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Riassunto psicologia generale anolli legrenzi, Sintesi del corso di Psicologia Generale

In questo capitolo si cerca di distinguere la differenza tra psicologia ingenua e psicologia scientifica. La psicologia ingenua è quella forma di psicologia che utilizziamo tutti i giorni per risolvere in maniera più o meno veloce ed efficace i problemi e le situazioni che ci troviamo dinanzi.

Tipologia: Sintesi del corso

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doriana612 🇮🇹

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Scarica Riassunto psicologia generale anolli legrenzi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Capitolo 1 – Origini e sviluppi della psicologia scientifica. In questo capitolo si cerca di distinguere la differenza tra psicologia ingenua e psicologia scientifica. La psicologia ingenua è quella forma di psicologia che utilizziamo tutti i giorni per risolvere in maniera più o meno veloce ed efficace i problemi e le situazioni che ci troviamo dinanzi. Da essa si fonda di conseguenza una psicologia scientifica, basata su di una ricerca approfondita e sulla sperimentazione. Si ha quindi che entrambe le psicologie affrontano le opportunità e i vincoli della vita cui andiamo incontro, ma le trattano in maniera differente a seconda specialmente della nostra esperienza, sia filogenetica sia ontogenetica. Paragrafo 1 – PSICOLOGIA INGENUA E PSICOLOGIA SCIENTIFICA 1.1: Presupposti evolutivi della psicologia: In questo paragrafo si cerca di comprendere la nascita della psicologia nei nostri antenati. Si parte da una differenziazione rispetto alle scimmie inizialmente solo di carattere fisiologico (cambiamento della struttura genitale maschile con una derivata capacità di prolungare il rapporto sessuale, caratteristica essenziale per la costruzione di una coppia). In seguito anche il gene inibitore del tumore celebrale scompare, di conseguenza siamo soggetti a tale tumore ma il nostro cervello si è evoluto, ingrossato, quadruplicato. Si inizia ad usare il simbolo, inteso come un’entità che ne rappresenta altre a livello mentale. Questa capacità simbolica e l’inizio della linguistica (che si innestano su capacità non verbali) consentono all’uomo di divenire una specie psicologica, in grado di riflettere in termini mentali. Con l’avvento dell’agricoltura l’uomo si stanzia nei luoghi, smette di essere nomade. Si creano di conseguenza le prime forme ci civiltà. Si è creata dunque una sorta di cassetta degli attrezzi mentali (pensiero, coscienza, comunicazione, elevata socialità, valori ecc..) tuttora validi ed in uso. È la configurazione base della psicologia e rappresenta la nascita della cultura. 1.2: Esperienza, psicologia del senso comune e scienze psicologiche: Secondo gli empiristi inglesi la base della conoscenza è dunque l’esperienza intesa come la totalità delle singole esperienze, cioè quel raggruppamento di conoscenze esplicite ed implicite, accumulate nel corso del tempo tramite il coinvolgimento personale nelle azioni o l’imitazione dei comportamenti altrui. L’esperienza è essenziale, utile per prendere decisioni o agire in maniera efficace in una data situazione. Dall’esperienza nasce di conseguenza la psicologia del senso comune o psicologia ingenua, che ci permette di utilizzare l’esperienza stessa per cercare di comprendere e interpretare i comportamenti nostri e altrui in base al ragionamento pratico. Si evince però che la psicologia ingenua è inattendibile dal punto di vista scientifico, poiché priva di metodo sperimentale e/o spiegazioni plausibili e dimostrate. Dunque è la mancanza di controllo che dimostra la differenza tra psicologia ingenua e scientifica. Sta di fatto comunque che la psicologia scientifica, come ogni altra scienza, presenta un carattere di contingenza, cioè un proseguo delle conoscenze della psicologia ingenua (La psicologia ingenua è quella forma di psicologia che utilizziamo tutti i giorni per risolvere in maniera più o meno veloce ed efficace i problemi e le situazioni che ci troviamo dinanzi. Da essa si fonda di conseguenza una psicologia scientifica, basata su di una ricerca approfondita e sulla sperimentazione). Inoltre è da considerare anche il carattere di necessità della psicologia scientifica; i criteri scientifici da essa ammessi che valgono per tutti gli studiosi di tale materia: è necessario dare la possibilità a qualunque scienziato di verificare i dati raccolti da altri scienziati, in modo che le teorie precedenti possano essere confutate o meno. Questa divulgazione scientifica è il vero distacco tra i due tipi di psicologie qui affrontati. 1.3: Presupposti moderni per la comparsa della psicologia scientifica: In questo breve paragrafo si descrive il percorso della psicologia, a partire dai primi contributi filosofici, con Aristotele che descrisse alcuni processi cognitivi (percezione, memoria), con Ippocrate e le sue definizioni di personalità, infine Erasistrato che per primo comprese la differenza tra nervi sensoriali e nervi motori. 1 Ma non si può parlare di psicologia intesa come al giorno d’oggi sino al 1700 quando, per la prima volta, Christian Wolff distinse la psicologia razionale da quella empirica. La prima di natura filosofica, basata su riflessioni teoriche, la seconda naturalistica, fondata sul metodo dell’osservazione, la base per l’attuale psicologia scientifica. Si passa poi dal razionalismo, inteso come quel primato della ragione sul corpo, all’empirismo (Bretano =prete austriaco, allievo di un traduttore delle opere di Aristotele, maestro di Freud per quattro anni) che consente di studiare la mente come un insieme di facoltà (si afferma il carattere intenzionale della coscienza e più in generale dell’esperienza: nasconde la nostra motivazione, siamo oggetti pensati; l’intenzionalità costituisce il carattere specifico dei fenomeni psichici). Col tempo e con l’inizio dello studio diretto sull’apparato celebrale, iniziarono ad essere stilate le prime teorie sul funzionamento della mente direttamente connesso con l’organo preposto; si arrivò alla teoria dell’arco riflesso (connessione fra sensazioni e movimenti) ovvero ad uno stimolo dell’ambiente corrisponde una reazione la quale è mediata dall’attività di un centro nervoso collocato nel midollo spinale dell’organismo; secondo tale concezione in ogni comportamento da quello più semplice a quello più complesso il meccanismo di base è sempre lo stesso :stimolo –centro nervoso- reazione. In seguito si passa alla frenologia, dal greco phren = mente e logos= studio è una dottrina pseudoscientifica ideata e propagandata dal medico tedesco Franz Joseph Gall, secondo la quale le singole funzioni psichiche dipenderebbero da particolari zone o "regioni" del cervello, così che dalla valutazione di particolarità morfologiche del cranio di una persona, come linee, depressioni, bozze, si potrebbe giungere alla determinazione delle qualità psichiche dell'individuo e della sua personalità. Ma taluni, come Kant, mossero critiche su questi metodi di ricerca, poiché la mente rimaneva qualcosa non misurabile con la matematica, quindi non poteva rientrare nella categoria di “studi scientifici”. Si iniziarono dunque a fare misurazioni temporali di tempi di reazione del cervello sotto vari stimoli; nasce la cronometria mentale, che portò alla psicofisica odierna, grazie al quale si studiano le corrispondenze tra stimoli fisici e risposte psichiche. (Galton in Inghilterra apri l’istituto di Antropometria in cui tutti i cittadini venivano sottoposti a prove psicometriche= risposte sensoriali e misurazioni della testa usando il compasso, misurazione del volto: da questi esperimenti veniva calcolato il quoziente intellettivo) Paragrafo 2 – NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA Si fa coincidere la data di esordio della psicologia scientifica con la fondazione del laboratorio sperimentale a Lipsia da parte di Wilhelm Wundt nel 1879. 2.1: Wilhelm Wundt e lo strutturalismo. Per Wundt oggetto della psicologia è l’esperienza immediata che differisce dall’esperienza mediata delle altre scienze naturali, che ricorrono a strumenti di mediazione per lo studio della stessa. Per contro la psicologia non ha necessità di ricorrere a questi strumenti, poiché lo studio può essere effettuato direttamente dal soggetto tramite l’introspezione cioè un atto del pensiero che consiste nell'osservazione diretta ed analisi della propria interiorità rappresentata da sentimenti, desideri, prodotti del pensiero stesso, come pure il senso dell'identità di una persona. Questo metodo non è esente da difficoltà: a causa dello spostamento di attenzione dall’avvenimento accaduto all’introspezione stessa è possibile che alcuni dati vengano distorti o persi. Wundt dunque comprende che la chiave è la variazione tra un atto di introspezione e un altro comparabile e non il contenuto stesso dell’introspezione. Grazie a questo elaborò una teoria complessa in cui distinse: -la percezione: sensazioni immediate così come si presentano in coscienza; la appercezione: organizzazione delle sensazioni così come si presentano in coscienza; la volontà di reazione: intervento della volontà per produrre azioni congrue con gli stimoli. La scuola di Lipsia fallì miserabilmente; negli annali si verrà chiamata Strutturalismo questo metodo di ricerca di Wundt, atto a rilevare le strutture della mente umana scomponendola nei suoi elementi fondamentali. 