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Sbobine di chimica biologica (corso di laurea di chimica UNIMI), Sbobinature di Biochimica

Macromolecole, acidi nucleici, proteine, emoglobina, enzimi, cinetica enzimatica, metabolismo, bioenergetica, glicolisi, ciclo di Krebs, fosforilazione ossidatvia, catabolismo degli acidi grassi, beta-ossidazione, fotosintesi, gluconeogenesi, via dei pentosi fosfato, ciclo dell'urea

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

In vendita dal 10/01/2023

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Scarica Sbobine di chimica biologica (corso di laurea di chimica UNIMI) e più Sbobinature in PDF di Biochimica solo su Docsity! CHIMICA BIOLOGICA INTRODUZIONE La biochimica ha come obiettivo la spiegazione dei principi e delle leggi della chimica e della fisica. La biochimica si fonda sull’assunto che i fenomeni biologici siano descrivibili e interpretabili attraverso i concetti della chimica, pur possedendo una loro specificità e unicità. La vita è un fenomeno di natura chimica. La base che rende vivente un organismo è un qualcosa presente a livello di organizzazione di tipo chimico. Tutti i fenomeni biologici fondamentali sono basati su eventi che avvengono a livello chimico. Alla base degli eventi biologici ci sono dei fenomeni di tipo chimico. Schrödinger era vicino alla scoperta della struttura del DNA. Ogni fenomeno biologico ha una sua base molecolare. È la sintesi di acidi nucleici che permette di replicare la struttura polimerica e quindi alla base della trasmissione dell’informazione genetica ci stanno fenomeni chimici. Anche la trasmissione dell’informazione genetica ha alla base un fenomeno chimica che è la sintesi delle proteine. Ad ogni sequenza nucleotidica corrisponde una sequenza di un residuo amminoacidico. Inizialmente si pensava che gli organismi viventi fossero qualcosa di intrinsecamente diverso dal mondo non vivente. Si pensava fossero vivi perché obbedivano a principi diversi rispetto a quelli del mondo non biologico. La visione che veniva dalla tradizione medievale e rinascimentale è che si pensava che negli organismi ci fosse uno spirito vitale. Cartesio vedeva gli organismi viventi come una sorta di macchina con dentro uno spirito vitale che lo rende vivo. I fenomeni biologici sono un fenomeno emergente ed originano da una particolare organizzazione della materia vivente. La natura eteropolimerica di molte macromolecole biologiche permette a loro di decodificare informazioni. Hanno delle superfici di interazione con altre macromolecole e con parti della molecola stessa. Questo evita che le macromolecole assumano conformazioni diverse da quelle prestabilite. Permettono delle interazioni e fanno avvenire dei fenomeni. La natura macromolecolare permette fenomeni biologici. Ci sono molte sostanze che vengono definite biomarcatori: la loro presenza può essere correlata alla presenza di organismi viventi. Un esempio è la fosfina. È stata trovata su Venere. Nonostante la grande diversità tra i diversi organismi viventi, questi sono fatti tutti nello stesso modo. CLASSIFICAZIONE GENERALE DEGLI ESSERI VIVENTI La prima grande suddivisione degli organismi viventi è tra gli eubatteri (batteri veri e propri (archibatteri) sono molto diversi tanto da fare un gruppo a sé stante) e gli eucarioti. Gli eubatteri e gli Archea sono procarioti. I procarioti sono cellule semplici. Gli eucarioti sono costituiti da cellule con un nucleo ben distinto. Sono cellule compartimentate: hanno anche delle membrane interne nella cellula andando a costituire gli organelli cellulari, tra cui il nucleo. Tra gli eucarioti abbiamo sia organismi unicellulari che organismi pluricellulari. Fra gli eucarioti si distinguono i protisti, (possono essere fotosintetici o non fotosintetici) le piante, i funghi e gli animali. Tutti gli organismi derivano da un progenitore comune. CARATTERISTICHE GENERALI DELLA MATERIA VIVENTE - Capacità di autoreplicarsi: è alla base della riproduzione. 1 Ogni specie di proteina adotta una e una sola conformazione dettata dalla sua sequenza amminoacidica. Anche l’informazione genetica determina la conformazione che la proteina andrà ad assumere. SOSTANZE MACROMOLECOLARI I principali costituenti della materia vivente sono, in ordine di prevalenza: acqua, proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi e ioni inorganici. Le sostanze più caratteristiche sono le macromolecole: sostanze ad elevato peso molecolare, ovvero molecole costituite da milioni di atomi legati tra di loro. I pesi molecolari possono arrivare a vari miliardi. Le macromolecole sono tutti polimeri costituiti da monomeri piccoli e semplici. Hanno una struttura complessa data dalla polimerizzazione di residui monomerici che sono semplici. Il DNA che costituisce il cromosoma 1 è costituito a due catene polimeriche e ciascuna catena è formata da quadi 250 milioni di residui nucleotidici. Le macromolecole possono associarsi tra di loro a dare dei complessi sovramoleoclari ancora più grandi. le sostanze macromolecolari sono appartenenti a tre classi: acidi nucleici, proteine e polisaccaridi. POLIMERI Le macromoleocle biologiche sono tutte polimeri. Tra i polimeri si distinguono: - Omopolimeri: polimero costituito da residui tutti identici tra di loro. Un esempio è la cellulosa. - Eteropolimeri: polimero costituito da residui diversi tra di loro. Un esempio sono gli acidi nucleici e le proteine. Avendo successioni lineari di residui monomerici diversi permette di avere delle sequenze diverse che possono codificare per un’informazione. Questi eteropolimeri (acid nucleici e proteine) codificano l’informazione genetica. DNA L’unità che si ripete è il deossiribosio. È presente una porzione laterale rappresentata da eterocicli aromatici che presentano atomi di azoto che presentano la parte variabile. Negli acidi nucleici, la parte variabile è chiamata base azotata. Contiene azoto ed è una base perché questi gruppi hanno un debole comportamento basico. L’informazione è codificata sottoforma di sequenza dei residui nucleotidici. POLIPEPTIDI E PROTEINE Le proteine sono polipeptidi. Il termine polipeptide indica un polimero di amminoacidi. Per proteina si intende un polipeptide di origine biologica. Le proteine grazie alla loro natura eteropolimerica sono portatrici dell’informazione genetica. Dato che l’informazione genetica è codificata dalle sequenze degli amminoacidi che riflette l’informazione, si dice che le proteine sono polipeptidi a sequenza definita. La trasmissione dell’informazione genetica dipende dal fatto che la sequenza amminoacidica delle proteine dipende dalla sequenza nucleotidica di tratti di genoma (DNA) che codifica quella particolare proteina. C’è una corrispondenza univoca tra la sequenza nucleotidica e la sequenza amminoacidica. Il tipo di relazione che c’è tra sequenza nucleotidica e sequenza amminoacidica è determinato dal codice genetico. Le proteine sono le molecole effettrici negli organismi viventi. Le proteine convertono l’informazione genetica in pratica. Le proteine sono, ad esempio, gli elementi strutturali, gli enzimi, i 4 recettori, i trasportatori, gli ormoni ecc. Le proteine si comportano in un certo modo e questo fa sì che l’informazione genetica si traduca nelle caratteristiche dell’organismo stesso. POLISACCARIDI Ne esistono sia di tipo omopolimerico che eteropolimerico. Possono essere lineari (cellulosa) o ramificati (amido). Esistono omopolimeri di glucosio che sono ramificati. I polisaccaridi possono anche essere eteropolimerici che possono essere sia lineari che ramificati. I polisaccaridi eteropolimerici sono caratterizzati da una sequenza di residui saccaridici che determinano la struttura e le proprietà. La sequenza dei polisaccaridi non è sotto controllo genetico, per questa ragione non codificano l’informazione genetica. I polisaccaridi non sono considerati macromolecole informazionali. La loro sequenza è determinata dal sistema enzimatico che li produce. In forma indiretta anche la composizione dei polisaccaridi è determinata dal genoma. LIPIDI Non sono di natura polimerica. Hanno un peso molecola più basso. Sono una classe molto eterogenea di sostanze. I lipidi sono sostanze di origine biologica unificate dal fatto di essere di natura scarsamente idrofilica. Sono sostanze idrofobiche. I lipidi più abbondanti sono i trigliceridi. I trigliceridi sono la tipica sostanza di riserva sia nelle piante che negli animali. Altri lipidi importanti sono i fosfolipidi. Sono i principali costituenti delle membrane biologiche. L’ESPRESSIONE DELL’INFORMAZIONE GENETICA La trasmissione dell’informazione genetica (traduzione del genotipo) si traduce nel fatto che la sequenza nucleotidica di ciascun gene viene utilizzata per sintetizzare delle proteine detta dalla sequenza nucleotidica del gene corrispondente. Abbiamo delle stringhe di diversi residui. Gli organismi hanno una struttura tridimensionale. Questo ha una base molecolare. I polimeri lineari che costituiscono le proteine adottano una conformazione precisa dettata dalla loro sequenza amminoacidica. L’informazione genetica determina sia la conformazione tridimensionale della proteina. Ogni proteina nell’ambiente in cui esiste assume una definita conformazione che prende il nome di conformazione nativa. Questo è dettato dall’informazione genetica. ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE DELLA MATERIA VIVENTE Le biomolecole sono in grado di interagire tra di loro e di interagire con altre biomolecole. Questo è dettato dalle loro caratteristiche strutturali e di superficie. Queste caratteristiche dipendono sdalla sequenza amminoacidica. L’informazione genetica si trasmette nelle funzioni delle proteine stesse. RUOLO DELLE INTERAZIONI DEBOLI (LEGAMI NON COVALENTI) IN AMBIENTE ACQUOSO NELLA STRUTTURA E FUNZIONE DELLE BIOMOLECOLE Un aspetto cruciale nella funzione delle macromolecole è assumere spontaneamente la loro struttura. Le macromolecole devono essere in grado di interagire con altre macromolecole. Le interazioni che determinano e stabilizzano la struttura primaria e con altre molecole sono basate su un insieme di legami non covalenti più deboli che possono essere considerate come interazioni un elevato numero. Queste interazioni sono dette interazioni deboli e interessano i vari gruppi funzionali nelle diverse molecole biologiche. Le interazioni deboli da un lato permettono lo stabilirsi e il mantenersi della conformazione nativa e dall’altro permettono lo stabilirsi di contatti che 5 tengono unite assieme macromolecole ad altre biomolecole. Le interazioni stabilizzano una determina conformazione. Interazioni deboli intermolecolari permettono lo stabilirsi di complessi tra la proteina e altre biomolecole. I legami covalenti sono legami molto forti. I legami covalenti che si stabiliscono tra gli atomi delle biomolecole sono molto forti. Le interazioni deboli sono numerose per cui nel loro insieme la loro energia può essere molto intensa. I legami ionici sono molto forti quando si stabiliscono in assenza di solvente con proprietà dielettriche spiccate. In presenza di acqua i legami ionici sono molto deboli. Le cariche e i dipoli possono polarizzare altri gruppi che non sono per sé polarizzati. Le interazioni che stabilizzano la conformazione nativa e permettono l’interazione tra biomolecole sono interazioni a corta distanza e che devono essere multiple perché singolarmente sono deboli. I legami non covalenti sono deboli e a corto raggio. Interazioni forti si stabiliscono de ampie superfici molecolari si pongono a stretto contatto. Le interazioni deboli sono importanti per il mantenimento della conformazione nativa che per far funzionare la macromolecola come è previsto che funzioni. INTERAZIONE CARICA-CARICA L’energia di legame è determinata dal reciproco della distanza. La forza di interazione tra due gruppi carica è data dalle legge di Coulomb. La forza attrattiva dipende dal quadrato della distanza. L’energia per rompere il legame è il reciproco della distanza. La costante dielettrica dipende da cosa sta in mezzo ai gruppi carichi. Se c’è in mezzo dell’acqua, la costante dielettrica è 80 volte più alta rispetto al vuoto. 6 soluzione acquosa, quella molecola si può sciogliere e passare in soluzione. Molecole completamente idrofobiche come i trigliceridi non si possono sciogliere in acqua perché non possono formare legami idrogeno con l’acqua. Se una molecola è anfipatica l’acqua riesce a interagire con i composti andando a formare micelle o doppi strati. SOSTANZE APOLARI IN AMBIENTE ACQUOSO La struttura a clatrato che assume il guscio di idratazione attorno a molecole apolari è molto ordinata: ha una bassa entropia.  Effetto idrofobico: le molecole non polari in ambiente acquoso tendono ad associarsi tra loro in modo da ridurre l’estensione dei gusci acquosi dei clatrati. CLATRATO DI METANO I clatrati idrati possono essere piuttosto stabili e assumere stato solido anche quando sono costituiti a base di sostanze gassose. La componente acquosa è molto ordinata: ha una struttura simile a quella del ghiaccio. Le strutture a clatrato possiedono una bassa entropia. AGGREGAZIONE DI MOLECOLE NON POLARI IN ACQUA L’effetto idrofobico è promosso dall’aumento di entropia che ne deriva. Le sostanze apolari sono pochissimo solubili in acqua. Per questa ragione sono definite idrofobiche. Il loro mescolamento con acqua porta alla formazione di un sistema costituito da due fasi (soluzione eterogenea). Un esempio è l’acqua mischiata con l’olio. SOSTANZE ANFIPATICHE IN AMBIENTE ACQUOSO In acqua gli acidi grassi o formano delle piccole micelle in cui la parte idrofilica sta a contatto con l‘acqua e tutte le catene idrocarburiche all’interno della struttura, oppure formano dei film superficiali nel punto di contatto tra aria e acqua. Si mettono con la testa idrofilica a contatto con l’acqua e la parte idrofobica lontana dall’acqua. Gli acidi grassi, che sono i lipidi che le cellule possono utilizzare per formare energia, difficilmente si trovano liberi in una cellula ma si trovano invece complessati con altre tipologie di lipidi. Nelle cellule si possono trovare i trigliceridi sottoforma di goccioline. Le molecole anfipatiche, in ambiente acquoso tendono ad associarsi spontaneamente tra di loro secondo un orientamento preciso a dare strutture sovramolecolari ordinate. IONIZZAZIONE DELL’ACQUA Talvolta l’atomo di idrogeno di una molecola d’acqua può stabilire un legame covalente con la molecola d’acqua con cui prima faceva un legame idrogeno. È una reazione spontanea. Si generano delle specie ioniche che si chiamano ione idronio e ione ossidrile. La concentrazione di questi ioni è pari a 10-7. La velocità di una reazione chimica all’equilibrio è proporzionale alla massa delle sostanze reagenti. La costante di equilibrio della reazione di dissociazione dell’acqua è: K eq=¿¿¿. Dato che la concentrazione dell’acqua è pari a 55,5 M può essere considerata costante e si può scrivere: Kw=¿ 9 La KW è pari quindi a 10-14 M a 25°C. Kw è il prodotto ionico dell’acqua. L’acqua ha una debolissima tendenza a ionizzarsi. Di questo ci si può rendere conto considerando il suo valore di pK a che risulta pari a 15,74. NEUTRALITÀ DI UNA SOLUZIONE ACQUOSA Una soluzione si dice neutra quando [H+] = [OH-]. In una soluzione acquosa la neutralità corrisponde alla condizione di concentrazione pari a 10-7 M. Non sono gli interi ioni H3O + o OH- che diffondono in soluzione, ma è piuttosto lo ione H+ che viene scambiato in modo concertato tra molecole di H2O adiacenti. ACIDI E BASI Si parla di acidi e basi forti per quelle sostanze che vanno incontro a una ionizzazione completa in soluzione acquosa. Si parla di acidi e basi deboli per quelle sostanze che vanno incontro a una ionizzazione parziale in soluzione acquosa.  Ad ogni acido debole corrisponde una base coniugata.  A ogni base debole corrisponde un acido coniugato. Si parla di coppie coniugate acido-base. Tanto è più forte l’acido, tanto più è debole la base coniugata, e viceversa. EQUILIBRI IONICI DI ACIDI E BASI DEBOLI La reazione di una qualsiasi coppia coniugata acido-base può essere scritta come la dissociazione di un acido. L’equilibrio viene descritto da una costante di equilibrio Ka, costante di dissociazione acida. L’EQUAZIONE DI HANDERSON-HASSELBALCH L’equazione è: K a=¿¿ Passando ai logaritmi diventa: −log¿¿ pH=pK a+ log¿¿¿ SISTEMI TAMPONE 10 La presenza in una soluzione di un acido debole assieme alla sua base coniugata si oppone efficacemente a variazioni di pH della soluzione. Tale coppia acido-base costituisce un sistema tampone. L’aggiunta di un acido o di una base a una soluzione tamponata determina una variazione di pH molto inferiore a quella che si otterrebbe aggiungendo la stessa quantità di acido o di base all’acqua o a una soluzione non tamponata. Ciò perché la maggior parte di H+ o OH- che viene aggiunto alla soluzione non rimane in essa come tale, ma viene rimossa dalla conversione di A- in AH o viceversa. Un sistema tampone è efficace nell’ambito di pH compreso tra un’unità in meno e un’unità in più del valore di pKa della coppia acido-base. Tale ambito di pH è la regione tamponante. Il massimo potere tamponante si ha quando la base e l’acido coniugato sono il più simili possibile. Il pH cambia molto per piccole aggiunte di base forte quando il pH è distante dal valore di pK a. La regione in cui si manifesta l’effetto tamponante è quella compresa tra +1 e -1 rispetto al valore di pKa. GOOD’S BUFFERS I Good’s buffers sono una ventina di sostanze tamponanti selezionate da Norman Good e collaboratori, molte delle quali anfolitiche, dotate di gruppo acido forte oltre a un gruppo amminico tamponante, che complessivamente coprono un intervallo di pKa molto ampio, e hanno una bassa tossicità per la materia vivente. Un esempio è HEPES, che ha una pKa di 7,5. MOLECOLE CON PIÙ GRUPPI IONIZZABILI Una molecola può contenere più di un gruppo ionizzabile, come un gruppo ionizzabile acido e uno basico. Un esempio sono gli amminoacidi. La molecola può possedere due cariche di segno opposto. Queste molecole che hanno un carattere sia acido che basico prendono il nome di anfoliti. Un esempio è la glicina: NH2-CH2-COOH La forma che porta entrambi i gruppi ad avere una carica positiva e una negativa, è NH3 +-CH2-COO-. La forma ionica con entrami i gruppi ionizzati si chiama zwitterione. Un anfolita presenta un punto di pH per cui la carica netta è 0. In questo modo le due cariche si annullano completamente. Questo valore di pH è detto punto isoelettrico. Il valore del punto isoelettrico può essere facilmente isolato ed è il valore medio tra i due pKa. I polielettroliti sono sostanze le cui molecole presentano cariche multiple dello stesso segno. Esistono polianfoliti, ovvero molecole che posseggono più di due gruppi ionizzabili. Il numero di gruppi ionizzabili, fintanto che ce ne sono di due tipi, (acidi e basici) si ha sempre l’esistenza di un punto isoelettrico. 