sanciti dalla fonte pattizia sulle libertà fondamentali, sempre che la scelta interpretativa sia conforme anche al dato costituzionale. L’esegesi della disciplina interna dovrà avvenire alla luce di quanto statuito dalla fonte pattizia ma senza trascurare il bilanciamento dei valori desumibili dalla carta costituzionale italiana, cosicché non ogni criticità emersa tra la fonte interna e quella convenzionale determina necessariamente un conflitto in termini di prevalenza della seconda sulla prima, richiedendosi all’interprete di effettuare una previa commisurazione con altri interessi tutelati dalla Carta fondamentale. Quando il conflitto con la fonte sovranazionale persiste e la disciplina interna si presenta talmente precisa da non poter essere interpretata alla luce delle Convenzioni, il giudice dovrà proporre una questione di legittimità costituzionale che, ove accolta, condurrà all’estromissione della norma interna incompatibile con la fonte pattizia. Accadrebbe il fenomeno inverso se i contenuti convenzionali si ponessero in conflitto con la disciplina interna più favorevole, in tal caso non potendo il giudice delle leggi estendere il proprio sindacato alle fonti convenzionali, lo scrutinio di legittimità avverrebbe sulla legge interna di ratifica della convenzione. Non è possibile, in ogni caso, la disapplicazione giudiziaria della disciplina italiana in attrito con la fonte pattizia, atteso che quest’ultima, pur assumendo un valore rafforzato in virtù dell’art. 117 co1 Cost., non provoca alcun limite all’efficacia della legge nazionale. 3. Segue: influenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. A questo punto, occorrono due importanti precisazioni, in particolare, utili alla soluzione dei rapporti tra la disciplina nazionale e la CEDU, ipotesi di larghissima frequenza. La valutazione dei contenuti della Cedu non va effettuata da parte del giudice semplicemente sulla base del suo dato normativo, ma occorre esaminare le regole e principi prescritti dalla fonte convenzionale attraverso l'interpretazione fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Si tratta di confrontare la previsione interna con la lettura dei contenuti pattizi fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Sotto tale profilo conta il diritto convenzionale vivente, sempre che abbia raggiunto un certo grado di stabilità per evitare che l’orientamento sovranazionale possa determinare oscillazioni sulle scelte ermeneutiche italiane. Peraltro l’interpretazione della corte di Strasburgo è ritenuta affidabile, ai fini del confronto tra norma nazionale e disciplina pattizia, solo quando riguarda casi in cui è stata riconosciuta una tutela effettiva che attinga la sostanza delle garanzie fondamentali. In particolare secondo la Corte Costituzionale solo un diritto consolidato, generato dalla giurisprudenza europea, impone al giudice interno di porlo a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessuno obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento ormai divenuto definitivo. Ad ogni modo l'analisi dei contenuti espressi nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo va effettuata con cautela. Il relativo meccanismo giurisdizionale si diversifica da quello delle magistrature superiori italiane, consistendo nel valutare se le lacune normative dello Stato contraente o le interpretazioni della legge nazionale siano da censurare con riferimento al caso concreto dedotto nell’impugnativa. L'organo europeo raramente esprime principi generali ed astratti, pur richiamandosi ai suoi precedenti, ma emette giudizi sulla conformità alla CEDU del trattamento subito dal ricorrente nella procedura giudiziaria interna. La tendenza a valorizzare il ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo si basa sull’obbligo degli Stati aderenti di uniformarsi alle sue sentenze e alle indicazioni fornite secondo l’art. 46 Cedu. 3 5. Spazio e tempo nella legge processuale penale. Le norme italiane regolanti l'accertamento giudiziario penale si applicano sull'intero territorio nazionale. Non può escludersi in ogni caso, che la legge processuale penale italiana goda di ultraterritorialità o soffra di limiti applicativi nel Paese a beneficio di discipline straniere. In primo luogo, le norme che regolano l'accertamento penale si applicano nei segmenti esteri equiparati al territorio italiano (es. navi e aeromobili italiane nello spazio internazionale). Inoltre nell'ambito dei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale, è consentito che le attività richieste dalla magistratura italiana ai loro colleghi di altro Stato siano compiute tramite la disciplina italiana, in modo da poterne realizzare un uso processuale più adeguato. Più delicato è il problema della successione delle leggi processuali penali nel tempo specialmente quanto alla sorte dei procedimenti in corso. In linea di fondo, non si applicano le regole contemplate dalle norme di diritto penale sostanziale: il divieto di retroattività della legge successiva alla realizzazione del fatto, la retroattività della nuova disciplina più favorevole, l'ultrattività della precedente statuizione in melius . Tutto ciò, nonostante in alcuni settori del diritto processuale penale sia in gioco la libertà personale. Nel procedimento giudiziario, piuttosto, vale il principio stabilito dall'art.11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo". Pertanto una legge cessa di avere efficacia quando è abrogata, gli atti del processo sono regolati dalla disciplina vigente al momento in cui devono essere compiuti, mentre restano fermi gli effetti di quelli realizzati sotto l’egida delle norme abolite (tempus regit actum). Sotto questo profilo, è del tutto irrilevante che lo ius superveniens sia meno favorevole per l'imputato o che sia più favorevole il regime precedente. Una contraria impostazione è stata prospettata in letteratura, ora supponendo l’estensibilità al processo delle regole generali proprie del diritto penale, ora richiamando l’immanenza processuale del principio del favor libertatis. Il legislatore può derogare al divieto di retroattività o al principio di non ultrattività della vecchia legge, stabilendo una disciplina transitoria che, da un lato, regoli le vicende giuridiche compiute sotto la vigenza delle norme preesistenti e, dall’altro, limiti per un determinato periodo o a talune categorie di vicende, l’applicabilità delle nuove statuizioni, sancendo l’ultrattività delle precedenti. Le cose cambiano nell’ipotesi in cui la norma sia espunta dall’ordinamento da una dichiarazione di illegittimità costituzionale, la quale, avendo le caratteristiche dell’annullamento, trascina anche gli effetti provenienti dagli atti compiuti sotto il vigore della disciplina considerata illegittima, qui restano intangibili i c.d. rapporti esauriti, ovvero le situazioni giuridiche definitivamente consumate rispetto alle quali la disciplina illegittima non sarebbe più applicabile. Nell’avvicendamento normativo le questioni di maggiore rilievo, quanto agli effetti sui procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, i mutamenti di competenza e le variazioni in tema di libertà personale. Sotto il primo profilo, una linea di orientamento della giurisprudenza costituzionale ha permesso mutamenti al regime della competenza anche durante i processi in corso, sempre che il giudice indicato dalla precedente disciplina non avesse già iniziato l’esame della causa. In materia, nonostante il disposto dell’art. 25 co1 Cost. lasci pensare ad un criterio di stretta precostituzione del giudice anteriormente alla realizzazione del reato, la nuova legge in tema di nuova competenza e ritenuta legittima se rispetta il principio di determinatezza, il che si realizza quando lo ius superveniens disciplina la competenza in termini generali e astratti rispetto una tipica classe di ipotesi. 6 Quanto alla libertà personale ante iudicium, mentre la modifica in melius va adottata durante l’esecuzione della misura atteso che una richiesta di revoca presentata sulla base della nuova disciplina favorevole registrerebbe l’assenza delle condizioni originariamente contemplate dalla legge modificata, il problema si pone se la novità legislativa rende più difficile all’imputato riottenere la libertà. L’orientamento dominante ritiene che in materia processuale permanga sempre il principio secondo cui occorre applicare la legge vigente al tempo in cui l’atto va compiuto, pertanto la nuova disciplina deve essere adottata ai provvedimenti cautelari in esecuzione quando determina un peggioramento sul piano delle condizioni dirette ad ottenere la revoca della misura. Es: resterà detenuto un soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere se la disciplina nel frattempo intervenuta contempli un tempo di durata più lungo di quanto prevedeva la norma vigente al momento di emissione della misura. In assenza di norme transitorie non è sempre semplice distinguere quale legge applicare l’ipotesi di fattispecie a formazione progressiva (fenomeni complessi che si fraziona in più unità) quando l’atto processuale si sta sviluppando al momento in cui interviene la modifica della norma. L’interrogativo emerge quando la nuova disciplina subentra prima che la fattispecie complessa è stata definitivamente realizzata e la mutazione normativa implica effetti processuali incompatibili con gli esiti derivanti dalle frazioni dell’atto già formate. In tal caso la nuova disciplina caduta sull’itinerario in via di realizzazione, condizione a ritroso la sequenza causale, dirottandone gli effetti nella prospettiva imposta dalla statuizione vigente. Si tratta di un principio desumibile da una linea interpretativa emersa in ordine alla valutazione della prova: le risultanze istruttorie derivanti da un regime normativo precedente sono compromesse dallo ius superveniens che ha radicalmente modificato la dinamica acquisitiva della prova. Pur quando l’assunzione dei dati istruttori è avvenuta secondo le regole illo tempore vigenti, conta il momento in cui viene assunta la decisione perché quest’ultimo rappresenta il segmento finale (valutazione della prova) del procedimento probatorio. Qui si colpisce retrospettiva il vecchio modello di acquisizione, non più compatibile con quello introdotto dalla nuova legge, sancendo inutilizzabilità delle risultanze. 7 PARTE II - SOGGETTI E RUOLI CAPITOLO I - IL GIUDICE 1. La giurisdizione. Nel codice di procedura penale, a differenza che nel codice Rocco, è centrale il riferimento alla giurisdizione che quindi non viene più intesa come strumento di convalida dell’azione. Nell’art. 1 si prescrive che “la giurisdizione è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario secondo le norme di questo codice”. Nella previsione è implicito il riferimento non solo all’organizzazione ma anche alle forme dell’esercizio della giurisdizione che non possono distinguersi dalla procedura. Bisogna definire in relazione a quanto prescritto dagli artt. 1 e 2 i giudici che esercitano la giurisdizione penale e l’ambito della cognizione del giudice penale. I giudici penali, in relazione anche alle ripartizioni delle diverse materie di competenza sono: il Giudice di Pace, il Tribunale, la Corte d'assise, il Tribunale militare, il Tribunale per i minorenni, il Tribunale di sorveglianza, il Magistrato di sorveglianza, il Tribunale militare di sorveglianza, il Magistrato militare di sorveglianza, la Corte costituzionale (relativamente ai giudizi di prima o unica istanza), la Corte d'appello, la Corte militare d'appello e la Corte di cassazione (in ordine ai giudizi di impugnazione). Per quanto riguarda i Tribunali militari, l'art.103 Cost. distingue la giurisdizione che essi hanno in tempo di guerra e che è stabilita dalla legge dall’attività di ius dicere ai medesimi attribuita in tempo di pace che attiene solamente ai reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. Per gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria sono soggetti alla giurisdizione penale dell’autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’art. 241 n 395 del 1990. Relativamente alla materia di competenza della Corte costituzionale va ricordato che ai sensi dell'art. 134 Cost il giudice delle leggi giudica "sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione". In materia di accusa alle alte cariche dello Stato, bisogna sottolineare che per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni dal presidente del consiglio dei ministri o dai ministri è competente il giudice ordinario ai sensi dell’art. 96 Cost. E a questo proposito va detto che ai sensi dell’art. 7 della l. cost. n. 1 del 1989 è istituito presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello un collegio, il cosiddetto Tribunale dei Ministri, che procede alle indagini in ordine ai delitti di cui all’art. 96 Cost. 2. Segue: le questioni pregiudiziali. Per quanto concerne l'ambito della cognizione del giudice penale, va rimarcato che il suddetto organo giudicante risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo i casi previsti dalla legge. Egli, perciò, provvede in via incidentale ad ogni questione amministrativa, civile o penale su cui fonda logicamente il provvedimento sulla regiudicanda. Il legislatore con tale previsione ha scongiurato il pericolo di continue sospensioni del processo penale, ogniqualvolta il giudice per pervenire alla statuizione sulle importazioni debba conoscere questioni coinvolgenti altri rami del diritto. Es. Ipotesi di un’appropriazione indebita e del necessario accertamento dell’altruità della cosa quale presupposto della configurabilità della fattispecie contestata. Nell’esempio prospettato qualora il legislatore avesse concepito un sistema giurisdizionale a “compartimenti stagni” la decisione del giudice penale sull’impugnazione avrebbe dovuto essere preceduta da una statuizione del giudice civile volta all’accertamento della titolarità del diritto di proprietà 1 necessario uno spostamento della cognizione di un gran numero di delitti di associazione di stampo mafioso, nelle loro ipotesi aggravate di formazione di un’associazione armata da parte di un organizzatore, dal Tribunale in composizione collegiale alla Corte d’assise con conseguente possibilità di far pervenire i corrispondenti processi alla pronuncia di prescrizione a causa dell’allungamento dei tempi della loro trattazione. Alla definizione della competenza per materia del GIUDICE DI PACE concorre il solo criterio qualitativo, dal momento che appartengono alla cognizione di siffatto organo giudicante sui delitti non gravi enumerati nella l. n. 468 del 1999 e nel d.lgs. n. 274 del 2000. La materia trattata dal TRIBUNALE nella sua composizione monocratica o collegiale è fissata dall’art. 6 in via residuale rispetto alla competenza per materia del giudice di pace e della Corte D’assise. Distinzione tra i delitti per i quali scatta l’assegnazione delle controversie al Tribunale in composizione collegiale e i reati rispetto ai quali interviene in composizione monocratica non attiene al profilo della competenza, ma a quello dell’attribuzione. 4. La competenza per territorio. Altro criterio di distribuzione delle controversie è quello relativo alla competenza per territorio disciplinata dagli artt. 8 e 11 bis. Il principale parametro da seguire per stabilire siffatto tipo di competenza è quello relativo al luogo in cui il reato è stato consumato, che si ispira ad esigenze di tutela dello stesso diritto di difesa ex art. 24 Cost. All'individuazione dell'accentato canone concorre anche un bisogno di tutela del principio di naturalità del giudice ex art. 25 co. 1 Cost. che, si correla alla necessità di ancorare i criteri di distribuzione delle controversie all'ontologia della fattispecie da trattare ed alla considerazione del soggetto nei cui confronti debba svolgersi il processo. Alla fissazione del criterio non è estraneo un ulteriore bisogno di tutela dell'interesse della collettività a far sì che il processo si svolga nel luogo in cui il coinvolgimento sociale per la controversia sia maggiore. Al parametro generale delle "locus commissi delitti" fanno da contrappunto talune eccezioni dovute al tipo di fattispecie sostanziale. Secondo l'art. 8 co. 2 , infatti, se dal fatto è derivata la morte di uno o più persone è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione. La ratio della previsione è riconducibile alla necessità di agevolare l’accertamento e di soddisfare l’interesse di quella collettività presso la quale maggiore si presume che sia l’attenzione al comportamento delittuoso. In base all'art. 8 co. 3, in caso di reato permanente, per la competenza per territorio si guarda al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione , anche se dal fatto sia derivata la morte di una o più persone. A questo proposito è chiaro che debba porsi attenzione al momento in cui si siano perfezionati tutti gli elementi della fattispecie di reato permanente senza tener conto dei cosiddetti effetti del delitto che potrebbero essere i più vari, sia sotto il profilo temporale che dalla loro dislocazione territoriale, e non si correlerebbero ad alcuna esigenza di tutela da contrapporre all’osservanza del criterio dell’inizio della consumazione, ciò senza tenere conto del fatto che, se si guardasse al luogo in cui fosse avvenuta l’ultima azione o omissione, il reo potrebbe facilmente scegliere il giudice a cui fare attribuire la competenza del delitto. Ai sensi dell'art. 8 co. 4, in caso di delitto tentato, scatta la competenza del luogo in cui sia stato posto in essere l'ultimo atto diretto a commettere il delitto. Il che significa che, se il comportamento delittuoso sia frazionabile, ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente è necessario porre attenzione all’ultima parte dell’azione idonea a violare il bene tutelato dalla fattispecie sostanziale. 