Scarica Riassunto "Storia romana" Geraci Marcone e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! 1 GIOVANNI GERACI – ARNALDO MARCONE STORIA ROMANA EDITIO MAIOR Introduzione Datazione e cronologia Il modo di indicare le date in riferimento alla nascita di Cristo non è mai stato utilizzato nel mondo antico; la cosiddetta era “cristiana” è stata introdotta dal monaco DIONIGI ESIGUO detto DIONIGI IL PICCOLO (un Monaco nativo della Scozia che visse tra V e VI secolo d.C.): il sistema creato da Dionigi comprendeva solo gli eventi accaduti d.C., mentre quelli accaduti precedentemente venivano calcolati partendo dalla creazione del mondo. Tale sistema si diffonde in Italia a partire dal VII sec e si diffuse in tutta l’Europa occidentale nel X sec. La consuetudine di contare gli anni prima di Cristo venne invece introdotta nel XVIII secolo per unificare il punto di riferimento dal quale conteggiare le date. A Roma, a partire dall’età repubblicana gli anni erano indicati mediante i nomi dei magistrati eponimi (lett. “che danno il nome all’anno”) dunque in genere tramite la menzione dei due consoli; parallelamente in Grecia la datazione degli eventi era ricondotta alle Olimpiadi. All’inizio dell’età imperiale a Roma, negli ambienti dotti, divenne uso comune esprimere la data partendo dalla fondazione di Roma: 753 a.C., data fissata da MARCO TERENZIO VARRONE che, partendo dall’inizio della repubblica del 509 a.C. ipotizzò che ogni re avesse regnato 35 anni circa. In epoca imperiale, nei testi epigrafici, prevalse l’uso di annotare il numero progressivo dei rinnovi (annuali) del potere di ciascun imperatore. Il calendario romano repubblicano rimase in vigore sino alla riforma di Cesare del 46 a.C. e prevedeva 355 giorni divisi in dodici mesi (quattro da 31 giorni, sette da 29 e uno da 28), primo dei quali era marzo. Il mese da 28 giorni, febbraio, veniva diviso in due parti: la prima di 23 giorni e la seconda di 5 giorni (dopo le feste di Terminalia del 23 febbraio). Dopo febbraio, ad anni alterni, veniva aggiunto un “mese intercalar” di 22 giorni. Si trattava di un artificio che aveva lo scopo di uguagliare l’anno civile a quello solare e al ciclo delle stagioni. Un’importanza notevole ebbero, in queste scansioni, i giorni di mercato (nundinae) che si tenevano ogni 8 giorni, dunque “ogni nono giorno” (di qui il temine nundinae), ed erano segnati sui calendari con un ciclo di lettere dalla A alla H (il giorno di mercato era sempre contraddistinto dalla lettera A). Onomastica romana I cittadini romani, nell’età antica, possedevano un solo nome; col tempo se ne aggiunsero altri due sino a diventare tre (tria nomina): Il primo era il prenomen: nome personale. 2 Il secondo era il gentilizio nomen: nome che indica il gruppo familiare, la gens di provenienza dell’individuo e viene tramandato di padre in figlio. Il terzo era il cognomen: soprannome individuale assegnato in base a determinata caratteristica fisica, in base alla carica di alcuni esponenti della famiglia o in base al luogo di provenienza. Esso tese a divenire ereditario per gli aristocratici, per distinguere le varie famiglie appartenenti alla stessa gens. In caso di adozione l’adottato ereditava i tria nomina di chi lo adottava al quale si aggiungeva un quarto nome che corrispondeva al nomen modificato della famiglia d’origine es. Lucio Emilio Paolo viene adottato da Publio Cornelio Scipione e diviene Publio Cornelio Scipione Emiliano. Le donne romane di regola non avevano un prenomen, ricevevano come nome il solo nomen paterno, adattato al femminile, che mantenevano anche da sposate. Gli schiavi erano abitualmente denominati con un unico nome personale mentre i liberti ereditavano il prenome ed il gentilizio del proprio ex padrone e portavano come cognomen il loro antico nome da schiavo. Il mondo di Roma Il mondo di Roma è definito “uno, duplice e molteplice”. “Uno” perchè sotto Roma furono unificati amministrazione, cittadinanza, esercito e diritto. “Duplice” perché il mondo romano fu fortemente influenzato da quello greco, soprattutto dal punto di vista linguistico e culturale (il greco rimase sempre il modo di espressione principale). “Molteplice” perché a Roma si creò una fitta rete interculturale che comprendeva molteplici popoli, particolarità locali, condizioni politiche, sociali e personali che convivevano tra loro sotto il comune denominatore della romanità. Il sistema monetario Età repubblicana Denario (argento) Sesterzio (argento) Asse (rame) 10 assi 2 ½ assi - 4 sesterzi - - Sotto Augusto Aureo (oro) Denario (argento) Sesterzio (rame e zinco) Asse (rame) 400 assi 16 assi 4 assi - 100 sesterzi 4 sesterzi - - 25 denari - - - Sotto Diocleziano Aureo (oro) Nummus argentus (argenteo) (argento) Follis (rame) Nummo radiato (denaro) (rame) 1250 denari 50 denari 5 denari - 250 follis 10 follis - - 25 argentei - - - 5 testimonia un interesse dei greci per l'Italia meridionale che si tradurrà poi in una grande impresa di colonizzazione che porterà alla creazione della Magna Grecia. Le trasformazioni dell’Italia centrale Tra VIII e V a.C. assistiamo ad un fenomeno di espansione delle popolazioni dell’Appennino centro-meridionale. Ne è un esempio, sul versante tirrenico, l’espansionismo dei Sanniti /che ha il suo apice nel V a.C.). Sul versante adriatico, tra il IX e VII a.C. (nella prima età del Ferro), inizierà invece a svilupparsi una civiltà importante, quella Picena, che svilupperà una cultura simile a quella dell'Etruria e del Lazio, in cui vi è una ristretta élite distinta dal resto della società per il lusso che persegue e dove l'arrivo di prodotti nuovi, espressioni della cultura orientalizzante, favorisce l'attività dell'artigianato locale, del commercio e di nuove forme artistiche. Le prime testimonianze scritte ci parlano di un’organizzazione sociale articolata secondo gruppi etnici con alla testa principi e re. Il nome Italia Il nome Italia nel V a.C. era riferito alla penisola calabrese. L’ipotesi più probabile fa derivare il nome dal temine osco "viteliu", il territorio in questione doveva infatti essere ricco di bovini (vitelli), animali sacri secondo il culto tipico dell'Italia centro-meridionale. La caduta dell’iniziale “V” è conseguente alla pronuncia delle genti della Magna Grecia, che la passarono ai romani. Alla metà del IV a.C. il nome Italia abbraccia il Mezzogiorno continentale a sud di Paestum, sulla costa tirrenica. Verso gli inizi del III include la Campania e alla fine dello stesso secolo comprende quasi l’intera penisola. Capitolo 2 Gli Etruschi Le fonti Non disponiamo di narrazioni degli etruschi risalenti agli etruschi stessi, tutto ciò che sappiamo oggi sugli etruschi proviene da fonti greche e latine. Ciò che sappiamo dell'organizzazione delle città etrusche, della loro società e delle loro vicende dipende dalla documentazione archeologica, dalla ricerca topografica e dai dati onomastici nelle iscrizioni (ad esempio le epigrafi costituiscono prezioso informazioni socio culturali della civiltà etrusca). Molte delle tradizioni etrusche sono giunte e noi grazie al influenza che le istituzioni etrusche hanno esercitato sulla civiltà romana. Conosciamo meglio, infatti, la fase terminale della storia etrusca, a partire dall'ingresso di Roma sulla scena dell'Etruria meridionale. Figura 2 Sanniti e Piceni 6 Origine ed espressione degli Etruschi Gli etruschi sono la più importante popolazione dell'Italia preromana. Essi erano chiamati Tirreni dai Greci ed è incerto come chiamassero se stessi. L’origine di questo popolo è stata lungo dibattuta e sono emerse diverse teorie: Secondo ERODOTO gli etruschi erano dei Lidi (popolo dell’Asia Minore) giunti in Italia nel V secolo a.C., guidati dal re Tirreno. Secondo DIONIGI DI ALICARNASSO, storico dell’età augustea, gli etruschi erano genti autoctone, indigene della penisola italica. Secondo ELLANICO DI LESBO gli antichi Tirreni corrispondono ai Pelasgi, un antico e misterioso popolo che precedette i greci nel Mediterraneo orientale e poi emigrò in Italia. La ricerca archeologica e linguistica moderna colloca l'origine etnica degli Etruschi attorno all'VIII a.C. nella regione compresa tra l'Arno e il Tevere. Si crede che questa etnia sia in realtà un punto di incontro di due processi: da un lato si pensa a un’evoluzione della struttura interna delle società e delle economie locali, dall’altro di riconosce l’importanza delle influenze esterne, in particolare si sottolineano i rapporti con le colonie greche dell’Italia meridionale. Anche se, nella fase della loro massima espansione (VII-VI secolo a.C.) gli etruschi controllavano gran parte dell'Italia centro occidentale, non diedero mai vita ad uno stato unitario. Si erano piuttosto organizzati in città indipendenti governate da sovrani detti lucumoni sostituiti poi da magistrati eletti annualmente: gli zilath. L'unica forma di aggregazione vigente nelle comunità etrusche che ci è nota è la Lega Etrusca, un’unione, principalmente di tipo religioso, delle dodici città principali (Veio, Cere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Tonia, Volterra, Chiusi, Cortona, Perugia, Arezzo e Fiesole). La società etrusca possedeva un carattere fortemente aristocratico e il governo delle città era nelle mani dei proprietari terrieri o ricchi commercianti. Il processo di espansione degli Etruschi subì una battuta d’arresto nel 530 a.C. in seguito alla sconfitta nella battaglia navale contro i Focei, un popolo proveniente dall'Asia minore che aveva fondato una colonia in Corsica. Dal 474 anche l'espansionismo degli Etruschi verso l'Italia meridionale fu arrestato dopo essere stati sconfitti a Cuma dai greci di Siracusa. Decisivi per la decadenza etrusca furono altri due eventi che si verificarono all’inizio del IV secolo a.C.: la presa della città di Veio a opera dei romani (396 a.C.) e la perdita dei possedimenti in val Padana caduti in mano ai celti (originari dell’Europa centrale). Nel corso del III secolo a.C. l’Etruria passò progressivamente in mano romana. Figura 3 La lega etrusca (VII-VI sec. a.C.) 7 Religione e cultura La sfera religiosa etrusca appare, ed appariva anche agli antichi, estremamente vasta ed interessante, questa comprendeva una ricchezza di riti, culti, scritti sacri e tecniche magiche. Nella religiosità etrusca ha un’importanza particolare la concezione dell'aldilà: secondo gli etruschi il defunto continuava la propria esistenza nella tomba perciò, al suo interno, dovevano essere inseriti elementi della dimora del vivo come cibi, bevande e simboli del suo status sociale. In un secondo tempo quest'idea dell’aldilà mutò e l'oltretomba venne considerato come una destinazione alla quale si giungeva dopo un lungo viaggio da intraprendere a piedi, con un carro o con un cavallo. Le divinità del pantheon etrusco sono assimilabili a quelle greche e organizzate in un sistema simile a quello dell'Olimpo ellenico dove, al di sopra di Zeus, dominava il Fato; anche per gli etruschi al di sopra della divinità etrusca suprema, Tinia (dispensatrice di folgori) appare il Fato. Gli altri dei sono disposti gerarchicamente e organizzati in collegi per competenze. Gli etruschi ritenevano molto importante la corretta interpretazione dei segni della volontà divina visibili in terra, si affidavano dunque all'arte dell’aruspicina, ossia la tecnica di interpretare la volontà divina ad attraverso l'esame delle viscere degli animali sacrificati. Romani ed Etruschi I romani ereditarono moltissimo dagli etruschi. In particolare per quanto riguarda la sfera religiosa; gli etruschi avevano la fama di essere molto legati alla religione e di saperne compiere con maestria i riti. La religione etrusca era ritenuta una vera e propria scienza trasmessa attraverso i libri specifici a cui i romani attinsero. I romani erano talmente impressionati dalle capacità divinatorie etrusche da far spesso ricorso agli aruspici etruschi. L’intera vita politica e religiosa di Roma era basata sugli auspicia. È per questo motivi che le personalità romane di maggior rilievo si circondavano di aruspici etruschi. Il problema della lingua I testi etruschi possono essere letti con facilità poiché l'alfabeto, composto da ventisei lettere, è un riadattamento di quello greco. Ciononostante, la difficoltà principale nell’interpretare l'etrusco deriva dal fatto che essa non è una lingua indoeuropea e che dunque non disponiamo di elementi di confronto con altre lingue a noi note. Inoltre esistono pochissimi testi in etrusco e sono costituiti per lo più da brevi formule. Secondo i linguisti la lingua etrusca non può essere ricollegata a nessuna lingua del passato oggi conosciuta, infatti non sappiamo nemmeno come gli etruschi si definissero se stessi. La questione delle origini Nell'isola egea di Lemno è stata ritrovata un’iscrizione su una stele e diverse epigrafi frammentarie risalenti al VI secolo a.C. che risultano strettamente imparentate con l'etrusco. Una possibilità nell’interpretazione di queste scoperte è che probabilmente gli etruschi fossero indigeni dell'Italia emigrati in Oriente. Sembra però maggiormente condivisibile la possibilità che alcuni gruppi umani provenienti dalla Grecia siano migrati in Italia alla ricerca di metalli, qui, questi piccoli gruppi, avrebbero poi fondato unitamente ad altri gruppi indigeni, la civiltà etrusca. Possiamo dunque affermare che la civiltà etrusca si sia formata in Italia alla fine dell'età del Ferro sotto influenze esterne orientali. 10 1. Annales: opere storiche, per noi oggi perdute, di autori noti come “annalisti” che hanno organizzato il materiale storico in ordine cronologico, secondo una successione anno per anno. 2. Tradizione familiare: la struttura della società romana in età repubblicana era dominata dalla competizione tra le principali famiglie aristocratiche. Ciascuna di esse cercava di accreditare il proprio titolo di superiorità sulle altre celebrando le glorie degli antenati. Poiché i primi storici erano membri dell’aristocrazia senatoria è probabile che attingessero come fonti anche alle tradizioni delle varie famiglie: 3. Tradizione orale: tipica dei canti celebrativi recitati durante i banchetti. La struttura di parecchie leggende legate all’origine di Roma ha caratteristiche tali da rendere credibile che si siano tramandate oralmente di generazione in generazione. Il problema è che la tradizione orale è soggetta a distorsioni; 4. Documenti d'archivio: consentono di apprendere i principali eventi di anno in anno e i magistrati principali in carica. L'attuale ricostruzione della storia romana arcaica si basa anche sulle informazioni fornite dai cosiddetti “antiquari” ossia eruditi che, a partire dal II a.C., si dedicarono ad una serie di ricerche su vari aspetti del passato romano. Tradizione orale e storiografia A Roma la letteratura la storiografia e il dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C. a partire da allora vi furono testi scritti e, dunque, tramandabili. Naturalmente non si deve però pensare che i romani non si siano precedentemente sull'origine della loro comunità e non si può credere che non avessero un modo per esprimere l’idea che avevano di loro stessi pur non facendolo con testi di natura scritta. La documentazione archeologica e la scoperta del Lapis Niger La documentazione archeologica offre importanti riscontri alla tradizione confluita nella leggenda canonica. Nel 1899, ad esempio, GIACOMO BONI scoprì all'interno del Foro Romano il Lapis Niger ossia un frammento di pavimentazione in marmo nero distinta dalla restante pavimentazione in travertino posta vicino alla la tomba di Romolo che consiste in una dedica fatta al re in cui sono presenti minacce di pene terribili rivolte a chiunque violi questo luogo. È interessante sottolineare che il re in questione doveva essere un vero monarca, il che riconduce questo complesso a un’età molto arcaica. Naturalmente, quand’anche si trattasse davvero di un luogo di culto di Romolo, la cosa non deve essere necessariamente intesa come una prova dell’esistenza storica del primo re di Roma ma, semplicemente, dell’antichità della tradizione che ne faceva il fondatore della città. La storiografia moderna Le origini di Roma sono a volte nell'incertezza per noi, come lo erano per gli antichi. A partire dalla fine dell’Ottocento, a rivoluzionare prospettive e metodi di ricerca contribuì soprattutto l’archeologia con nuove scoperte che in molti casi sembrarono confermare la veridicità del racconto tradizionale sulla Roma arcaica. 11 L’impegno degli storici moderni è consistito nel sottoporre a un esame critico, e a un confronto tra loro, i dati della tradizione, molti dei quali difficilmente accettabili. A questo scopo i risultati della ricerca archeologica hanno fornito elementi preziosi. Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni di diverso tipo sulle origini di Roma: una greca, che ricollegava la fondazione di Roma alla leggenda di Enea, e una indigena, nella quale Romolo rappresentava un mitico re-fondatore autoctono. Va sottolineato, tuttavia, che il racconto, per quanto fondamentalmente leggendario, recepisce alcuni elementi che si possono definire sicuramente storici (in particolare la convivenza tra Latini e Sabini all’origine della storia di Roma. Roma prima di Roma I dati più problematici della tradizione riguardano l'episodio leggendario della fondazione di Roma e la figura del suo fondatore. È difficile infatti immaginare che Roma sia sorta dall’oggi al domani per una scelta individuale: la nascita della città dovette essere piuttosto il risultato di un processo formativo lento e graduale, per il quale si deve presupporre una sorta di federazione di comunità separate che già vivevano sparse sui singoli colli. Sappiamo infatti dell'esistenza di alcuni villaggi sul Palatino già a partire dell'VIII a.C. mentre secondo la leggenda all'arrivo di Romolo l'aria era disabitata. Il Palatino è un colle poco più alto di 50 metri sul livello del mare dalla forma di un grosso dado a pianta trapezoidale. Le origini di Roma si comprendono meglio considerando la posizione della città stessa: a ridosso del corso del Tevere sul confine di due aree etnicamente differenti ossia la zona etrusca e il Lazio antico. Le origini del nome Roma, secondo alcuni è ricondotta al fondatore Romolo anche se probabilmente è il contrario. Il termine Roma potrebbe derivare dal termine latino “ruma” che significa “mammella” oppure da “Rumon”: termine del latino arcaico per indicare il fiume Tevere. Secondo la leggenda Romolo fu esposto nel Tevere insieme al fratello Remo e furono salvati da una Lupa che li allevò fino a far diventare Romolo il primo re di Roma. La leggenda suggerisce, cioè, che l’area di Roma fosse sostanzialmente disabitata prima della fondazione della città. Le ricerche archeologiche hanno però confermato la presenza di tracce di occupazione umana permanente nel sito di Roma a partire dal 1000 a.C. il che confuta la tradizione. La cultura che si sviluppa in questo periodo è la cultura Laziale che accresce sempre più la propria importanza sviluppando primi villaggi formati da capanne primitive realizzati con canne, argilla, paglia e pali di legno. I villaggi, formati da un centinaio persone l'uno, avevano una struttura interna semplice basata sui legami di parentela, in cui a determinare la posizione personale erano l'età, il sesso e i ruoli rivestiti all'interno della famiglia e del gruppo. L'attività economica principale era un’agricoltura di sussistenza, l'allevamento di capi di bestiame e la lavorazione dei metalli. Verso la fine del IX secolo gruppi di villaggi iniziarono a fondersi e a formare centri abitati più ampi. Il momento di svolta si ebbe nel VII secolo quando le comunità del Latium vetus (parte del Lazio più vicina alla sponda sinistra del Tevere) conobbero un forte incremento della popolazione che porto alla crescita del livello di ricchezza e prosperità, legato probabilmente a un miglioramento delle tecniche agricole e artigianali. Secondo quanto delineato da questo quadro risulta quasi impossibile raccordare le ricerche archeologiche alla tradizione letteraria. 12 Il dibattito recente Per cercare di accordare l’archeologia alle fonti storiografiche è stata privilegiata la leggenda canonica. La ricerca di tale accordo è finalizzata alla valorizzazione del fondatore di una vera città-Stato eliminando le versioni non ortodosse e trascurando i dubbi degli stessi antichi. Purtroppo non ci è pervenuto alcun ricordo della data di fondazione di Roma, la data che conosciamo (753 a.C.) è frutto di calcoli e ricostruzioni a posteriori. Se questa data appare il prodotto di una ricostruzione e non di una vera tradizione, è poco plausibile che il fondatore e lo stesso atto di fondazione possano essere stati invece autenticamente tramandati. Il pomerio e i riti di fondazione Il rito di fondazione di una città Italica, ci è stato tramandato da Varrone: “Molti fondavano nel Lazio le città secondo il rito etrusco, segnando con l’aratro un solco – ciò era fatto a scopo religioso nel giorno indicato dagli auspici – impiantando poi il muro e la fossa. Il terreno che si trovava subito oltre le mura era detto pomerio” Come si desume da questo passo, nella formazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di vista religioso era rivestita dal pomerio (dal latino postmoerium: “ciò che si trova al di là del muro”). Esso era una linea sacra che delimitava il perimetro della città subito oltre le mura. Il pomerio però non sempre combaciava con le mura reali, poiché esso era tracciato secondo una procedura religiosa, mentre le mura rispondevano alle esigenze di difesa del territorio. Poteva così capitare che tra le due linee ci fosse una notevole distanza. Lo Stato romano arcaico Alla base dell'organizzazione sociale dei latini c’era la famiglia, alla cui testa stava il pater, la figura depositaria del potere assoluto su tutti i componenti della famiglia (compresi schiavi e clienti). Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune formavano la gens, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente. La gens fu una componente molto importante in età arcaica e conservò anche in seguito un ruolo di grande rilievo nella vita politica. La popolazione dello Stato romano era divisa in gruppi religiosi e militari chiamati curie che comprendevano tutti gli abitanti del territorio (eccetto gli schiavi) ma non conosciamo le loro modalità di organizzazione né la loro funzione in età arcaica. La stessa incertezza regna a proposito di un altro importante raggruppamento, le tribù, la cui creazione fu attribuita allo stesso Romolo. Le tribù erano originariamente tre: Tities, Ramnes e Luceres (nomi che fanno pensare ad un origine etrusca). In età più tarda lo Stato si organizzerà suddividendo ogni tribù in dieci curie e da ogni tribù un saranno scelti cento senatori. La monarchia romana La monarchia romana era elettiva ed originariamente il re era affiancato da un consiglio di anziani composto dai capi delle famiglie più nobili e ricche (questi uomini rappresentavano il nucleo di quello che successivamente sarebbe stato il senato). Il re era anche il supremo capo religioso e celebrava riti di culto affiancato da sacerdoti e pontefici 15 La proprietà della terra in Roma antica La questione sull’originaria forma di proprietà agraria a Roma è ancora aperta e controversa. Rispetto a un’originaria proprietà collettiva della terra, la prima forma di proprietà era limitata alla casa e all'orto circostante (heredium) mentre le terre arabili e adibite al pascolo erano escluse. L’ideologia “indoeuropea” nei racconti sulle origini di Roma Il termine indoeuropei identifica una popolazione vissuta nella grande pianura russa tra il VI e il III millennio a.C. che successivamente (tra il III e il II millennio a.C.) si spostò in diverse direzioni. In genere gli indoeuropei imponevano la loro lingua i popoli conquistati ma ne adottavano la scrittura. Sono così, almeno in parte, ricostruibili i rapporti di dipendenza tra le varie lingue e quella madre, che si presuppone originaria. Nel corso secondo millennio a.C. sono presenti Indoeuropei in Turchia, Grecia, Italia, India, Iran, Francia, Est Europa. Uno studioso francese, GEORGES DUMÉZIL, ha cercato di ricostruire l’universo mentale degli Indoeuropei. L’idea centrale che ci dà un’immagine del mondo secondo gli Indoeuropei è quella che Dumézil definisce ideologia trifunzionale. Il presupposto è che gli indoeuropei cogliessero e analizzassero il mondo attraverso un riferimento costante a tre ambiti o “funzioni” distinte ma tra loro complementari: - La potenza del sovrano che si manifesta secondo l'aspetto magico e giuridico; - La forza fisica in particolar modo quella del guerriero; - La fecondità degli uomini degli animali della natura. Secondo Dumézil le vicende intorno all’origine di Roma; dal ratto delle Sabine (fecondità), alla figura di Servio Tullio (potenza del sovrano), alla teologia romana (forza); sono in realtà il frutto di schemi narrativi e scenari ereditati dal sostrato indoeuropeo, che ciascuna cultura ha poi utilizzato secondo parametri propri. 16 Parte seconda La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi Capitolo 1 La nascita della Repubblica Le fonti Le fonti narrative che descrivono la nascita della Repubblica risalgono ad autori essenziali già per il periodo monarchico come: DIONIGI DI ALICARNASSO, TITO LIVIO, DIODORO SICULO, PLUTARCO e CASSIO DIONE. Le opere storiografiche di questi autori hanno in comune il fatto di essere state scritte a notevole distanza di tempo degli eventi che narravano. Esse si fondavano su opere per noi oggi perdute di carattere annalistico. Di grande importanza per lo studio delle istituzioni di Roma è la letteratura antiquaria: le opere di PLINIO IL VECCHIO, MACROBIO e TERENZIO. Rari ma importanti sono i documenti epigrafici come i Fasti consolari e i Fasti Capitolini che consistono nelle liste dei magistrati eponimi della Repubblica i quali davano il nome all'anno in corso; essi sono giunti fino ai giorni nostri attraverso la tradizione letteraria. La tradizione storiografica sulla nascita della Repubblica La storiografia antica sulla nascita della Repubblica presenta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio, figlio dell'ultimo re etrusco di Roma, respinto dalla giovane aristocratica Lucrezia la violenta. La giovane prima di suicidarsi narra tutto al padre Spurio Lucrezio, al marito Lucio Tarquinio Collatino e agli amici Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola. Guidata da questi aristocratici, scoppia una rivolta, che porta alla caduta della monarchia (nel 510 a.C.) l'anno successivo, il 509 a.C. è il primo anno della Repubblica in cui poteri del re vengono conferiti a due magistrati eletti dal popolo chiamati consoli uno dei quali è Bruto. Questa tradizione presenta tratti leggendari e concentra la propria attenzione su elementi drammatici senza spiegare i reali motivi che hanno portato alla caduta del regime monarchico a Roma. La ricerca storiografica si è dunque posta come obiettivo quello di discernere gli elementi autentici da quelli che sono semplicemente frutto di un abbellimento letterario. I fasti I Fasti sono liste di magistrati eponimi della Repubblica, di quei magistrati cioè che davano il nome all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. I Fasti ci sono giunti sia attraverso la tradizione letteraria sia attraverso alcuni documenti epigrafici. Le incongruenze tra le diverse versioni dei Fasti, l’inserimento di alcuni anni di anarchia in cui non vennero eletti magistrati o nei quali la funzione eponima venne assolta da un dittatore e non dai due consoli e la comparsa fra i consoli eponimi, nella prima metà del V secolo a.C., di diversi personaggi di gentes plebee, hanno suscitato diversi dubbi sull’attendibilità delle liste di magistrati, almeno per la fase più antica. 17 La fine della monarchia e la creazione della Repubblica La storia della violenza subita da Lucrezia contiene elementi di drammatizzazione che ricordano le vicende della caduta di diverse tirannidi greche e che ne minano la credibilità. Sia essa autentica o meno, comunque non spiega i motivi profondi della caduta della monarchia. Il ruolo preminente che un ristretto gruppo di aristocratici ebbe nella caduta dei Tarquini e il ruolo di rilievo che il patriziato ebbe nei primi anni della Repubblica, inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire a una rivolta del patriziato contro il carattere autocratico della monarchia nei suoi ultimi anni. Questo non significa che, subito dopo la caduta dei Tarquini, si sia immediatamente stabilito un regime repubblicano. È quasi certo che subito dopo la caduta della monarchia vi fu un periodo confuso in cui Roma appare in balia di re e condottieri. La data della creazione della Repubblica Gli antichi avevano fissato una coincidenza cronologica tra la storia di Roma e quella di Atene: infatti il 510 a.C. corrisponde all'anno in cui il tiranno Ippia, dei Pisistratidi, era stato cacciato da Atene. Dal momento che si possono rintracciare altre analogie tra la fine dei Tarquini e quella dei Pisistratidi, il sospetto che la cronologia della fondazione della Repubblica a Roma sia stata adattata per creare un parallelismo con Atene non è illegittimo. Tuttavia alcuni elementi avvalorano la datazione tradizionale della creazione della Repubblica romana, seppure non esatta all’anno, non lontana dalla realtà. I supremi magistrati della Repubblica, i loro poteri e i loro limiti La tradizione storiografica antica concorda nell’affermare che i poteri appartenenti al re passarono immediatamente in blocco a due consules, o praetores, cioè i massimi magistrati della neonata Repubblica. Eletti dai comizi centuriati, ai consoli spettava il compito di comandare l'esercito, mantenere l'ordine all'interno della città, esercitare la giurisdizione civile e criminale, convocare il senato e le assemblee popolari, occuparsi del censimento e compilare le liste dei senatori. Solo alcune della funzioni religiose dei monarchi sarebbero state trasferite ai consoli, le altre spettavano a un sacerdote di nuova istituzione, il rex sacrorum (re delle cose sacre) che non poteva rivestire alcuna carica politica, ma solo quella religiosa. I poteri autocratici di cui erano dotati i due consoli erano sottoposti ad alcuni importanti limiti, in primo luogo la loro carica era limitata a un anno (annualità), ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva quindi opporsi all'azione del collega se ritenuta dannosa per lo Stato (collegialità), erano inoltre legati al volere del popolo che li aveva eletti e ogni cittadino, in caso di condanne capitali inflitte dai consoli, poteva appellarsi alla provocatio ad populum: il giudizio di un’assemblea popolare che poteva revocare la condanna stessa. La versione tradizionale sull’origine dei consoli è stata messa in dubbio poiché alcuni studiosi ritengono che i poteri del re siano stati trasferiti inizialmente ad un solo magistrato affiancato da alcuni assistenti e solo più tardi i consoli siano diventati due. Le alte magistrature Le crescenti esigenze dello Stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature che sollevassero i consoli di alcune competenze. Risalirebbero al periodo regio o al primo anno della Repubblica i questori, due magistrati che assistevano i consoli nelle attività finanziarie, disegnati in un primo tempo dai consoli stessi e successivamente designati in seguito a elezione. Nel 443 a.C., poi, il 20 avvertimento degli àuguri, di non convocare i comizi popolari: talvolta si è fatto uso di questa prerogativa al fine di bloccare risoluzioni indesiderate. Le assemblee popolari in età repubblicana Il dibattito sulla natura del regime repubblicano Il carattere frammentario poco organico delle istituzioni repubblicane deriva dal fatto che esse si svilupparono gradualmente nel tempo e senza un ordine politico e amministrativo. Capitolo 2 Il conflitto tra patrizi e plebei Le fonti A partite dalla nascita della Repubblica sino al 287 a.C. Roma è caratterizzata dai contrasti tra patriziato e plebe. La differenza tra patrizi e plebei si reggeva su diversi fattori: origine, ricchezza, attività esercitata, prestigio sociale. Le principali fonti narrative riguardanti la politica interna di Roma nel V secolo a.C. e, dunque, anche il conflitto patrizi-plebei sono Dionigi di Alicarnasso, Livio, Diodoro, Cassio Dione, Plutarco e in generale tutta la letteratura antiquaria. Il problema economico Il conflitto tra patrizi e plebei interessò diversi piani, il primo fu quello economico. La caduta dei Tarquini del V a.C. e il crollo del dominio Etrusco in Campania causò indirettamente un grave danno a Roma, che era prosperata anche grazie alla sua funzione di punto di passaggio tra l’Etruria e la Campania. Lo stato 21 quasi permanente di guerra tra Roma e gli stati vicini provocò inoltre continue razzie e devastazioni dei campi, ciò causò gravi carestie che lasciarono la popolazione, indebolita dalla fame, in balìa di continue epidemie. Gli effetti di questa crisi colpirono soprattutto i piccoli agricoltori che per sopravvivere furono costretti di indebitarsi nei confronti dei più ricchi proprietari terrieri, in particolare chiedendo loro in prestito le sementi. Accadeva di frequente che il debitore, per estinguere il proprio debito fosse costretto a mettersi al servizio del creditore: è l’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano vincolati ad una condizione simile a quella di uno schiavo. Davanti alla crisi economica la plebe richiedeva una mitigazione delle norme sui debiti, in particolare riguardo il tasso massimo di interesse e la condizione dei debitori insolventi e una più equa distribuzione dei terreni statali. Il problema politico Gli strati più ricchi della plebe erano meno interessati alla crisi economica e rivendicavano invece equità sul piano politico, in particolare veniva chiesta una parificazione dei diritti politici tra i due ordini e la stesura di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo dalle applicazioni arbitrarie delle norme da parte di coloro che fino a quel momento erano depositari del potere giuridico: i patrizi riuniti nel collegio dei pontefici. Le strutture militari e la coscienza della plebe Col passare del tempo i plebei presero coscienza della propria importanza all'interno della società rivendicando equità anche sul piano civile. A Roma l’esercizio dei diritti civili era direttamente connesso alle sue capacità di difendere lo Stato con le armi. È così comprensibile come la definitiva presa di coscienza della plebe si verificò proprio durante il V secolo a.C., quando si affermò definitivamente un nuovo modello tattico in cui i fanti con armatura pesante (opliti) combattevano l'uno al fianco dell'altro in una formazione chiusa chiamata falange. Il sistema chiamato oplitico-falangitico, proveniente dal mondo greco, eclissa il modello di combattimento aristocratico fondato sulla cavalleria. La fanteria pesante il perno dell’esercito romano È importante il fatto che la legione fosse reclutata su base censitaria, dunque senza fare distinzione tra patrizi e plebei. A questo proposito era impensabile che degli uomini decisivi sul campo di battaglia potessero essere esclusi dalla vita politica, economica e sociale dello Stato. La prima secessione e il tribunato della plebe Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C., anno in cui la plebe, esasperata dalla crisi economica, organizza uno sciopero generale lasciando la città priva della sua forza lavoro e indifesa contro le aggressioni esterne. Questa forma di protesta viene attuata dalla plebe ritirandosi sull’Aventino (secessione dell’Aventino o prima secessione). La plebe si dette propri organismi politici: - Un’assemblea generale chiamata concilia plebis tributa che poteva emanare dei provvedimenti che prendevano il nome di plebiscita (decisioni della plebe). - Furono scelti dei rappresentanti: i tribuni della plebe inizialmente due poi, col passare del tempo, crebbero fino a dieci. I tribuni della plebe possedevano diversi poteri tra i quali lo Ius auxilii, ossia il diritto di intervenire a favore di un cittadino contro l'azione di un magistrato, lo Ius intercessionis, ossia il diritto di porre il veto su qualsiasi provvedimento di un magistrato e lo Ius sacrosanctitas, 22 ossia di inviolabilità personale (chi avesse commesso violenza contro i rappresentanti della plebe dopo un regolare voto del concilium plebis sarebbe divenuto sacer, consacrato alla divinità, cioè messo a morte). I tribuni assunsero il potere di convocare e presiedere l'assemblea della plebe e di sottoporre ad essa le proprie proposte. Il tribuno aveva obblighi nei confronti della plebe, infatti non poteva trascorrere la notte al di fuori della città e la porta della sua casa doveva sempre essere lasciata aperta in caso di necessità di assistenza ai plebei. - Gli edili plebei, altri due rappresentanti della plebe affiancati ai tribuni, che avevano il compito di organizzare i giochi, sorvegliare i mercati, controllare le strade, i templi e gli edifici pubblici. La prima secessione approda a un risultato essenzialmente politico: il riconoscimento da parte dello Stato a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Il problema dei debiti rimase invece per il momento irrisolto. Della crisi economica cerco di approfittare Il console SPURIO CASSIO nel 486 proponendo una legge che ridistribuisse le terre, egli venne accusato di aspirare alla tirannide e condannato a morte (con la collaborazione della plebe stessa). Da questa vicenda possiamo supporre che il disagio economico della plebe povera sia stato in qualche misura strumentalizzato dalle famiglie plebee più facoltose ed influenti per raggiungere le conquiste politiche alle quali maggiormente erano interessate. Il Decemvirato e le leggi delle XII tavole Dopo aver ottenuto il riconoscimento di una propria organizzazione politica interna, la plebe incominciò a premere affinchè fosse redatto un codice di leggi scritto. Nel 451 a.C. venne nominata una commissione composta da dieci uomini, unicamente patrizi, chiamata decemvirato e incaricata di stendere il primo codice giuridico scritto. Le tradizionali magistrature repubblicane vennero sospese per impedire che, con i loro veti incrociati, potessero paralizzare l’azione dei decemviri. Nel corso del primo anno di attività i decemviri compilarono un complesso di norme che vennero pubblicate su dieci tavole di legno esposte nel Foro. Rimanevano tuttavia dei punti irrisolti perciò nel 450 a.C. venne convocata una seconda commissione decemvirale in cui vi erano anche i plebei. La nuova commissione aggiunse altre due tavole alle precedenti, portandole a un totale di XII Tavole. La commissione, sotto la spinta del suo membro più influente, APPIO CLAUDIO, cerco di prorogare i propri poteri assoluti. Il tentativo si scontrò con l’opposizione della plebe e degli elementi più moderati del patriziato. Come ai tempi della caduta della monarchia, è la violenza nei confronti di una giovane e far precipitare la situazione: la violenza di Appio Claudio nei confronti di Virginia, figlia di un valoroso centurione, provoca una seconda secessione a seguito della quale i decemviri furono costretti a deporre i loro poteri. Tribuni militari con poteri consolari Il plebiscito fatto votare da CAIO CANULEIO, nel 445 a.C., era volto a riconoscere la legittimità dei matrimoni misti tra patrizi e plebei, vietati precedentemente dalle XII tavole. Il sangue plebeo poteva dunque legittimamente mescolarsi con quello patrizio, diventava così difficile escludere un plebeo, nelle cui vene scorresse almeno un po’ di sangue patrizio, dal consolato. Il patriziato, vedendo minacciato il suo monopolio al consolato, ricorre, a partire dal 444 a.C., a un espediente: i due consoli, esclusivamente patrizi, sarebbero stati assistiti nei loro compiti da alcuni 25 divenne tanto esclusiva che i pochi personaggi pur non avendo antenati nobili raggiunsero i vertici della carriera politica venivano definiti homines novi. Per poter accedere alle cariche politiche, pur non appartenendo alla nobiltà, bisognava necessariamente discendere da una famiglia facoltosa, il limite di censo richiesto per poter intraprendere la carriera politica era infatti inizialmente di 100.000 assi e successivamente venne elevato a 1.000.000 di assi. Le magistrature in età repubblicana Magistratura Numero Durata carica Elezione Poteri Dittatore 1 6 mesi massimo Nominato da un console Potere supremo, soprattutto in ambito militare Censori 2 18 mesi Eletti dai comizi centuriati Censimento, compilazione delle liste dei senatori Consoli 2 1 anno Eletti dai comizi centuriati Comando esercito, presidenza del senato e dei comizi, controllo degli auspici. Pretore 1 1 anno Eletti dai comizi centuriati Amministrare la giustizia tra i cittadini romani e poteva, in caso di necessità, essere messo alla testa di un esercito Edili plebei 2 1 anno Eletti dal concilio della plebe Tesorieri della plebe. Edili curiati 2 1 anno Eletti dai comizi tributi Organizzare i Ludi maximi e i Ludi romani, i giochi connessi al culto di Giove Ottimo Massimo. Tribuni della plebe In origine 2 poi 10 1 anno Eletti dal concilio della plebe Presidenza del concilio della plebe Questori Inizialmente 2 poi aumentano 1 anno Inizialmente designati dai consoli, poi eletti dai concili tributi Competenze finanziarie Capitolo 3 La conquista dell’Italia Le fonti Le principali fonti letterarie riguardanti le conquiste di Roma in Italia sono DIONIGI DI ALICARNASSO, DIODORO SICULO, LIVIO, CASSIO DIONE, APPIANO DA ALESSANDRIA, PLUTARCO e POLIBIO; a questi si sommano alcuni documenti epigrafici come i Fasti trionfali o le laminette auree di Pyrgi (città lungo la costa tirrenica a nord di Roma) e numerose fonti archeologiche. 26 La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma Alla caduta della monarchia Roma controllava un territorio Laziale che si estendeva dal Tevere alla Regione Pontina. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. buona parte delle città latine, approfittando delle difficoltà interne di Roma, si unirono in una lega in cui i cittadini condividevano alcuni diritti: Ius connubi che permetteva di contrarre matrimoni legittimi concittadini di altre città latine appartenenti alla Lega; Ius commercii che permetteva di avere contratti legali tra cittadini appartenenti a diverse città latine; Ius migrationis con il quale un latino poteva assumere i diritti civici di altre comunità prendendovi residenza. La lega era governata da un dittatore che aveva anche la carica di supremo comandante dell’esercito. La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum La lega latina tentò di affermarsi definitivamente attaccando Roma: secondo la tradizione questa guerra fu combattuta nel tentativo di ricollocare Tarquinio il Superbo sul trono di Roma. Nel 496 a.C. i romani sconfissero la lega sul lago Regillo e nel 493 a.C. stipularono un trattato chiamato Cassiano (foedus Cassianum) perché sigillato dal console spurio Cassio che avrebbe regolati i rapporti tra Roma e latini: le due parti si impegnavano a mantenere la pace e creare un’alleanza difensiva (prestarsi aiuto reciproco se fossero stati attaccati). L’eventuale bottino delle campagne di guerra comuni sarebbe stato equamente diviso, sia per quanto riguardava i beni mobili che per quanto riguarda le terre. Nel 486 Roma completò il proprio sistema di alleanze stringendo un accordo con gli Ernici, popolazione che abitava a sud-est di Roma, tra gli equi e i volsci. I conflitti con Sabini, Equi e Volsci L'alleanza stretta da Roma con la Lega latina e gli Ernici si rivelò preziosa per fronteggiare la minaccia delle popolazioni che dagli Appennini premevano verso la piana costiera del Lazio a causa delle scarse condizioni di sopravvivenza del territorio appenninico (Sabini, Equi e Volsci). Le fonti riportano che nel quinto secolo i conflitti tra Roma e le popolazioni appenniniche furono moltissimi e finirono per logorare le forze di Roma, tanto da essere considerati come una delle concause della crisi economica che colpì la città nel V sec. a.C. Volsci I volsci discesero dagli Appennini verso la fine del IV secolo a.C. e occuparono tutta la parte meridionale del Lazio, un tempo parte del regno di Tarquinio il Superbo. Figura 4 Territorio romano alla fine dell'età monarchica (510 a.C.) 27 Equi Gli Equi riuscirono a conquistare i monti prenestini e alcune importanti città latine come Tivoli e Preneste. Roma, insieme ai suoi alleati Latini ed Ernici, riuscì a bloccare questa popolazione ai Colli Albani. Sabini I sabini minacciarono direttamente Roma e furono i primi ad essere integrati nel l'impero: tale integrazione possedeva sia un volto pacifico sia uno minaccioso, infatti i romani organizzarono una serie di campagne contro la Sabina. Presto nel territorio sabino vennero create due nuove tribù rustiche. Il conflitto con Veio Se, per bloccare l’avanzata delle popolazioni montanare, Roma poté contare sull'aiuto dei latini e degli ernici, per sconfiggere la città etrusca di Veio, posta a 15 km a nord di Roma, si trovò da sola. Il contrasto tra Roma e Veio durò per tutto il V secolo a.C. e si sviluppò in particolare in tre guerre. Prima guerra veiente (483-474 a.C.): i veienti riuscirono ad occupare un’importante città sulla riva sinistra del Tevere chiamata Fidene. Il tentativo di reazione di Roma finì con una tragedia: un esercito di circa 300 soldati, composto esclusivamente da membri della gens Fabia e dai loro clienti, venne annientato sul fiume Cremera, piccolo affluente di sinistra del Tevere. A seguito della vittoria, Veio si vide riconoscere il possesso su Fidene. Seconda guerra veiente (437-426 a.C.): i romani riuscirono a vendicare la sconfitta grazie a AULO CORNELIO COSSO che uccise in duello il tiranno di VEIO LARS Tolumnio e Fidene venne conquistata e distrutta dai romani. Terza guerra veiente (405-396 a.C.): il teatro delle operazioni si spostò lungo le mura di Veio che godeva di un’invidiabile posizione difensiva, dal momento che sorgeva su una collina, difesa da ripide scarpate e dal corso di due torrenti. Veio fu assediata per 10 anni dai romani e infine distrutta. La presa di Veio segnò una grande svolta per Roma infatti a causa del lunghissimo assedio venne introdotta una paga lo stipendium al fine di assicurare il sostentamento dei soldati dei loro familiari; fu poi introdotta anche una tassa straordinaria chiamata tributum basata sul censo, gravava cioè in misura proporzionale sulle diverse classi dell’ordinamento censitario. La vittoria su Veio fruttò soprattutto la conquista di un ampio e fertile territorio, che venne inglobato nello stato romano e in parte ridistribuito a coloni a titolo di proprietà privata, in parte lasciato indiviso in qualità di ager publicus. L’invasione gallica: il sacco di Roma I risultati ottenuti da Roma con il successo su Veio furono messi in crisi dalla Calata dei Galli in Italia intorno alla metà del VI secolo a.C. Questa prima ondata celtica, dopo aver battuto gli Etruschi, avrebbe dato vita alla tribù degli Insubri, e alla fondazione di Mediolanum, l’odierna Milano. Nei decenni seguenti Figura 5 Prima guerra veiente 30 La lega Latina viene disciolta: Alcune città vennero incorporate nello Stato romano in qualità di municipi, Alcune conservarono la propria indipendenza ma non poterono intrattenere alcuna relazione tra loro, Altre città colonie furono fondate ex novo e quindi acquisirono una nuova concezione dello status latino divenendo soci cioè alleati. Essi erano privilegiati perché possedevano i soliti diritti e i loro rapporti erano regolati da trattati che lasciavano ampia autonomia interna a consentivano comunque a Roma di ampliare la propria egemonia. I soci come ad esempio le città di Tivoli e Preneste dovevano pagare a proprie spese i contingenti delle truppe Altre città definite civitas sine suffragio consentivano i cittadini di ottenere la cittadinanza ma senza diritto di voto mantenendo comunque un autonomia interna. La seconda guerra sannitica La causa della seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) è da ricercare nelle divisioni interne di Napoli, l’ultima città greca della Campania rimasta indipendente, in cui si fronteggiavano le masse popolari, favorevoli ai Sanniti e le classi più agiate filoromane. Nei primi anni il conflitto si sviluppò a favore dei Romani che riuscirono a sconfiggere i Sanniti più volte, il protagonista di queste vicende fu PUBLILIO FILONE. Egli conquistò è un primo successo in Campania mentre il secondo tentativo di penetrare nel Sannio e raggiungere Luceria fu un fallimento: nel 321 a.C. gli eserciti Romani furono circondati è costretti alla resa. A casa di questa sconfitta vi fu una breve interruzione delle operazioni militari che costituì una tregua momentanea della quale i romani approfittarono per compensare la perdita di alcune colonie e rinforzare le proprie posizioni allacciando alleanze con Apulia e Lucania. La battaglia riprese nel 316 a.C. quando i romani attaccarono Saticula: i primi successi furono a favore dei Sanniti ma negli anni successivi Roma, grazie alla propria strategia e tenacia conquista la città e le colonie perdute. In questi anni Roma riformò il proprio esercito abbandonando lo schieramento al falange e suddividendo la legione in 30 reparti chiamati manipoli, risultanti dall’unione di due centurie (120 uomini) e tripartita su tre linee ciascuna composta da 10 manipoli. Questa nuova organizzazione consentiva flessibilità all'esercito che fu in grado di affrontare la minaccia dei Sanniti a sud in contemporanea agli Etruschi a nord che attaccarono nel 311a.C. L’esercito Etrusco fu bloccato e le città ostili a Roma furono costrette a una tregua nel 308 a.C. Infine, nel 304 a.C., venne stipulata una pace che portò il rinnovo dell'alleanza tra Roma e i Sanniti del 354 a.C. Al termine della seconda guerra sannitica Roma, grazie alle annessioni territoriali, era diventata lo stato più forte dell'intera penisola. La terza guerra sannitica La sconfitta subita nel 304 a.C. era stata grave per i Sanniti ma non decisiva infatti nel 298 a.C. Sanniti attaccarono la alcune comunità della Lucania con la quale confinavano a Sud, i romani accorsero in aiuto dei Lucani dando via alla terza guerra sannitica. 31 I Sanniti misero in piedi una potente coalizione antiromana che comprendeva anche gli Etruschi, i Galli e gli Umbri. Lo scontro decisivo tra Roma e l'alleanza avvenne nel 295 a.C. a Sentino al confine tra l'Umbria e le Marche. Gli eserciti romani di QUINTO FABIO RULLIANO e PUBLIO DECIO MURE riuscirono a prevalere sui Sanniti e i Galli. Il sistema di egemonia, che aveva preso forma dopo la grande guerra latina cominciava a dare i suoi frutti, assicurando a Roma un potenziale militare preponderante. I Sanniti si videro obbligati a chiedere la pace nel 290 a.C. Gli Umbri e gli Etruschi furono costretti a concludere trattati che li legavano a Roma già all’indomani della battaglia di Sentino. Un decennio più tardi ci fu un tentativo dei galli, alleati di alcune città etrusche, di penetrare nuovamente nell’Italia centrale; la controffensiva romana le città dell’etrusche e umbre. Queste operazioni portarono, nel 264 a.C., tutte le comunità dell'Umbria e dell'Etruria a diventare socii di Roma ad eccezione di Cere che divenne civitas sine suffragio. Sul lato dell'Adriatico nel 290 vennero sconfitti i sabini e i Pretuzzi e parte del loro territorio fu conquistato per dar vita a nuove colonie romane. Sul lato dell'Adriatico già nel 290 a.C. vennero sconfitti i Sabini e i Pretuzzi. La conquista della Sabina diede a Roma grandi vantaggi economici se si pensa alla fertilità della terra sulla sponda sinistra del Tevere. Nell’Adriatico settentrionale venne ammesso un territorio un tempo appartenuto ai Senoni che portò Roma ad affacciarsi alla Pianura padana e, allo stesso tempo, a sbarrare le vie d’accesso a possibili incursioni galliche nell’Italia centrale. Nelle Marche meridionali i Piceni tentarono una disperata guerra contro Roma nel 269 a.C. ma furono costretti alla resa. Dopo circa 30 anni dalla battaglia di Sentino Roma, grazie a queste operazioni militari, era riuscita a portare i confini settentrionali del territorio sotto il suo controllo lungo la linea che andava dall'Arno a Rimini. Il conflitto con Taranto Nel Mezzogiorno alcune popolazioni come Lucani e Bruzi mantenevano la loro indipendenza, così come la città greca più ricca e potente d’Italia: Taranto. Un motivo di grande tensione si ebbe dalla spinta espansionistica delle popolazioni italiche verso le città greche della costa che portarono alla formazione di un'alleanza tra le vecchie colonie della Magna Grecia chiamata Lega italiota capitanata da Taranto. Nel 360 a.C. la Lega italiota andò incontro a un processo di disgregazione che la costrinse in pratica all’impotenza, costringendo le vari città ad opporsi in modo autonomo alle pressioni delle popolazioni italiche. Taranto, chiese aiuto alla madrepatria: Sparta e siglò un accordo con i Romani, con il quale Roma si impegnava a non penetrare nelle acque del golfo di Taranto. I Tarantini si stancarono presto dei loro “liberatori” e, intorno al 300 a.C., si rivolsero ad AGATOCLE, re di Siracusa, per avere protezione. Figura 8 Terza guerra sannitica 32 La morte di Agatocle, nel 289 a.C., privò però i Greci dell’Italia meridionale di un protettore e, nel 285 a.C. e poi nel 282 a.C. Turi, una città nel Golfo di Taranto, chiese aiuto a Roma per difendersi dai Lucani. I Romani insediarono una guarnigione nella città e inviarono una flotta nel golfo di Taranto. Allo stesso tempo Roma rispose anche alle richieste di soccorso delle altre città del Mezzogiorno. Roma prefigurava per sé il ruolo di patrona degli Italioti e di egemone dell’Italia meridionale. Di fronte alla provocazione causata dallo sconfinamento della flotta i Tarantini attaccarono le navi romane affondandone alcune e poi marciarono su Turi espellendo la guarnigione romana. La guerra divenne così inevitabile. L’intervento di Pirro Taranto ben presto si trovò in difficoltà e fu costretta a chiedere soccorso alla madrepatria greca, aiuto che arrivò nella figura Pirro, re dei Molossi e comandante della Lega epirotica, che organizza una spedizione con carattere di crociata in difesa dei Greci d'occidente procurandosi l'appoggio delle potenze ellenistiche. Nel 280 a.C. Pirro sbarca in Italia con 22mila fanti, 3mila cavalieri e 20 elefanti da guerra costringendo Roma ad arruolare, per la prima volta, i capite censi, i nullatenenti, fino ad allora esentati dal servizio militare. La battaglia di Eraclea segnò una grave sconfitta per i romani, nonostante questi ultimi fossero in superiorità numerica e più abili in battaglia, il devastante effetto psicologico dovuto agli elefanti diede i suoi risultati. Questa battaglia mise a rischio le alleanze romane in Italia meridionale: Lucani e Bruzi si schierarono dalla parte dell'epirota, a questi seguirono anche i Sanniti. Il tentativo di Pirro era quello di suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma anche nell’Italia centrale e collegarsi con gli Etruschi. Pirro, consapevole di avere un esercito insufficiente per assediare Roma, propose delle trattative di pace che chiedevano libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori strappati a Lucani, Bruzi e Sanniti; le richieste furono però rifiutate dal senato romano. Questo rifiuto causò un attacco di Pirro che, dopo aver rafforzato il suo esercito, mosse verso l'Apulia settentrionale minacciando le colonie latine. Lo scontro con l’esercito romano inviato per bloccare la sua avanzata avvenne ad Ausculum nel 279 a.C.: la vittoria fu nuovamente di Pirro, ma il suo esercito subì gravissime perdite. Pirro aveva già vinto due importanti battaglie ma non riuscivo a concludere la guerra e Roma sembrava invece disposta a resistere all'infinito. Pirro accolse le richieste di aiuto di Siracusa pensando di riuscire a ottenere il controllo della ricchissima Sicilia. Decise quindi di recarsi sull’isola con una parte del suo esercito, lasciando intanto una forte guarnigione a Taranto. Nello stesso anni Roma strinse un’alleanza difensiva con Cartagine che prevedeva la mutua collaborazione militare contro i Molossi. Cartagine venne in aiuto con 120 navi da guerra ma, in un primo momento furono più volte sconfitti da Pirro, il quale assediò Lilibeo, all’estremità occidentale dell’isola: un assedio in realtà è inutile poiché la città riceveva aiuti via mare dove i Cartaginesi godevano di un’assoluta superiorità. 1 Eraclea 2 Roma 3 Ausculum 4 Lilibeo 35 a.C. fu persa anche la flotta di PUBLIO CLAUDIO PULCRO a Trapani. Roma non possedeva il denaro per poter creare nuovamente una nuova flotta. Parallelamente Cartagine, esausta, non riuscì a sfruttare la superiorità marina infliggendo solo attacchi di disturbo a Roma che solamente nel 242 a.C. riuscì a creare una nuova potente flotta grazie ad un prestito dei cittadini più facoltosi. La flotta sferrò il primo attacco nel 242 a.C. a Trapani e Lilibeo. Lo scontro finale che imputò la vittoria ai Romani fu alle isole Egadi nel 241 a.C. le conseguenze furono la richiesta di un trattato di pace da parte di Amilcare Barca, incaricato dai Cartaginesi: esso prevedeva pagamento di un indennizzo, la restituzione dei prigionieri di guerra e lo sgombero dell’intera Sicilia. La prima provincia romana A seguito della prima guerra punica Roma era entrata in possesso di un ampio terreno al di fuori della penisola italiana, costituito della Sicilia centro-occidentale (un tempo parte del dominio cartaginese), un territorio sentito come diverso e distinto dall’Italia. Il sistema con il quale Roma integrò questi nuovi possedimenti segnò una svolta nella sua storia istituzionale. Nella penisola, città e popolazioni erano state direttamente incorporate nello stato romano oppure legate da trattati che prevedevano l’invio di truppe in aiuto della potenza egemone ma non il pagamento di un’imposizione in denaro e lasciavano alle comunità sociae una larga autonomia interna. In Sicilia, invece, venne creata una provincia: alle comunità un tempo soggette a Cartagine venne imposto un tributo annuale in cereali, il grano fiscale che della Sicilia affluiva a Roma fu uno dei presupposti per il decollo demografico della città, ma anche per l’approvvigionamento degli eserciti romani impegnati sempre più spesso in campagne di conquista. I nuovi possedimenti siciliani vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente sull’isola, il quale doveva garantire il mantenimento dell’ordine e la difesa di questi territori; poco dopo furono istituiti due nuovi pretori, che andarono ad affiancarsi al pretore urbano e al pretore pellegrino (uno in Sicilia e uno in Sardegna). In breve il termine provincia, che originariamente indicava semplicemente e genericamente la sfera di competenza di un magistrato, assunse un significato più specifico: territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. Figura 10 Possedimenti di Roma e Cartagine precedentemente alla prima guerra punica 36 Nei suoi compiti il governatore era assistito da personale piuttosto limitato e così composto: Questore: assisteva il governatore in materia di finanze; Legati: giovani aristocratici all’inizio della loro carriera politica che collaboravano con il governatore nell’amministrazione della giustizia: Un gruppo di funzionari e impiegati di livello inferiore; Publicani: compagnie di privati cittadini che esercitavano l’attività di esazione delle tasse. I publicani spesso abusavano del popolo, in questi casi i loro reati, se rilevanti, erano giudicati dal governatore provinciale mentre se minori dai tribunali locali. La prima provincia romana non comprendeva l’intera Sicilia ma vi erano stati indipendenti e comunità speciali che godevano di privilegi guadagnati in seguito al modo in cui erano entrate nel dominio romano: Stati indipendenti, come gli alleati Siracusa e Messina; Civitates liberae et immunes, città all’interno del territorio provinciale che erano però libere dal controllo amministrativo e giudiziario del governatore ed esenti dal pagamento del tributo, in base a una decisione unilaterale di Roma che poteva essere revocata in qualsiasi momento. Ne è un esempio la città di Centuripe, che si era consegnata spontaneamente ai Romani. Civitates foederatae, con statuto simile a quello delle civitates liberae et immunes, privilegi che erano però il risultato di un accordo bilaterale che in linea di principio poneva Roma e la città alleata sullo stesso piano. Il resto delle città siciliane (la maggior parte) erano invece civitates stipendiariae poiché soggette al pagamento del tributo. L’elenco delle comunità era contenuto in un documento descrittivo che prendeva il nome di formula provinciae che definisce l’estensione della provincia stessa. Di regola i principi dell’amministrazione delle province erano regolate dalla lex provinciae, documento che comprendeva una serie di regole, a volte queste erano dettate dal conquistatore o dal senato anche molto dopo la conquista, talvolta invece non venivano mai emanate. L’ampia distanza tra Roma e le province consentiva ai governatori provinciali un’ampia autonomia d’azione ma non li esentava dal redigere una relazione da inviare al senato, fu proprio questo meccanismo che impedì alle province di diventare feudi privati dei loro governatori e, di conseguenza, delle potenziali minacce per Roma. La rivolta dei mercenari e la conquista di Sardegna e Corsica Nel periodo che va dalla fine della prima guerra punica (241 a.C.) e lo scoppio della seconda (218 a.C.) Roma e Cartagine consolidarono le proprie potenze in vista dello scontro decisivo. Per Cartagine i primi anni dopo la sconfitta furono drammatici: la città non era in grado di assicurare il pagamento delle numerose truppe mercenarie che avevano combattuto contro i Romani. I mercenari, stanchi di attendere, si ribellarono, coinvolgendo anche alcune popolazioni dell’Africa settentrionale soggette a Cartagine. Il compito di sedare la rivolta fu affidato ad AMILCARE BARCA, che represse le agitazioni con successo. In breve, però, la ribellione dei mercenari dell’Africa si estese alle guarnigioni della Sardegna, che chiesero aiuto a Roma. Quando i cartaginesi, liberi dalla minaccia in patria, allestirono una spedizione per sedare le rivolte in Sardegna, Roma decise di intervenire e si disse pronta a dichiarare guerra a Cartagine, la quale fu accusata di prepararsi ad aprire le ostilità contro Roma stessa. 