11 BASI AZOTATE Sono tutte basi molto deboli. Si differenziano le purine dalle pirimidine. - Purine: sono molecole azotate derivate dalla purina. Sono legate allo zucchero attraverso il loro atomo in posizione 9 che è un azoto. Sono: o Adenina o Guanina - Pirimidine: sono derivate dalla pirimidina. Sono legate allo zucchero attraverso il loro atomo in posizione 1 che è un azoto. Sono: o Timina o Citosina o Uracile NUCLEOTIDI Il nucleotide è formato dal fosfato, da uno zucchero e da una base azotata. Legando la base azotata al ribosio si ottiene un nucleoside. Legando un fosfato si ottiene un nucleotide monofosfato. I nucleotidi sono nucleosidi monofosforilati. Esistono nucleotidi che presentano più gruppi fosfato. I precursori della sintesi degli acidi nucleici sono i nucleosidi trifosfato. Gli acidi nucleotidici sono costituiti da catene polinucleotidiche, dove ciascun residuo di nucleoside 5’-monofosfato è legato, attraverso il proprio 3’-OH, al gruppo fosforico del residuo successivo. Ogni gruppo fosfato di un polinucleotide stabilisce quindi due legami fosfoestere: per questo sono anche detti gruppi fosfodiestere. 14 BASE RIBONUCLEOSIDE RIBONUCLEOTIDE Adenina Adenosina Adenilato Guanin a Guanosina Guanilato Citosina Citidina Citidilato Imina Timidina Timidilato Uracile Uridina Uridilato METASTABILITÀ DEL LEGAME FOSFOESTERE DEI POLINUCLEOTIDI Negli acidi nucleici, il legame fosfoesetere è un legame metastabile. Il concetto di metastabilità vuole dire che il legame è stabile e di conseguenza non si rompe spontaneamente in condizioni fisiologiche. La reazione di idrolisi è favorita dal punto di vista termodinamico. Il legame scisso per idrolisi porta ad un’energia di 25 kJ/mol. Non avviene a temperatura ambiente in assenza di catalizzatori perché è molto lento. Si dice quindi che il composto è metastabile. La ragione della lentezza è una ragione che si basa sul principio della cinetica chimica. L’energia di attivazione della reazione è estremamente alta. Il processo diventa spontaneo in presenza di temperatura alta o in presenza di catalizzatori. Il DNA è estremamente stabile. L’estrema stabilità del DNA è dimostrata dal fato che si riesce ad estrarre tracce di DNA dai fossili. L’idrolisi del DNA è così lenta da far sì che possa essere stabile per millenni. Questo non avviene con l’RNA. L’RNA non ha bisogno di vita lunga. Normalmente l’RNA dura poco tempo. L’esigenza di stabilità dell’RNA è meno forte e infatti è meno stabile del DNA. L’RNA tende, in condizioni basiche, a idrolizzarsi spontaneamente attraverso un meccanismo generato da una catalisi generale basica. La presenza di basi favorisce l’idrolisi spontanea del’RNA. Lo ione idrossido favorisce la deporotonazione del gruppo ossidrilico aumentandone la nucelofilicità. Si ha la formazione di un intermedio di reazione e la rottura del legame. La natura ha scelto come depositario dell’informazione getica delle cellule una specie priva del gruppo ossidrilico, ovvero il DNA. Il processo opposto, ovvero la condensazione di due nucleosidi monofosfato a formare un polimero di acido nucleico, è un processo non possibile da punto di vista termodinamico. I precursori non sono nucleosidi monofosfato ma trifosfato. Quello che succede da un punto di vista del bilancio complessivo è che la formazione del nuovo legame fosfoestere avviene rompendo altri due legami che formano il nucleoside trifosfato. Si parte da un nucleoside trifosfato e, grazie all’energia che si libera dalla scissione dei gruppi fosfato per idrolisi si compie il lavoro e si sintetizza il legame fosfoestere. Questa strategia, che consiste nell’accoppiare la rottura di legame con formazione di nuovi legami, permette la polimerizzazione. Questa strategia di accoppiamento di reazioni è un meccanismo chiave nella biochimica degli organismi viventi. Gli organismi viventi ottengono energia da processi degradativi e la utilizzano per altre reazioni. L’accoppiamento tra processi che liberano 15 NUCLEOSIDE NUCLEOTIDE energia e che necessitano energia è possibile grazie agli enzimi che accoppiano i vari processi favorevoli ai processi sfavorevoli. STRUTTURA TRIDIMENSIONALE DEGLI ACIDI NUCLEICI Gli acidi nucleici hanno una struttura covalente. La struttura primaria è la struttura covalente della macromolecola. Dal livello secondario in su si parla di struttura tridimensionale. STRUTTURA PRIMARIA Può essere descritta riportando la formula di struttura del polimero. Le catene polinucleotidiche hanno due estremità diverse: in un’estremità c’è il carbonio 5’ libero, dall’altra il carbonio 3’ libero. In una qualsiasi molecola di acido nucleico ci sono due estremità distinguibili che sono l’estremità 5’ e l’estremità 3’. Si può sintetizzare la descrizione della struttura primaria utilizzando la lettera p che sta per fosfato e una lettera che sta ad indicare la base azotata: pApCpCpTpTpG, o altrimenti ACCTTG. La sequenza è scritta per convenzione in direzione 5’→3’. CONFORMAZIONE DELLE CATENE POLINUCLEOTIDICHE Lo scheletro di una catena polinucleotidica è altamente flessibile: 6 dei 7 legami covalenti che si susseguono lungo la catena principale della molecola possono ruotare liberamente. Nel caso di DNA a doppio filamento, le catene nucleotidiche adottano una conformazione secondaria ben precisa e ripetitiva che spiega il modo in cui l’informazione genetica può essere trasmessa: sia dal DNA all’RNA che dal DNA progenitore al DNA figlio. Il fatto che le molecole di DNA assumano una conformazione periodica è dato dai difrattogrammi. Il DNA è costituito da catene polinucleotidiche che possono essere costrette a disporsi in modo adiacente le une rispetto alle altre. Si pensava che la catena polinucleotidica si disponesse nello spazio in maniera elicoidale. L’elica è una struttura chirale. I due tipi di disposizioni sono indicati come destrorsa o sinistrorsa. Il modo per definirla in una forma o nell’altra si può posizionarla di fronte e se gira in senso orario è destrorsa, se invece l’avvolgimento è opposto è sinistrorsa. L’elica deve essere stabilizzata da qualche interazione; ci sono diverse spire che possono interagire tra di loro. Quello che interagisce è la parte comune. Questo fa sì che l’elica sia ripetitiva e periodica. L’elica ha 10 residui nucleotidici per giro d’elica. Psuling e Corey avevano ipotizzato un modello elicoidale a tripla elica che non prevedeva legami idrogeno tra le basi. Watson e Crick proposero un modello basato sui difrattogrammi della Franklin. Immaginarono una conformazione del DNA con due filamenti, l’elica è destrorsa, le basi azotate sono rivolte verso l’interno e interagiscono tra di loro stabilendo doppi legami. Un’altra stabilizzazione è dovuta dalle forze di London. Le basi azotate sono disposte sullo stesso piano e addossate le une alle altre. Un altro effetto che stabilizza questa conformazione è l’effetto idrofobico: la parte meno polare sono le basi azotate che sono escluse dal contatto con l’acqua. Sono invece a contatto con l’acqua i gruppi fosfato e i residui di deossiribosio. La struttura è molto regolare. La distanza tra le due catene principali è costante. Questo perché una purina interagisce sempre con una pirimidina. Questo fa sì 16 STABILITÀ DELLA CONFORMAZIONE NATIVA DEL DNA A DOPPIA ELICA Un segmento di DNA a doppio filamento assume spontaneamente la sua conformazione nativa a doppia elica. La stabilità della conformazione nativa del DNA in soluzione dipende da vari parametri chimico-fisici, tra cui pH e temperatura. PROTEINE Le proteine sono macromolecole informazionali. Presentano delle regolarità nella struttura. Si riconoscono alcuni livelli di organizzazione: struttura primaria, struttura secondaria, struttura terziaria e struttura quaternaria. La struttura primaria è la struttura covalente del polimero; è la sequenza di residui amminoacidi della