2 Paragrafo 5 – MODULARISMO, PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA E CONNESSIONISMO Jerry Fodor propose una concezione forte della mente computazionale, governata dal linguaggio della mente (mentalese). Per egli, è la combinazione di concetti semplici ed innati, intesi come entità univoche e chiuse, discrete e fisse, in grado di esprimere verità necessarie, elaborate secondo regole logiche, attente solo alla forma (sintassi) e non ai contenuti (semantica). L’attività mentale interna ,quindi, consiste nella manipolazione dei simboli. Secondo il modularismo la mente è organizzata in modulo o “cassetti”, ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in ambito scientifico nell’interazione con l’ambiente. Secondo la psicologia evoluzionistica questi moduli sarebbero il risultato delle selezioni naturali avvenute per la razza umana in decine e decine di migliaia di anni. Si confà che questi moduli sarebbero universali e costruiti in base ai cosiddetti “algoritmi darwiniani”. La prospettiva modulare però, non avendo prove empiriche certe né tanto meno verificata sul piano neuropsicologico, è in sostanza infondato. Verso la metà degli anni ottanta nasce una nuova corrente, il connessionismo, che pone in relazione strettissima la struttura biologica del cervello con la struttura della mente cognitiva. Il connessionismo è un modello delle scienze cognitive che per spiegare il funzionamento della mente si ispira alla struttura del cervello in quanto costituito da reti neurali. Le informazioni all'interno di una rete neurale (biologica o artificiale che sia) sono distribuite per tutti i vari nodi della rete e non in un "posto" singolo. Non si può più quindi puntare ad una parte determinata del sistema e dire che questa unità contiene una determinata informazione o svolge un determinato compito specifico. Paragrafo 6 – MENTE SITUATA E RADICATA NEL CORPO L’errore dell’essenzialismo: la mente non può essere un’entità separata dai vincoli biologici ed ecologici. L’errore sta nel considerare gli stati mentali come entità fisse, regolari, corrispondenti a fenomeni circoscritti e isolati. È una sorta di “cecità platonica”, un’incapacità di vedere l’importanza decisiva del contesto. Mente situata e radicata nel corpo: ad oggi nella psicologia si da molta importanza alla situazionalità della mente, costantemente immersa in un contesto immediato, inteso come l’insieme delle informazioni disponibili nella situazione contingente, compresi i particolari secondari. In quanto tale, è fondata sull’esperienza, intesa come motore di ogni attività mentale. La mente è inoltre radicata nel corpo, fondata sull’elaborazione dei dati da parte delle singole modalità sensoriali e di controllo motorio. In particolare sono oggetto di studio i neuroni specchio, che ci pongono in condizione di capire e imitare gli altri. Nel futuro la psicologia è diretta, in ambito sperimentale, verso frontiere che legano sempre più assiduamente la mente con il corpo, poiché ogni teoria psicologica priva di evidenze cerebrali in supporto appare debole e inconsistente. Capitolo 2 – Metodi della ricerca in psicologia. Paragrafo 1 – OGGETTO E METODO DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA Come detto nel capitolo 1, esistono differenze tra psicologia ingenua e scientifica; di conseguenze esistono anche nella teoria ingenua e teoria scientifica. La differenza fondamentale risiede nei metodi di controllo delle spiegazioni nella capacità di impiegare criteri espliciti per acquisire conoscenze e fare previsioni. Viene adottato il metodo sperimentale, che è considerato l’unione delle sensate esperienze con le necessarie dimostrazioni supportate dal contributo della matematica. Si ottiene dunque con questo metodo un oggetto (ciò che osservo) e metodo (punto di vista con cui osservo); questi due fattori sorgono congiuntamente, poiché per natura inseparabili. Il ricercatore deve predisporre un disegno di ricerca: è la mappa delle sue attività, ne orienta le scelte e le decisioni e consente di apportare eventuali modifiche e correzioni. 5 Prima però è necessario trovare la meraviglia, quel qualcosa che desta in noi attenzione, stupore e curiosità, da cui derivano anche le volontà di trovare nuove soluzioni a teorie già avanzate e proposte. È necessario dunque porsi la domanda di ricerca: cosa voglio studiare? Perché? Queste domande servono per creare un percorso di senso della ricerca e delineare i confini del campo di ricerca. Questi confini non devono essere troppo estesi (dispersione), troppo limitati (ripetizione) né troppo complessi (fallimento calcolo variabili). Ovvio che la domanda deve avere carattere di originalità; per evitare questo è necessario che il ricercatore sia perfettamente a conoscenza della letteratura di riferimento e i risultati dei precedenti scienziati, poiché è da essi e dal loro lavoro che si può partire con nuove teorie (contingenza della ricerca). Da definire inoltre è lo scopo della ricerca, ciò che si vuole ottenere e dimostrare con essa. In un momento successivo la domanda di ricerca diviene l’ipotesi di ricerca, cioè enunciati provvisori che, sia pure in forma probabilistica, stabiliscono una relazione esplicita e accurata fra più fatti osservati. L’ipotesi è costruibile con il metodo “se…allora”; è essenziale stabilire la natura del legame fra antecedente e conseguente. Tale legame può essere in relazione al causa-effetto (causalità) oppure in associazione tra due o più eventi (correlazione). Le operazioni per verificare le ipotesi devono essere rispettose dei criteri di protocollarità ammessi dalla data scienza (es: per valutare la temperatura di una stanza, per il fisico sarà un criterio corretto dire “ci sono 37°”, per uno psicologo invece dire “fa molto caldo”). Infine per verificare la validità delle ipotesi si procede con la verifica sperimentale, metodo non sempre totalmente attendibile in senso positivo e diretto, questo perché ci sono da considerare ed ammettere eventuali errori umani sia a livello di ipotesi sia a livello di verifica. Non essendo al 100% attendibile, si ricorre per verificare una data ipotesi al metodo dell’ipotesi nulla: se l’ipotesi diametralmente opposta a quella effettuata dallo scienziato è dimostrabilmente falsa, allora si può avere ragione di credere che l’ipotesi originale sia attendibile. La totalità dei risultati atti alla dimostrazione dell’inattendibilità dell’ipotesi nulla viene chiamata regione critica. Precisate le ipotesi si passa al metodo scientifico vero e proprio. È necessario assicurarsi la partecipazione dei soggetti che corrispondano alle variabili decise dallo scienziato (età, sesso, ecc..). L’insieme di questi soggetti costituisce il gruppo target. I gruppi sono portati a compiere i propri compiti sperimentali nell’ambiente preposto, che può essere in condizioni artificiali (laboratorio) o in condizioni naturali. Ne consegue che in laboratorio abbiamo esperimenti guidati permettendo la misurazione più accurata, più precisa, più obiettiva dell’oggetto preso in esame ed effettuare ricerche in condizioni rigorosamente controllate avendo cosi, la possibilità di studiare una cosa alla volta mantenendo costante una variabile per non farla intervenire; mentre nell’ambiente esperimenti naturali. I partecipanti verranno sottoposti, attraverso strumenti atti ad una precisa misurazione, agli stimoli(qualcosa che accade e che influisce il comportamento) sperimentali loro presentati e gli sperimentatori ne constateranno l’accuratezza attraverso l’osservazione. La combinazione di alternanza di stimoli, interferenze, condizioni di facilitazione o inibizione, compiti di distrazione ecc… compongono la situazione sperimentale. Infine il ricercatore si serve del controllo di manipolazione, che consiste nel verificare la coerenza e la congruenza fra gli obbiettivi dell’esperimento, le istruzioni fornite e il comportamento dei soggetti sperimentati. I dati raccolti vengono poi elaborati da statistica descrittiva e/o inferenziale e preferibilmente pubblicati per meglio procedere con confronti insieme ad altri esperti. Paragrafo 2 – RICERCA PSICOLOGICA IN PRATICA Il motivo per cui spesso ci poniamo la fatidica domanda “perché?”, riguardo agli avvenimenti che ci accadono, risiede nel principio di causalità. Causalità fisica; causalità psicologica. Se per la prima il fondamento è la forza, per la seconda è l’intenzione. Se la contiguità temporale è necessaria per entrambe, non lo è la contiguità spaziale, che per l’intenzione essa può essere espressa a distanza. In disposizione di ciò, l’essere umano diviene naturalmente un sistema teleonomico, atto 6 alla ricerca e a mettere in funzione azioni indispensabili per raggiungere lo scopo (l’atteggiamento teleologico è più presente nei bambini, secondo cui tutto esiste per raggiungere uno scopo). Per far si che un esperimento sia definito tale, il metodo sperimentale deve necessariamente avere due aspetti: 1-essere basato sull’assegnazione casuale alla condizione; 2-manipolazione e controllo delle variabili. Il compito dello scienziato è quello di determinare il rapporto tra tutte le variabili. Le variabili possono essere di diverso genere. Variabili indipendenti: variabili determinate e controllate dallo scienziato;( ci si serve per formulare una previsione. Possono essere caratteristiche delle personalità, della situazione. Possono essere modificate dal ricercatore direttamente per poter osservare ciò che avviene a quella dipendente). Variabili dipendenti: variabili che variano in funzione e a seconda di quelle indipendenti. ( determinati aspetti dei risultati conseguiti dal soggetto). Variabili intermedie: si collocano a metà strada tra le variabili indipendenti e quelle dipendenti, formando un legame stretto tra loro e permettendo di spiegare le modifiche che le v. indipendenti mettono in atto , producono in quelle dipendenti. Variabili estranee: si distinguono in sistematiche o confondenti e asistematiche. Le prime influiscono costantemente sulle dipendenti (come ad esempio il tempo, da cui derivano naturalmente maturazione e apprendimento). Quelle asistematiche