4 Nel codice, poi, si prevede che quando non siano applicabili i criteri generali di cui all'art. 8 subentrano i cannoni suppletivi individuati nell'art. 9. In base ai medesimi, in via suppletiva si guarda all'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. Se non si può utilizzare quest’ultimo parametro, la competenza per territorio appartiene al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato. Se nemmeno quest’ultimo parametro può essere impiegato, la competenza per territorio si radica nel luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro delle notizie di reato. Quanto agli analizzati i criteri generali e suppletivi di fissazione della competenza per territorio, vanno operate alcune precisazioni in ordine ad alcuni tipi di reato rispetto ai quali emerge che, in testi normativi diversi da quello codicistico, si chiarisce il momento e luogo di consumazione del delitto al fine di stabilire la corrispondente competenza per territorio oppure si introducono parametri diversi da quelli analizzati. − L’art. 14 l. n.161 del 1962 prescrive che per i delitti di cui agli artt. 528 c.p. pubblicazione e spettacoli osceni, e 668 c.p. rappresentazioni teatrali e cinematografiche abusive commessi con il mezzo della cinematografia la competenza per territorio attiene al tribunale del luogo ove ha sede la Corte d’appello nel cui distretto è avvenuta la prima proiezione in pubblico dell’opera cinematografica. Attraverso la proiezione secondo il legislatore si produce la effettiva lesione del bene giuridico tutelato dalle accennate norme del codice penale in relazione a determinati comportamenti che presuppongono l’uso della cinematografia e avviene corrispondentemente la consumazione di reati quale presupposto del radicamento della competenza territoriale. − Per quanto riguarda il reato di diffamazione aggravata attraverso trasmissioni radiofoniche o televisive, poi, ai sensi dell’art. 30 co 5 l. n.223 del 1990 il foro competente è determinato dal luogo di residenza della persona offesa. È evidente che in merito sarebbe incongruo l’utilizzo del parametro della consumazione del delitto, data la pluralità di destinatari dell’attività diffamatoria e la contemporanea ricezione del messaggio avente ad oggetto la diffamazione in più luoghi distinti che creerebbero incertezza sul luogo in cui radicare la competenza per territorio. − Altra deroga all'art. 8 è rappresentata dal parametro imposto dal legislatore per la determinazione della competenza per territorio relativa ai processi aventi per oggetto i reati preveduti dalle leggi finanziarie. In merito, ai sensi dell’art. 21 co. 2 della l. 4 del 1929, la cognizione di questi delitti si radica nel luogo dove è accertato il reato. La Corte costituzionale ha stabilito l’illegittimità della norma nella parte in cui prevedeva che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, facesse Stato nei procedimenti penali aventi ad oggetto la cognizione dei reati previsti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette. − Al fine di agevolare una più pronta e efficace cognizione dei delitti l’art. 29 co. 2 della l. n. 646 del 1982 prevede che la competenza per territorio per materia dei reati finanziari, valutari o societari contestati ad una delle persone sottoposte a misura prevenzione a norma della l. n. 575 del 1965 oppure condannate con sentenza definitiva per il delitto di associazione di stampo mafioso, appartenga in ogni caso al tribunale che abbia applicato la misura di prevenzione o che sia stato competente per l’associazione mafiosa. − Va ricordato come ai sensi del co 1 dell’art. 1240 co 1 c.nav. la competenza territoriale per i reati di cui al codice della navigazione commessi all’estero ovvero fuori del mare o dello spazio aereo territoriale appartiene al giudice del luogo in cui, dopo che è stato commesso il reato, avviene il primo approdo della nave o dell’aeromobile su cui era imbarcato l’imputato al momento del commesso reato. Parametri particolari per il radicamento della competenza per territorio sono poi enunciati anche nel codice di procedura penale negli artt. 10 e 11. Qualora il giudice italiano abbia potere cognitivo sul reato a norma degli artt. 7 ss c.p., nell’ipotesi in cui il delitto sia stato commesso interamente all’estero, è competente territorialmente ai sensi dell’art. 10 co. 1, in successione, il giudice del luogo di residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato al momento dell'inizio del procedimento, l'organo giudicante nel 5 luogo dove è avvenuto l'arresto dell'imputato, l’autorità giurisdizionale del luogo di consegna dell’imputato all’autorità nazionale da parte dell’autorità estera. Se non si possono utilizzare in successione i criteri di cui al citato co.1, la competenza per territorio si radica, in via subordinata, nel luogo di prima iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro . Nel caso in cui il delitto sia stato commesso in parte in Italia e in parte all’estero, la competenza sarà determinata secondo le regole generali e suppletive di cui agli artt. 8 e 9 perché ai sensi dell’art. 6 co2 c.p. il crimine deve considerarsi commesso interamente in Italia. Una disciplina particolare in materia di competenza per territorio è dettata dall'art. 11 per i procedimenti in cui i magistrati siano indagati, imputati o persone offese o danneggiati dal reato. Per l’art. 11 co.1 se la competenza spetti in un ufficio compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, essa si radica in capo al giudice competente per materia del capoluogo del distretto di Corte di appello determinato con le regole tabellari definite con l. n. 420 del 1998. Se in un momento successivo a quello in cui si è verificato il fatto un magistrato vada ad esercitare le proprie funzioni nel distretto stabilito nella maniera sopraindicata, diventa competente il giudice del capoluogo del diverso distretto di Corte di appello determinato secondo il suddetto parametro tabellare. Le così individuate regole di competenza valgono anche per i procedimenti connessi a quello in cui il magistrato assume la qualità di indagato, imputato, o persona offesa o danneggiata dal reato. Affinché si applichi l'art. 11 è sufficiente la potenziale qualità di danneggiato dal reato di un magistrato appartenente allo stesso ufficio cui appartenga il giudice dell'ipotetica controversia. La disciplina richiamata fonda sul possibile sospetto di parzialità nell’esercizio della giurisdizione dei giudici e pubblici ministeri appartenenti all’ufficio in cui il magistrato coinvolto eserciti, abbia esercitato o venga in un momento successivo esercitare le proprie funzioni. La competenza individuale ai sensi dell'art.11 per la giurisprudenza di legittimità rappresenta una vera e propria competenza funzionale, laddove per la Corte costituzionale la distribuzione delle controversie attuate secondo illustrata disciplina costituirebbe una fattispecie di competenza territoriale speciale ragionevolmente individuata. A questo proposito se la competenza fissata dall’art. 11 fosse di natura territoriale, il mancato rispetto della disciplina in questione sarebbe cedibile entro i termini previsti dell’udienza preliminare o entro quello di cui all’art. 491 co 1. Al contrario se si trattasse di competenza funzionale il corrispondente vizio di incompetenza si potrebbe rilevare in ogni stato e grado del procedimento. 5. La competenza per connessione e funzionale. L'altro criterio di competenza stabilito in via originaria nel codice di procedura penale è quello per connessione. Il fenomeno dei procedimenti connessi è stato attratto nella dimensione della precostituzione per legge del giudice della controversia e, quindi, della competenza. Esso è regolato dagli artt. 12-16. L’individuazione delle ipotesi di competenza era nello spirito del legislatore e anche rivolta di dimensionare i maxiprocessi, i quali, continuano a celebrarsi in un numero rilevante con pesanti ricadute sulle possibilità di una conveniente gestione dei processi. In base all'art. 12 co.1 lett. a) si ha connessione di procedimenti quando il delitto oggetto di controversia è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro o se più persone con condotte indipendenti (dunque al di fuori dei casi di concorso o cooperazione) hanno determinato l'evento. Secondo il successivo art. 12 co.1 lett. b) più procedimenti possono essere connessi se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati) o con più azioni o omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato). 6 Ulteriormente, il difetto di attribuzione può evidenziarsi anche nei grandi di impugnazione a condizione che il vizio sia stato eccepito in tempo e riproposto nei motivi di impugnazione. In tali eventualità bisogna distinguere a seconda che il vizio abbia determinato la trattazione della controversia che era del Tribunale in composizione monocratica da parte dell'organo in composizione collegiale e viceversa. In proposito, secondo l'art. 33 octies: 1. Per quanto concerne il giudizio di appello, qualora il giudice ritenga che fosse tenuto a giudicare il tribunale in composizione collegiale, pronuncia sentenza di annullamento ed ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado, a patto che l'erronea attribuzione sia stata tempestivamente eccepita ai sensi dell'articolo 33 quinquies ed in seguito risollevata in appello. Il giudice appello decide invece nel merito se ritiene che il reato appartenesse alla cognizione del tribunale in composizione monocratica. 2. In riferimento alla corte di cassazione, essa procede come il giudice d'appello (sentenza di annullamento) se l'attribuzione era viziata per difetto e la relativa eccezione era stata proposta in primo grado e risollevata in appello ed in cassazione. Per contro, se viziata per eccesso, si applica la medesima regola, a patto che il ricorso riguardi una sentenza inappellabile o un ricorso per saltum ex art. 569 comma 1, altrimenti l'errore di attribuzione risulta irrilevante. 7. La riunione e la separazione dei processi. La normativa sulla riunione e separazione dei processi si ispira all'esigenza di assicurare la ragionevole durata delle controversie. Si può favorire la trattazione di un processo cumulativo mediante la disposizione di una riunione di più processi tutti appartenenti alla cognizione del giudice procedente quando ciò sia necessario per l’accertamento dei fatti e quindi per raggiungere in modo più semplice e spedito la definizione della controversia. La RIUNIONE si differenzia dalla connessione perché, pur dando luogo come quest’ultima al processo cumulativo, non è criterio attributivo di competenza. Inoltre, a differenza che nella fattispecie di più procedimenti connessi, in caso di riunione, un unico giudice, inteso come ufficio, deve sempre essere competente per la pluralità ipotetica di controversie rispetto alle quali disporre il cumulo. Una unificazione dei processi ai sensi dell'art. 17 del può avvenire nell'ipotesi in cui: • esiste connessione, • più reati siano stati commessi gli uni in occasione degli altri • più reati siano stati commessi per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, • più reati siano stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, • la prova concernente un delitto o una sua circostanza influisce sulla prova riguardante un altro reato o una circostanza che debba essere trattata dallo stesso organo giudicante. Oltre al presupposto della pendenza dinanzi ad un unico ufficio giudiziario, la disposizione del cumulo di processi in questione presuppone che i processi si trovino nello stesso stato e grado e l'unificazione non deve produrre un ritardo nella definizione dei processi. Inoltre, l'istituto in questione presuppone l'avvenuto esercizio dell'azione penale. Ciò è confermato dal fatto che a norma dell’art. 130 norme att. , se gli atti di indagine riguardano più persone o più imputazioni, il pubblico ministero deve inserire nel fascicolo di cui all’art. 416 gli atti che riguardano le persone e le imputazioni per le quali si esercita l’azione penale. 9 Quanto alla natura della situazione soggettiva cui si riannoda l’accennata unificazione dei processi, va detto che la stessa rappresenta un potere-dovere rispetto al quale la discrezionalità delle disposizioni del culo non elide la doverosità del provvedimento quando si ritengano realizzati tutti i presupposti di legge. Sul fronte opposto a quello della riunione si pone l'istituto della SEPARAZIONE dei processi, che può essere disposta ai sensi dell'art.18 quando l'organo giudicante non ritenga necessaria per l'accertamento dei fatti la riunione. Le ipotesi di riunioni previste dall'art. 18 sono: a) quella in cui, in udienza preliminare, nei riguardi di uno o più imputati o per uno o più imputazioni non sia possibile pervenire prontamente alla decisione, mentre nei confronti di altri imputati sia necessario acquisire altre informazioni ai sensi dell'art. 421 bis, b) se nei confronti di uno o più imputati o per uno o più imputazioni sia stata ordinata la sospensione del procedimento, c) se uno o più imputati non siano comparsi al dibattimento per nullità dell'atto di citazione o della sua notificazione, per legittimo impedimento o per mancata conoscenza incolpevole dell’atto di citazione, d) se uno o più difensori di imputati non siano comparsi in dibattimento per mancato avviso ovvero per legittimo impedimento, e) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni l’istruzione dibattimentale risulta conclusa, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni sia necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione, f) se uno o più imputati di reati di cui all’art. 470 co2 lett. a) sia prossimo essere rimesso in libertà per scadenza dei termini per la mancanza di altri titoli di detenzione. Si possono poi separare i processi quando c’è l’accordo delle parti e a condizione che l’organo giudicante la reputi utile per la speditezza del processo. La riunione e la separazione vengono disposte con ordinanza che può essere emessa anche in ufficio dopo aver sentito le parti ai sensi dell’art. 19. Ascoltare le parti non significa che si debba disporre udienza, e inoltre in giurisprudenza si è chiarito che se una parte chiede la riunione, bisogna solo avvertire gli altri contendenti che possono anche mantenere un atteggiamento di passivo silenzio (Corte di cassazione n6221). 8. Il difetto di giurisdizione e l'incompetenza. Per evitare che il giudice violi i limiti della sfera giurisdizionale a lui spettante il legislatore appresta la disciplina avente ad oggetto i rimedi alla carenza di giurisdizione ed all'incompetenza. Nel primo ambito, il DIFETTO DI GIURISDIZIONE può essere assoluto o relativo, nel senso che può mancare del tutto il potere giurisdizionale o lo stesso andrebbe attribuito ad un giudice di giurisdizione differente da quella che si stia esercitando (rapporto tra giudice ordinario e giudice speciale). Per il legislatore, i rimedi alle due situazioni di deficit giurisdizionale sono identici. Infatti l'art. 20 c.p.c. stabilisce che il difetto di giurisdizione, senza ulteriori distinzioni, è rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Similmente a quanto accade per l'incompetenza, se la carenza di giurisdizione viene rilevata nel corso dell'indagine preliminari, il vizio sarà dichiarato con ordinanza e contestualmente si trasmetteranno gli atti al pubblico ministero. Dopo la chiusura dell’indagini si pronuncerà sul difetto di giurisdizione con sentenza con cui, se il vizio sarà relativo, si trasmetteranno gli atti al competente organo giudicante. 10 Va precisato che il difetto assoluto di giurisdizione, anche se non dedotto precedentemente, può diventare oggetto di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 co1 lett. a). Lo stesso vizio di natura relativa, dedotto o meno precedentemente, può anch’esso diventare oggetto di censura in ultima istanza quale inosservanza di norma processuale ex art. 606 co1 lett c). La giurisprudenza ha chiarito che la deducibilità per la prima volta in sede di legittimità dell’accennata patologia presuppone che non si debba ricostruire il fatto ex novo dinanzi alla Corte di cassazione. Passando ad analizzare la disciplina in tema di INCOMPETENZA, va ricordato che la stessa è contenuta negli artt. 21-25. Muovendo dall'incompetenza per materia va sottolineato che secondo l'art. 21 co. 1, l'accennata patologia è rilevabile d'ufficio dal giudice o eccepibile dai contendenti in ogni stato e grado del processo. Va precisato che quando l'interesse salvaguardato dalla disciplina è salvo, nell’ipotesi di incompetenza per eccesso (situazione che si configura se per la cognizione di un determinato delitto è attivato un giudice superiore e quindi presumibilmente più attrezzato di quello inferiore) l'incompetenza può essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, soltanto prima della conclusione dell’udienza preliminare oppure entro il termine di cui all'art. 491 co1 c.p.c. quando manchi l’udienza preliminare o nell’ambito della medesima sia rigettata l’eccezione ipotizzata di incompetenza. Nei casi di citazione diretta a giudizio, l’eccezione va posta subito dopo il controllo sulla regolare costituzione delle parti nell’udienza di comparizione predibattimentale. Va ricordato quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche a fronte del richiamato dettato legislativo ogni giudice sarebbe organo giudicante della propria competenza intesa come presupposto del proprio potere di deliberare, così da poter rilevare il vizio della medesima pure oltre i termini sopra prescritti. Durante le indagini preliminari, quando il giudice rilevi qualsiasi tipo di incompetenza ai sensi dell'art. 22 co. 1 la dichiara con ordinanza e restituisce gli atti al pubblico ministero. Essendo il giudice per le indagini preliminari un giudice di garanzia senza fascicolo, è evidente che la sua pronuncia di incompetenza limita i suoi effetti alla situazione per la quale sia stata sollecitata la pronuncia sulla competenza dell'accennata autorità giurisdizionale. Questo significa che la competenza può essere successivamente rivalutata e che la pubblica accusa nonostante la decisione di incompetenza può continuare a svolgere indagini, fermo quanto disposto dall'art. 54 quater. Quanto alla fase del giudizio, il vizio di competenza viene dichiarato con sentenza a cui si riannoda pure la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. Solo se la competenza appartiene ad un giudice inferiore, l'incompetenza, viene rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’art. 491 co1 e nel caso in cui siffatto rilievo o eccezioni sussista, il giudice che si ritenga incompetente disporrà la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. Passando a definire quanto accade dinnanzi alla CORTE D’APPELLO va sottolineato che bisogna differenziare l'ipotesi di incompetenza per materia dalla fattispecie del difetto di competenza per territorio o per connessione. Per ciò che concerne quella per materia, se lo stesso sia dipendente da una situazione di “ipocapacità” del giudice, l'organo giudicante in secondo grado annulla la decisione di prime cure e trasmette gli atti all'organo d'accusa presso il giudice competente. Non si dichiara il vizio, al contrario, se un giudice superiore abbia giudicato in primo grado in una controversia appartenente alla competenza di un organo giudicante inferiore. Quanto, poi, all'incompetenza per territorio o per connessione, va sottolineato che la stessa deve essere rilevata o eccepita entro la fine dell'udienza preliminare, o se questa manca entro il termine di cui all'art. 491 co. 1. Entro quest’ultimo termine deve pronunciarsi l’accennato tipo di incompetenza anche nel caso in cui l’eccezione sia stata respinta in udienza preliminare. Inoltre si può pronunciare lo stesso difetto di competenza in appello con coeva trasmissione degli atti al 11 La forza di prevenzione che è stata ritenuta la base dell'incompatibilità per le segnalate pronunce della Corte costituzionale è stata definitivamente sancita dal legislatore tra il ruolo di giudice per le indagini preliminari e le funzioni che lo stesso, dopo le indagini preliminari, vada ad espletare nell'emettere il decreto penale di condanna e, nel tenere l'udienza preliminare e nel partecipare al giudizio anche fuori dei casi previsti nell'art. 34 co2 Con l'introduzione del co. 2 ter nell'articolo in esame si precisa che l'incompatibilità da ultimo segnalata e prescritta precedente co. 2 bis scatta solo quando sussista un contatto tra il giudice per le indagini preliminari ed elementi rappresentativi, tant'è che la preclusione rispetto all'assumere funzioni successive non scatta quando il giudice abbia adottato nel medesimo procedimento uno dei seguenti provvedimenti: a) le autorizzazioni sanitarie previste dalla legge 354 del 1975 art. 11. b) Il provvedimento che dichiara la latitanza a norma dell'articolo 296. c) I provvedimenti relativi ai permessi previsti dalla legge 354 del 1975 art. 30 d) I provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza previsti dalla legge 354 del 1975 artt.18 e 18 ter e) Il provvedimento di restituzione nel termine di cui all’articolo 175 Questi tipi di provvedimenti non rappresentano per la giurisprudenza un numero chiuso per cui, bisognerà sempre stabilire di volta in volta la riconducibilità di un'ipotetica attività del giudice per le indagini preliminari, indiziata di essere fonte di incompatibilità, alla ratio nelle categorie di cui al co. 2 ter o 2 quater, secondo il quale non scatta l’incompatibilità del giudice per le indagini preliminari di cui all’art. 34 co. 2 bis, nelle ipotesi in cui il suddetto organo giudicante abbia assunto un incidente probatorio abbia adottato uno dei provvedimenti previsti dal titolo VII del libro V. In questo modo si tende a salvaguardare in capo al giudice procedente il potere di conservare nel prosieguo del procedimento la percezione degli elementi probatori acquisiti. 