molecola. Le proteine hanno una sequenza in residui amminoacidici che riflette la sequenza nucleotidica. Mentre gli acidi nucleici trasferiscono l’informazione genetica, le proteine trasformano in azione l’informazione genetica attraverso varie modalità. La dineina è formata da due subunità che agiscono tra di loro e consumando energia compiono dei movimenti, alternano stadi ad alta affinità e a bassa affinità sulle proteine dei microtubuli e in questo modo sono in grado di spostarsi da un punto all’altro della cellula. Sono proteine cargo che trasportano altro materiale all’interno della cellula. Le proteine sono le macromolecole effettrici dei sistemi biologici. Tra le principali proteine vi sono: - Proteine strutturali - Proteine contrattili - Proteine del sistema immunitario - Proteine trasportatrici - Canali - Recettori - Alcuni ormoni - Enzimi Il gruppo carbossilico e amminico legati al carbonio α hanno un pKa di circa 2 e 10. Nel caso di un amminoacido libero, questi in condizioni fisiologiche sono entrambi ionizzati. Gli amminoacidi sono esempi di anfoliti. In condizioni fisiologhe sono presenti sottoforma di zwitterioni. i geni codificano per 20 diversi amminoacidi. Ci sono singole specie di organismi che possono codificarne ulteriori come la selenocisteina. Alcuni Archea codificano anche per un altro amminoacido che è la pirrolisina. Finora sono noti 22 amminoacidi. Le proteine sono costituite da polimeri di 20 diversi tipi di amminoacido. STEREOCHIMICA DEGLI AMMINOACIDI 19 Il carbonio α di tutti gli amminoacidi incorporati nelle proteine è chirale (tranne la glicina). Per ogni amminoacido abbiamo due enantiomeri possibili la cui conformazione nativa viene indicata con configurazione L o D. In tutti gli organismi conosciuti, gli amminoacidi incorporati nelle proteine sono gli enantiomeri L. Gli amminoacidi proteinogenici possono essere classificati in diversi modi. Un modo comune è di classificarlo in base al gruppo R. CLASSIFICAZIONE DEGLI AMMINOACIDI IN BASE ALLA NATURA DEL GRUPPO R AMMINOACIDI CON CATENA LATERALE ALIFATICA Presentano catene idrofobiche, in alcuni casi ramificate e molto ingombranti. La glicina è per comodità inclusa in questo gruppo anche se non ha una catena laterale alifatica. Il residuo Gly è piuttosto polare. Dato il minimo ingombro della sua catena laterale (-H), i residui Gly incorporati nelle proteine hanno un’elevata libertà conformazionale. AMMINOACIDI CICLICI La struttura della prolina si discosta abbastanza dagli altri. Hanno una catena alifatica la cui estremità è legata al gruppo amminico. Il gruppo amminico in questo caso è secondario. Avendo una struttura ciclica la sua catena laterale ha scarsa libertà conformazionale. Introduce vincoli conformazionali anche nella catena principale delle proteine nel punto in cui è inserita. AMMINOACIDI CON CATENA LATERALE CONTENETE ZOLFO O GRUPPI OSSIDRILICI Si tratta di catene laterali polari. Quella della metionina (gruppo tioetere) è la più idrofobica. Le catene laterali di serina e treonina possono formare legami idrogeno. 20 La cisteina ha una caratteristica importante conferita dal gruppo solfidrilico. Il gruppo solfidrilico può essere ossidato a formare un disolfuro. Prende il nome di ponte disolfuro. La reattività della cisteina è importante nel determinare alcune proprietà strutturali delle proteine. AMMINOACIDI CON CATENA LATERALE AROMATICA Questi amminoacidi hanno catene laterali idrofobiche. La fenilalanina è, insieme ad alcuni amminoacidi alifatici, uno degli amminoacidi più idrofobici. Gli amminoacidi aromatici conferiscono alle proteine la proprietà di assorbire la luce ultravioletta alla lunghezza d’onda 260-280nm (soprattutto il triptofano). Il triptofano è anche fluorescente. La catena laterale della tirosina (fenolo) è debolmente acida e si ionizza in ambiente basico a dare un gruppo fenolato. La catena laterale della tirosina può formare legami idrogeno. AMMINOACIDI BASICI 21 le proprietà funzionali. Questa può essere rappresentata in diversi modi: codice a tre lettere o a una lettera. La sequenza amminoacidica di un peptide viene scritta da sinistra verso destra a partire dall’estremità N-terminale. Data la notevole diversificazione degli amminoacidi sono presenti più gruppi ionizzabili (due terminali + catene laterali). Se l’amminoacido è libero il suo gruppo ionizzabile della catena laterale si torva in prossimità di altri gruppi ionizzabili, se è all’interno della catena polipeptidica i gruppi ionizzabili non ci sono più. Il pKa della catena laterale in un residuo amminoacidico è diverso dalla pKa dello stesso amminoacido quando è libero. A seconda della composizione della catena polipeptidica e della sua conformazione, il valore di pKa di quel determinato residuo che possiede un gruppo ionizzabile nella catena laterale può essere molto variabile. Le proteine sono polianfoliti: ogni specie proteica ha molecole che presentano molti residui carichi perché molti sono ionizzabili. Il gruppo peptidico esiste come ibrido di risonanza tra due strutture limite, una sta a sinistra e l’altra a destra. Nel caso del gruppo peptidico l’ibridazione di risonanza è piuttosto spinta con due conseguenze: - Il legame peptidico ha un parziale carattere di doppio legame. Non è un legame singolo ma ha un parziale carattere di doppio legame. - L’atomo di ossigeno porta una parziale carica negativa perché presenta un accumulo di carica negativa e l’atomo di azoto ha una parziale carica positiva. È quindi polarizzato. Il legame peptidico presenta un notevole momento dipolare. Un’altra importante conseguenza è che il gruppo peptidico è planare. Esiste principalmente nella configurazione trans. Predomina la configurazione trans. In questo modo c’è mento tensione sterica tra i due carboni α. La configurazione trans è presente nei doppi legami con una frequenza che è mille volte superiore rispetto a quella cis. Diverso è il caso in quei legami peptidici dove l’azoto del gruppo peptidico è l’azoto del gruppo amminico della prolina. In questo caso legato all’azoto non abbiamo idrogeno ma CH2; di conseguenza, l’ingombro del CH2 è maggiore di quello dell’idrogeno. Non c’è più così differenza tra la conformazione trans e la conformazione cis. Quando è coinvolta la prolina, la conformazione cis diventa più prevalente e rimane prevalente la conformazione trans con una frequenza di 4:1. STABILITÀ DEL LEGAME PEPTIDICO Il legame peptidico è metastabile. Il tipo di processo che genera il legame fosfoestere e quello che genera il legame amidico sono simili (condensazione). La scissione per idrolisi dei legami peptidici è favorevole dal punto di vista termodinamico. I polipeptidi sono stabili nel tempo perché il processo di scissione dei legami peptidici in assenza di catalizzatori è lenta in assenza di acqua. Se vengono 24 scaldate vengono idrolizzate. Gli enzimi che idrolizzano i gruppi peptidici delle proteine sono le idrolasi. Siccome nella sequenza amminoacidica è codificata l’informazione genetica, data una specie di proteina, tutte le molecole di cui è formata presentano la stessa sequenza amminoacidica che è caratteristica di quella specie proteica. Il genoma contiene tutti i geni per sintetizzare le macromolecole informazionali dell’organismo. Per sintetizzare le proteine l’informazione genetica del gene che codifica la proteina viene prima convertito in mRNA, dopodiché l’mRNA viene usato per sintetizzare la proteina. Tra DNA mRNA abbiamo una trascrizione, tra mRNA a proteina abbiamo una traduzione. La struttura primaria delle proteine è codificata dalla struttura primaria del DNA dei geni corrispondenti. Esistono tre diversi codoni di stop che non codificano alcun amminoacido e segnalano la fine della porzione codificante dei geni. Ci sono proteine costituite da non solo una catena polipeptidica, ma da più catene polipeptidiche che possono essere interconnesse tra di loro. L’insulina è una proteina extracellulare. È una proteina prodotta all’interno della cellula e successivamente secreta. è prodotta dal pancreas e per svolgere il suo lavoro viene secreta nel sangue e raggiunge diversi organi bersaglio. Le proteine secrete sono tutte destinate alla via secretoria e per essere destinate alla secrezione possiedono una particolare sequenza segnale in posizione N-terminale. La proteina viene sintetizzata come una catena polipeptidica continua. La prima parte della sequenza polipeptidica rappresenta la sequenza segnale che destina la proteina alla secrezione prima di essee secreta la proteina deve essere soggetta a un processo di maturazione che trasforma il precursore (Preproinsulina), la quale subisce un primo processamento che prevede la rimozione della sequenza segnale, dopo essere stata tolta la sequenza segnale si ha un’ossidazione dei gruppi sulfidrilici con la formazione dei ponti disolfuro, dopodichè si hanno due processi proteolitici con la scissione di due legami peptidici che determinano la