37 I Cartaginesi, non avendo la possibilità di sostenere una nuova guerra, si chinarono alle dure condizioni di pace imposte: cedere Sardegna e Corsica (che andarono a formare la seconda provincia romana dopo la Sicilia). L’umiliazione subita dai Cartaginesi in questo frangente e il conseguente sentimento di rivalsa saranno tra le ragione dello scoppio della seconda guerra punica. La buona produzione cerealicola della Sardegna diede a Roma un secondo e importante granaio, dopo la Sicilia. D’altra parte, il possesso della Sardegna non fu certo facile per Roma, che nei primi anni della creazione della provincia si vide costretta a inviare regolarmente eserciti nell’isola per sedare la resistenza degli indigeni. Per domare la Sardegna Roma decise infine, nel 227 a.C., di introdurre altri due magistrati provinciali dotati di imperium1, uno per la Sicilia ed uno per la Sardegna e Corsica. Le campagne di Roma nell’Adriatico e in Italia settentrionale Pochi anni dopo questa impresa nel Tirreno, Roma si affacciò sull’Adriatico dove le scorrerie dei pirati illiri, spesso frutto di iniziative personali, arrecavano danni considerevoli alle città greche della costa orientale dell’Adriatico. Queste città si rivolsero a Roma che, anche a tutela di un interesse strategico sull’Adriatico rispose positivamente: il senato romano inviò proteste alla regina degli Illiri, TEUTA, la quale però le rifiutò causando una dichiarazione di guerra da parte di Roma. Iniziava così la prima guerra illirica (229 a.C.) che vide presto la vittoria di Roma. Teuta fu costretta a cedere il trono, mentre agli Illiri fu proibito di navigare con più di due navi disarmate. Demetrio, un collaboratore di Teuta che era passato dalla parte di Roma, venne ricompensato con la concessione di possedimenti intorno all’isola di Faro. Roma fece annunciare la propria vittoria in molte città greche importanti come Corinto portando alla partecipazione ai Giochi Istimici2 dei romani. Qualche anno dopo Roma intervenne di nuovo in Illiria, a seguito degli atti ostili del vecchio alleato di Faro, Demetrio, di cui si temeva anche l’alleanza con Filippo V di Macedonia. Anche la seconda guerra illirica (219 a.C.) dal punto di vista militare fu un’impresa di poco conto per i Romani: Demetrio fuggì presso Filippo V e Faro entrò nel protettorato romano, questo episodio gettò però le premesse per un’ostilità tra Roma e Macedonia. Negli anni tra le due guerre puniche Roma avviò la conquista dell’Italia settentrionale (conclusa solo nel II sec. a.C.). L’attenzione di Roma in questa zona venne richiamata dall’incursione dei Galli del 236 a.C., che si arrestò davanti alla colonia latina di Rimini. Quattro anni dopo, il tribuno della plebe CAIO FLAMINIO propose di distribuire a singoli cittadini romani l’ager Gallicus, la regione strappata qualche decennio prima ai Senoni. Il massiccio insediamento di cittadini romani in un territorio non organizzato, almeno inizialmente, in centri urbani, rese necessario affrontare il problema dell’amministrazione di un territorio caratterizzato da un popolamento sparso: la soluzione fu la creazione di centri preurbani, detti fora o conciliabula, non dotati di autonomia e in cui la giustizia era gestita da prefetti che rispondevano direttamente al pretore di Roma. 1 Imperium: potere di stampo militare che conferisce al suo titolare la facoltà di impartire ordini ai quali i destinatari non possono sottrarsi (simboli esteriori di questo potere sono i fasci littori). 2 Giochi Istmici: giochi se si svolgevano ogni quattro anni a Corinto e dai quali erano esclusi i barbari. Ammettere Roma ai giochi significava dunque insignirla di una sorta di certificato di grecità. 40 indennità; consegnare prigionieri di guerra; cedere tutti i possedimenti eccetto l’Africa e le fu vietato di dichiarare guerra senza il permesso di Roma (questa grave limitazione mise Cartagine in difficoltà di fronte alla crescente aggressività di Massinissa). Figura 11 Il percorso di Annibale nella seconda guerra punica . L’eredità di Annibale L’impresa di Annibale ha dato origine ad una trasformazione di Roma: si crearono nuove e più rigide forme di controllo. Roma punì le comunità traditrici imponendo un censimento rigido, secondo le regole romane; Capua fu privata dell’autogoverno e amministrata da Roma e le vennero sottratti ampi porzioni dell’ager publicus così come a Bruzio, Lucania, Apulia, Sannio. Partì inoltre un progetto di fondazione di otto colonie tra il 197 e 192 con il fine di creare capisaldi di controllo: Volturno, Literno, Pozzuoli, Manfredonia, Salerno, Policastro, Lamezia, Crotone; ad esse si aggiunsero Copia e Valentia. Alcune di esse iniziarono a spopolarsi in breve tempo mentre altre divennero importanti centri economici. Sul piano economico si verificò una crisi dei piccoli e medi proprietari terrieri causata dalla crisi demografica portata dalla guerra, distruzioni materiali causate dagli eserciti. Nel II a.C. si definì un nuovo modello di sfruttamento del territorio a quello un tempo prevalente della famiglia di agricoltori che coltivava per autoconsumo: l’aristocrazia investì nelle terre, talvolta usurpando territori statali. Nei terreni degli aristocratici lavorava una massa sempre crescente di schiavi, i quali non erano soggetti al servizio militari quindi erano sempre disponibili e non dovevano essere pagati. Principalmente le coltivazioni prevedevano cereali, ulivi e viti e erano destinate ai mercati, assicurando 41 cospicui guadagni. Si afferma il modello economico della villa: fattoria di 25 ettari che consentì il passaggio dall’agricoltura di sostentamento a quella “capitalista”. La seconda guerra macedonica Pochi anni dopo la guerra contro Cartagine, Roma si impegnò in un altro conflitto di grandi proporzioni contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu soprattutto l’attivismo di Filippo V nell’area dell’Egeo e delle coste dell’Asia Minore, alla quale il re macedone si era volto dopo che le sue ambizioni nella regione illirica erano state bloccate dalla pace di Fenice del 205 a.C. Filippo dunque attaccò alcune alleate della Lega Etolica e soprattutto a scontrarsi con le due maggiori potenze dell’area, il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. Le tensioni sfociarono nel 201 a.C. in guerra aperta. I coalizzati compresero che da soli non sarebbero riusciti ad allontanare la minaccia macedone e si rivolsero a Roma. Roma decise di inviare un ultimatum a Filippo chiedendogli di ripagare i danni di guerra inflitti agli alleati di Roma e di astenersi dall’attaccare gli Stati greci (mossa propagandistica per presentare Roma come la protettrice della Grecia e che gli fa acquistare sostegno di alcuni stati tra cui Atene). Filippo ignora l’ultimatum e nel 200 a.C. l’esercito romano sbarca nella città alleata di Apollonia. I primi due anni di guerra furono statici. La svolta ci fu nel 198 a.C. quando Roma, guidata da TITO QUINZIO FLAMININO, vinse su Filippo. Molti stati greci, compresa la lega Achea (da sempre alleata della Macedonia), passarono dalla parte di Roma. Nel 197 a.C. la battaglia di Cinocefale, in Tessaglia, vede annientato l’esercito di Filippo che è costretto ad accettare le condizioni di pace imposte da Roma: ritiro guarnigioni macedoni ancora presenti in Grecia, pagamento delle indennità, consegna della flotta (tranne 5 navi). Filippo riuscì tuttavia a mantenere il suo regno di Macedonia, con disappunto degli Etoli che desideravano il suo smembramento o quantomeno un forte ridimensionamento. Nel 195 a.C. Flaminio conduce una breve campagna contro il RE NABIDE di Sparta, il quale era entrato in contrasto con gli Achei per la città di Argo, e che rappresentava una minaccia per la stabilità sociale dell’intera Grecia. Nabide fu battuto e costretto a cedere Argo. Infine, nel 194 a.C., l’esercito romano evacua dalla Grecia. La guerra siriaca Negli stessi anni in cui Flaminino regolava gli affari della Grecia, il re ANTIOCO III di Siria, approfittando della debolezza dell’Egitto e della Macedonia stava estendendo la propria egemonia in Asia Minore: alcune città, come Smirne e Lampasco, sostenute dal re di Pergamo EUMENE II, chiesero aiuto a Roma. Antioco aveva infatti attraversato con un esercito l’Ellesponto reclamando i possedimenti della costa della Tracia. Roma chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell’Asia Minore e l’immediata evacuazione dell’Europa. Antioco però respinse le richieste, egli da un lato assicurò di non nutrire ostilità nei confronti di Roma, dall’altro reclamò la fondatezza delle sue pretese su Asia Minore e Tracia. La guerra siriaca scoppiò nel 192 a.C. quando la Lega Etolica costrinse Antioco III a liberare la Grecia dal controllo romano. Antioco, rispondendo all’appello, decise di recarsi con un piccolo esercito nei territori degli Etoli. Egli aveva però sopravvalutato il sostegno del quale avrebbe potuto godere, la Lega 42 Achea, infatti, si schierò dalla parte di Roma, l’unico appoggio ad Antioco proveniva dalla Lega Etolica. Antioco venne così duramente battuto, l’anno seguente, alle Termopili e fuggì in Asia Minore. Roma, decisa a distruggere definitivamente Antioco, nel 190 a.C. si prepara a invadere l’Asia Minore: i due fratelli Scipioni (Publio Cornelio Scipione Africano e il meno famoso Lucio Cornelio Scipione) invasero l’Asia Minore sia via terra che via mare. Lo scontro finale fu nella città Magnesia al Sipilo; qui Antioco fu annientato. Nel 188 a.C. fu stipulata la pace di Apamea che imponeva ad Antioco di pagare un’enorme indennità di guerra, affondare tutta la sua flotta (tranne 10 navi), consegnare i nemici di Roma che avevano trovato rifugio alla sua corte e liberare i territori a Nord e a Ovest del massiccio montuoso del Tauro (che non furono annessi al dominio romano ma spartiti tra Pergamo e Rodi). La Lega etolica fu cosi ridimensionata e resa innocua. Le tensioni politiche dei primi decenni del II secolo a.C. L’ampliamento degli orizzonti di Roma a seguito delle vittorie tra il III e il II secolo porta ad alcuni cambiamenti: Processo degli Scipioni (187 a.C.): Lucio Scipione è accusato di essersi impadronito di parti dell’indennità di guerra versata al Re di Siria; grazie ai tribuni della plebe fu cagionato dal dover pagare una multa. Lo stesso anno anche Scipione Africano sarà accusato per lo stesso motivo: egli si rifiuterà di rispondere alle accuse e si ritirerà in esilio politico in Campania dove morirà l’anno dopo. Legge Villia (180 a.C.): introduce l’obbligo di un età minima per le cariche di magistratura e l’intervallo di un biennio da una carica all’altra, proibisce inoltre di rivestire un secondo consolato entro i 10 anni dalla prima elezione. Culto di Bacco: negli stessi anni si diffuse in tutta Italia il culto di Bacco. I baccanali, seguaci di Bacco, furono severamente puniti da parte del Senato a partire dal 186 a.C., i sacerdoti di tale credo furono uccisi o imprigionati mentre la devozione a Bacco fu sottoposta a una rigida regolamentazione. Ciò che aveva indotto il Senato ad adottare misure tanto drastiche non era tanto la necessità di reprimere le pratiche orgiastiche e i supposti crimini che si attribuivano ai baccanali, quanto piuttosto il fatto che i devoti di Bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come una sorta di stato all’interno dello Stato romano. La terza guerra macedonica Dopo la pace di Apamea si crearono i primi contrasti tra Roma e la Macedonia, quando le ambizioni di Filippo V sulle città della costa trace vennero frustrate da Roma. Negli stessi anni la posizione di Roma in Grecia si faceva delicata, questa zona infatti pullulava di controversie tra le diverse città che vi abitavano. Roma, per risolvere queste controversie adottò una linea che privilegiava i gruppi aristocratici, filoromani, e penalizzava le fazione democratiche. Nel 179 a.C., alla morte di Filippo V, la Macedonia passò al figlio PERSEO, che si liberò del fratellastro Demetrio che godeva dell’appoggio di Roma (ciò destò non poche preoccupazioni agli occhio dei Romani). 45 Parte terza La crisi della Repubblica e le guerre civili Capitolo 1 Dai Gracchi alla guerra sociale Le fonti Fonti sull’età dei Gracchi (133-121 a.C.) La maggior parte delle opere di questo periodo è andata perduta: ci si deve perciò basare su scrittori più tardi, che possono anche presentare, nelle loro ricostruzioni o interpretazioni, il rischio di anacronismi. Le fonti di annalistica media sono quasi tutte scomparse come Fannio, Gellio, Calpurnio Pisone, Sempronio Asellione. Le fonti annalistica recente sono andate perdute come MACRO, QUADRIGARIO, ANZIATE, TEBURONE, RUFO, CATULO, SISENNA. Tra gli autori latini posteriori vi erano CICERONE, LIVIO, PATERCOLO, FLORO, OROSIO, GELLIO, VALERIO MASSIMO, DIONE etc. La documentazione epigrafica si basa sulla tabula bembina che conserva la lex reputandarum (reati di concussione), l’iscrizione pergamena OGIS e il monumento di Efeso. Fonti dai Gracchi alla guerra sociale (121-88 a.C.) Periocae di LIVIO, PATERCOLO, FLORO, DIODORO SICULO, DIOE, SALLUSTIO, CICERONE Documenti diretti: cippi confinari iscritti, sententia minuciorum, tabula contrebiensis, deditio di Alcantara, tabula bantina e alcune lex. L’età dei Gracchi: una svolta epocale? La tradizione storiografica riconduce ai Gracchi l‘origine della degenerazione dello Stato Romano e l’inizio del tempo delle guerre civili. Mutamento degli equilibri sociali A causa delle numerose guerre degli anni passati i Romani erano rimasti lontani dalle proprie case e dai campi per molto tempo; contemporaneamente queste guerre avevano condotto a Roma grandi bottini monetari caduti però nelle mani di pochi, un ampliamento di orizzonti e delle occasioni di sfruttamento e di mercato, un’enorme massa di schiavi, una massiccia penetrazione di idee greche. I romani entrarono nel grande commercio di olio, vino, grano, schiavi etc. Erano diventati amministratori bancari favorendo la fortuna di molti senatori e formando gli equites cioè i cavalieri appartenenti alle 18 centurie (censo 400.000 sesterzi) cui era dato inizialmente un cavallo che doveva poi essere sostentato a proprie spese. A Roma si diffuse l’ellenismo infatti tutti i giovani romani venivano educati da precettori di cultura greca. 46 Crisi della piccola proprietà fondiaria e inurbamento Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato la fisionomia dell’agricoltura italica: il massiccio ricorso alla manodopera servile, l’importazione di grandi quantità di grano (dalla Sicilia) e di materie prime, la spinta verso colture più speculative costituirono una concorrenza all’agricoltura tradizionale di autosussistenza. I piccoli proprietari terrieri, già impoveriti dagli effetti della seconda guerra punica, trattenuti a lungo lontani dai propri campi, furono costretti a vendere i propri terreni e a divenire schiavi di grandi proprietari terrieri. L’agricoltura si concentrò dunque nelle mani di grandi proprietari terrieri i quali, attraverso l’uso di schiavi, destinavano i propri prodotti al commercio e non alla sussistenza dell’unità familiare. I contadini che non divenivano schiavi dei grandi proprietari, tendenzialmente migravano verso Roma attirati dalle possibilità che la città offriva. Roma crebbe di dimensioni iniziando la sua trasformazione in grande metropoli, con tuti i problemi di sussistenza e di approvvigionamento che di lì a poco cominciarono a rilevarsi in tutta la loro gravità. Rivolte servili Il moltiplicarsi di queste grandi tenute a personale schiavile e il dilatarsi delle zone destinate al pascolo in cui il bestiame era difeso e vegliato da schiavi-pastori armati, crearono i presupposti per il ripetuto esplodere di rivolte servili. La prima rivolta si verificò ad Enna nelle tenute del proprietario terriero DAMOFILO e si diffuse poi in tutta l’isola. I mezzi ordinari non furono sufficienti ad arginare la ribellione e Roma fu costretta ad inviare nell’isola tre consoli e solo l’ultimo, PUBLIO RUPILIO, riuscì nel 132 a.C. a domare la ribellione. Due fazioni dell’aristocrazia: optimates e populares L’accelerarsi dei mutamenti sociali fece venire meno l’equilibrio nella classe dirigente romana, la nobilitas, che si divise in due fazioni: Optimates: che si richiamavano alle tradizioni degli avi e si autodefinivano boni, cioè “gente da bene”. Questa fazione cercava di ottenere l’approvazione dei benpensanti, sostenendo l’autorità del Senato. Populares: che si proponevano come difensori del popolo, auspicando una serie di riforme in campo politico e sociale. La questione dell’ager publicus e il tentativo di riforma agraria di Caio Lelio Le guerre di conquista avevano fatto crescere a dismisura l’ager publicus (terreno demaniale), parti di essi erano spesso cedute in uso a privati a titolo di occupatio, dietro il pagamento di un canone. Lo Stato restava proprietario di questi terreni e si riservava la facoltà di revocarne il possesso a sua discrezione. Il canone preteso dallo stato (vectigal) era irrisorio e non sempre veniva riscosso. La crisi della piccola proprietà fondiaria fece sì che la maggior parte dell’ager publicus si concentrasse nelle mani dei grandi proprietari terrieri accentuando lo sfruttamento dei più piccoli: era necessaria una serie di norme che regolasse la dimensione dell’ager publicus. L’ultima di tali leggi è attribuita a CAIO LELIO, il suo progetto attirò però l’opposizione dei senatori tanto che egli si ritirò. 47 Tiberio Gracco TIBERIO GRACCO figlio maggiore di Tiberio Sempronio Gracco (trionfatore sulla Spagna) e di Cornelia (figlia di Scipione l’Africano) propose una riforma agraria per limitare la quantità di terreno pubblico posseduto. Il progetto di legge agrario, proposto ai comizi tributi, nel 133 a.C., fissava il limite massimo di terreno pubblico a 500 iugeri con l’aggiunta di 250 iugeri per ogni figlio fino ad un massimo di 1000 iugeri per famiglia. Istituì un collegio di triumviri, eletto dal popolo e composto da lui stesso, il fratello CAIO GRACCO e il suocero APPIO CLAUDIO PULCRO, il cui compito sarebbe stato quello di ripartire i lotti e recuperare i terreni in eccesso. Questi ultimi sarebbero stati distribuiti ai cittadini più poveri in piccolo lotti (30 iugeri). Il tutto sarebbe stato finanziato utilizzando il tesoro del Re Attalo III di Pergamo che, non avendo eredi, lo aveva lasciato al popolo romano. Il progetto era politicamente legittimo ed accurato ma l’utilizzo del tesoro di Pergamo come finanziamento invadeva prerogative che normalmente spettavano al Senato. Inoltre il progetto sollevò le proteste dei grandi proprietari che vedevano le proprie terre espropriate. Il giorno della presentazione del progetto un tribuno della plebe, MARCO OTTAVIO, oppose il suo veto impedendo l’approvazione del progetto. Tiberio chiese all’assemblea di destituire Ottavio perché, con il suo veto stava venendo meno al suo mandato di difensore del popolo. Ottavio fu rimosso e la riforma approvata. Tiberio decise di ricandidarsi anche l’anno successivo, fu così che gli avversari insinuarono che egli mirava esclusivamente all’affermazione di un proprio potere personale. Tiberio fu assalito e ucciso da un gruppo di senatori avversari capitanati dal pontefice massimo PUBLIO CORNELIO SCIPIONE NASICA. Da Tiberio a Caio Gracco La morte di Tiberio non pose fine all’attività del triumvirato che portò alla riassegnazione di nuovi territori nel Piceno, in Campania e in Lucania. Ciò scatenò il malcontento di latini e italici, le cui aristocrazie di ricchi proprietari avevano occupati grandi porzioni di ager publicus, e che ora si trovavano a dover restituire le parti in eccesso a beneficio dei nullatenenti romani. SCIPIONE EMILIANO si occupò di questa problematica ma alla sua morte il successore, il console FULVIO FLACCO, propose che tutti gli alleati italici potessero ottenere la cittadinanza romana o il diritto di appellarsi al popolo in caso di abusi da parte di magistrati romani. La proposta non fu neppure discussa date le molte opposizioni e Flacco vi rinunciò. Nel frattempo si erano registrate rivolte ad Asculum e a Fregellae che fu rasa al suolo e nel 124 a.C. e divenne colonia romana. Caio Gracco Nel 123 a.C. fu eletto Tribuno della plebe CAIO GRACCO, fratello minore di Tiberio, il quale ampliò i poteri della commissione triumvirale introdotta dalla legge agraria del fratello Tiberio. Dato che molte delle terre erano già state distribuite egli propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani sia in Italia sia nei territori della distrutta Cartagine. Propose una legge frumentaria assicurando a tutti i cittadini residenti a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Il grano necessario era 50 definitivamente i Galli meridionali nel 121 a.C. In questi territori fu così creata la provincia narbonese, che fu organizzata intorno alla città di Narbona. Baleari Nel 123 a.C. furono conquistate le isole Baleari che erano divenute basi di attività piratiche dannose ai traffici marittimi. Le Baleari furono annesse alla provincia di Spagna Citeriore e sottoposte a un prefetto nominato dal governatore. Dalmazia danubiana Nel contempo, tra il 119 a.C. e il 110 a.C., furono condotte molte campagne militari contro le tribù illiriche della Dalmazia (Scordisci e Taurisci). Figura 13 Provincia di Gallia Narbonese Figura 14 Provincia di Dalmazia danubiana 51 I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario Molti commercianti e uomini d’affari romani e italici erano stati attirati in Africa dalle potenzialità economiche della regione e dalla sua grande produttività in grano e olio. Nel 118 a.C. alla morte di Micipsa, figlio di Massinissa e anch’egli filoromano, il regno fu conteso tra i suoi tre eredi. Uno di essi, GIUGURTA, suo nipote e figlio adottivo, uccise uno dei due: IEMPSALE, mentre l’altro, ADERBALE, fu costretto a rifugiarsi a Roma chiedendo l’arbitrato del Senato che, nel 116 a.C. optò per la divisione della Numidia tra i due contendenti. Ad Aderbale andò la parte orientale più ricca, a Giugurta quella occidentale più vasta. Non contento quest’ultimo volle tentare di conquistare la parte di Aderbale cosi attaccò Cirta, la capitale, in cui uccise il rivale e trucidò anche uomini romani e gli italici che vi svolgevano la loro attività. Roma nel 111 a.C. fu dunque costretta a scendere in guerra. Le operazioni militari furono condotte da LUCIO CALPURNIO BESTIA che, dopo una serie di successi, si limitò a pretendere che Giugurta chiedesse la pace. A Roma si gridò allo scandalo, Calpurnio venne accusato di corruzione e Giugurta fui condotto a Roma per un’inchiesta. Giugurta sfuggì all’interrogatorio e tornò in patria, cosi la guerra fu ripresa sotto il comando di SPURIO POSTUMIO ALBINO ma senza successi e i romani furono costretti ad abbandonare la Numidia. Nel 109 a.C., quindi, la guerra fu affidata a QUINTO CECILIO METELLO e CAIO MARIO, suo legato4. Metello riprese le redini del conflitto e sconfisse Giugurta ma non