11. L'astensione. All’incompatibilità ai sensi dell’art. 36 si rimedia innanzitutto attraverso l’astensione. Da quanto stabilito dal suddetto articolo tutte le situazioni da cui nasce il dovere di astenersi si allacciano al valore della terzietà perché relative alla salvaguardia di modelli procedimentali in cui si mantiene l’equidistanza del giudice dalle parti ed altri soggetti, tranne nel caso previsto dall’art. 36 lett. g) dove si tutela il valore dell’imparzialità nei rapporti interni con le pregresse attività del procedimento. Il dovere di astenersi esiste quando: a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli; b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie; d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero; g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario; h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza. Secondo il co. 3, la dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con decreto senza formalità di procedura. In base al co. 4, sulla dichiarazione di astensione del presidente del Tribunale decide il presidente della Corte di appello, mentre su quella del presidente di Corte di appello decide il presidente della Corte di cassazione. 14 La dichiarazione di astensione deve essere motivata, mentre la decisione sulla dichiarazione per la giurisprudenza può non essere motivata e non è impugnabile sia perché opera in proposito il principio di tassatività delle impugnazioni, sia perché la delibera a natura amministrativa e non giurisdizionale. In caso di decreto che accoglie la domanda di astensione è possibile che nel procedimento si indicano gli atti compiuti che conservino efficacia nel prosieguo del processo che continua dinanzi al sostituto designato. Se però il giudice che delibera sulla dichiarazione di astensione non si pronuncia sull’efficacia degli atti, secondo alcuni, che ragionano in base alla lettera della legge secondo la quale la conservazione degli effetti seguirebbe a un’espressa dichiarazione di efficacia dei medesimi, si determinerebbe l’inefficacia assoluta dei medesimi atti. Invece la giurisprudenza accoglie l’orientamento secondo cui in funzione del principio di conservazione, rimarrebbero efficaci tutti gli atti di cui non sia stata dichiarata esplicitamente l’esclusione. Ai sensi dell'art. 42 co. 1 il giudice astenutosi non può compiere alcun atto del procedimento a pena di nullità assoluta, ex artt 178 lett. a) e 179 co. 1, a causa dell'incapacità che l'accoglimento della dichiarazione di astensione determina in capo al giudice sostituito. 12. La ricusazione. L'organo giudicante può essere destinatario di una dichiarazione di ricusazione da parte dei contendenti per la ritenuta sussistenza di una delle ipotesi di cui all'art. 37. In questo articolo i casi di ricusazione sono stabiliti tramite un rinvio all'art. 36 co. 1 lett. a), b), c), d), e), f), g), quindi non rientra nei casi di ricusazione quello per gravi ragioni di convenienza (lett. h). In base all'art. 37 co.1 lett. b) il giudice può essere ricusato dalle parti se nell'esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione. Quest’eventualità si ritiene sussistere se l’organo giudicante abbia esaminato la regiudicanda anticipatamente in maniera del tutto indipendente da esigenze effettive connesse all’esercizio delle sue funzioni. Ulteriore ipotesi di ricusazione è stata introdotta dalla Corte costituzionale ed è quella in cui l'organo giudicante abbia espresso in un altro procedimento, anche non penale, il suo convincimento di merito nei confronti dello stesso soggetto che è imputato ed in relazione agli stessi fatti di cui all'imputazione. La ricusazione si differenzia dalla rimessione perché riguarda il giudice persona e non un intero collegio o addirittura il giudice ufficio. Il difensore può articolare la dichiarazione in questione solo su apposito mandato anche se in giurisprudenza si è stabilito che non sia necessaria una procedura speciale. L’affermazione è sostenuta da quanto previsto nell’art. 38 co. 4, dove prima si stabilisce che la dichiarazione di ricusazione può essere fatta personalmente dall’interessato e poi si prescrive che il giudice può essere ricusato a mezzo del difensore o di un procuratore speciale. Quanto ai termini per effettuare la ricusazione, va sottolineato che ai sensi dell'art. 38 co. 1 la stessa può essere proposta nell'udienza preliminare, fino a che non siano conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, o nel giudizio, fino a che non sia scaduto il termine previsto dall'art. 491 co.1. In giurisprudenza si è precisato che in dibattimento non è sufficiente che si ricusi il giudice prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ma bisogna che la ricusazione avvenga subito dopo il compimento dell’accertamento relativo alla costituzione delle parti. Quanto all’ultima prescrizione di cui all’art. 38 co. 1, bisogna operare una distinzione tra atti compiuti nel contraddittorio e atti che ne prescindono. In quest’ultimo caso, la ricusazione deve intervenire prima dell’emanazione del provvedimento. Nel procedimento in camera di consiglio l’art. 38 co1 ultima parte va 15 inteso nel senso che il giudice deve essere ricusato non appena compia qualsiasi adempimento in cui si concretizza il contraddittorio tra i contendenti. Nell'ottica di ciò che prescrive il co. 2 quando la causa di ricusazione sia sorta o sia divenuta nota dopo la scadenza dei termini previsti dal co1, la dichiarazione può essere proposta entro 3 giorni; se la causa di ricusazione è sorta o è divenuta nota durante l’udienza, la dichiarazione di ricusazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell'udienza. Per la giurisprudenza quanto ai termini in cui deve divenire nota la causa di ricusazione, sogna fare riferimento alla situazione obiettiva di pubblicità della stessa che non deve significare effettiva conoscenza del fatto, bensì conoscibilità del medesimo con l’ordinaria diligenza. Tutto ciò è previsto a pena di inammissibilità e siffatta sanzione scatta anche per la violazione del co. 3, in cui si prescrive che la dichiarazione di ricusazione deve contenere l’indicazione dei motivi e deve essere redatto con atto scritto. La ricusazione, ai sensi dell'art. 39, può concorrere con la dichiarazione di astensione ed in tal caso la prima si considera come non proposta anche se il giudice si astenga successivamente alla dichiarazione di ricusazione e l'astensione venga accolta. In ordine all'organo giudicante che sia legittimato a provvedere sulla dichiarazione di ricusazione va sottolineato che ai sensi dell'articolo 40, co. 1, sulla ricusazione di un giudice di Tribunale o della Corte di assise o della Corte di assise di appello decide una sezione della Corte stessa, diversa da quella cui appartiene il giudice. A norma del co. 2, stessa cosa avviene per la ricusazione di un giudice della Corte di cassazione. Nell'ultimo co. dell'art. 40 si prescrive che i giudici chiamati a decidere sulla ricusazione non possono essere a loro volta ricusati. In relazione alla decisione sulla dichiarazione di ricusazione, va ricordato che al di là dei già ricordati i casi di pronuncia di inammissibilità, quest'ultima è emanata ai sensi dell'art. 41 co. 1 anche quando i motivi di ricusazione siano manifestatamente infondati, ed avverso l'ordinanza di inammissibilità è proponibile ricorso per Cassazione che dà luogo ad una decisione della Corte di cassazione in camera di consiglio. Il co. 2 prevede che al di fuori dei casi di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione, la Corte può disporre, con ordinanza, che il giudice sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento di atti urgenti. Ciò significa che la sola presentazione della dichiarazione di ricusazione non sospende di per sé l’attività processuale e siffatta eventualità deve essere oggetto di una specifica delibazione. Il solo divieto che scatta con la dichiarazione di ricusazione è quello di cui all'art. 37 co. 2 secondo cui il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. Quest’ultimo precetto non opera quando ci si limiti a riproporre una dichiarazione di ricusazione già antecedentemente rigettata o dichiarata inammissibile. C’è chi ritiene che la violazione del divieto non determini alcuna invalidità o altra sanzione processuale perché nella norma si fisserebbe l’obbligo di tenere una certa condotta processuale e non una condizione di capacità del giudice rispetto all’atto da assumere. In giurisprudenza si è stabilito che conserva la sua validità la delibera definitoria del giudizio che sia stata emanata da un organo giudicante rispetto al quale la dichiarazione di ricusazione venga rigettata o dichiarata inammissibile dall’organo competente di cui all’art.40 , laddove sarebbe affetta da nullità assoluta la decisione assunta dal giudice in riferimento al quale la dichiarazione venga accolta, ciò indipendentemente dal fatto che la pronuncia intervenga a conclusione del procedimento di ricusazione o mentre quest’ultimo penda. In ordine alle formalità procedurali da seguire per giungere alla pronuncia sulla dichiarazione di ricusazione, va sottolineato che mentre l’ordinanza di inammissibilità per inosservanza delle forme o dei termini o ancora per manifesta infondatezza della ricusazione viene assunta de plano e senza ritardo ai 16 mancata notifica alle parti dell'istanza entro 7 giorni dal deposito), oppure nell'eventualità di manifesta infondatezza della domanda ai sensi dell'art. 49, co 2. La delibera, diversamente, può essere di rigetto della richiesta quando si reputino mancanti i presupposti della rimessione. In proposito, bisogna però sottolineare che se alle situazioni di condizionamento dei soggetti processuali si possa rimediare adottando misure diverse dallo spostamento di competenza, oppure se i fattori di turbamento della serenità del giudizio permangano anche nella sede processuale alternativa, non si fa luogo al trasferimento del processo. Inoltre, quando la richiesta viene rigettata o dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza, la medesima può essere ripresentata ai sensi dell'art. 49, co2, purché fondata su elementi nuovi. Se l'inammissibilità è pronunziata per motivi diversi dalla palese infondatezza, la richiesta di rimessione può essere avanzata nuovamente senza limiti di sorta. La pronuncia, infine, può essere di accoglimento dell'istanza ed essa viene emanata quando si reputino sussistenti le condizioni ambientali che turbino la serenità e genuinità del giudizio ed in più quando lo spostamento della competenza sia necessario ed utile. Il trasferimento di quest'ultima avviene nell'ottica del disposto dell'art. 11. Più specificamente, allora, l'ordinanza che accoglie la richiesta di rimessione viene comunicata senza ritardo al giudice procedente ed a quello designato. Il giudice procedente, quindi, trasmette immediatamente gli atti del processo al giudice designato e dispone che l'ordinanza della Corte di cassazione sia per estratto comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti private. Quanto alla sorte degli atti compiuti dal giudice sostituito, con la nuova formulazione dell'art 48 non è più in potere del giudice designato dichiarare, con ordinanza, se e in quale parte gli atti già compiuti conservino efficacia. Attualmente, infatti, ai sensi del nuovo co. 5 del citato articolo il giudice designato dalla Corte di cassazione procede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente al provvedimento che abbia accolto la richiesta di rimessione, quando ne è richiesto da una delle parti e non si tratti di atti di cui sia divenuta impossibile la ripetizione. Alla rinnovazione degli atti osta anche la ricorrenza delle due situazioni di cui al co1 dell'art. 190 bis Con lo spostamento di competenza non è preclusa la possibilità di un nuovo trasferimento del processo nelle due eventualità previste dall'art. 49, co 1, e, cioè, quando anche dinanzi al nuovo ufficio giudiziario non si possa celebrare il processo per i motivi di cui all'art. 45., oppure quando si determini la restituzione della controversia al giudice sostituito per il venir meno delle ragioni che abbiano determinato la rimessione 14. La capacità del giudice. In ordine alla capacità del giudice, bisogna distinguere quella di acquisito dall'altra di esercizio. Quest'ultima si assume tramite un atto di investitura disciplinata dall'ordinamento giudiziario che se non è regolare inficia la validità dell’esercizio della funzione. A questo proposito, l'artt. 178 e 179 prescrivono una nullità in due ordini per l'inosservanza delle condizioni di capacità del giudice oltre che per il numero dei giudici indispensabile per costituire il collegio. L'altra norma che viene in rilievo in tema di capacità dell'organo giudicante è l'art. 33 , nel cui co. 1 si stabilisce che: “le condizioni di capacità del giudice sono stabilite dalle leggi di ordinamento giudiziario”. La capacità di esercizio presuppone la sussistenza di requisiti per il regolare svolgimento della funzione giurisdizionale come la nomina, l'ammissione all'esercizio delle funzioni giurisdizionali. La capacità di acquisto, invece, si riferisce a quanto sia indispensabile per l'assunzione della qualità del giudice come la cittadinanza italiana, la laurea in giurisprudenza ed il godimento di diritti civili. 19 Nell'ambito della prima dimensione di capacità vi è poi dottrina chi distingue quella generica, che ci si procura con la nomina e con l'immissione in ruolo, ed in mancanza della quale scatterebbe la nullità generale di cui all'art. 178 co1 lett. c) , dall'altra specifica, che concerne la regolare costituzione nell'ambito di uno specifico processo, e la cui assenza non darebbe luogo a nullità. A tal proposito va ricordato che l'art. 33 co. 2 prevede che non siano riferibili alla nozione di capacità del giudice tutte le disposizioni riguardanti la destinazione del magistrato agli uffici giudiziari ed alle sezioni, nonché le altre afferenti alla formazione dei colleghi all’assegnazione dei processi. È stato precisato che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari, pur non concernendo l’ambito della capacità del giudice, non è priva di rilievo ed in relazione alla medesima, perciò, vi sono o debbano essere prefigurati appropriati rimedi. Sul versante della capacità di acquisto bisogna sottolineare che il deficit della medesima determina l’inesistenza degli atti compiuti perché gli stessi rappresentano provvedimenti emessi a non iudice. La distinzione tra i vizi della capacità di esercizio generica del giudice e quelli connessi all'attribuzione è sancita dall'art. 33 co 3 dove si prescrive che: “l'attribuzione degli affari al giudice in composizione collegiale o monocratica non si considera attinenti alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessari per costituire l'organo giudicante”. 20 PARTE II - SOGGETTI E RUOLI CAPITOLO II - I SOGGETTI DEL RUOLO INVESTIGATIVO 1. Il pubblico ministero Oltre al giudice sono soggetti del processo: il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l’imputato, la parte civile, il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa e il difensore. Alcuni di questi soggetti diventano parti con la formulazione dell’imputazione. In particolare, con l’esercizio dell’azione penale la persona sottoposta alle indagini preliminari, acquistando lo status di imputato, diventa parte così come parte diventa il pubblico ministero. La persona offesa, che è soggetto del procedimento, diventa parte se si costituisce parte civile sempre dopo l’esercizio dell’azione penale. La costituzione di parte civile può avvenire solo da parte del danneggiato dal reato in modo che se siffatto presupposto non ricorre, nel processo rimane come soggetto processuale, e non come parte, solo l’offeso dal reato a cui sono riconosciuti determinati diritti e facoltà ma non tutti i diritti procedurali della parte civile. Dopo la formulazione dell’imputazione diventano parti necessarie l’imputato ed il pubblico ministero, mentre sono parti eventuali la parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per l’ammenda. Passando a trattare la disciplina del PUBBLICO MINISTERO, che è soggetto nel corso delle indagini preliminari e diventa parte dopo l’esercizio dell’azione penale, bisogna ricordare che nel passaggio dal vecchio codice a quello attuale, l’organo d’accusa ha perso i poteri che aveva di restrizione della libertà personale e nella fase antecedente alla formulazione dell’imputazione ha un potere di indagine che non è equiparabile al vecchio potere istruttorio ovvero alla possibilità di elaborare unilateralmente prove utili per la decisione conclusiva del giudizio. Ciò per la cancellazione del vecchio ibridismo di funzioni che nella fase antecedente al dibattimento attribuiva sotto il regime del codice Rocco al giudice istruttore e la doppia funzione di giudice e accusatore e al pubblico ministero un eguale cumulo di funzioni di accusatore e giudice. Passando all'analisi della normativa relativa all'organo d’accusa, va sottolineato come il pubblico ministero ai sensi dell'articolo 50 co. 1, in combinato disposto con l'art. 405, sia il titolare esclusivo dell'azione penale ed esercita quest’ultima quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione. La norma convalida la caratteristica essenziale del processo accusatorio di alterità tra giudice e accusatore. Ne consegue che l’organo giudicante non solo non può procedere d’ufficio, ma può solo controllare in seconda battuta la correttezza dell’azione esercitata dal pubblico ministero senza poter incidere sulla formulazione del contenuto dell’azione e quindi sulla delimitazione dell’oggetto del processo. Dal citato art. 50 co. 1 emerge l'alternativa secca posta dal legislatore tra azione ed archiviazione. La scelta tra l'esercizio dell'una e