rimozione di una porzione di sequenza. La forma finale matura prende il nome di insulina. Altre proteine seguono analisi processi di modificazione post-traduzionale a seguito di idrolisi di determinati gruppi peptidici. Ogni specie proteica ha una struttura primaria caratteristica che è la conseguenza dell’informazione codificata nel gene corrispondente, ma spesso è la conseguenza di modificazione post-traduzionali che possono rimuovere parti della catena peptidica, possono idrolizzare alcuni gruppi peptidici e modificare le catene laterali. Ogni specie proteica di un determinato organismo ha una struttura primaria che è uguale per tutte le molecole di quella specie proteica. Le specie proteiche dell’uomo sono 50.000-100.000. spesso la sostituzione di un singolo amminoacido può compromettere la funzione della proteina. STRUTTURA SECONDARIA La catena polipeptidica di una proteina è formata da una lunga catena principale data dalla ripetizione dei tre atomi, col fatto che ogni carbonio α è legato a una catena laterale. La struttura secondaria è la struttura locale 25 assunta da un certo tratto della catena peptidica. Nello stabilizzare le strutture secondarie delle proteine hanno un ruolo importante le interazioni non covalenti tra gruppi funzionali della catena principale. Sono interazioni tra gruppi della catena principale a stabilizzare le strutture secondarie. La catena laterale non ha un grande ruolo nello stabilizzare la struttura secondaria. È la parte costante della catena principale a stabilizzare un particolare tipo di strutture secondaria. Nel determinare il modo con cui i diversi tratti dell’elica si associano tra di loro sono interazioni delle catene laterali. Nelel proteine sono le interazioni tra le catene laterali che controllano la struttura terziaria, mentre sono interazioni tra i gruppi della catena principale a stabilizzare la struttura secondaria. Pauling e Corey hanno provato a immaginare sulla base delle caratteristiche chimico-fisiche delle catene polipeptidiche, quali strutture secondarie potessero adottare. Una delel possibilità era una struttura elicoidale, dove tratti vicini della catena polipeptidica possono interagire tra di loro. Il legame peptidico non può ruotare. Ci sono due legami che coinvolgono il carbonio α, dove gli angoli di torsione si chiamano φ e ψ che sono liberi di ruotare. Per ogni residuo amminoacidico abbiamo due angoli di torsione che possono variare, assumere potenzialmente qualsiasi valore e per avere una struttura secondaria regolare e periodica, per tutti i residui di un certo tratto, gli angoli φ e ψ devono essere uguali per tutti i residui di quel certo tratto. Variando questi angoli possono succederei diverse cose. Si possono ottenere due strutture che sono l’α-elica e il β-foglietto. Nelle eliche e nei foglietti si stabiliscono legami idrogeno tra i gruppi peptidici, quindi entro la catena principale. È possibile definire la struttura secondaria come la conformazione locale che assume la catena principale del polimero. Quando gli angoli assumono certi valori non c’è conflitto tra i gruppi funzionali della catena polipeptidica. quando questi angoli assumono determinati valori, se sono uguali per tutti i residui successivi possono avere delle strutture periodiche nelle quali i gruppi peptidici si trovano orientati in un dato modo e a distanze tra di loro tali per cui possono permettere la formazione di legami idrogeno. I legami idrogeno sono il principale elemento stabilizzante della struttura. Pauling e Corey avevano individuato due possibili strutture secondarie regolabili periodiche che risultavano soddisfare tutti i criteri. Questi tipi di struttura facevano sì che ogni il legame peptidico poteva stabilire due legami idrogeno: uno per il gruppo amminico e uno per il gruppo carbossilico. Queste due strutture individuate sono una struttura elicoidale destrorsa e una struttura a foglietto piatto. La struttura a foglietto non è una struttura elicoidale e invece di interessare gruppi peptidici appartenenti al medesimo tratto di catena polipeptidica, i legami idrogeno di stabiliscono tra gruppi peptidici che si trovano in tratti adiacenti della catena polipeptidica. Anche in questo caso se ci sono più tratti di catena, i tratti interni vedono stabilire due legami idrogeno ciascuno. Le due strutture sono chiamate struttura α e β. Altre strutture elicoidali sembravano possibili: era possibile un’elica più allungata e più possibile che prende il nome di elica 310: prevede tre residui per ogni spira dell’elica. È possibile un’elica meno spirata, più schiacciata e con un giro d’elica che coinvolge più residui e che prende il nome di elica π. Quest’ultima elica non è mai stata osservata sperimentalmente. Dal punto di vista geometrico l’elica è una spirale tridimensionale: la linea decorre ruotando intorno a un’asse e contemporaneamente procedendo in una direzione lungo un asse. Di un’elica si può definire il passo. Il passo è la distanza lungo la distanza dell’elica fra due punti sull’elica che corrisponde a un giro completo di 360°. Si può definire il numero di residui che costituiscono un giro d’elica, ovvero quanti residui decorrono lungo una spira dell’elica. Questo numero nel caso dell’elica 310 è 3. Nel caso dell’α-elica i residui sono 3,6. Si può calcolare anche il rapporto tra il passo e il numero di residui necessari per compiere il numero dell’elica e si ottiene h, ovvero il passo per residuo, ovvero la distanza lungo l’asse che intercorre tra un residuo e il successivo. Un’elica può essere destrorsa o sinistrorsa. Il numero n (numero di residui per giro d’elica) viene attribuito un segno positivo o negativo a seconda se l’elica sia destrorsa o sinistrorsa. 26 Le catene laterali sono rivolte verso l’esterno del foglietto e hanno un andamento alternato. Nelle catene adiacenti tutti gli atomi sono allineati: le catene laterali sono tutte in fase ed esposte alternative da un lato all’altro della superficie del foglietto pieghettato. Questo sia nel foglietto parallelo che in quello antiparallelo. In entrambi i casi i gruppi peptidici sono orientati in maniera alternata. Questo comporta che il momento dipolare complessivo sia nullo perché i momenti dipolare si annullano tra di loro. DEFINIZIONE DI STRUTTURA SECONDARIA In queste strutture secondarie tutti i residui adottano la medesima struttura secondaria. Questo implica che il valore degli angoli di torsione φ e ψ che caratterizzano l’andamento geometrico della catena principale hanno tutti gli stessi valori. I valori di φ e ψ possono essere messi su un piano cartesiano per dare origine al grafico di Ramachandran: sono presenti aree gialle e aree azzurre. Il colore riflette la stabilità della struttura secondaria corrispondente. Se cadiamo nell’area gialla la struttura non è stabile, se cadiamo nell’area azzurra la struttura è stabile. Quando il colore è blu intenso si ha il massimo di stabilità perché ci sono interazioni attrattive come i legami idrogeno. Sono indicati i punti in nero delle strutture secondarie che sono state osservate. 29 Le strutture trattate finora sono proteine regolari e periodiche (tutti i residui interessati adottano i medesimi valori di φ e ψ). Ci sono anche altre strutture secondarie dove i residui non hanno tutti i medesimi valori di φ e ψ. Queste strutture regolari e non ripetitive sono quelle che si chiamano turns o ripiegature. Esistono ripiegature β o γ. La ripiegatura è un elemento di struttura secondaria formata da pochi residui successivi lungo la catena principale che adottano valori di φ e ψ tali da far sì che la catena principale compia un’inversione di 180° nell’arco di pochi residui. Nel caso delle ripiegature β abbiamo un decorso della catena principale dove si fa una curva a gomito. Si ha l’inversione della catena principale che da una direzione assume una direzione opposta nell’arco di pochi residui. Nelle ripiegature γ l’inversione di direzione avviene in tre soli residui. Le ripiegature è presente sempre una prolina in posizione 2. È grazie alla rigidità che la catena laterale imprime alla catena principale che è possibile questa ripiegatura particolare con un giro così stretto. Le ripiegature sono utili perché permettono che la catena polipeptidica sia compattata in uno spazio molto ristretto. Nelle piegature è presente un legame idrogeno. Le piegature non sono periodiche ma c’è regolarità: lo stesso tipo di conformazione adottato da una terna di residui la si ritrova in altre β turn della stessa proteina. Tratti di catena polipeptidica più o meno insieme possono adottare delle strutture secondarie che non sono né regolari né periodiche: si può avere un tratto di catena polipeptidica di una proteina dove tutti i residui sono conformati in un modo preciso ma i valori sono tutti diversi tra di loro. Tra tratti diversi può anche essere che l’andamento della catena principale sia diversa. Sono strutture irregolari. Nelle proteine