riuscì a concludere la campagna dunque gli subentrò Caio Mario. Caio Mario era un homo novus e nuovo modello di politico, eletto console nel 107 a.C. L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina Mario che necessitava nuove truppe per far fronte alle perdite nella guerra giugurtina, apri l’arruolamento volontario ai capite censi, cioè coloro senza il minimo bene patrimoniale: i nullatenenti. Con il suo nuovo esercito ritorno in Africa e dopo tre anni, nel 105 a.C., riuscì a catturare Giugurta che condusse prigioniero a Roma e uccise due anni dopo. La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa, GAUDA, fratellastro di Giugurta ma fedele a Roma, la parte rimanente a BOCCO, suocero di Giugurta, con cui venne stipulato un trattato di alleanza. Caio Mario fu rieletto console nel 104 a.C. 4 Legato: comandante dell’esercito Figura 15 Regno di Numidia diviso tra Giugurta e Aderbale 52 Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni dell’esercito Nel frattempo due popolazioni germaniche i Cimbri e i Teutoni, provenienti dall’attuale Danimarca, stavano migrando verso sud. Oltrepassato il Danubio furono affrontati al di là delle Alpi CNEO PAPIRIO CARBONE, inviato a proteggere i confini d’Italia. La battaglia si svolse a Noreia, qui i romani subirono una disastrosa sconfitta, nel 113 a.C. Continuando il loro cammino verso occidente, nel 110 a.C. Cimbri e Teutoni comparvero in Gallia, minacciando la nuova provincia narbonese. Anche in Gallia i romani furono sconfitti dai germanici, nel 105 a.C., a Arausio (attuale Orange). A Roma crebbe il terrore che i Cimbri e i Teutoni invadessero l’Italia e crebbe l’insoddisfazione verso i generali dell’esercito di origine aristocratica. Caio Mario, nel 104 a.C. venne rieletto console e gli fu affidato il comando della guerra, egli in attesa che i barbari si facessero vivi di nuovo (i Teutoni si erano recati in Gallia e i Cimbri in Spagna) riorganizzò l’esercito: ogni legione fu articolata in 10 coorti di circa 600 uomini ciascuna, ognuna delle quali poteva operare con una certa autonomia. Il suo lavoro di riorganizzazione riguardò anche l’addestramento, l’equipaggiamento, l’armamento, le insegne e la logistica degli approvvigionamenti. Non appena i Germani comparvero nel 103 a.C. Roma stermino prima i Teutoni a Aquae Sextiae (l’attuale Aix en Provence) e poi i Cimbri a Vercellae (forse l’attuale Vercelli, forse una regione veneta). In queste circostanze fu messa in atto una particolare procedura di conferimento della cittadinanza romana: Caio Mario attribuì la cittadinanza romana direttamente sul campo di battaglia a 1000 soldati umbri schierati in favore di Roma. Eclissi politica di Mario; Saturnino e Glaucia Mentre era impegnato in campagne militari Mario aveva creduto utile appoggiarsi a LUCIO APPULEIO SATURNINO, il quale era stato aiutato proprio da Mario ad essere eletto tribuno della plebe nel 103 a.C. Nel 100 a.C. Mario fu eletto al suo sesto consolato, Saturnino al tribunato della plebe per la seconda volta e CAIO SERVILIO GLAUCIA, suo compagno di parte popolare, pretore. Contando sulla legge di Mario, Saturnino, presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Per poter sviluppare il suo programma Saturnino ottenne la rielezione a tribuno per l’anno successivo mentre Glaucia si candidava al consolato. Durante Figura 16 Cimbri e Teutoni 55 Mitridate VI Eupatore Mentre Romani e Italici combattevano la guerra sociale, in Oriente, a partire dalle coste del Mar Nero, si stava sviluppando una situazione allarmante. MITRIDATE VI EUPATORE, divenuto re del Ponto nel 112a.C., ed era riuscito ad impadronirsi del Bosforo Cimmerio, della Crimea e della Colchide. Egli riteneva di essere stato immotivatamente depredato da Roma perché essa gli aveva tolto, alla morte di suo padre MITRIDATE V EVERGETE, le donazioni territoriali che aveva fatto a quest’ultimo dopo la guerra contro Aristonico. Esse erano state riunite alla provincia d’Asia. Approfittando della guerra sociale Mitridate aveva intrapreso una politica espansionistica facendo invadere la Cappadocia da suo genero Tigrane, re di Armenia e spodestando dalla Bitinia il nuovo re NICOMEDE IV. A questo punto verso la fine del 90 a.C. Roma inviò in Oriente una truppa capeggiata da MANLIO AQUILIO con l’intento di rimettere sul trono i legittimi sovrani di Cappadocia e Bitinia. Mitridate dichiarò guerra a Roma: egli intraprese un’opera di propaganda antiromana rivolta al mondo greco. Egli si presentò come un benefattore che ripristinava le autonomie locali e concedeva l’immunità dai tributi. Riuscì presto a conquistare tutta l’Asia. Manlio Aquilio fu costretto a fuggire e rifugiarsi prima a Pergamo e poi a Mitilene dai cui abitanti venne consegnato a Mitridate e ucciso. La guerra era diventata così una grande sollevazione del mondo ellenico contro quello romano. Roma decise allora di reagire affidando il comando della guerra a LUCIO CORNELIO SILLA. Il tribunato di Publio Sulpicio Rufo e il ritorno di Mario; Silla marcia su Roma Nel frattempo a Roma il tribuno della plebe PUBLIO SULPICIO RUFO riprendeva il problema dell’inserimento dei cittadini italici nelle tribù romane. Ma il fatto che essi, al pari di tutti gli altri cittadini, dovessero venire iscritti nelle tribù, poteva produrre mutamenti radicali. Il loro numero infatti era tale che, se fossero stati ripartiti tra tutte e 35 le tribù e si fossero recati in massa a Roma per votare, sarebbero stati in maggioranza in ciascuna tribù, si era cercato allora di immetterli in un numero limitato di tribù. In questo modo, poiché nei comizi tributi i cittadini votavano entro la tribù e si contava un voto per ogni tribù, i neocittadini avrebbero potuto influire soltanto sul voto di poche tribù mentre i vecchi cittadini avrebbero continuato a mantenere la prevalenza complessiva dell’organismo. La guerra sociale e la campagna contro Mitridate avevano prodotto una profonda crisi economica. Per far fronte a questo problema Rufo propose una serie di provvedimenti: Richiamo dall’esilio di quanti erano stati perseguiti per collusione con gli italici, Figura 17 Prima guerra mitridatica 56 Inserimento dei neo cittadini in tutte le 35 tribù, Limite massimo di indebitamento di 2000 denari per ciascun senatore, superando il quale sarebbe stata decretata l’espulsione dal senato, Trasferimento del comando della guerra contro Mitridate da Silla a Mario. Appresa la notizia della sostituzione Silla marciò su Roma uccidendo Sulpicio e proponendo alcune norme che anticipavano la sua opera riformatrice. Mario invece riuscì a fuggire in Africa. Silla e la prima fase della prima guerra mitridatica Sbarcato nell’Epiro nell’87 Silla conquistò Atene, saccheggio i tesori di Delfi e Olimpia e si diresse in Grecia centrale dove sconfisse le truppe di Mitridate, il quale aveva così definitivamente perso il suo predominio in Grecia. Anche in Asia minore la situazione stava cambiando: Mitridate stava perdendo il forte consenso di cui godeva in precedenza a causa dei suoi tratti tirannici e dispotici. Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario Uno dei due consoli dell’87 a.C., Lucio Cornelio Cinna, aveva riproposto la legge che iscriveva i cittadini italici all’interno delle 35 tribù, la proposta fu rifiutata ed egli fu cacciato da Roma e rifugiò in Campania dove venne raggiunto da Mario, ritornato dall’Africa e insieme marciano su Roma. La città fu presa con la forza e Silla fu dichiarato nemico pubblico. Cinna e Mario furono eletti consoli nell’86 a.C. (Mario morì poco dopo) mentre Cinna fu rieletto nell’84 a.C. e risolse definitivamente l’immissione dei cittadini italici nelle 35 tribù, inoltre affrontò il problema dei debiti riducendone l’ammontare e fissando un nuovo rapporto tra la moneta di bronzo e quella d’argento. Verso la fine dell’84 a.C. alla notizia del ritorno di Silla cercò di anticiparlo ma fu ucciso dai suoi stessi soldati ammutinati. Conclusione della prima guerra mitridatica Nell’86 a.C. due armate romane opposte occupavano la Grecia parallelamente, una capeggiata da Silla e non riconosciuta ufficialmente e l’altra da LUCIO VALERIO FLACCO, inviata da Cinna. Esse non si scontrarono mai ma agirono parallelamente ricacciando Mitridate in Asia. Flacco riprese la Macedonia e la Tracia fino al Bosforo, poi passò in Asia, dove i suoi soldati ammutinatisi lo assassinarono, sostituendogli al comando CAIO FLAVIO FINBRIA, quest’ultimo riconquistò Pergamo cacciando Mitridate. La posizione di Mitridate era ora assai precaria e molti dei suoi alleati defezionarono, si giunse così a trattative di pace, che fu stipulata a Dardano, nella Troade, nell’85 a.C. Mitridate conservava il proprio regno ma doveva evacuare il resto dell’Asia, era obbligato a versare una forte indennità di guerra e consegnare la propria flotta. Silla incorporò l’esercito di Fimbria al proprio e sbarcò in Italia, a Brindisi, con un ricco bottino nell’83 a.C. La pace di Dardano non pose però fine alle ostilità in Anatolia dove LUCIO LICINIO MURERA, governatore d’Asia lasciato da Silla, non cessò di effettuare incursioni nel Ponto accusando Mitridate di prepararsi a riprendere le armi. Mitridate reagì sconfiggendo Murera e dilagando di nuovo in Cappadocia, finché entrambi i contendenti non furono fermati da un intervento personale di Silla. Questo prolungamento del conflitto viene talora definito seconda guerra mitridatica (83-81 a.C.) 57 Le proscrizioni; Silla dittatore per la riforma dello Stato A Brindisi raggiunsero Silla il giovane CNEO POMPEO e altri suoi fautori in armi. Silla impiegò due anni per trionfare sugli avversari. Si impadronì di Roma e, grazie all’aiuto di MARCO LICINIO CRASSO, distrusse le ultime resistenze avversarie. Restavano da eliminare gli oppositori mariani rifugiatisi in Africa e in Sicilia. In queste operazioni si distinse Cneo Pompeo. Per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione, elenchi di avversari politici i cui nomi venivano notificati al pubblico: chiunque poteva ucciderli impunemente, i loro beni erano confiscati e venduti all’asta, i loro figli e discendenti esclusi da ogni carica. Ciò ebbe conseguenze importanti, perché contribuì a modificare la composizione dell’aristocrazia romana. Un certo numero di famiglie scomparve, altre si arricchirono a loro spese. Le comunità italiche che avevano parteggiato per i mariani subirono confische territoriali che furono utilizzate per dedurre colonie a favore dei veterani di Silla. Poiché entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti nel conflitto il senato nomino, secondo la tradizione, un interrex, il princeps senatus LUCIO VALERIO FLACCO, il quale invece che designare nuovi consoli presentò ai comizi una proposta (lex valeria) che nominava Silla dictatori legibus scribundis et reipublicae costituendae (dittatore con l’incarico di redigere leggi e organizzare lo Stato). Diversamente da quelle tradizionale, tale dittatura costituente, non era a tempo determinato, 6 mesi, ma illimitato; essa non era inoltre incompatibile col consolato che Silla rivestì nell’80 a.C. Compiuta la riorganizzazione dello Stato Silla abdicò alla dittatura. Nel 79 a.C., dopo le elezioni consolari per l’anno successivo, si ritirò a vita privata in Campania dove morì l’anno successivo. Il tentativo di reazione antisillana di Marco Emilio Lepido Nel 78 a.C. uno dei consoli MARCO EMILIO LEPIDO cercò di ridimensionare l’ordinamento Sillano richiamando gli esiliati, distribuendo il frumento a prezzo politico, restituendo delle terre confiscate a favore dei coloni insediati da Silla agli antichi proprietari. I suoi progetti incontrarono diverse opposizioni, così, in Etruria, si scatenò una rivolta di quanti erano invece in accordo con Lepido, poiché volevano vedersi restituite le proprie terre. Lepido fece causa comune con questi ribelli e marciò su Roma reclamando un secondo consolato e la restaurazione dei poteri dei tribuni della plebe. Il senato attuò contro di lui il senatus consultum ultimum, la rivolta venne così stroncata e Lepido fuggì in Sardegna dove morì poco dopo. L’ultima resistenza mariana; Sertorio Nell’82 a.C. QUINTO SERTORIO era giunto in Spagna Citeriore col ruolo di governatore, qui aveva creato una sorta di stato mariano in esilio. Tutti i tentativi di abbatterlo si erano rivelati vani. Nel 77 a.C. alcune truppe superstiti di Lepido si erano unite a Sertorio. A Roma il senato decise di ricorrere a Pompeo che fu inviato in Spagna con l’attribuzione di un imperium straordinario. Egli arrivato in Spagna, subì alcune sconfitte da Sertorio, tanto che fu costretto a richiedere al senato l’invio di rifornimenti e rinforzi, ottenutili nel 74 a.C. la situazione migliorò e riuscì a vincere anche grazie ai dissapori creatisi contro Sertorio che fu assassinato. 60 sedute senatorie e delle assemblee popolari. Verso la fine del consolato, il tribuno della plebe Publio Vatinio fece votare un provvedimento che conferiva a Cesare il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico per 5 anni, con tre legioni. Successivamente, su proposte di Pompeo, venne assegnato a Cesare anche il proconsolato della Gallia Narbonese, con una quarta legione. Il tribunato di Publio Clodio Pulcro Cesare, prima di partire per la Gallia (58 a.C.), appoggiò la candidatura al tribunato della plebe di PUBLIO CLODIO PULCRO, un ex patrizio che, successivamente ad uno scandalo per il quale non avrebbe più potuto concorrere alle magistrature della sua classe di appartenenza, si fece adottare da una famiglia plebea per potersi presentare al tribunato della plebe. Eletto tribuno approvò una serie di leggi. Con una di queste si comminava l’esilio a chiunque condannasse o avesse condannato a morte un cittadino romano senza concedergli di appellarsi al popolo. CICERONE che aveva fatto giustiziare i catilinari ne era il bersaglio evidente, prima ancora che la legge fosse votata si era allontanato da Roma. Anche CATONE fu fatto allontanare da Roma con l’incarico di riconquistare Cipro invasa da Tolemeo, l’isola fu infine aggregata alla provincia Cilicia. Cesare in Gallia Quando Cesare giunse nelle proprie province, gli Elvezi stavano minacciando la provincia romana che dall’attuale Svizzera stavano migrando verso occidente. Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, pur con pesanti perdite. Cominciava così la lunga conquista cesariana della Gallia (58 a.C.). Nel frattempo un gruppo di Svevi, una tribù germanica stanziata oltre il Reno e guidata da Ariovisto era passata sulla sponda sinistra del fiume. Roma intervenne inducendo Ariovisto a ritirare le sue genti al di là del Reno. Poiché le migrazioni verso l’Alsazia erano riprese Cesare, dopo aver intimato ad Ariovisto di ritararsi, procedette a marce forzate e, fallito un estremo tentativo di accordo con l’avversario, lo affrontò in battaglia e lo sconfisse nell’Alsazia superiore, costringendolo a ripassare il Reno (58 a.C.). La presenza romana in Gallia centrale suscitò a nord le reazioni delle tribù dei Belgi (che occupavano le regioni a nord della Senna e della Mosella), allarmate dalla vicinanza delle legioni. Cesare riuscì a impadronirsi delle loro piazze forti, riducendo alla resa le loro tribù (57 a.C.). Nel frattempo un legato di Cesare, PUBLIO LICINIO CRASSO (figlio maggiore di Crasso), si spinse in Normandia e in Bretagna, sottomettendo numerose tribù (57-56 a.C.). 61 Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia Cesare si riunì con Crasso e Pompeo a Lucca dove idearono un piano: Cesare avrebbe prolungato il suo comando in Gallia per altri 5 anni con un aumento a 10 del numero delle legioni a sua disposizione; i tre si sarebbero impegnati a far eleggere Pompeo e Crasso come consoli per il 55 a.C., dopo il consolato, questi ultimi avrebbero ricevuto come province per 5 anni rispettivamente Pompeo le due Spagne e Crasso la Siria. Tutto si svolse esattamente come i tre avevano programmato. Tornato in Gallia Cesare trovo la Bretagna in rivolta, le popolazioni costiere potevano contare sull’appoggio della loro flotta. Cesare fece costruire sulla Loira un’armata di piccoli e leggeri battelli, che ebbe la meglio sui poderosi vascelli oceanici avversari, permettendo così alle legioni di dominare sulla terraferma. Cesare si concentrò poi sul fronte del Reno, dove due tribù germaniche Usipeti e Tencteri avevano attraversato il fiume. Cesare li annientò (55 a.C.). Nello stesso anno fu compiuta un’esplorazione in Britannia. Nel 54 a.C. in Britannia vi fu una vera e propria campagna militare, con un contingente di 5 legioni, che consenti di raggiungere il Tamigi e portò alla sottomissione di numerose tribù costiere. Figura 18 Campagne di Cesare in Gallia 62 Nel 52 vi fu una grande crisi nella Gallia Occidentale, qui sotto la guida di VERCINGETORIGE, re degli Arverni. Cominciata con lo sterminio di romani e italici, la sollevazione si estese rapidamente. Cesare pose l’assedio al grande centro fortificato di Gergovia. Non riuscendo a mantenere il blocco per l’esiguità delle sue forze, tentò di espugnare la città e fu respinto. Cesare fu costretto a dirigersi verso nord per congiungersi alle forze del suo legato TITO LABIENO, che aveva sconfitto tribù insorte presso Parigi e insieme si misero a inseguire Vercingetorige che preferì non affrontare una battaglia ma attendere rinforzi. Dopo un lungo e durissimo scontro l’assedio romano darà i suoi frutti, Vercingetorige si arrese e fu portato come prigioniero a Roma dove fu ucciso. Cesare provvide, una volta sconfitte tutte le tribù, a dare un primo ordinamento alla provincia, senza attendere istruzioni dal senato, creando la provincia di Gallia Comata. Crasso e i Parti Crasso giunto in Siria (54 a.C.) aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica per il regno dei Parti conteso dai figli re Fraate III: ORODE e MITRIDATE. Divenuto re Orode II, Crasso si schierò con il fratello rivale e attaccò il primo. Nel 53 a.C. accompagnato dal figlio Publio, Crasso, invece di invadere il paese da nord, si rimise in marci attraverso le steppe della Mesopotamia senza aver mai incontrato prima il grosso dell’esercito partico, né aver assunto informazioni sufficienti sul luogo o sui nemici. Venuti a contatto con i parti, guidati da SURENA in una vasta pianura della Mesopotamia nord-occidentale, i romani furono travolti dalla cavalleria corazzata partica e massacrati dalle frecce degli arcieri a cavallo. Lo stesso figlio di Crasso cadde sul campo di battaglia. Fu una delle sconfitte più gravi mai patite da Roma, la stessa provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre si ritirava Crasso fu preso e ucciso. Il primo triumvirato perdeva così uno dei suoi protagonisti. Pompeo console unico; guerra civile tra Cesare e Pompeo Nel 54-53 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che univano Pompeo e Cesare: nel 54 a.C. era morta Giulia, la moglie di Pompeo, figlia di Cesare e Pompeo aveva sposato Cornelia Metella, figlia di Quinto Cecilio Metello Pio Scipione, un esponente ottimate. L’anno seguente era scomparso Crasso. A partire da questo momento Pompeo iniziò ad accostarsi alla fazioni ottimate anticesariana. Intanto la violenza e il caos politico dilagavano a Roma. Nel 53 a.C. tra veti e controveti non si era riusciti ad eleggere in tempo i consoli e fu proposto di nominare Pompeo dittatore. Nel 52 a.C. l’anarchia giunse al colmo, le bande di due magistrati: Clodio e Milone si affrontarono e Clodio rimase Figura 19 Conquiste di Cesare in Gallia 65 allarme a Roma. Nei primi mesi del 44 a.C. Cesare aveva preparato una grande campagna militare contro i Parti. A Roma circolò un oracolo secondo cui i Parti potevano essere sconfitti solo da un re e, anche a causa di questo oracolo aumentarono le voci sulle aspirazioni monarchiche di Cesare. Questo evento sommato all’accentrarsi di potere su Cesare fece sì che di spargessero dissapori sul suo conto infatti il 15 marzo del 44 a.C. (idi di marzo) Cesare fu ucciso da una congiura organizzata da MARCO GIUNIO BRUTO, CAIO CASSIO LONGINO e DECIMO GIULIO BRUTO ALBINO, in Campo Marzio. Capitolo 4 Agonia della Repubblica Le fonti Dall’assassinio di Cesare ad Azio (44-31): DIONE, APPIANO, CICERONE, ORAZIO, VIRGILIO, VELLEIO PATERCOLO, FLORO, PLUTARCO, SVETONIO; Epigrafiche: Città di Afrodisia di Caria, lettera di Ottaviano, ricco Dossier su Seleuco, lettera Ottaviano ai Mylasani, monumento commemorativo Azio, Laudatio turie e res gesta. L’eredità di Cesare; la guerra di Modena Ucciso Cesare i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare MARCO EMILIO LEPIDO e MARCO ANTONIO. Inoltre i cesaricidi dimostrando di non avere alcun programma, si ritirarono sul Campidoglio per discutere sul da farsi. Lepido voleva assalire immediatamente i congiurati sul Campidoglio ma prevalse la linea di Marco Antonio che mirava ad ottenere un compromesso che venne ratificata dal senato: amnistia per i congiurati, convalida degli atti del defunto Cesare e consenso ai suoi funerali di Stato. Il successore al consolato di Cesare sarebbe stato PUBLIO CORNELIO DOLABELLA insieme Antonio e le province sarebbero state confermate: Antonio prese la macedonia, Dolabella la Siria. Antonio approfittò del possesso delle carte private di Cesare per far passare nel corso dell’anno tutta una serie di progetti di legge che egli sostenne di avervi trovato, assicurandosi una grande popolarità, facendone l’autentico interprete della politica di Cesare e il suo continuatore ed erede spirituale. Alla lettura del testamento di Cesare, morto senza figli naturali tranne quello avuto da Cleopatra, si scoprì che il dittatore aveva lasciato tre quarti dei suoi beni aa un giovane di soli 18 anni, il figlio adottivo CAIO OTTAVIO (suo pronipote) e la parte restante ad altri due parenti Lucio Pinario e Quinto Pedio. Al popolo romano venivano legati i giardini di Trastevere e a ogni cittadino romano la somma di 300 sesterzi. Ottavio, appena saputo del testamento, giunse a Roma per ottenere l’eredità e celebrare il padre, ottenendo apprezzamenti del senato. Antonio, per controllare più da vicino l’Italia, si era fatto assegnare il controllo della Gallia Cisalpina e Comata. Quando poi mosse verso la Gallia Cisalpina il suo originario possessore Decimo Giunio Bruto Albino si oppose e si richiuse a Modena, assediata da Antonio, dando inizio alla guerra di Modena (43 a.C.). Il senato ordino ai due consoli do muovere a favore di Albino; ad essi venne associato con un imperium propretorio Ottavio. Vicino a Modena Antonio fu battuto e costretto a ritirarsi verso la Narbonese dove contava di riunire le sue forze a quelle di Lepido. 