invece sono pressoché infinite e variano da situazione a situazione: dalle condizioni mentali dei soggetti e dei ricercatori (stanchezza, distrazione, ansia ecc..) alle condizioni atmosferiche. Le variabili, in quanto tali, presentano valori in termini qualitativi e quantitativi, quindi è necessario procedere con le misurazioni, che ve ne sono di quattro tipi differenti: -Livello nominale: in questo caso i numeri hanno valore di semplici etichette, e fungono a dimostrare semplicemente una differenza; es: femmina = 1 come maschio = 2. -Livello ordinale: la misurazione si concentra sulla relazione asimmetrica di ordine crescente o decrescente dei numeri reali. Si misurano quindi in questo caso i differenti gradi di intensità dei fenomeni; es: attenzione massima = 10 come attenzione minima = 1. -Livello di intervallo: si basa sulla grandezza di un dato intervallo. Prendendo ad esempio il numero 4, esso è medesimo tra 11 e 15 e tra 20 a 24; ciò nonostante avendo uno zero arbitrario, non si possono fare rapporti. -Livello di rapporto: in questo caso invece ritenendo lo zero non arbitrario ma reale, possiamo eseguire rapporti: sappiamo che 10 è la metà di 20 e 20 è la metà di 40 ecc… Una volta comprese e calcolate le variabili e i rapporti fra esse, il ricercatore è in grado di compiere il disegno di ricerca, mediante il quale è in grado di raggiungere un’interpretazione di ciò che ha osservato e porre inoltre opportune previsioni. Normalmente in ogni esperimento i gruppi sono posti a determinate situazioni o trattamenti. In un esperimento tra i soggetti ogni trattamento corrisponde ad un gruppo; in un esperimento entro i soggetti lo stesso soggetto è sottoposto alle diverse condizioni. Nel disegno entro i soggetti, si ha il pericolo che, essendo tutti i soggetti sottoposti a tutte le condizioni, che essi vengano influenzati dall’ordine delle condizioni. Per esempio, solitamente, i soggetti hanno prestazioni migliori all’inizio dell’esperimento che non alla fine, quindi a seconda dell’ordine delle condizioni il risultato riguardo le stesse cambierà. Inoltre vi sono anche gli effetti della sequenza (effetto àncora o contrasto), che dipendono dalle interazioni tra le condizioni. Prendiamo una pallina da 100 g: il soggetto la sentirebbe più pesante se 7 La sensazione può essere definita come l’impressione soggettiva, immediata e semplice che corrisponde a una data intensità dello stimolo fisico(Le sensazioni permettono al nostro cervello di conoscere il mondo che ci circonda. esse sono sostanzialmente personali e soggettive, e quindi impossibili da misurare scientificamente è possibile chiedere ai soggetti che le sperimentano di descriverle. Questo primo "esperimento" di tipo qualitativo permette di confrontare le sensazioni di ciascuno e notare che in alcuni casi le sensazioni che vengono provocate in diversi soggetti da cambiamenti specifici nel mondo fisico (ovvero quello che è al di fuori di noi e che percepiamo) sono almeno simili. Tuttavia abbiamo le relazioni psicofisiche quando vi sono tra alcuni stimoli (variabili fisiche) e alcune sensazioni (variabili psicologiche) che tendono ad essere prevedibili e indipendenti dall'osservatore. L’uomo però incorre in due limiti intrinsechi alla sensibilità umana: Cogliamo solo una parte degli stimoli fisici presenti in natura; Cogliamo gli stimoli solo quando essi hanno una certa intensità. Gli stimoli per suscitare una sensazione devono raggiungere un certo livello minimo di intensità, detta soglia assoluta. Gli stimoli presenti che percepiamo vengono detti sovraliminari mentre quelli presenti ma non percepiti vengono detti infraliminari. La soglia assoluta è iniziale (limite inferiore; stimolo non percepito perché poco intenso) e terminale (limite superiore; stimolo non percepito perché troppo intenso e alle volte doloroso). Anche la differenza tra due stimoli entrambi percepiti, per essere colta, deve essere di una certa intensità; parliamo dunque del superamento della soglia differenziale (Per soglia differenziale si intende la differenza minima di intensità che uno stimolo deve avere da un altro affinché vengano percepiti come diversi), che deve essere rilevata da almeno il 50% dei casi. Vi sono tre differenti metodi psicofisici per la misurazione della soglia assoluta. Metodo dei limiti: si parte da uno stimolo infraliminare e lo si produce via via in maniera ascendente finché non viene percepito; viceversa si può partire da uno stimolo sovraliminare e produrlo in maniera discendente. Uno degli errori più comuni del metodo dei limiti è l’errore della direzione di serie: i valori di soglia differiscono a seconda che sia usato un metodo ascendente o discendente per il fenomeno di inerzia e abitudine psicologica. Metodo dell’aggiustamento: il soggetto “aggiusta” manualmente gli stimoli finché non li percepisce. Consiste nel permettere al soggetto sperimentale di aumentare direttamente e a suo piacimento il livello di energia dello stimolo finché il soggetto stesso lo percepisce. Tuttavia, siccome il soggetto sperimentale prevedibilmente non è perfettamente coerente in caso di ripetizione dell'esperimento, la stima della soglia assoluta attraverso questo metodo non è sufficientemente precisa. Metodo degli stimoli costanti: il soggetto è esposto continuamente a diversi stimoli, sia infra che sovraliminari, e viene invitato a dire ogni volta che riceve uno stimolo. In questo caso è il ricercatore a determinare l'intensità degli stimoli che vengono via via somministrati al soggetto, il quale, per ognuno degli stimoli, deve riferire se lo ha percepito oppure no. Anche in questo caso i valori delle varie prove non sono perfettamente coerenti, quindi si è deciso di stabilire per convenzione come soglia assoluta l'intensità che ha il 50% di probabilità di essere percepita. Per la misurazione della soglia differenziale i metodi sono analoghi, solo di solito si usano uno stimolo standard, che viene tenuto costante, e uno stimolo di confronto, che appunto è utilizzato come confronto e viene cambiato di volta in volta. Con la misurazione della soglia differenziale si possono incorrere in due errori: l’errore del campione (lo stimolo standard viene sovrastimato a quello di confronto) e l’errore di posizione (se gli stimoli sono posti in una data posizione nello spazio, si può verificare una sovrastima dello stimolo posto in data posizione rispetto all’altro). La psicofisica ci mostra non solo il funzionamento di determinate caratteristiche sensoriali dell’uomo, ma anche alcune caratteristiche delle stesse. Ad esempio con la legge di Weber, fu uno tra i primi tentativi di descrivere la relazione tra la portata fisica di uno stimolo e la percezione umana dell'intensità di tale stimolo. si è scoperto che in ambito tattile, percepiamo la differenza di peso in maniera proporzionale: se ad esempio poggiamo 10 una biglia da 50g, riusciamo a discriminare (quindi renderci conto della differenza di peso) quando poggiamo una biglia di 49 o 51 g; proporzionalmente se poggiamo una da 100g discriminiamo quella che pesa 102 o 98g, con una da 200g discriminiamo una da 204 o 96g e via dicendo. Stanley Stevens poi fondò la psicofisica soggettiva, grazie la quale poté definire il grado di giudizio personale dell’individuo, cosa che la psicofisica originaria non si prefissò di fare. Cercò di studiare e di quantificare la soglia differenziale attraverso il metodo della stima di grandezza. Ossia, il ricercatore somministrava uno stimolo (ad esempio un suono) e ne comunicava l'intensità al soggetto sperimentale (ad esempio l'intensità era pari a 20). Successivamente il ricercatore somministrava altri stimoli ad intensità diverse e chiedeva al soggetto di stimarne l'intensità per confronto con quella del primo stimolo. Il soggetto quindi rispondeva 10 (seguendo l'esempio qui proposto) se percepiva un'intensità dimezzata rispetto a quella del primo stimolo, mentre rispondeva 40 se percepiva un'intensità doppia L’essere umano però non solo si limita a percepire determinati stimoli, ma anche decidere se tale stimolo è realmente esistito o meno. Secondo la teoria della decisione statistica abbiamo quattro possibilità di scelta: Vero positivo: affermare la presenza di uno stimolo effettivamente esistito; Falso positivo: affermare la presenza di uno stimolo non esistito; Falso negativo: affermare la non presenza di uno effettivamente esistito; Vero Negativo: affermare la non presenza di uno stimolo non esistito. Con la teoria della detenzione del segnale è un metodo per quantificare l'abilità di distinguere, in un segnale, il segnale vero e proprio portatore di informazioni dal rumore, si sono posti in evidenza due fattori utili allo studio di queste quattro matrici: La sensibilità dell’organismo nella finezza discriminativa, che è soggettiva; Il criterio soggettivo di decisione, legato ai fattori mentali del soggetto. Paragrafo 2 – PERCEZIONE. Attraverso quello che definiamo realismo ingenuo, si crede che ciò che noi percepiamo sia esattamente ciò che esiste nella realtà che ci circonda; è vero invece il contrario, cioè che noi conosciamo la realtà fenomenica, quella che appare a noi. Per chiarire il concetto esemplificherò di seguito alcuni fenomeni: Assenza dell’oggetto fenomenico: in alcune situazione non vediamo ciò che esiste nella realtà Assenza dell’oggetto fisico: in alcune situazioni vediamo ciò che non esiste nella realtà (effetto Kanizsa) Presenza di stimoli ambigui o reversibili: vediamo in un unico oggetto più figure Presenza di figure paradossali: vediamo ciò che non può esistere nella realtà Illusioni ottico-geometriche: vediamo cose differenti da quelle che esistono Il passaggio dunque dalle sensazioni ai percetti è il risultato di una sequenza di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come catena psicofisica. Questa catena è dunque costituita dalle stimolazioni distali (le radiazioni che vengono percepite dagli organi di senso) che scatenano reazioni negli apparati percettivi, causando stimolazioni prossimali (quello stimolo da cui noi dobbiamo ricavare informazioni per arrivare allo stimolo distale). L’elaborazione di questi dati, per via appunto psico-fisico-fisiologica costituisce una serie di mappe topografiche, cioè quella disposizione neuronale nel cervello. In sostanza dunque, essendo la percezione intesa come attività fenomenica, può essere intesa come l’organizzazione immediata, dinamica e significativa delle informazioni sensoriali. I flussi di processi che portano alla percezione sono due e vengono detti dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. 