globulari ci sono sempre tratti conformati in maniera irregolare, spesso queste regioni sono regioni che pur avendo un andamento irregolare sono organizzati a formare una sorta di ansa dove le due estremità del tratto sono vicine tra di loro e la restante parte si allarga con un andamento ad ansa. si parla di anse Ω. Le anse Ω si trovano sulla superficie rivolta all’esterno delle molecole proteiche e spesso oltre ad essere irregolari sono anche abbastanza flessibili conformazionalmente: la conformazione oscilla. PROTEINE FIBROSE Ci sono proteine che assumono particolari strutture secondarie. Queste proteine sono proteine fibrose. Tutte le proteine possono essere fibrose (adottano una struttura bidimensionale allungata) e globulari (la catena polipeptidica ripiegata su se stessa dà una struttura molto compatta). Le proteine fibrose sono quasi tutte caratterizzate dal fatto che l’intera catena polipeptidica per quasi tutta la sua lunghezza adotta lo stesso tipo di struttura secondaria. Questo è sfruttato anche per dare alla proteina una struttura complessiva allungata. Alcune proteine fibrose sono: 30 CHERATINA È una proteina tipica dei vertebrati e caratterizza l’epidermide. È la proteina più abbondante delle cellule dell’epidermide. Oltre ad essere presente nello strato cheratinizzato dell’epidermide. È anche la proteina principale che costituisce i capelli e il pelo dei mammiferi. Queste strutture sono formate da cellule morte piene di cheratina. È una proteina intracellulare. C’è una particolare abbondanza della cisteina che contiene zolfo. Si distinguono due classi: α-cheratina e β-cheratina. α-CHERATINA È il principale costituente di peli e unghie nei mammiferi e dello strato corneo dell’epidermide dei vertebrati. È ricca in α-eliche. È costituita da una molecola che quasi per l’intera sua lunghezza di circa 300 residui amminoacidici è quasi interamente costituita da un’α-elica. Le molecole proteiche interagiscono con altre biomolecole e una molecola di cheratina formata da una lunga α-elica interagisce con un’altra molecola di cheratina formando un doppietto dove le due eliche sono avvolte l’una sull’altra. Ognuna delle molecole è ulteriormente avvolta intorno ad un’altra andando a formare un doppio avvolgimento (coiled coil). I filamenti interagiscono tra di loro e associandosi in questa maniera alternata si formano filamenti di dimensioni via via maggiori per dare le fibrille di cheratina e riempiono le cellule dell’epidermide e dei peli. Nei peli le cellule sono allungate. La cisteina all’interno delle cellule morte è ossidata a dare dei ponti disolfuro che legano le molecole proteiche le une alle altre. L’ossidazione dei ponti disolfuro è un processo reversibile in condizioni di agenti ossidanti e riducenti. L’ossidante è l’ossigeno, i riducenti possono essere composti che contengono gruppi solfidrilici che reagiscono con i ponti disolfuro. β-CHERATINA Costituisce piume e scaglie di uccelli e rettili. È ricca in β-foglietti. FIBROINA DELLA SETA È la principale proteina che costituisce la seta che è un materiale secreto dagli insetti, dai ragni e altri animali. È una proteina che viene secreta all’esterno del corpo dell’animale che la produce. La seta è prodotta da diversi artropodi. La fibra della seta è molto resistente in relazione alle sue dimensioni. La fibroina della seta ha una struttura molto monotona ed è priva di cisteina. Sono molto abbondanti la glicina e l’alanina. È formata da molecole che quasi per intero adottano una struttura secondaria β. Questi filamenti β decorrono nella stessa direzione dell’asse della fibra del filo di seta e sono addossati gli uni agli altri in maniera antiparallela e sono impilati gli uni sugli altri. La struttura primaria è ripetitiva e questa ripetitività associata al fatto che i filamenti β hanno un andamento a zig-zag, fa sì che ci sia un’alternanza di residui di alanina e glicina lungo la superficie del foglietto. Grazie al fatto che la glicina ha una catena laterale molto corta e l’alanina anche, l’alternanza di catene laterali di idrogeno e metile sono tali per cui possono incatenarsi strettamente le une alle altre (interdigitazione). Questo conferisce resistenza. I filamenti β presentano la massima estensione della catena polipeptidica e questo spiega il fatto che i filamenti di seta sono flessibili ma non elastici. 31 FASCI DI ELICHE Il fascio di eliche è formato da quattro eliche che interagiscono tra di loro. È un tratto continua di catena polipeptidica dove le eliche sono collegate tra di loro da tratti abbastanza corti di catena polipeptidica e il decorso di un’elica rispetto all’elica successiva è un decorso antiparallelo. Questa geometria si trova in proteine diverse. TOPOLOGIA DEI FOGLIETTI Β ANTIPARALLELI Il foglietto in assoluto più semplice è un foglietto formato da due filamenti β orientati in maniera antiparallela e questo tipo di organizzazione lo si trova in molte proteine. Questo motivo è chiamato motivo a forcina perché la catena polipeptidica decorre come una forcina. Ci sono foglietti più complicati. Spesso foglietti antiparalleli a quattro filamenti hanno una topologia particolare con una forcina centrale a cui è legato un filamento da un lato e a una certa distanza un filamento sul lato opposto. Questo andamento è la modalità più frequente. Il motivo ricorrente è quello del jellyroll dove si parte da una forcina centrale che si allarga su entrambi i lati. TOPOLOGIA DEI FOGLIETTI Β PARALLELI Nei motivi strutturali possono anche essere presenti le eliche che possono essere associate ad elementi β. Esiste anche il motivo β-α-β. Può essere che i foglietti siano interconnessi dall’elica. In questo caso l’elica permette di prolungare il tratto di connessione tra i due filamenti in maniera tale che questi possano disporsi parallelamente. Normalmente il decorso della catena segue un percorso orario. La connettività è destrorsa. TORSIONE DEI FOGLIETTI Β E STRUTTURE A BARILE I vincoli posti dai legami idrogeno fanno sì che i foglietti tendano ad essere piegati e soggetti ad un certo grado di torsione. Questo fa sì che se il foglietto β è molto esteso, tende a richiudersi su se stesso. L’ultimo filamento è connesso con il primo. Si forma una struttura a barile. Se estendiamo il motivo β-α-β si ottiene un foglietto parallelo esteso a forma di barile parallelo. PROTEINE MULTIDOMINIO Quando le proteine sono piuttosto estese, spesso non sono formate da un unico corpuscolo ma da più parti più o meno separate le une dalle altre. Gli elementi di struttura secondaria di ciascun dominio interagiscono tra di loro e con residui di altri domini. 34 CLASSIFICAZIONE DELLE PROTEINE IN BASE ALLA LORO STRUTTURA SECONDARIA STRUTTURA TUTTA α Ci sono come strutture periodiche solo α-eliche. STRUTTURA TUTTA β Sono proteine formate da tutti foglietti β che possono essere disposti in diversi modi. STRUTTURA α/β Gli elementi α e β sono variamente alternati nello spazio tridimensionale. 35 STRUTTURA α+β Gli elementi α e β sono ben separati nello spazio gli uni rispetto agli altri. Ci sono porzioni in cui predominano le eliche e altre porzioni in cui predominano i foglietti. FAMIGLIE DI PROTEINE Quasi tutte le proteine possono essere classificate in famiglie strutturali. Nell’uomo c’è una famiglia di proteine che si chiama famiglia delle ciclofiline. Nonostante siano diverse tra di loro hanno strutture terziarie simili. Le proteine si una famiglia presentano una struttura tridimensionale molto simile e spesso anche una struttura primaria simile. Le proteine di una famiglia sono tra loro omologhe, ovvero hanno una comune origine evolutiva. La struttura terziaria è molto più conservata della struttura primaria. Il fatto che esistano proteine simili tra di loro a formare famiglie è interpretato nei termini di un’origine evolutiva comune. Le proteine si sono evolute nel corso della storia evolutiva degli organismi a cui appartengono a partire da una proteina progenitrice. ASPETTI GENERALI DELLA STRUTTURA TERZIARIA 36 RIPIEGAMENTO PROTEINE Esiste un meccanismo di ripiegamento della catena polipeptidica. A partire da una conformazione denaturata in cui sono possibili tutte le conformazioni possibili, cominciano a stabilirsi dei contatti nativi. La formazione dei primi contatti nativi che si formano facilmente, fanno sì che i successivi contatti nativi siano favoriti dai primi che si sono formati e così via fino a dare origine allo stadio conformazionale più stabile. il meccanismo più rappresentativo è il meccanismo di condensazione- nucleazione che prevede l’interazione di un numero ridotto di residui critici attorno a cui va a consolidarsi condensandosi l’intera conformazione. Il processo mediante approcci al computer di dinamica molecolare si riescono a fare buone previsioni sul modo in cui una catena polipeptidica tenderebbe a ripiegarsi. IMBUTO DI RIPIEGAMENTO Immagine: si parte in alto dallo stato denaturato che presenta un’elevata