la richiesta dell'altra avviene a conclusione delle indagini preliminari sulla base degli elementi investigativi raccolti. Se con la formulazione dell'imputazione il pubblico ministero agisce in una dimensione di concretezza, ciò vuol dire che il processo non scaturisce automaticamente dalla notizia di reato e che, al contrario, prima bisogna completare le indagini e, poi, se sussiste la ragionevole previsione di una pronuncia di colpevolezza, iniziare il processo. Il pubblico ministero è autonomo ed indipendente perché è un magistrato ed in tal senso non è sottoposto né a condizionamenti esterni da parte di altri poteri dello Stato, né a pressioni interne nell'ambito dell'ufficio in cui si esplicano funzioni, non è sottoposto al potere esecutivo nemmeno 1 Va esaminata la normativa in materia di contrasti tra uffici del pubblico ministero che è contenuta negli artt. 54 e ss. In proposito ai sensi dell'art. 54 co1 il pubblico ministero, se durante le indagini preliminari ritiene che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale egli esercita le funzioni, trasmette immediatamente gli atti all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente. Ai sensi del co. 2, può accadere che il pubblico ministero che ha ricevuto gli atti, ritenga che debba procedere l'ufficio che li ha trasmessi, e quindi informa il procuratore generale presso la corte di appello ovvero, qualora appartenga a un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione. Il procuratore generale, esaminati gli atti, determina quale ufficio del pubblico ministero deve procedere e ne dà comunicazione agli uffici interessati Ai sensi del co. 3 gli atti di indagine preliminare compiuti prima della trasmissione o della designazione indicati nell'art. 54 co 1 e 2 possono essere utilizzate nei casi e nei modi previsti dalla legge. In proposito si è ritenuto che gli atti posti in essere dall'ufficio ritenuto non legittimato alle indagini preliminari possano essere impiegati per emanazione di misure cautelari, per le delibere da assumere in udienza preliminare e in dibattimento ai fini delle contestazioni per le letture consentite. Quanto alle misure cautelari applicate prima della trasmissione degli atti di cui all'art. 54 su domanda dell'organo d’accusa reputato non legittimato, va detto che le medesime conservano la loro efficacia perché la previsione di cui all'art. 27 opera solo a fronte di una pronunzia di un giudice che si ritenga incompetente. A questo punto va precisato che la disciplina dei contrasti di cui all'art. 54 co 1 e 2 si applica non solo relativamente alle divergenze sorte tra uffici del pubblico ministero sul giudice competente presso il quale attivarsi per le indagini preliminari, bensì anche in ogni altro caso di contrasto negativo tra pubblici ministeri (art. 54 bis.) Oltre ai contrasti consistenti in negazioni di trattazioni di un medesimo fatto, possono verificarsi anche i contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero. Gli stessi sono regolati dall'art. 54 bis e si verificano quando più uffici di accusa pretendono di compiere indagini contemporaneamente sulla stessa persona ed in ordine al medesimo fatto. In proposito, ai sensi del co. 1, quando il pubblico ministero riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari a carico della stessa persona e per il medesimo fatto in relazione al quale egli procede, informa senza ritardo il pubblico ministero di quest'ufficio richiedendogli la trasmissione degli atti a norma dell'art. 54, co 1. Nell'ottica del co. 2, quando il pubblico ministero che ha ricevuto la richiesta di trasmissione degli atti non ritenga di aderire alla stessa, informa il Procuratore generale presso la Corte di appello ovvero, qualora appartenga ad un diverso distretto, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Il Procuratore generale, allora, assunte le necessarie informazioni, determina con decreto motivato, secondo le regole sulla competenza del giudice, quale ufficio del pubblico ministero deve procedere e ne dà comunicazione agli uffici interessati. All'ufficio del pubblico ministero designato sono immediatamente trasmessi gli atti del diverso ufficio. Al Procuratore generale che deve risolvere il contrasto non sono trasmessi automaticamente i fascicoli degli organi procedenti perché è al medesimo attribuito il potere di assumere informazioni che non implica necessariamente l'esame degli atti dei procedimenti. Una normativa particolare in tema di contrasti è dettata dall'art. 54 ter in tema di reati di criminalità organizzata. Tale articolo stabilisce che quando il contrasto negativo o positivo previsto rispettivamente dell'art. 54 e dall'art. 54 bis riguarda taluno dei reati indicati nell'art. 51 co. 3 bis, se la decisione spetta al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, questi provvede sentito il Procuratore Nazionale antimafia e antiterrorismo. 4 Venendo al diritto dell'indagato e della persona offesa di chiedere lo spostamento del procedimento presso altro ufficio del pubblico ministero, va sottolineato che gli accennati soggetti non possono presentare la corrispondente richiesta direttamente alle Procure generali. L'art. 54 quater, co 1, invece, stabilisce che la persona sottoposta alle indagini che abbia conoscenza del procedimento ai sensi dell'art. 335 o dell'art. 369 e la persona offesa dal reato che abbia conoscenza del procedimento ai sensi dell'art. 369 , nonché i rispettivi difensori, se ritengono che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale il pubblico ministero che procede esercita le sue funzioni, possono chiedere la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente enunciando, a pena di inammissibilità, le ragioni a sostegno della indicazione del diverso giudice ritenuto competente. La richiesta, ai sensi del co. 2, deve essere depositata nella segreteria del pubblico ministero che procede con l'indicazione del giudice ritenuto competente. Nell'ambito del procedimento, il pubblico ministero presso la cui segreteria si sia presentata la richiesta di spostamento della trattazione del reato decide entro 10 giorni dalla presentazione della domanda e, ove la accolga, trasmette gli atti del procedimento all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente, dandone comunicazione al richiedente. L'accennato pubblico ministero può pure non accogliere la domanda ed allora l'istante, entro i successivi 10 giorni, può chiedere al Procuratore generale presso la Corte di appello di determinare quale ufficio del pubblico ministero debba procedere. A norma dell'ultima parte dell'art. 54 quater, co. 3, se la richiesta concerne uno dei delitti di cui all'art. 51, co3 bis, il Procuratore generale provvede osservando le disposizioni dell'art. 54 ter e, perciò, se la decisione spetta al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, questi provvede sentito il Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo; se la delibera spetta al Procuratore generale presso la Corte di appello, questi informa il Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo dei provvedimenti adottati. Nell'ottica del successivo co 4 la domanda non può essere riproposta a pena di inammissibilità fatta eccezione che nell'ipotesi in cui fondi su fatti nuovi e diversi. Inoltre, il legislatore nel co 5 prevede che gli atti di indagine preliminari compiuti prima della trasmissione degli atti o della comunicazione del decreto del Procuratore generale di cui al precedente co. 3 possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge. 4. La polizia giudiziaria. Altro soggetto processuale è la POLIZIA GIUDIZIARIA che si distingue dalla polizia amministrativa e dalla polizia sicurezza perché la sua attività non è di natura preventiva (dei comportamenti contrari all’ordine e alla sicurezza pubblica oppure dei fatti illeciti più allarmanti e pericolosi per la società) bensì è finalizzata alla repressione di reati che si suppongono già commessi. La polizia giudiziaria opera per ricercare gli autori dei delitti e pone in essere tutte quelle condotte che servano per dare attuazione ai precetti penali contrastando la produzione degli effetti ulteriori degli ipotetici reati. Mentre l'attività di polizia giudiziaria è regolata negli artt. 348 e ss, nel libro I del codice gli artt. 55 e ss disciplinano le funzioni e la struttura dell'accennato soggetto processuale. La polizia giudiziaria, per quanto funzionalmente dipendente dall'autorità giudiziaria ai sensi dell'art.109 Cost, è soggetto distinto dal pubblico ministero, che svolge attività che hanno le medesime finalità di quelle dell'organo d’accusa ma non ne presenta una duplicazione. Dal punto di vista organizzativo l’art. 56 stabilisce una triplice livello di dipendenza funzionale della polizia di iniziare a dare autorità giudiziaria. 5 Più specificatamente il co. 1 prescrive che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria: • dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge, • dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni Procura della Repubblica e composte con personale e servizi di polizia giudiziaria, • dagli ufficiali degli agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato. Costituiscono servizi di polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 12 norme att., tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato, dalle rispettive amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge, il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni indicate nell'art. 55. I servizi dal punto di vista funzionale si caratterizzano per il fatto che ai sensi dell'art. 59, co 2, l’ufficiale preposto ai medesimi è responsabile verso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dove ha sede il servizio dell'attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente. Siffatta responsabilità verso il solo Procuratore della Repubblica, che non è esclusiva, si specifica nel fatto che ai sensi dell'art. 14 norme att. , per allontanare anche provvisoriamente dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi di polizia giudiziaria o di specifici settori o articolazioni di questi, le amministrazioni dalle quali essi dipendono devono ottenere il consenso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, oltre che del Procuratore generale presso la Corte d'appello. Inoltre, ai sensi dell'art. 15 co. 2, norme att., anche le promozioni degli ufficiali che dirigono i servizi o specifici settori o articolazioni di questi non possono essere disposte senza il parere favorevole del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, al di là di quello pure richiesto del Procuratore generale presso la Corte d'appello. 5. Segue: le sezioni e la polizia giudiziaria non appartenente a servizi o sezione. Ad un livello di maggiore dipendenza funzionale dall'autorità giudiziaria si collocano le sezioni che possono svolgere solo funzioni di polizia giudiziaria ed ai sensi dell'art. 59 co. 1 dipendono strettamente da magistrati che dirigono gli uffici e pressi quali sono istituite le sezioni. Il rapporto tra il personale delle sezioni e chi dirige le indagini è sottratto ad ingerenze gerarchiche esterne e perciò ai sensi del co. 3 gli appartenenti alle sezioni non possono essere distolti dall'attività di polizia giudiziaria se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono e, cioè dal magistrato che dirige l'ufficio presso il quale è istituita la sezione. Indice del rapporto di esclusiva subordinazione degli appartenenti alla sezione al capo dell'ufficio presso cui è istituita la stessa è il precetto di cui all'art. 9, norme att. secondo il quale è il dirigente dell'accennato Ufficio che dirige e coordinare le attività della sezione in relazione alle richieste formulate dai singoli magistrati a norma dell'art 58 . Nella stessa ottica si pone anche la prescrizione contenuta nell'art. 10 co. 3, norme att., secondo cui il personale delle sezioni è esonerato, quanto all'impiego, dai compiti e dagli obblighi derivanti dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza non inerenti alle funzioni di polizia giudiziaria, salvo che per casi eccezionali o per esigenze di istruzione e addestrative, previo consenso del capo dell'ufficio presso il quale la sezione è istituita. In ogni caso, quando lo richiedono particolari esigenze di specializzazione in relazione alla complessità delle attività investigative, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, con provvedimento delle amministrazioni di appartenenza, vengono aggregati alle sezioni esclusivamente su domanda dell' "autorità giudiziaria" competente (art. 5, norme att.). 6 Va ricordata la previsione di cui all'art. 62 secondo il quale le dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza. Oltre a ciò l'art. 62 tende a salvaguardare il diritto al silenzio dell'indagato e dell'imputato che deve poter scegliere l'eventualità ed i tempi della disposizione all'inquirente o all'organo giudicante. Peraltro, escludendo la testimonianza su quanto riferito dal prevenuto si limita l'impiego di quanto asserito in assenza del difensore onde escludere forme di condizionamento dell'accusato affinché collabori. L’art. 62 co. 2 contiene la regola di esclusione delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso di programmi terapeutici diretti a ridurre il rischio che commetta delitti sessuali a danno di minori. La norma concerne solo le dichiarazioni rese nell’ambito del procedimento e non quelle che rappresentano il contenuto di atti collocati all’esterno del medesimo. Non rientrano le dichiarazioni fatte in un differente procedimento penale rispetto al quale l’imputato era estraneo. Le dichiarazioni che comportano in sé la commissione di reati da parte dell’accusato possono essere oggetto di testimonianza. Per evitare che entrino nel procedimento le asserzioni fatte dal dichiarante nei confronti del quale in ragione della disposizione sorgano indizi di reità, la giurisprudenza ritiene che anche la testimonianza sulle asserzioni inutilizzabili di cui al citato art. 63 sia vietata ai sensi dell'art.62 A tale riguardo deve considerarsi la posizione materiale di chi renda dichiarazioni indizianti al di là dell'assunzione della qualifica funzionale di indagato o di imputato. Il divieto di testimonianza scatta in capo a chiunque riceva le dichiarazioni dell'accusato e svolgono funzioni all'interno del procedimento nel cui ambito si rendono le asserzioni, compresi gli avvocati, consulenti tecnici e ausiliari del giudice. L'effetto della violazione del divieto di cui all'art. 62, evidentemente, è l'inutilizzabilità a qualsiasi fine dei risultati della testimonianza. Per la giurisprudenza la preclusione all’uso riguarda solo le dichiarazioni sfavorevoli all’accusato o a quei soggetti che si trovano in una posizione analoga o parallela a quella dell’indagato o dell’imputato e non anche le asserzioni fatte a vantaggio di prevenuto. Su un ulteriore versante, bisogna analizzare la disciplina in tema di interrogatorio dell'accusato, indagato o imputato. Nell'art. 64 co. 1 è prescritto che la persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare interviene libera all'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenza. In comb. con quanto prescrive l’art. 188 nell’ambito della disciplina della prova generale, il successivo co. 2 dell'art. 64 si stabilisce che non possono essere utilizzati, neanche con il consenso della persona interrogata, metodi e tecniche idonee a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. In questo modo si salvaguarda la libertà morale del dichiarante. Di poi, al successivo co. 3 si rinvia a tutti gli istituti relativi alle varie tipologie di dichiarazione che debbano essere assunte dal prevenuto in modo garantito. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: 1) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti. 2) Salvo quanto disposto dall'art. 66 co1 circa la dichiarazione delle generalità e di quant'altro valga ad identificare il dichiarante, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso. 3) Se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità testimoniali previste dagli art. 197 e le garanzie di cui all’art. 197 bis 2 Così l’istituto difensivo diventa garantito soprattutto con l’avvertimento del diritto al silenzio e con l’avviso della possibilità di cambiare status nel caso di dichiarazioni su fatto altrui. L’inosservanza delle disposizioni dettate in tema di avvertimenti sull’utilizzabilità contro il dichiarante delle asserzioni fatte e sul diritto al silenzio rende inutilizzabile le dichiarazioni rese dalla persona interrogata. In mancanza dell’avvertimento relativo al cambiamento di status di dichiarante nell’ipotesi di asserzioni fatte su fatto altrui, le dichiarazioni non sono utilizzabili nei confronti di coloro a cui i fatti si riferiscono e, inoltre la persona interrogata non potrà assumere l’ufficio di testimone. Per quanto riguarda le modalità di assunzione nel merito dell’interrogatorio, si prescrive che l’autorità giudiziaria contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è attribuito, le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le comunica le fonti. Successivamente si invita la persona a esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le si pongono direttamente domande. Ai sensi dell'art. 65 co. 3 se la persona rifiuta di rispondere, bisogna farne menzione nel verbale ed è in questo ultimo è anche fatta menzione di connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona. In ragione di quest’ultima previsione l'interrogatorio non perde il suo connotato di mezzo di difesa da cui si distingue l'esame dell'imputato, che è mezzo di prova anche se si traduce in una sanzione garantita di dichiarazioni del prevenuto. Ai sensi dell'art. 67 in ogni stato e grado del procedimento quando vi è ragione di ritenere che l'imputato sia minorenne, l'autorità giudiziaria trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. Nell'ottica dell'art. 68 se risulta l'errore di persona, in ogni stato e grado del processo il giudice, sentiti il pubblico ministero e il difensore, pronuncia declaratoria immediata di non punibilità ai sensi dell'art.129 . Altra situazione che può intervenire in capo all'imputato è la morte. In proposito, ai sensi dell'art.69 co. 1 se risulta la morte dell'imputato, in ogni stato e grado del processo, il giudice, sentiti il pm e il difensore, dichiara la non punibilità norma dell'art. 129; si stabilisce poi nel successivo co 2 che la declaratoria di non punibilità per morte dell’imputato non impedisce l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona, qualora successivamente si accerti che la morte sia stata erroneamente dichiarata. 