11 I processi dal basso verso l’alto sono niente meno che le informazioni sensoriali che recepiamo, necessarie per lo sviluppo di una percezione ma non esaustive, poiché per loro natura sono disperse e caotiche. I processi dall’alto verso il basso sviluppano le informazioni sensoriali tramite le conoscenze della memoria, le credenze, le aspettative e gli scopi della nostra condotta. Si evince che la conoscenza influenzi i processi di percezione. Una prova empirica di questi processi è l’attività di riconoscimento degli oggetti, poiché grazie alla memoria possiamo: Confrontare le singole parti di un oggetto con quello standard (prototipo immagazzinato a memoria), considerando l’oggetto nella sua totalità; Individuare esclusivamente le caratteristiche salienti e discriminanti di un oggetto, assegnando una funzione selettiva in base alla nostra conoscenza (se ad esempio percepisco un oggetto provvisto di lama, a prescindere dalla forma, saprò che la sua funzione è quella di tagliare). Molte furono le teorie riguardo alla percezione; elencherò quelle più significative. Teoria empiristica: secondo Helmholtz (1876) i dati sensoriali costituiscono un mosaico di sensazioni elementari che vengono integrate e sintetizzate grazie ai processi di associazione e dell’esperienza. Nell’adulto il procedimento è pressoché automatico, poiché agisce sotto forma di inferenza inconscia. Gli stimoli eccitano il sistema nervoso e così il soggetto, in base alle sue esperienze passate sull'oggetto (le sue conoscenze e le sue memorie) può sviluppare quelle che Helmholtz chiama "inferenze (ipotesi) inconsce". Helmholtz suddivide il processo percettivo in due stadi: 1º stadio (analitico): gli organi sensoriali analizzano gli stimoli in entrata. 2º stadio (sintetico): si sintetizzano gli stimoli sensoriali ricevuti, per formare la rappresentazione percettiva dell'oggetto Scuola della Gestalt: si oppose al principio empiristico constatando che l’esperienza ha un valore secondario. Secondo i gestaltisti la percezione non è preceduta da sensazioni, ma è un processo primario e immediato. Il campo percettivo di organizza attraverso la distribuzione dinamica delle forze generate dai vari aspetti dell’oggetto. Di seguito, queste forze vengono unificate tramite i principi di unificazione, costituendo una totalità coerente e strutturata. Movimento del New Look: è una prospettiva funzionalista, poiché pone in evidenza le funzioni della percezione. Secondo questo movimento la percezione dipende anche da fattori mentali come bisogni, aspettative, emozioni ecc…quando il soggetto percepisce uno stimolo dunque compie un’operazione di categorizzazione: a partire da certi indizi provvede all’identificazione dello stimolo stesso che poi sarà la base della sua percezione. Secondo la teoria ecologica di Gisbon invece la percezione non è una rielaborazione di informazioni percettive attraverso processi cognitivi né un’integrazione con l’apporto di altre fonti, bensì un semplice insieme di informazioni ecologiche collocato in determinati spazi-temporali che deve essere colto dall’individuo. Paragrafo 3 – PRINCIPALI FENOMENI PERCETTIVI DELLA VISIONE La percezione visiva è possibile grazie alla presenza di radiazioni luminose sia dell’informazione ottica proveniente dall’ambiente (insieme delle disomogeneità e dislivelli presenti nell’ambiente della distribuzione della luce). Con l’articolazione figura-sfondo Edgar Rubin (1915)(immagine in cui noi vediamo separatamente due profili umani o un vaso) ha posto in evidenza che non esiste figura se non c’è sfondo, poiché il rapporto figura-sfondo implica un’interdipendenza intrinseca fra stimolo e contesto. Percepiamo dunque gli oggetti non in assoluto, ma sempre in quanto immersi in un contesto immediato. Diversi sono i fattori che contribuiscono all’articolazione percezione figura-sfondo: Inclusione: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione inclusa nel contesto; 12 Infine siamo disposti anche di un apprendimento fisiologico che, essendo un vincolo per la nostra sopravvivenza e per il mantenimento della salute fisica e del benessere mentale. Fondata nell’esperienza diretta del nostro corpo in connessione attraverso le sensazioni nostre percettive. Paragrafo 2 - APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO. Grazie allo sviluppo celebrale gli individui sono in grado di compiere previsioni riguardo a: Quali eventi seguono ad altri eventi nell’ambiente; Quali eventi sono controllabili e quindi modificabili. Per raggiungere questo traguardo è necessario essere in grado di associare due o più eventi fra loro. È l’apprendimento associativo. Connessi a questo tipo di apprendimento vi sono i riflessi, cioè quelle azioni di risposta condizionate/ incondizionate che abbiamo rispetto ad un dato stimolo (qualcosa che influisce sul comportamento). Il condizionamento pavloviano o classico (da Pavlov) comporta l’associazione tra gli stimoli incondizionati (SI), le risposte incondizionate (RI), gli stimoli condizionati (SC) e le risposte condizionate (RC). Lo stimolo condizionato provoca una determinata risposta solo dopo che si è verificato l’apprendimento(stimolo neutro)che in precedenza veniva provocata dallo stimolo incondizionato. Quando ad una SC viene associata una RC tutti gli stimoli simili ad SC daranno una RC. È il fenomeno della generalizzazione dello stimolo: quanto più lo stimolo è simile a quello originario, tanto più forte è la risposta. Apprendimento per prove ed errori (THONDRIKE): il fenomeno grazie il quale si dimostrò, con l’esperimento del gatto nella problem-box (portava animali in laboratorio, gli metteva davanti a dei problemi ed effettuava osservazioni sui loro modi di risoluzione). che le risposte corrette tendono ad essere ripetute mentre quelle erronee ad essere abbandonate. Egli era un teorico del rinforzo, secondo lui la legge fondamentale dell’apprendimento era la Legge dell’effetto: la connessione dei legami associativi tra stimolo e risposta dimostra che essi non dipendono solo dalla loro contiguità temporale (come con Pavlov), ma anche degli effetti che seguono la risposta. (soddisfazione=rafforzamento; sgradevolezza=indebolimento).Legge dell’esercizio: la ripetizione di una risposta diventa tanto più probabile quanto più spesso è ripetuta. Skinner introdusse la distinzione tra: Comportamenti rispondenti: derivano da riflessi innati o appresi tramite il condizionamento pavloviano, rispondono ad un determinato stimolo. Dato lo stimolo la risposta avviene in modo automatico. Comportamenti operanti: non derivanti da riflessi innati ma emessi spontaneamente dall’organismo non provocati da stimoli, i quali influenzano l’ambiente per produrre determinate conseguenze. Egli dimostrò inoltre che se un comportamento è seguito da un rinforzo (ricompensa)la probabilità che la risposta emessa all’inizio si ripeta, aumenta. I rinforzi possono essere positivi (gratificazione) o negative(suscita avversione, stimolo sgradevole)suscettibili al condizionamento. L’eliminazione di uno stimolo sgradevole ha l’effetto di far aumentare le probabilità che ricompaia la risposta precedente ovvero ha lo stesso effetto del rinforzo positivo. Per converso anche le punizioni hanno effetti simili e possono anche loro essere positive (stimolo doloroso) o negative (diminuzione gratificazione).però non sempre hanno l’effetto sperato può avere infatti effetti collaterali, comportamenti rispondenti indesiderati. I rinforzi possono essere continui o parziali; (gabbia di skinner). Skinner constatò che quelli parziali sono quelli più efficaci, poiché non conducono al fenomeno dell’assuefazione. Giunse alla definizione dei piani di rinforzo per favorire l’incremento di un certo comportamento: Piano di rinforzi a intervallo fisso: il rinforzo è fornito a scadenze regolari (come gli stipendi); Piano di rinforzi a intervallo variabile: il rinforzo è fornito in lassi temporali variabili, ottenendo una linea crescente continua; 15 Piano di rinforzi a rapporto fisso: il rinforzo è fornito dopo un numero sempre uguale e prefissato di risposte (lavoro a cottimo); Piano di rinforzi a rapporto variabile: il rinforzo è fornito dopo un numero di risposte che varia in modo casuale (lotteria). Tra questi è l’ultimo rinforzo ad essere più efficace. Da considerare anche l’apprendimento che avviene tramite la selettività dell’associazione; gli uomini, così come gli animali, sono capaci di scartare correlazioni casuali e di selezionare solo le relazioni causa-effetto interessanti. Questo condizionamento associativo selettivo non è riducibile solo ad un accoppiamento tra due eventi temporalmente contigui. Anche l’apprendimento tramite intuizione o insight è da tenere conto; esso si fonda sull’attivazione di processi cognitivi che conducono alla soluzione di difficoltà e d’imprevisti che incontriamo nel corso della vita quotidiana, quindi allo svolgimento del problem-solving. (apprendimento che avviene all’improvviso come una sorta di intuizione). Paragrafo 3 – APPRENDIMENTO DA MODELLI L’apprendimento può essere individuale o sociale. L’apprendimento individuale è la competenza nell’acquisire nuove informazioni a seguito di un’esperienza personale nell’interazione diretta con l’ambiente. È un apprendimento costoso (dal punto di vista di risorse cognitive), è lungo, è soggetto ad errori, tuttavia è efficace in situazioni di cambiamento ambientale repentino.