entropia conformazionale. La larghezza dell’imbuto rappresenta l’entropia del sistema. Si parte da uno stato ad alta energia e via via che si formano contatti nativi. L’entropia diminuisce perché le conformazioni possibili sono via via limitate e l’energia del sistema diminuisce. Si stabiliscono delle interazioni attrattive fino ad arrivare allo stato nativo con bassa entropia e bassa energia perché ci sono molte interazioni attrattive stabilizzanti. CHAPERONI MOLECOLARI Una volta raggiunto lo stato nativo la proteina è stabile perché vengono stabiliti molti contatti stabilizzanti tra i gruppi funzionali e oltre a questo gioca un ruolo importante l’effetto idrofobico. Quando viene raggiunto lo stadio finale i gruppi non polari sono esposti al solvente e questo è sfavorito per l’effetto idrofobico. Per evitare che i gruppi apolari formano legami non nativi intervengono i chaperoni molecolari, tra cui le chaperonine che sono proteine che hanno la capacità di riconoscere regioni superficiali di altre proteine di natura idrofobica e promuovere la loro disaggregazione e denaturazione. Le chaperonine denaturano le proteine che si sono ripiegate in maniera scorretta. Non favoriscono il raggiungimento dello stato nativo ma evitano che delle proteine possano ripiegarsi in maniera scorretta. STRUTTURA QUATERNARIA Sono proteine formate da non solo una catena polipeptidica ma da più subunità. Sono proteine multimeriche. Diverse catene polipeptidiche sono ripiegate e si associano tra di loro in modo preciso stabilendo interazioni non covalenti per effetto idrofobico. Un esempio è l’emoglobina. Nel caso dell’emoglobina le subunità sono uguali a due a due: α2β2. La struttura quaternaria presenta simmetria. Sono possibili diversi tipi di simmetria. Si può predire la struttura grazie a degli algoritmi con una discreta probabilità di successo. 39 INTERAZIONI LOCALI E NON-LOCALI Il fatto che un segmento della catena polipeptidica adotta un tipo di una struttura piuttosto che un’altra dipende dall’intera sequenza della proteina e non dal singolo tratto. Bastano pochi contatti diversi per far sì che l’intero polipeptide adotti una conformazione nativa completamente diversa. El possibili strutture primarie di un polipeptide sono tantissime. La stragrande maggioranza di queste non adotterebbe una conformazione stabile ma si avrebbe materiale che tenderebbe ad aggregare e a formare un precipitato. La proteina può andare incontro a incidenti nel suo processo di ripiegamento. Per evitare ripiegamenti errati entrano in gioco le chaperonine molecolari. All’interno delle cellule eucariotiche ci sono i lisosomi che si occupano di degradare eventuali aggregati che si formano all’interno delle cellule. molecole proteiche non ancora ripiegate e loro frammenti possono aggregare in maniera ordinata a dare strutture ripetitive di natura fibrillare che vengono chiamate fibrille amiloidi. Ci sono diverse malattiche che derivano dall’accumulo di fibrille amiloidi come le malattie degenerative. Sono dovute ad uno scorretto ripiegamento di proteine che ripiegandosi in maniera sbagliata portano alla formazione di subunità scorrettamente ripiegate che tendono ad aggregare tra di loro a dare delle fibrille amiloidi all’interno delle cellule e questo interferisce con il funzionamento delle cellule. alcune cellule hanno una durata limitata nel tempo e quando muoiono vengono sostituiti da altre cellule. Ci sono cellule che non vengono mai rimpiazzate come le cellule nervose. GLOBINE RAPPORTO STRUTTURA-FUNZIONE DELLE GLOBINE Le globine sono un esempio del fatto che la maggior parte delle proteine svolge la sua funzione fisiologica legando dei ligandi in maniera specifica. La funzione biologica di una proteina è svolta grazie al fatto che è capace di legare in maniera specifica dei ligandi. Questo è evidente nel caso delle globine che sono in grado di legare l’ossigeno molecolare. Il ligando può essere una molecola molto piccola oppure una biomolecola grande o un’altra proteina. Il ligando è una molecola di dimensioni più piccole rispetto alla proteina e di conseguenza la proteina è una molecola molto grande e la regione della molecola proteica destinata al 40 legame del ligando è una porzione limitata che prende il nome di sito di legame. La specificità è data dalla complementarità sterica. INTERAZIONE PROTEINA-LIGANDO L’interazione proteina-ligando è specifica. In moltissimi casi è determinata da interazioni non covalenti. Il processo è reversibile e regolato da un equilibrio chimico che può essere descritto da una costante di equilibrio che riflette la variazione di energia libera in condizioni standard del processo. Si può scrivere la costante di associazione (Ka) o la costante di dissociazione (Kd). K a=( [ PL ] [ P ] [ L ] )eq Kd=( [ P ] [L ] [PL ] ) eq Kd= 1 Ka Solitamente si preferisce usare la costante di dissociazione perché ha le dimensioni di una concentrazione. Nella costante di associazione si ha il reciproco di una concentrazione. SIGNIFICATO DELLA KD DI UN COMPLESSO BINARIO Nel caso in cui la concentrazione del ligando sia maggiore della concentrazione della proteina presente, succede che diventa ininfluente considerare che dei ligandi ne abbiamo una quota legata e una quota libera perché la quota legata sarà piccola rispetto alla quota libera, non è importante distinguere ligando legato e libero ma tra proteina legata e proteina libera. La proteina libera e la proteina legata sono in quantità variabile e la loro somma è una costante ed è la proteina totale presente nel sistema. La proteina totale è uguale alla proteina libera più la proteina legata: [ P ] tot=[ P ]+ [PL ], di conseguenza la proteina non legata è uguale a: [ P ]=[ P ]tot−[ PL ]. Il rapporto tra proteina complessata e proteina totale è uguale a: θ= [PL ] [P ]tot =( [L ] Kd+ [L ] )eq. Il rapporto θ rappresenta la frazione di proteina complessata (proteina legata al ligando). Il valore varia da 0 a 1 e dipende dal valore della Kd e dalla concentrazione del ligando. La frazione di saturazione di una proteina dipende dalla concentrazione del ligando e non dalla concentrazione della proteina. KD COME CONCENTRAZIONE DI SEMISATURAZIONE DEL LIGANDO La formula rappresenta un’iperbole equilatera con due assi perpendicolari l’uno all’altro. Al crescere della concentrazione la frazione di saturazione tende a 1 senza mai raggiungerlo. 1 sarebbe raggiunto per quantità infinita di ligando. Se la concentrazione de ligando è uguale al valore della K d la frazione di saturazione della proteina sarà pari a 0,5. La Kd è una costante di equilibrio il cui valore è tale per cui quando la concentrazione del ligando assume tale valore, la proteina è complessata per il 50%. FAMIGLIA DELLE GLOBINE Le globine principali sono la mioglobina e l’emoglobina. Tutte le globine appartengono alla stessa famiglia strutturale. Sia l’emoglobina che la mioglobina hanno come funzione il legame del ligando 41 legame covalente con la proteina ma uno spazio vuoto che è il luogo dove si colloca l’ossigeno molecolare stabilendo un legame con il ferro. Quando la forma è complessata con l’ossigeno, l’atomo di ossigeno si colloca con uno dei suoi atomi che forma un legame con il ferro. L’altro atomo di ossigeno dell’ossigeno molecolare interagisce con l’anello imidazolico che si trova sull’altro lato dell’eme. L’ossigeno fa quindi da ponte tra la catena laterale dell’istidina e il ferro. Quest’altra istidina è l’istidina I7 (istidina distale). L’ambiente in cui si colloca l’ossigeno è un ambiente idrofobico, questo perché l’ossigeno è una molecola apolare. IL LEGAME DELL’OSSIGENO Se l’eme fosse libero in soluzione e non legato alla componente peptidica della globina, l’interazione tra ferro e ossigeno molecolare comporterebbe la rapida ossidazione del ferro che diventerebbe ferro (III). Il ferro (III) non è più in grado di legare ossigeno molecolare. Una delle funzioni dell’ambiente proteico in cui si trova l’eme è quello di rallentare il processo di ossidazione, per cui all’interno dell’ambiente costituito dall’emoglobina, per via della natura idrofobica in cui si trova il complesso di ossigeno e ferro, l’ossidazione è molto più lenta. La globina con l’eme ossidato diventa una metaglobina, per cui si parla di metamioglobina e metaemoglobina. Il processo è accelerato dall’alta temperatura. IL TEST DEL LUMINOLO Le globine hanno un sito di legame adatto a legare ossigeno. L’ossigeno è una piccola molecola, di conseguenza le globine possono legare nel loro sito attivo altre piccole molecole formate da due atomi. un esempio è il perossido di idrogeno. l'acqua ossigenata può interagire con l'eme. L’eme esercita una certa azione catalitica a livello dell’acqua ossigenata e in particolare è capace di catalizzare questa reazione. Questa reazione è una reazione di perossidazione. La capacità dell’emoglobina di catalizzare la reazione tra luminolo e acqua ossigenata. Questa reazione produce una