Scarica Riassunto PSICOLOGIA- P. GRAY e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Cognitiva solo su Docsity! 1 PSICOLOGIA Gray P. CAP 1 DEFINIZIONE E BREVI CENNI DI STORIA DELLA PSICOLOGIA L’essere umano è l’unica creatura che riflette su se stessa; questo tipo di riflessione ha assunto molte forme, si veda poesia e letteratura, sino alla formalizzazione del pensiero su sitemi filofici e teologici. Ciò ha assunto un carattere scientifico nella seconda metà dell'800 e da qui è nata la psicologia come scienza. Come si può definire la psicologia e quali sono i criteri secondo i quali è possibile ampliare tale definizione? La psicologia è la scienza che studia il comportamento e la mente: ∙ comportamento: insieme delle azioni osservabili compiute da una persona o un animale. ∙ mente: insieme delle sensazioni, percezioni, ricordi, pensieri, motivazioni, emozioni e di tutte le altre esperienze soggettive che caratterizza un individuo. In quanto scienza la psicologia cerca di dare una risposta ai quesiti che la psicologia ha individuato attraverso la raccolta sistematica e l’analisi razionale dei dati osservabili oggettivamente. I dati si fondano sempre su informazioni del comportamento manifesto, perché il comportamento è direttamente osservabile, ma gli psicologi si servono di questi dati per trarre inferenze sulla mente. Tre modi in cui si può caratterizzare la psicologia: 1) La psicologia consiste in un insieme di domande: La psicologia è l’insieme di tutte le domande, riguardanti il comportamento e la mente, a cui si può dare risposta mediante strumenti scientifici. ES. In che modo i geni e l'ambiente contribuiscono alle differenze individuali? 2) La psicologia consiste in un insieme di teorie e procedure atte a individuare quesiti e a dar loro risposta; Insieme delle teorie che aiutano i ricercatori a scegliere le domande da porsi; Corpo dei metodi e strumenti di ricerca che gli studiosi utilizzano per trovare risposte. 3) La psicologia è un prodotto della storia. E’ il frutto di un’evoluzione storica. ∙ E’ un corpo di quesiti, metodi, teorie e risposte provvisorie che è stato trasmesso e modificato nel corso delle generazioni. Cenni storici La psicologia odierna va vista come un corpo composito, un'amalgama derivanti da idee e approcci derivanti da diverse scuole di pensiero. Il terreno base per la nascita della psicologia fu creato dagli sviluppi filosofici e scientifici dei secoli XVII, XVIII e XIX: Cartesio (1596-1650): gran parte del comportamento umano era mediata da eventi fisici (dualismo). ∙ Hobbes (1588-1679): riteneva che tutto il comportamento umano fosse determinato da eventi fisici (materialismo). ∙ Empiristi inglesi: conoscenza e pensiero umano dipendono interamente dalle esperienze sensoriali del mondo fisico. ∙ Fisiologi del XIX secolo: studiarono i riflessi e scoprirono la localizzazione delle funzioni mentali in aree specifiche del cervello. Un apporto centrale all'affermazione della psicologia come oggetto di indagine scientifica fu dato da Darwin (1809-1882), nello studio naturalistico e unitario del corpo e della mente. Nella 2 concezione darwiniana i processi e le abilità si pongono in sostanziale continuità con le capacità fisiche. Gli esseri umani fanno parte del mondo naturale e si sono evoluti attraverso un processo di selezione naturale; la mente rappresenta un gradino ulteriore, pur estremamente importante, e la coscienza è un prodotto di una evolutiva continua che ha consentito all'uomo di sviluppare capacità cognitive, sociali e morali. Nel 1879, col laboratorio sperimentale di Wundt viene riconosciuto come nascita della psicologia come scienza autonoma. Già presente qui, la controversia sia sugli obiettivi sia sul''aspetto meotodologico; nei lab di Lipsia la decisione fu quella di appllicare la metodologia delle scienze naturali all'indagine della psiche. Le variabili psicologiche osservate furono i processi sensoriali semplici e il motodo di conoscenza fu l'introspezione con individui addestrati. Lo scopo era quello di individuare le componenti e le leggi di interazione. Questo laboratorio fu sede soprattutto per 4 campi d'indagine sperimentale: La psicofisiologia dei sensi (in particolare vista e udito, secondo Helmholtz); l'attenzione misurata con i tempi di reazione (secondo Helmholtz e Donders) la psicofisica; le associazioni mentali (partendo dall'associazionismo della filosofia empirica) Insieme allo strutturalismo di Wundt, che delinea i prodromi del cognitivismo ecco gli Approcci iniziali più importanti nello studio sperimentale della mente: Accanto alla metodologia di Wundt si contrappone il bisogno di indagare fenomeni storico sociali, elementi complessi, non accessibili all'indagine di laboratorio, come il linguaggio, il pensiero e le relazione intersoggetive. Alla metodologia sperimentale, influenzata a fine 800 dalle correnti positiviste, si contrappone così quella osservativa e fenomanologica, più attinenti al clima culturale di inizio 900; nello studio della psi la componente qualitativa e soggettiva i contrappone storicamente alla necessità quantitativa e oggettiva. Lo strutturalismo (Titchener): la mente viene concepita come insieme di processi psichici della vita dell'individuo la coscienza come i processi psichici in atto in quel momento. Si può definire come: auto-osservazione di tipo elementaristico, finalizzata alla scomposizione dell'esperienza cosciente nei suoi elementi fondamentali e costitutivi: elementi sensoriali, immagini ed elementi affettivi. Lo strutturalismo è un approccio psicologico inaugurato da W. Wundt, in Germania, e proseguito, negli U.S.A., dal suo allievo E.B. Titchener.È unanimemente riconosciuto come il primo modello di psicologia sperimentale, in quanto adotta le metodiche e le procedure della chimica e della fisica di fine 1800, quali il laboratorio e il metodo galileiano, al fine di dare una impronta scientifica alla psicologia. Secondo Titchener, la psicologia deve analizzare la struttura della mente, che sarebbe formata da tanti elementi che la compongono come un mosaico di sensazioni, emozioni, concetti; il lavoro dello strutturalista è quindi quello di analizzare tutti questi percetti, emozioni, concetti. L'unico metodo possibile è quello sperimentale e attraverso l'introspezione è possibile scorre e ricomporre gli elementi, fino a far emergere la struttura mentale. Si tratta di una concezione astratta e generale, che non considera le differenze individuali e le trasformazioni temporali. Funzionalismo (James), a differenza degli strutturalisti, sostiene che i fenomeni psicihici non sono disgiunte tra loro, bensì funzioni mediante le quali l'organismo si adatta all'ambiente sociale e fisico. James propone una concezione di coscienza unitaria e dinamica, e la sensibilità è una funzione attiva ed adattiva; l'organismo è in costante rapporto dialettico con l'ambiente. La mente così concepità è il prodotto dell'evoluzione e l'attività mentale ha una valenza pratica, volta a pianificare l'azione in chiave adattiva, in funzione dell'adattamento all'ambiente. I processi mentali sono indagati in quanto FUNZIONI e finiscono per essere concepite come FUNZIONI ADATTIVE. 5 fuznionamento della mente; per questo prendono elementi da altre discipline come ai e cibernetica. Precursori della moderna psicologia cognitivista: Clark Hull (1882-1952) e Edward Tolman (1886- 1959) con la mappa cognitiva, che si definivano comportamentisti, ma seguivano un approccio cognitivista. Anche l'approccio congitivista trova dei limiti nella difficoltà di rdurre la complessità dell'esperienza umana e dell'intersoggettività a modelli studiati in lab. Freud e la psicanalisi è nela contesto degli studi di neurofisiologia sperimentale che si sviluppa la ricerca sulla psico- patologia; la concezione di Freud però sovverte la visone meccanisìcista e riduzionista, arrivando alla convinzione che la fisiologia non è in grado di spiegare i fenomeni psichici. Studiando i processi di ipnosi e isteria, seguendo l'esempio di Charcot e Janet, iniziò a ipotizzare l'esistenza di una dimensione inconscia, con ricadute sul modo di guardare i fenomeni psichici ed il comportamento umano, sconlvongendo il concetto di identificazione tradizionale di psiche e coscienza e portando a una deviazione metodologica rispetto alle pratiche in uso al tempo. Il metodo sperimentale, basato sull'osservaizone non era più funzionale al nuovo oggetto di studio e venne introdotto il cosiddetto metodo clinico, basato sull'interpretazione e la lettura esperita delle manifestazioni esperte; la lettura parte da dati verbali comportamentali e relazionali, cerca di collegarli alle emozioni degli attori in campo cogliere in modo interpretativo aspetti di senso altrimenti invisibili. L’epistemologia genetica di Piaget Piaget studiò delle abilità cognitive nei bambini osservando il tipo di errori che essi commettevano nel risolvere problemi, e chiedendo loro le ragioni per cui avevano scelto quella data soluzione. Teoria: i bambini attraversano una serie di metamorfosi mentali, dall’infanzia fino all’adolescenza; ad ognuna di queste corrisponde una trasformazione qualitativa delle capacità del ragionamento. L'ob era quello di costruire una teoria dello sviluppo cognitivo attraverso una teoria sistematica e Caratterizzare le modalità del pensiero tipiche di ciascuna fase di questo sviluppo; per questo si avvalse di ipotetici costrutti mentali: gli schemi. Schema: progetto, piano che predispone il modo di agire sul mondo e di utilizzare l’informazione relativa al mondo stesso in maniera da controllare le azioni. L'epistemologia genetica di piaget ha per oggetto la conoscenza così come essa si sviluppa nell'interazione organismo-ambiente; essa si riorganizza attivamente determina lo sviluppo delle strutture di intelligenza compiute. Adottò un metodo che gli permise di studiare sia i processi dinamici che quelli evolutivi, una combinazione tra “osservaizone controllata” e “colloquio clinico.” In sostanza per piaget, la costruizione della conoscenza avvienen attrverso un susseguirisi di stadi che tendono evolutivamente a nuovi equilibri, attraverso assimilazione e accomodamento rispetto alle proprie strutture mentali. Nessuna conoscenza però costituisce una semplice copia del reale, da qui il costruttivismo. L’utilizzo di schemi decadde, ma il suo approccio generale in termini di costrutti mentali innati fu ampiamente adottato. Noam Chomsky fu un linguista. Nel 1957 pubblica “Le strutture della sintassi”; il linguaggio deve essere considerato un sistema di regole mentali, non la concatenazione di eventi stimolo-risposta. Queste regole sono imposte e in parte predeterminate dalle capacità innate della mente umana (LAD). Rapida crescita della psicolinguistica (studio delle basi psicologiche del linguaggio umano) L’impatto del computer Funzionamento del computer è analogo a quello del cervello. -Analizzato a due livelli: 6 ∙ Studio dell’hardware, ovvero del sistema di circuiti che consente al computer di funzionare; equivale all’analisi dei meccanismi fisiologici del cervello. ∙ Studio del software, ovvero il complesso dei programmi operativi. Diversità di indirizzi nell’ambito dell’odierna psicologia cognitivista - Psicologia cognitivista attuale: costellazione di approcci diversi, unificati dal tentativo di spiegare il comportamento manifesto in termini di ipotetici processi o strutture mentali. ∙ Sostenitori della teoria dell’elaborazione delle informazioni: analogia con il computer, formulare le proprie teoria in forma di istruzioni eseguibili da un computer. ∙ Neuroscienze cognitive: combinano l’approccio dell’elaborazione delle informazioni con lo studio del cervello; tentativo di identificare le aree celebrali responsabili di specifici compiti mentali. ∙ Cognizione sociale: sviluppa modelli cognitivi per spiegare come le persone si influenzano a vicenda. 7 CAP 2 I METODI DELLA PSICOLOGIA - In che senso la psicologia è scienza? La “scienza” consiste nel tentativo di dare risposta a particolari domande attraverso la raccolta e l’analisi sistematica di dati osservabili da chiunque. La storia del Bravo Hans e la morale che ne deriva Germania, inizio del XX secolo. Bravo Hans, un cavallo divenuto famoso per la capacità di rispondere alle domande, e psicologo Oskar Pfungst. Il mistero Il proprietario di Hans, il signor von Osten, era convinto che i cavalli avrebbero dimostrato un’intelligenza pari a quella degli uomini, se avessero potuto ricevere un’educazione adeguata. Per far ciò dedicò quattro anni ad impartire ad Hans il tipo di educazione che ricevevano i ragazzi a quel tempo. Metodo: partire da problemi semplici per introdurne via via di più complessi, ricompensando e facendo complimenti ad Hans. Insegna ad Hans un codice in cui le lettere dell’alfabeto erano tradotte in colpi di zoccolo, o a rispondere “sì” o “no” scuotendo la testa. Dopo quattro anni Hans era in grado di rispondere a qualsiasi domanda, di qualsiasi materia. Zoologi e psicologi esaminarono Hans e conclusero che non si trattava di una truffa, anche perché il cavallo riusciva a rispondere correttamente anche in assenza di von Osten, escludendo il fatto che egli potesse indicargli le risposte tramite qualche segnale. La soluzione Con lo psicologo Oskar Pfungst crollò il mito. Ipotizzò che Hans rispondesse alle domande non perché fosse in grado di capirle e conoscesse le risposte, ma che rispondesse a segnali visivi prodotti dalla persona che lo esaminava o da altri osservatori. Infatti se al cavallo venivano posti dei paraocchi, o era in presenza di persone che non conoscevano la risposta, esso non era in grado di rispondere. Fatti, teorie e ipotesi - Un fatto (oppure fenomeno o informazione) è un’affermazione oggettiva che viene assunta come vera. - Una teoria è un’idea (o modello mentale) che si propone di spiegare fatti esistenti e di trarre previsioni circa nuovi fatti che potrebbero essere scoperti. - Qualsiasi previsione su nuovi fatti formulata in base a una particolare teoria è definita ipotesi. La morale della storia Questa storia impartisce tre lezioni specifiche circa la ricerca scientifica. ∙ Credulità umana e scetticismo. Grazie all’atteggiamento scettico dello psicologo Pfungst si riuscì a trovare una spiegazione concreta al fenomeno. Uno scienziato dovrebbe sempre cercare di provare la falsità delle proprie teorie; solo nel caso non si trovasse nessun errore si può considerare la validità di una teoria. . Osservazione attenta in condizioni controllate. Pfungst risolse il mistero del Bravo Hans isolando le condizioni in cui il cavallo era in grado o no di rispondere correttamente, registrando la percentuale di risposte in condizioni diverse; da questi poté capire che il cavallo rispondesse ad segnali visivi inconsapevoli. ∙ Effetti delle aspettative dell’osservatore. Spesso lo sperimentatore comunica involontariamente al soggetto le proprie aspettative su come dovrebbe comportarsi. I diversi tipi di strategie di ricerca Per classificare le diverse strategie di ricerca si può considerarne la distribuzione lungo tre dimensioni. 10 La significatività statistica - L’inferenza che ci si propone di calcolare costituisce l’ipotesi di ricerca, ovvero quello che ci si aspetta dal risultato. - I metodi di inferenza statistica permettono di calcolare la probabilità che l’ipotesi di ricerca sia errata. Più bassa è, maggiore è il grado di certezza della correzione della ricerca. ∙ I risultati sono statisticamente significativi se la probabilità che l’ipotesi sia errata è inferiore al 5%. Gli elementi di un test di significatività statistica - In ogni test di significatività statistica un primo elemento è la grandezza dell’effetto osservato. I risultati sono più significativi quando è più grande la differenza nei valori della variabile dipendente, oppure il coefficiente di correlazione. - Numero di soggetti o di osservazioni: più grande è il numero di soggetti, più alta la probabilità che siano significativi. - Variabilità: quella all’interno di un gruppo può essere interpretata come stima diretta della fluttuazione casuale a cui è soggetta la variabile dipendente, ovvero del grado in cui la variabile dipendente è influenzata da variabili incontrollabili. - La probabilità che la differenza tra le medie di due diversi gruppi sia significativa aumenta se: ∙ aumentano le grandezze delle differenze tra le medie dei gruppi. ∙ aumenta il numero dei soggetti in ciascun gruppo. ∙ diminuisce la variabilità dei dati entro ogni gruppo. Come si minimizzano gli errori e i vizi sistematici nella ricerca psicologica - L’errore si riferisce alla variabilità casuale nei risultati. Non è un problema devastante, perché tenendo conto della deviazione standard, si possono ricalcolare i dati. ∙ Esempio: un principiante che deve centrare un bersaglio, anche se non colpisce il centro, la media dei suoi colpi sarà attorno a quello. - I vizi sistematici, invece, sono quegli effetti non casuali provocati da uno o più fattori estranei all’ipotesi di ricerca. Costituiscono un problema molto grave, perché le procedure statistiche non sono in grado di identificarli o di correggerli. ∙ Un tiratore esperto con in mano un fucile con difetto di allineamento, colpirà il bersaglio sempre a qualche cm dal centro, con i colpi concentrati in un unico punto. ∙ Gli errori e i vizi sistematici possono anche presentarsi nello stesso momento, per esempio potrebbe esserci un principiante che deve usare un fucile difettoso. Vizi di campionamento - Sono dovuti al modo in cui gli individui vengono scelti o assegnati ai gruppi. Se i membri di un gruppo differiscono in modo sistematico dai membri di un altro gruppo sperimentale, allora quel gruppo costituisce un campione viziato. Vizi di misurazione - Una procedura di misurazione è affidabile se produce risultati simili ogni volta che viene applicata ad un particolare soggetto in un particolare insieme di condizioni ambientali. - Una procedura di misurazione è valida quando è effettivamente in grado di misurare o predire ciò che si intende misurare. ∙ Una misura può essere affidabile ma non valida. 11 ∙ Se una procedura è in grado di misurare la caratteristica che intende valutare, questa ha validità evidente. - Per accertare la validità di una misura si può correlarne i valori con un indice più diretto della caratteristica che si vuole misurare. ∙ L’indice più diretto è definito il criterio, e la sua validità, validità di criterio. Vizi prodotti dalle aspettative degli osservatori o sei soggetti - Gli osservatori nutrono desideri e aspettative, che possono influenzare sia il loro comportamento sia ciò che osservano. Da qui derivano vizi sistematici di ricerca, ovvero effetti delle aspettative dell’osservatore. ∙ Un ricercatore può trasmettere involontariamente al soggetto le proprie aspettative e influenzarne il comportamento (vedi Bravo Hans). Come evitare gli effetti delle aspettative dell’osservatore in un tipico esperimento - In un esperimento l’obiettivo è eliminare gli effetti delle aspettative dell’osservatore, in modo da rendere possibile l’osservazione non distorta di altri effetti. ∙ Un ricercatore che si aspetta un determinato comportamento, può inavvertitamente inviare segnali. ∙ Le aspettative dell’osservatore possono influire sul suo stesso giudizio, ovvero potrebbe essere lui ad interpretare i dati in un certo modo a seconda di quello che si aspetta succeda. - Per evitare questi effetti si applica l’esperimento in singolo cieco, ovvero un esperimento nel quale l’osservatore è tenuto all’oscuro delle aspettative. Come si evitano gli effetti legati alle aspettative del soggetto - Anche i soggetti possono nutrire delle aspettative proprie riguardo all’esperimento: si parla di effetti delle aspettative del soggetto. - Per evitare che i risultati di uno studio siano influenzati dalle loro aspettative, i soggetti dovrebbero essere tenuti all’oscuro del trattamento. L’esperimento in cui sia il soggetto che l’osservatore sono tenuti all’oscuro, si chiama esperimento in doppio cieco. - Non è sempre possibile però tenere il soggetto all’oscuro del trattamento: per esempio in caso di seduta psicoterapeutica. ∙ In quel caso i soggetti potrebbero ricevere una falsa terapia, tale da indurre in loro le stesse aspettative dei soggetti sottoposti ad un vero trattamento psicoterapeutico. Problemi etici della ricerca psicologica Nelle ricerche sull’uomo ci sono tre punti etici fondamentali: ∙ il diritto delle singole persone alla privacy; ∙ i possibili disagi o danni che una procedura di ricerca potrebbe arrecare; ∙ il ricorso all’inganno, previsto da alcuni protocolli sperimentali. In una piccola percentuale di esperimenti, l’inganno è necessario per studiare i comportamenti dei soggetti. Alcuni si sono opposti a questo, poiché è un mezzo non etico e mina la possibilità di ottenere un vero consenso informato. Altri lo giustificano perché senza di questo non si riuscirebbero ad ottenere determinate informazioni. Il tipo di inganno è una “bugia innocente”, svelata alla fine della sessione; ottenere il consenso informato è possibile. - Riguardo gli esperimenti con animali, molti pensano che certe procedure che non sarebbe etico applicare all’uomo siano invece applicabili alle altre specie animali, senza infrangere nessun principio etico. 12 Con gli animali si possono condurre incroci selettivi, controllare le condizioni ambientali di crescita e intervenire chirurgicamente sulla loro fisiologia. Questi studi possono arrecare anche sofferenza agli animali, ma alcuni controbattono che la sofferenza di questi è sacrificata per portare benessere maggiore agli uomini e agli altri animali. 