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Satira XII Giovenale, Appunti di Letteratura latina

Commento, traduzione e analisi Satira XII

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 27/08/2020

claudia-marzetti
claudia-marzetti 🇮🇹

4.1

(22)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Satira XII Giovenale e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! È un esempio del secondo Giovenale. Il gruppo X-XI-XII costituisce il IV libro, scritto tra il 20 e il 27. Il poeta vi si rappresenta come anziano; la X satira ha valore programmatico, non affronta un tema specifico ma pone in programma di ridere sulle storture del mondo. L’XI e la XII satira riguardano delle occasioni concrete: l’XI affronta il tema dell’invito a cena: si tratta di un invito a una cena molto frugale, in contrasto con la cena che Virrone offre a se stesso, che si sviluppa con una serie di osservazioni polemiche contro il lusso a tavola. L’amico che riceve questo invito si chiama Persico. È un nome che fa pensare alla Persia, all’Oriente, dunque al lusso. Difficilmente è il nome di un amico reale. Viene il sospetto che sia un personaggio fittizio, il cui nome evoca lusso, ricchezza e sfarzo, e che sia l’alunno ideale per una tirata moralistica contro il lusso a tavola. È un nome parlante, in contrasto con i valori positivi della semplicità presentati nel corso della satira. C’è un’occasione concreta che coinvolge chi dice io. È qualcosa di particolare, che non avevamo trovato nel Giovenale indignato. Lo stesso nel XII: l’occasione qui è il ritorno di un amico da un viaggio. L’amico ha rischiato il naufragio e la morte per mare. Giovenale si rallegra che sia tornato sano e salvo e offre agli dei un sacrificio per ringraziarli. L’amico si chiama Catullo, ma la satira è rivolta a un terzo personaggio, Corvino, che ha la funzione di ascoltare la vicenda. Il nome, come nel caso di Persico, potrebbe essere un nome parlante, relativo al corvo, cioè del cacciatore di testamenti. La satira XII termina con uno slargo moralistico contro i cacciatori di testamenti. In entrambi i casi abbiamo una situazione personale, un tono più disteso, meno polemico, ma l’elemento di polemica moralistica contro gli usi del presente viene fuori in ogni caso. Nell’antichità si usava scrivere dei componimenti per il ritorno di un amico da un viaggio o per la sua salvezza dopo una situazione di pericolo, non necessariamente legata a un viaggio, magari legata a una guarigione dopo una malattia. Questi due tipi di componimenti vanno tenuti presenti nell’analizzare gli elementi di cui si compone questa satira. In particolare, nella prima parte, abbiamo l’annuncio del ritorno dell’amico, l’espressione di affetto da parte di chi parla, la dichiarazione che gli dei hanno assistito e sono stati propizi a una vicenda che poteva andare male, l’insistenza sul motivo della salvezza e su pericoli e sofferenze che hanno portato a quella salvezza, e i voti espressi da chi parla in nome della salvezza o della guarigione dell’amico. Abbiamo, nella poesia precedente a Giovenale, vari componimenti di questo tipo – non nella tradizione satirica: es. un’ode di Orazio, dedicata alla guarigione di Mecenate da una malattia; una delle nugae di Catullo che dà il benvenuto a due amici, Veranio e Fabullo che tornano da un viaggio in Spagna. Sono testi che di solito non troveremo come modello nel Giovenale indignato. Stavamo leggendo la descrizione della tempesta di cui è vittima l’amico Catullo. Giovenale, Sat. XII Natali, Coruine, die mihi dulcior haec lux, qua festus promissa deis animalia caespes expectat. niueam reginae ducimus agnam, par uellus dabitur pugnanti Gorgone Maura; sed procul extensum petulans quatit hostia funem 5 Tarpeio seruata Ioui frontemque coruscat, quippe ferox uitulus templis maturus et arae spargendusque mero, quem iam pudet ubera matris ducere, qui uexat nascenti