(si impara molto di più in uno stato di BISOGNO o NECESSITà o QUANDO SIAMO DISPOSTI MAGGIORMENTE AD APPRENDERE). L’apprendimento sociale è la capacità di acquisire nuove conoscenze e pratiche tramite e con i propri consimili. È un apprendimento da modelli, poiché implica l’interazione con l’ambiente e fondata sull’esperienza di altri. È un apprendimento economico, veloce, stabile, con un alto livello di attendibilità, esteso e condiviso; tuttavia nei periodi di cambiamento e di turbolenza viene meno, poiché tende a riproporre forme già consolidate e quindi obsolete. Uno degli apprendimenti per così dire innati è il fenomeno dell’imprinting, sia dal punto di vista faunistico che umano. Esso è un apprendimento qualitativamente differente da quello associativo, si basa sul legame neonato-modello, avviene in un lasso di tempo breve ed è pressoché irreversibile. Questo lasso di tempo viene chiamato periodo sensibile, cioè quel periodo nel quale le influenze ambientali sono più efficaci per l’apprendimento di conoscenze e abilità. Nell’uomo questo lasso di tempo varia circa tra i 2 e i 6 anni d’età, periodo fertile per l’apprendimento delle lingue. L’apprendimento osservativo comprende l’interazione dei neuroni specchio, l’interdipendenza tra percezione e azione e il ricorso a processi cognitivi. Implica un’interazione modulare tra individui e non la successione tra stimoli. Dall’apprendimento osservativo scaturisce l’apprendimento imitativo, cioè quando un individuo riproduce in modo consapevole l’azione di un altro per ottenere il medesimo scopo/risultato di quest’ultimo. Si evince l’importanza dell’interazione sociale che avviene tra gli individui, sia tra adulto/adulto che tra adulto/bambino. Grazie all’interazione sociale, tra gli altri, avviene anche l’apprendimento culturale: attraverso conversazioni, riunioni, pasti, tradizioni ecc…gli uomini possono acquisire nuove informazioni in modo indipendente dalla dotazione genetica; questo comporta ad un accumulo perpetuo degli apprendimenti che non può avvenire tra gli animali. Paragrafo 4 – ORGANIZZAZIONE GERARCHICA DELL’APPRENDIMENTO. L’apprendimento non è un processo lineare per semplice accrescimento, bensì ricorsivo e circolare, cioè ciò che abbiamo appreso fino ad ora è la premessa per ulteriori e diversi apprendimenti. Nascono in questo modo diversi livelli di apprendimento, conseguenti l’uno all’altro. L’apprendimento zero: avviene quando siamo giunti al massimo dell’apprendimento di una certa competenza; 16 L’apprendimento uno: consiste nella modificazione della condotta dell’individuo e implica un miglioramento delle prestazioni in oggetto. Le prestazioni iniziali sono lente, ma mano a mano che si avanza esse diventano più repentine e meno soggette ad errori. L’apprendimento due: è la naturale conseguenza dell’apprendimento uno; consiste nell’imparare ad imparare. Per raggiungere questo livello occorre che le situazioni di un certo apprendimento uno siano simili e comparabili tra loro. L’apprendimento tre: è un cambiamento nel processo di apprendimento due e consiste nella modificazione dei contesti di apprendimento dell’individuo. Esempi sono la conversione o gli effetti della psicoterapia, in cui quando ha successo v’è una modificazione delle premesse cognitive, affettive e sociali. Paragrafo 5 – APPRENDIMENTO DA MONDI VIRTUALI. Grazie allo sviluppo dei media esiste l’apprendimento a distanza, come l’e-learning. Si basa sulla formazione a distanza e non è più il discendente della sapienza a doversi adattare ai processi di apprendimento, bensì è l’insegnamento ad adeguarsi alle esigenze del discendente; inoltre vi è un’elevata indipendenza nel processi di apprendimento, visto che si è svincolati sia dalla presenza fisica che di orari precisi. Occorre però un monitoraggio costante dell’apprendimento, sia via valutazione esterna che autovalutazione. Vi sono poi i serious game, quelle attività digitali interattive che attraverso la simulazione virtuale consentono ai partecipanti di fare esperienze precise ed accurate (anche complesse), in grado di promuovere attraverso la forma del gioco percorsi attivi, partecipanti e coinvolgenti di apprendimento nei vari domini dell’esistenza umana. Ovviamente in Italia non si sono mai visti. L’apprendimento derivante dai serious game è di tipo esperienziale, in cui il virtuale è una riproduzione attendibile e fedele dei processi di realtà. È un imparare facendo. Infine i serious game comportano una valutazione dinamica, repentina e in tempo reale, nello stesso momento in cui un’azione viene svolta. Paragrafo 6 – FONDAMENTI BIOLOGICI DELL’APPRENDIMENTO. Mi basti sapere che è l’epigenetica che esplora le possibilità e modalità illimitate dell’interdipendenza fra gene e ambiente. L’ambiente è (quindi indirettamente anche l’esperienza) la “terza elica” del DNA, poiché i geni da soli, non sono in grado di agire e produrre alcun comportamento. Capitolo 7 – MEMORIA E OBLIO La memoria è la capacità di conservare nel tempo informazioni apprese e di recuperarle quando servono in modo pertinente. Ogni nuova esperienza comporta dei cambiamenti nei circuiti nervosi, quindi la memoria è un sistema in continuo divenire ̧nella sua natura dinamico. Per certi aspetti noi siamo la nostra memoria. È la nostra storia come individui (memoria personale) e come comunità cui apparteniamo (memoria collettiva).( ciò che si apprende rimane in memoria o interviene su ciò che già abbiamo in memoria). La memoria però essendo un’elaborazione individuale di dati soggettivi, rielaborati poi secondo criteri esclusivamente personali, è soggetta a distorsioni. Solitamente, inoltre, tendiamo a rielaborare nel tempo un miglioramento dei ricordi (ottimismo mnestico). La memoria è strettamente correlata all’oblio, che vedremo in seguito. La memoria è di due grandi insiemi: la memoria a lungo termine e la memoria di lavoro (chiamata una volta a breve termine). La memoria a lungo termine ha una natura multisistemica, formata da processi e insiemi anche diversi fra loro. È la memoria in cui noi conteniamo tutte le informazioni che abbiamo acquisito dal momento della nascita. In essa si racchiudono quella dichiarativa, episodica, semantica. Episodica = la conoscenza che noi abbiamo su episodi ben precisi (es: un fatto a noi caro): si riferisce alla capacità di memorizzare e recuperare eventi specifici e contiene informazioni spaziali e temporali che definiscono il dove e il quando l’evento ha avuto luogo. In media le donne presentano risultati migliori con questo tipo di memoria. Questa memoria è talvolta caratterizzata dai flash di memoria, ricordi particolarmente vivi di eventi sorprendenti che ci hanno colpito in modo profondo a livello emotivo e cognitivo (sono ricordi dettagliati ma mai perfetti). 17 Paragrafo 3 – OBLIO E DIMENTICANZA L’oblio è l’eliminazione volontaria o involontaria non temporanea di informazioni già memorizzate. Costituisce una componente adattiva della memoria e va distinto dall’amnesia, poiché quest’ultima è patologica mentre l’oblio è inevitabile. L’oblio svolge un lavoro di selezione, poiché pur essendo molto potente non è infinita, ergo se vogliamo ricordare alcuni processi e funzioni indispensabili, talune informazioni vanno dimenticate. Ci sono svariate ipotesi su come l’oblio operi, come quella del disuso. La più attendibile comunque è la teoria dell’interferenza, che è di natura duplice: Interferenza proattiva: i ricordi remoti interferiscono e/o inibiscono l’assimilazione di nuovi; Interferenza retroattiva: i ricordi recenti limitano o danneggiano quelli passati. Questa spiega come mai è più facile ricordare la sera che non il mattino. Infine l’oblio può essere provocato anche dal blocco di un’informazione già depositata in memoria. Si verifica quando vi sono diverse associazioni riferite ad un indizio e una di essere è più forte delle altre, ostacolando il recupero totale delle informazioni del target. Paragrafo 4 – MEMORIA DI LAVORO La memoria lavoro (breve termine) può essere paragonata alla RAM dei pc, dove la memoria a lungo termine è l’hard disk. Come la RAM, la MB è completamente flessibile rispetto ai contenuti e quanto più è estesa tanti più “programmi” può far “girare” insieme. La capacità della MB è direttamente proporzionale alle nostre competenze mentali (intelletto, ragionamento, linguaggio). La MBT è una memoria assai precaria e volatile, di duratura relativamente breve. In presenza di compiti distrattori la volatilità della MBT può diventare molto elevata, con una durata di appena due secondi. Se desideriamo non perdere le informazioni, occorre ripeterle con frequenza per mantenerle in quel dato spazio chiamato tampone di reiterazione. La memoria sensoriale è la capacità di mantenere in modo sostanzialmente fedele le informazioni ambientali. È una memoria modale, poiché corrisponde alle varie modalità sensoriali. Le informazioni sensoriali vengono tenute nel registro sensoriale. La MB è suddivisa, secondo il modello Baddeley e Hitch, in quattro sistemi. Esecutivo centrale: è il sistema flessibile per il controllo e la regolazione dei processi cognitivi richiesti dalla situazione. Governa gli altri tre sistemi, è in grado di cambiare i piani di reiterazione e attivare momentaneamente la MLT. Circuito fonologico: concerne il parlato e conserva l’ordine in cui le parole sono presentate. Taccuino visivo-spaziale: riguarda l’immagazzinamento e il trattamento delle informazioni visive e spaziali, nonché delle immagini mentali. Tampone episodico: sottosistema schiavo, è dedicato a collegare le informazioni provenienti da diversi ambiti per formare unità integrate e coerenti. Paragrafo 5 – COME PREPARARE GLI ESAMI Uno dei metodi più efficaci è quello ideato da Legrenzi, ed è chiamato PQ4R. Preview: scorrere in modo preliminare i vari capitoli, di modo da arsi un’idea generale. Questions: porsi delle domande relative al contenuto dei capitoli. Read: leggere attentamente sezione dopo sezione, cercando di rispondere alle domande. Reflect: riflettere su quanto si sta leggendo, capirne il significato. Recite: alla fine di una sezione cercare di ricordare le informazioni in essa contenute e rispondere alle domande, senza guardare il testo. 