Scarica Riassunto Sulla Fotografia Susan Sontag e più Sintesi del corso in PDF di fotografia solo su Docsity! Sulla fotografia di Susan Sontag La scrittrice esamina l’aspetto sociologico della fotografia. 1. Nella grotta di Platone L’umanità si attarda continuando a dilettarsi di mere immagini della verità. E questa insaziabilità dell’occhio fotografico modifica le condizioni di prigionia in quella grotta che è il nostro mondo. Insegnandoci un nuovo codice visivo, le fotografie alterano e ampliano le nostre nozioni di ciò che val la pena guardare e di ciò che abbiamo il diritto di osservare. Infine la conseguenza più grandiosa della fotografia è che ci dà la sensazione di poter avere in testa il mondo intero. Collezionare fotografie è collezionare il mondo. Ma nelle fotografie l’immagine è anche un oggetto, leggero, poco costoso, facile da portarsi appresso, da accumulare, da conservare. Le fotografie sono forse i più misteriosi tra gli oggetti che formano dandogli spessore. Esse sono in realtà esperienza catturata, e la macchina fotografica è l’arma ideale di una consapevolezza di tipo acquisitivo. Fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa. Significa stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere. Ciò che si scrive su una persona o su un evento è chiaramente un’interpretazione, come lo sono i rendiconti visivi fatti a mano, quali la pittura e il disegno. Le immagini fotografate invece non sembrano tanto rendiconti del mondo, ma pezzi di esso, miniature di realtà che chiunque può produrre o acquisire. Invecchiano, afflitte dai mali comuni a tutti gli oggetti di carta; spariscono; diventano preziose; vengono comprate o vendute; vengono riprodotte. Le fotografie, che impacchettano il mondo, sembrano sollecitare l’impacchettamento. Le pubblicano i giornali e le riviste. Le fotografie forniscono testimonianze. Le fotografie sono diventate un utile strumento degli stati moderni per sorvegliare e controllare popolazioni sempre più mobili. È una dimostrazione incontestabile. Una fotografia sembra avere con la realtà visibile un rapporto più puro, e quindi più preciso, di altri oggetti mimetici. Una fotografia può essere considerata una trasparenza strettamente selettiva. I fotografi anche quando si preoccupano soprattutto di rispecchiare la realtà, sono comunque tormentati dai taciti imperativi del gusto e della coscienza. Anche se, in un certo senso, la macchina fotografica coglie effettivamente la realtà, e non si limita a interpretarla, le fotografie sono un’interpretazione del mondo esattamente quanto i quadri e i disegni. Ed è proprio questa passività – e ubiquità – del documento fotografico il <<messaggio>> della fotografia, la sua aggressione. E la successiva industrializzazione della tecnologia fotografica non ha fatto che dar corpo a una promessa insita nella fotografia sin dagli esordi: quella di democratizzare tutte le esperienze, traducendole in immagini. Fu solo quando si industrializzò che acquisì una sua autonomia artistica. Conservare il ricordo delle gesta di singoli individui, intesi come membri di una famiglia, è la più antica utilizzazione popolare della fotografia. Le macchine fotografiche accompagnano la vita della famiglia. Attraverso la fotografia ogni famiglia si costruisce una cronaca illustrata di se stessa. Arrivò la fotografia a perpetuare nel tempo. Le fotografie, oltre a dare all’individuo il possesso immaginario di un passato reale, lo aiutano a impadronirsi di uno spazio nel quale vive insicuro. Far fotografie, che è un modo di attestare un’esperienza, è anche un modo di rifiutarla, riducendola a una ricerca del fotogenico, trasformandola in un’immagine, in un souvenir. Viaggiare diventa così una strategia per accumulare fotografie. L’attività stessa del fotografare è calmante e placa quella sensazione generale di disorientamento che i viaggi rischiano di esacerbare. Una fotografia è un evento di sé, e con diritti sempre più perentori, di interferire, di invadere o di ignorare quello che succede. La loro onnipresenza suggerisce persuasivamente che il tempo è fatto di eventi interessanti, di eventi che val la pena fotografare. Una volta concluso l’evento, continuerà a esistere la sua immagine, conferendo all’evento stesso una sorta d’immortalità. Altro mondo: il mondo delle immagini, che promette di sopravvivere a tutti noi. ha dato risultati quasi altrettanto deludenti. Le arti