2. Segue: gli accertamenti sulla capacità dell'imputato. Altra eventualità in cui si può incorrere nel corso del processo è quella relativa alla necessità di effettuare accertamenti sulla capacità dell’imputato. Il giudice ai sensi dell'art. 70 co. 1 deve disporre perizia per accertare l'eventuale stato di infermità mentale del prevenuto, che a seguito della sentenza Costituzionale n.340 del 1992 non deve essere più sopravvenuto al fatto, semprechè l’imputato non vada prosciolto o non si debba emanare nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere. Durante il tempo occorrente per l'espletamento della perizia il giudice, a richiesta del difensore, deve assumere tutte le prove che possono condurre al proscioglimento dell'accusato. Nel successivo co. 3 si stabiliscono le modalità di assunzione durante le indagini preliminari della perizia necessaria ad accertare lo stato eventuale di infermità mentale dell'accusato. Tali formalità sono quelle dell'incidente probatorio. Per ciò che concerne gli altri accertamenti da effettuare durante la fase investigativa il pubblico ministero compie solamente gli atti che non richiedono la partecipazione cosciente dell'indagato a parte le prove che nei casi dell'art.392 devono essere assunte e quando vi è pericolo nel ritardo. La conseguenza di un esito peritale da cui risulti che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento in modo non irreversibile, è la sospensione del procedimento che il giudice dispone con ordinanza, semprechè non si debba pronunciare la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. 3 Con l'ordinanza di sospensione il giudice nomina all'imputato un curatore speciale, designando di preferenza l'eventuale rappresentante legale. Mentre il procedimento è sospeso, si possono raccogliere prove e compiere indagini entro i limiti già fissati per gli accertamenti che possono svolgersi mentre è in corso elaborazione peritale sull’infermità del prevenuto. Va poi ricordato che la Corte Costituzionale dall'infermità mentale ha esteso la sospensione del processo a tutte le ipotesi in cui lo stato mentale dell'imputato ne impedisca la cosciente partecipazione al processo per cui secondo il giudice delle leggi “quando non solo una malattia definibile in senso clinico come psichica, ma anche qualunque altro stato di infermità rendano sufficienti le facoltà mentali dell’imputato il processo non può svolgersi”. Inoltre qualora sussistano “solo ostacoli all’espressione verbale o scritta e alla reciproca comprensione, derivanti da impedimenti collegati ad uno stato di infermità” trova applicazione l’art. 119, secondo cui innanzitutto quando un sordo, muto, un sordomuto vuole o deve fare dichiarazioni, al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente. Al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. E al sordomuto si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. Inoltre se il sordo, il muto, il sordomuto non sa leggere o scrivere, l’autorità procedente nomina uno o più interpreti scelti di preferenza tra le persone abituate a trattare con lui. La sospensione si dispone quando lo stato di incapacità del prevenuto non sia irreversibile. Infatti se sussiste l’irreversibilità dell’accennata condizione si revoca l’eventuale ordinanza con cui si sia sospeso il procedimento e si pronuncia il non luogo a procedere in udienza preliminare oppure il non doversi procedere. In relazione alla disposta sospensione il legislatore prevede che allo scadere del 6 mese dalla pronuncia con cui si sia sospeso il procedimento il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell'imputato e così di sei mesi in sei mesi quando la vicenda giudiziaria non abbia ripreso il suo corso. La sospensione è revocata quando lo stato mentale dell'accusato ne consente la cosciente partecipazione al processo oppure si possa emanare nei suoi confronti una pronuncia di proscioglimento o di non luogo a procedere. Nell'art. 73 poi si stabiliscono i provvedimenti cautelari da adottare nei confronti dell'imputato che presenti problemi mentali. Si dispongono le misure che ne favoriscano la cura psichiatrica quando necessario. Se vi sia pericolo nel ritardo dell’adozione dei provvedimenti il giudice dispone anche d’ufficio il ricovero provvisorio dell’imputato in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero. Quando è stata o deve essere disposta la custodia cautelare dell'imputato, il giudice ordina che la misura sia eseguita nelle forme previste dall'art. 286 cioè in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga. 3. La parte civile. Tra le parti private diverse dall'imputato la parte civile è costituita dal danneggiato dal reato. Questi può individuarsi, oltre che in una persona fisica, anche in un'associazione dotata di personalità giuridica e anche in un soggetto non avente personalità come un'associazione non riconosciuta. Possono costituirsi parte civile anche i successori universali del danneggiato, essi non sono necessariamente gli eredi, per cui rientrano anche gli enti succeduti nell’universo di diritti e obblighi di precedente ente. La costituzione di parte civile può avvenire ai sensi dell’art. 74 per la restituzione e per il risarcimento del danno ex art. 185 c.p. ove si sancisce che il reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che debbono rispondere per il fatto di lui. In funzione della natura autonoma di illecito civile di cui all'art. 185 c.p. si sottolinea che il danno risarcibile come conseguenza del reato è non solo quello diretto, bensì anche quello indiretto. Il danneggiato dal reato non deve coincidere necessariamente con il titolare dell'interesse giuridico protetto dalla norma penale e, cioè con il soggetto passivo del delitto. 4 Va ricordato che ai sensi dell'art.196 c.p. nei reati commessi da chi è soggetto alla altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dall'autorità è obbligato in caso di insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all'ammontare della multa o dell'ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di violazioni di disposizioni che essa era tenuta a far osservare e delle quali non debba rispondere penalmente. A norma dell'art.197 c.p. poi, gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le regioni, le province ed i comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza, o l'amministrazione, e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all'ammontare della multa o dell'ammenda inflitta. Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria è citato per l'udienza preliminare o per il giudizio a richiesta del pubblico ministero o dell'imputato e la disciplina della citazione della costituzione del soggetto in questione è mutuata da quella del responsabile civile. 6. La persona offesa dal reato. L'offeso si distingue dal danneggiato dal reato perché il primo è vittima dell'offesa al bene giuridico salvaguardato dalla norma penale mentre il secondo è colui che subisce gli effetti patrimoniali svantaggiati del delitto e perciò è titolare del diritto al risarcimento del danno o alle restituzioni. La persona offesa non è parte nel processo e, perciò non può esercitare tutti i diritti che competono alle parti. Egli ha esclusivamente poteri argomentativi e di impulso procedimentale e può sollecitare l'assunzione di materiale probatorio. Ai sensi dell'art. 90 la persona offesa può in ogni stato e grado del procedimento presentare memorie e, tranne che nel giudizio di legittimità, può indicare elementi di prova. Tra i diritti riconosciuti al soggetto in questione va ricordato quello ad accedere al registro di iscrizione della notizia di reato, il diritto all'informazione di garanzia, il diritto a presentare l’opposizione alla richiesta di archiviazione, il diritto ad essere informato della richiesta di archiviazione quando abbia domandato di essere avvisato di ciò prima della formulazione dell’istanza, il diritto a domandare l’avocazione delle indagini in caso di inerzia del pm. Tra le facoltà attribuite all'offeso, va poi menzionata quella di nominare un difensore. La persona offesa è stata oggetto di attività normativa nell'ambito dell'Unione Europea ed, in proposito, è rilevante quanto disposto nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 2012 che sostituisce la decisione quadro 220/2001 GAI. Per quanto concerne, la definizione di vittima, l'art. 2 della direttiva vi fa ricomprendere oltre alla persona fisica che abbia subito un pregiudizio fisico, mentale, emotivo o economico a causa nel reato, anche i familiari della persona la cui morte sia stata causata direttamente da un reato e che abbiano conseguentemente subito pregiudizio. Quanto ai diritti che vengono riconosciuti alla vittima, nel testo della direttiva possono distinguersi quelli il cui esercizio prescindere dall'instaurazione di un procedimento penale (il diritto di informazione e assistenza linguistica e il diritto di assistenza anche specialistica) ed altri strettamente collegati con esso. Tra le principali esigenze che il legislatore ha inteso soddisfare vi è quella di attenuare il rischio di vittimizzazione secondaria, che risulta grave in relazione a particolari categorie di vittime per cui sono dettate apposite disposizione. La direttiva non definisce il fenomeno ma chiede che lo si possa prevenire anche attraverso la formazione degli operatori che potrebbero entrare in contatto con le vittime, come funzionari di polizia, i giudici, gli avvocati affinché siano sensibilizzati alle esigenze delle vittime e messi in condizioni di trattarle in modo appropriato. L'esercizio effettivo dei diritti delle vittime dovrà essere assicurato anche a quelle residenti in uno Stato membro differente da quello della commissione del reato e, perciò, si consente che le vittime possono proporre denuncia sia 7 in quest'ultimo che in quello di residenza, qualora la vittima abbandoni lo Stato membro in cui è stato commesso il reato, sarà lo Stato di residenza a dovere assicurare assistenza. Si precisa che per le audizioni la vittima potrà farsi ricorso alla teleconferenza secondo quanto previsto dalla Convenzione del 2000. Sul versante del diritto all'informazione e alla assistenza linguistica, la direttiva stabilisce il diritto della vittima ad avere informazioni in modo facilmente intelligibile. Gli Stati dovranno garantire tale diritto fin dal primo contatto con le autorità favorendo un servizio gratuito di interpretazione per consentire la partecipazione delle vittime alle audizioni. La vittima dovrà inoltre avere un avviso di ricevimento scritto della denuncia che abbia eventualmente proposto, se non comprende o parla la lingua del procedimento potrà sporgere denuncia impiegando una lingua che comprende o avvalendosi di un’assistenza linguistica. Alla vittima andranno date numerose informazioni con riferimento a: - i servizi di assistenza, - le procedure per la presentazione della denuncia e della richiesta di misure di protezione, - le condizioni per ottenere assistenza legale ed il risarcimento del danno, - il diritto all'interpretazione e alla traduzione. - Le procedure cui ricorrere se si è residenti in un altro Stato e quelle per la denuncia dei casi di mancato rispetto dei propri diritti - I servizi di giustizia riparativa disponibili e le condizioni per ottenere il rimborso delle spese affrontate. Si fissa anche il diritto della vittima di essere informata senza indebito ritardo del procedimento avviato a seguito della propria denuncia, e di conoscere l’eventuale provvedimento di non luogo a procedere o di non proseguire le indagini o in caso contrario la data e luogo della celebrazione del processo e la natura dei capi di imputazione. La vittima dovrebbe essere avvisata della scarcerazione o dell’evasione dell’autore del reato e delle misure eventualmente adottate per la sua protezione. La disciplina del diritto all’informazione è contemplata dagli artt. 90 bis e ter c.p. Alla vittima deve essere indicata una persona cui rivolgersi per tutte le comunicazioni relative al proprio caso, salvo che la vittima non desideri ricevere alcuna informazione. Alla vittima che non ne comprende la lingua, dovrà sempre essere assicurato il servizio gratuito di interpretazione e traduzione quando la sua presenza sia richiesta dagli inquirenti o dal giudice. Per la traduzione di un documento occorrerà una richiesta motivata e la relativa decisione sarà impugnabile a norma del diritto nazionale. Una peculiare attenzione si presta ai servizi di assistenza alle vittime. Si stabilisce che detti servizi dovrebbero essere assicurati gratuitamente e fin dal primo contatto con l'autorità, nel corso del procedimento ed anche successivamente, e ciò a prescindere dalla presentazione di formale denuncia. Gli stessi servizi dovranno assicurare alle vittime informazioni sui loro diritti, sostegno emotivo psicologico e consigli relativi ad aspetti finanziari e pratici derivanti dal reato. Alla persona particolarmente vulnerabile o esposta a un elevato rischio di pregiudizio dovrebbe essere data un'assistenza specialistica. L’assistenza specialistica dovrebbe considerare le esigenze specifiche delle vittime, la gravità del pregiudizio subito e del loro rapporto con l’autore del reato e l’ambiente sociale, rinviare la vittima all’esame medico, fornire assistenza legale e specifici servizi per i minori che siano vittime dirette o indirette. Quanto poi ai diritti di partecipazione al procedimento penale delle vittime, la direttiva stabilisce il diritto della stessa ad essere ascoltata e di fornire elementi di prova, secondo il diritto nazionale. Se si tratta di un minore dovranno considerarsi la sua età e maturità, pur senza precludere il diritto di essere sentiti unicamente a causa della minore età. È prevista la facoltà dell’ufficio di dichiarare o eleggere domicilio e indicare un indirizzo di posta elettronica certificata. Sin dal primo contatto con l’autorità procedente bisogna informare l’offeso dell’obbligo del querelante di dichiarare o eleggere domicilio, pure con indicazione di indirizzo PEC, per la comunicazione degli atti del procedimento. Bisogna informare inoltre l’offeso dell’obbligo del querelante di comunicare i mutamenti di domicilio, o anche il fatto che il querelante sarà domiciliato presso il difensore nominato e in mancanza di nomina le notifiche al soggetto avverranno al domicilio digitale o presso il domicilio dichiarato o eletto, nella deficienza del quale le notifiche si effettueranno con deposito presso la segreteria del PM o presso la cancelleria del giudice procedente art. 90 bis 1 8 Tornando alla direttiva gli Stati membri dovrebbero rimborsare le spese derivanti dalla partecipazione della vittima al procedimento, eventualmente stabilendo termini e condizioni. Su decisione dell’autorità competente i beni sequestrati nel procedimento penale dovranno essere resi alle vittime senza ritardo, tranne nei casi in cui il procedimento penale comporti una diversa disposizione. La vittima avrà diritto ad ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell’autore del reato. Alcune disposizioni della direttiva sono poi dedicate alle misure di protezione delle vittime da ulteriori patimenti rilevanti dalla commissione dell'illecito. Si introduce il diritto all'assenza di contatti con l'autore del reato, stabilendo che gli Stati debbano adottare provvedimenti anche in relazione ai locali in cui si svolge il procedimento, e consentendo il ricorso a tecnologie della comunicazione per ascoltare la vittima senza che sia fisicamente presente, salvo diverse esigenze processuali. Durante le indagini l’audizione della vittima dovrà avvenire senza indebito ritardo dopo la proposizione della denuncia del reato e ulteriore audizione dovranno svolgersi solo se ciò sia assolutamente indispensabile. La direttiva pone in evidenza che per alcune vittime potrebbero venire ad evidenziarsi specifiche esigenze di tutela, e richiede dunque che esse siano sottoposte ad una valutazione individuale per determinare se ed in quale misura le vittime trarrebbero vantaggio da misure speciali nel corso del procedimento. Vengono determinate alcune categorie di vittime che si presume necessitano di particolare attenzione, come il minore. È da segnalare l’implementazione della direttiva con riferimento alla determinazione delle condizioni di particolare vulnerabilità della vittima che è stabilita secondo i criteri di cui all’art. 90 quater Durante le indagini penali tutte le audizioni del minore dovrebbero essere oggetto di registrazione audiovisiva e utilizzabili come prova nel processo, a norma del diritto nazionale. I minori avranno anche diritto ad una propria consulenza e rappresentanza legale in nome proprio nei procedimenti in cui potrebbe sussistere un conflitto di interesse tra esse e due i titolari della potestà genitoriale. Possono essere investiti in modo particolare dal rischio di vittimizzazione secondaria anche i disabili, le vittime del terrorismo e le vittime di violenza di genere, nonché di violenza nelle relazioni strette. Infine in tema di giustizia riparativa, mentre la decisione quadro contemplava solo la mediazione come possibile alternativa al procedimento penale, la direttiva prevede forme di giustizia riparativa, definendo quest'ultima come qualsiasi procedimento che consente alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dal diritto con l'ausilio di un terzo imparziale. La direttiva chiede agli Stati di creare le condizioni perché le vittime possono giovarsi di servizi di giustizia riparativa (tra i quali la mediazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi), fornendo garanzie volte a evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta, e l’intimidazione. 7. Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato. Il legislatore del 1988 ha previsto diritti e facoltà anche per enti ed associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato. In passato tali soggetti per poter ricevere tutela dovevano costituirsi parte civile, ma ciò veniva loro concesso impropriamente in mancanza di un vero e proprio danno apprezzabile sul piano civilistico. L'art. 91 oggi stabilisce che gli enti e le associazioni senza scopo di lucro, ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, siano state riconosciute finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. Il riconoscimento della finalità di tutela degli interessi violati dal delitto deve non solo precedere la commissione del fatto, ma venire con legge, cosicché non è sufficiente un eventuale riconoscimento operato solo in sede giudiziaria dal giudice. La condizione a cui si è fatto riferimento non richiede che l'ente o associazione siano dotati di personalità giuridica. Altro presupposto dell'esercizio di diritti e facoltà uguali a quelli della persona offesa è il consenso dell'offeso, che ai sensi dell'art. 92 co2 deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata e può essere prestato a non più di uno degli enti o delle associazioni. È consentita la revoca del consenso. 