20 Review: rassegna finale, alla fine del capitolo ripensarlo nel suo insieme e verificarne la corretta semantica. Capitolo 9 – COMUNIAZIONE E LINGUAGGIO Noi esseri umani, siamo esseri comunicanti per natura. Costituisce una piattaforma mentale in cui convergono le funzioni cognitive(pensiero)-> noi nasciamo già predisposti al linguaggio, e rispetto al passato noi siamo in grado di mettere in pratica tutte le norme, i simboli cosi come anche il linguaggio; relazionali(interazione e contatto sociale)-> questo contatto dopo la comunicazione cambia, evolve il nostro stato precedente al contatto; ed espressive(espressioni)-> tutte le forme di comunicazione che esprimono un qualunque messaggio. Come detto è tramite il simbolo che l’essere umano ha potuto iniziare a comunicare come al giorno d’oggi. Il simbolo è una rappresentazione mentale in grado di raffigurare situazioni percettive della realtà anche in assenza dei corrispettivi stimoli sensoriali (anche se in quel momento non lo vediamo realmente lo immaginiamo). Esso inoltre costituisce un forte impulso per la costruzione di “attrezzi mentali” idonei a conoscere ed affrontare la società sempre più complessa. È necessario precisare che la comunicazione non coincide con il comportamento, inteso come una qualsiasi azione motoria di un individuo osservabile in una qualche maniera da un altro. V’è però tra essi un rapporto di inclusione: ogni comunicazione è un comportamento ma non ogni comportamento è una comunicazione, poiché nella comunicazione deve esserci necessariamente un certo gradi di intenzionalità. Similmente, è necessario distinguere fra comunicazione e interazione, intesa come qualsiasi contatto (sia fisico che virtuale ) volontario o involontario fra due o più individui in grado di modificare lo stato preesistente delle cose fra loro anche non intenzionalmente. Come nel primo caso anche qui abbiamo un rapporto di inclusione: ogni comunicazione è un’iterazione ma non ogni interazione è una comunicazione. Tutto ciò che non è comunicazione rimane a livello di notizia, cioè dei semplici dati. Dunque la comunicazione è uno scambio interattivo osservabile fra due o più individui, dotato di un certo grado di consapevolezza(ha una finalità) e di intenzionalità (trasmettere qualcosa)reciproca, capace di partecipare e di far condividere un certo percorso di significati sulla base di sistemi convenzionali secondo la cultura di riferimento. Il termine comunicazione deriva la latino “ cumunis ” ovvero mettere insieme, condividere. Pertanto è un processo attraverso il quale io condivido con altri un qualcosa. Paragrafo 2 – PRINCIPALI PUNTI DI VISTA SULLA COMUNICAZIONE Vi sono diversi punti di vista riguardo alla comunicazione; ne sono citati alcuni: Modello matematico: (teoria più diffusa)la comunicazione va intesa come una trasmissione di informazioni. Necessita di un canale, di un messaggio e di un emittente/destinatario. Il messaggio dell’emittente attraverso un canale(verbale) arriva al destinatario attraverso un recettore. Affinché ci sia la comunicazione il codice deve essere comune, conosciuto da entrambi i soggetti. Informazione: non è quello che è stato detto ma quello che è probabile che passi dall’emittente al ricevente (quello che noi capiamo). FEEDBACK= quantità di informazione che dal ricevente ritorna all’emittente(ciò che rientra all’emittente facendogli capire che l’altra persona ha ricevuto e compreso il messaggio). Il feedback può essere positivo(ampliamento dell’informazione d’ingresso)o negativo (riduzione dell’informazione d’ingresso). Comunicazione lineare= senza possibilità di rispondere, senza feedback(TV). Comunicazione circolare = c’è il feedback, c’è la risposta. Il messaggio può avere tre funzioni: - di stimolo, - risposta, -rinforzo. Ha sua volta può essere influenzato da tre disturbi: -rumore (interferenza); -ridondanza (ripetizione della codifica del messaggio); -filtro(elementi che modificano il segnale in partenza o in arrivo, in maniera positiva o negativa). 21 Modello Semiotico: la semiotica è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale; secondo la semiotica la comunicazione deve specialmente valutare come avviene il processo di significazione. il codice può essere costituito anche da segni non solo da parole, quindi la comunicazione può anche essere non verbale. Il codice deve essere interpretato, deve essere attribuito di significato -> processo di significazione ->rapporto tra realtà da comunicare e i codici con cui si comunica. Il diagramma di significazione ha tre aspetti costitutivi: 1. Simbolo -> (parola es. animale) 2. Referente ->(oggetto comunicato es. cane) 3. Referenza -> (rappresentazione mentale es. nostra idea sul cane ) Il simbolo non ha un rapporto diretto con la realtà (referente) ma soltanto con l’idea mentale (referenza) ->subentrano le nostre esperienze. • Segno come equivalenza -> è l’unione di un immagine acustica (significante o espressione) e un immagine mentale( significato o contenuto) Non è una realtà ma è una funzione che permette di comunicare. Il segno può essere : 1. Arbitrario -> convenzionale 2. Oppositivo -> non può essere nessun’altro segno (un cane non può essere un orso) 3. Immutabile -> rimane stabile nel tempo e non muta. • Segno come inferenza (Pierce) -> è qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos’altro sotto qualche rispetto o capacità. • Segno come indizio -> trarre inferenze, è comporta la presenza di modelli mentali. Modello Pragmatico: (Morris)che differisce dalla semantica (significato dei segni) e dalla sintassi (relazione formale tra i segni), poiché la pragmatica (che esplora la relazione dei segni coi parlanti) si occupa dell’uso dei significati. I modi con cui i significati sono impiegati nelle diverse circostanze. Si occupa dello studio della relazione tra testo e contesto, e di elementi impliciti nella comunicazione. La comunicazione è un dire qualcosa, è il fare qualcosa attraverso : 1. Atti locutori ( atto del parlare) 2. Atti illocutori ( atti nel dire qualcosa) ha un efficacia. 3. Atti perlocutori ( atti con il dire qualcosa)-> sono gli effetti determinati dal parlante (es. un offesa) Ogni atto linguistico contiene una propria efficacia( forza illocutoria) in grado di generare effetti sull’interlocutore. L’atto linguistico può essere • Diretto -> coerenza fra enunciato e significato • Indiretto -> dipende da fattori paralinguistici ed extralinguistici. Grice distinse fra la logica del linguaggio e la logica della conversazione. La prima si occupa a livello superficiale dei significati; la seconda considera i processi che gli individui usano per inferire ciò che il parlante intende comunicare. La logica della comunicazione implica la differenza fondamentale tra il dire e il significare. Fra questi due livelli esiste uno scarto, poiché ciò che è significato è più esteso di ciò che è detto. Per superare lo scarto è necessario fare ricorso ad un lavoro mentale chiamato dallo stesso Grice implicatura conversazionale. Costituisce un impegno comunicativo aggiunto per andare oltre le parole dette, in modo da individuare l’intenzione comunicativa del parlante. La comunicazione si articola su più piani: quello della comunicazione intesa come i contenuti che si scambiano e la metacomunicazione, cioè la comunicazione sulla comunicazione, la cornice con cui intrepretare i messaggi. La comunicazione diventa lo spazio che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami fra i soggetti. La comunicazione diventa la base costitutiva dell’identità personale e della rete di relazioni cui ciascuno è inserito. 