66 Il triumvirato costituente; le proscrizioni; Filippi Poiché entrambi i consoli erano scomparsi Ottavio chiese al Senato il consolato per sé e ricompense per i suoi soldati ma gli fu negato cosi marcio su Roma. Nell’agosto 43 a.C. fu eletto console insieme a suo cugino e coerede QUINTO PEDIO: insieme fecero revocare le misure di amnistia e istituire un tribunale speciale per perseguire i congiurati di Cesare. Ottavio fece anche riconoscere dai comizi curiati la sua adozione, facendosi, da quel momento, chiamare Caio Giulio Cesare Ottaviano (Ottaviano non fu mai usato da lui in prima persona). In Gallia Antonio si era unito a Lepido. Decimo Giunio Bruto Albino isolato e abbandonato dai suoi soldati, fu ucciso mentre cercava di passare le alpi orientali per congiungersi agli altri cesaricidi. Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico (in occasione della guerra di Modena) nell’ottobre del 43 a.C. Antonio, Ottaviano e Lepido stipulare un accordo nei pressi di Bologna, in base al quale veniva istituito un Triumvirato Costituente per la riorganizzazione dello stato dalla durata di 5 anni (fino alla fine del 38 a.C.). Vennero riaperte le liste di proscrizione, con i nomi degli assassini di Cesare e dei nemici dei Triumviri e dei loro seguaci. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati. Rimesse in sesto anche in questo modo le loro finanze, i triumviri poterono rivolgere le armi verso Oriente dove Bruto e Cassio si erano costituiti una solida base di potere e avevano raccolto un consistente esercito. Ma prima (42 a.C.) si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto. Antonio e Ottaviano partirono alla volta della Grecia, lo scontro decisivo ebbe luogo a Filippi, in Macedonia, in due battaglie successive: Cassio e Bruto si suicidarono. Le guerre civili e le battaglie, avevano decimato la vecchia aristocrazia senatoria, il suo posto fu preso da una nuova aristocrazia, composta in larga parte da membri delle classi dirigenti italiche, che non avevano la stessa autorità né lo stesso prestigio di quella precedente, e da persone di fiducia dei Triumviri (élite assai più incline a rapporti di dipendenza politica e personale, premessa indispensabile per il passaggio al regime imperiale). Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco Antonio conservò il possesso sulle Gallie al quale si aggiunse il comando su tutto l’Oriente, Lepido ottenne l’Africa, Ottaviano ebbe le due Spagne oltre al compito di sistemare in Italia i veterani delle legioni e contrastare Sesto Pompeo in Sicilia. L’incarico di riassegnare le terre veterani era molto difficile perché non essendoci più agro pubblico a disposizione era necessaria l’espropriazione di terreni italici, venivano colpiti soprattutto gli interessi di piccoli e medi proprietari terrieri. Nel 41 a.C., a causa di questa situazione, scoppiò una rivolta affrontata da Ottaviano. Sospettando un’alleanza tra Antonio e Sesto Pompeo Ottaviano si avvicinò a quest’ultimo sposando SCRIBONIA (sorella del suocero di Sesto Pompeo). Antonio si mosse dell’Oriente verso l’Italia. Ottaviano e Antonio si incontrarono a Brindisi qui stipularono un’intesa (accordo di Brindisi) nel 40 a.C. per cui ad Antonio spettava l’Oriente mentre ad Ottaviano l’Occidente (tranne l’Africa, assegnata a Lepido). Antonio sposò inoltre OTTAVIA, sorella maggiore di Ottaviano. La situazione divenne critica quando Sesto Pompeo venne a conoscenza dell’intesa: blocca le forniture di grano che dovevano giungere a Roma dalle regioni oltremare. Antonio fu così costretto a presenziare, 67 insieme a Ottaviano, l’accordo di Miseno (39 a.C.): a Sesto Pompeo fu riconosciuto il governo di Sicilia, Sardegna, Corsica e Peloponneso. L’equilibrio durò tuttavia assai poco: infatti, di fronte alle resistenze di Antonio alla consegna del Peloponneso, Sesto Pompeo riprese le azioni di scorreria contro l’Italia (38 a.C.). Ottaviano, allora, ripudiò Scribonia e passò a nuove nozze con LIVIA DRUSILLA (ex moglie di Tiberio Caio Nerone). Nel frattempo Sesto aveva perso Sardegna e Corsica e lottava per il possesso della Sicilia: Ottaviano in Sicilia fu sconfitto e fu costretto a chiedere l’appoggio di Antonio che gli donò 120 navi e con cui concluse l’accordo di Taranto (37 a.C.). Nel frattempo AGRIPPA (console per il 37 a.C.) amico di Ottaviano aveva addestrato una flotta consistente con cui nel 36 a.C. sconfisse Sesto Pompeo a Milazzo e a Nauloco. Sesto Pompeo fugge in Oriente dove venne catturato e ucciso l’anno dopo. Lepido, che aveva preso parte alle operazioni contro Sesto, rivendicò il diritto di possesso della Sicilia ma le sue truppe lo abbandonarono e Ottaviano lo fece decadere dai poteri di triumviro e si impossessò dell’Africa. Quando Ottaviano ritorno a Roma o ricolmato di onori, tra questi l’inviolabilità propria dei tribuni della plebe che costituì la base per fondare il principato. Antonio in Oriente Negli anni successivi le battaglie di Filippi, Antonio aveva concentrato le proprie attenzioni sulle Oriente: sperando di terminare i progetti di Cesare contro i Parti. Egli aspirava ad un’alleanza con il regno più potente della zona: l’Egitto guidato da CLEOPATRA VII insieme al figlio (avuto da Cesare) Tolomeo Cesare. Antonio trascorse l’inverno 41-40 a.C. in Egitto e ebbe due gemelli da Cleopatra. Nella primavera del 40 a.C. i Parti di ORODE II invasero la Siria, l’Asia Minore e la Giudea. Nelle 39 a.C. il generale PUBLIO VENTIDIO BASSO respinse i Parti e divenne governatore della Siria; nel 37 a.C. si aprì in Partia una crisi dinastica che consentì a Erode (re di Giudea) di espellere i Parti dalla Giudea. Antonio ritorno in Oriente nel 37 a.C. e cercò di dare un nuovo assetto a quei territori, attraverso la creazione di principati a lui fedeli, qui ritrovò Cleopatra e riconobbe i suoi gemelli. Nel 36 a.C. Antonio inizia una spedizione contro i Parti che si concluderà solo nel 34 a.C. con la sola conquista dell’Armenia. Nel 35 a.C. vi fu la definitiva rottura tra Antonio e Ottaviano: Ottaviano restituì solo 70 delle 120 navi da lui ricevute così Antonio non accettò la restituzione parziale e ripudiò la moglie Ottavia. A questo punto l’offeso divenne Ottaviano poiché, la sorella, una nobile romana, era stata rifiutata a causa di un’amante orientale. Antonio, per contro, celebrò la presa dell’Armenia, riconobbe a Cleopatra e a Tolomeo Cesare il trono d’Egitto e attribuì altri territori ai figli da lui avuti con Cleopatra. Ottaviano, non gradì l’innalzamento del figlio naturale di Cesara. Lo scontro finale; Azio Il 32 a.C. il triumvirato ebbe la sua scadenza naturale e i due consoli del 32 a.C. chiesero la ratifica delle decisioni prese da Antonio in Oriente, ma Ottaviano ne impedì al senato l’approvazione. Svelando un testamento in cui Antonio disponeva di essere sepolto ad Alessandria accanto a Cleopatra, Ottaviano ottenne che Antonio fosse privato di tutti i suoi poteri di triumviro, affermando che si era fatto soggiogare dalla regina d’Egitto. La dichiarazione di guerra venne infatti formalizzata verso la sola Cleopatra e lo 70 VELLEIO PATERCOLO (scrive nell’età tiberiana) insiste sul ripristino degli ordinamenti antichi: era il senato ad offrire a Ottaviano le continue cariche di console e il popolo ad attribuirgli la carica di dittatore (anche contro la sua volontà); STRABONE ribadisce come fosse difficile amministrare un così ampio territorio se non affidandolo ad un solo uomo: necessità della monarchia; AUGUSTO stesso, nella sua autobiografia, le res gestae definisce la proprie gesta e la propria autorità superiore a tutti ma precisa che i suoi poteri non erano superiori a quelli degli altri magistrati che lo hanno affiancato. Dal 31 al 23 a.C. Augusto fu continuamente eletto console. Essere console significava ricoprire la più alta carica dello stato quanto a completezza di imperium. Nel 28 a.C. Ottaviano fu fatto princeps senatus, furono indotti alle dimissioni circa 190 senatori, per la maggior parte antoniani, che furono sostituiti con alcuni fedelissimi. Sempre nel 28 a.C. fu realizzata una nuova moneta che ritraeva Ottaviano trionfante, con le iscrizioni: Imp(erator) Caesar Divi f(ilius) co(n)s(ul) VI / leges et iura p(opuli) r(omani). Il rapporto tra organismi repubblicani e potere del principe Nel 27 a.C. Ottaviano entrò nel suo settimo consolato con Agrippa e rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri straordinari accettando solo il comando delle province non pacificate (Gallia, Siria, Cilicia, Cipro, Egitto) per disporre della maggior parte delle legioni; fu ridato invece al popolo il potere decisionale sulle provincie pacificate in cui cioè non c’era bisogno di forti contingenti militari. Nello stesso anno venne proclamato Augusto dal senato: dal latino augere, innalzare che implica uno spostamento dalla dimensione politica a quella religiosa; gli fu donata una corona in foglie di quercia in onore della difesa dei cittadini e uno scudo d’oro in cui erano elencate le sue virtù. La riorganizzazione statale non era tuttavia sinonimo di abolizione delle istituzioni repubblicane, il loro funzionamento divenne anzi più regolare. Magistrature ordinarie, senato e comizi mantennero la propria funzione elettorale e legislativa. In tale sistema, tuttavia, si era imposta la figura del princeps, comandate Figura 20 Moneta aurea augustea 71 dell’esercito e detentore di poteri sempre più ampi (i poteri attribuitigli erano quelli della tradizione ma si sommavano in un’unica persona invece che essere suddivisi in più figure). Dal 26 al 23 a.C. Tra il 27 e il 25 a.C. Augusto fu assente da Roma per recarsi in Gallia e in Spagna settentrionale. In questo mondo dimostrava di provvedere in prima persona alla pacificazione dei territori provinciali che gli erano stati assegnati. Augusto, negli anni successivi, alternò periodi triennali di permanenza nelle province a periodi biennali di residenza a Roma. Consolati di Ottaviano Anno Console 1 Console 2 31 a.C. Ottaviano Augusto Marco Antonio 30 a.C. Ottaviano Augusto Marco Licinio Grasso 29 a.C. Ottaviano Augusto Sesto Appuleio 28 a.C. Ottaviano Augusto Agrippa 27 a.C. Ottaviano Augusto Agrippa 26 a.C. Ottaviano Augusto Tito Statillo Tauro 25 a.C. Ottaviano Augusto Marco Giunio Silano 24 a.C. Ottaviano Augusto Caio Norbano Flacco 23 a.C. Ottaviano Augusto Terenzio Varrone Murena (sostituito da Cneo Calpurnio Pisone poiché condannato per una congiura) La crisi del 23 a.C. Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi per tre avvenimenti: una grave malattia di Augusto, un processo di stato, una congiura. 1. In Spagna Augusto si era ammalato gravemente e, pensando di essere sul puto di morte, cercò delle soluzioni per una sua eventuale successione; teoricamente, dopo la sua morte la gestione dello stato sarebbe tornata agli organi istituzionali poiché i suoi poteri erano personali e non trasferibili. Inoltre egli non aveva figli maschi, dunque puntò sulla figlia Giulia, la quale aveva sposato il cugino MARCO CLAUDIO MARCELLO (figlio di Ottavia, sorella di Augusto), che era già stato introdotto in politica. Contro ogni aspettativa Augusto si riprese riassumendo tutti i propri incarichi contrariamente, mentre Marcello morì nel 23 a.C. e giulia fu data in moglie ad Agrippa. 2. Motivo di irritazione per molti fu che a partire dal 31 a.C. Augusto aveva occupato stabilmente un posto nel consolato, limitando le ambizioni di molti. Nel 23 a.C. Augusto depose il consolato e non lo ricoprì più se non brevemente nel 5 e nel 2 a.C. in sostituzione ottenne un imperium proconsolare a vita, grazie al quale poteva agire anche sulle province pacificate. Augusto fu inoltre insignito della tribunicia potestas vitalizia, grazie alla quale godeva di tutti i diritti dei tribuni della plebe senza però l’obbligo di non allontanarsi da Roma; gli fu dato il diritto di convocare il senato. Le elezioni potevano essere influenzate da Augusto attraverso due procedure: la nominatio cioè l'accettazione 72 delle candidature da parte del magistrato che sovrintendeva alle elezioni; la commendatio cioè la raccomandazione da parte dell'imperatore. 3. La congiura organizzata da FANNIO CEPIONE e dal console TERENZIO VARRONE MURENA fu sventata e quest’ultimo fu sostituito al consolato da CNEO CALPURNIO PISONE. Il perfezionamento della posizione di preminenza Negli anni successivi Augusto assunse altre cariche. Nel 22 a.C. a seguito di una carestia, rifiutò la dittatura offertagli dal popolo e assunse la cura annonae cioè l’incarico di provvedere all’approvvigionamento pubblico. Nel 23 a.C. anche Agrippa assunse un imperium proconsolare per 5 anni per potersi recare in Oriente e risolvere diversi problemi. A partire dal 17 a.C. non vi furono variazioni nei poteri di Augusto, salvo nel 12 a.C., quando morì Lepido, ad Augusto fu conferito il ruolo di pontefice massimo che lo poneva anche alla guida della vita religiosa. L’ultima espressione di riconoscimento ufficiale fu il conferimento del titolo di pater patriae (padre della patria) che senato, cavalieri e popolo gli attribuirono nel 2 a.C. I ceti dirigenti (senatori ed equites) L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio insieme alla atre prerogative di Augusto crearono un potere personale più forte della somma di tutte le magistrature di Roma. Si ebbe una duplice sfera di competenza: quella tradizionale repubblicana e quella del princeps. Il Senato negli ultimi anni di Repubblica aveva visto una profonda trasformazione della sua composizione tradizionale con un notevole aumento dei membri, in seguito all’inclusione dei seguaci di Cesare e, poi, dei triumviri: era cresciuto da 600 a 1000 membri. Augusto agì su questa situazione attraverso dei provvedimenti volti a ripristinare la dignità e il prestigio del Senato, favorendo l’accesso delle élite provinciali più fortemente romanizzate. Augusto si fece conferire la potestà censoria e procedette con la lectio senatus, cioè alla revisione delle liste dei senatori espellendo dall’assemblea le persone indegne. Nel 18 a.C. condusse una più radicale revisione del Senato, portando il numero di senatori di nuovo a 600 e rese la dignità senatoria una prerogativa ereditaria. Durante la Repubblica chi possedeva un censo pari a 400.000 sesterzi e rispondeva ad alcune caratteristiche che ne definivano la dignità (nascita libera, esercizio di professioni non disonorevoli) apparteneva al ceto equestre. Quindi anche i figli dei senatori, finché non accedevano alla questura erano semplici cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites solo perché avevano intrapreso una carriera politica che assicurava loro l’ingresso in senato e avevano la possibilità di mostrarlo esteriormente portando il laticlavio (una larga striscia color porpora sulla toga). Augusto innalzò il censo minimo per entrare in senato ad un milione di sesterzi, separando definitivamente i due ceti in base al censo. In alcuni casi Augusto concesse l’ingresso in senato a chi non apparteneva ad una famiglia senatoria. Augusto realizzò così una distinzione netta tra ordo equestre e senatus creando un vero e proprio ordo senatorius formato dalle famiglie senatorie da cui l’assemblea poteva scegliere i propri membri. I senatori possedevano tutte le più importanti magistrature a Roma e le principali posizioni di comando civile e militare in provincia. Poiché il loro numero non era sufficiente impiegati anche i membri dell’ordo equestre. 75 Anche ad Oriente la situazione si stava deteriorando, in Armenia, alla morte di Tigrane II, mentre i romani tentavano di mettere sul trono il fratello del re deceduto, Artavasde II, i parti ne sostenevano la discendenza diretta costituita da Tigrane III. Si giunse a un punto talmente critico da richiedere l’invio di Tiberio e di Caio Cesare (nipote di Augusto), scoppiò una nuova rivolta (2 d.C.) che si protrasse a lungi e Caio fu ferito (4 d.C.) e morì in Licia. Leggi augustee A partire dagli anni 19-18 a.C. Augusto fece votare una serie di leggi che rimisero in vigore le consuetudini degli antenati ormai in disuso: Leges iuliae su famiglia, matrimonio, celibato, adulterio, Leggi suntuarie che ponevano limiti alla sontuosità dei banchetti e introducevano differenze tra quanto era lecito spendere nei giorni feriali e festivi, Leggi per un più corretto ed equo funzionamento degli organi publici, Lex maiestatis. La lex iulia maritandi e rafforzato poi dalla lex papia poppaea incentiva le unioni matrimoniali e la procreazione con privilegi economici e sanzioni per i celibi (25-60 anni) e le nubili (20-50 anni), che erano esclusi dal testamento. Erano introdotte agevolazioni per chi aveva figli. Con la lex papea poppea venivano accresciuti i premi per chi avesse figli. Con la lex iulia de adulteriis coercendis erano tramutati in crimini pubblici e puniti pubblicamente i reati sessuali (stupro e adulterio: un padre poteva uccidere figlia e amante mentre un marito non poteva uccidere la moglie, solo l’amante). Altre leggi regolarono le questioni dei reati di corruzione, la speculazione sul grano, scindevano la vita privata da quella pubblica, assegnavano i posti a teatro, restringevano il diritto di manomettere gli schiavi. Una legge particolare era la maiestatis che puniva severamente chi attentava al principe con la pena capitale o con l’esilio e la confische dell’intero patrimonio. Prove dinastiche e strategie di successione Augusto, senza eredi maschi, doveva trovare il modo in cui il suo ruolo non andasse perduto dopo la sua morte ma che potesse spettare a qualcuno della sua famiglia senza però imporre una svolta apertamente monarchica alle istituzioni. La prima mossa di Augusto fu quella di integrare la propria dinastia nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica celebrandone l’ascendenza divina. L’erede scelto all’interno della famigli avrebbe ereditato anche un privilegio per l’accesso alla carriera politico militare e un ruolo singolare nello stato. Nel 23 a.C. attraverso il matrimonio di Giulia con Marcello, Augusto tentò di inserire un discendente maschio nella famiglia ma Marcello mori poco dopo; ripiegò allora su Agrippa che fu indotto anch’egli a sposare Giulia, e ebbero cinque figli. Agrippa morì però nel 12 a.C. Augusto adottò i due figli maschi di Giulia e Agrippa: Caio e Lucio. Considerata la tenera età dei due figli di Giulia, Augusto si concentro sui figli della sua terza moglie, Livia, Tiberio e Druso, entrambi introdotti in politica. Tiberio, fu indotto a sposare Giulia, ricoprì due volte il consolato, gli fu conferito l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia ma successivamente si 76 Figura 23 Espansione Impero sotto Augusto ritirò dalla vita politica e si autoesiliò a Rodi (a causa dei pessimi rapporti con Giulia o della predilezione di Augusto per i fogli di Agrippa). Druso morì. Intanto Caio e Lucio Cesari erano stati elevati alle alte cariche dello stato ma morirono precocemente. Tiberio tornò a Roma dal suo autoesilio nel 2 a.C. e, sciolto il matrimonio con Giulia (colpita da uno scandalo e condannata all’esilio dal padre) adottò Germanico, figlio di suo fratello Druso e di Antonia figlia di Marco Antonio e di Ottavia, sotto ordine di Augusto per rafforzare la parentela, anche se egli aveva già un proprio figlio di nome Druso (minore). Augusto adottò Tiberio. A Tiberio furono attribuiti la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare su Germania e Gallie. Nel 13 d.C. Tiberio celebrò il trionfo sui Germani. Alla morte di Augusto esisteva così già una persona con pari poteri civili e militari che potesse sostituirlo. L’organizzazione della cultura Il programma edilizio di Augusto voleva completare i progetti di Giulio Cesare e celebrare il ritorno della tradizione repubblicana. Augusto puntava a esaltare la pacificazione dell’impero e la discendenza da Venere e Enea. La celebrazione della figura provvidenziale di Augusto si manifestò anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione e nella letteratura, e in generale nel coinvolgimento degli intellettuali nella promozione del consenso al suo programma di restaurazione morale. Uno dei documenti letterari che mostrano come Augusto intendesse la propria opera sono le