9 Tra i diritti che sono menzionati come propri non solo del prevenuto ma anche del suo assistente tecnico va ricordato il legittimo impedimento a comparire del difensore disciplinato nell'art. 420 ter. In proposito, il legislatore prescrive che il legittimo impedimento del soggetto in esame vada prontamente comunicato ed il diritto al rinvio per lo stesso impedimento non sussiste quando l'accusato è assistito da due difensori e l'impedimento riguarda uno dei medesimi, oppure quando il difensore impedito ha designato un sostituto o ancora quando l'imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito. Per quanto riguarda il rapporto tra difesa materiale e difesa tecnica in ordine al contenuto degli atti da compiere, va ricordato che ai sensi dell'art. 99 co. 2 l’imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che in relazione all'atto stesso sia intervenuto un provvedimento del giudice. Sul fronte delle garanzie che circondano il difensore l'art. 103 fa riferimento alle guarentigie che scattano in caso di ispezioni, perquisizioni, sequestri e, intercettazioni e controlli di corrispondenza. Emerge la tutela della riservatezza delle attività difensive. Perciò che concerne le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori sono consentite solo quando questi ultimi o altre persone che svolgono stabilmente attività negli accennati uffici sono imputati e possono essere effettuati limitatamente allo scopo di accertare il reato attribuito agli accennati soggetti. Gli stessi mezzi di ricerca della prova sono esperibili anche per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato e per ricercare cose o persone specificatamente predeterminate. A garanzia dei suddetti divieti l'art. 103 co. 4 prescrive che alle ispezioni, alle perquisizioni e sequestri negli studi dei difensori procede personalmente il giudice o nel corso delle indagini, il pubblico ministero in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice. Per non incorrere in una nullità l’autorità procedente è tenuta ad avvertire il Consiglio dell’ordine degli avvocati al fine di porre il presidente o un suo delegato in condizioni di assistere alle operazioni. Importante è anche il divieto di intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni che intercorrono tra i difensori. In giurisprudenza si limita la regola di esclusione alle conversazioni e comunicazioni inerenti all'esercizio della funzione esercitata. In dottrina c’è chi ritiene che in base alla lettera della legge dovrebbe sussistere un assoluto divieto di conoscenza in modo che colui che materialmente stia intercettando, nell’accorgersi della qualità dei soggetti comunicanti, dovrebbe interrompere l’operazione di intercettazione facendo dimensione in sede di trascrizione sommaria della comunicazione. L’art. 103 co. 7 stabilisce che i contenuti delle conversazioni intercettate non possono essere trascritti e nel verbale di ascolto vanno menzionati solo i dati esterni delle comunicazioni. Il divieto in questione riguarda non solo il procedimento nel cui ambito si sia disposto l'impiego del mezzo di ricerca della prova, bensì anche i procedimenti diversi in cui si volessero utilizzare i risultati delle intercettazioni. All'art. 103 co. 6 si prescrive peraltro il divieto di sequestro e di ogni forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e del proprio difensore a ricezione del caso del corpo del reato. Su altro fronte, va menzionato il diritto dell'imputato in stato di custodia cautelare di conferire ai sensi dell'art.104 con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della misura così come in parallelo di diritto dell'arrestato o del fermato ai sensi dell'art. 384 di avere un colloquio con il difensore subito dopo l'arresto o il fermo. In ordine ai delitti di cui all’art. 51 co. 3 bis e 3 quater il citato diritto di conferire può essere dilazionato dal giudice nel corso dell’indagini preliminari, per un tempo non superiore a 5 giorni, quando sussistono specifiche e eccezionali ragioni di cautela, analogo potere spetta al pubblico ministero in relazione all’arresto e al fermato fino a quando quest’ultimo sia posto a disposizione del giudice. Da ricordare il co. 4 bis inserito nell'art. 104 con il d.lgs. n.32 del 2014, in base al quale l'imputato in stato di custodia cautelare, l'arrestato ed il fermato che non conosco la lingua italiana, hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore. 12 Infine, in relazione all'attività del difensore possono nascere delle situazioni patologiche. In particolare, può verificarsi un abbandono della difesa oppure un rifiuto della difesa d'ufficio e rispetto a siffatte eventualità il Consiglio dell'ordine forense ha competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari. Il procedimento disciplinare è autonomo rispetto al procedimento penale in cui si sia abbandonata la difesa o si sia verificato il rifiuto della difesa d’ufficio. Se le due eventualità sono motivate dalla violazione dei diritti di difesa, la sanzione disciplinare non è applicata e in merito alla compressione della difesa non è determinante quanto stabilito dal giudice. L'Autorità giudiziaria è tenuta a segnalare al Consiglio dell'ordine i casi di abbandono della difesa o di rifiuto di quella d'ufficio, così come le azioni da parte del difensore di doveri di probità e lealtà. Da ricordare che l'abbandono della difesa delle parti private diverse dall'imputato, dell’offeso, degli enti e delle associazioni di cui all'art. 91 non determina interruzione dell'udienza ne impedisce la continuazione immediata del procedimento. Ulteriore situazione patologica è quella correlata all'incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento quando vi sia contrasto di interessi tra gli accusati. In merito, l'autorità giudiziaria, quale rileva una situazione di incompatibilità, la indica, ne espone i motivi ed indica un termine per rimuoverla. Se, poi, tale rimozione non avviene mediante rinuncia al mandato o revoca del medesimo, è il giudice che la dichiara incompatibile e provvede alle necessarie sostituzioni del difensore incompatibile con difensori d'ufficio designati. È stata introdotta una presunzione di incompatibilità nell’ipotesi in cui un difensore assume la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento. La violazione di quest’ultimo precetto fa scattare la responsabilità disciplinare del difensore anche se non costituisce causa di nullità o inutilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese alle accennate tipologie di imputati. 13 PARTE III - ATTI CAPITOLO I - LE DISPOSIZIONI GENERALI 1. Premessa. Nel libro II del codice il legislatore detta la disciplina degli atti del procedimento penale. La regolamentazione riguarda non soltanto gli atti della fase processuale propriamente detta, vale a dire quella successiva all’esercizio dell’azione penale, ma anche gli atti della fase procedimentale, cioè quella dell’indagini preliminari. Si comprende l’importanza di tale disciplina, dato che il procedimento penale consiste in una serie di atti, con implicazioni reciproche: atti dinamicamente proiettati verso la decisione finale, in vista della formazione di una pronuncia stabile. Il rapporto tra i singoli atti può essere di 2 tipi. a. Il primo è connotato da una relazione che si potrebbe definire "causale", dove un atto è il presupposto giuridico dell'altro ed è il corollario di quello precedente (es. la richiesta di rinvio giudizio rappresenta la premessa della fissazione dell’udienza preliminare e contemporaneamente postula l’avviso di conclusione delle indagini preliminari). In atti del genere di solito spicca il carattere propulsivo, che mira al progredire della dinamica giudiziaria in vista della pronuncia. b. Il secondo legame tra gli atti si realizza in chiave di implicazione logica, dove l'uno possiede un valore dimostrativo funzionale all'altro atto (es. Il contenuto indiziario delle informazioni assunte dal pm riveste significato per la decisione sulle misure cautelari personali). Qui non si registra un rapporto in termini di presupposto giuridico ed effetti, come il primo caso, ma una relazione di natura puramente cognitiva in cui la mancanza dell’uno non influenza necessariamente la tenuta dell’altro. Sul piano generale, per atto deve intendersi un comportamento volontario compiuto da uno dei soggetti del procedimento (giudice, pm, parti private ecc..) che abbia attitudine a produrre effetti giuridici nell'ambito del procedimento medesimo. Naturalmente è il legislatore a fissare forma, tempi, contenuti, scopo e invalidità degli atti, delineando modelli più o meno flessibili che i protagonisti giudiziari devono rispettare. Si può dire che la parabola degli atti parte da quelli a forma libera, es. nomina del difensore dell’imputato, e si conclude con fattispecie molto composite, i cui elementi sono minuziosamente descritti, es. l’interrogatorio. Occorre precisare che il procedimento inizia con il primo atto di indagine preliminare compiuto dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria contestualmente o successivamente all'acquisizione della notizia di reato. Di conseguenza, gli atti costituenti notizie di reato (denuncia, referto) e le condizioni di procedibilità (querela, istanza, richiesta) si ritengono esterni al procedimento stesso. Quanto all'ultimo atto del procedimento sarà il provvedimento di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere divenuta esecutiva, la sentenza pronunciata in giudizio divenuta irrevocabile o il decreto penale di condanna non opposto. Con la precisazione, però, che anche dopo un provvedimento di archiviazione è possibile la riapertura delle indagini preliminari; la sentenza di non luogo a procedere è passibile di revoca; le sentenze di condanna passata in giudicato e i decreti penali di condanna divenuti esecutivi sono suscettibili di revisione. 2. La forma: lingua, data e sottoscrizione. 1 soggetti interessati), come pure in caso di malfunzionamento non certificato e relativo ad uno specifico ufficio giudiziario, atti e documenti sono redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche. Da segnalare che in entrambe le ipotesi, la prima, di carattere generale, in quanto riguardante le disfunzioni dei domini del Ministero della giustizia, la seconda, di tipo settoriale, in quanto relativa a malfunzionamenti che si possono verificare a livello locale o in un singolo ufficio, va attestata la data e, ove risulti, l'orario di inizio e di fine del malfunzionamento. In ogni caso, gli atti redatti in modalità analogica dovranno poi essere convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell'ufficio che li ha ricevuti (art. 175 bis, co 1, 2, 3 e4 ). L'atto nativo digitale è il presupposto per dare vita al fascicolo penale informatico. I fascicoli informatici del procedimento penale sono formati, conservati, aggiornati e trasmessi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, in maniera da assicurarne l'autenticità, l'integrità, l'accessibilità, la leggibilità, l'interoperabilità, nonché l'agevole consultazione telematica, facilitando per l'utente l'orientamento tra i vari atti costitutivi del fascicolo. Questa disposizione si applica anche quando la legge prevede la trasmissione di singoli atti e documenti contenuti nel fascicolo informatico. Gli atti e i documenti formati e depositati in forma di documento analogico sono convertiti, senza ritardo, in documento informatico e inseriti nel fascicolo informatico, salvo che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica: in tale ultimo caso, nel fascicolo informatico deve essere inserito un elenco dettagliato degli atti e dei documenti acquisiti in forma di documento analogico. Le copie informatiche, anche per immagine, degli atti e dei documenti processuali redatti in forma di documento analogico, presenti nei fascicoli informatici, si devono considerare equivalenti all'originale anche se prive della firma digitale di attestazione di conformità all'originale. 4. Surrogazione, ricostituzione e rinnovazione. Quando l'originale di una sentenza o di un altro atto del procedimento per qualsiasi causa viene distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, la copia autenticata ha valore di originale ed è posta nel luogo in cui l'originale dovrebbe trovarsi, la c.d. surrogazione art. 112 co. 1 . Nell'ipotesi in cui non sia possibile provvedere alla surrogazione della copia all'originale dell'atto mancante, il giudice innanzi al quale pende il procedimento (il giudice dell’esecuzione) accerta il contenuto dell'atto e stabilisce con ordinanza se ed in quale tenore si deve fare luogo alla ricostituzione. Qualora esista la minuta dell’atto mancante questo deve essere ricostruito secondo il tenore di tale provvisoria stesura. Sull’atto ricostruito devono essere indicati gli estremi dell’ordinanza che ha disposto la ricostruzione. Quando non si può provvedere neppure con tali modalità, il giudice dispone con ordinanza la rinnovazione dell'atto mancante, sempre che sia necessaria e possibile, descrivendo il modo e indicando anche gli altri atti che devono essere rinnovati, in quanto presupposto di validità dell’atto mancante. 5. I divieti di pubblicazione di atti e immagini. Per cercare di bilanciare il diritto all'informazione sui procedimenti penali in corso con altri valori costituzionalmente tutelati, il legislatore ha predisposto una articolata regolamentazione, che prevede una molteplicità di divieti di pubblicazione di notizie, atti e immagini, a tutela di interessi processuali ed extra processuale. L'art. 114 co1 vieta la pubblicazione anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o altro mezzo di diffusione degli atti coperti dal segreto investigativo, fino a quando l’indagato non ne posso avere conoscenza e non oltre la chiusura delle indagini preliminari. È vietata la pubblicazione anche parziale del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli artt. 268, 415 bis o 454 Occorre precisare che integra il concetto di pubblicazione non la comunicazione a uno o più soggetti determinati delle notizie di cui è vietata la diffusione, ma la loro rivelazione con modalità tali da metterne al corrente un numero indefinibile di persone. Per pubblicazione "parziale" deve intendersi la propalazione testuale di parti degli atti, mentre la pubblicazione per "riassunto" è quella operata in forma sintetica, ma con l'interpolazione di parti dei testi degli atti. 4 La pubblicazione della "contenuto", invece, equivale a riferire in forma riassuntiva il contenuto concettuale dell'atto, senza interpolazione di carattere testuale. Il divieto di poteri di pubblicazione integrale, parziale o per riassunto degli atti coperti dal segreto imposto dall’art. 114 va coordinato con l'art. 329 co2 secondo cui, quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. La fattispecie va riferita a particolari atti la cui divulgazione appare idonea a dare maggior respiro alle indagini, sollecitando segnalazioni da parte di persone che, poste in grado di esaminare l’atto, possano fornire utili informazioni. Per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato di pubblicazione, destinato a scemare man mano che, per effetto dello sviluppo del procedimento, si attenua la ragion d'essere del divieto stesso, che in questo caso è quella di preservare il giudice dibattimentale da interferenze nella formazione del proprio convincimento. Conseguentemente, ove non si proceda a dibattimento, il divieto di pubblicazione, anche in forma parziale (ma non per riassunto), degli atti conoscibili dall'indagato sin dalla loro origine o divenuti tali successivamente, permane fino alla chiusura delle indagini preliminari o fino al termine dell'udienza preliminare. Per l'esattezza, gli atti delle indagini e dell'udienza preliminare sono assoggettati al divieto di pubblicazione fino all'emissione dei provvedimenti che escludono l'instaurazione del processo (decreto di archiviazione) o ne determinano la conclusione anticipata (sentenza di non luogo a procedere, sentenza che applica una pena su richiesta delle parti, sentenza di merito nell'udienza preliminare), ovvero ancora fino a quando non sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. Quanto alla sentenza di non luogo a procedere, il divieto di pubblicazione deve ritenersi cessato solo quando la pronuncia non sia più soggetta a impugnazione (o, nel caso di impugnazione, fino alla decisione definitiva): nel caso di impugnazione da parte del pubblico ministero, infatti, sarebbe ancora possibile la pronuncia del decreto che dispone il giudizio. Altri casi nei quali il vincolo è ripristinato vanno individuati nella revoca della sentenza di non luogo a procedere (art. 436, co. 2, ) e nella riapertura delle indagini dopo l'archiviazione (art. 414 ). Nelle ipotesi in cui si proceda al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del pubblico ministero se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello, ciò per garantire la libertà di convincimento del giudice di appello, il quale potrebbe rimanere influenzato dalla pubblicazione degli atti dopo la sentenza di primo grado, nel caso di rinnovazione del dibattimento. Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono immediatamente pubblicabili, sin dal momento della sua formazione. Tuttavia nel caso di dibattimento celebrato a porte chiuse art. 472 co 1 e 2 la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento è vietata ed il giudice è legittimato a disporre il divieto di pubblicazione degli atti, o di parte degli atti, anteriori al dibattimento utilizzati per le contestazioni. Il divieto perdura fino alla scadenza dei termini stabiliti dalle norme regolanti gli archivi di Stato ovvero fino a che il Ministro della giustizia, trascorsi 10 anni dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, autorizzi la pubblicazione, ritenendo che le esigenze tutelate siano nel frattempo venute meno. Qualora non si proceda alla celebrazione del dibattimento il segreto esterno viene meno e opera il canone della piena pubblicabilità degli atti compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, come si desume, a contrario, dall'art. 114 co2. Tale regola subisce una deroga, essendo conferito al giudice competente il potere di disporre il divieto di pubblicazione di atti o di loro brani, quando la loro pubblicazione può offendere il buon costume. Il divieto cessa comunque allo scadere dei termini previsti dall'art.114 co4 per gli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse. L'art. 114 co7 dispone che è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto. In realtà la disposizione omette di considerare l’art. 329 co3 lett. b) a norma del quale anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto, il pubblico ministero, in caso di necessità per la 5 prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni investigative. L'art. 114 co6 dispone il divieto di pubblicazione delle generalità dell'immagine o di altri elementi che, anche indirettamente, possono comunque portare all'identificazione dei minorenni che siano testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non abbiano raggiunto la maggiore età, salva l'autorizzazione del tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il consenso dello stesso minorenne che abbia compiuto i 16 anni. È altresì vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi o ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consente espressamente. La previsione mira a salvaguardare la dignità, la riservatezza e la presunzione di non colpevolezza delle persone ristrette nella libertà personale. La violazione dei divieti di pubblicazione previsti dagli artt. 114 e 329, co 3, lett. b), può essere sanzionata dall'art. 684 c.p. (pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) o dall'art. 326 c.p. (rivelazione o utilizzazione di segreti d'ufficio). Inoltre, costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici (magistrati e loro ausiliari, appartenenti alla polizia giudiziaria, ecc.) ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (avvocati, giornalisti, ecc.) (art. 115, co 1, ), con obbligo del pubblico ministero di informare l'organo titolare del potere disciplinare di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone ora indicate (art. 115, co 2, ). Peraltro, è agevole constatare come negli ultimi anni sia diventato molto profondo il divario tra dato normativo e prassi quotidiana, nel senso che, a fronte dell'articolata e apparentemente rigida regolamentazione ora descritta, è risultata assai frequente la violazione dei divieti di pubblicazione di atti del procedimento penale posti a tutela del segreto investigativo ovvero di atti lesivi della riservatezza dell'indagato o di altri soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nel procedimento, come nel caso della pubblicazione del contenuto di brani di intercettazioni telefoniche assolutamente irrilevanti ai fini processuali; senza dire della corrente divulgazione di foto o riprese video di soggetti in manette o sottoposti ad altri mezzi di coazione fisica. L'apparato sanzionatorio predisposto dal legislatore è risultato, insomma, assolutamente inadeguato, tanto da aver spinto il legislatore a innovare la disciplina del segreto investigativo, ampliandone l'oggetto, e, soprattutto, a modificare la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni per quanto concerne la trascrizione, il deposito e la selezione del materiale utilizzabile. In realtà, i maggiori effetti distorsivi nella rappresentazione mediatica della giustizia penale derivano ormai non tanto dalla narrazione mediante la cronaca giudiziaria, quanto dal più recente fenomeno dei c.d. processi paralleli, condotti in TV o in altri strumenti di comunicazione di massa in grado di condizionare pesantemente l'opinione pubblica e di incidere, potenzialmente, anche sullo stesso svolgimento e sugli esiti del giudizio. Al di là delle innovazioni normative e delle sanzioni, il tentativo di raggiungere un corretto ed equilibrato rapporto tra media e giustizia penale non può che passare attraverso un forte richiamo alla deontologia professionale al senso di responsabilità di tutti gli operatori della giustizia e del mondo dell’informazione. 6. Provvedimenti giudiziari, dichiarazioni pubbliche e presunzione di innocenza La Direttiva europea 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza ha previsto che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. In attuazione di tale direttiva, è stato introdotto l'art. 115 bis , che mira a scongiurare la prematura presentazione dell'indagato/imputato come colpevole in alcuni atti del procedimento penale, attraverso un uso più accorto e sorvegliato del lessico da utilizzare. Ciò dovrebbe evitare una rappresentazione già a monte distorta dell'effettiva situazione in cui versa l'indagato/imputato e dovrebbe, quindi, auspicabilmente avere degli effetti indiretti nel momento di divulgazione degli atti da parte dei media. 6 In ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice, mediante deposito nella cancelleria, memorie o richieste scritte. Le prime hanno un contenuto meramente argomentativo, sono tese a illustrare questioni di fatto o di diritto e andranno a confluire nel materiale decisorio a disposizione del giudice. Le seconde sono finalizzate a sollecitare un'iniziativa o un determinato provvedimento all'autorità giudiziaria. Il distinto riferimento alle parti e ai difensori indica che la facoltà di presentare memorie e richieste può essere esercitata dalle parti anche personalmente, per altro verso indica che il generico riferimento al giudice consente di poterle presentare anche al giudice per le indagini preliminari, in rapporto ai provvedimenti di sua competenza previsti in tale fase. Con riferimento alle sole richieste ritualmente formulate, l'art. 121 co. 2 prescrive al giudice di provvedere senza ritardo e comunque entro 15 giorni dal deposito (termine ordinatorio), salve specifiche disposizioni di legge. Una norma speculare all'art.121 è l'art. 367 che consente ai difensori, nel corso delle indagini preliminari, di presentare memorie e richieste scritte al pubblico ministero, il quale, peraltro, non ha alcun obbligo di provvedere in ordine alle richieste depositate. Una particolare disciplina è prevista per le dichiarazioni e le richieste provenienti da persone detenute o internate: la ratio è quella di evitare che le situazioni di detenzione o internamento possono causare i pregiudizi maggiori di quelli impliciti in uno stato di restrizione della libertà personale. Dunque, l'imputato detenuto o internato ha facoltà di presentare impugnazione, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto dal direttore dell'istituto: esse sono iscritte in apposito registro, sono immediatamente comunicate all'autorità competente e hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria destinataria. L’imputato che è in stato di arresto detenzione domiciliare ha la facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste tramite un ufficiale di polizia giudiziaria, il quale ne cura l’immediata trasmissione all’autorità competente: anche in questo caso gli atti hanno efficacia come se fossero ricevuti direttamente dall’autorità giudiziaria. L'art.44 delle norme att. precisa che le impugnazioni, le richieste e le altre dichiarazioni sono comunicate nel giorno stesso, o al più tardi nel giorno successivo, all'autorità giudiziaria competente mediante estratto o copia autentica, anche per mezzo di lettera raccomandata. In casi di urgenza la comunicazione può avvenire anche con telegramma confermato da lettera raccomandata o tramite altri mezzi tecnici idonei. Le impugnazioni, le dichiarazioni, inclusa quella relativa alla nomina del difensore e le richieste dell’imputato di cui ai co 1 e 2 dell’art.123 devono essere comunicate contestualmente anche al difensore nominato. In alcuni casi la legge consente che un atto di una parte privata sia compiuta per mezzo di un procuratore speciale, il quale compie l'atto in suo nome e per suo conto. La procura speciale deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Per le pubbliche amministrazioni è sufficiente che la procura sia sottoscritta dal dirigente dell'ufficio nella circoscrizione in cui si procede e sia munita del sigillo dello ufficio. La procura speciale è depositata in copia informatica autenticata con firma digitale nel rispetto della normativa concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici con le modalità previste dall’art. 111 bis salvo l’obbligo di conservare l’originale analogico da esibire a richiesta dell’autorità giudiziaria. 9. Le garanzie di legalità: i testimoni ad atti del procedimento e l'obbligo di osservanza delle norme processuali. 9 Alcuni atti del processo devono o possono essere compiuti alla presenza di soggetti chiamati testimoni ad atti del procedimento, i quali dovrebbero, con la loro partecipazione, garantire la legalità del compimento degli stessi ed eventualmente deporre come testimoni al riguardo nell'ipotesi di contestazione. Così, in occasione di ispezioni personali, perquisizioni personali o locali, accesso a luoghi privati o non aperti al pubblico nell’ambito delle investigazioni difensive sarà possibile farsi assistere da persona di fiducia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120. Tale disposizione non offre una definizione del testimone ad acta, da tenere distinto rispetto al testimone è chiamato a rendere una dichiarazione di scienza, limitandosi ad indicare alcune situazioni di incapacità naturale o morali che precludono la possibilità di rivestire tale qualifica. Non possono ricoprire tale ruolo: A. i minori di anni 14 e le persone affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. B. Le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misura di prevenzione. Le conseguenze dell'inosservanza delle norme in tema di partecipazione dei testimoni ad atti del procedimento variano a seconda che tale intervento sia funzionale al compimento di atti nei confronti dell'imputato o di altre parti private ovvero sia funzionale all'assistenza di altre persone: nel primo caso, la sanzione va inquadrata tra le nullità a regime intermedio ex artt. 178, co1, lett. c), e 180 , dal momento che l'inosservanza incide sull'intervento di dette parti; nel secondo caso, si configura una mera irregolarità. Una disposizione di chiusura del sistema, che costituisce una garanzia di legalità di carattere generale, è rappresentata, poi, dall'art. 124 , secondo cui i magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari e collaboratori del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a osservare le norme del codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale. La previsione risulta quanto mai opportuna, posto che il sistema d'invalidità degli atti è caratterizzato dal principio di tassatività, ed è espressione del più ampio principio di lealtà processuale benché sia richiamato nel codice da disposizioni specifiche. Anche laddove l'inosservanza di una disposizione del codice non comporti conseguenze di carattere processuale, si potrà configurare quantomeno una responsabilità di carattere disciplinare: anche a tal fine, i dirigenti degli uffici sono chiamati a vigilare sull'osservanza delle norme. 10 PARTE III - ATTI CAPITOLO II - ATTI E PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE 1. Le forme dei provvedimenti Una disciplina specifica è dedicata agli atti compiuti dal giudice e, in particolare ai provvedimenti che si caratterizzano per essere emessi nell’esercizio di un potere autoritativo a carattere decisorio. L'art.125 co. 1 dispone che è la legge a stabilire di volta in volta i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell'ordinanza o del decreto, è possibile individuare alcuni tratti che contraddistinguono i tre differenti provvedimenti. La sentenza è l'atto con il quale il giudice adempie al dovere di decidere a seguito dell'esercizio dell'azione penale ed esaurisce una fase o grado del processo. È pronunciata in nome del popolo italiano ed è motivata a pena di nullità , allo scopo di rendere note le ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto il giudice ad assumere una determinata decisione. La nullità deriva dalla mancanza della motivazione in senso grafico o strutturale, non investendo i vizi logici per i quali è possibile il ricorso per cassazione. Le sentenze si distinguono in processuali o di merito, a seconda che pronuncino su questioni di procedura o sulla fondatezza dell'imputazione e sono sempre impugnabili. L'ordinanza è il provvedimento con cui il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento: es. ordinanza con la quale il giudice accoglie la domanda di un mezzo di prova. Anche l'ordinanza deve essere sempre motivata a pena di nullità e, di regola, è revocabile dal giudice. Può essere impugnabile o inoppugnabile. Il decreto, a differenza delle sentenze e delle ordinanze, deve essere motivato a pena di nullità soltanto nei casi in cui la motivazione sia espressamente prescritta dalla legge. Il decreto è sempre motivato quando esprime una scelta decisoria sui temi del procedimento, al pari della sentenza e dell’ordinanza. Anche il decreto è normalmente revocabile e di regola risolve singole questioni senza definire il procedimento, ma, mentre l'ordinanza viene, di regola, emessa a seguito di contraddittorio tra le parti, il decreto è sempre pronunciato in assenza di contraddittorio. Il decreto, comunque, può essere emesso non solo dal giudice, ma anche dal pubblico ministero ad es. quando il pm dispone un’ispezione. A norma dell’art. 111 co7 Cost. è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze e provvedimenti in materia di libertà personale. In tutti gli atti ai quali procede, il giudice è assistito dall'ausiliario a ciò designato a norma dell'ordinamento (il cancelliere), se la legge non dispone altrimenti. L'ausiliario del giudice non prende parte alla deliberazione dei provvedimenti del giudice in camera di consiglio. La deliberazione è caratterizzata da assoluta segretezza. Nel caso di provvedimenti collegiali è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e di motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto in forma analogica dal meno anziano dei giudici togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente presso la cancelleria dell'ufficio in un plico sigillato e non viene convertito in documento informatico: sarà utilizzato solo laddove sia esercitata un'azione di 1 L'invio è disposto dal giudice procedente con ordinanza, dopo aver sentito, le parti, i difensori nominati ed, eventualmente, la vittima, qualora ritenga che lo svolgimento di tale programma possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l'accertamento dei fatti (nel corso delle indagini preliminari a provvedere è, invece, il pubblico ministero con decreto motivato). 5. La correzione degli errori materiali. L'art. 130 disciplina il procedimento di correzione degli errori materiali dei provvedimenti del giudice, vale a dire la correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori o omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto. L'errore deve essere materiale e cioè consistere in una difformità tra il pensiero del giudice e la formulazione esteriore di tale pensiero (lapsus espressivi, errori nel computo della pena), ovvero deve trattarsi di un'omissione relativa ad un comando che dipende in maniera automatica dalla legge. La correzione è disposta anche d'ufficio dal giudice che ha emesso il provvedimento: se questo è impugnato e l’impugnazione non è dichiarata inammissibile, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell’impugnazione. Il giudice provvede alla correzione in camera di consiglio a norma dell'art. 127 e dell’ordinanza che ha disposto la correzione deve essere fatta annotazione sull'originale dell'atto. Esulano da procedimento di correzione ex art. 130 le cancellature, le variazioni e le aggiunte negli atti di cui è menzione nell'art. 48 norme attuative c.p.c. Secondo cui le cancellature negli atti del procedimento sono fatti in modo che le parole cancellate siano leggibili, mentre alle variazioni e alle aggiunte che occorre eseguire prima della sottoscrizione si provvede con postille che devono essere approvate. 6. I poteri coercitivi del giudice. Il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede. Tra gli atti che sono espressione del potere coercitivo si colloca l'accompagnamento coattivo dell'imputato e di altre persone. Si tratta di una limitazione della libertà personale che può essere eseguita anche con la forza e chi ha la finalità di condurre una persona davanti al giudice per rendere possibile l’acquisizione di un contributo probatorio. In particolare l'art. 132 co. 1 dispone che, nei casi previsti dalla legge, il giudice, con decreto motivato, può ordinare di condurre l'imputato alla sua presenza, se occorre anche con la forza. L’accompagnamento di regola deve essere preceduto da un invito a presentarsi o da una citazione rimastati senza effetti. Destinatari del provvedimento di accompagnamento possono essere anche il testimone, il perito, la persona sottoposta all’esame del perito diversa dall'imputato, il consulente tecnico, l'interprete o il custode delle cose sequestrate, qualora, regolarmente citati o convocati, omettono di comparire nel luogo e nel giorno e nell'ora stabiliti. L’inserimento tra i destinatari della persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato consente al giudice di far eseguire una perizia coattiva, come il prelievo di capelli, peli, mucosa del cavo orale ai fini della determinazione del DNA. Occorre puntualizzare che non è possibile disporre l’accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione del querelante all’udienza in cui sia stato citato a comparire come testimone, limitatamente ai casi in cui la mancata comparizione del querelante integra remissione tacita di querela, nei casi in cui essa è consentita. 4 Il giudice, con ordinanza, può condannare i destinatari dell'accompagnamento coattivo al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende. La condanna pecuniaria inflitta e tuttavia revocata dal giudice, con ordinanza, quando sono ritenute fondate le giustificazioni adottate a posteriori dall'interessato. Il provvedimento che dispone l'accompagnamento coattivo è trasmesso, a cura della cancelleria dell'autorità procedente che l'ha emesso, all'organo che deve provvedere all'esecuzione, mentre una copia è consegnata all'interessato. La persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere tenuta a disposizione del giudice, oltre il compimento dell'atto previsto e di quelli consequenziali per i quali perduri la necessità della sua presenza, nel caso non può essere trattenuta oltre le 24 ore. Trattandosi di provvedimento limitativo della libertà personale, il decreto che dispone l’accompagnamento coattivo è ricorribile per cassazione per violazione di legge. Merita di essere ricordato che, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero può esercitare durante le seguenti funzioni, gli stessi poteri coercitivi conferiti al giudice ex art.131 c.p.c. e può altresì disporre l'accompagnamento coattivo dell'indagato o di altre persone. 5 PARTE III - ATTI CAPITOLO III - LA PARTECIPAZIONE A DISTANZA AL COMPIMENTO DI UN ATTO O ALLA CELEBRAZIONE DI UNA UDIENZA 1. Premessa Il titolo II bis del libro II del codice (artt. 133 bis-133 ter ) prevede una disciplina generale per la partecipazione a distanza (c.d. "remote justice"), destinata ad avere una incidenza sempre più crescente. Per la precisione, lart. 132 bis rinvia alle disposizioni dettate dal successivo art. 133 ter per disciplinare le ipotesi in cui lautorità giudiziaria (sia il giudice che il pubblico ministero) disponga che un atto sia compiuto a distanza o che una o più parti possano partecipare a distanza al compimento di un atto o alla celebrazione di unudienza, salvo che sia diversamente previsto. Sono gli artt. 45 bis, 146 bis, 147 bis e 147 ter disp. att. a stabilire i casi nei quali è prevista la partecipazione a distanza durante le procedure in camera di consiglio e in dibattimento. La partecipazione a distanza a specifici atti è, inoltre, indicata da singole disposizioni codicistiche. Questa clausola di esonero fa salva una serie corposa di ipotesi specificamente disciplinate dal codice: è il caso, ad es., dellinterrogatorio di garanzia (art. 294, co 4, ); dellint errogatorio nelle indagini (art. 370, co 1 bis, ); del riesame delle misure che dispongono una misura coercitiva (art. 309, co 1, ); degli accertamenti tecnici non ripetibili (art. 360, co3 bis, ); delludienza di convalida dellarresto o del fermo (art. 391, co 1, ). 2. Regole generali, modalità e garanzie La disciplina di carattere generale contenuta nellart. 