22 (opzionali). Hanno natura selettiva in quanto non tutto può diventare un valore. Alcuni valori diventano ideali (individuali o collettivi). Gli ideali attribuiscono coesione ai valori, poiché li raggruppano in unità e nello stesso tempo svolgono la funzione di motivazione ->attivare le risorse delle persone. Costituiscono una condizione essenziale per definire la nostra identità, per metterci in rapporto con altri individui. Essi possono essere anche pericolosi perché ci condizionano ad accettare tutto. La psicologia del desiderio ha ricevuto ottimi apporti dalla più recente psicologia positiva (abbiamo tutte le risorse necessarie per realizzare qualsiasi cosa); questa ha focalizzato la sua attenzione sul benessere soggettivo e sulle qualità della vita, seguendo una duplice prospettiva: edonica(dimensione del piacere come benessere personale) sia eudaimonica(realizzazione del piacere come benessere personale). Ognuno ha e si crea la propria gerarchia dei valori in base alla selettività delle situazioni a cui attribuire valore. Nell’appagamento del desiderio gioca un ruolo fondamentale la ricompensa, che causa effetti positivi sia a livello neurobiologo sia a livello mentale. La Dopamina -> è il segnale dell’appagamento del desiderio in oggetto. Essa genera uno stato di benessere e di completezza. Come detto, essendo il valore una convenzione, è impossibile ritenere corretta l’ipotesi di valori assoluti, anzi, questa contingenza tipica del valore ha consentito e consente la formazione di prospettive ispirate al relativismo. D’altro canto però, pur ammettendo questa natura contingente, dal valore deriva la necessità sia individuale che sociale di creare gerarchie più o meno ritenute valide per un gruppo consolidato. Facendo un esempio il valore che diamo all’oro, seppur in maniera convenzionale, è necessariamente diffuso su gran parte del globo tra molte delle civiltà esistenti. Questi valori comuni fanno si che si crei la possibilità ad un pluralismo, una via intermedia tra assolutismo e relativismo. Legato al pluralismo v’è il principio della tolleranza: è la disponibilità degli individui ad accettare la diversità come risorsa quale condizione per raggiungere forme soddisfacenti di convivenza tra i gruppi. È la comprensione e il governo delle diversità all’interno del parametro delle pari dignità. Di conseguenza nasce il principio dell’intolleranza dell’intolleranza, secondo cui per dare forza al principio della tolleranza, è necessario non tollerare la non tolleranza. MODELLO DEL VALORE ATTESO : - a) in caso di guadagno, emerge un affetto di diminuzione dell’utilità marginale ( più si guadagna meglio è; però si guadagnerà di meno rispetto all’inizio). - b) in caso di perdita si presenta un fenomeno analogo (le perdite maggiori colpiscono di più, ma la sofferenza diminuisce quando le perdite si accumulano). - c) l’avversione verso le perdite presenta una rilevanza psicologica doppia rispetto all’attrazione per il guadagno. TEORIA DEL PROSPETTO: IL valore diventa negativo o positivo in base alla scelta che noi facciamo; l’inquadramento dei valori in positivo o in negativo non è fisso, ma è dato dalla situazione stessa prima di ogni scelta. EFFETTO DI CORNICE: Alimenta le diverse attribuzioni di valore allo stesso oggetto in caso di vendita o acquisto. FUNZIONE DEL VALORE: Misura le probabilità degli eventi possibili attraverso il valore delle attribuzioni. I valori sono prodotti storici, determinati dalle vicende storiche. Paragrafo 2 – MOTIVAZIONE La motivazione è una spinta a svolgere una certa attività e si può definire come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Esistono diversi livelli della motivazione: 25 Riflessi: è il sistema più semplice di risposta dell’organismo come reazione a stimoli esterni o interni. Istinti: sequenze congenite, fisse e stereotipate di comportamenti specie-specifici su base genetica in relazione a date sollecitazioni ambientali. Bisogni: condizione fisiologica di carenza e necessità (fame, sete, sesso ecc…) Pulsioni: esprimono uno stato di disagio e di tensione interna che l’individuo tende a eliminare o, quanto meno, ridurre qualora i bisogno non siano soddisfatti. Incentivi: da distinguere dalle pulsioni, essi rappresentano gli oggetti e/o eventi in grado di venire incontro ai bisogni dell’individuo. Quindi ad esempio, un panino può essere l’incentivo per soddisfare un bisogno (fame) che a sua volta creò pulsioni interne proprio a causa del mancato soddisfacimento. Le motivazioni possono essere in genere di due tipi: Motivazioni primarie: bisogni fisiologici; Motivazioni secondarie: processi di apprendimento sociale. Esiste dunque una gerarchia dei bisogni, illustrata da Abraham Maslow secondo cui se i bisogni più gerarchicamente elevati non vengono soddisfatti, quelli di livello inferiore vengono presi poco o niente in considerazione. Paragrafo 4 – PUNTI DI VISTA SULLA MOTIVAZIONE Vi sono diverse teorie e ipotesi per spiegare la natura della motivazione. Teoria biologica: alcuni centri nervosi sono sottesi alle motivazioni, quindi si ritenne che tali centri fossero in grado di spiegare in modo esauriente la loro genesi e il loro svolgimento e che fossero al servizio dell’omeostasi, concepita come l’esigenza di conservare in modo stabile nel tempo i livelli di equilibrio adatti per il funzionamento dell’organismo. Concezione comportamentista: il comportamentismo propose un modello esplicativo dei bisogni degli individui fondato sull’interazione fra pulsioni e abitudini. È la sensazione di mancato soddisfacimento che porta alla spinta propulsiva. Prospettiva cognitivista: ribalta il punto di vista del comportamentismo, sostenendo che le motivazioni e bisogni cambiano in rapporto alla qualità delle informazioni provenienti dall’ambiente che siamo in grado di elaborare. Secondo il cognitivismo tendiamo a raggiungere il successo cercando di evitare l’insuccesso; inoltre fornisce elementi utili per spiegare l’induzione di bisogni nuovi negli individui. Interazionismo: secondo il punto di vista interazionista le motivazioni sono suscitate, alimentate e regolate dalle interazione con gli altri. Paragrafo 5 – MOTIVAZIONI SECONDARIE David McClelland individuò tre grandi costellazioni di motivazioni secondarie: Bisogno di affiliazione: ricercare la presenza degli altri per la gratificazione intrinseca che deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di appartenenza ad un gruppo; uno dei bisogni di affiliazione più noti e importanti è la relazione di attaccamento che il bambino ha con la genitrice o con la figura di accudimento principale. Dal bisogno di affiliazione derivano comportamenti prosociali, che sono alla base dell’aiuto, cooperazione e condivisione. Il caso estremo ed emblematico è quello dell’altruismo che genera azioni vantaggiose per terzi, anche a discapito di un costo personale. Bisogno di successo: consiste nella motivazione a fare sempre meglio per un intrinseco bisogno di affermazione sociale e di eccellenza. Chi ha tale bisogno tende a prefiggersi obbiettivi impegnativi ma realistici. Una delle radici di questo bisogno sta nelle aspettative genitoriali ricevute durante la crescita. Quando tali aspettative sono elevate e realistiche vi è una buona probabilità che il figlio generi un elevato bisogno di successo. Quando invece le aspettative sono troppo alte (irraggiungibili) o troppo basse (demotivazionali) è possibile che il bisogno di successo abbia una natura modesta e contenuta. 26 Bisogno di potere: consiste nell’esercitare in qualsiasi ambito la propria influenza e il proprio controllo sulla condotta di altre persone. Chi ha questo bisogno tende ad occupare cariche socialmente elevate ed influenti, e non teme il confronto né la competizione. Vi sono diversi livelli di leadership: autoritario, democratico e permissivo. Al di là di questi bisogni, esiste una necessità motivazionale di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. L’esercitare un’attività è gratificante di per sé, poiché in tal modo si possono dimostrare competenza e fiducia nelle proprie risorse. Entra in gioco la competenza di base, intesa come capacità di realizzare con successo i propri obbiettivi. Su questa piattaforma motivazionale si distunguono: La motivazione intrinseca: svolgere un’attività perché gratificante in sé; La motivazione estrinseca: svolgere la medesima attività per raggiungere un altro scopo. In linea generale, concludendo, il livello motivazionale del soggetto è dato dalla quantità e qualità dei suoi interessi, intesi come la tendenza a preferire determinati stati di sé e del mondo. Gli interessi sono strettamente correlati con il piano emozionale, delineando il sistema credenze- interessi-emozioni che costituisce il cuore dell’esperienza umana ed è alla base della definizione della propria identità. Capitolo 11 – EMOZIONI E AFFETTI Paragrafo 1 – CHE COS’È UN’EMOZIONE Le emozioni sono processi emergenti in funzione dell’organismo e degli accadimenti all’interno di un dato contesto (situazionalità). Sono dispositivi mentali di adattamento attivo all’ambiente, in grado di consentire all’individuo di rispondere in modo flessibile, efficace e dinamico agli accadimenti contingenti. Sono quindi un esperienza assai complessa perché in essa ci sono diversi elementi: cognitivi, fisiologici, stimoli esterni , reazioni(comportamento). L’interesse è il cuore delle emozioni, poiché è ciò che attribuisce significato affettivo agli eventi. È ovvio che le emozioni siano strettamente collegate con le relazioni interpersonali; sono indispensabili per avviare, mantenere, modificare, rafforzare o rompere la relazione con un’altra persona. L’EMOZIONE può essere -> funzionale -> può far risolvere un problema; non funzionale -> non ci porta a realizzare il nostro obiettivo ma ad ottenere il contrario. Teoria periferica: secondo James (1884)-> propone una radicazione biologica dell’emozione. L’emozione per James è il sentire i cambiamenti a livello neurovegetativo che hanno luogo a livello viscerale, nel sistema nervoso enterico. L’emozione è il sentire le modificazioni periferiche del nostro organismo. È la situazione rilevante che scatena una data risposta in questo sistema simpatico (come dilatazione della pupilla, accelerazione del battito ecc…) e noi, percependo il cambiamento, sentiamo l’emozione. Quindi non per esempio non tremiamo perché abbiamo paura ma abbiamo paura perché tremiamo. Inoltre i FEEDBACK FACCIALI ovvero espressioni facciali ci permettono di capire meglio le emozioni. Si evince che il corpo e la mente sono in continua connessione e influenza reciproca. Si da inoltre molto peso al sentimento che per Damasio non coincide con l’emozione, ma si aggiunge a essa e consente di “sentirla” in modo consapevole. Teoria centrale: in contrapposizione alla teoria periferica, essa espone la teoria che il principale centro emotivo sia situato nella zona talamica del cervello. Il ritmo e le modalità della respirazione nasale assicurano il raffreddamento termico della regione talamica, sotteso al mantenimento degli stati emotivi positivi, mentre un’ innalzamento del valore termico ipotalamico è associato a stati edonici negativi. 