nelle quali il surrealismo è giunto a piena espressione sono invece la narrativa in prosa, il teatro, le arti dell’assemblage e – in forma particolarmente trionfale – la fotografia. Che la fotografia sia la sola arte naturalmente surreale non significa però che condivida il cammino del movimento surrealista ufficiale. Tutt’altro. I fotografi che si sforzarono di combattere l’apparente realismo superficiale del mezzo furono quelli che ne trasmisero in maniera più limitata le proprietà surreali. Il surrealismo è al centro della disciplina fotografica: nella creazione stessi di un mondo duplicato, di una realtà di secondo grado, più limitata ma più drammatica di quella percepita dalla visione naturale. Quanto meno la fotografia era elaborata e palesemente costruita, quanto più ingenua appariva, tanto maggiore era spesso alla lunga il suo prestigio. Cosa potrebbe essere più surreale di un oggetto che produce se stesso e con un minimo sforzo? A differenza degli oggetti artistici delle ere predemocratiche, le fotografie non sembrano profondamente determinate dalle intenzioni dell’artista. Devono piuttosto la loro esistenza a una libera cooperazione (quasi magica, quasi accidentale) tra fotografo e soggetto, mediata da una macchina sempre più semplice e automatizzata che, anche quando fa i capricci, può produrre risultati interessanti, e comunque mai del tutto sbagliati. Cfr: film muto Il cameraman nel quale un inetto e sognante Buster Keaton si dibatte invano con il suo scassato apparecchio, abbattendo porte e finestre ogni volta che monta il suo treppiede senza mai poter scattare una foto come si deve, ma riuscendo alla fine a ottenere dal formidabile materiale (un’esclusiva giornalistica di una battaglia tong nella Chinatown newyorkese) per inavvertenza. La bellezza della fotografia quindi non sta esclusivamente nella bravura tecnica del fotografo ma soprattutto nella bellezza stessa della realtà che grazie a tale arte può essere riprodotta nella sua essenza. Ciò che rende surreale una fotografia è il suo incontestabile patos, in quanto messaggio del passato, e la concretezza delle sue indicazioni sulle classi sociali. Come estetica che tende a diventare politica, il surrealismo punta sui diseredati, sui diritti di una realtà emarginata o non ufficiale. Osservando la realtà altrui con curiosità, con distacco, con professionalità, l’onnipresente fotografo agisce come se la sua prospettiva fosse universale. Di fatto, la fotografia comincia ad acquistare una propria fisionomia come prolungamento dell’occhio del flaneur urbano, la cui sensibilità è stata descritta da Baudelaire. Il flaneur non è attratto dalle realtà ufficiali della città ma dai suoi brutti angoli bui, dalla sua popolazione trascurata: una realtà non ufficiale che sta dietro la facciata della vita borghese e che il fotografo “cattura” come un poliziotto cattura un criminale. La macchina fotografica fa essenzialmente di una persona un turista nella realtà altrui e alla lunga anche nella propria. Le fotografie sono, ovviamente, manufatti. Ma il loro fascino è anche che, in un mondo cosparso di relitti fotografici, sembrano avere uno status di oggetti trovati, di fette di mondo non premeditate. Di conseguenze approfittano contemporaneamente del prestigio dell’arte e della magia del reale. Attraverso le fotografie seguiamo, nella maniera più intima e più conturbante, la realtà di come la gente invecchia. La fotografia è l’inventario della mortalità. Le fotografie proclamano l’innocenza e la vulnerabilità di vite che s’avviano alla distruzione, e questo legame tra fotografia e morte permea tutti i ritratti fotografici. Il fascino che le fotografie esercitano, oltre che un memento della morte, è anche un invito al sentimentalismo. Le fotografie trasformano il passato in un oggetto da guardare con tenerezza. Ciò che vale per le fotografie, vale anche per il mondo visto fotograficamente. La fotografia trasforma la scoperta della bellezza delle rovine in autentico gusto di massa. La realtà in quanto tale. Il fotografo, volente o nolente, è impegnato nel compito di rendere oggetto d’antiquariato la realtà e le fotografie sono oggetti di antiquariato istantanei. Attraverso la fotografia la realtà diventa realmente reale, cioè surreale. La differenza tra mondo e fotografia è che la vita non è fatta di particolari significanti, non è illuminata da un flash, non è fissata per sempre. Le fotografie sì. L’attrattiva delle fotografie, l’ascendente che hanno su di noi, è nell’offrire contemporaneamente un rapporto da intenditore con il mondo e un’accettazione indiscriminata del mondo stesso. 