15 - Noi umani, come tutti gli altri animali, comunichiamo sentimenti e intenzioni attraverso posture, movimenti del corpo ed espressioni mimiche del viso. Specifiche espressioni facciali sono associate a specifici stati emotivi; queste espressioni sono universali, in quanto si manifestano allo stesso modo in tutto il mondo e anche in persone nate cieche. - Siamo geneticamente predisposti ad esprimere certe emozioni con modalità specie-specifiche. Siamo in grado di controllare e modificare le nuove espressioni e di apprenderne di nuove. Una predisposizione biologica è alla base dei comportamenti specie-specifici - Nei mammiferi i comportamenti specie-specifici sono più flessibili nella forma, ma meno rigidamente controllati da stimoli particolari. ∙ Negli esseri umani esiste una predisposizione biologica a sviluppare dei comportamenti specie- specifici quali l’andatura bipede e l’uso di un linguaggio costruito su regole grammaticali. - Riguardo l’andatura, l’evoluzione ha dotato gli esseri umani di una combinazione di strutture anatomiche che rendono più comodo camminare stando eretti. - Anche per il linguaggio vale questo: gli esseri umani sono dotati di strutture anatomiche capaci di produrre una vasta gamma di suoni, e sono forniti di un cervello con centri nervosi specializzati nella comprensione e nella produzione del linguaggio. - Un comportamento specie-specifico è un concetto più relativo che assoluto: nessun comportamento deriva unicamente da una predisposizione biologica, ma implica sempre un qualche tipo di esperienza interattiva con l’ambiente. ∙ Qualunque comportamento un animale sia in grado di produrre, deve essere sempre mediato dalle capacità biologiche e ereditarie di quell’animale. Lo sviluppo dei comportamenti specie-specifici: il ruolo dell’ambiente - E’ importante per gli etologi individuare le caratteristiche che portano allo sviluppo un comportamento specie-specifico. ∙ Per capire quali fossero gli etologi misero a punto un particolare approccio sperimentale, chiamato esperimento di deprivazione, nel quale i cuccioli della specie in esame non venivano esposti a particolari aspetti ambientali presenti di norma nel loro habitat. - Tramite questi esperimenti si dimostrò che alcuni comportamenti venivano attuati anche senza che gli animali potessero osservarli in altri; in altri casi l’apprendimento tramite altri animali era necessario affinché il comportamento si attuasse. Ricostruzione della storia evolutiva di comportamenti specie-specifici - Come possono gli etologi formulare inferenze significative circa la storia evolutiva di un dato comportamento specie-specifico? ∙ Tramite l’approccio, ovvero nel confronto sistematico tra i comportamenti esibiti da varie specie. Due forme del confronto tra specie: omologie e analogie - Esistono due classi di somiglianza tra le specie: omologie e analogie. - Un’omologia è una somiglianza tra specie diverse che scaturisce da una loro comune origine ancestrale. ∙ Derivano dall’avere geni in comune, quindi implicano somiglianze anche nell’organizzazione strutturale profonda e nei sottostanti meccanismi fisiologici. ∙ Dalle omologie si possono trarre valide inferenze circa il percorso evolutivo che lo sviluppo di quel carattere ha seguito. - Un’analogia è una somiglianza tra specie che non dipende dal fatto di discendere da un progenitore comune, ma piuttosto da un processo di evoluzione convergente. Per evoluzione 16 convergente si intende il fenomeno per cui in due specie differenti si evolve in maniera del tutto indipendente una stessa caratteristica, a causa di somiglianze nei loro habitat naturali o negli stili di vita. ∙ Esempio: la capacità di volare negli insetti, negli uccelli o in alcuni mammiferi; sono analogie, dato che non discendono da antenati comuni. ∙ Hanno una somiglianza superficiale rispetto alla funzione e alla morfologia. ∙ Dalle analogie si possono ricavare indizi sulla funzione evolutiva di un particolare comportamento specie-specifico. Lo studio di Darwin sulla costruzione dell’alveare - Darwin, per fare accettare la sua teoria sull’evoluzione, doveva riuscire a dimostrare che un comportamento meraviglioso come la costruzione delle celle esagonali di un alveare poteva essere il risultato di un processo di selezione naturale. - Darwin suppose che le api iniziassero a costruire un favo di cellette sferiche, e successivamente aggiustassero i punti di contatto con pareti piatte. - Avanzò l’ipotesi che i progenitori dell’ape domestica costruissero alveari con cellette sferiche, come i bombi; successivamente con la selezione naturale le api sarebbero gradualmente arrivate a posizionare le cellette sempre più vicine, fino alla forma attuale. L’evoluzione di due tipi di sorriso nella specie umana - Osservando le espressioni di alcune scimmie, Darwin stabilì che le persone sono in grado di produrre due tipi di sorriso, che possono avere due distinte origini evolutive: ∙ quando sono felici; ∙ quando vogliono dimostrare a un altro che sono ben disposti nei suoi riguardi. - Esistono differenze anatomiche tra questi due tipi di sorriso: ∙ il sorriso felice non comporta soltanto il ripiegamento verso l’alto degli angoli della bocca, ma è accompagnato dallo stiramento della pelle intorno agli angoli esterni degli occhi; ∙ l’altro tipo di sorriso coinvolge tipicamente le labbra e non gli occhi. Può essere considerato un falso sorriso, atto per mascherare i veri sentimenti, oppure un sorriso di saluto, sviluppatasi attraverso un percorso distinto da quello del sorriso felice. - Nei primati possiamo trovare delle analogie a questi due tipi di sorriso: ∙ Il sorriso di saluto è paragonato all’esibizione silenziosa a denti stretti; ∙ Il sorriso felice è simile all’esibizione a bocca rilassata e aperta, che spesso si abbina a vocalizzazioni gutturali simili ad una rauca risata umana. I comportamenti vestigiali - Sono i comportamenti che non trovano spiegazioni quando li si vuole interpretare come adattamenti all’ambiente attuale, mentre si spiegano come adattamenti a condizioni esistenti in tempi remoti; prendono il nome di caratteri vestigiali. ∙ Un esempio è il riflesso di prensione, mediante il quale i neonati serrano le dita intorno agli oggetti che arrivano loro a portata di mano. ∙ Questo comportamento si spiega quando osserviamo che anche gli altri primati esibiscono un comportamento omologo. La sociobiologia: lo studio comparato dei sistemi sociali animali - Un animale da solo, isolato, è incompleto. Gli etologi e studiosi del comportamento animale hanno studiato i sistemi sociali degli animali, dando vita alla sociobiologia. 17 - La sociobiologia si concentra nel tentativo di definire la funzione ultima dei comportamenti specie-specifici. - Un approccio metodologico standard della sociobiologia è il confronto per analogia. ∙ Se due specie differenti hanno sviluppato sistemi sociali simili, mettendole a confronto dovrebbe essere possibile rilevare nei loro habitat e nei loro stili di vita aspetti comuni. Modelli di accoppiamento in relazione all’investimento parentale - Dal punto di vista evoluzionistico, la ragione prima da cui scaturisce la necessità dell’organizzazione sociale è il sesso, necessario ai fini della riproduzione. - Negli animali esistono diversi modelli relazionali maschio-femmina: ∙ la poliginia, nella quale un maschio si accoppia con più femmine; ∙ la poliandria, in cui una femmina si accoppia con più maschi; ∙ la monogamia, in cui si accoppiano un solo maschio con una sola femmina; ∙ la poliginandria, in cui tutti i membri di un gruppo si accoppiano tra loro. - Esiste una teoria che mette in relazione i pattern comportamentali di corteggiamento e di accoppiamento con le differenze fra i sessi rispetto all’investimento parentale. ∙ L’investimento parentale è la quantità di tempo, energie e rischio per la propria sopravvivenza che comporta il generare, nutrire e prendersi cura della prole. Nel caso l’investimento parentale sia maggiore in uno dei genitori, questo sarà oggetto di maggiore competizione e sarà più selettivo nella scelta del partner. La poliginia è correlata con un investimento parentale alto per la femmina e basso per il maschio - La poliginia è il sistema di accoppiamento più comune tra i mammiferi. ∙ La femmina deve necessariamente compiere un grosso investimento su ogni figlio che genera, per cui il numero dei figli sarà limitato. - Il coinvolgimento del maschio si limita alla produzione di spermatozoi e alla copulazione. ∙ Per questo, avendo un basso livello di investimento parentale, può accoppiarsi con molte femmine nel corso dell’anno, per procreare una progenie numerosa. ∙ Si instaura così una competizione tra maschi per accoppiarsi con quante più femmine è possibile. Il modello della poliandria è correlato con un investimento parentale alto per il maschio e basso per la femmina - La poliandria è diffusa soprattutto negli uccelli, o comunque in animali che depongono uova, data la minor durata del ciclo riproduttivo collegato al corpo della femmina. - Le femmine delle specie poliandriche sono più attive ed aggressive dei maschi nel corteggiamento. La monogamia è correlata con un investimento parentale equivalente per il maschio e per la femmina - L’uguaglianza dell’investimento parentale si evolve soprattutto quando le condizioni parentali di una specie rendono difficile per un adulto allevare da solo la progenie. - La monogamia sociale (formazione di una coppia allo scopo di allevare la prole) non implica la monogamia sessuale. ∙ Per la femmina, questo perché l’accoppiarsi con un maschio geneticamente superiore del proprio compagno, porta a generare una prole geneticamente superiore; inoltre fa aumentare la probabilità che tutte le sue uova vengano fecondate. ∙ Per il maschio, il vantaggio starebbe nell’allontanare dalla propria femmina gli altri maschi, e cercare di copulare con le femmine vicine ogni volta gli sia possibile. 20 ∙ Si ipotizza che questo divario derivi da differenze genetiche tra i sessi. - Una delle principali motivazioni che spingono l’uomo all’omicidio è la gelosia sessuale. ∙ Gli uomini potrebbero essere più inclini a questo per via dell’asimmetria del sistema riproduttivo umano. ∙ Nel corso dell’evoluzione, i maschi violenti a scopo sessuale riuscivano a procreare di più; per essere sicuro che i figli generati dalla moglie fossero i suoi, doveva impedire che lei avesse rapporti con altri uomini. 21 CAP 4 I PROCESSI FONDAMENTALI DELL’APPRENDIMENTO L’evoluzione per selezione naturale è il processo adattativo sul lungo periodo che attrezza una specie per vivere in una certa gamma di condizioni ambientali; l’ambiente però non è mai costante; per questo la selezione naturale ha portato negli animali numerosi meccanismi adattativi. Tra i meccanismi che coinvolgono il sistema nervoso centrale c’è l’apprendimento, tale concetto è utilizzato con significati diversi nei diversi ambiti della psicologia per indicre un’ampia gamma di fenomeni. Definizione: L’apprendimento è qualunque processo tramite il quale l’esperienza vissuta da un individuo in un certo momento è in grado di alterarne il comportamento in un momento successivo. ∙ L’esperienza è qualsiasi effetto prodotto dall’ambiente e mediato dai processi sensoriali. ∙ Un comportamento in un momento successivo è qualsiasi comportamento che non rientra nella risposta immediata dell’individuo alla stimolazione sensoriale durante l’esperienza che provoca l’apprendimento. Esempio: suono- luce - pupilla dilatata -> suono-pupilla dilatata In questo capitolo si prenderanno in esame tre prospettive per descrivere i processi dell’apprendimento: ∙ la prospettiva comportamentista, che caratterizza l’apprendimento in termini di stimoli e risposte osservabili; ∙ la prospettiva cognitivista, che caratterizza l’apprendimento in termini di informazione immagazzinata nella mente: ∙ la prospettiva ecologica, che identifica i meccanismi distinti e specializzati dell’apprendimento, che sono stati plasmati dal processo evolutivo per rispondere agli specifici bisogni connessi con la sopravvivenza. L’apprendimento secondo la prospettiva comportamentista: l’acquisizione di nuove risposte agli stimoli e la capacità degli stimoli di evocare quelle risposte Il comportamentismo, o behaviorismo, è il tentativo di chiarire il comportamento in termini di relazioni tra stimoli (eventi che accadono nell’ambiente) osservabili e risposte (atti comportamentali) osservabili, inquadrando rigorosamente lo studio del comportamento per mezzo di metodi di indagine obiettivi (non negando i processi mentali ma ritenendo estranei dallo studio scientifico). Nel manifesto del comportamentismo (Watson 1913) si affermò che il fine della psicologia doveva essere quello di controllare il comportamento manifesto, rifutando introspezionismo. I primi behavioristi (tra cui Watson) individuarono nell’apprendimento il loro principio esplicativo fondamentale, nel tentativo di spigare attraverso quali meccanismi uno stimolo ambientale determini nell’uomo o nell’animale un certo comportamento. La teoria comportamentista ritiene che 1. il comportamento sia il risultato di un processo di apprendimento; 2. Un secondo assunto prevede che ogni atto che costituisce una unità comportamentale sia acquisito indipendentemente e che qualunque combinazione o sequenza di comportamenti possa essere acquisita con uguale facilità. Le differenze comportamentali tra persone derivano principalmente dalla diversità delle loro esprienze di apprendimento. Il comportamento è spiegato in termini di relazione stimolo risposta. Durante il suo sviluppo storico lo scopo del comportamentismo si identificò nel chiarire i processi fondamentali dell’apprendimento che potevano essere descritti in termini di stimoli e risposte. Negli anni ‘30, Skinner, successore di Watson, definì in termini di relazioni stimolo-risposta quelli che egli riteneva due processi di apprendimento distinti: il condizionamento classico, ovvero il processo per cui uno stimolo che in precedenza non evocava nessuna risposta arriva a provocare 22 una risposta simile ad un riflesso e il condizionamento operante, cioè per cui le conseguenze di una risposta fanno aumentare o diminuire le probabilità che essa sia nuovamente prodotta. Lo scopo principale del comportamentismo fu quello di chiarire i principi che regolano CC e CO. Il condizionamento classico Il condizionamento classico è un processo che implica la formazione di nuovi riflessi. Un riflesso è una sequenza stimolo-risposta semplice e relativamente automatica mediata dal SN; lo stimolo, particolare evento ambientale, provoca una risposta. Inizialmente i comportamentisti si proponevano i spiegare ogni comportamento in termini di azioni riflesse. Essendo mediati dal SN i riflessi possono essere modificati dll’esperienza. Un semplice effetto dell’esperienza è l’assuefazione, definita come la progressiva diminuzione d’intensità della risposta riflessa quando lo stimolo si ripete varie volte in successione. Quando l’assuefazione persiste a lungo, può essere considerata una forma semplice di apprendimento. L’assuefazione non dà origine a una nuova sequenza stimolo-risposta, ma ne attenua semplicemente una già esistente. Il condizionamento classico è invece una forma di apprendimento riflesso che produce una nuova sequenza stimolo-risposta. Lo scienziato che ha descritto per primo questo tipo di condizionamento è stato il fisiologo russo Ivan Pavlov, attraverso ricerche sull’apprendimento animale. Spiegò come vengono associate delle risposte automatiche a degli stimoli che inizialmente non provocavano alcuna risposta o ne provocavano di diverse. La scoperta di Pavlov: Lo studio del condizionamento classico scaturì dallo studio sui riflessi digestivi sui cani. Tramite cateteri permanenti che raccoglievano la saliva o i succhi gastrici, il gruppo di ricerca scoprì che la quantità di saliva prodotta variava a seconda del cibo messo loro in bocca: diverse risposte rappresentavano differenti riflessi. Pavlov si imbattè in un problema: i cani che avevano ricevuto cibo durante gli esperimenti precedenti, iniziavano a salivare ancora prima di ricevere il cibo: infatti, i segnali che precedevano regolarmente l’offerta del cibo avvisavano il cane della stimolazione in arrivo e provocavano la salivazione. Inizialmente trattò questo evento come errore sperimentale, chiamandolo “secrezione psichica”; in seguito però si rese conto che poteva considerarlo un fenomeno fisiologico e studiarlo come tale: poteva essere considerato un riflesso ed essere analizzato oggettivamente. Procedura e principi generali del condizionamento classico: Per studiare i riflessi condizionati Pavlov controllò i segnali che precedevano l’offerta del cibo. In un esperimento, egli suonava un campanello (stimolo neutro) prima di introdurre il cibo nella bocca del cane; dopo varie prove, il cane iniziava a salivare anche in presenza solo dello stimolo uditivo del campanello. Chiamò questa nuova forma di risposta riflesso condizionato, perché dipendeva dalle specifiche condizioni che avevano caratterizzato la precedente esperienza del cane. Questi risultati indicano che nel corso dell’esperiemento si è stabilità un’associazione tra il suono del campanello (stimolo incondizionato) e il cibo (stimolo neutro). Il riflesso originale, non appreso, viene chiamato riflesso incondizionato, lo stimolo corrispondente stimolo incondizionato (cibo) e la risposta risposta incondizionata (salivazione). Dopo il condizionamento, lo stimolo che evoca il riflesso condizionato viene chiamato stimolo condizionato (campanello), e risposta condizionata (salivazione) la risposta appresa da questo stimolo. La risposta incondizionata, inizialmente associata al cibo, si è trasformata in risposta condizionata, non più innata ma appresa. Questa procedura viene chiamata condizionamento classico. Questo condizionamento può avvenire anche nella vita quotidiana; noi associamo qualcosa, qualche stimolo, a qualcosa che in precedenza è avvenuto. L’apprendimento è inteso quindi come associazione tra risposte automatiche e stimoli incondizionati. 25 ambientali che precedevano la risposta da condizionare, non all’effetto o alla conseguenza della risposta stessa. Thorndike, al contrario, non era in grado di evocare direttamente la risposta che desiderava condizionare. In questo caso l’animale va visto come una creatura attiva, in grado di produrre o emettere risposte differenziate; l’evento ambientale importante (l’apertura della gabbia) era una conseguenza della risposta e non qualcosa che la precedeva. Thorndike propose la cosiddetta legge dell’effetto: le risposte che in una particolare situazione producono un effetto soddisfacente hanno maggiori probabilità di essere riprodotte in futuro nella stessa situazione, mentre le risposte che producono effetti insoddisfacenti hanno minori probabilità di essere di nuovo prodotte nella stessa situazione. Una volta aperta la gabbia l’effetto soddisfacente (la libertà e l’accesso al cibo) faceva sì che quella risposta diventasse più strettamente associata alla situazione di quanto non fosse in precedenza. La teoria di Thordike è essenzialmente meccanicistica, nega idee e rappresentazioni interne che mediano l’associazione tra stimoli e risposte. L’uomo è prima di tutto un meccanismo associativo che opera per evitare ciò che disturba i processi vitali dei neuroni. Formulò tre leggi: legge dell’idoneità: legge dell’esercizio: legge dell’effetto; successivamente pose l’attenzione solo sulla legge dell’effetto. Thordike era influenzato dalla teoria darwiniana dell’evoluzione: apprendimento come selzione di risposte adattive. L’insight di Kohler: Oppose all’apprendimento per prove ed errori e definì l’apprendimento come esito di un processo intelligente che presuppone la possibilità di collegare in modo unitario elementi distribuiti e considerati fino ad allora isolati. Gli elementi del campo vengono connessi in modo unitario all’improvviso, grazei ad un’intuizione; comporta la ristrutturazione del campo congitivo. Seconod l teoria gestaltista sugli elementi prima avviee un riorganizzazione secondo una nuova configurazione mentale e sia ha l’apprendimento. Esempio dello scimpanzé: seconod Kohler le soluzioni non erano casuali ma intelligenti: l’animale valuta la situazione, formula ipotesi,e poi verificava la soluzione. La ristrutturazione congitiva arrivava all’improvviso, per intuizione, dopodiché gli scimpanze apprendevano l’azione. Il metodo di Skinner per studiare e interpretare il condizionamento operante Skinner ideò una speciale apparecchiatura per studiare l’apprendimento negli animali, più semplice della gabbia-problema di Thorndike. La “gabbia di Skinner” è una gabbia contenente una leva o un altro meccanismo, tramite il quale l’animale può produrre un effetto, come ricevere cibo o acqua. Vantaggio: l’animale, dopo aver prodotto la risposta, si trova ancora all’interno della gabbia e può continuare a produrre risposte. Egli intendeva definire l’apprendimento solo in termini di stimoli e risposte osservabili, evitando qualsiasi termine che si riferisse ad eventi mentali. Fu Skinner a coniare i termini risposta operante per indicare qualunque atto comportamentale che producesse un effetto sull’ambiente (pressione sulla leva, apertura del chiavistello), e condizionamento operante per il processo con cui l’effetto di una risposta operante modifica le possibilità che essa sia nuovamente prodotta (aumento della frequenza con cui la risposta viene prodotta, rapidità crescente dell’uscire dalla gabbia). Skinner adotta il termine rinforzo per indicare quel cambiamento dello stimolo che si verifica dopo una risposta e che fa aumentare la frequenza successiva di quella risposta. 26 L’esperimento di Skinner esemplifica come nel CO unazione che inizialmente non è collegata a uno stimolo possa essere posta sotto il controllo di uno stimolo specifico coem conseguenza del rinforzo presentato in modo contingente. In questo modo risposte casuali possono essere trasformate in risposte attendibili. L’apprendimento di comportamenti nuovi attraverso il processo di modellaggio. Es. apprendimento scolastico: se un alunno deve acquisire risposte che inizialmente non fanno parte dei suoi repertori in uesti casi si procede cl condizionamento con un programma progressivo che rinforza comportamanti che si avvicinano via via a quello desiderato. Lo scopo del condizionamento operante Per Skinner il condizionamento operante è la chiave interpretativa di elezione di tutti i fenomeni psicologici: tutte le nostre azioni possono essere considerate risposte operanti che produciamo per via del rinforzo che hanno ottenuto in passate esperienze. Il CO è spesso considerato un’azione volontaria anziché riflessa, ma come dimostra l’esperiemnto di Hefferline il processo può avvenire anche al di fuori della consapevolezza Sintesi: l’uso dei rinforzi consente apprendimento di comportamenti nuovi. Esistono diversi tipi di rinforzi: positivo, aumenta la probabilità che il comportamento venga ripetuto (es. modifica ritmo suzione non nutritiva per messa a fuoco img); Negativo, eliminazione dello stimolo avversivo che aumenta la probabilità di comparsa delle risposte e si differenza dalla punizione che invece diminuisce la comparsa del comportamento. Numerose ricerche hanno dimostrato che l’efficacia del rinforzo nel produrre una risposta dipende anche dagli schemi di rinforzo: - Rinforzo a intervallo fisso: il soggetto viene rinforzato dopo un intervallo di tempo prefissato - Rinforzo a intervallo varibile: rinforzo dopo tempo non prefissato - Rinforzo a rapporto fisso: variabile non è il tempo il soggetto viene rinforzato dopo un numero fisso di risposte corrette - Rinforzo a rapporto variabile: rinforzo dopo numero non prefissato di risposte CO ha portato ad una concezione deterministica e unidirezionale dell’esperienza. Conseguenze sulla ricerca: le strategie di ricerca adottate dal comportamentismo sono fortemente influenzate da principi fondamentali: il riduzionismo: ogni comportamento complesso p il risultato dell’associazione di comportamenti più semplici parsimonia: un meccanismo esplicativo generale va preferito ad uno che spiega una gamma più ristretta di fenomeni del controllo sperimentale: scelta del laboratorio come luogo quasi esclusivo e utilizzo di materiale senza senso. Lo studio dell’apprendimento nei bambini Bijou e Bear furono gli studiosi dello sviluppo che condivisero l’assunto comportamentista di evitare a ricorrere ai costrutti interni non osservabili; adottarono i principi del riduzionismo, parsimonia e controllo sperimentale. Lo studio dello sviluppo venne così ridotto allo studio dei comportamenti osservabili. Conseguenze: - Invarianza dei meccanismi di apprendimento in funzione dell’età; di conseguenza le strategie di ricerca non prevedono approcci di ricerca longitudinali o trasversali, ma bni di 27 diversa età vengono applicati gli stessi paradigmi. Lo sviluppo viene inteso come un progressivo processo di modellamento;; - L’uomo è fondamentalmente passivo e l’ambiente gioca un ruolo deterministico e unidirezionale nello sviluppo; accrescimento comportamentale nel bno procede per associazione cumulative, un numero illimitato, che formano il repertorio di risposta dell’individuo. Collegamento: apprendimento per imitazione Bandura + rinforzo vicario. Risposta alle domande dello sviluppo: cosa si modifica? Le associazioni tra stimoli e risposte, cambiamento delle singole unità di comportamento osservabile, indipendenti l’una dalla’altra. L’apprendimento non procura cambiamenti strutturali nel sistema cognitivo, ma procede per grazie al funzionamento di leggi di associazioni innate. Lo sviluppo è dominio generale o dominio specifico? Le leggi di associazione sono trasversali ai domini di conoscenza: struttura cognitiva uniforme Rappo to tra fattori biologici ed esperienza? Le leggi di associazione sono innate, la mente del neonato è priva di contenuti innati “tabula rasa”. Lo sviluppo è continuo o discontinuo? È un processo cumulativo e continuo, come accumularsi graduale e continuo diassociazioni tra stimoli e risposte. Applicazioni terapeutiche del condizionamento operante - Il condizionamento operante è anche utilizzato da una branca della psicologia clinica, la terapia del comportamento, per modificare nel modo desiderato il comportamento dei pazienti es. fumo. - Anche alcuni problemi di natura fisiologica, come l’ipertensione arteriosa e l’emicrania, possono essere controllati tramite un’applicazione del condizionamento operante: l’addestramento al biofeedback. Suono: rinforzo, abbassamento pressione arteriosa: risposta. I fenomeni che si associano al condizionamento operante Il modellamento per approssimazioni successive - Nel caso non venga mai prodotta la risposta attesa (premere la leva o uscire dalla gabbia) viene attuata la tecnica del modellamento per approssimazioni successive (shaping), che consiste nel rinforzare ogni risposta che si approssima sempre di più a quella desiderata, finché quest’ultima non viene prodotta. L’estinzione e i diversi schemi di rinforzo parziale - Se cessa di produrre un rinforzo, una risposta operante diminuisce gradualmente di frequenza fino a scomparire del tutto. ∙ Il mancato rinforzo di una risposta e il conseguente declino della frequenza della risposta stessa, sono indicati con il termine estinzione. - Se una certa