robora cornu. si res ampla domi similisque adfectibus esset, 10 pinguior Hispulla traheretur taurus et ipsa mole piger, nec finitima nutritus in herba, laeta sed ostendens Clitumni pascua sanguis et grandi ceruix iret ferienda ministro ob reditum trepidantis adhuc horrendaque passi 15 nuper et incolumem sese mirantis amici. nam praeter pelagi casus et fulminis ictus euasit. densae caelum abscondere tenebrae nube una subitusque antemnas inpulit ignis, cum se quisque illo percussum crederet et mox 20 attonitus nullum conferri posse putaret naufragium uelis ardentibus. omnia fiunt talia, tam grauiter, si quando poetica surgit tempestas. genus ecce aliud discriminis audi et miserere iterum, quamquam sint cetera sortis 25 eiusdem pars dira quidem sed cognita multis et quam uotiua testantur fana tabella plurima: pictores quis nescit ab Iside pasci? accidit et nostro similis fortuna Catullo. Dal verso 30 si racconta esattamente cosa sia successo. C’è poi una parte curiosa della satira in cui Catullo decide, per alleggerire la nave, di buttare il carico in mare e poi di tagliare l’albero maestro: la nave è in balia delle onde ma non affonda. C’è uno strano paragone però con il castoro: la scelta di Catullo di gettare a mare queste cose viene paragonata alla decisione del castoro, che secondo gli antichi quando vedeva che i cacciatori stavano per catturarlo si evirava. Perché? Nell’antichità si riteneva che i testicoli del castoro contenessero un liquido con proprietà mediche. Lo si cacciava a questo scopo, non per la pelliccia o altro. Qui abbiamo un piccolo inserto moralistico contro i pericoli della navigazione e contro l’assurdità di mettere a repentaglio la propria vita per ottenere denaro tramite il commercio. La navigazione, dal moralismo antico, era sentita come qualcosa di negativo, soprattutto se compiuta per arricchirsi. È tipico il lamento sul marinaio mercante che muore in mare, rimanendo insepolto. Questo slargo moralistico non riguarda più specificamente la narrazione: fa da passaggio tra il dramma e la scena di salvezza. Notiamo che il secondo Giovenale struttura le satire in modo più chiaro del primo: alla fine si riconosce una struttura per blocchi molto chiara, cosa che non si può dire delle satire del Giovenale indignato, meno nitido nella struttura dei componimenti. Qui abbiamo addirittura una composizione ad anello. V.1-92: vicende di Catullo, struttura ad anello in cui al v.1-16 corrispondono i vv. dal 62 in poi. Rito e salvezza, descrizione drammatica della scena di tempesta, rito e salvezza, slargo moralistico sui cacciatori di testamenti. i nunc et uentis animam committe dolato confisus ligno, digitis a morte remotus quattuor aut septem, si sit latissima, taedae; mox cum reticulis et pane et uentre lagonae 60 accipe sumendas in tempestate secures. Da qui torniamo a colori chiari contrapposti a quelli cupi precedenti. sed postquam iacuit planum mare, tempora postquam prospera uectoris fatumque ualentius euro et pelago, postquam Parcae meliora benigna pensa manu ducunt hilares et staminis albi 65 lanificae, modica nec multum fortior aura uentus adest, inopi miserabilis arte cucurrit uestibus extentis et, quod superauerat unum, uelo prora suo. iam deficientibus austris spes uitae cum sole redit. tum gratus Iulo 70 atque nouercali sedes praelata Lauino conspicitur sublimis apex, cui candida nomen scrofa dedit, laetis Phrygibus mirabile sumen et numquam uisis triginta clara mamillis. La nave entra finalmente in un porto, fatto costruire a due km a nord di Ostia. Ostia era il porto di Roma, da cui con battelli più piccoli si risaliva il Tevere. Diventa inutilizzabile perché si riempiva di sabbia. Viene fatto costruire da Claudio un porto più a nord, ampliato da Traiano pochi anni prima che Giovenale scriva questa satira. I lavori vennero portati a termine nel 112 d. C. Questa descrizione fa riferimento al porto di “nuova