res gestae, in cui egli ripercorre la propria storia illustrando come abbia reso il mondo soggetto al potere del popolo romano e abbia portato pace e prosperità estendendo i confini del potere romano. Fu istituito il culto della persona di Augusto e celebrati i Ludi Saeculares, tenuti a Roma nel 17 a.C. per proclamare la rigenerazione di Roma. Inoltre in Oriente venne introdotto il culto dell’imperatore celebrato insieme a quello della dea Roma, mentre in Occidente il culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato. 77 Capitolo 2 I Giulio Claudi Le fonti DIONE, SVETONIO, TACITO, PATERCOLO, VITTORE, OROSIO, MASSIMO, PLINIO, FILONE, SENECA, LUCANO, PETRONIO, SICULO etc.: Epigrafia: tebula hebana, ilicitana, siarensis, lex portorii asiae, numistica e pariracea. Una dinastia? Augusto mori in Campania nel 14 d.C., vi trasportato a Roma e le sue ceneri tumulate nel mausoleo di famiglia. Il senato volle sancire la divinizzazione di Augusto. Tiberio ottenne i poteri di Augusto per volere del senato e resto in carica fino al 37 d.C. Il potere restò nelle mani della famiglia Giulio Claudia da 14 al 68 d.C. Alla morte di Tiberio il progetto di Augusto di far governare insieme il figlio di Tiberio, Druso e Germanico non poté realizzarsi poichè morirono entrambi. Il potere andò a Caio, detto CALIGOLA, figlio di Germanico. Alla sua morte il potere rimase nella famiglia di Germanico e fu eletto princeps CLAUDIO, primo non appartenente alla dinastia Giulia. Alla morte di Claudio salì NERONE, figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia augusta, ma erede per parte di madre in quanto figlio di Agrippina, figlia di Germanico. Tiberio (14-37 d.C.) Nonostante TIBERIO godesse di poca simpatia e popolarità il suo governo è considerato una positiva prosecuzione di quello Augusteo. I tratti negativi del carattere di Tiberio, orgoglio misto a timidezza, scarsa flessibilità, frustrazione, incertezze personali e invidia oscurano il fatto che egli abbia rispettato le forme di governo valorizzate da Augusto. Tiberio dovette fronteggiare l’opposizione senatoria che rivendicava maggiore autonomia decisionale. Alla morte di Augusto alcune legioni in Pannonia si ammutinarono protestando contro la durezza della disciplina e fu inviato DRUSO MINORE a calmarle. GERMANICO condusse alcune campagne oltre il Reno aspirando ad ottenere successi in piena continuità con la politica augustea ma Tiberio lo richiamò a Roma perché aveva decretato che la frontiera germanica non dovesse andare oltre il Reno e gli assegnò il controllo delle province orientali. In Oriente, infatti, Augusto aveva lasciato molte cose irrisolte. Archelao di Cappadocia fu convocato a Roma perché sospettato di infedeltà e morì nel 17 d.C., la Cappadocia divenne allora provincia romana. Stessa sorte toccò alla Commagene alla morte del re ANTIOCO III. Germanico rivolse la sua attenzioni in Armenia incoronandovi Zenone che assunse il nome di ARTASSIAX e poi si recò in Egitto, qui scatenò un incidente diplomatico in quanto ai romani era impedito di entrare in Egitto senza il permesso del principe, Tiberio disapprovò il gesto ma Germanico aprì i granai di Alessandria durante una carestia. Germanico morì improvvisamente nel 19 a.C., egli incarnava perfettamente tutte le qualità fisiche e morali di un buon imperatore, per questo motivo si sospettò che Tiberio fosse il regista occulto dietro alla sua morte. 80 I provinciali liberi, categoria che comprendeva antichi abitanti delle polis greche e quelli dei villaggi dei britanni o nomadi del deserto. Il princeps poteva conferire la cittadinanza a singoli individui per meriti particolari, a città o a categorie di persone, così alcuni gruppi godevano di uno status giuridico privilegiato. L’esercito fu uno dei più importanti fattori di promozione sociale in età imperiale, i veterani delle legioni, tornati nelle località d’origine, entravano a far parte delle élite municipali e potevano rivestire le magistrature locali. Nerone (54-68 d.C.) NERONE assunse il principato a soli 16 anni e fu affiancato dal prefetto Burro, dal suo precettore Seneca e dalla madre Agrippina. Il principato rivestito da Nerone non era più quello ideato da Augusto: la res publica era nelle mani di un solo individuo. All’inizio Nerone assecondò l’influenza che avevano su di lui il prefetto Burro e Seneca, seguendone i consigli e cercando di collaborare con il Senato ma ben presto se ne distaccò. Il passaggio da Claudio a Nerone fu senza scosse: la morte di Claudio era stata inizialmente tenuta nascosta per il tempo necessario a predisporre la successione. Burro fece giurare alle milizie stanziate a Roma fedeltà al solo Nerone e Britannico, figlio naturale di Claudio, fu escluso dal principato, nonostante la volontà del defunto imperatore. L’elogio funebre di Nerone e il suo discorso davanti al senato furono composti da Seneca: in essi dichiarava di assumere come modello Augusto. Nerone intraprese una linea politica controllata dalla madre che ne approfitto per eliminare i suoi nemici come Narcisso e Britannico. Il rapporto tra Nerone e la madre si incrinò a causa della sua relazione con Poppea Sabina e il suo disinteresse nei confronti della moglie Ottavia. Nerone si sbarazzò della madre tentando di farla annegare manomettendo la sua imbarcazione, il tentativo fallì ma egli la fece uccidere da Aniceto, insinuando che si fosse uccisa (come narra Tacito). Nel frattempo si delineava un altro aspetto del carattere di Nerone: l’inclinazione per la cultura e per le arti, per i giochi, per lo spettacolare e lo scenografico. Dal 59 d.C., dopo aver vietato i combattimenti tra gladiatori, organizzò i Ludi teatrali-musicali di tipo greco e diede vita ai neronia quinquennali ad imitazione dei giochi olimpici. Nel 61 d.C. fece costruire a Roma un ginnasio e delle Terme. Nel 62 morì burro e vi fu una svolta decisiva: Seneca si defila gradualmente mentre Nerone cercava di annientare l’opposizione eliminando i propri nemici e ripudiando la moglie Ottavia. Nel 64 d.C. Roma fu bruciata per due terzi della sua estensione: Nerone tornò che si trovava ad Anzio tornò immediatamente a Roma e cercò di risolvere la crisi ma venne accusato di essere il responsabile quindi per discolparsi accusò il popolo Cristiano che venne severamente perseguito. Nella ricostruzione furono costruiti nuovi edifici tra cui la sfarzosa Domus Aurea (motivo per cui Nerone fu accusato). La ricostruzione costò molto e contribuì ad incrinare i rapporti con il senato e la plebe. Cercò di rimediare alla crisi finanziaria nel 64 d.C. proponendo una riforma monetale: le monete d’oro furono ridotte da un 1/42 a 1/45 di libra mentre le monete argentee da 1/84 a 1/96. Per rimpinguare le casse dello Stato Nerone ricorse a processi e confische attirando su di sé i dissapori del Senato che organizzo nel 65 d.C. una congiura detta congiura dei Pisoni perché ha ispirata da Pisone che si poneva come obiettivo quello di assassinare Nerone in pubblico: il complotto fu scoperto e i congiurati furono 81 uccisi. L’opposizione però non era stata eliminata e nel 66 d.C. venne organizzata una nuova congiura, la congiura viniciana organizzata da VINICIANO, anche questa scoperta e stroncata. In politica estera, nel 64 d.C. il regno del Ponto fu annesso alla provincia Galazia e la Panfilia fu separata dalla Licia e riunita alla Galazia, mentre nel 65 d.C. vennero annesse anche le Alpi Cozie. Principali teatri di intervento furono: l’Armenia in cui dopo una lunga e travagliata vicenda venne riconosciuto come re Tiridate nel 66 d.C.; la Britannia popolata da ribellioni locali che i romani riuscirono a sedare e a richiamare l’ordine; in Giudea venne requisito parte del tesoro del tempio di Gerusalemme causando una rivolta contro i romani che Vespasiano riuscì a sedare riportando il controllo in Palestina. Nel frattempo Nerone nel 66 d.C. partì per la Grecia dove ottenne molti premi agonistici. Nel 68 d.C. a Roma iniziò una catena di sollevazioni e il senato dichiarò Nerone “nemico pubblico”, riconoscendo Galba come nuovo imperatore. Nerone si suicidò (aveva trentun anni). La sua fine segnò anche quella della dinastia giulio-claudia poiché Nerone non aveva figli né vi erano esponenti della dinastia imperiale che potessero essere proposti per la successione. Capitolo 3 I quattro imperatori e la dinastia Flavia Le fonti SVETONIO, TACITO, PLUTARCO, VITTORE, OROSIO, EUTROPIO, FLAVIO GIUSEPPE, QUINTILIANO, PLINIO IL GIOVANE E PLINIO IL VECCHIO, DIONE, EPITTERO, EUSEBIO, FILOSTRATO, GELLIO, STAZIO, MARZIALE, GIOVENALE, FRONTINO; Epigrafia: Lex impero vespasiani; lex flavia municipalis, papiro Fouad 8, editto di tiberio giulio Alessandro. L’anno dei quattro imperatori: 68-69 d.C. Si erano create le condizioni per una nuova guerra civile che vide contrapporsi senatori, truppe urbane, governatori di provincia e comandanti militari che forti del sostegno dei loro eserciti, assunsero il titolo di “imperatore”. La crisi del 69 d.C., con quattro imperatori: GALBA esponente dell’aristocrazia senatoria, OTONE esponente dei pretoriani, VITELLIO esponente dell’esercito, VESPASIANO esponente dell’esercito (vincitore). I quattro si combatterono l’uno contro l’altro per il titolo imperiale. Galba (giugno 68-gennaio 69) SERVIO SULPICIO GALBA era un anziano senatore, allora governatore della Spagna Tarraconense. I suoi soldati lo avevano proclamato imperatore ma egli rifiuto a quel titolo ritenendo che essi non avessero diritto a conferirlo. Ciò nonostante cercò di avvicinarsi agli oppositori di Nerone (tra cui l’ex marito di Poppea, Marco Salvio Otone), ottenendo l’appoggio dei pretoriani e venendo riconosciuto imperatore 82 del Senato. Galba non seppe tuttavia guadagnarsi la popolarità e gli appoggi necessari per mantenere il suo potere: non rispettò la promessa di un donativo ai pretoriani, si rese impopolare sia alla plebe sia ai soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare alla crisi finanziaria creatasi sotto Nerone, si accanì nell’epurazione dei suoi veri e presunti oppositori. All’inizio del 69 d.C., in occasione del rinnovo annuale del giuramento di fedeltà all’imperatore, due delle tre legioni della Germania Superiore si rifiutarono di prestarlo e si ribellarono. Il loro esempio fu seguito dall’esercito della Germania Inferiore che proclamò imperatore il proprio legato, AULO VITELLIO. A tale designazione aderirono tutti gli eserciti delle Germanie. Galba cercò di mantenere il proprio ruolo assumendo un collaboratore, Lucio Calpurnio Pisone, ma la nomina non fu gradita ai pretoriani e soprattutto a MARCO SALVIO OTONE (che lo aveva aiutato nella sua ascesa al potere). Dopo pochi giorni i pretoriani acclamarono Otone imperatore e massacrarono Galba, Pisone e i loro seguaci. Otone (15 gennaio 69 – 14 aprile 69) MARCO SALVIO OTONE era popolare soprattutto tra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo il linciaggio di Galba nel foro fu riconosciuto imperatore dal Senato e da molte province (Danubiane, Africa, Oriente). Fu proclamato imperatore il 15 gennaio e il suo principato durò tre mesi. Fu subito costretto con ciò che era accaduto in Germania (acclamazione di Vitellio), l’avanzata delle armate germaniche verso l’Italia era iniziata nel segno della ribellione a Galba; ma non si fermò alla notizia della morte dell’imperatore e della successione di Otone. Vitellio (15 aprile 69 – 21 dicembre 69) AULO VITELLIO era un senatore di rango consolare che aveva investito molti incarichi importanti sotto tutti i Giulio-Claudi. I suoi legati sconfissero le truppe di Otone (battaglia di Bedriaco) che si uccise e Vitellio venne proclamato unico imperatore mentre si trovava ancora in Gallia (giunse a Roma soltanto in giugno). Egli ebbe grandi difficoltà a frenare i soldati di Otone e la disciplina dei propri che si diedero a saccheggi e devastazioni. Congedò numerosi pretoriani, rimpiazzati con soldati provenienti dalle regioni renane. Mentre Vitellio si era installato a Roma con parte delle sue truppe, le legioni delle province danubiane, che non erano riuscite a dare supporto ad Ottone, si ribellarono. Nessuno dei governatori delle tre province danubiane era però di rango tale da essere contrapposto a Vitellio come imperatore; la personalità più notevole Marco Antonio Primo, era soltanto legato della settima legione pannonica. La scelta cadde dunque su Vespasiano comandante delle truppe in Giudea. L’ascesa di Vespasiano e la fine di Vitellio TITO FLAVIO VESPASIANO, appartenente a una famiglia italica di Rieti, nella Sabina, era stato inviato da Nerone in Giudea per sedare una rivolta nel 66 d.C. con tre legioni. Vespasiano fu proclamato imperatore dalle sue truppe, successivamente fu riconosciuto come tale anche in Egitto e in Giudea. Dalla Pannonio ANTONIO PRIMO marciò subito verso l’Italia con le legioni danubiane attaccando le truppe inviate da Vitellio per tamponare la situazione e li sconfisse in battaglia combattuta di nuovo a Bedriaco. Le truppe 85 Domiziano (81-96 d.C.) Domiziano gode, nelle fonti, di una cattiva nomea. Tuttavia, se il suo principato fu contraddistinto da uno stile di governo crescentemente autocratico (e quindi sempre più inviso) la sua azione politica fu certamente efficace e utile per l’impero. Egli rivestì, durate il suo impero, il consolato per dieci volte, a cui vanno sommate le sette volte in cui lo aveva ricoperto precedentemente con il padre e il fratelli, per un totale di diciassette consolati. Verso l’85-86 d.C. pretese per sé l’appellativo di dominus et deus e alla moglie, Domizia Longina, fu conferito il titolo di Augusta. Negli anni 82-83 d.C. intraprese campagne contro i Catti, una popolazione stanziata sulla riva destra del medio Reno; dopo la vittoria si fregiò del titolo di Germanicus e intraprese la costruzione di opere difensive sulla linea esterna del Reno (limes5). Nel 84-85 d.C. Domiziano affrontò il problema della Dacia in cui il re DECEBALO aveva unificato diverse tribù: Domiziano respinse i daci oltre il fiume Reno e torno a Roma affidando le operazioni al prefetto del pretorio CORNELIO FUSCO che nel 86 d.C. condusse una spedizione ma fu attaccato e ucciso insieme a parte del suo esercito. Nell’88 d.C. la guerra riprese e Roma conseguì la vittoria. Domiziano celebrò a Roma il trionfo ma Decebalo ottenne la pace anche a causa della rivolta di Lucio Antonio Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperator dalle sue legioni, sollevazione che costrinse Domiziano a stipulare una tregua provvisoria. Decebalo firmò un foedus (trattato di pace) che gli permetteva di mantenere tutto il suo territorio sottomettendosi al dominio romano e ricevendo in cambio un sussidio in denaro. Domiziano, successivamente alla rivolta di Saturnino, si sentì sempre più minacciato e inaugurò un’epoca di persecuzioni ed eliminazioni di persone sospettate di tramare contro di lui. L’aspetto moralistico, talora esasperato, fu un elemento tipico della politica di Domiziano. I rapporti di Domiziano con la parte più conservatrice del Senato si modificarono col tempo a causa dell’accentuazione del carattere autocratico dell’imperatore. Dopo soli due anni dall’avvento di Domiziano al principato i suoi oppositori in senato erano sottoposti a processi. Il contrasto divenne più aspro all’accentuarsi delle manifestazioni assolutistiche dell’imperatore quali la rimozione di generali, l’autocelebrazione e la celebrazione dei trionfi, la moltiplicazione dei ludi nei quali veniva glorificato accanto alle divinità. Domiziano processò tutti coloro che avrebbero potuto sottrargli la carica: Sabino, il cugino; Tito Flavio Clemente, suo parente e collega al consolato e altri. Nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura da parte di alcuni senatori, i nuovi prefetti del pretorio, vari funzionari di palazzo e forse anche la moglie, e verrà sottoposto dal senato alla damnatio-memorie cioè la cancellazione del suo nome e volto dalle iscrizioni e dai monumenti finalizzata a cancellarne il ricordo. Fu proclamato imperatore MARCO COCCEIO NERVA. 5 Limes: strade che si inoltravano nei territori non ancora conquistati dotate di posti fortificati e destinate a facilitare la penetrazione romana; assunse poi il significato di frontiera artificiale in cui le strade servivano a collegare tra loro gli accampamenti e a disegnare di fatto la linea di separazione tra l’impero e i territori esterni. 86 Il sorgere del cristianesimo Tra il primo e il secondo secolo si sviluppa il cristianesimo derivato dall’ebraismo è scaturito dalla predicazione di Gesù ritenuto il Cristo venuto in terra a portare il messaggio universale di salvezza. Le prime comunità cristiane sorsero grazie all’annuncio degli apostoli della morte e resurrezione di Gesù. Nel corso del II secolo prevalse la struttura di comunità guidate da un singolo responsabile detto episcopos. I rapporti tra cristiani e impero furono travagliati, infatti l’autorità imperiale aveva affrontato la questione giudaica non distinguendo tra ebrei e cristiani, considerandola un problema di nazionalità piuttosto che di religione. Augusto aveva concesso alle comunità ebraiche libertà di culto, a conservare i propri costumi e di mantenere il proprio legame con il tempio di Gerusalemme. Le comunità ebraiche furono però spesso avvertite come elemento estraneo, gli ebrei che furono espulsi da Roma sotto Tiberio, Claudio poi ristabilì la tolleranza di Augusto, ma anch’egli nel 49 d.C. espulse gli ebrei da Roma, sotto Nerone, divenne evidente il contrasto tra l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana, la quale veniva considerata come sovversiva e pericolosa, in quanto non poteva integrarsi in nessun modo con la religione tradizionale e il culto imperiale, anche l’opinione pubblica riteneva che i seguaci della setta fossero dediti a pratiche mostruose. Nerone né approfittò per accusare i cristiani dell’incendio di Roma avvenuto nel 64 d.C. Sotto Vespasiano e Tito fu distrutto il tempio di Gerusalemme e stroncata la rivolta, ma non furono poste limitazioni di culto. Ebrei e cristiani subirono invece l’ostilità di Domiziano che per attuare una politica di legittimazione religiosa volle promuovere la figura del principe come rappresentante di Giove sulla terra. Nel corso del II secolo d.C. il cristianesimo mise salde radici in tutto l’Impero, diventando un fenomeno che non poteva più essere ignorato dalle autorità. Capitolo 4 Il II secolo Le fonti Fonti: Panegirico e l’epistolario di PLINIO IL GIOVANE, VITTORE, OROSIO, EUSEBIO, ERODIANO, DIONE DI PRUSA, LUCIANO DI SAMOSATA, ERODE ATTICO, Orazione a Roma di ELIO ARISTIDE, PLUTARCO, LUCIANO, FILOSTRATO, PUSANIA, FRONTINO, GAIO, FRONTONE, MARCO AURELIO, Nuovo Testamento, Apologia di GIUSTINO, Dialogo di IRENEO, Atti dei martiri; documenti: colonne aureliana e traiana; Epigrafia: Iscrizioni colonne, regolamenti fiscali è economici, tavole bronzee dalla Lusitania, archivi amministrativi e privati, papiri scoperti nel deserto di Giuda offrono notizie sulle province orientali. Nerva (96-98 d.C.) Il II secolo è considerato l’età più prospera per l’impero romano che gode di uno sviluppo economico e culturale soprattutto grazie alla figura di NERVA che ha instaurato la successione per adozione (di colui che in assoluto poteva dare maggiori garanzie di saper governare bene). L’adozione di Traiano da parte di Nerva fu accolta positivamente dall’aristocrazia senatoria. Il principato di Nerva durò solo due anni e vide ripristinati i buoni rapporti tra imperatore e Senato. I motivi per cui la scelta come nuovo imperatore 87 fosse caduta su Nerva non sono chiari e possono essere molteplici: egli non aveva mai assunto cariche militari, dunque non aveva legami con gli eserciti, aveva un’età avanzata, uno stato di salute non buono e non aveva figli, forse fu scelto per la sua mitezza di carattere e la sua estraneità ai gruppi di potere precedenti. Il primo pensiero di Nerva fu quello di controllare le reazioni successive alla morte di Domiziano, il popolo era rimasto sostanzialmente indifferente all’assassinio ma non altrettanto i pretoriani, che vennero però tenuti a freno dai loro capi e dai donativi. Nerva fece subito in modo di ottenere i giuramenti delle truppe provinciali e fece abolire le misure più impopolari di Domiziano, richiamando gli esiliati e avvallando in senato la damnatio memoriae del tiranno, fece inoltre sospendere l’accusa di lesa maestà riportando la pace interna. Successivamente fu votata una legge agraria per assegnare lotti di terreno ai nullatenenti, emanò il programma delle istituzioni alimentari (prestiti concessi dallo stato agli agricoltori che ne beneficiavano ipotecando i propri terreni, l’interesse dell’ipoteca serviva a sostentare i fanciulli indigenti), realizzò così un incentivo di miglioramento sulla produttività di fondi e un sostegno dei meno abbienti per contrastare il calo demografico. Trasferì alla cassa imperiale il costo del mantenimento delle strade e delle stazioni di cambio per i messaggeri imperiali. Il Principato di Nerva ebbe scarsa opposizione ma nel 97 d.C. vi furono alcuni problemi economici e politico-militari. Sul versante politico i pretoriani chiesero la punizione degli assassini di Domiziano, Nerva venne messo a tacere e i responsabili della congiura messi a morte, in questo modo venivano però puniti coloro che lo avevano portato al potere, compromettendo la sua immagine e il