133 ter mira a contemperare due differenti e contrapposte esigenze: da un lato, le istanze di semplificazione e accelerazione del processo; dallaltro, lesigenza di garantire leffettiva partecipazione consapevole dellimputato attraverso mezzi tecnici idonei, secondo gli insegnamenti del giudice delle leggi,e, più in generale, lesigenza di rispettare i diritti fondamentali delle parti e il canone del contraddittorio. Lautorità giudiziaria, quando dispone che un atto sia compiuto a distanza , o che una o più parti possano partecipare a distanza al compimento di un atto o alla celebrazione di unudienza , provvede con decreto motivato, che, laddove non sia emesso in udienza, deve essere notificato o comunicato alle parti, unitamente al provvedimento che fissa la data per il compimento dellatto o la c elebrazione delludienza e, in ogni caso, almeno 3 giorni prima della data suddetta. Il decreto deve essere comunicato anche alle autorità interessate. In tali casi è attivato un collegamento audiovisivo tra laula di udienza o lufficio giudiziario e il luogo in cui si trovano le persone che compiono latto o che partecipano alludienza a distanza: tale luogo è equiparato allaula di udienza. Il collegamento audiovisivo è attuato, a pena di nullità, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e leffettiva partecipazione delle parti allatto o alludienza e ad assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti nei diversi luoghi e la possibilità per ciascuna di essa di udire quanto viene detto dalle altre. Nei casi di udienza pubblica è assicurata unadeguata pubblicità degli atti compiuti a distanza. Dellatto o delludienza è sempre disposta la registrazione audiovisiva. Le persone che compiono latto o che partecipano alludienza a distanza si collegano da al tro ufficio giudiziario o da un ufficio di polizia giudiziaria individuato dallautorità giudiziaria, previa verifica della disponibilità di dotazioni tecniche e condizioni logistiche idonee per il collegamento audiovisivo. PARTE III - ATTI CAPITOLO IV - LA DOCUMENTAZIONE 1. Premessa Il titolo III del libro II del c.p.p. (artt. 134-142) contiene la disciplina della documentazione degli atti, destinata a conservare memoria di tutte le attività compiute nellarco del procedimento per consentirne la conoscenza e il controllo anche a distanza di tempo, ai fini delle decisioni che si dovranno via via adottare nellambito del procedimento di primo grado ed, eventualmente, nei giudizi dimpugnazione. Non bisogna confondere i concetti di "documentazione" e "documento": mentre la prima è atto del procedimento, il documento, che rappresenta fatti, persone o cose mediante la scrittura, la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo, è atto esterno al procedimento, che in questo viene introdotto per assumere valore probatorio ed è dunque una prova precostituita. In realtà, è talvolta lo stesso legislatore a fare confusione: come si è già avuto modo di vedere, trattando degli atti si distingue tra "documento in formato analogico" e "documento in formato informatico", laddove, invece, si dovrebbe più correttamente parlare di "documentazione”. La scelta lessicale è stata, peraltro, dettata dalla circostanza che le locuzioni "documento informatico" e "documento analogico" sono entrate ormai da tempo a far parte del linguaggio legislativo, anche in altri settori dellordinamento, sia nella normativa primaria che in quella secondaria, e si è pertanto voluto scongiurare il rischio di creare dubbi interpretativi. 2. Il verbale e le differenti modalità di documentazione Alla documentazione degli atti si procede mediante verbale e, nei casi previsti dalla legge, anche mediante riproduzione audiovisiva o fonografica. Il verbale può essere redatto in forma integrale o riassuntiva, con la stenotipia o altro strumento idoneo allo scopo, in caso dimpossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale, considerata residuale perché assolutamente inadatta a offrire un risultato rappresentativo fedele, efficace e genuino, in rapporto soprattutto alle cadenze dibattimentali e alle dinamiche dellesame incrociato. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva o quando la redazione in forma integrale è ritenuta insufficiente, alla documentazione dellatto si procede altresì mediante riproduzione audiovisiva o fonografica. La riproduzione audiovisiva, ad es., potrà risultare particolarmente utile in occasione dellassunzione di determinati mezzi di prova, come il conf ronto o lesperimento giudiziale. Il verbale è redatto dallausiliario che assiste il giudice. Peraltro, quando è redatto con la stenotipia o altro strumento idoneo, il giudice autorizza lausiliario , che non possiede le necessarie competenze, a farsi assistere da personale tecnico. Quanto al contenuto, lart. 136, co1 prescrive che il verbale deve indicare il luogo, lanno, il mese, il giorno e, quando occorre, lora in cui è cominciato e chiuso; le generalità delle persone intervenute al compimento dellatto documentato e le cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire; la descrizione di quanto lausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto avvenuto in sua presenza, nonché le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste. 1 Per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e, in tale caso, è riprodotta anche la domanda: puntualizzazione importante, volta a superare la prassi invalsa nella vigenza del c.p.p. 1930, secondo la quale si faceva precedere la verbalizzazione della risposta del dichiarante dallacronimo "A.D.R." ovvero "a domanda risponde", senza indicare assolutamente comera stata formulata la domanda. Occorre altresì indicare se la dich iarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dellautorizzazione a consultare note scritte. Salvo quanto previsto con riferimento alludienza dibattim entale dallart. 483, co1, il verbale, previa lettura, è sottoscritto alla fine di ogni foglio dal pubblico ufficiale che lha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute, anche quando le operazioni non sono esaurite e sono rinviate ad altro momento, se qualcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere, ne è fatta menzione con lindicazione del motivo. Quando si effettua la riproduzione fonografica, nel verbale è indicato il momento dinizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione: per la parte in cui la riproduzione fonografica, per qualsiasi motivo, non ha avuto effetto o non è chiaramente intelligibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è effettuata da personale tecnico giudiziario, ma il giudice può decidere di affidarla a persona idonea estranea allamministrazione statale. Quando le parti vi consentono, il giudice può disporre che non sia effettuata la trascrizione, per evidenti ragioni di economia. Le registrazioni fonografiche o audiovisive e le trascrizioni, se effettuate, sono unite agli atti del procedimento. Accanto alla verbalizzazione integrale e alla verbalizzazione in forma riassuntiva accompagnata dalla riproduzione fonografica, il codice contempla unaltra modalità di verbalizzazione, vale a dire la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica, che il giudice dispone "in casi particolari" vale a dire quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza, ovvero quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione (ad es., a causa di un guasto tecnico dellimpianto) o di ausiliari tecnici (ad es., per malattia o altro impedimento). Occorre, poi, ricordare che il codice prevede una serie di ipotesi nelle quali il verbale è, di regola, redatto in forma riassuntiva (es.per il procedimento in camera di consiglio) mentre lart. 559, co2, c.p.p. subordina al consenso delle parti lutilizzo di tale modalità di documentazione nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, sempre che il giudice non ritenga necessaria la redazione in forma integrale (es. per la documentazione, rispettivamente, dellattività di polizia giudiziaria e dellattività del pubblico ministero). Quando è redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, il giudice deve vigilare affinché sia riprodotta nelloriginaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese, se queste possono servire a valutarne la credibilità. Se la legge non impone la forma scritta, le parti possono fare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, richieste o dichiarazioni orali attinenti al procedimento. In tal caso, lausiliario che assiste il giudice redige il verbale e cura la registrazione delle dichiarazioni; al verbale è unita, se ne è il caso, la procura speciale. Alla parte che lo richiede è rilasciata, a sue spese, una certificazione ovvero una copia delle dichiarazioni rese. Modalità particolari sono previste nellart. 141 bis per linterrogatorio di persona in stato di detenzione (a qualsiasi titolo) che non si svolga in udienza (tale disciplina non trova, ad es., applicazione nelludienza di convalida dellarresto in flagranz a e del fermo ex art. 391): al fine di assicurare la fedele e completa documentazione delle dichiarazioni e di evitare abusi o pressioni indebite sul detenuto, in stato di soggezione psicologica a causa della restrizione della libertà cui è sottoposto, linterrogatorio deve essere documentato integralmente , a pena dinutilizzabilità, 2 con mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non è possibile, con mezzi di riproduzione fonografica, la trascrizione della riproduzione è peraltro, disposta solo su richiesta delle parti. Quando si verifica unindisponibilità di strumenti di riproduzione audiovisiva e fonografica o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica, se a procedere allinterrogatorio è il pubblico ministero. Va segnalato che , secondo la giurisprudenza di legittimità, il mancato rispetto di queste modalità di documentazione comporta linutilizzabilità delle conseguenti dichiarazioni nei riguardi di chiunque. c.d. "inutilizzabilità assoluta". A conclusione di tutte le regole dettate in tema di documentazione, si prevede che, salvo particolari disposizioni di legge, il verbale è nullo (nullità relativa) se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lha redatto o se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute . al riguardo, peraltro, la Corte di cassazione ha puntualizzato che, per ritenere sussistente tale ultima soluzione, è necessario che lidentità del soggetto partecipante allatto non solo non sia documentata nella parte specificamente destinata a tale attestazione, ma non sia neppure desumibile da altri dati contenuti nello stesso o in altri atti processuali in esso richiamati o ad esso comunque riconducibili. 3 a pena di nullità e sostanzialmente identiche a quelle previste per il perito dell'art. 222. Sono incapaci di assumere ruolo di interprete o traduttore: il minorenne, l’interdetto, l’inabilitato e l’infermo di mente. L'interprete può essere ricusato, per i motivi di cui all'art. 144 (è incompatibile ad assumere il ruolo di interprete o traduttore chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di perito, chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione), dalle parti private e, in rapporto agli atti compiuti o disposti dal giudice anche dal pubblico ministero. Quando esiste un motivo di ricusazione, anche se non proposto, ovvero se vi sono gravi ragioni di convenienza per astenersi, l'interprete ha l'obbligo di dichiararlo. La dichiarazione di ricusazione o astensione può essere presentata fino a quando non siano esaurite le formalità di conferimento dell’incarico e se si tratti di motivi sopravvenuti, ovvero conosciuti successivamente, prima che l’interprete abbia espletato il proprio incarico. Sulla dichiarazione di ricusazione o astensione decide il giudice con ordinanza. L'Interprete, qualora non debba essere sostituito a seguito dell'accoglimento della dichiarazione di astensione o ricusazione, deve essere preliminarmente ammonito dall'autorità procedente circa l'obbligo di adempiere bene e fedelmente l'incarico affidatogli, senz'altro scopo che quello di far conoscere la verità e di mantenere il segreto su tutti gli atti e che gli si faranno per suo mezzo o con sua presenza. L'interprete può essere sostituito se non presenta, entro il termine indicato, la traduzione scritta. Dopo essere stato citato a comparire per discolparsi può essere condannato dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da 51 a516 € 3 PARTE III - ATTI CAPITOLO VI - LE NOTIFICAZIONI 1. Finalità e organi. Notificazioni telematiche e tradizionali. La notificazione è l'atto con cui si porta a conoscenza dei soggetti processuali interessati un determinato atto del procedimento. Nella disciplina delle notificazioni, il legislatore ha dovuto contemperare 2 esigenze fondamentali, ma in contrasto tra loro: da un lato, quella di assicurare al destinatario la conoscenza effettiva dell'atto da notificare. Dall'altro, quella di non ritardare il corso del procedimento penale. Di qui, una regolamentazione particolarmente articolata e dettagliata con lo scopo di rendere minimo lo scarto tra conoscenza effettiva e conoscenza legale (cioè presunta). In sostanza, le formalità prescritte dalla legge mirano a garantire l'effettiva conoscibilità dell'atto da parte dell'interessato; laddove siano state adempiute, scatta la presunzione legale di effettiva conoscenza. Le modifiche più recenti, per ragioni di efficienza e celerità, e in linea con la progressiva realizzazione del processo penale telematico, valorizzano l'impiego delle modalità telematiche e cercano, in particolare, di assicurare la conoscenza effettiva da parte dell'imputato della vocatio in iudicium. Oggi, la regola generale, a meno che la legge disponga altrimenti, è che le notificazioni degli atti devono essere eseguite, a cura della segreteria del pubblico ministero o della cancelleria del giudice, con modalità telematiche che, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, assicurano l'identità del mittente e del destinatario, l'integrità del documento trasmesso, nonché la certezza, anche temporale, dell'avvenuta trasmissione e ricezione. Lo strumento privilegiato è la PEC. Ma il codice, opportunamente, non specifica le modalità telematiche da utilizzare, poiché le possibili e spesso repentine evoluzioni tecnologiche avrebbero potuto renderle presto obsolete, riservando alla normativa secondaria le specifiche sulle modalità tecniche. Per le notificazioni effettuate con modalità telematiche, la ricevuta di avvenuta consegna, generata dal sistema, assume valore di relazione di notificazione. In tutti i casi in cui, per espressa previsione di legge, per l'assenza o l'inidoneità di un "domicilio digitale" del destinatario o per la sussistenza di impedimenti tecnici, non è possibile procedere con le modalità telematiche si procede con forme equipollenti delle notificazioni, ovvero la lettura dei provvedimenti alle persone presenti o rappresentate dal difensore e gli avvisi che sono dati dal giudice o dal pubblico ministero verbalmente agli interessati in loro presenza, riportati nel verbale, o ancora la consegna di copia in forma di documento analogico dell'atto all'interessato da parte della cancelleria o segreteria. Quanto agli organi deputati ad eseguire le notificazioni tradizionali, viene in considerazione innanzitutto l'ufficiale giudiziario o chi ne esercita le funzioni, ovvero l'aiutante ufficiale giudiziario e il messo di conciliazione. Quando l'atto viene trasmesso all'ufficiale giudiziario, quest’ultimo deve formarne un numero di copie uguale a quello dei destinatari della notificazione; tengono luogo dell'originale le copie, trasmesse con mezzi tecnici idonei, quando l'ufficio che ha emesso l'atto attesta, in calce ad esso, di avere trasmesso il testo originale. In casi particolari, espressamente previsti dalla legge, le notificazioni possono essere eseguite anche dalla polizia giudiziaria o dalla polizia penitenziaria. Se la notificazione è eseguita dalla polizia 1 giudiziaria, l'atto deve essere trasmesso all'ufficio di polizia competente per territorio con numero di copie uguale a quello dei destinatari della notificazione, essendo la polizia sprovvista di poteri di certificazione. L'atto è notificato per intero di regola mediante consegna di copia al destinatario o se ciò non è possibile alle altre persone indicate dalla legge. Quando la notificazione non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, l'ufficiale giudiziario o la polizia giudiziaria consegna la copia dell'atto da notificare, dopo averlo inserito in una busta, che provvede a sigillare trascrivendovi il numero cronologico della notificazione e dandone atto nella relazione in calce all'originale e alla copia dell'atto: allo scopo di tutelare la riservatezza del destinatario della notificazione. Quando non vengono utilizzate le modalità telematiche l’ufficiale giudiziario che procede alla notifica documenta l’attività svolta scrivendo in calce all’originale e alla copia notificata la relazione di notificazione nella quale indica l’autorità o la parte privata richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia, i suoi rapporti con il destinatario, le funzioni o le mansioni da essa svolte, il luogo e la data della consegna della copia. Appone al termine la propria sottoscrizione. Le notificazioni possono essere eseguite dall'ufficiale giudiziario anche con mezzo degli uffici postali, nei modi stabiliti dalle relative norme speciali. 2. I soggetti legittimati a disporre o richiedere le notificazioni: il giudice e il p.m. Nella disciplina delle notificazioni occorre distinguere i differenti soggetti legittimati. In particolare bisogna distinguere le notificazioni disposte dal giudice e dal pubblico ministero da quelle effettuate su richiesta delle parti private. Le notificazioni disposte dal giudice sono eseguite dall'ufficiale giudiziario. Le notifiche richieste al pubblico ministero possono essere eseguite dalla polizia giudiziaria nei casi di atti di indagine o provvedimenti che la polizia giudiziaria è delegata a compiere. Tuttavia, nei procedimenti con detenuti e in quelli davanti al tribunale del riesame, il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui destinatari sono detenuti. Nei casi di urgenza, il giudice o il pm può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo di telefono a cura della cancelleria. La comunicazione telefonica non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che conviva anche temporaneamente con il medesimo o che sia al suo servizio. Dell’attività svolta è redatta attestazione inserita nel fascicolo del numero telefonico chiamato, il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione, il suo rapporto con il destinatario, il giorno e l'ora della telefonata. La comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta sempre che dalla stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma o comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica non certificata. La copia e la ricevuta di spedizione del telegramma previsto dall'art. 149 con l'indicazione della persona che lo trasmette, di quella che lo riceve, dell'ora e del giorno della trasmissione, sono allegati agli atti del procedimento a cura della cancelleria o della segreteria. Come si è già accennato, sono previste anche delle forme equipollenti alle notificazioni disposte dal giudice e dal pubblico ministero. Innanzitutto, la consegna di copia in forma di documento analogico dell'atto all'interessato da parte della cancelleria o della segreteria ha valore di notificazione. 2