risposta è rinforzata solo saltuariamente si parla di rinforzo parziale. Sono stati individuati quattro schemi fondamentali di rinforzo parziale: a rapporto fisso, a rapporto variabile, a intervallo fisso e a intervallo variabile. ∙ Gli schemi fondati su un rapporto producono rinforzi con una frequenza direttamente proporzionale alla frequenza della risposta corretta, per cui avremo un rapido aumento della frequenza di risposta. Rapporto fisso (RF): il rinforzo si verifica dopo n risposte (n˃1). Rapporto variabile (RV): il numero delle risposte necessarie prime di ricevere il rinforzo varia intorno al valore medio n. Negli schemi fondati su un intervallo, il numero massimo di rinforzi disponibili dipende dal tempo, per cui l’applicazione di questi schemi porta a frequenze di risposta bassi, dipendenti dalla lunghezza dell’intervallo. Intervallo fisso (IF): tra due risposte rinforzate deve trascorrere almeno 30 come le conoscenze e le convinzioni, che possono essere inferite a partire dal comportamento osservabile. La natura cognitiva degli stimoli Uno dei concetti chiave della teoria comportamentista dell’apprendimento è quello di stimolo. E’ necessario considerare non solo la natura fisica di tale stimolo, ma anche il significato che assume per l’individuo sottoposto al condizionamento, approfondendo la struttura della mente del soggetto. Il significato come base della generalizzazione In un esperimento di condizionamento classico condotto da Razran, lo stimolo incondizionato era un po’ di succo di limone e gli stimoli condizionati parole stampate. Abbinando ogni parola scritta ad un po’ di succo di limone, i soggetti vennero condizionati con la salivazione a parole come style, urn, freeze e surf. Sottoponendoli a prove per verificare se la risposta condizionata si generalizzava ad altre parole, notò che la salivazione avveniva di più in parole come fashion, vase, chill e wave piuttosto che stile, earn, frieze e serf. Ovvero, che la risposta condizionata tendeva a generalizzarsi a parole che richiamavano il significato degli stimoli condizionati originali, anziché a parole che ne ricordavano il suono o l’ortografia. Quindi i veri stimoli condizionati consistevano nell’interpretazione che ne dava il soggetto. Altro esempio interessante è quello dello scolaro russo (esperimento di Volkova): le risposte condizionate dipenderebbero dalla concezione di buono e cattivo. I concetti nei piccioni Gli stimoli vengono interpretati prima di ricevere la relativa risposta, riscontrato anche negli animali. In un esperimento, seguendo una procedura di condizionamento operante, Herrnstein condizionò dei piccioni a beccare un tasto per ottenere del becchime, usando come stimoli discriminativi diapositive con immagini naturalistiche. I piccioni ottenevano i semi quando beccavano il tasto in presenza di una figura di un albero. I piccioni dopo l’addestramento avevano imparato a riconoscere ogni diapositiva come se fosse uno stimolo a sé, privo di relazione con gli altri, oppure avevano appreso una regola in base alla quale riuscivano a distinguere le diapositive? Presentando agli animali diapositive con immagini mai viste, osservò che questi beccavano con frequenza maggiore quando nella diapositiva fosse presente un albero. Apparentemente i piccioni basavano le proprie risposte su un concetto di albero, ovvero su una regola per raggruppare gli stimoli in categorie distinte. L’interpretazione cognitivista del condizionamento classico - Secondo Watson, l’animale sottoposto ad una procedura di condizionamento classico apprendeva un nuovo riflesso, cioè una nuova connessione stimolo-risposta. Questa spiegazione, chiamata teoria stimolo-risposta (S-R), non era accettata da Pavlov, che sosteneva la teoria S-S. Il condizionamento classico interpretato in termini di associazione stimolo-stimolo In accordo con le concezioni tradizionali filosofiche che sostenevano l’associazione di pensieri, Pavlov riteneva che l’animale apprendesse una connessione fra due stimoli, ovvero tra lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato. Questa teoria è detta teoria stimolo-stimolo (S-S). Il cane risponde con la salivazione al suono del campanello perché questo suono gli evoca una rappresentazione mentale del cibo. 31 Le prove sperimentali vanno in sostegno della teoria S-S. Però c’era ancora il dubbio se dallo stimolo condizionato si passasse direttamente alla risposta, o lo stimolo condizionato evocasse una rappresentazione dello stimolo incondizionato, che provocava la risposta. Per rispondere a questo, Rescorla in un esperimento dei ratti condizionati vennero assuefatti allo stimolo incondizionato (suono). Dopodiché, sottoposti allo stimolo condizionato (luce), non rispondevano, perché il condizionamento aveva causato l’associazione tra i due stimoli. Per questo motivo i risultati dell’esperimento confermarono la teoria S-S. Il condizionamento classico interpretato in termini di aspettativa appresa La teoria S-S ha un carattere più cognitivista della teoria S-R, in quanto sostiene che la relazione osservata stimolo-risposta sia mediata da una rappresentazione interiore, mentale, dello stimolo. E’ più appropriato definire questa rappresentazione mentale come aspettativa dello stimolo incondizionato. La teoria dell’aspettativa è utile per spiegare un dato osservato, e cioè che una risposta condizionata spesso differisce dalla risposta incondizionata. Il cane di Pavlov non solo esibisce la salivazione, ma mastica e inghiotte; la risposta della salivazione diventa condizionata al suono del campanello, ma non gli altri gesti. Il suono del campanello non evoca solo la salivazione, ma anche altri gesti come guaire e agitare la coda. Secondo la teoria dell’aspettativa, queste risposte vengono emesse in quanto risposte del cane all’aspettativa del cibo. Il condizionamento dipende dal valore predittivo dello stimolo condizionato A sostenere l’interpretazione di Rescorla vi sono risultati di varie ricerche in cui emerge che il condizionamento classico avviene, quasi sempre quando il nuovo stimolo prevede l’arrivo dello stimolo incondizionato e quindi prepararsi all’evento. 1. Lo stimolo condizionato deve precedere lo stimolo incondizionato. Se così non fosse, la procedura sarebbe inefficace, ciò dimostra che l’animale sia alla ricerca di info con valore predittivo 2. Lo stimolo condizionato deve segnalare che lo stimolo incondizionato ha molte probabilità di sopraggiungere. Il condizionamento non dipende solo dal numero di volte in cui lo stimolo incondizionato è associato a quello condizionato, ma anche da quando lo stimolo incondizionato si manifesta da solo. Se le probabilità sono simili, il condizionamento non avviene, come se il sn calcoli le probabilità di due diversi eventi. 3. Il condizionamento è inefficace quando l’animale può già contare su uno stimolo con un buon valore predittivo. Se c’è già uno stimolo condizionato che preavvisa uno incondizionato, è impossibile condizionare l’animale. Questo fenomeno si chiama effetto bloccante, poiché lo stimolo già condizionato blocca il condizionamento al nuovo stimolo. Gli psicologi cognitivisti sottolineano che usano i termini come aspettativa o previsione descrivendo semplicemente il tipo d’informazione sottostante al comportamento; sono mediati da fattori puramente fisici. L’interpretazione cognitivista del condizionamento operante Secondo la teoria S-R, il condizionamento operante implica lo stabilirsi di un forte legame tra la risposta rinforzata e gli stimoli presenti subito prima che la risposta sia emessa. Nel caso del ratto nella gabbia di Skinner: stimoli all’interno della gabbia → pressione sulla leva. In questo caso il rinforzo contribuisce solo a consolidare l’associazione fra stimoli e risposta. Altri teorici hanno sostenuto che durante un condizionamento operante, un animale apprende molto di più che la relazione S-R; apprende anche la relazione S-S tra stimoli discriminativi e stimolo rinforzante e la relazione R-S fra la risposta e lo stimolo rinforzante. 32 Un teorico cognitivista, Edward Tolman, definì il condizionamento operante come l’apprendimento di relazioni mezzo-fine. Il condizionamento operante interpretato nei termini di relazioni mezzo-fine. Relazione mezzo-fine: conoscenza o convinzione dell’animale che in una determinata situazione, una particolare risposta produrrà uno specifico effetto. Nel ratto, l’udire del suono non provocherà la risposta del premere la leva (teoria S-R), ma attiverà nell’animale la conoscenza che premendo la leva otterrà quel cibo, cioè sarà il mezzo per ottenere un certo fine. Suono → conoscenza che premendo la leva otterrà subito un certo cibo → decisione se premere o meno la leva, a seconda del suo desiderio di quel cibo. Dimostrato sperimentalmente da: acqua zuccherata vs cibo secco; maggiore frequenza per soddisfare i bisogni di fame e sete. Effetti del divario di ricompensa nel condizionamento operante Gli effetti del divario di ricompensa implicano un cambiamento nella frequenza di risposta al cambiare dell’entità della ricompensa. In un esperimento, due gruppi di ratti ricevono delle palline di cibo in risposta al premere una leva: un gruppo riceve palline piccole, l’altro grandi. Quelli che ricevono palline più piccole rispondono con frequenza inferiore rispetto l’altro gruppo. Se i rinforzi vengono invertiti, i ratti che prima ricevevano palline grandi avranno un tasso di risposta inferiore a quello che avevano i ratti che ricevevano palline piccole: si ha un effetto di divario negativo. Viceversa, i ratti che prima ricevevano palline piccole avranno un tasso di risposta superiore a quello che avevano i ratti che prima ricevevano palline grandi: si chiama effetto di divario positivo. Nell’ottica cognitivista gli effetti del divario di ricompensa si spiegano assumendo che l’individuo: ∙ abbia appreso ad aspettarsi una ricompensa di data entità; ∙ sia in grado di confrontare la ricompensa che effettivamente riceve con quella che si aspettava. L’effetto della sovragiustificazione Negli esseri umani le ricompense possono far diventare più probabile un particolare comportamento, modificando il significato che la persona gli attribuisce. In un esperimento, un gruppo di bambini venne ricompensato per aver disegnato: questi incrementarono il tempo dedicato al disegno, rispetto ad un altro gruppo di bambini non ricompensati. Successivamente non venne più data alcuna ricompensa, ed il primo gruppo di bambini diminuì la frequenza del disegnare raggiungendo livelli inferiori a quelli del secondo gruppo. Questo declino è detto effetto della sovragiustificazione, in quanto la ricompensa probabilmente aggiunge una giustificazione in più, non necessaria, per mettere in atto quel comportamento. Questo pone dei dubbi sull’efficacia a lunga termine del comportamento, specie in ambito scolastico; secondo la concezione cognitivista cambia la concezione da comportamento spontaneo effettuato come puro divertimento a lavoro ricompensato. L’apprendimento orientativo Tolman riteneva che un animale lasciato libero di esplorare un luogo non apprende una specifica sequenza di risposte, ma acquisisce una mappa cognitiva, cioè una rappresentazione mentale dell’organizzazione spaziale del territorio esplorato. Come Tolman dimostrò che gli animali apprendono mappe cognitive Quando i ratti sono portati ad un punto di partenza diverso dal solito oppure si trovano davanti ad un ostacolo, si comportano come se consultassero una mappa e riescono ad individuare il migliore 35 Seguivano più o meno la stessa logica dei ratti. Non è detto che preferissero determinati cibi seguendo il loro stato di salute, perché avrebbero potuto variare perché stufi di un determinato cibo. Il ruolo dell’apprendimento sociale nella scelta dei cibi Nei ratti e negli altri animali l’apprendimento a scegliere i cibi avviene, oltre tramite il processo individuale per tentativi ed errori, attraverso l’osservazione degli altri. Gli esseri umani sono influenzati dall’osservazione di ciò che gli altri mangiano. I bambini sono più disposti a provare cibi nuovi tra 1 e 2 anni d’età, quando sono sorvegliati dagli adulti. Tra i 4 e gli 8 anni questa disponibilità diminuisce, in quanto i bambini sono spesso da soli, quindi più esposti all’ingerire qualcosa di potenzialmente nocivo. Le regole dell’apprendimento a scegliere i cibi: quadro riassuntivo Due regole di base per la scelta dei cibi sono: Mangiare quello che mangiano i più grandi. Se loro mangiano quel cibo da tempo e sono ancora vivi, significa che quel cibo è sicuro. Quando si mangia un cibo nuovo, ricordarsene il sapore e l’odore. Se non fa star male, ricordare il sapore e l’odore per poterlo scegliere ancora, se invece ha causato malessere, evitare i cibi con le stesse caratteristiche. Altri esempi di capacità di apprendimento specializzate Predisposizioni innate nell’apprendimento della paura Susan Mineka trovò che una particolare specie di scimmie non si mostrava spaventata la prima volta che vedono un serpente, ma apprende molto facilmente ad averne paura. Scimmie allevate in laboratorio non manifestavano paura fino a quando non vedevano un’altra scimmia mostrarsi spaventata. Da una prospettiva ecologica, si notò che nelle zone dove i serpenti non sono nocivi non si era evoluto questo meccanismo di apprendimento della paura; infatti, una rigida pulsione istintuale costituirebbe un disadattamento. L’imprinting nelle specie di uccelli con prole precoce Si definiscono uccelli con prole precoce quelle specie di uccelli (polli, oche e anatre) i cui pulcini sono in grado di camminare quasi immediatamente dopo la schiusa dell’uovo. Data la loro possibilità di camminare quasi subito, hanno acquisito un mezzo molto efficace per riconoscere la madre e restarle vicino. ∙ Nel XIX secolo Douglas Spalding osservò che quando i pulcini appena usciti dall’uovo vedevano lui, lo seguivano per settimane. Una sessantina di anni più tardi, Konrad Lorenz rilevò la stessa situazione con le oche. Lorenz definì questo fenomeno imprinting, termine che sottolinea il carattere istantaneo e irreversibile di questo processo di apprendimento. L’imprinting può avvenire solo durante un determinato periodo critico, molto limitato (5 giorni). Revisione dell’apprendimento orientativo Considerando un ratto in un semplice labirinto a T, nel corso della prova trova del cibo nel braccio destro. ∙ Secondo la teoria del condizionamento operante, il ratto dovrebbe girare ancora a destra, ma in un contesto naturale non sarebbe la cosa migliore; infatti avendo già mangiato il cibo a destra, dovrebbe cercare il cibo da un’altra parte. Ed è così che si comportano durante le prime prove, ovvero tendono a non tornare nel ramo del labirinto dove sono già stati. Solo dopo molte prove imparano a tornare nello stesso braccio della T, se la ricompensa è sempre localizzata là. 36 Un esperimento è stato svolto in un labirinto a raggiera, con ben 17 bracci. I ratti imparavano a non tornare più nei bracci già esplorati. La prospettiva ecologica ci ricorda che gli animali appaiono molto più intelligenti quando affrontano problemi simili a quelli imposti dal loro ambiente naturale; l’intelligenza non scaturisce da una capacità generica di ragionamento, ma da capacità di apprendimento specializzate. Appare chiaro che la specie umana sia dotata di meccanismi di apprendimento distinti per aree funzionali diverse, quali linguaggio, relazioni spaziali, abilità motorie e la sfera emotiva, esattamente come è dotata di meccanismi specifici per scegliere il cibo. In tutti i campi della psicologia emergono stretti legami tra la prospettiva comportamentista e quella ecologica. evisione dell’apprendimento orientativo Considerando un ratto in un semplice labirinto a T, nel corso della prova trova del cibo nel braccio destro. ∙ Secondo la teoria del condizionamento operante, il ratto dovrebbe girare ancora a destra, ma in un contesto naturale non sarebbe la cosa migliore; infatti avendo già mangiato il cibo a destra, dovrebbe cercare il cibo da un’altra parte. Ed è così che si comportano durante le prime prove, ovvero tendono a non tornare nel ramo del labirinto dove sono già stati. Solo dopo molte prove imparano a tornare nello stesso braccio della T, se la ricompensa è sempre localizzata là. Un esperimento è stato svolto in un labirinto a raggiera, con ben 17 bracci. I ratti imparavano a non tornare più nei bracci già esplorati. La prospettiva ecologica ci ricorda che gli animali appaiono molto più intelligenti quando affrontano problemi simili a quelli imposti dal loro ambiente naturale; l’intelligenza non scaturisce da una capacità generica di ragionamento, ma da capacità di apprendimento specializzate. Appare chiaro che la specie umana sia dotata di meccanismi di apprendimento distinti per aree funzionali diverse, quali linguaggio, relazioni spaziali, abilità motorie e la sfera emotiva, esattamente come è dotata di meccanismi specifici per scegliere il cibo. In tutti i campi della psicologia emergono stretti legami tra la prospettiva comportamentista e quella ecologica. Riprendendo il cognitivismo… L'approccio cognitivista prende la distanza dai modelli comportamentisti , spostando la centralità dai processi di associazione a quelli di rappresentazione; l'innovazione è quella di esaltare il ruolo attivo del soggetto, dando maggior rilievo ai processi interni di elaborazione e rappresentazione. L mente formula continuamente ipotesi circa il certificarsi di determinati eventi sulla base di conoscenza pregresse e cercando conferme nell'interazione con l'ambiente. Se nella prospettiva cognitivista il comportamento era visto come oggetto di studio unitario, col cognitivismo avviene una frammentazione dell'indagine dell'apprendimento, che viene ridefinito in relazione alle componenti cognitive coinvolte. In particolare si associa allo studio dell'apprendimento quello della memoria. Le modalità per le quali le conoscenze possedute da una persona condizionano 37 l'acquisizione di nuove conoscenze viene definita top-down, mentre l'influenza della realtà percepita su apprendimento e revisione degli schemi precedenti è detta bottom-up. Dopo la diffusione delle t piagettiana, crebbe l’interesse per lo studio della struttura della mente; gli studiosi cognitivisti studiano la cosiddetta “scatola nera” e adottano un approccio multidisciplinare. Il primo approccio allo studioo dell'apprendimento in ambito congitivista fu L’approccio HIP, dell’elaboraiozne dell’informazione, al quale però non può essere riconosciuto la status di teoria. L’approccio HIP accoglie i contributi di diverse discipline, la teoria della comunicazione, delle computazioni,l’intelligenza artificiale e la linguistica. Dalla teoria delle comunicazione derivano i concetti di canale di comunicazione, la teoria del filtro. Dalla teoria delle computazioni, ovvero l’idea che un problema possa essere risolto da una macchina dotata di un esiguo numero di proprietà funzionali, procedendo per una serie di computazioni. Il contributo dell’intelligenza artificiale: gli uomini possono essere considerati come manipolatori di simboli e le capacità logiche possono essere simulate da programmi di computer. Il contributo della linguistica -Chomsky – che critica l’acquisizone del linguaggio per associazioni attraverso t dell’apprendimento e afferma che esiste un sistema di regole astratte, non osservabili, che possono essere inferite a partire dalle relazioni tra input e output; ha una visione innatista, regole e strutture di acquisizione del linguaggio sono innate. L’approccio HIP nasce per studiare la cognizione adulta. Assunti teorici: concezione del sistema cognitivo come un insieme di magazzini, ai quali sono associati processi elementari che trasformano o manipolano l’info. Più precisamanete sostengono che le unità fondamenti del comportamento sono costituite da processi semplici il sistema cognitivo utilizza per elaborare l’informazione e i comportamenti sono il risultato della loro combinazione; i processi a loro volta possono essere scomposte in operazioni, ovvero delle computazioni che trasformano l’informazioni. In sintesi, l’oggetto di studio dell’HIP è l’indagine del modo in cui l’input viene manipolato ed elaborato dal sistema cognitivo. Utilizzano la metafora euristica del computer: il computer e la mente sono entrambi elaboratori di simboli, servendosi di metodi e procedure; i simboli possono essere considerati come gli elementi di rappresentazione base del sistema, la rappresentazione è la forma mentale assunta dall’info. La codifica è selettiva i simboli sono una versione impoverita economica e stilizzata dell’input ambientale, ovvero un codifica dell’ambiente esterno. L’incremento nell’efficienza delle strategie distingue la prestazione tra principiante ed esperto. L’approccio HIP offre spiegazioni puramente funzionali, l’ob è infatti indagare i processi di selezione, elaborazione, immagazzinamento e recupero delle info; tali trasformazioni vengono rappresentate in termini di diagrammi di flusso che rappresentano gli schemi formali del funzionamento. Essi delineano le relazioni funzionali e temporali tra gli stadi di elaborazione del sistema cognitivo, che viene definito come organizzazione funzionale del cervello. Da qui le metodologie di indagine che indagano l’insieme delle operazioni elementari da eseguire in sequenza. Secondo il metodo della cronometria mentale, a partire dalla misurazione del TR, ovvero il tempo necessario di risposta a un o stimolo: tanto più p lungo il tempo tra input e output tanto più sono numerose le operazioni che si inferiscono. Il metodo sottrattivo è stato ideato da Donders:se due compiti sono identici eccetto un’operazione mentale addizionale, la differenza nei tr è ascrivibile a tale operazione. Donders ha individuato tre tr: tempi semplici, tempi di scelta, e go- nongo. Metodo della cronometria mentale viene applicato, ad esempio, in ambito evolutivo per lo studio dei processi attentivi e mnestici; spesso insieme al tr vengono misurati anche i numero di errori per inferire le regole e i processiche il bno utilizza. Si può procedere così all’analisi del 40 CAP 6 I MECCANISMI DELLA MOTIVAZIONE, D EL SONNO E DELL’EMOZIONE Le sensazioni, le percezioni, i pensieri sono cambiamenti veloci. I cambiamenti lenti intervengono nel controllo e nella modulazione delle componenti veloci; sono detti stati mentali o comportamentali, comprendono le variazioni nella motivazione, nel ciclo sonno-veglia e nell’emozione. I meccanismi della motivazione In psicologia il termine motivazione indica l’intera costellazione di fattori che causano il comportamento dell’individuo in un determinato momento. Stessa etimologia delle emozioni. Geni, apprendimento, variabili fisiologiche, processi di percezione, variabili dello sviluppo, esperienze sociali e personalità contribuiscono alla motivazione. I termini stato motivazionale o pulsione indicano una condizione interiore che cambia nel tempo in modo reversibile e che indirizza l’individuo all’ottenimento di scopi di tipo specifico, diversi a seconda della pulsione. La psicologia considera le pulsioni come costrutti ipotetici; non si può osservare direttamente lo stato, ma si comprende attraverso il comportamento manifesto. Il comportamento motivato è diretto verso incentivi, ovvero verso oggetti o scopi desiderati. Gli incentivi vengono anche chiamati rinforzi, ricompense o scopi. Pulsioni e incentivi non solo si complementano, ma si rafforzano a vicenda. Una pulsione forte può far aumentare l’attrattiva di un particolare oggetto; un incentivo forte può intensificare una pulsione. (hamburger-fame) L’approccio fisiologico allo studio delle pulsioni Il fine dell’approccio fisiologico allo studio delle pulsioni è di dare sostanza a questo ipotetico stato interno. Le pulsioni come bisogni metabolici dei tessuti: il concetto di omeostasi Perché la vita continui, certe sostanze e proprietà del corpo devono mantenersi costantemente entro uno stretto intervallo di valori. I processi fisiologici (digestione o respirazione) debbono continuamente tendere allo stato definito omeostasi, ovvero alla costanza delle condizioni interne, che il corpo deve mantenere attivamente. Il mantenimento dell’omeostasi non coinvolge solo i processi interni all’organismo, ma anche il suo comportamento verso l’esterno. In mancanza di certe sostanze, il corpo fa sì che si cerchino proprio queste, per soppiantare la carenza e ripristinare l’equilibrio. I limiti dell’omeostasi: pulsioni regolative e non