suo prestigio. Nerva, consapevole che il suo successore avrebbe dovuto affermarsi militarmente e essere in grado di opporsi ai pretoriani, adottò Traiano che salì in carica tre mesi dopo, quando Nerva morì. Traiano (98-117 d.C.) MARCO ULPIO TRAIANO nacque nel municipio spagnolo di Italica da una famiglia di remote origini italiane. Nel 91 d.C. aveva ricoperto il consolato per la prima volta e nel 96-97 d.C. era divenuto legato della Germania Superiore. Nel 98 d.C., mentre si trovava il Germania, fu nominato princeps dal senato alla morte di Nerva. Sì reco a Roma solo un anno preferendo prima completare il consolidamento delle difese sul Reno e sul Danubio (Pannonia e Mesia). Egli univa nella sua persona le caratteristiche di esperienza militare e senso di appartenenza allo stato che lo resero, agli occhi dell’opinione pubblica, optimus princeps. Le fonti letterarie a nostra disposizione su Traiano sono favorevoli all’imperatore. PLINIO IL GIOVANE definisce Traiano “uno di noi”, esprimendo in questo modo tutta la popolarità che il princeps aveva negli ambienti senatori, ma anche l’atteggiamento di rispetto che manifestò verso l’assemblea stessa. Il principato di Traiano segna un cambiamento importante nella politica estera della Roma imperiale, soprattutto nel settore orientale: l’espansione territoriale ha avuto un posto di rilievo nei suoi programmi. Nel lungo periodo intercorso da quando Domiziano aveva posto fine alle ostilità in dacia (89 d.C.) Decebalo non aveva cessato di rafforzarsi. Ma minaccia per la Mesia si profilava grave e imminente. La difesa del settore era indispensabile per ripristinare la sicurezza contro il rischio di incursioni. Nel 101 90 4. Città federate, che hanno concluso con Roma un trattato su un piede di uguaglianza. Municipi cioè città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai cui abitanti è accordato o il diritto latino o quello romano. Colonie cioè città di nuova fondazione in territori vinti, che godono della cittadinanza romana e hanno pieno diritto romano. Organizzate a immagine di Roma. A partire da Claudio le città potevano ricevere lo status di colonia anche come privilegio onorario, senza che ci fosse né una nuova fondazione né un effettivo trasferimento nella città di nuovi coloni, ma come riconoscimento del grado di romanizzazione raggiunto dalla comunità. In questo modo si realizzava una gerarchia di città tale da favorire lo spirito di emulazione delle città che aspiravano a migliorare sempre più, dato che le città peregrine aspiravano a diventare municipi e questi ultimi desideravano ottenere il diritto romano e sollecitavano il titolo di colonia onoraria. Marco Aurelio (161-180 d.C.) e Lucio Vero (161-169 d.C.), Marco Aurelio e Commodo (177-180 d.C.) MARCO AURELIO succedette ad Antonino Pio senza problemi e sorprese tutti recuperando i desideri di Adriano e proponendo che il fratello LUCIO VERO condividesse con lui il principato. Era il primo caso di doppio principato, cioè di coreggenza piena nella storia imperiale romana. Le fonti letterarie descrivono Marco Aurelio pieno di virtù mentre Lucio Vero un uomo vizioso. All'inizio del principato vi furono agitazioni sulle frontiere di Britannia, Germania e Rezia sedate con facilità. Nel 161 d.C. si riaprì il problema partico, il re Vologese IV, alla notizia della morte di Antonino Pio decise di occupare l’Armenia. Il legato romano della Cappadocia accorso per fronteggiare la situazione fu pesantemente sconfitto e trovò la morte. Contemporaneamente i parti invasero la Siria, fu inviato in Oriente Lucio Vero (162 d.C.). I romani penetrarono in Armenia che fu sottomessa e vi lasciarono un presidio permanente. Le legioni di Siria verso la fine del 163 d.C. diedero inizio all’offensiva contro la Partia, dopo che i parti avevano cacciato il re d’Osroene alleato dei romani. Tra il 165 e il 166 d.C. gli eserciti romani penetrarono in Media. Più o meno contemporaneamente furono organizzate spedizioni contro gli arabi, che probabilmente si erano alleati con i parti. La pace fu conclusa nel 166 d.C. Nella primavera del 166 d.C. Lucio Vero partì alla volte di Roma, i due imperatori vi celebrarono il trionfo e ai due figli di Marco Aurelio, Lucio Aurelio Commodo ed Annio Vero, fu conferito il titolo di Cesare. La guerra partica fu responsabile della crisi che travagliò l’impero negli anni successivi. Infatti l’esercito portò con se la pestilenza che causò lutti e devastazioni con gravi conseguenze demografiche ed economiche. Contemporaneamente lo sguarnimento della frontiera settentrionale tra Alto Reno e Alto Danubio creò le condizioni perché i popoli confinanti, soprattutto Marcomanni e Quadi, si facessero pericolosi. Nel 168 d.C. Marco Aurelio e Lucio Vero mossero verso settentrione e presero le necessarie misure per far fronte alla situazione. L’invasione fu momentaneamente contenuta e respinta. Verso la fine del 168 d.C. i due imperatori ripresero la strada per Roma, ma durante il percorso di ritorno Lucio 91 Vero morì improvvisamente per un attacco apoplettico, all’inizio del 169 d.C., lasciando Marco Aurelio solo al Principato. I successivi 11 anni furono quasi tutti impegnati sulle frontiere danubiane. Dopo aver proceduto ad una vendita all’asta dei beni del tesoro imperiale per potersi procurare fondi atti a finanziare le spese di guerra e a rimediare alle emergenze causate dalla pestilenza, Marco si recò in Pannonia Inferiore e poi Superiore. L’offensiva ebbe scarso successo. Nel frattempo in Dacia era stato battuto e ucciso il governatore. Sul limes danubiano le azioni militari si alternavano a quelle diplomatiche, con l’intento di spezzare la coalizione nemica. I Marcomanni e i Quadi furono sconfitti e sottomesso. Nel 175 d.C. Marco Aurelio abbandonò il fronte danubiano e partì per l’Oriente accompagnato dalla moglie Faustina e dal giovane COMMODO, durante il viaggio Faustina morì improvvisamente e Marco proseguì ugualmente il viaggio con Commodo, toccando Siria, Palestina, Egitto e Grecia e tornò a Roma nel 176 d.C. All’inizio del 177 d.C. si associò al figlio Commodo che divenne imperatore coreggente. Nel 178 d.C. i Marcomanni e i Quadi si ribellarono contro le dure condizione che erano state loro imposte. Nell’estate Marco Aurelio e Commodo ripartirono per il fronte danubiano dove riportarono una grande vittoria nel 180 d.C., stesso anno in cui Marco Aurelio si ammalò e morì. In politica interna Marco Aurelio mantenne una linea di continuità con i propri predecessori. Il fatto che con lui si tornasse alla successione dinastica fui ampiamente criticato, ma egli per garantire stabilità al principato affiancò al giovane Commodo une serie di consiglieri ed esperti che guidarono con efficacia i primi passi del nuovo imperatore. Commodo (180-192 d.C.) Commodo divenne unico Imperatore a meno di 19 anni e assunse il nome di Marco Aurelio Commodo Antonino. È identificato dalle fonti come l’antitesi del genitore ed emblema della degenerazione del potere imperiale. Il governo di Commodo fu connotato dalla presenza di collaboratori che agirono al suo fianco, delineando il profilo di un principe disinteressato a impegnarsi della conduzione dello stato. Commodo non si mosse dal fronte per oltre sette mesi dopo la morte del padre. Dopo aver proseguito la campagna con qualche successo decise di abbandonare l’espansione oltre il Danubio e rafforzo i limes. Nel 182 d.C. ci fu la prima congiura organizzata dalla sorella Lucilla che, una volta sventata la congiura, fu relegata Capri e poi uccisa. Ci furono una serie di processi per tradimento volti a confiscare bene di illustri senatori e cavalieri volti a rimpinguare le casse dello stato, che venivano sistematicamente svuotate per organizzare giochi per la plebe. Nel 188 d.C. un disertore, Materno, corse l’occasione per penetrare in Italia e attentare alla vita dell’imperatore, il tentativo fallì. L’imperatore era incline a mostrare la sua prodezza nell’arena combattendo come i gladiatori, egli si identificava infatti con Ercole. Le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza, le sue innovazioni in campo religioso determinarono la definitiva rottura con il senato di cui egli perseguitò numerosi membri. Alla fine del 192 d.C. fu ordita una congiura e Commodo fu ucciso. Durante il proprio principato comodo non dimostra particolare interesse per le province né per l’esercito. Sotto il suo comando si svilupparono fenomeni di integrazione e l’accoglimento di molte divinità 92 straniere, egli stesso aveva deciso di proporsi come divinità in terra. Commodo, dopo la morte, fu condannato alla damnatio memorie. L’economia romana in età imperiale Uno dei fattori che caratterizzarono la storia economica dell’impero è rappresentato dall’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma. La gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata alla prefettura dell’annona, riservata a un personaggio di rango equestre. Il grano veniva fatto confluire dall’Egitto e dall’Africa settentrionale, l’Olio dalla Betica (Spagna Meridionale) e il vino dalle Gallie. L’esercito permanente assorbiva gran parte del bilancio dell’impero e ne condizionava l’economia. Il grande sviluppo conosciuto dall’economia romana all’inizio dell’età Imperiale è stato tanto importante da portare ad una trasformazione dell’economia, considerata come una “peculiare economia preindustriale”. 95 nel 226 d.C. si fece incoronare Re dei Re a Persopodi dando vita alla nuova dinastia. Ardashir promosse immediatamente una grande campagna al fine di riconquistare tutti i territori persi a favore di Roma. Severo Alessandro reagì muovendo incontro al nemico nell’estate del 232 d.C. alla testa di tre diversi eserciti. La mancanza di fiducia che i soldati avevano in lui gli fu fatale. All’inizio del 235 d.C. un soldato di modeste origini, a quel che narrano le nostre fonti dall’aspetto fisico terrorizzante, noto con il nome di MASSIMINO IL TRACE, fu proclamato imperatore dalle reclute che gli erano state affidate da addestrare. Severo Alessandro e la madre furono strangolati nella loro tenda a Magonza. Massimino il Trace e l’anarchia militare Nel periodo, noto in genere con il nome di “anarchia militare” che comprende il cinquantennio che va dall’assassinio di Severo Alessandro all’accessione al trono di Diocleziano (235-284 d.C.) il potere fu detenuto da una ventina di imperatori, cui si devono aggiungere numerosi usurpatori, che rimasero in carica in media non più di due anni e mezzo ciascuno. All’origine di questa situazione c’è un problema strutturale: ogni volta che il sovrano legittimo si doveva concentrare su una parte dell’Impero altrove entravano in agitazione capi militari e funzionari ambiziosi e scontenti che cercavano di porre in atto progetti di usurpazione. Il regno del rude soldato Massimino il Trace, impressionò molto i contemporanei. Massimino ottenne dei successi nelle sue campagne contro i barbari. La durezza del suo regime, che impose una fortissima pressione fiscale per far fronte alla grave situazione militare in cui si trovava l’Impero, spiega la ritrovata forza di coesione del senato che giunge a dichiararlo nemico dello stato. Il senato aderì subito alla proclamazione dell’anziano GORDIANO, proconsole in Africa, che si associò il figlio. La rivolta fu repressa dai soldati fedeli a Massimino e i due Gordiani trovarono la morte. Nel 238 d.C. Massimino mosse alla volta dell’Italia ma cadde assassinato dai suoi stessi soldati. Massimino fu il primo imperatore a non recarsi mai a Roma. A Roma i pretoriani proclamarono Augusto il giovanissimo nipote di Gordiano I, GORDIANO III. Alla morte di quest’ultimo, nel 244 d.C. nel corso di una battaglia, fu acclamato imperatore FILIPPO, detto l’Arabo per le sue origini. Malgrado alcuni successi conseguiti nella difesa delle frontiere, anche il regno di Filippo terminò in modo cruento. Decio e la persecuzione dei cristiani L’esercito proclamò imperatore al posto di Filippo il suo prefetto urbano, il senatore MESSIO DECIO. Il breve regno del tradizionalista ed energico Decio (249-251 d.C.) è caratterizzato da un’evidente volontà di rafforzare l’osservanza dei culti tradizionali, tra cui quello ufficiale dell’imperatore, inteso come strumento di coesione interna. Questo significava per i cristiani una forte discriminazione. Chi non accettava di sacrificare agli dei e al Genio dell’imperatore veniva condannato a morte. Per questo Decio, responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani ci è stato presentato dalle fonti cristiane come una sorta di mostro. Decio morì nei Balcani nel 251 d.C., combattendo contro i Goti. La sua morte avvenne mentre l’Impero si trovava minacciato su più fronti e sembrava messa in discussione la sua stessa sopravvivenza. Valeriano Sul confine gallico e su quello germanico premevano le popolazioni degli Alamanni e dei Franchi; la frontiera del basso Danubio era attaccata dai Goti mentre in Oriente i Persiani si stavano impadronendo della Siria. VALERIANO, un anziano senatore, arrivò al trono imperiale dopo una serie di effimeri imperatori militari. Data la gravità della situazione, Valeriano ebbe l’accortezza di associare a se il figlio Gallieno e di decentrare il governo dell’impero. La sua campagna contro i Persiani finì tragicamente, Valeriano fu sconfitto, fatto prigioniero e morì in cattività nel 260 d.C. 96 Gallieno GALLIENO si trovò quindi da solo a reggere l’Impero tra il 260 e il 268 d.C. Rimasto a guardia dell’Occidente per gran parte del suo regno riuscì a bloccare l’avanzata degli Alemanni e dei Goti, anche se fu costretto ad arretrare tutta la linea di frontiera del Danubio, con la perdita di fatto della Dacia. Gallieno dovette tollerare che all’interno dell’Impero si formassero due regni separatisti: quello delle Gallie, retto da Postumo ed esteso anche alla Spagna e alla Britannia, e quello di Palmira, comprendente la Siria, la Palestina e la Mesopotamia. Gallieno, per porre rimedio alle continue ribellioni dei comandanti militari di estrazione senatoria, sottrasse il comando delle legioni ai senatori e lo affidò ai cavalieri contro quella che era stata la prassi seguita sino ad allora. Gallieno, tra l’altro, pose definitivamente fine alla persecuzione contro i cristiani. Dispose la restituzione dei beni sequestrati alle comunità stabilendo una sorta di tregua che sarebbe durata per una quarantina di anni durante i quali la Chiesa poté consolidare la propria organizzazione soprattutto in Oriente. Le comunità cristiane si organizzarono in province ecclesiastiche rette da un vescovo. Al vescovo di Roma, in particolare, si iniziò ad attribuire una posizione di direzione generale su tutte le comunità ecclesiastiche. Aureliano. Gli imperatori illirici L’uccisione di Gallieno, avvenuta nel 268 d.C. in una congiura ordita dai suoi ufficiali, portò al potere il comandante della cavalleria. CLAUDIO II (268-270 d.C.) è il primo di una serie di imperatori detti “illirici” perché originari di questa regione. Morto Claudio II di peste nel 270 d.C. la sua opera fu completata da AURELIANO (270-275 d.C.) che riuscì definitivamente ad avere ragione delle popolazioni barbariche che erano penetrate di nuovo nella pianura padana. Aureliano fece circondare Roma con un’imponente cinta muraria. Egli riuscì a sottomettere i due stati autonomi che si erano formati negli anni precedenti: Siria e Gallie. Aureliano promosse una decisa riorganizzazione dello Stato e diede impulso al processo di divinizzazione del monarca. In campo religioso l’introduzione del culto ufficiale di Sol invictus, una divinità particolarmente cara ai soldati, era funzionale al rafforzamento dell’autorità imperiale: l’autocrazia mili tare diventava così quasi una teocrazia, e il culto solare si identificava col culto dell’imperatore. Ucciso Aureliano nel 275 d.C., durante il successivo governo di PROBO, anch’egli un soldato di origine illirica, si ebbero vari pronunciamenti militari e una rinnovata pressione barbarica sulle frontiere renana e danubiana. Probo riuscì ad ottenere significativi successi su questi fronti, ma fu ucciso mentre preparava una campagna contro la Persia. Il suo successore, il prefetto del pretorio CARO, condusse a felice compimento tale campagna conquistando la capitale nemica ne, 283 d.C. Nonostante questo successo anch’egli morì ucciso nel corso di una congiura militare. Alla fine, solo detentore del potere si trovò ad essere, nel 285 d.C., l’illirico DIOCLEZIANO che era stato proclamato imperatore dall’esercito l’anno prima. Il suo regno durò circa un ventennio, durante il quale egli riuscì a riorganizzare lo stato romano e creare le condizioni per la sua sopravvivenza. Diocleziano (285-305 d.C.) Con il suo regno (285-305 d.C.) si chiuse definitivamente l’età travagliata che aveva caratterizzato gran parte del III secolo. È convenzionale nella storiografia moderna fa del regno di Diocleziano e di quello di Costantino (306- 337 d.C.) il momento iniziale di un’età di rinnovamento complessivo nella storia del mondo antico, culturale oltre che politica, che si vuole designare come Tarda Antichità. Il regno di Diocleziano è contraddistinto da una forte volontà restauratrice dello Stato a tutti i livelli, politico-militare, amministrativo ed economico. Una prima importante decisione, riguardo il luogo di residenza dell’imperatore: Roma era troppo lontana dalle frontiere più esposte ai pericolo di invasioni. Diocleziano stabilì la propria sede in Oriente, a Nicomedia, la capitale della Bitinia. Diocleziano riuscì a conseguire l’obiettivo di consolidare il potere monarchico. La difficile situazione dell’impero, sottoposto a minacce 97 costanti lungo i suoi estesi confini, richiedeva la presenza di più di un imperatore con capacità di intervento militare. Nello stesso tempo era necessario prevenire le usurpazioni. Diocleziano concepì un sistema originale in base al quale al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiale composto da quattro monarchi, detti tetrarchi, due dei quali (detti Augusti) erano di rango superiore ai secondi (detti Cesari). Tale sistema aveva come fine quello di fronteggiare meglio le varie crisi regionali attraverso una ripartizione territoriale del potere e, nello stesso tempo, di garantire una successione ordinata, senza nuove guerre intestine. Il principio che veniva così introdotto era quello della “cooptazione” al collegio stesso: i due Augusti cooptavano i due Cesari e così era previsto che facessero a loro volta questi ultimi una volta divenuti Augusti. Nel 285 Diocleziano nominò Cesare MASSIMIANO, che si era distinto per le sue qualità di comandante militare, designandolo quindi come suo successore. L’anno successivo lo elevò al rango di Augusto, dunque di coreggente. Nel giro di poche anni completò la sua riconfigurazione dei vertici dello Stato che fu portata a termine con la nomina a Cesari di due ufficiali, GALERIO, destinato a succedere allo stesso Diocleziano, e Costanzo Cloro, successore designato di Massimiano. DIOCLEZIANO dalla sua residenza di Nicomedia governava le province orientali; MASSIMIANO, da Milano, reggeva l’Italia, l’Africa e la Spagna; GALERIO, da Tessalonica, esercitava la sua autorità sulla penisola balcanica e sull’area danubiana; COSTANZO CLORO da Treviri sulla Gallia e la Britannia. E’ implicita in questa nuova articolazione del potere la svalutazione degli organi di tradizione repubblicana, il senato e le magistrature annuali il cui significato decadde in misura irreparabile. Una connotazione fondativa del nuovo potere imperiale derivava dal suo essere espressione di una forma di “religione politica”: il sovrano era considerato partecipe dell’essenza della divinità di cui portava in sé lo spirito. Diocleziano si rifaceva agli dei romani tradizionali Giove ed Ercole, divinità tra l’altro popolari presso i soldati. Le riforme di Diocleziano Le riforme di Diocleziano furono profonde e riguardarono tutti i principali settori della vita pubblica. Le province furono ridotte di dimensioni per renderne più efficace il governo. Nell’insieme furono istituite un centinaio di province affidate a governatori di rango diverso provenienti per lo più dal ceto equestre. Nelle province di frontiera essi erano affiancati da comandanti militari (duces). Le province furono a loro volta raggruppate in dodici ampi distretti amministrativi, detti “diocesi” retti da un “vicario” cioè un rappresentante diretto del prefetto del pretorio che operava a stretto contatto con l’imperatore. Le diocesi furono a loro volta raggruppate in quattro grandi aree corrispondenti grosso modo a: 1. Oriente, 2. Illirico e Grecia, 3. Italia e Africa, 4. Gallia, Britannia e Spagna. Le pressanti esigenze militari determinarono una riforma anche dell’esercito. Per fronteggiare meglio le guerre che si combattevano contemporaneamente su più fronti, fu creato un esercito mobile composto di unità di cavalleria e di fanteria. Questo esercito mobile, distinto da quello stanziato in modo permanente lungo le frontiere (i cosiddetti limitanei), era concepito come forza di pronto intervento per fronteggiare improvvise situazioni di emergenza. Le crescenti necessità militari e di organizzazione burocratica resero necessaria anche una riforma del sistema fiscale. L’articolazione dell’Impero in diocesi era funzionale all’espletamento delle pratiche di censimento capillare dei terreni, che implicava la realizzazione di una