Ostia”. In questo porto c’erano due moli che rigiravano indietro a tenaglia, e davanti c’era un’isola con un faro. tandem intrat positas inclusa per aequora moles 75 Tyrrhenamque pharon porrectaque bracchia rursum quae pelago occurrunt medio longeque relincunt Italiam; non sic igitur mirabere portus quos natura dedit. sed trunca puppe magister interiora petit Baianae peruia cumbae 80 tuti stagna sinus, gaudent ubi uertice raso garrula securi narrare pericula nautae. Qui abbiamo un richiamo dell’inizio della satira. Si torna sul Campidoglio, a dare istruzioni agli schiavi che aiutano Giovenale con il sacrificio. Tornato a casa G. compie anche un sacrificio domestico – dimensione pubblica e privata. Il clima è sempre di festa, ci sono luci e dettagli inusuali all’interno della satira – di solito cupa e pessimista – di Giovenale. ite igitur, pueri, linguis animisque fauentes sertaque delubris et farra inponite cultris ac mollis ornate focos glebamque uirentem. 85 iam sequar et sacro, quod praestat, rite peracto inde domum repetam, graciles ubi parua coronas accipiunt fragili simulacra nitentia cera. hic nostrum placabo Iouem Laribusque paternis tura dabo atque omnis uiolae iactabo colores. 9cuncta nitent, longos erexit ianua ramos et matutinis operatur festa lucernis. Si chiude con questo la prima parte della satira. Qui inizia una sezione completamente diversa. Siamo di fronte a una forte cesura, evidente perché al v.93 come al v.1 è presente il vocativo del destinatario Corvino. È un segnale di struttura: 1-92; 93-fine. Il tono cambia completamente, abbiamo elementi più spiccatamente satirici, che ricordano le modalità più polemiche del Giovenale indignato. Il tema polemico su cui si incentra è quello dei cacciatori di testamenti. Il nome dell’interlocutore Corvino è stato inteso anche come un’allusione alla figura del cacciatore di testamenti – il corvo si ciba di cadaveri. Potrebbe essere un nome parlante, un segnale satirico. L’aggancio fra la prima parte, personale e festosa, e questa seconda, in cui Catullo viene nominato al primo verso e poi è abbandonato, è il fatto che Catullo ha tre figli. Ha già tre eredi legittimi, e non ha senso mirare a ottenere il suo testamento, che andrà a loro. Si ricollega alla satira V, alla prima maniera indignata di Giovenale. neu suspecta tibi sint haec, Coruine, Catullus, pro cuius reditu tot pono altaria, paruos tres habet heredes. libet expectare quis aegram 95 et claudentem oculos gallinam inpendat amico tam sterili; uerum haec nimia est inpensa, coturnix nulla umquam pro patre cadet. Periodo lunghissimo, di 11 esametri e mezzo. La dimensione eccessiva è data dal tema dell’elefante, la cui grandezza è mimata tramite vari espedienti anche metrici – ma prima di tutto dedicandogli un periodo abnorme ed esagerato. L’excursus sull’elefante sembra un po’ gratuito. Secondo Stramaglia in tutte e tre le satire del VI libro – X, XI e XII – compare l’elefante. Ogni volta trova il modo di inserirlo. L’elefante si trovava in un testo di Orazio, uno dei modelli principali di Giovenale e in particolare di Giovenale democriteo, meno aggressivo. Si trova in Epistolae 2 e 1: qui Orazio parla dell’elefante in relazione al filosofo Democrito. Se c’è corruzione dappertutto è meglio ridere, come fa Democrito, piuttosto che arrabbiarsi e combattere le storture del mondo. non è un caso che in queste epistole, Orazio, parlando di Democrito e del suo riso, dice che Democrito si sarebbe messo a ridere vedendo giraffe ed elefanti bianchi. Difficilmente è un caso. Da un punto di vista metrico, i versi 101, 102 e 103 hanno un dattilo in prima e in quinta sede, per il resto sono tutti spondei. Altro aspetto metrico è lo iato al v.110, dopo belli c’è uno iato, non una sinalefe; l’accento è sulla i di belli. 101 e 102 sono versi fatti esattamente allo stesso modo, porticus e quatenus sono dattili. v.103 nec Latio è un dattilo.