3. L’eroismo della visione Molti tramite la fotografia hanno scoperto la bellezza. Ciò che induce la gente a fotografare è l’aver trovato qualcosa di bello. È abituale che coloro che hanno visto qualcosa di bello si dicano dispiaciuti di non aver potuto fotografarlo. E il successo della macchina fotografica nell’abbellire il mondo è stato tale che ora sono le fotografie, e non il mondo, il modello di bellezza. Le fotografie creano il bello. Camminando per le strade di una città, come Casale per realizzare il progetto fotografico, intravedo angoli e panorami belli in quanto mi immagino la bellezza che farebbero scaturire in una fotografia e per quello li immortalo. Fotografare è creare un’astrazione per cui si immagina già come un certo soggetto verrebbe in foto e scattare di per sé è solo l’atto finale di completamento di tale attività mentale. Le fotografie avanzano pretese di veridicità che non potrebbe mai avanzare un quadro. Un quadro falso (con un’attribuzione sbagliata) falsifica la storia dell’arte, una fotografia falsa (ritoccata) falsifica, invece, la realtà. Il fotografo è tenuto a smascherare l’ipocrisia e a combattere l’ignoranza. Non è solo che la fotografia rappresenti realisticamente la realtà, ma è la realtà che viene esaminata e valutata secondo la sua fedeltà alle fotografie. [processo negativo-positivo di Fox Talbot 1845 sostituì il dagherrotipo, primo procedimento pratico, con prima tecnica per ritoccare il negativo. Esposizione universale Parigi 1855] Casa dei sette frontoni (1851) Hawthorne fa dire al giovane fotografo Holgrave, a proposito di un ritratto a dagherrotipo che mentre gli riconosciamo soltanto il merito di raffigurare la mera superficie, in realtà esso mette in evidenza la personalità segreta con una veridicità che nessun pittore mai oserebbe, anche se riuscisse a scorgerla. immagini fotografiche, come medium grazie al quale una quantità sempre maggiore di eventi entra a far parte della nostra esperienza, è, a lungo andare, solo una conseguenza indiretta della loro efficacia nel fornire conoscenze scisse dall’esperienza e da essa indipendenti. È la forma più totale di acquisizione fotografica. Una volta fotografata, una cosa diventa parte integrante di un sistema di informazione e si inserisce in schemi di classificazione e di conservazione che vanno dall’ordine rozzamente cronologico delle istantanee incollate sugli album di famiglia alla sistematica accumulazione e alla meticolosa schedatura necessarie in altri ambiti (scienza, meteorologia, astronomia ecc). La fotografia ha poteri che nessun altro sistema d’immagini ha mai avuto, perché non dipende da un creatore di immagini. Per quanto preciso sia l’intervento del fotografo nel preparare e guidare il processo di creazione dell’immagine, questo processo è sempre ottico-chimico (o elettronico), il suo funzionamento è automatico e i suoi meccanismi saranno inevitabilmente modificati per poter offrire mappe del mondo sempre più particolareggiate, e quindi più utili. È la realtà che è venuta ad assomigliare sempre più a ciò che ci mostrano le macchine fotografiche. È ormai abituale che chi parla di un evento violento in cui è stato coinvolto dica pareva un film. E dice questo per spiegare quanto fosse sembrato reale. Mentre nei paesi non industrializzati molti si sentono in apprensione quando vengono fotografati, intuendo che si tratti di una forma di violazione, di un atto di irriverenza, di un saccheggio sublimato della personalità o della cultura, nei paesi industrializzati l’individuo cerca sempre di farsi fotografare, sentendo di essere immagine e di poter diventare reale grazie alle fotografie. (deplatonizzazione = non ci sono idee di copie e di immagini distaccate dalla realtà). La forza delle immagini fotografiche consiste nel fatto che esse sono realtà materiali in sé, depositi riccamente informativi lasciati sulla scia di ciò che le ha emesse, potenti mezzi per capovolgere la realtà, per trasformare questa in ombra. Le immagini sono insomma più reali di quanto chiunque avesse supposto. E poiché sono una risorsa illimitata, tale da non potersi esaurire con lo spreco consumistico, è ancor più necessario applicare il rimedio conservativo.