regolative Il concetto di omeostasi non spiega altri tipi di pulsione come, la pulsione sessuale; nessuno muore per mancanza di attività sessuale. Sono state differenziate le pulsioni: pulsione regolativa è la pulsione che, come la fame, contribuisce al mantenimento dell’omeostasi; una pulsione non regolativa è quella che, come quella sessuale, è funzionale a qualche altro scopo. Le pulsioni come stati del cervello Gli psicologi che adottano l’approccio fisiologico tendono a considerare le pulsioni non come stati dei tessuti periferici, ma come stati del cervello. Secondo la teoria degli stati pulsionali centrali, pulsioni diverse dipendono dall’attività di gruppi diversi di neuroni celebrali. L’insieme dei neuroni che controllano una certa pulsione viene definito sistema pulsionale centrale. Benché i sistemi centrali che presiedono a pulsioni differenti debbano essere almeno in parte separati, è tuttavia possibile che condividano alcune componenti. Un gruppo di neuroni, per poter fungere da sistema pulsionale centrale, deve, per quanto riguarda gli input, ricevere e integrare tutti i segnali in grado di intensificare o di attenuare lo stato pulsionale. Riguardo gli output, un 41 sistema pulsionale centrale deve agire su tutti i processi neurali coinvolti nell’attuazione del comportamento motivato. L’ipotalamo è il fulcro di molti sistemi pulsionali centrali; anatomicamente occupa la posizione ideale: è al centro della base del cervello, subito al di sopra del tronco encefalico, e inoltre ha forti connessioni con le aree superiori al cervello. L’ipotalamo ha connessioni dirette con i nervi che veicolano gli stimoli provenienti dagli organi interni. Infine, controlla il rilascio di numerosi ormoni tramite le sue connessioni con l’ipofisi. Alcune tecniche per studiare i sistemi pulsionali centrali I neuroni compresi in uno stesso nucleo (un gruppo di corpi di cellule neurali) o in uno stesso tratto (un insieme di assoni che decorrono in uno stesso fascio nervoso) tendono ad avere funzioni simili. Per identificare tali funzioni i ricercatori possono stimolare oppure danneggiare i nuclei e i tratti, per poi valutare gli effetti. Si crea una lesione tramite una scarica elettrica o sostanza chimica. Per produrla tramite una scarica elettrica, si impianta un sottilissimo elettrodo per mezzo di uno speciale apparecchio, detto strumento stereotassico. Attraverso di esso s’invia una corrente che distrugge o neuroni vicini alla punta. Per produrre una lesione tramite sostanze chimiche, si introduce nel cervello una sottile cannula, quindi si inietta attraverso di essa la sostanza. Di solito si producono lesioni bilaterali, ovvero in aree corrispondenti dell’emisfero destro e di quello sinistro; di solito aree corrispondenti svolgono funzioni identiche. Se, in seguito alla lesione, l’animale cessa di manifestare una data pulsione, il ricercatore ne inferisce che l’area distrutta è una componente critica del sistema centrale per il controllo di quella funzione. Con questi metodi è possibile anche provocare la stimolazione di specifiche aree celebrali. Se la stimolazione elettrica o chimica di una specifica area celebrale evoca una particolare pulsione, il ricercatore ne inferisce che l’area stimolata è parte del sistema centrale che controlla la pulsione evocata. Tramite nuove tecniche, è possibile creare mutazioni in specifici geni e ottenere animali mancanti di una proteina, di un recettore o di un ormone. Questi animali vengono chiamati knockout, in quanto questo processo è definito knockout genico (o distruzione mirata di geni). Un esempio di pulsione regolativa: la fame Risultati sperimentali suggerivano che la fame e il comportamento alimentare di un animale sono controllati dall’attività neurale di due aree ipotalamiche: l’area laterale, che promuove la fame e la ricerca del cibo, e l’area ventromediale, che promuove la sazietà. Un sistema generale della motivazione attraversa l’ipotalamo laterale Animali con lesioni all’ipotalamo laterale non solo non mangiavano, ma non bevevano, non si accoppiavano ecc. Riuscivano solo ad andare in giro senza un preciso scopo e allontanarsi da uno stimolo doloroso. Dunque, avevano perduto l’intera gamma dei comportamenti che implicano movimenti finalizzati, orientati verso particolari oggetti presenti nell’ambiente. Tramite una stimolazione elettrica, l’animale era in grado di produrre uno qualunque di questi comportamenti. Ricerche successive hanno rivelato che i principali responsabili di questi effetti sono neuroni il cui corpo cellulare non si trova nell’ipotalamo laterale, ma in qualche altra sede e i cui assoni formano un tratto che attraversa l’ipotalamo, connettendo parti del tronco encefalico con i gangli della base. Attualmente si rititenche questo tratto sia responsabile dei sistemi di attivazione motoria, la cui attività prepara i gangli della base ai movimenti volontari. Alcuni neuroni dell’ipotalamo laterale fanno parte di uno speciale sistema per il controllo della fame: Producendo lesioni mediante sostanze chimiche, è possibile distruggere i neuroni con il corpo cellulare nell’ipotalamo laterale. Le lesioni chimiche in quest’area ipotalamica causano una 42 forte riduzione dell’assunzione di cibo, ma non l’aboliscono. I neuroni dell’ipotalamo laterale ricevono impulsi da neuroni i cui corpi cellulari si trovano in un’altra parte: l’area paraventricolare. La stimolazione di quest’area promuove l’assunzione del cibo e i neuroni in essa localizzati rilasciano un neurotrasmettitore ad azione lenta, chiamato neuropeptide Y, su neuroni di altre regioni. Il neuropeptide Y è il più potente stimolatore dell’appetito finora scoperto. Tramite la registrazione dell’attività di singoli neuroni mediante microelettrodi impiantati in modo permanente, si sono raccolte altre prove sulla funzione dell’ipotalamo laterale. Un gruppo di neuroni, presenti nelle scimmie, producono scariche di potenziali d’azione solo quando l’animale è affamato ed esposto a stimoli correlati con il cibo. Lo stato motivazionale della fame sembra implicare la sensibilizzazione di certi neuroni dell’ipotalamo centrale, la quale fa sì che questi neuroni rispondano ad un incentivo cui altrimenti non risponderebbero. I meccanismi della motivazione dell’ipotalamo e nel sistema limbico funzionano in stretta associazione con quelli corticali deputati al progetto dell’azione. Il ruolo dell’ipotalamo ventromediale Lesioni bilaterali nell’area ventromediale dell’ipotalamo producono effetti opposti rispetto a quelle nell’area laterale: sovralimentazione e aumento di peso. Che sia il centro della “sazietà”? Studi successivi hanno mostrato cheqeuste influenze non sono diretta, ma mediati da influenze sui processi digestivi e metabolici. Le lesioni provocano l’iperattività dei neuroni parasimpatici coinvolti nei processi della digestione e del metabolismo; la digestione diventa più rapida e le molecole nutritive vengono convertite molto rapidamente in grassi a livello dei tessuti adiposi. Ciò fa diminuire le disponibilità energetiche per tutti gli altri tessuti, che inviano al cervello segnali di bisogno di cibo. L’animale per cui si sovralimenta perché converte in grassi la maggior parte del cibo, anziché trasformarlo in fonte di energia. Alcuni tumori alla base dell’encefalo che provocano danno all’ipotalamo ventromediale, causano infatti obesità nell’uomo. Gli stimoli che agiscono sul cervello provocando un aumento o una diminuzione della fame Per garantire la sopravvivenza, i sistemi celebrali devono rispondere ai segnali corporei che indicano il bisogno o meno di cibo. Segnali di sazietà inviati dallo stomaco e dall’intestino. Alcuni degli stimoli che segnalano quando smettere di mangiare provengono dallo stomaco e dall’intestino. La presenza di cibo stimola la secrezione di una sostanza chimica, la colecistochinina (CCK), che attraverso il nervo vago attiva i neuroni sensoriali che decorrono da questi organi al cervello. Recettori situati nelle pareti gastriche innescano anch’essi l’attività elettrica dei neuroni. Gli impulsi che arrivano al cervello tramite il nervo vago attivano meccanismi neurali dai quali dipende la sensazione di sazietà. Segnali che indicano la quantità di sostanze nutritive circolanti nel sangue. Nella digestione, i due organi più sensibili alla concentrazione ematica delle sostanze nutritive sono il fegato e il cervello. Quando le concentrazioni sono basse, i recettori del fegato inviano al cervello messaggi che attivano la pulsione della fame. Speciali recettori situati nel cervello rispondono specificamente alla quantità di glucosio che arriva col sangue ai distretti celebrali. Quando a queste cellule arriva una concentrazione elevata di glucosio, i neuroni diventano meno attivi (diminuisce la fame); se invece la concentrazione è bassa, l’attività dei neuroni aumenta. Un ormone che segnala la quantità di grasso corporeo. La principale forma di deposito dei nutrienti è rappresentata dal grasso, che si accumula nelle cellule adipose o adipociti. Una delle funzioni principali della fame è quella di regolare l’entità delle riserve di grasso in queste cellule. Gli adipociti secerno un ormone, la leptina, a un tasso direttamente proporzionale alla quantità di grasso presente in queste cellule; viene assorbita dal 45 I meccanismi della ricompensa e loro relazioni con le pulsioni Gli esseri umani sono per natura dotati della capacità di provare piacere, la quale deve essersi modellata nel corso dell’evoluzione perché contribuiva a promuovere la sopravvivenza e la riproduzione. La ricompensa derivante dalla stimolazione elettrica del cervello Intorno al 1950 James Olds e Peter Milner osservarono che i ratti, dopo aver ricevuto una stimolazione elettrica in certe aree del cervello, si comportavano come se cercassero di sperimentarla ancora. Per determinare se la stimolazione costituisse davvero una ricompensa, sottoposero dei ratti a varie prove per vedere se avrebbero imparato ad autostimolarsi premendo una leva; i ratti apprendevano molto rapidamente a premere la leva per ricevere lo stimolo elettrico, e continuavano a farlo con frequenza elevata. Alcuni ricercatori saggiarono su pazienti umani l’efficacia della stimolazione elettrica del cervello, soprattutto nel sistema limbico. I pazienti riferivano diverse gamme di sensazioni, quali piacere intenso o sensazione di calore. In nessuno però la procedura procurò l’instaurarsi di un’autostimolazione compulsiva. Da ricerche successive è stato dimostrato che i ratto si impegnavano molto più a lungo se stimolato un tratto specifico, il fascio mediale del proencefalo che termina nei gangli della base, nel nucleus accumbens. I neuroni di questo tratto secernono dopamina. Azione delle sostanze psicotrope sulle aree celebrali della ricompensa Lo stesso sistema neurale è responsabile anche degli effetti piacevoli di certe droghe. Le sostanze assunte agiscono direttamente o indirettamente in modo da far aumentare il livello di dopamina. La ricompensa da stimolazione celebrale e le pulsioni naturali La complessa rete di circuiti neurali che produce gli effetti di ricompensa deve essersi evoluta quale componente del meccanismo celebrale che controlla la motivazione di comportamenti in grado di favorire la sopravvivenza e la riproduzione. Dopo l’inserzione di elettrodi in particolari punti del cervello, dei ratti tendevano ad autostimolarsi di più quando provavano una forte pulsione naturale. Secondo più attuali modelli di studio la motivazione non scaturisce tanto da processi di energitizzazione dell’organismo, quanto da processi cognitivi che ne dirigono la direzione. Tali teorie ne identificano le determinanti di tale costrutto. Dalle teorie cognitive nasce il modello “aspettativa x valore” che pone il focus sui processi più evoluti di autoregolazione e direzione, indipendentemente da eventuali considerazione biologiche, definiscono la capacità di darsi mete e di perseguire gli obiettivo come proprietà dell’apparato psichico. Edward nel 1954 ha teorizzato che gli individui agiscono in modo da massimizzare l’utilità soggettivamente attesa, determinata dalle aspettative. Atkinson propone la tendenza al successo come prodotto della predisposizione individuale (costante nell’individuo), probabilità di successo, incentivo rappresentato dal successo. Tale teoria non spiega perchè le persone altamente motivate si ritraggono dai compiti difficili; Lewin da questo pto di vista considera il livello di attrattiva del successo, non solo come aspettativa di successo, ma anche di evitamento dell’insuccesso e alla probabilità ad esso correlato. Influenza degli atteggiamenti e delle credenze nei confronti del compito? Vedi compiti di scrittura. Eccles e Wingifield, per aspettativa intendono l’anticipazione dei risultati di specifiche azioni e per valore l’importanza che viene attribuita al compito, che include quattro elementi (interesse, utilità, importanza, costi). (collegamento interesse- ambito scolastico) 46 MOTIVAZIONE (STECA) Dare avvio direzione e mantenimento azione/comportamenti. I primi costrutti motivazionali: Alle origini dello studio della motivazione si rintracciano teorie incentrate sul concetto di pulsione (Freud) e istinto . Mc Dougall definisce istinto la predisposizione psicofisica innata che spinge l’organismo a prestare attenzione a determinata categorie di oggetti utili alla sopravvivenza e al benessere; alla percezione di questi oggetti si sperimenta un’attivazione emotiva che che sostiene e dirige l’azione. La classificazione dei bisogni si basa sullo scopo (ricerca cibi, curiosità, cercare aiuto). Teoria omeostatiche e tensioriduttive: vedi sopra. In sintesi l’organismo è un sistema tende a mantenere l’omeostasi, nel momento in cui si rompe l’equilibrio si genera una pulsione che deriva da un bisogno biologico. La pulsione è quindi una spinta che induce l’organismo a cercare gli oggetti in grado di soddisfare il bisogno e quindi cercare gli oggetti in grado di soddisfare il bisogno e quindi re instaurare l’omeostasi. FREUD(1905,1914,1915):la pulsione è un concetto limite tra lo psichico e il corporeo che deriva da un’eccitazione somatica volta all’eliminazione di uno stato di tensione. Teoria comportamentista di HULL(1943le pulsioni sono le componenti energizzanti non specifiche dell’azione. La direzione del comportamento deriva dalle abitudini che riflettono la storia dell’apprendimento dell’organismo. La pulsione può guidare un gran numero di comportamenti sulla base delle abitudini dell’organismo. Motivazione = pulsione X forza dell’abitudine Hull incluse l’idea del rinforzo nell’espressione di un comportamento motivazionale e formulò un’equazione che teneva conto della teoria del drive come spinta verso il soddisfacimento di un bisogno, seguendo tre fattori: a) il drive (l’individuo lo prova come stato di bisogno); b) l’incentivo (il valore dello stimolo esterno in grado di diminuire lo stato di bisogno) c) l’abitudine (l’abilità dell’individuo ad eseguire il comportamento in base alla sua esperienza. La sua equazione C = D x I x A dove C è il comportamento, D è il drive, I è l’incentivo e A è l’abitudine significa che l’intensità e la probabilità che un comportamento abbia luogo aumentano se aumenta l’intensità dei fattori, ma anche che se uno dei fattori è uguale a zero il comportamento non verrà emesso. Da un punto di vista comportamentale la motivazione si intende come il raggiungimento di uno scopo: tanto più lo si desidera, tanto più vengono messi in atto comportamenti per raggiungerlo. Il livello di motivazione influenza enormemente le scelte vocazionali e occupazionali di un individuo. I successori attuali dei comportamentisti indicano tre fattori che possono influenzare la motivazione: a) il livello di ambivalenza dell’individuo nel raggiungimento dello scopo; b) la sua abilità nel vedere con chiarezza lo scopo e c) la sua capacità di suddividere lo scopo in compiti più semplici. Anche il concetto di drive ha subito degli aggiustamenti: una obiezione al concetto di drive è che esso presupponeva un seppur minimo livello di attivazione, mentre esistono numerose situazioni in cui gli individui ricercano l’attivazione (come quando ci si annoia). Si è quindi modificata la teoria del drive introducendo il concetto di livello ottimale di attivazione, le cui variazioni (in più o in meno) sarebbero spiacevoli come descritto per l’omeastasi. Questo livello ottimale sarebbe inoltre specifico di ogni individuo, ma anche nello stesso individuo, in rapporto alle singole situazioni. Secondo l'approccio comportamentista comportamenti anche complessi sarebbero originariamente motivati da bisogni fisiologici di base ad essi connessi attraverso processi di condizionamento. Tra i principali teorizzatori dei bisogni Murray, che Il bisogno(“need”) è una “forza” psicologica che dà origine ad un’attività organizzata. Ha sede in una regione cerebrale e organizza la percezione, l’intelligenza, il pensiero e l’azione in modo da modificare una situazione non soddisfacente; distingue bisogni primari, viscerogeni, dai bisogni secondari, psicogeni. I bisogni non spingono necessariamente 47 verso una riduzione della tensione, ma possono essere finalizzati ad accrescerla. Per i bisogni secondari complessi è difficile stabilire se essi siano finalizzati all’aumento o alla riduzione della tensione. I bisogni inoltre interagiscono pressioni ambientali, ovvero i limiti al soddisfacimento dei bisogni, pressioni ALPHA oggettive o pressioni BETA ‐percepite. Bisogno+ pressioni= temi di vita indagabili con TAT “L’esame dei prodotti spontanei della fantasia o delle storie che vengono elaborate a partire da particolari immagini forniscono l’accesso, in sede clinica o di ricerca,ai temi ricorrenti nella vita della persona e che rendono conto della direzione della sua condotta. Maslow ipotizza una gerarchi di bosogni in sequenza evolutiva, dai primitivi agli evoluti: (fisiologici, di affiliazione, di stima, di conoscenza,estetici, autorealizzazione). I primi quattro determinano motivazione da carenza, l’ultimo da crescita. CRITICHE AL MODELLO DI MASLOW:non esaurisce tutta la varietà dei bisogni possibili (critica valida anche per altre teorie tassonomiche; non coglie le differenze individuali non spiega la coesistenza di bisogni di non spiega la coesistenza di bisogni di livello diverso e il possibile sacrificio di bisogni di ordine inferiore nella gerarchia a favore di quelli più elevati. MOTIVO E MOTIVAZIONE MC CLELLAND: il motivo è una “preoccupazione” ricorrente che energizza, orienta e seleziona il comportamento,verso il raggiungimento di una certa meta ‐i MOTIVI attivano l’individuo verso il raggiungimento di uno stato finale di soddisfazione La MOTIVAZIONE coincide con l’attivazione di un motivo. Tale attivazione si traduce in un impulso a mettere in atto azioni che sono diverse da un individuo all’altro a seconda delle interpretazioni che le persone danno dei propri stati interni e delle circostanze in cui si trovano: tiene in considerazione la Variabilità individuale. Questo secondo livello delle motivazioni riguarda gli aspetti che muovono il comportamento umano verso condotte di tipo sociale, e, dal punto di vista dello studio, vengono spesso ricondotte a variabili di tipo cognitivo-affettivo. David McClelland identifica 3 motivazioni fondamentali: Il bisogno del successo (o della riuscita) rispecchia il desiderio di successo e la paura per il fallimento. Il bisogno di appartenenza combina i desideri di protezione e socialità con la paura per il rifiuto da parte di altri. Il bisogno di potere riflette i desideri di dominio e il timore di dipendenza. Vedi Tavole del TAT Differenza tra motivi 1 e rappresentazione motivazionale del sé 2; 1 sono a base biologica con effetti alungo termine, indagabili con test proiettivi; 2 rappresentazioni cognitive delle proprie motivazioni che vengono apprese e applicate in situazioni strutturate nel contesto sociale indagabili con questionari e interviste (Mc clelland, Weinberg e al.) Gli individui differiscono nella forza di ciascuno di tali motivi, inoltre le situazioni variano nel grado in cui sono collegate e incentivano l'uno o l'altro motivo. Un ruolo significativo è attribuito ai processi cognitivi che catalogano gli stimoli in relazione ai motivi, determinando natura e intensità dei vettori motivazionali. I motivi impliciti che spingono all'azione, sono originati dagli incentivi esterni che attivano specifiche reazioni emotive. Successivamente, con l'apprendimento, si sviluppa uno schema cognitivo che organizza queste reazioni emotive in categorie positive e negative, delineando così gli stimoli da ricercare e quelli da allontanare. Con l'esperienza e l'apprendimento, un numero sempre maggiore di situazioni si associa a questi forti incentivi, consolidando il motivo e trasformandolo in motivazione esplicita. La teoria dei bisogni di base elaborata da McClelland ha posto una pietra miliare per lo studio delle determinanti cognitive della 50 - Questi meccanismi si presentano ciclicamente anche quando non è possibile definire il trascorrere delle ore. - Il termine tecnico con cui si indica qualsiasi ciclo di cambiamenti ritmici, la cui durata si mantiene intorno alle 24 ore, è ritmo circadiano. ∙ Questi ritmi sono governati da cambiamenti ciclici nell’attività del sistema nervoso, che avvengono indipendentemente da qualsiasi stimolo esterno. Lo stimolo ambientale da cui dipende il normale regolamento dell’orologio biologico è la luce diurna. - Sottoponendo delle persone a luci fluorescenti per qualche ora di notte e alla totale privazione di luce per qualche ora del giorno, il loro orologio biologico veniva sovvertito. Effetti comportamentali della deprivazione del sonno - Esiste un’ampia variabilità individuale nella risposta alla deprivazione del sonno. ∙ Dopo 3 o 4 giorni senza dormire, le persone incominciavano a mostrare sintomi quali percezioni distorte della realtà ed estrema irritabilità. In generale, la privazione del sonno altera il rendimento nell’esecuzione dei compiti semplici e noiosi, ma non di quelli difficili. ∙ L’effetto più indiscutibile della privazione del sonno è la sonnolenza. Differenze individuali nella pulsione del sonno - Le ore necessarie al buon funzionamento variano da persona a persona, e sono intorno alle 8 ore; tuttavia esistono casi un cui sono necessarie molte meno ore: si ha un fenomeno detto nonsonnìa. - L’insonnia è differente dalla nonsonnìa. Una persona affetta da insonnia sente un normale desiderio di dormire la notte, ma non riesce ad addormentarsi; durante il giorno si sente stanca per non aver dormito. ∙ Noi dormiamo perché nel nostro cervello vi è un meccanismo che ci fa sentire l’esigenza di dormire a intervalli di tempo regolari. Sogni e sonno REM La differenza tra veri sogni e pensiero del sonno - Quasi tutte le persone svegliate durante la fase REM riferiscono che stavano provando un’esperienza mentale, cioè un vero sogno. ∙ Il vero sogno viene esperito dalla persona come un evento reale, non come immaginazione o pensiero. Di solito si compone di un’intera sequenza di esperienze, tra loro intrecciate a formare una trama. ∙ Quanto è più lunga la fase di sonno REM prima del risveglio, tanto più lungo ed elaborato è il sogno che la persona riferisce. - Se vengono risvegliati durante le fasi del sonno a onde lente, i soggetti riferiscono nel 50% dei casi che subito prima del risveglio stavano sperimentando una forma particolare di attività mentale. ∙ Queste esperienze non sono veri sogni, ma rientrano nel pensiero del sonno, che manca delle vivide allucinazioni sensoriali e motorie ed è più simile alla forma di pensiero tipica della veglia. ∙ Spesso il pensiero del sonno ha come oggetto qualche problema che ha assorbito l’attenzione durante la giornata. I sogni come effetti collaterali dell’attività neurale - Secondo una recente teoria, i sogni non hanno alcuna funzione particolare, ma sono soltanto un effetto collaterale delle modificazioni fisiologiche che intervengono durante il sonno REM. ∙ La funzione del sonno REM sarebbe quella di tenere regolarmente in esercizio alcuni gruppi di neuroni celebrali. Alcuni di questi neuroni sarebbero coinvolti in circuiti percettivi e motori, per cui 51 le allucinazioni percettive e motorie caratteristiche del sogno potrebbero essere una conseguenza di tale attività. ∙ Durante gli stadi REM il cervello continuerebbe ad elaborare una forma di pensiero, come accade durante il sonno a onde lente. Il pensiero tenta di dare un