27 Seppur sotto certi punti di vista esiste una certa somiglianza nei concetti emotivi fra le varie culture, esiste una marcata diversità dei lessici emotivi , poiché ogni cultura è influenzata dal proprio passato sia dal punto prettamente lessicale (ad esempio, ogni cultura ha un numero definito di parole inerenti all’emozione, come ad esempio a più di 2000 per l’inglese, 1500 per l’olandese fino ai Chewong che ne hanno poche decine) sia dal punto di vista di come vivere determinate emozioni. Sembra una sciocchezza, ma avere un lessico più esteso fornisce la possibilità di avere anche uno spettro di emozioni (seppur minimamente diverse le une dalle altre) più ampio, più facilmente descrivibile e quindi più consapevole. Paragrafo 4 –MANIFESTAZIONE DELLE EMOZIONI Le emozioni ovviamente non sono solo sentite ma si manifestano all’esterno dell’intero organismo. Un esempio chiaro riguarda lo studio delle espressioni universali compiuto da Ekman e Friesen, che grazie attraverso meticolose misurazioni elettromiografiche dei muscoli facciali, individuarono 44 unità di azione (cioè movimenti elementari volontari), in grado di dare origine a oltre 7000 configurazioni espressive facciali. Elaborarono poi programmi computerizzati come il FACS (facial action coding system) in grado di analizzare questi dati e le microespressioni con precisione. È stato grazie a questi studi che si è potuto constatare l’universalità delle emozioni di base, poiché ognuna delle sei (collera, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa) ha un’espressione unica, presente in tutte le culture. Grazie ad alcuni studi sui non vedenti dalla nascita è stato possibile confermare tale ipotesi, constatando inoltre che in questi individui la mimica facciale risulta assai più ridotta e limitata, compensata da una maggior frequenza di movimenti tipici (innalzamento sopracciglia, bocca aperta, sollevamento testa). Ekman dunque sostenne l’ipotesi delle espressioni che sono biologicamente e universalmente programmate in ogni individuo. È però la loro esibizione che varia a seconda di cultura e cultura. Seguendo le regole di esibizione sappiamo che ogni individuo impara a esprimere determinate espressioni seguendo codici comportamentali ben definiti. Vi sono determinati tipi di espressione dell’emotività facciale: Genuinità: esprimere ciò che davvero proviamo; Accentuazione: aumentare le espressioni più di quanto sentiamo; Attenuazione: diminuire le espressioni; Soppressione: nascondere del tutto l’emozione; Camuffamento: esibire un’espressione incongruente all’emozione provata; Simulazione: recitare un’emozione che non si prova. Ekman propose a tal proposito la teoria neuro-culturale delle emozioni: vivendo in un certo contesto culturale, apprendiamo quali eventi sono da considerare emotivamente marcati e a quali standard espressivi conformarsi. Si può distinguere tra le espressioni genuine da quelle false, poiché nel primo caso esse sono involontarie e non intenzionali mentre nel secondo caso sono volontarie e intenzionali. Non è comunque impresa facile distinguere questa differenza, specialmente ad occhio nudo. È per questo che Ekman scoprì e si specializzò nelle microespressioni, indizi minimi utili per individuare la differenza tra realtà e menzogna. Le micro espressioni sono espressioni brevi, quasi impercettibili ad occhio nudo e sempre involontarie. Capita infatti che seppur cercando di mascherare una menzogna, una micro espressione (essendo inconscia e involontaria) appaia sul volto dell’individuo, smascherandolo. Concezione contestualista: atta a confutare la teoria di Ekman, questa concezione pone un’esplicita attenzione alla connessione fra le espressioni facciali delle emozioni e il contesto immediato. 30 E il contesto è essenziale, infatti le espressioni facciali hanno un alto valore di indessicabilità: fanno riferimento a una certa realtà mediante l’impiego sistematico di indizi contestuali. Senza il contesto il loro significato diventa indecifrabile o altamente fraintendibile; questo è l’effetto Kulesov. Le espressioni facciali inoltre subiscono una grandissima influenza dal contesto sociale, quindi da chi, dove e come le persone vedono e sentono colui o colei che si esprime. Anche la voce ha un’importanza fondamentale: essa appare in grado di comunicare le emozioni non solo con ciò che viene detto, ma specialmente come viene detto. È attraverso la modulazione del ritmo, dell’intonazione e dell’intensità dell’eloquio. Dobbiamo badare dunque al tono (frequenza fondamentale), alla durata: velocità dell’eloquio, il ritmo e le pause e infine all’intensità. Come per le espressioni facciali, anche per la voce esistono specifiche configurazioni di profili espressivi per ogni emozione, in grado di consentire una discriminazione; ad esempio, per quanto riguarda la collera, essa è caratterizzata da un rilevante incremento della media e della variabilità della frequenza, un aumento dell’intensità e dalla presenza di pause molto brevi e anche dalla loro assenza (come si volesse buttare fuori tutto d’un fiato). Come contributi enorme, le espressioni facciali vengono accompagnate dai gesti, dai movimenti corporei, che sono una componente fondamentale per la percezione delle manifestazioni emotive. I gesti espressivi sono importanti per l’espressione dell’emozione; possiamo definire la qualità dei movimenti in funzione di: Attività motoria: quantità globale di movimenti; Espansione spaziale dei movimenti; Loro intensità e forza: dinamica; Accelerazione e velocità di esecuzione dei gesti: cinematica. I gesti non trasmettono le emozioni mediante configurazioni specifiche e distintive, come per la voce, bensì tramite la loro intensità. Inoltre lo stesso gesto può assumere valenze emotive differenti a seconda della velocità e modalità con cui è eseguito (ad esempio, tendere la mano lentamente può essere interpretato come voler fare una carezza mentre muoverla velocemente alla stessa maniera potrebbe essere interpretato come voler schiaffeggiare). Vi sono casi in cui tra gestualità e mimica facciale v’è un’incongruenza (es: faccia = paura e gesti = collera). Le situazioni di congruenza vs incongruenza fra le manifestazioni emotive della faccia e quelle dei gesti consentono di verificare come elaboriamo informazioni emotive complesse. Quando mimica e gesto sono congruenti, abbiamo un forte incremento dell’accuratezza dell’espressione, mentre quando abbiamo l’incongruenza sono i gesti ad essere ritenuti più importanti, più attendibili. Paragrafo 5 – REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI Come esseri umani, non solo proviamo emozioni, ma siamo anche in grado di procedere nella loro regolazione. La regolazione delle emozioni va considerata come loro parte integrante, e opera fin dal momento in cui esse insorgono. È un processo fondamentale per il benessere dell’individuo, poiché esprime la sua capacità di sapersi adattare in modo attivo alle situazioni. Sono quattro i principali interventi che gli individui possono compiere sugli antecedenti emotivi (le operazioni che avvengono appunto prima dell’espressione emotiva). Questi sono: Selezione della situazione: scegliere se accettare o evitare certe persone e/o situazioni in grado di suscitare particolari emozioni. Modificazione della situazione: introdurre un elemento di cambiamento nel contesto fisico o sociale di riferimento; Dislocazione dell’attenzione: concentrare le risorse attentive su alcune info della situazione anziché su altre; 31 Rivalutazione della situazione: attribuire un significato diverso alla situazione rispetto a quello abituale. Siamo in grado dunque di regolare le risposte emotive e modularle a seconda del contesto. È possibile farlo sia a livello individuale che attraverso la condivisione sociale delle emozioni: Rimé ha constatato che circa il 90% delle persone tende a condividere con altri le proprie emozioni il giorno stesso che le ha provate, anche se questo procedimento riattiva le sensazioni provate riguardanti tale evento. In sintesi, la regolazione delle emozioni è un indicatore valido e attendibile dell’intelligenza emotiva, intesa come abilità di percepire ed esprimere le emozioni stesse, nonché regolandole in se stessi e in altri. Paragrafo 6 – EMOZIONI E CULTURA Abbiamo già intravisto che la cultura è un fattore determinante sulle espressioni emotive. L’esperienza emotiva è focalizzata sul gruppo nelle culture interdipendenti (solitamente culture orientali, come Giappone e Cina) mentre è centrata sull’individuo nelle culture dipendenti (Europa, USA). Queste ultime sono da considerarsi come culture della promozione delle emozioni positive, che enfatizzano l’autoaffermazione e il senso di eccellenza rispetto agli altri (quindi tendono a mostrare solo gli aspetti positivi e fuggono da quelli negativi); quelle invece interdipendenti sono culture della prevenzione e inibizione delle emozioni negative (c’è la saggezza e la consapevolezza che non esiste bene senza male; questo procedimento porta all’inibizione del negativo). Non solo il manifestarsi delle emozioni varia da cultura a cultura, ma anche la regolazione (paragrafo precedente) è cangiante. Infatti ad esempio per quanto riguarda la memoria, gli occidentali tendono all’ottimismo della memoria (enfatizzare le esperienze positive) mentre le culture orientali, specialmente quella giapponese, tendono al pessimismo della memoria. Questo accade perché le emozioni focali (cioè quelle specifiche di una data cultura) fanno riferimento a eventi culturalmente rilevanti per il soggetto nella vita quotidiana. La focalità emotiva è connessa con le categorie emotive dominanti in una cultura come, per esempio, la categoria del successo nella cultura americana. 32