senso logico alle allucinazioni; si forma una trama sconnessa che collega un’allucinazione all’altra. - La fase REM avviene anche nei mammiferi diversi dall’uomo, e nei feti e nei piccoli questo stadio è molto più esteso rispetto l’età adulta. - La teoria psicoanalitica, invece, vede nell’analisi dei sogni un utile strumento per conoscere la mente. ∙ I sogni contengono elementi derivanti dalle esperienze vissute da chi sta sognando, ed è possibile che in essi emergano idee o sentimenti repressi dalle funzioni psichiche superiori. Il possibile ruolo del sonno REM nel consolidamento della memoria - L’attività nervosa della fase REM potrebbe contribuire a rafforzare connessioni di recente formazione, in modo da consolidare nuovi ricordi. ∙ Il sonno REM migliora il rendimento nei compiti percettivo-motori appena appresi. - I pattern dell’attività neurale durante il sogno REM possono essere influenzati in modo prevedibile dalle esperienze vissute durante il giorno. I meccanismi celebrali che controllano il sonno - Il sonno può vincerci anche in presenza di stimoli esterni molto forti, mentre altre volte non riusciamo ad addormentarci neppure in un ambiente quieto. ∙ Il sonno viene attivamente provocato da un insieme complesso di meccanismi neurali e chimici. Il controllo neurale e ormonale del ciclo giornaliero veglia-sonno - L’orologio biologico che controlla i ritmi circadiani è localizzato in un nucleo dell’ipotalamo, il nucleo soprachiasmatico. ∙ Questo nucleo contiene particolari neuroni generatori di ritmi in cui la frequenza dei potenziali d’azione prodotti cresce e decresce progressivamente secondo un ciclo che dura circa 24 ore. - Un’altra struttura che contribuisce al ritmo circadiano del ciclo veglia-sonno è la ghiandola pineale, o epifisi. ∙ E’ una ghiandola endocrina che secerne la melatonina, un ormone la cui produzione è controllata dal nucleo soprachiasmatico; agisce quasi esclusivamente durante la notte. - La melatonina contribuisce all’induzione del sonno. I centri nervosi per il sonno a onde lente e per la fase REM - Varie aree celebrali, quali la porzione anteriore dell’ipotalamo, sembrano indurre il sonno con la loro attività nervosa. - La transizione dal sonno a onde lente alla fase REM implica l’attività di due gruppi di neuroni tra loro interconnessi. ∙ Un gruppo genera l’aumento di attività celebrale durante il sonno REM. L’altro gruppo inibisce dei motoneuroni, producendo l’abbassamento del tono muscolare. ∙ Danni in quest’area celebrale producono realmente i movimenti che si stanno compiendo in sonno. Attivazione fisiologica ed emozione Lo stato di alta attivazione 52 - La risposta di attivazione è una reazione che serve al corpo per prepararsi <<alla lotta o alla fuga>>. Il pattern varia a seconda della persona e della situazione, ma in generale si compone dei seguenti elementi: ∙ I muscoli si contraggono e il sangue vi confluisce, preparandoli a scattare in azione. ∙ Il battito cardiaco, la pressione sanguigna e la frequenza del respiro aumentano, e dai depositi nei tessuti vengono liberate nel sangue molecole di zuccheri e di grassi; questo prepara il corpo a sostenere un eventuale consumo prolungato di energia. ∙ Nel sangue avvengono cambiamenti che ne facilitano la coagulazione e si ha la liberazione di sostanze ormonali, le endorfine, che alleviano la sensazione di dolore. ∙ I meccanismi celebrali di vigilanza sono attivati al massimo grado, e i processi cognitivi si focalizzano quasi unicamente sullo stimolo o sul pensiero che ha provocato lo stato di attivazione. - Sul breve periodo la risposta di attivazione può risultare utile nelle situazioni che richiedono un notevole dispendio di energia fisica, o quando l’azione è istintiva o implica movimenti praticati di frequente; è dannosa quando le azioni richiedono movimenti nuovi, creatività o un giudizio ponderato. - La relazione che lega l’attivazione fisiologica ottimale al compito da eseguire è detta legge di Yerkes-Dodson. ∙ La presenza di un pubblico in genere migliora la prestazione del soggetto nei compiti che gli sono abituali, mentre la peggiora nei compiti che rischiedono creatività o un tranquillo giudizio. - Se è troppo forte, prolungata e frequente, la risposta di attivazione fisiologica può produrre effetti fisici nocivi. Il concetto di emozione - Gli stimoli che producono uno stato di alta attivazione fisiologica provocano anche sentimenti molto forti, delle emozioni, ovvero un tipo particolare di esperienza soggettiva. - La nostra capacità di provare emozioni può essersi sviluppata per i suoi vantaggi in termini di sopravvivenza e di riproduzione. ∙ Le emozioni sono sentimenti associati a tendenze a comportarsi in modo particolare per fini particolari. - Le emozioni possono essere classificate secondo una griglia a due dimensioni: una dimensione è data dal grado cui l’emozione si associa a un comportamento di approccio o di evitamento, l’altra dal grado di attivazione che l’accompagna. Teorie dell’emozione che sottolineano il ruolo del feedback periferico - Gli psicologi hanno a lungo cercato di stabilire se i cambiamenti corporei associati alle emozioni contribuiscano soltanto oppure siano essenziali all’emozione stessa. La teoria di James, o del feedback periferico - William James sosteneva che l’attivazione fisiologica è la causa dell’emozione. ∙ L’attivazione è la risposta immediata alla percezione di certi tipi di eventi ambientali, e le emozioni sono la sensazione soggettiva dell’attivazione. - Secondo James le emozioni sono le sensazioni derivanti dalle modificazioni corporee. - James usa il termine emozione per riferirsi all’esperienza conscia che il soggetto fa di un suo particolare stato interno. ∙ La valutazione iniziale e la conseguente risposta di eccitazione avvengono molto rapidamente, senza che la consapevolezza di come accade ciò giunga alla coscienza. L’emozione giunge più tardi ed è fondata sulle sensazioni suscitate dallo stato di eccitazione del corpo. 55 CAP 7 L’OLFATTO, IL GUSTO, IL DOLORE, L’UDITO E LA PSICOFISICA - Se mancasse la sensazione, la vita psichica non esisterebbe. - In tutti gli animali i sistemi sensoriali si sono evoluti allo scopo di guidarne il comportamento. - Sensazione indica sia i processi di base con cui gli organi sensoriali e il sistema nervoso rispondono agli stimoli presenti nell’ambiente, sia le elementari esperienze psicologiche che risultano da questi processi. ∙ Il termine percezione indica invece i più complicati processi celebrali di elaborazione dell’informazione sensoriale, sino ad estrarre da essa un’interpretazione significativa. Quadro generale dei processi sensoriali - In generale il processo sensoriale può essere così schematizzato: stimolo fisico → risposta fisiologica → esperienza sensoriale. ∙ Lo stimolo fisico è la forma di materia o di energia che colpisce gli organi di senso; ∙ La risposta fisiologica è il complesso delle attività chimiche ed elettriche innescate dallo stimolo; ∙ L’esperienza sensoriale è la sensazione soggettiva o percezione esperita dall’individuo i cui organi di senso hanno ricevuto la stimolazione. Anatomia fondamentale dei sensi umani - I sensi umani sono più di cinque: temperatura, dolore, equilibrio. - Ogni senso fa capo a un proprio sistema di recettori, ovvero strutture specializzate che rispondono a un tipo specifico di stimolo fisico, producendo modificazioni elettriche che danno poi origine a impulsi nervosi, e a un proprio sistema di neuroni sensoriali, i quali veicolano gli impulsi dai recettori al sistema nervoso centrale. ∙ I neuroni associati a ciascun senso sono connessi con il sistema nervoso centrale attraverso specifiche vie neurali; queste vie portano ad aree sensoriali della corteccia celebrale. - Ogni sensazione che proviamo è il prodotto di un pattern di attività nervosa nel cervello. La trasduzione e la codificazione, ovvero come si trasforma l’informazione contenuta nello stimolo - La trasduzione è il processo con il quale una cellula recettrice genera una variazione di potenziale elettrico in risposta a uno stimolo fisico. ∙ Ogni volta che l’energia dello stimolo agisce su un recettore, la membrana della cellula diventa più permeabile alle particelle dotate di carica elettrica, come gli ioni sodio o potassio. ∙ Un flusso di particelle attraversa la membrana, modificando la carica elettrica sulle due facce della membrana. Questa variazione si chiama potenziale di recettore. - I sensi devono rispondere in modo differenziato a seconda della dimensione dell’energia (quantitativa o qualitativa). ∙ La variazione quantitativa si riferisce alla quantità, o intensità, dell’energia convogliata dallo stimolo. ∙ La variazione qualitativa riguarda invece il tipo di energia che costituisce lo stimolo. ∙ Il processo che conserva, pur trasformandola, l’informazione dello stimolo è detta codificazione. - La quantità di energia presente nello stimolo risulta codificata attraverso il fatto che stimoli più forti producono potenziali di recettore più grandi. ∙ La codificazione della qualità dello stimolo dipende dalla presenza in uno stesso tessuto sensoriale di recettori dotati di sensibilità diverse. 56 ∙ Le variazioni qualitative dello stimolo vengono codificate come differenze nei rapporti tra le attività di gruppi di neuroni sensoriali stimolati da gruppi diversi di recettori. L’adattamento sensoriale: reattività ai cambiamenti più che agli stati stabili - I nostri sensi sono organizzati in modo da avvisarci dei cambiamenti nell’ambiente e da ignorarne gli stati stabili. ∙ La modificazione della sensibilità viene definita adattamento sensoriale. - In molti casi sono i recettori stessi a mediare l’adattamento sensoriale, a seconda della situazione. I sensi chimici - L’olfatto e il gusto sono chiamati sensi chimici poiché gli stimoli ambientali che li colpiscono sono molecole chimiche. ∙ Sono sistemi deputati principalmente alla messa in allarme e all’attrazione. L’olfatto Anatomia e fisiologia dell’olfatto - L’epitelio olfattorio, che tappezza le cavità nasali, contiene le terminazioni sensitive dei neuroni sensoriali specializzati per l’odorato. ∙ Ogni terminazione porta da 5 a 20 ciglia, ed ogni ciglio contiene molti recettori, ovvero grandi molecole capaci di legare molecole di specifiche sostanze odorose. Il legame di una di queste molecole su un recettore provoca una modificazione strutturale della membrana cellulare; questo determina tra le due facce della membrana un cambiamento nella differenza di potenziale elettrico, il quale innesca i potenziali d’azione nell’assone del neurone. ∙ Ogni tipo di neurone olfattorio differisce dagli altri nel grado di sensibilità per particolari sostanze odorose. - Gli assoni dei neuroni olfattori passano attraverso un sottile strato osseo perforato e raggiungono il bulbo olfattivo del cervello, dove sinaptano con altri neuroni a livello di strutture dette glomeruli. ∙ Ogni glomerulo del bulbo riceve gli stimoli di parecchie migliaia di neuroni sensoriali, tutti dello stesso tipo. - Ogni sostanza odorosa è caratterizzata dalla sua capacità di produrre uno specifico pattern di attività neurale nei glomeruli del bulbo olfattivo. - I glomeruli a loro volta inviano proiezioni nervose ad altre regioni del cervello. Queste connessioni contribuiscono a spiegare gli effetti degli odori sui nostri stati motivazionali o emozionali. ∙ La maggior parte delle proiezioni arrivano al sistema limbico e all’ipotalamo, tuttavia parte di queste terminano in una porzione della neocorteccia situata sulla faccia ventrale del lobo frontale, detta corteccia orbitofrontale. Quest’area è fondamentale per distinguere tra i diversi odori. L’odore come componente del sapore - Le sostanze odorose possono raggiungere l’epitelio olfattorio attraverso due differenti vie: le narici e la bocca. ∙ Un canale, il nasofaringe, connette la parte posteriore del cavo orale con la cavità nasale. ∙ La masticazione e la deglutizione spingono l’aria del cavo orale fino al naso, aria che contiene molecole volatili del cibo che stiamo mangiando. ∙ Il sapore consiste nel gusto e nell’odorato stimolato attraverso questa via bocca-naso. - Se ci stringiamo il naso blocchiamo contemporaneamente entrambe le vie che portano gli stimoli all’epitelio olfattorio. Per questo non riusciamo a distinguere i sapori, se ci tappiamo il naso. 57 - Con l’avanzare dell’età il senso dell’olfatto diminuisce. L’odore come mezzo di comunicazione: i feromoni - Un feromone è una sostanza chimica, prodotta e rilasciata da un animale, che agisce sugli altri membri della specie in modo da provocarne un comportamento o una risposta fisiologica particolari. ∙ Nelle cavità nasali della maggior parte dei mammiferi è presente una struttura, chiama organo vomeronasale, che contiene recettori specializzati nella risposta ai feromoni. - La nostra specie possiede le strutture che potrebbero rendere possibile la comunicazione attraverso i feromoni. ∙ Possediamo ghiandole che secernono sostanze odorose, concentrate nelle aree del corpo in cui conserviamo la presenza di peli. La funzione del pelo è di trattenere le secrezioni e di fornire un’estesa superficie su cui possano evaporare, aumentando così l’efficacia. - La ricerca sui feromoni umani si è incentrata soprattutto sul tentativo di scoprire se produciamo sostanze attive nell’attrazione sessuale, ma nessun esperimento è riuscito a dimostrarlo. - Però è stato dimostrato che i feromoni femminili regolarizzano il ciclo mestruale. Il riconoscimento delle persone in base all’odore - Anche noi siamo in grado di identificare gli individui della nostra specie attraverso gli odori. - L’odore può effettivamente far parte del complesso di stimoli che sono coinvolti nello stabilirsi dell’attaccamento tra un bambino e la persona che lo accudisce. - L’odore influenza la scelta del partner sessuale nei topi; essi dimostrano di preferire per l’accoppiamento un partner il cui odore è il più differente possibile dal proprio. ∙ Questo perché hanno scarse possibilità di essere imparentati e aggiungeranno una quota considerevole di nuova variabilità genetica alla futura produzione di cellule deputate all’eliminazione degli agenti patogeni. Il gusto - Negli esseri umani i recettori del gusto sono localizzati esclusivamente nel cavo orale e la loro funzione è quella di contribuire a decidere se una certa sostanza è buona o no da mangiare. Anatomia e fisiologia del gusto - I recettori del gusto consistono in strutture globurali, dette calici gustativi, ognuna delle quali contiene da 50 a 150 cellule recettoriali, organizzate spazialmente come gli spicchi di un’arancia. - Gli scienziati occidentali ritenevano che i recettori del gusto fossero di soli quattro tipi: dolce, salato, acido e amaro. ∙ Secondo quelli giapponesi i gusti primari sarebbero cinque: il gusto in più si chiama umami. - Per poterne avvertire il gusto, una sostanza chimica deve prima disciogliersi nella saliva e venire in contatto con le terminazioni sensitive delle cellule recettoriali appropriate, dove innesca cambiamenti elettrici che danno origine a potenziali d’azione. ∙ I recettori del salato rispondono con particolare forza al cloruro di sodio e al cloruro di litio. ∙ I recettori dell’acido rispondono con particolare forza agli acidi. - L’amaro è stimolato da una gamma molto ampia di sostanze diverse. I recettori dell’amaro hanno un gran numero di siti di legame. ∙ I recettori del dolce hanno un funzionamento simile a quelli dell’amaro. ∙ I recettori dell’umami sembrano rispondere soprattutto al glutammato. - I diversi tipi di recettori sono distribuiti in modo piuttosto uniforme su tutta la lingua. ∙ La separazione spaziale tra i diversi gusti è invece reale a livello delle aree cerebrali. 60 ∙ Il corpo produce delle sostanze chimiche simili alla morfina: le endorfine, prodotte nel cervello o nel midollo spinale, oppure secrete nel circolo sanguigno. ∙ Le endorfine inibiscono il dolore agendo sia sulla PAG che sul punto in cui le fibre dei neuroni per la sensazione del dolore entrano nel midollo spinale e nella base del tronco encefalico. L’analgesìa indotta da stress - Siamo forniti di un meccanismo che ci preserva dal sentire il dolore nei momenti in cui la cosa migliore è ignorare le nostre ferite. ∙ Il fenomeno, noto come analgesìa da stress, si verifica in risposta a molte forme di stimolazioni stressanti, e dipende dall’azione delle endorfine. L’analgesìa indotta da credenze - A volte si assiste a una drastica riduzione del dolore anche per effetto della forza delle credenze o della fede. ∙ Un esempio vicino alla nostra cultura è l’effetto placebo, per il quale una pillola o un’iniezione che non contiene alcuna sostanza attiva può ridurre il dolore, se chi la riceve è convinto che si tratti di un antidolorifico. L’udito Il suono e la sua trasduzione operata dall’orecchio - Il termine suono si riferisce sia al tipo di stimolo sia alla sensazione prodotta da quello stimolo. ∙ Il suono consiste nella vibrazione dell’aria prodotta da un oggetto in movimento. La vibrazione si propaga a partire dalla sorgente del suono con un moto descrivibile in termini di onda. ∙ L’altezza dell’onda viene indicata con il termine ampiezza o intensità del suono e corrisponde a ciò che noi percepiamo come volume. Si misura in unità logaritmiche della pressione, i decibel. - Le onde sonore possono differire nella frequenza, da noi percepita come il tono di un suono. Si misura in hertz. Come funziona l’orecchio - L’udito consiste nella sensibilità alla pressione meccanica su uno speciale tessuto sensoriale localizzato nell’orecchio. ∙ Nell’uomo e negli altri mammiferi le aree della pelle con i recettori specializzati per i suoni sono all’interno del cranio. Gli orecchi amplificano la pressione delle onde sonore man mano che queste si trasmettono sempre più in profondità dentro la testa. - L’orecchio esterno consiste nel padiglione auricolare e nel condotto uditivo, un canale che si dirige all’interno del cranio e che termina con il timpano (o membrana timpanica). ∙ Il condotto uditivo riceve le onde sonore e le convoglia verso l’interno della testa; le vibrazioni dell’aria esterna mettono in vibrazione l’aria entro il condotto, e ciò a sua volta fa vibrare la membrana del timpano. - L’orecchio medio è una cavità piena d’aria che il timpano separa dall’orecchio esterno. ∙ Le strutture principali di questa parte sono i tre piccoli ossicini (martello, incudine e staffa) che formano un ponte collegato a un’estremità col timpano e all’altra con la finestra ovale, una membrana che chiude il canale della chiocciola. ∙ Quando un suono provoca la vibrazione del timpano, la catena degli ossicini inizia a vibrare e trasmette la vibrazione alla finestra ovale. ∙ La funzione principale dell’orecchio medio è quella di amplificare la pressione meccanica che le onde sonore esercitano sull’orecchio interno, consentendo così la trasduzione dello stimolo. 61 - La sede in cui avvengono i processi di trasduzione è la struttura spiralizzata della chiocciola (o coclea), nell’orecchio interno. ∙ La chiocciola è formata da un dotto esterno, pieno di liquido, che inizia dalla finestra ovale, arriva fino all’apice della chiocciola, quindi ridiscende verso un’altra membrana, la finestra rotonda. ∙ Tra le due porzioni del dotto esterno vi è il dotto interno. Il pavimento del dotto interno è costituito dalla membrana basilare, la quale porta i recettori uditivi, detti cellule acustiche, con apici dotati di stereociglia. Da ciascuna di queste cellule sporgono sottili prolungamenti, le ciglia, sovrastati da un’altra membrana, la membrana tettoria. ∙ All’interno la membrana basilare ogni cellula acustica entra in sinapsi con vari neuroni attivi, i cui assoni danno poi origine al nervo acustico. - Nella trasduzione a livello della chiocciola la vibrazione, prodotta in origine dallo stimolo sonoro, viene trasmessa dagli ossicini alla finestra ovale e di qui al fluido contenuto nel dotto esterno della chiocciola. ∙ La membrana tettoria che sovrasta le cellule cigliate non si muove in sintonia con la membrana basilare, per cui le ciglia dei recettori si piegano contro la membrana tettoria. Questo provoca una modificazione fisica nella membrana della cellula recettoriale; ciò innesca una variazione del potenziale elettrico della membrana, che a sua volta causa il rilascio di molecole di neurotrasmettitore nelle sinapsi con i neuroni uditivi. Sordità e protesi acustiche - Si ha sordità da trasmissione difettosa quando gli ossicini dell’orecchio medio, divenuti rigidi, non possono più trasmettere le vibrazioni sonore. ∙ Il difetto può essere corretto mediante una protesi acustica, che amplifica la pressione dei suoni. - La sordità nervosa deriva da un danno alla chiocciola o alle cellule acustiche o ai neuroni uditivi. ∙ In questo caso si rivela utile un impianto cocleare, che svolge il lavoro di trasduzione di norma effettuato dalle cellule acustiche. La percezione del tono - Secondo Helmholtz, la membrana basilare funziona in modo analogo alle corde di un’arpa. La membrana basilare dovrebbe contenere fibre distinte che risuonano quando sono colpite da vibrazioni di frequenza tonale diversa, attivando neuroni del nervo acustico. ∙ Helmholtz aveva ragione supponendo che suoni di frequenza diversa attivino in modo differenziale porzioni diverse della membrana basilare, ma si sbagliava riguardo ai particolari del meccanismo. La codificazione della frequenza secondo la teoria dell’onda viaggiante - Békésy scoprì che la membrana non funziona come un’arpa, ma piuttosto come un lenzuolo scosso a uno solo dei suoi capi. ∙ Sotto l’influenza delle onde sonore che raggiungono la chiocciola, la membrana basilare produce onde viaggianti che si propagano dall’estremo prossimale verso l’estremo distale. Mentre avanza, l’onda aumenta di ampiezza fino a raggiungere un massimo, che dipende dalla frequenza del suono. ∙ Il cervello interpreta come un suono di tonalità alta una rapida scarica di impulsi provenienti dai neuroni situati verso l’estremo prossimale della membrana; interpreta invece come un suono dal tono basso una rapida scarica di impulsi provenienti dai neuroni connessi con una porzione più distale. Due conseguenze sensoriali del meccanismo dell’onda viaggiante 62 - Il mascheramento acustico è la capacità di un suono di mascherarne un altro; è asimmetrico, in quanto i suoni a bassa frequenza riescono a mascherare quelli ad alta frequenza, mentre è difficile il contrario. ∙ L’onda viaggiante causata da una nota bassa copre tutta la porzione di membrana basilare interessata; per questo, anche se la nota alta è molto forte, non riesce a coprire tutta la porzione di membrana basilare occupata dalla nota bassa. - L’udito s’indebolisce man mano che si invecchia, in particolare si perde la sensibilità per i toni alti. ∙ Questo declino è causato dall’usura delle cellule acustiche; si logorano più facilmente le cellule che codificano le alte frequenze perché sono interessate da tutti i tipi di suoni. Un’altra modalità di codificazione della frequenza - La teoria dell’onda viaggiante non spiega tutti gli aspetti della codificazione della frequenza dei suoni. ∙ Per le frequenze inferiori ai 4000 Hz, il tono percepito dipende non solo dalla porzione di membrana basilare soggetta alla massima attivazione, ma anche dallo schema temporale di tale attività. - Gli impianti cocleari più sofisticati sfruttano sia l’effetto della posizione sulla membrana sia lo schema temporale per produrre la percezione dei toni. ∙ Gli impianti cocleari scindono il segnale sonoro in bande di frequenza distinte e inviano gli impulsi relativi a ciascuna banda a una diversa porzione della membrana basilare. L’interpretazione dei suoni - Tutti i suoni danno origine a pattern di onde sulle nostre membrane basilari, e da questi pattern il nostro sistema nervoso riesce ad estrarre tutta l’informazione necessaria per la percezione uditiva. - I neuroni uditivi inviano i loro output a nuclei localizzati nel tronco encefalico, i quali inviano gli assoni verso l’alto, alle aree uditive della corteccia celebrale situate nei lobi temporali. ∙ Ogni neurone della corteccia uditiva primaria risponde soprattutto a suoni di una particolare frequenza; questi neuroni presentano un’organizzazione tonotopica, ovvero quelli attivati da toni con frequenza alta sono localizzati in un estremo, quelli che rispondono a toni con frequenza bassa si trovano all’altro estremo. ∙ Alla sensazione uditiva contribuiscono anche il timbro (la qualità), il momento di insorgenza e quello di estinzione, e la modulazione. L’individuazione di una sorgente sonora - La capacità di localizzare un suono non richiede alcun apprendimento: infatti è presente anche nei neonati. ∙ Le persone riescono a prestare ascolto ad una voce e al tempo stesso ignorarne un’altra, se provengono da due posizioni diverse. - La localizzazione della fonte di un suono dipende dalla differenza nel tempo impiegato da un’onda sonora per raggiungere ciascun orecchio. - Anche le differenze rispetto all’ampiezza dell’onda sonora che arriva ai due orecchi contribuiscono alla localizzazione della sorgente. - Se una fonte proviene da davanti o dietro la testa, non ci è possibile localizzarla; però possiamo ruotare la testa anche leggermente per poter percepire la differenza dell’arrivo del suono all’orecchio. L’interpolazione di fonemi: un’illusione uditiva 65 - Per p minore di 1, a variazioni di uguale entità nell’intensità fisica dello stimolo corrispondono modificazioni dell’intensità sensoriale minori all’estremo superiore della scala che non a quello inferiore. ∙ Per p maggiore di 1, l’effetto è opposto: aumentando di una data quantità l’intensità di una scarica elettrica già relativamente forte, la sensazione soggettiva di dolore aumenta di più di quando si intensifica nella stessa misura una scarica relativamente debole. ∙ Per p uguale a 1, a variazioni di uguale entità nella magnitudine di uno stimolo corrispondono variazioni di uguale entità nella magnitudine della sensazione, indipendentemente dall’intensità dello stimolo. Perché una legge esponenziale? - Stevens ipotizzò che solo una legge esponenziale è in grado di esprimere la costanza dei rapporti sensoriali a fronte di un’intensità complessiva che aumenta e diminuisce ciclicamente. 66 CAP 8 LA VISIONE - La sensazione fa riferimento ai processi fondamentali attraverso i quali gli organi di senso e il sistema nervoso centrale rispondono agli stimoli sensoriali e codificano l’informazione in essi contenuta. Il termine percezione si riferisce in generale ai processi mediante i quali l’informazione sensoriale viene selezionata, organizzata e manipolata dal sistema nervoso, che da essa poi estrae o costruisce rappresentazioni utili degli oggetti e degli eventi presenti nell’ambiente esterno. Le basi fisiologiche della visione - In molte specie di animali pluricellulari si sono evolute cellule specializzate per catturare l’energia del sole, dette fotorecettori, che hanno finito per connettersi al sistema nervoso dell’animale. - Una teoria avanzata spiega che in alcuni organismi i fotorecettori finiscono per raggrupparsi, formando sulla superficie della pelle dei primitivi organi sensibili alla luce, detti macchie oculari. ∙ Successivamente le macchie oculari migrarono nella profondità di invaginazioni, o fosse, che riducevano l’abbagliamento e aumentavano le possibilità di rilevare il movimento che poteva segnalare l’avvicinarsi di un predatore. ∙ Si sviluppò una membrana trasparente a copertura delle cavità in cui questi organi erano contenuti, proteggendoli dall’ingresso di materiali estranei. ∙ Il centro di questa membrana di ispessisce e pian piano di tramuta in una lente, che divenne capace di proiettare un’immagine sullo strato formato dai fotorecettori. L’organizzazione funzionale dell’occhio e il processo di trasduzione - I fotorecettori sono localizzati nella retina, una membrana che ricopre internamente il fondo del bulbo oculare, pieno di liquido. ∙ Le altre parti dell’occhio raccolgono e focalizzano la luce riflessa dagli oggetti, in modo che sulla retina si formi un’immagine. ∙ La superficie anteriore del bulbo oculare è rivestita dalla cornea, un tessuto trasparente concavo che contribuisce a far convergere la luce sul fondo dell’occhio. ∙ Dietro la cornea si trova l’iride, un tessuto pigmentato a forma di ciambella dal quale dipende il colore degli occhi. L’iride è opaca, e la luce passa attraverso la pupilla, l’apertura circolare visibile al centro dell’iride. L’iride contiene fibre muscolari che possono allargare o restringere il diametro della pupilla, regolando il passaggio della quantità di luce. ∙ Dietro l’iride si trova il cristallino, che partecipa al processo di focalizzazione insieme alla cornea. Il cristallino può subire accomodamenti durante la messa a fuoco degli oggetti. Le proprietà della messa a fuoco fanno convergere i raggi in un punto particolare della retina, per cui in quel punto si forma un’immagine dell’oggetto. - Il processo con cui uno stimolo ambientale genera cambiamenti elettrici nei neuroni è chiamato trasduzione; nella visione questa funzione è svolta dai fotorecettori. ∙ I fotorecettori sono di due tipi: i coni, che consentono la visione nitida e a colori degli oggetti in condizione di luce vivida, e i bastoncelli, che consentono la visione quando la luce è debole. ∙ I coni si concentrano soprattutto nella fovea, un’area che rappresenta il punto centrale di focalizzazione della luce sulla retina, specializzata nell’acuità visiva (o visus). La concentrazione dei coni decresce con l’aumentare della distanza dalla fovea. ∙ I bastoncelli sono distribuiti su tutta la retina tranne che nella fovea, e si concentrano soprattutto in una fascia ad anello situata a circa 20° dalla fovea. - Il segmento più esterno di ogni fotorecettore contiene un pigmento fotosensibile, cioè una sostanza chimica che reagisce alla luce; nei bastoncelli questa sostanza è la rodopsina. 67 ∙ Quando è colpita dalla luce, la molecola della rodopsina subisce una modificazione e innesca una serie di reazioni chimiche nella membrana del bastoncello; queste reazioni provocano una modificazione del potenziale elettrico della membrana. ∙ La modificazione elettrica nei coni e nei bastoncelli provoca la generazione di risposte elettriche in altre cellule della retina, e queste risposte portano alla produzione di potenziali d’azione nei neuroni le cui fibre formano il nervo ottico, che dal fondo dell’occhio si dirige al cervello. ∙ Il punto della retina da cui emergono gli assoni di questi neuroni corrisponde al punto cieco, così detto per via della totale assenza di recettori. - Uno dei principali problemi che il nostro sistema visivo deve risolvere è quello dell’aggiustamento all’enorme spettro di intensità luminose. ∙ L’iride costituisce una delle componenti con cui viene risolto il problema dell’aggiustamento alle variazioni di luminosità. Ma la componente che più contribuisce alla soluzione è la differente sensibilità della luce dei due tipi di fotorecettori. Differenze tra la visione diurna (dipendente dai coni) e quella notturna (dipendente dai bastoncelli) - La visione dipendente dai coni (detta anche visione fotopica, o visione in luce diurna) è specializzata per l’acuità visiva e la percezione dei colori; la visione dipendente dai bastoncelli (detta anche visione scotopica, o visione in luce notturna) è invece specializzata per la sensibilità. - Se la luce è debole, la visione viene prodotta dai bastoncelli, che ci permettono di percepire la forma generale ma non il colore o i particolari degli oggetti. ∙ Gli oggetti risultano meglio visibili se non li si guarda direttamente, poiché la fovea non contiene bastoncelli; la visione migliore si avrà spostando lo sguardo a circa 20° dall’oggetto, perché è su quella parte della retina dove si ha la maggior concentrazione di bastoncelli. Coni e bastoncelli hanno curve di adattamento distinte - Il graduale aumento della sensibilità alla luce prende il nome di adattamento all’oscurità, mentre la più rapida diminuzione della sensibilità viene detta adattamento alla luce. ∙ Questi processi sono in parte mediati da cambiamenti nella sensibilità dei coni e dei bastoncelli, associati al passaggio da una visione fotopica ad una scotopica. ∙ In presenza di luce vivida le molecole dei pigmenti visivi tendono a scindersi molto rapidamente in due composti inattivi; in condizioni di luce debole o di oscurità, a poco a poco queste molecole si rigenerano. ∙ Nei 7-8 minuti che seguono il passaggio da un luogo bene illuminato a un luogo buio, ciò che vediamo dipende soprattutto dalla rigenerazione dei pigmenti dei coni; trascorso questo periodo iniziale, ogni ulteriore miglioramento dipende dai bastoncelli, perché la rigenerazione della rodopsina continua per altri 15-20 minuti dopo che i coni hanno raggiunto il massimo della sensibilità. La convergenza neurale come base della differenza tra la visione dei coni e quella dei bastoncelli - Il fatto che i bastoncelli siano superiori ai coni rispetto alla visione con luce debole dipende anche da differenze nelle connessioni nervose che collegano i due tipi di fotorecettori ai neuroni del nervo ottico. ∙ Sia i coni che i bastoncelli formano sinapsi con piccoli neuroni, detti cellule bipolari, che a loro volta sinaptano su neuroni più grandi, le cellule gangliari. ∙ Il corpo delle cellule gangliari è compreso entro la retina, ma i loro lunghi assoni danno origine al nervo ottico. La retina contiene anche altri tipi di neuroni, e le connessioni nervose retiniche formano una rete assai complessa. 70 - La visione cromatica oltre ad identificare gli oggetti grazie a lunghezze d’onda differenti, ci permette di distinguere l’intensità, che noi percepiamo come luminosità diversa. L’esaltazione del contrasto di luminosità - Gli oggetti risultano definiti soprattutto dal loro contorno, cioè da linee di contrasto originate dalla giustapposizione di due differenti gradazioni di luminosità. - La differenza di luminosità che il nostro sistema visivo riesce a rilevare fra due stimoli adiacenti è superiore a quella che verrebbe registrata da uno strumento capace di misurare l’effettiva differenza fisica nella luminosità dei due stimoli. - Kuffler scoprì che il campo recettivo della maggioranza delle cellule gangliari consiste di due porzioni, una di tipo on, in cui lo stimolo luminoso fa aumentare l’attività nervosa della cellula, e una di tipo off, la cui stimolazione fa invece diminuire l’attività neurale. ∙ Le aree on e off del campo sono circolari e concentriche, e il centro del campo recettivo di una cellula gangliare è circondato da una corona di tipo opposto. La codificazione dell’orientamento di elementi in contrasto di luminosità - Per identificare gli oggetti dobbiamo essere in grado di rilevare anche l’orientamento, ovvero l’inclinazione, delle aree di contrasto. - Hubel e Wiesel scoprirono che i campi recettivi dei neuroni della corteccia visiva primaria non hanno un’organizzazione circolare, ma consistono in regioni di forma allungata in cui aree on e off decorrono parallele per tutta la lunghezza del campo. ∙ Queste cellule sono maggiormente sensibili quando il margine tra una zona più luminosa e una più scura si allinea esattamente con il limite tra l’area on e quella off del campo recettivo. - Queste cellule producono il massimo di risposta quando il margine, o la striscia di luce, ha lo stesso orientamento dell’asse longitudinale del campo recettivo. ∙ Questi neuroni sono in grado d’individuare l’orientamento di ogni area di contrasto luminoso presente in una scena visiva. La codificazione della frequenza spaziale - I neuroni studiati da Hubel e Wiesel sono sensibili anche alla frequenza spaziale. In un pattern costituito da elementi visivi che si ripetono regolarmente (fili d’erba o mattoni), la frequenza spaziale è il numero di ripetizioni per unità di lunghezza nell’immagine retinica. ∙ Il meccanismo per distinguere una frequenza spaziale dall’altra si fonda su campi recettivi con aree on e off di larghezza diversa. - Gli elementi ripetuti costituiscono quella che viene anche definita la grana visiva (o tessitura) di un oggetto. Gli oggetti che compongono il nostro mondo visivo differiscono rispetto alla loro grana, e i neuroni sensibili alla frequenza spaziale funzionano nel modo ideale per codificare l’informazione relativa a tali differenze. L’interpolazione di superfici - Il nostro sistema visivo sembra rispettare la seguente regola: In assenza di informazioni che indichino il contrario, assumere che una data area di una scena visiva sia dello stesso colore, luminosità e grana delle aree circostanti. ∙ Questo processo d’integrazione è chiamato interpolazione di superfici. - E’ probabile che l’interpolazione di superfici aumenti il grado di efficienza della visione normale rispetto a quello che sarebbe altrimenti. ∙ I neuroni visivi non sono costretti a identificare costantemente ogni singolo punto del campo visivo. 71 Oltre la corteccia visiva primaria: i due canali per l’elaborazione dell’informazione visiva - I neuroni di cui abbiamo parlato prima sono localizzati nella corteccia visiva primaria, situata nella regione più posteriore del lobo occipitale, ma questa è soltanto la prima stazione che presiede all’elaborazione dell’informazione visiva. ∙ Da questa stazione partono impulsi diretti a molte altre aree in cui l’informazione visiva viene elaborata. - Le varie aree visive della corteccia sono specializzate nell’elaborazione di diversi tipi d’informazione. ∙ La corteccia visiva primaria contiene neuroni che rispondono a tutte le caratteristiche salienti dello stimolo visivo; ma a livello delle stazioni successive le differenti caratteristiche dello stimolo si separano e vengono dirottate su diverse vie. - Due studiosi hanno avanzato l’ipotesi che le aree visive successive a quella primaria costituiscano due vie, o <<canali>>, relativamente distinte. ∙ Un canale è diretto alla regione inferiore del lobo temporale ed è specializzato nell’elaborazione dell’informazione necessaria per identificare gli oggetti; l’altro, che entra nel lobo parietale, è specializzato nel mantenimento di una mappa dello spazio tridimensionale, utilizzata per localizzare gli oggetti nello spazio e per guidare i movimenti in base agli input visivi. ∙ In base alle loro funzioni, i due canali vengono indicati come via <<what>> e via <<where>>. Un sistema cerebrale deputato all’identificazione degli oggetti: la via <<what>> - I neuroni che formano la via <<what>>, localizzati nella porzione inferiore dei lobi occipitale e temporale, rispondono selettivamente alle caratteristiche degli stimoli visivi, come il colore e la forma, più cruciali per l’identificazione di un oggetto. - Le persone con lesioni bilaterali a livello di specifiche componenti della via <<what>> di solito sono ancora in grado di vedere gli oggetti, ma non di attribuire un preciso significato a ciò che vedono; questa condizione viene definita agnosia visiva. ∙ Le persone con agnosia visiva per le forme possono vedere che qualcosa è presente nel loro campo visivo e persino identificare alcuni elementi come il colore e la luminosità, ma non riescono a percepire la forma dell’oggetto. ∙ Le persone con agnosia visiva per gli oggetti sono in grado di vedere e di disegnare le forme di un oggetto, ma non di identificare l’oggetto stesso. - La percezione visiva di un oggetto implica una sequenza di processi distinti. Per prima cosa vengono colti e analizzati i singoli elementi sensoriali, questi vengono poi raggruppati dall’attività cerebrale in forme basilari, infine le forme vengono organizzate in un tutto unico e integrato, riconosciuto come un particolare oggetto. - Sappiamo che esiste uno speciale meccanismo cerebrale che ci permette di riconoscere i visi. ∙ Le prove vengono dall’esistenza di una condizione definita prosopoagnosia, cioè l’incapacità di riconoscere le facce delle persone. Un sistema celebrale per localizzare gli oggetti e per guidare le azioni: la via <<where>> - Danni bilaterali alle strutture cerebrali che compongono la via <<where>>, localizzate nelle regioni superiori dei lobi occipitale e parietale, interferiscono con la capacità di localizzare gli oggetti e di guidare in modo opportuno le azioni di un individuo. ∙ Le persone con questo danno sono in grado di identificare gli oggetti, ma perdono la capacità di percepirne le relazioni spaziali e valutarne le distanze. - Il canale del <<dove>> è un sistema visivo deputato alla guida delle azioni. 72 - La via <<where>> è sensibile sia alla forma che alla localizzazione spaziale degli oggetti , benché non contribuisca alla percezione conscia delle forme. La percezione di pattern e il riconoscimento di oggetti - La maggior parte degli studiosi che si occupano di psicologia della percezione ritiene che la percezione degli oggetti sia una particolare forma di soluzione inconscia di problemi (problem solving), in cui l’informazione sensoriale derivante dagli oggetti fornisce indizi che vengono analizzati tramite concetti già presenti nella mente della persona. ∙ I processi mentali coinvolti nella percezione sono classificati in due categorie: i processi dal basso in alto (bottom-up), o processi guidati dai dati in ingresso, ovvero i processi che registrano e integrano l’informazione sensoriale; i processi dall’alto in basso (top-down), o processi guidati dai concetti, che sono tutti i processi che per interpretare l’informazione sensoriale utilizzano conoscenze preesistenti. - La percezione di un oggetto richiede un’interazione fra i processi di entrambe le categorie. ∙ I processi dal basso in alto registrano un insieme di caratteristiche elementari della scena visiva: linee, angoli, colori ecc. ∙ I processi dall’alto in basso, utilizzando sia conoscenze personali preesistenti relative agli oggetti sia le aspettative dell’osservatore in merito a quali oggetti hanno più probabilità di essere presenti in quel momento, effettuano un’analisi preliminare delle caratteristiche dell’oggetto osservato e formulano l’ipotesi che si tratti di quell’oggetto. ∙ In risposta all’ipotesi, i processi dal basso in alto integrano le caratteristiche sensoriali in modo tale da poter verificare l’ipotesi formulata. ∙ I processi di elaborazione dall’alto in basso mettono a confronto le caratteristiche così integrate con l’informazione contenuta nella memoria, relativamente all’aspetto esteriore di quel determinato oggetto, e confermano l’ipotesi. Integrazione dell’informazione sensoriale in pattern coerenti La teoria dell’integrazione delle caratteristiche fisiche della Treisman - Per spiegare i primi processi percettivi nell’elaborazione bottom-up, Anne Treisman ha avanzato la cosiddetta teoria dell’integrazione delle caratteristiche fisiche (feature-integration theory). ∙ Qualunque stimolo consiste di un certo numero di caratteristiche sensoriali primarie, come il colore o l’inclinazione delle singole linee. ∙ Per arrivare a percepire lo stimolo come un’entità integrata, il nostro sistema percettivo deve prima rilevare le singole qualità, quindi integrarle in un insieme unico; questo processo avviene in modo sequenziale, in due fasi diverse. - La prima fase, l’identificazione delle caratteristiche fisiche, è automatica ed implica la cosiddetta elaborazione in parallelo, termine che indica processi che si applicano simultaneamente a tutte le componenti di uno stimolo complesso. - La seconda fase, l’integrazione delle caratteristiche, è meno automatica e sfocia nella percezione cosciente di oggetti e pattern visivi quali entità intere, fornite di una precisa organizzazione nello spazio. ∙ Questa fase implica un’attività mentale detta elaborazione seriale, poiché si applica prima agli elementi presenti in una data posizione dello spazio per poi passare ad analizzare un’altra posizione. Le prove sperimentali a sostegno della teoria della Treisman - In un immagine con linee verticali verdi e rosse, l’unica linea obliqua viene individuata senza alcuno sforzo (pop out). 75 - Le distinzioni più fini devono essere apprese attraverso un’esperienza pratica in cui quella particolare discriminazione assume grande importanza. ∙ Per spiegare questo processo di apprendimento Eleanor Gibson sviluppò la teoria delle caratteristiche distintive. Noi apprendiamo a rilevare le caratteristiche distintive degli oggetti, ovvero quelle caratteristiche che più chiaramente differenziano un certo oggetto da un altro con cui potrebbe essere confuso. - Il tipo di caratteristiche che apprendiamo a notare dipende dal tipo di distinzione che dobbiamo operare. ∙ Una persona abituata a lavorare con un certo tipo di oggetto, riesce a distinguere facilmente un oggetto da un altro. ∙ Il difficile spesso sta nello spiegare con qualche criterio si riesca a differenziale tali oggetti. Il riconoscimento degli oggetti in base al contesto - Il nostro riconoscimento degli oggetti dipende anche da altri stimoli, i quali danno origine ad un contesto che può ingenerare in noi l’aspettativa che un determinato oggetto sia presente, o viceversa. ∙ Gli oggetti vengono identificati con maggior rapidità e precisione quando sono visti nel loro contesto abituale piuttosto che in un contesto insolito. Il riconoscimento degli oggetti in base al movimento - Nel mondo reale molte delle cose che osserviamo si muovono, e il loro movimento ci aiuta a identificarle. ∙ Nell’identificazione delle persone e degli oggetti animati, la nostra capacità di percepire sottili differenze nei pattern in movimento ha un ruolo fondamentale. La visione tridimensionale e la percezione delle costanze visive - Gli oggetti occupano una posizione e si muovono in uno spazio definito da tre dimensioni. ∙ Le immagini messe a fuoco sulla nostra retina piatta, bidimensionale, contengono tutta l’informazione necessaria alla nostra percezione dello spazio tridimensionale. - Helmholtz sosteneva che la percezione non può essere ridotta a risposta passiva del sistema visivo alla luce che colpisce i nostri occhi, ma che deve essere considerata un processo mentale attivo. - La percezione visiva è sempre il prodotto di un processo d’inferenza: noi deduciamo le caratteristiche e la posizione degli oggetti da indizi che ricaviamo dalla luce da essi riflessa, e in queste inferenze consistono le nostre percezioni. ∙ Le persone non sono consapevoli di eseguire dei calcoli mentre guardano e percepiscono gli oggetti; Helmholtz coniò il termine inferenza conscia per indicare i processi mentali che sottostanno alla percezione. Gli indizi per la percezione della profondità Gli indizi binoculari - La percezione più accurata della profondità si ha guardando con entrambi gli occhi. - Un vantaggio sta nella convergenza oculare, ovvero nello spostamento dell’asse oculare verso il centro, che si verifica quando guardiamo un oggetto vicino. ∙ Quanto più vicino è l’oggetto, tanto più gli occhi devono convergere per riuscire a guardarlo. - L’altro indizio è la disparità retinica, cioè la leggera differenza di visione che i due occhi hanno dello stesso oggetto o della stessa scena. ∙ Il grado di disparità tra i due occhi può fungere da indizio per valutare la distanza di un oggetto. 76 ∙ Il nostro cervello opera una funzione tra le immagini dei due occhi, generando la percezione della profondità. Le illusioni di profondità generate dalla disparità retinica - La capacità di percepire la profondità tramite l’indizio della disparità retinica, la cosiddetta visione stereoscopica, fu dimostrata da Charles Wheatstone, che si pose il problema di scoprire cosa sarebbe successo guardando simultaneamente due disegni di un oggetto, ciascuno rappresentante l’oggetto visto da ogni occhio. ∙ Per far ciò inventò lo stereoscopio. Le due immagini si fondevano in un’unica immagine dotata di profondità. - Si può ottenere una simile illusione sovrapponendo in un unico spazio due pattern ripetitivi di puntini leggermente spostati l’uno rispetto all’altro, tali che in alcune regioni lo spostamento dei puntini sia più accentuato che in altre. ∙ Si ha così un’illusione di profondità. Queste immagine sono state chiamate autostereogrammi. Gli indizi monoculari - Un importante indizio monoculare della profondità è la parallasse del moto, ovvero il fenomeno per cui la percezione visiva di una scena o di un oggetto cambia quando la nostra testa si muove rispetto alla scena o all’oggetto. - E’ simile alla disparità retinica, infatti quest’ultima a volte viene chiamata parallasse binoculare. ∙ Il termine parallasse indica l’apparente cambiamento di una scena o di un oggetto quando li si osserva da un’angolazione diversa. - Tutti gli indizi monoculari sono validi ai fini della percezione della profondità, e sono definiti indizi pittorici di profondità. Guardando la figura 8.38: ∙ L’occlusione. Oggetti più vicini che s’interpongono impediscono la vista di oggetti più distanti. ∙ Le dimensioni relative delle immagini di oggetti familiari. L’immagine dell’uomo pare più grande della casa; sappiamo che le persone non sono più alte delle case, quindi assumiamo l’apparente maggior grandezza dell’uomo come indizio del fatto che deve essere più vicino all’osservatore di quanto non sia la casa. ∙ La prospettiva lineare. Le linee laterali convergono man mano che si procede verso il fondo. All’aumentare della distanza, le linee parallele sembrano convergere. ∙ Il gradiente di tessitura. Gli elementi che costituiscono la tessitura, o grana visiva, dell’immagine, diventano gradualmente più piccoli e più densamente raggruppati verso il fondo dell’immagine. La graduale diminuzione nella grandezza e nella spaziatura degli elementi della grana visiva sono indici di maggiore profondità. ∙ La posizione rispetto all’orizzonte. Gli oggetti più vicini all’orizzonte appaiono più distanti degli oggetti che sono invece sopra o sotto la linea dell’orizzonte. ∙ L’illuminazione differenziale delle superfici. La quantità di luce riflessa dalle diverse superfici varia sia in funzione dell’orientamento di ogni superficie rispetto al sole, sia in funzione delle ombre. Il fatto che parte della superficie di un oggetto sia più scuro rispetto ad un’altra, conferisce all’oggetto un aspetto tridimensionale, che aiuta a capire quale delle due parti sia più lontana. Il ruolo degli indizi di profondità nella percezione della grandezza - La capacità di valutare la grandezza di un oggetto è collegata alla capacità di valutarne la distanza. La grandezza dell’immagine retinica prodotta da un oggetto è inversamente proporzionale alla sua distanza dalla retina; noi vediamo l’oggetto come più lontano. ∙ La capacità di percepire le dimensioni di un oggetto come costanti viene chiamata costanza di grandezza. 77 L’elaborazione inconscia della profondità come causa di illusioni ottiche della grandezza - Nell’illusione di Müller-Lyer e nell’illusione di Ponzo, due linee orizzontali appaiono di lunghezza differente, ma in realtà sono identiche. ∙ Secondo la teoria dell’elaborazione degli indizi di profondità, in queste illusioni uno degli oggetti appare più grande dell’altro per via di indizi della distanza che portano a giudicarlo come più lontano. L’illusione della luna - La luna appare molto grande quando è vicina all’orizzonte terrestre, mentre sembra molto più piccola quando è allo zenit. - Il nostro sistema visivo non si è evoluto per valutare distanze enormi come quella che separa la luna dalla terra, quindi la valutazione della sua distanza avviene in relazione ad oggetti terrestri più familiari. ∙ In genere gli oggetti che vediamo vicini all’orizzonte terrestre sono più distanti di quelli che vediamo sulla nostra perpendicolare. Il nostro sistema percettivo assume che quando è all’orizzonte la luna sia più lontana di quando è allo zenit, anche se in realtà la distanza è la stessa. - Le valutazioni che portano a percepire come più grande la luna all’orizzonte potrebbero essere: ∙ Processi inconsci portano a formulare il giudizio che la luna è più lontana del solito. ∙ Processi inconsci formulano il giudizio che la luna è più grande del solito. ∙ Il giudizio che la luna appare più grande del solito raggiunge il livello della coscienza; di qui il giudizio conscio che debba essere più vicina del solito. I due approcci teorici alla percezione delle costanze visive - Il nostro sistema percettivo si serve delle informazioni relative alle relazioni tra le varie parti di una scena visiva per percepire la distanza, la grandezza e il movimento di una data parte. ∙ Per interpretare la capacità del sistema percettivo di servirsi di queste relazioni, sono state studiate la teoria dell’inferenza inconscia e la teoria della percezione diretta. - E’ stato studiato il modo in cui ciascuna di queste teorie affronta tre costanze visive, ovvero quelle caratteristiche degli oggetti che appaiono costanti, nonostante l’immagine retinica si modifichi al variare delle condizioni di osservazione. Tra le costanze visive troviamo: ∙ la costanza di grandezza, ovvero l’effetto per cui un oggetto pare mantenere inalterate le proprie dimensioni, sebbene quelle dell’immagine retinica si modifichino in seguito allo spostarsi dell’oggetto. ∙ la costanza di forma, cioè l’effetto per cui un oggetto viene percepito di uguale forma, benché quella dell’immagine retinica cambi quando l’oggetto subisce una rotazione nello spazio. ∙ la costanza di luminosità (o costanza del biancore), vale a dire il fenomeno per cui gli oggetti bianchi, grigi o neri sembrano mantenere costante il grado con cui appaiono chiari o scuri anche quando la quantità di luce che l’oggetto riflette cambia al variare della quantità di luce incidente su di esso. La teoria di Helmholtz dell’inferenza inconscia - L’approccio teorico basato sull’inferenza inconscia postula che la percezione implichi un processo di soluzione di problemi che rimane a livello inconscio. ∙ L’input sensoriale fornisce indizi utilizzati dal cervello per ricavare la distanza, le dimensioni, il movimento e le altre caratteristiche. - In un’immagine con due oggetti di ugual grandezza in prospettiva, il cervello per prima cosa utilizza gli indizi di profondità per valutare la distanza dell’oggetto, quindi si serve di questa 80 CAP 9 MEMORIA E COSCIENZA - Spesso la memoria è interpretata come quel cambiamento che si verifica in un individuo in conseguenza di un apprendimento che è in grado di influenzarne il comportamento. È intimamamente connessa all’apprendimento. È una funzione psichica molto complessa che ha a che fare con la costruzione del passato, del presente e delle nostre aspettative verso il futuro, risente in modo significativo di fattori interni ed esterni. - Coscienza è la capacità di esperire i propri eventi mentali in modo tale da poterli descrivere ad altre persone. In questo caso coscienza e consapevolezza sono sinonimi. Un modello generale: la mente come sistema per l’elaborazione delle informazioni Gli psicologi cognitivisti descrivono la memoria come l’insieme di tutte le info contenute nella mente, e la capacità dello stesso di immagazzinare e recuperare tale info. Lo schema generale più utilizzo in psicologia per rappresentare la complessità funzionamento della mente è il cosìddetto modello modale secondo cui la mente si suddivide in magazzini di memoria. - Nella terminologia cognitivista le teorie vengono definite modelli. ∙ Questi modelli si propongono di descrivere il funzionamento e le caratteristiche generali di ciascun compito, in modo da poter trarre previsioni affidabili circa il comportamento che le persone esibiranno in particolari condizioni ambientali. Le prime proposte degli anni 60 di tale modello sono attribuibili a Atkisnson e Shriffin, che rappresenta il quadro di riferimento generale su cui riflettere sull’organizzazione della mente. Ciascun tipo di deposito è caratterizzato da una propria funzione, da una propria capacità e da una propria durata: memoria sensoriale, memoria di lavoro (o a breve termine) e memoria a lungo termine. Il modello prevede, oltre ai magazzini, i ∙ Il modello specifica una serie di processi di controllo, quali l’attenzione, la ripetizione, la codificazione e il recupero. MODELLO ATKINSON E SRIFFRIN DELLE TRE MEMORIE: La memoria sensoriale - Il sistema di elaborazione delle informazioni mantiene per un breve periodo una traccia dell’input sensoriale, anche quando non si sta prestando attenzione. Questa traccia e la capacità di trattenerla sono definite memoria sensoriale. - Esiste una memoria sensoriale per ogni sistema sensoriale: Ogni deposito sensoriale trattiene, per un tempo molto breve, tutti gli input che entrano in quello specifico sistema sensoriale. La funzione di questo magazzino è quella di trattenere l’informazione sensoriale abbastanza a lungo da permettere a processi mentali inconsci di analizzarla e di operare la scelta se trasferirla o meno al deposito successivo. Kaneklin distingue ML, MBT e MLT?? MBT: conservaizone immediata dei contenuti percettivi che eprmangono a livello di consapevolezza per pochi secondi. Miller nel 1956pubblicò a tal proposito il lavoro sul magino numero 7”, introducendo il concetto di chunk (raggruppamento). La MBT è utlizzata nella lettura, per superare i brevissimi intervalli tra una parola e l’altra. La memoria di lavoro 81 La working memory è un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell’info durante l’esecuzione di differenti compiti cognitivi come l’apprendimento, la comprensione, il raggionamento (Baddley, 1986). Parte dell’informazione elaborata nel deposito sensoriale passa nel secondo comparto della mente, la memoria di lavoro, il comparto principale dell’elaborazione mentale. La memoria di lavoro è anche la sede del pensiero conscio, ovvero di tutte le percezioni, i sentimenti, i confronti, i calcoli e i ragionamenti di cui siamo coscienti. L’informazione può entrare nella memoria di lavoro provenendo sia dal deposito sensoriale sia dal deposito a lungo termine. Entrambe le fonti di input contribuiscono al flusso continuo di pensiero conscio che costituisce il contenuto della memoria di lavoro. La memoria a lungo termine Caratterizzata da una conservaizone permanentenel tempo di moltissime info. Una volta passata dalla memoria sensoriale alla memoria di lavoro, un’informazione può essere codificata nella memoria a lungo termine. In questo comparto è contenuta una rappresentazione di tutto ciò che una persona sa; le informazioni sono quiescenti finché non vengono richiamate nella memoria di lavoro e utilizzate. La memoria a lungo termine è passiva, duratura e con capacità illimitata, mentre quella di lavoro è attiva, di breve durata e ha una capacità tendenzialmente limitata. In questo sitsema sono conservate le nostre conoscenze, le esperienze di vario tipo, le procedure per fare certi compiti, così come la programmazione di azioni future. I processi di controllo Secondo la teoria modale il flusso dell’informazione da un comparto della memoria a un altro è regolato da vari processi di controllo: l’attenzione, la codificazione e il recupero. ∙ L’attenzione è il processo che controlla il flusso delle informazioni dal deposito sensoriale alla memoria di lavoro. L’attenzione riduce il flusso dal primo al secondo comparto. ∙ La codificazione è il processo che controlla il passaggio delle informazioni dalla memoria di lavoro a quella a lungo termine. ∙ Il recupero è il processo che controlla il flusso delle informazioni dal magazzino a lungo termine alla memoria di lavoro. Il recupero corrisponde a ciò che noi intendiamo per ricordare. La memoria sensoriale e l’attenzione: il portale di accesso alla coscienza I suoni, le scene e ogni altro simbolo che colpisce i nostri sensi entrano tutti per breve tempo nella memoria sensoriale, ma solo alcuni passano nella memoria di lavoro, dove entrano nel flusso del nostro pensiero conscio. E’ il processo dell’attenzione a determinare quali fra i tanti stimoli varcheranno quella soglia. La memoria sensoriale come magazzino su cui si può dirigere l’attenzione La memoria sensoriale visiva: l’icona La memoria sensoriale relativa alla visione è detta anche memoria iconica, poiché la traccia di breve durata prodotta da uno specifico stimolo visivo è detta icona. Erisken e Collins scoprirono che la sovrapposizione di due icone produce un effetto paragonabile a quello della sovrapposizione di due figure. Crearono coppie di insiemi di punti, che singolarmente sembravano punti disposti a caso, ma se venivano sovrapposte le due immagini si riusciva a leggere una sillaba di tre lettere. Presentate le immagini una dopo l’altra, quasi tutti i soggetti riuscivano a leggere la sillaba. Aumentando però l’intervallo di tempo della presentazione delle immagini (fino a 0,3 secondi), i soggetti capaci di percepire la sillaba diminuivano. 82 Non siamo consapevoli della memoria iconica; i nostri occhi spostano lo sguardo da un punto all’altro della scena visiva mentre l’immagine prodotta da ogni nuovo punto fissato blocca la percezione conscia dell’icona relativa al punto fissato un attimo prima, così che nella nostra mente le due immagini non si sovrappongano. La memoria iconica conserva la traccia dell’informazione sensoriale per il breve spazio di tempo necessario agli occhi per spostare il fuoco da un punto ad un altro: questo per integrare l’informazione e di percepire sia le costanze che i cambiamenti nella scena davanti a noi. La memoria sensoriale uditiva: l’eco La memoria sensoriale relativa all’udito è definita memoria ecoica, poiché la traccia prodotta da un particolare suono è detta eco; la sua durata può arrivare fino a 8-10 secondi. Il fatto che la memoria ecoica abbia una durate relativamente lunga è importante per i processi di comprensione del linguaggio. La memoria ecoica non è semplicemente un magazzino passivo, ma al suo interno l’informazione sensoriale può essere modificata- antecedentemente rispetto al suo ingresso nella coscienza- in modo da produrre costrutti dotati di significato. La natura selettiva dell’attenzione L’attenzione è un processo selettivo; solo alcuni input vengono selezionati per passare nella memoria di lavoro, dove sono percepiti ed elaborati in modo conscio dai processi mentali. Nel modello generale dell’attenzione, esiste un selettore tra la memoria sensoriale e la memoria di lavoro, che seleziona gli elementi d’informazione utili. Tale analisi avviene a livello inconscio ed è chiamata elaborazione preattentiva. Avviene un confronto tra i contenuti della memoria sensoriale e le informazioni già presenti nella memoria di lavoro e in quella a lungo termine. In alcuni modelli, il processo preattentivo si applica unicamente alle caratteristiche fisiche degli stimoli e non al loro significato. In questo caso, il comparto postattentivo (la memoria di lavoro) non equivale alla coscienza; ma l’elaborazione avviene a livello inconscio o semiconscio, e solo una parte diventa poi pienamente conscia. Secondo altre teorie, gli stimoli sarebbero elaborati da processi preattentivi rispetto al significato, e tutta l’informazione che passa diverrebbe poi cosciente. L’ascolto selettivo Il fenomeno del cocktail party è la capacità di udire e comprendere la voce di una particolare persona ignorando le voci intorno. L’ombreggiatura, cioè il ripetere immediatamente le parole di un particolare soggetto, è migliore quando la voce da selezionare è differente dalle altre, e quando proviene da una fonte differente dalle altre. Non si nota invece molta differenza quando la voce da ombreggiare è nella lingua madre del soggetto o no, oppure quando il discorso non ha senso compiuto. Broadbent sviluppò la teoria del filtro, paragonando il processo selettivo dell’attenzione a una sorta di filtro. Nella fase di elaborazione preattentiva tutti i suoni che colpiscono l’orecchio e le immagini che colpiscono l’occhio, vengono analizzate soltanto rispetto alle loro caratteristiche fisiche e filtrate con questo criterio. Anche il significato del messaggio disatteso viene in qualche modo recepito. La visione selettiva Possiamo dirigere selettivamente l’attenzione su porzioni diverse e vicine del campo visivo anche senza muovere gli occhi. In un esperimento, i soggetti dovevano tenere lo sguardo fisso su un punto dello schermo, mentre venivano passate diapositive contenenti due immagini sovrapposte 85 ∙ La ripetizione di codificazione è il processo per cui l’informazione viene codificata nel deposito a lungo termine. Le attività necessarie per la codificazione sono l’elaborazione, l’organizzazione e la visualizzazione. L’elaborazione Gran parte di ciò che apprendiamo e ricordiamo nella nostra esistenza quotidiana non è dovuto a uno sforzo cosciente di memorizzazione, ma piuttosto al fatto che quell’informazione ha catturato il nostro interesse e stimolato il nostro pensiero. Questo processo è definito elaborazione, o ripetizione elaborativa. Il fine non è quello di memorizzare, ma di capire; sforzarsi di comprendere qualcosa rappresenta il modo più efficace per codificarlo nella memoria a lungo termine. Le tecniche mnestiche incentrate sulla ripetizione elaborativa sfruttano la tendenza umana a ricordare le informazioni che si conformano a qualche tipo di logica, anche fittizia. Prove sperimentali dell’importanza dell’elaborazione Le persone riescono meglio a ricordare un’informazione quando essa è presentata in un contesto pertinente che probabilmente stimola il pensiero ad elaborarla. Istruzioni per elaborare l’informazione possono migliorare le capacità di ricordare persino parole scollegate. La capacità di ricordare parole migliora quando si mette in relazione il significato del termine con le esperienze personali del soggetto (le alternativa proponevano elaborazione del “carattere di stampa, e sul suono). Negli studenti la ripetizione elaborativa correlava con rendimento più alti. - Per migliorare la tecnica di studio: ∙ Non sottolineare o ricopiare i passaggi del libro, ma porsi domande sul contenuto, focalizzando l’attenzione sulle idee. ∙ Porsi delle domande man mano che si studia. ∙ Annotare riflessioni personali. L’organizzazione L’organizzazione delle informazioni è una forma di elaborazione, dal momento che le informazioni devono essere attivamente rielaborate dal pensiero e non semplicemente ripetute. Il raggruppamento (chunking) Il raggruppamento è un modo per aumentare l’efficienza della memorizzazione, e consiste nel raggruppare in un unico costrutto informazioni che sono state percepite come singoli item separati (Miller). E’ uno strumento utile perché fa diminuire il numero di item da ricordare e aumenta il significato contenuto d’informazione di ciascun item, aiutando la codificazione nella mlt.. Il ruolo del raggruppamento nella memoria degli esperti Di solito la formazione di ricordi a lungo termine risulta molto più facile quando si elaborano informazioni relative a un campo in cui si è molto esperti. Per spiegare questo fenomeno è stata proposta l’esistenza di uno speciale tipo di memoria a lungo termine, la memoria di lavoro a lungo termine (Ericson Delaney, 1999). Questa sarebbe una memoria per insiemi di item intercorrelati e avrebbe un ruolo cruciale nel risolvere i problemi o nel portare a termine un compito, in termini di costrutto informazionale. Il raggruppamento ha un ruolo molto importante nella formazione dei ricordi a lungo termine. Es giocatore esperto di scacchi Chase e Simon. L’importanza dell’organizzazione gerarchica 86 In un ordinamento gerarchico gli item tra loro correlati sono raggruppati in categorie, le categorie a loro volta sono riunite in categorie d’ordine superiore e così via. L’organizzazione gerarchica dei contenuti si trova nell’impostazione dei libri di testo ad esempio. La visualizzazione Tra le capacità della mente umana vi è anche quella di memorizzare a lungo termine immagini in forma non verbale; questi contenuti possono poi essere richiamati nel taccuino visuo-spaziale della memoria di lavoro. Allan Paivio sviluppò la teoria della doppia codifica per descrivere la relazione fra rappresentazione mentale e memoria. Le informazioni sono depositate nella memoria a lungo termine in due forme che implicano due codici distinti: un codice linguistico e un codice visivo. Secondo Paivio è possibile migliorare le nostre capacità mnestiche codificando simultaneamente le informazioni in entrambi questi registri di memoria. Ad esempio venivano ricordate più facilmente nomi di oggetti concreti che non di oggetti astratti. La visualizzazione può anche facilitare la codificazione delle informazioni presentate in forma verbale, poiché crea nuove possibilità di elaborazione e di raggruppamento; dovendo visualizzare una parola dobbiamo anche elaboranrne il significato. La visualizzazione si dimostra efficace nell’apprendimento di coppie associate, una procedura in cui i soggetti devono imparare coppie di vocaboli associati. - Il metodo della parola chiave, utile per facilitare l’apprendimento di vocaboli stranieri, prevede di associare alla parola straniera un termine della propria lingua madre facile da visualizzare e il cui suono ricorda quello del vocabolo straniero, creando un’immagine mentale che combino le due parole. Il recupero dell’informazione dalla memoria a lungo termine Una volta che è stata codificata nella memoria a lungo termine, un’informazione può essere oppure non essere disponibile per un suo successivo utilizzo quando ce ne sia bisogno. Il ruolo del tempo Il tempo è un fattore di primaria importanza per il ricordare o il dimenticare. n una teoria Thorndike sostiene che i ricordi svaniscono o si deteriorano gradualmente se non vengono usati. Unno dei problemi della teoria del decadimento è che non vi è modo di sottoportla a verifica in quanto non vi è prova che un ricordo si andato perduto; inoltre non si spiega come un anziano ricordi dettagliatamente eventi di 40 anni fa e non i più recenti. in opposizione alla t del decadimento vi sono altre teorie: ∙ Le teorie dell’interferenza, secondo le quali gli altri contenuti della memoria a lungo termine possono interferire con la capacità di recuperare una certa informazione; ∙ Le teorie degli indizi per il recupero, che fanno dipendere il recupero dalla presenza di indizi opportuni (richiami). L’interferenza come causa della dimenticanza L’apprendimento di un insieme di informazioni può interferire con il ricordo di un altro insieme di informazioni. L’interferenza può essere di due tipi: ∙ L’interferenza retroattiva è prodotta da materiali appresi dopo quelli memorizzati per un test. ∙ L’interferenza proattiva è prodotta da materiali appresi prima di quelli del test. Che si studia in laboratorio attraverso liste di parole e sillabe; l’interferenza proattiva non interferiva con la velocità di apprendimento o sulla capacità immediata nell’impararla, ma porta piuttosto a dimenticarla più in fretta. Ebbinghaus approfondì eni suoi studi l’apprendimento delle sillabe senza senso. 87 Secondo una teoria, le interferenze si formerebbero perché i dati appresi separatamente con il tempo perderebbero la propria individualità e a fondersi in un unico insieme di informazioni. L’interferenza è massima quando gli elenchi appartengono alla stessa categoria, mentre non interferiscono con materiale di diversa natura. Le associazioni mentali e gli indizi per il recupero della memoria Per essere accessibile, e quindi recuperabile, l’informazione deve essere organizzata. Le categorie che vengono fornite fungono da stimoli, o da indizi per il recupero, che ci aiutano a sondare la memoria a lungo termine. Le associazioni mentali come base per il recupero Aristotele descrisse l’organizzazione della mente in termini di associazione di idee elementari. Due concetti sono associati nella mente di una persona quando il pensiero dell’uno tende a evocare il pensiero dell’altro. Aristotele propose l’esistenza di vari principi di associazione, i più importanti sono quello dell’associazione per contiguità e dell’associazione per affinità. Secondo il principio dell’associazione per contiguità certi concetti sono associati nella mente perché i loro referenti reali si sono presentati insieme all’esperienza sensoriale dell’individuo. Secondo il principio dell’associazione per affinità i contenuti affini sono associati entro la memoria, indipendentemente dal fatto che siano stati esperiti in modo contiguo. William James sottolineò che l’associazione per affinità può essere vista come un derivato del principio dell’associazione per contiguità. Modelli a rete dell’organizzazione della memoria Oggi molti psicologi cognitivi rappresentano il deposito mentale delle conoscenze come una vasta rete di concetti connessi tra loro da legami che potremmo chiamare associazioni (collegamenti). Collin e Loftus 1975 hanno sviluppato un modello inrete di organizzazione della memoria; essi osservarono che il soggetto riconosceva più velocemente la parola mela se era stata preceduta da pera, rosso, autobus. Il grado in cui una parola certa parola accelerare il ns riconoscimento riflette la forza dell’associazione mentale fra i due concetti. Questo è il modello di diffusione dell’attivazione, dove l’attivazione id un nodo innesca il diffondersi dell’attivazione dei concetti contigui in rete e l’effetto di priming è più forte tra concetti più vicini in rete. I concetti presenti al momento della codificazione diventano eccellenti indizi per il recupero Più è alto il numero di connessioni generate durante l’apprendimento di un nuovo elemento informazionale, tanto più alto sarà il numero di possibili vie per recuperare quel contenuto in un secondo tempo, dunque l’apprendimento è più efficace. - Secondo il principio della specificità di codificazione, gli stimoli o le idee prevalenti nella mente di una persona durante la codificazione originale di una certa informazione nella memoria a lungo termine, diventano gli indizi più efficaci per il suo successivo recupero. - Le persone dimostrano una straordinaria capacità di richiamare informazioni dalla memoria quando hanno la possibilità di costruirsi indizi personali per il recupero al momento della codifica dell’informazione stessa. La memoria dipendente dal contesto - Il recupero della memoria deve essere facilitato anche da indizi che erano presenti accidentalmente al momento della codificazione, e che si sono associati a tale materiale. 90 Ruolo delle strutture del lobo temporale nella codificazione entro la memoria a lungo termine esplicita - H. M., subì un intervento chirurgico al cervello come trattamento all’epilessia, ovvero la rimozione bilaterale di una porzione della corteccia del lobo temporale e di alcune porzioni sottostanti il sistema limbico. ∙ Questo gli causò un grave deficit di memoria; da questo si apprende che esiste una dicotomia nel sistema della memoria, tra la memoria a lungo termine esplicita e memoria di lavoro. - Il decifit di H. M. è la sua quasi totale incapacità di codificare nuovi ricordi nella memoria a lungo termine esplicita. Ricorda eventi accaduti prima dell’operazione, ma non appena la sua attenzione viene distratta, egli perde le informazioni a cui stava pensando. [come Leonard in “Memento”] - Questo disturbo viene chiamato amnesia del lobo temporale, e le aree più strettamente coinvolte in esso sono l’ippocampo e le strutture corticali e subcorticali strettamente connesse all’ippocampo in entrambi gli emisferi. La memoria implicita nei soggetti affetti da amnesia - I pazienti affetti da amnesia causata da danni al lobo temporale forniscono una prestazione normale in tutti i tipi di test sulla memoria implicita. ∙ Quando mediante condizionamento classico vengono indotti ad ammiccare con gli occhi in risposta a uno stimolo condizionato, producono la risposta condizionata anche nei test successivi. ∙ Sottoposti a sedute di addestramento per affinare certe abilità motorie mostrano di fare progressi di seduta in seduta e mantengono gli effetti dell’apprendimento precedente. - L’ippocampo e strutture ad esso collegato sono essenziali per una funzione della memoria molto specifica, ma importante. Separazione della memoria episodica e della memoria semantica nei pazienti affetti da amnesia - Un caso meno grave di amnesia si presenta quando il deficit nel memorizzare nuove informazioni coinvolge più la memoria episodica di quella semantica. - Questo disturbo è chiamato amnesia precoce dell’età evolutiva, e gli effetti sono un grave deficit della memoria episodica accoppiato con una memoria semantica normale. ∙ In questo caso il danno è bilaterale all’ippocampo, ma non alle strutture che lo circondano. - Le persone che hanno subito un danno alle aree prefrontali della corteccia, apprendono normalmente nuove nozioni, ma non riescono a ricordare in che occasione le hanno apprese. - La memoria episodica è scarsa nei primi anni di vita e nella tarda età; questo può essere in relazione col funzionamento della corteccia prefrontale; queste aree corticali si sviluppano più lentamente durante l’infanzia, e sono più soggette a danni durante la vecchiaia. Le metodologie di indagine Per quanto riguarda gli strumenti che possono essere utilizzati per la valutazione della memoria, esistono scale cognitive come la scala W.A.I.S., attraverso i subtest di ragionamento aritmetico e memoria di numeri. Oltre a questi sub test anche molti altri sub test della WAIS richiedono una buona memoria. Altri strumenti sono il Profilo di Rendimento Mnestico (P.R.M.) e il Reattivo delle Figure Complesse, entrambi di Rey, che analizzano rispettivamente il deterioramento della memoria e i problemi di organizzazione visuo-motoria distinguendoli dai casi di insufficienza mnemonica. Infine, il Test di Memoria Comportamentale Rivermead (R.B.M.T.), che valuta i deficit di memoria nelle attività quotidiane e permette di seguire eventuali modifiche nel tempo dei deficit mnestici di pazienti cerebrolesi dopo un eventuale lavoro di riabilitazione 91 I risvolti applicativi CANESTRARI ha cercato di sintetizzare il legame tra la memoria e i processi emotivi, evidenziando che: 1) il materiale piacevole viene ricordato meglio di quello spiacevole e neutro; 2) il materiale spiacevole viene ricordato meglio di quello neutro. Il ricordo è influenzato sia dall’intensità emotiva del materiale che dall’età, dal ruolo sociale e dalla personalità del soggetto. BOWEN, invece, ha evidenziato la connessione fra lo stato emotivo del momento in cui si memorizzano gli stimoli e le caratteristiche emotive degli stimoli. Esiste, infatti, una facilitazione mnestica nel caso in cui ci sia una concordanza emotiva fra lo stato emotivo della memorizzazione e quello della rievocazione. Le applicazioni delle teorie sulla memoria possono riguardare ad esempio il potenziamento della sua efficacia, mediante mnemotecniche mirate, sia a facilitare la memorizzazione di materiale specifico, sia ad insegnare metodi applicabili poi in più situazioni; si suddividono in tecniche di tipo verbale (rima, parola chiave) e visive (storie, associazioni visive). Il ruolo cruciale dei processi attivi di memoria può riscontrarsi nell’apprendimento di concetti astratti nei quali la reiterazione è di certo una buona strategia, ma la profondità di codifica in accordo con Craick e Lockhart può essere un’ulteriore strategia efficace per fissare le conoscenze in memoria. Le mnemotecniche sono impiegate anche in ambito pedagogico con casi di trisomia 21. In ambito clinico i disturbi di memoria sono tipici di pazienti oligofrenici, dementi, ma anche di psicotici gravi questi ultimi presentano soprattutto un deficit nella memoria a breve termine connesso alla difficoltà di attenzione verso il mondo esterno e negli alcolisti cronici dove il deficit mnemonico si inquadra in un più generale deterioramento delle funzioni mentali. In ambito giudiziario la memoria gioca un ruolo cruciale infatti, come dimostrato da LOFTUS, se nell’intervallo tra l’evento e il richiamo dell’episodio vengono date altre informazioni queste ultime possono modificare e inficiare il ricordo originale. Un’informazione ingannevole altera in maniera permanente il ricordo. CAP 10 INTELLIGENZA E RAGIONAMENTO I lineamenti generali della teoria e gli autori più significativi Quando si parla di funzioni mentali superiori ci si riferisce agli aspetti che caratterizzano la specie umana. Queste funzioni sono il linguaggio e l’intelligenza. La definizione di intelligenza comprende un insieme di capacità: buona memoria, abilità nel problem solving, attitudine a capire in fretta, arguzia, elasticità e flessibilità nell’uso di schemi mentali, ecc. Mentre tutte queste capacità sono elementi costitutivi e necessari dell’intelligenza, è anche vero che essa è una capacità o funzione ben distinta da ciascuna di tali parti prese singolarmente. Il possesso in alto grado di una sola di queste abilità, sebbene possa essere considerata un indizio valido di un buon sviluppo dell’intelligenza, non si identifica con essa. Questo significa che avere molta memoria non significa necessariamente essere molto intelligenti. Molti psicologi preferiscono dare una definizione empirica di intelligenza cioè legata a delle verifiche materiali e alla traduzione di tali verifiche in punteggi e misure oggettive. STERN afferma che “l’intelligenza è la capacità generale di adattare il proprio pensiero e la propria condotta di fronte a condizioni e situazioni nuove”. La misura dell’intelligenza viene quindi proposta come misura della plasticità degli schemi logici e comportamentali. CLAPAREIDE definisce l’intelligenza “la capacità di risolvere, con l’aiuto del pensiero, dei problemi nuovi”. Da questa definizione discende una misura dell’intelligenza in termini di abilità nel problem solving. Secondo PIAGET l’intelligenza è una forma di adattamento 92 all’ambiente la cui funzione principale è quella di accrescere gli scambi positivi tra il mondo circostante e l’organismo, in modo da favorire la conservazione di quest’ultimo. Piaget considera l’intelligenza come il risultato dell’interazione tra assimilazione e accomodamento. L’intelligenza è assimilazione in quanto incorpora nei propri schemi i dati dell’esperienza ed è accomodamento perché gli schemi attuali vengono modificati per adattarli ai nuovi dati. L’assimilazione tende alla conservazione, mentre l’accomodamento tende al cambiamento. Queste due funzioni complementari, che garantiscono l’equilibrio tra continuità e novità, determinano l’adattamento dell’organismo all’ambiente. L’intelligenza è considerata la forma più alta di adattamento, in cui si raggiunge un equilibrio migliore, mentre altri tipi di adattamento, come quelli senso motori, rappresentano una forma di adattamento instabile. Altri autori, tra cui WERTHEIMER, sottolineano che l’intelligenza permette di ristrutturare i dati di un problema o di una percezione e che quindi l’intelligenza non è solo di tipo logico-analitico, ma anche di tipo sintetico, intuitivo e creativo. La Teoria della Gestalt, partendo da una visione della mente come totalità organizzata ha permesso di sviluppare ricerche sul ragionamento e sui processi di soluzione dei problemi. Per intelligenza creativa si intende la capacità di immaginare un’ alternativa non banale nella percezione o uso di qualcosa. Nell'ambito della psicologia si distingue un pensiero riproduttivo (riproduzione di schemi comportamentali e strategie risolutive acquisite nel passato) e un pensiero produttivo (capace di creare una soluzione nuova attraverso una ristrutturazione cognitiva della soluzione problematica). A consentire questa ristrutturazione è l'insight ovvero la percezione immediata di quelle implicazioni significative rispetto alla risoluzione del problema (soluzione di tipo convergente). L'insight consente di anticipare la soluzione, completando le informazioni mancanti o scoprendo rapporti essenziali, così come è evidenziato dagli esperimenti con gli scimpanzé di KHÖLER. STORIA In psicologia l’intelligenza viene frequentemente associata al termine di costrutto, cioè un concetto multidimensionale che ne racchiude molti altri. I problemi connessi all’identificazione alla misurazione dell’intelligenza; si dibatte tuttora sulla natura innata o acquisita, stabile o dinamico, generale o specifica. Un possibile definizione è quella di Wechsler a metà degli anni 90: secondo questo importante studioso l’intelligenza è la capacità di produrre un comportamento adattivo e funzionale al raggiungimento di uno scopo, un comportamento che affronti con successo le sfide ambientali e giunga al perseguimento degli obiettivi prefissati. Emergono tre parole chiave adattamento, successo e capacità. Rimane la controversia sulla natura generale o specifica dell’intelligenza. Tale tematica si intreccia con la questione della misurazione. Storicamente il concetto di intelligenza come abilità generale portò allo sviluppo di test di intelligenza da utilizzare a scopo pratico (scuola, datori di lavoro, arruolamento) ed è associato a ricerche che concepivano l’intelligenza come proprietà innata della mente. Galton la descrisse come una proprietà ereditaria del sn, diversa da persona a persona, che rende l’individuo più capace; Galton sperava di dimostrare le basi biologiche dell’intelligenza attribuendo le differenze individuali alla velocità di trasmissione nervosa e l’acuità sensoriale. Fallì nel dimostrare che tali variabili fossero correlate significativamente con la realizzazione sul piano intellettuale ma fu da ispirazione per le ricerche successive. Il primo test di intelligenza su larga scala fu quello di Binet e Simon nel 1905, incaricato dalla ministero della pubblica istruzione francese, per stabilire a che livello del sistema scolastico dovessero essere inseriti i bambini. In questa fase l’intelligenza era considerata una capacità innata ma allo stesso tempo un insieme di fenomeni complessi appresi nel contesti scolastico ed extrascolastico. L’intento di Binet era quello d seguire con maggiore attenzione i bambini, l’intento era più applicativo che conoscitivo. I test di Binet erano orientati a valutare abilità come il calcolo, il senso del tempo, abilità linguistiche ecc.; individuando problemi da inserire nel test attraverso un alunga procedura di selezione, comparandoli al profitto scolastico 95 intelligenza “fluida” e “cristallizzata”. La componente fluida corrisponde alla disponibilità adattiva e modificativa di schemi logici, quella cristallizzata corrisponde alla disponibilità e facilità d’uso ottimale di schemi incamerati. Con l'avvento delle Teorie Cognitive l'interesse si sposta dalle strutture generali dell'intelligenza alla componenti utilizzate nell'esecuzione di compiti minuziosamente analizzati, non più in termini di introspezione, ma attraverso le operazioni di codifica e di elaborazione dell'informazione, secondo un'impostazione modellistica. La diffusione di un approccio interdisciplinare, tipico della Scienza Cognitiva, allo studio dei processi cognitivi ha reso possibile un'integrazione e modificazione dei numerosi modelli di funzionamento cognitivo elaborati nell'ambito dell'HIP. L'affermarsi dell'approccio ecologico, nell'ambito del Cognitivismo, mette in evidenza i limiti dell'analogia mente-computer, evidenziando l'interferenza dei fattori dinamici (motivazione, struttura di personalità) dei processi cognitivi. Il modello cognitivo proposto da STERNBERG tenta di superare questi limiti: nella sua Teoria Triarchia, infatti, include anche le variabili di motivazione e di personalità. ILa Teoria Tribolare dell'intelligenza umana cerca di spiegare l'intelligenza secondo tre sub-teorie: consensuale (che vede l'intelligenza in relazione all'ambiente esterno), componenziale (che vede l'intelligenza in relazione all'ambiente interno) ed esperienziale (che si applica sia all'ambiente interno che a quello esterno). Stenberg osservò che chi aveva maggiori prestazione nei test di logica dedicava più tempo nella codificazione del problema e nella pianificazione dei passaggi successivi; le differenze di prestazione sembrerebbero correlate alle differenze nelle strategie adottate dai soggetti per risolvere i problemi. Queste funzioni sono localizzate principalmente nella corteccia frontali, come dimostrato dall’attività cerebrale misurata con la PET. Altri studi hanno dimostrato un correlazione tra grandezza dei lobi frontali e qi e che il declino del qi con l’età sembra corrispondere alla riduzione di tali aree. La Teoria Tribolare dell'intelligenza umana cerca di spiegare l'intelligenza secondo tre sub-teorie: consensuale (che vede l'intelligenza in relazione all'ambiente esterno), componenziale (che vede l'intelligenza in relazione all'ambiente interno) ed esperienziale (che si applica sia all'ambiente interno che a quello esterno). Controversia Natura cultura Le ricercahe di Galton diedero il via alla controversia natura-cultura, che accompagna tutta la storia della psicologia: le differenze psicologiche tra individui sono in primo luogo il risultato di differenze nel patrimonio genetico o da fattori ambientali? Importante il contributo degli studi sui gemelli per valutare i contributi della variabile ambienteale e quella genetica, in particolare su gemelli vissuti in ambienti diversi, o confrontando coppie di gemelli omozigoti e eterozigoti, osservando le correlazioni tra i valori del QI. Gli studi condotti su coppie di gemelli o su bambini adottati da famiglie diverse hanno portato a trovare alte stime di ereditabilità sul QI: nel range di ambienti familiari che hanno costituito il campione, il QI degli adulti eterozigoti, si osserva una caduta nel coefficiente di correlazione, mentre i QI eterozigoti restano simili anche dopo aver lasciato il contesto condiviso nell’infanzia (McGue , 1993). Altre ricerche hanno dimostrato il carattere transitorio dell’influenza esercitata dell’ambiente; osservando fratelli adottivi, che non condividenìvano cioè basi genetiche, è stato osservato che che la correlazione finché i fratelli sono bambini si registra una correlazione positiva mentre, ma non appena arriva l’età adulta la correlazione va perduta. Altri studi hanno dimostrato che più è alto il grado di somiglianza genetica più tanto p minore l’entità del declino. Una possibile spiegazione di questi risultati è supporre che, con l’avvento dell’età adulta i soggetti siano condizionati dal predisposizione genetiche nella scelta degli ambienti di vita (Plomin), mentre coloro che sono più simili geneticamente si muovano in modo similare. La validità di questi studi “popolazione presa inesame”: nordamericana, nbianchi , europei… Le differenze QI in gruppi culturali diversi 96 Nella popolazione nordamericana era stato rilevato una differenza nella medua QI di 15 punti; ciò è ascrivibile a differenze culturali. Nessuna ricerca infatti ha trovato differenze nelle medie dei Qitra persone identificate tra persone appartenenti allo stesso gruppo culturale, ma che differivano rispetto al numero di antenati di un particolare gruppo razziale. Al contrario sono statew riscontrate differenze medie dei QI tra persone identificate come appartenenti allo stesso gruppo culturale, ma indistinguibili attraverso la discendenza; la prova del fatto che il QI dipenda da fattori culturali è l’incremento dei punteggi di QI di genrazione in generazione (Flynn 1999) Un dato interessante: gli incrementi maggiori si hanno nelle matrici di Raven ritenuti meno soggetti a influenze culturali ed indicative dell’abilità generale di ragionamento Mentre alcuni studioso cercano di far chiarezza sull’intelligenza generale, altri ritengono che l’intelletto sia un’insieme di intelligenze distinte, e qualitativamente diverse non necessariamente riconducibili a un fattore generale. Una prova dell’esistenza di molteplici intelligenze è dato dal fatto che certe capacità intellettive molto sviluppate e poco sviluppate possono coesistere nello stesso individuo, in seguito a lesioni cerebrali o cause genetiche. In generale lesioni all’emisfero sinistro compromettono più le abilità verbali che quelle visuospaziali, mentre danni all’emisfero destro causano l’opposto. Approccio ecologico allo studio dell’intelligenza: Esaminare l’intelligenza per come essa si manifesta nelle azioni delle persone; intelligenza concepita non come un fattore individuale ma come risultato dell’interazione tra individuo e ambiente, considerandola come adattmanto contesto-specifico. In accordo con questa visione alcune ircerche hanno dimostrato che chi lavora in un certo campo risolve più faciloemnte problemi attinenti al suo lavoro, meno di problemi equivalenti formulati in termini non attinenti al contesto di lavoro. L eabiltià dimostrate dagli esperti emergono nel campo specifico in cui hanno acquisito maggiore competenza attraverso la pratica; le differenze interculturali sono riconducibili a differenze ambientali ed esperienziali, che carattterizzano culture diverse. Ad esempio p stato misurato un punteggio più alto nei test visuo spazionali nelle popolazione cui sussitenza p legata alla caccia e la pesca, piuttosto che all’agricoltura. Teoria delle intelligenze multiple controversia: intelligenza come capacità generale o specifica? La possibilità che l’intelligenza sia riconducibile a diverse forme nasce negli anni 30, quando proliferano i modelli fattoriali; ad esempio Therstone ipotizzò 7 abilità mentali: comcomprensione verbale, abilità matematiche, memoria, velocità percettiva, ragionamento induttivo, visualizzazione spaziale e facilità verbale. Negli stessi Anni Guilford distinse produzione di pensiero divergente e convergenze, tuttora utilizzata; viene così inserita all’interno dell’intelligenza il fattore creativo, per individuare soluzioni alternative a quelle convenzionali, col pensiero divergente. Negli anni 80 Gardner teorizzò l’esistenza di intelligenze multiple, ognuna indipendenti dalle altre, gettando un anuova luce sullo studio dell’apprendimento e del funzionamento della mente. Ipotizzo 9 intelleigenze: logico matematica, spaziale, linguistica, cinestesica, musicale, interpersonale interpersonale, naturalistica ed esistenziale. Intelligenza logico-matematica, abilità implicata nel confronto e nella valutazione di oggetti concreti o astratti, nell'individuare relazioni e principi. 2. Intelligenza linguistica, abilità che si esprime nell'uso del linguaggio e delle parole, nella padronanza dei termini linguistici e nella capacità di adattarli alla natura del compito. 97 3. Intelligenza spaziale, abilità nel percepire e rappresentare gli oggetti visivi, manipolandoli idealmente, anche in loro assenza. 4. Intelligenza musicale, abilità che si rivela nella composizione e nell'analisi di brani musicali, nonché nella capacità di discriminare con precisione altezza dei suoni, timbri e ritmi. 5. Intelligenza cinestetica, abilità che si rivela nel controllo e nel coordinamento dei movimenti del corpo e nella manipolazione degli oggetti per fini funzionali o espressivi. 6. Intelligenza interpersonale, abilità di interpretare le emozioni, le motivazioni e gli stati d'animo degli altri. 7. Intelligenza intrapersonale, abilità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle in forme socialmente accettabili. A questi tipi di intelligenza, Gardner ha aggiunto successivamente un'ottava intelligenza, quella naturalistica, relativa al riconoscimento e la classificazione di oggetti naturali; ipotizzando inoltre la possibilità dell'esistenza di una nona intelligenza, l'intelligenza esistenziale, che riguarderebbe la capacità di riflettere sulle questioni fondamentali concernenti l'esistenza e più in generale nell'attitudine al ragionamento astratto per categorie concettuali universali. Le metodologie di indagine In ambito psicometrico si sono sviluppati diversi modelli per la misurazione dell'intelligenza volti ad effettuare delle comparazioni tra individui diversi. I principali test di misura dell'intelligenza sono: Il test Stanford-Binet: misura il quoziente intellettivo come rapporto tra età mentale ed età cronologica moltiplicato 100. Il valore 100 del quoziente intellettivo è considerato il valore medio della popolazione. Questo test non ha validità per individui più grandi di 13 - 14 anni. Il Wechsler Adult Intelligence Scale: riprende i tipi di compito dello Stanford-Binet, il concetto di quoziente intellettivo e li ricostruisce per gli adulti. Le voci dei singoli sub-test sono scalate e hanno difficoltà progressiva. Il WAIS non misura il solo fattore di intelligenza generale, ma comprende una serie di dimensioni, coerenti al loro interno per tipologia di prove, che compongono il test: prove verbali (cultura generale, comprensione, analogie, memoria di cifre, ragionamento aritmetico), le prove di performance (riordinamento di figura, completamento di figura, disegno di cubi, ricostruzione di figura, associazione di simboli o numeri). Le matrici progressive di RAVEN, le matrici numeriche da completare e il Culture fair intelligence test di CATTELL, test definiti “culture free”, sembrerebbero più adatti per valutare i soggetti svantaggiati. Tra i contributi funzionalisti, STERNBERG utilizzando lo S.T.A.T. (Sternberg Triarchic Abilities Test), ha introdotto il metodo delle prove parziali, che permette di separare le componenti e di specificare l’ordine delle fasi di elaborazione. Lo studioso ha approfondito il modello cercando di misurare la durata di ogni singola fase del processo di problem solving; il risultato più significativo sottolinea l’importanza per il successo del compito, della fase di codificazione delle variabili del problema. Di derivazione gestaltica è invece il Test delle nove figure di WITKIN: il soggetto deve riconoscere una figura già presentata in precedenza in un disegno più grande in cui sono presenti linee che causano confusione. Secondo la teoria dell’autore, i soggetti indipendenti dal campo risolvono bene il compito, dimostrando capacità analitiche e lasciandosi guidare da indici provenienti dall’interno. I soggetti dipendenti dal campo, non riescono a risolvere il compito: in un continuum si pongono all’estremo della scala dimostrando scarse capacità analitiche e una personalità guidata