specie chimica intermedia eccitata e il decadimento determina emissione di luce. Altre molecole che possono essere legate sono lo ione solfuro o il monossido di carbonio. Il monossido di carbonio è in grado di legarsi ai gruppi eme presenti nelle globine e nelle altre proteine che contengono eme come i citocromi. Il monossido di carbonio è velenoso perché è capace di legarsi ai gruppi eme. Bastano basse concentrazioni di monossido di carbonio per essere letale, questo perché si lega ai gruppi eme. L’eme della mioglobina e dell’emoglobina non sono la maggiore causa della tossicità del monossido di carbonio ma il bersaglio principale dell’azione tossica del monossido di carbonio sono i citocromi. Nel caso dell’eme libero, il monossido di carbonio si lega 20.000 volte meglio dell’ossigeno. All’interno della mioglobina l’affinità del monossido di carbonio 200 volte maggiore di quella dell’ossigeno. La componente proteica agisce in modo da rendere meno velenosi certi gas come il monossido di carbonio. Il sito di legame dell’ossigeno si trova all’interno della struttura tridimensionale delle globine. Si trova all’interno della molecola proteica. Ciò che sporge dalla fessura dell’eme sono i gruppi carbossili. l’ingresso e l’uscita dell’ossigeno è favorita dal fatto che le proteine non sono rigide ma flessibili e oscillano continuamente per effetto dell’agitazione termica. L’equilibrio tra ossigeno libero e ossigeno legato è abbastanza rapido. 44 Quando l’emoglobina lega l’ossigeno cambia il suo spettro di assorbimento e acquisisce un colore rosso più brillante. Le due forme di emoglobina con e senza ossigeno vengono chiamate ossiemoglobina e deossiemoglobina. Questa differenza di assorbimento è sfruttata dai saturimetri. I saturimetri sono dei fotometri che analizzano lo spettro di assorbimento del sangue. CURVA DI DISSOCIAZIONE DELL’EMOGLOBINA Il legame dell’ossigeno avviene attraverso una reazione all’equilibrio: Mb+O2↔MbO2. Ka= [MbO2 ] [ Mb ] ∙ [O2 ] θ= [MbO2 ] [ Mb ]tot Questa equazione ha una dipendenza dalla concentrazione dell’ossigeno. L’ossigeno in soluzione è in equilibrio con la fase gassosa a contatto con la soluzione stessa. Per la legge di Henry, l’equilibrio tra una fase gassosa e una fase liquida abbiamo la concentrazione nella fase acquosa e nella fase liquida proporzionale alla pressione parziale della fase gassosa. Questa proporzionalità tra concentrazione della fase liquida e pressione parziale nella fase gassosa fa sì che nel caso degli emogas si usa il concetto di pressione parziale. AFFINITÀ DELLA MIOGLOBINA PER L’OSSIGENO θ= PO2 P50+PO2 La P50 è una costante ed è la pressione che determinerebbe una frazione di saturazione di 0,5. Questa equazione genera una curva che è un’iperbole equilatera. La P50 è quel valore di pressione parziale di ossigeno per la quale la saturazione è pari a 0,5. Metà delle molecole di mioglobina hanno l’ossigeno legate. Nel caso dell’mioglobina il valore di P50 è molto basso. La mioglobina ha un’affinità molto alta per l’ossigeno. La P50 della mioglobina è di 4 mmHg. Basta quindi una pressione parziale di ossigeno 45 estremamente bassa per avere la semi-saturazione della mioglobina. Questo perché la mioglobina deve essere in grado di rilasciare ossigeno in prossimità dei mitocondri dove la concentrazione di ossigeno è più bassa di 4 mM. La mioglobina si viene a trovare in un ambiente dove la pressione parziale di ossigeno è più bassa di 4 mM e di conseguenza tende a legare l’ossigeno vicino alla superficie cellulare dove la pressione parziale di ossigeno è pari a 30 mmHg. La mioglobina in prossimità della membrana plasmatica sarà satura di ossigeno, quando sarà vicino ai mitocondri perde la maggior parte di ossigeno che aveva legato assumendo un valore di frazione di saturazione inferiore a 0,5. Una proteina trasportatrice di ossigeno deve possedere un’affinità per l’ossigeno in modo da renderla satura dove deve legare ossigeno e il meno possibile satura dove l’ossigeno deve essere rilasciato. EMOGLOBINA E TRASPORTO DELL’OSSIGENO L’emoglobina è tipica dei vertebrati. Le emoglobine sono tutte proteine multimeriche. L’emoglobina si trova all’interno dei globuli rossi e non è una proteina solubile nel sangue per diverse ragioni, fra cui perché il sangue deve contenere una grande quantità di emoglobina e se l’emoglobina fosse sciolta nel plasma sanguigno, questo sarebbe molto viscoso. All’interno dei globuli rossi l’emoglobina deve legare l’ossigeno. All’interno degli alveoli polmonari la pressione parziale di ossigeno è pari a circa 100 mmHg, mentre nei capillari periferici è di 30 mmHg. Nel caso dell’emoglobina la variazione di pressione è molto elevata. Il compito dell’emoglobina è quindi più complicato rispetto a quello della mioglobina. La curva di saturazione dell’emoglobina è una sigmoide. Questo spiega la ragione per cui le emoglobine sono proteine multimeriche. questo permette all’emoglobina di essere un efficiente trasportatore di ossigeno grazie al fatto che possiede una curva di saturazione dell’ossigeno di tipo sigmoide. Non è sufficiente avere quattro siti di legame ma è necessario che i siti di legame siano occupati simultaneamente. Per l’emoglobina è necessaria che ci sia la forma priva di ossigeno legato e la forma con più atomi di ossigeno legati. Le forme intermedie sono poco rappresentate. Il profilo di saturazione dell’emoglobina è una curva sigmoide. La figura mette in evidenza che una curva sigmoide può essere vista come una curva che approssima due curve iperboliche. Quando la saturazione di ossigeno è bassa la sigmoide è prossima a una curva iperbolica a bassa affinità, quando la concentrazione di ossigeno è alta la curva sigmoide tende ad approcciare una curva di saturazione ad alta affinità. L’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno varia in base alla pressione parziale di ossigeno. Il tipo di legame che dà origine a una curva di saturazione sigmoide è una modalità di legame di tipo cooperativo. La cooperatività è un fenomeno diffuso tra le proteine. Il legame cooperativo si ha quando sono presenti più siti di legame e l’occupazione di uno o più di questi aumenta l’affinità per i siti ancora rimasti liberi. Se l’emoglobina è priva di ossigeno e un sito viene occupato da una molecola di ossigeno succede che l’affinità dei tre siti ancora liberi aumenta. Questo fa sì che la stechiometria di legame sia maggiore di 1. Per ottenere questa cooperatività di legame è necessario che ci sia una sorta di comunicazione tra i siti. il modo più semplice per ottenere più siti di legame per lo stesso ligando in una molecola di proteina è quello di generare una proteina multimerica. 46 di ossigeno, un cambiamento di struttura terziaria predisponendola a legare ossigeno con maggiore affinità. In questo modo la proteina tetramerica tende a legare più di una molecola di ossigeno alla volta. La curva diventa una sigmoide. Questo permette all’emoglobina di funzionare in maniera fisiologicamente opportuna. Tra i modelli di cooperatività si distinguono:  Modelli sequenziali (KNF): le subunità sono o tutte nello stato T o tutte nello stato R. L’occupazione di un sito di legame favorisce l’assunzione dello stato di alta affinità delle altre subunità della stessa molecola ma non lo impone al 100%. Spiega la cooperatività positiva e negativa: il legame del ligando inibisce un ulteriore legame di ligando alla proteina.  Modelli concertati (MWC): le subunità sono possibili anche in stati in cui alcune subunità si trovano in una condizione di bassa attività e altre in una condizione ad alta attività. Basta che una subunità sia occupata dall’ossigeno e tutte le altre assumono lo stato ad alta affinità. C’è un accoppiamento completo tra lo stato delle quattro subunità. Spiega la cooperatività positiva: più la molecola è saturata dall’ossigeno e più è alta l’attività di legame. MECCANISMO DI PERUTZ PER LA TRANSIZIONE T → R L’eme legato all’emoglobina non ha una struttura perfettamente planare perché ci sono delle tensioni sull’anello tetrapirrolico dell’eme quando questo è legato alla proteina. Il legame dello ione ferroso con l’azoto imidazolico trascina il ferro verso l’istidina prossimale e preme contro l’anello. Il fatto che ci sia questo ingombro sterico curva l’anello dell’eme. Quando si lega l’ossigeno, questo tira dall’altra parte e compensa la trazione esercitata dall’istidina prossimale per cui l’eme assume una struttura più planare con lo ione ferroso che si pone al centro dell’anello tetrapirrolico. Questo fatto è alla base di tutti gli altri cambiamenti che hanno luogo nella struttura terziaria della subunità. La trazione determina uno spostamento dell’intera elica che è sufficiente per indurre i cambiamenti dell’intera subunità che favoriscono il cambio di struttura quaternaria inducendo lo stesso tipo di cambiamento anche alle altre subunità. 49 EFFETTO ALLOSTERICO E PROTEINE ALLOSTERICHE Le proteine che cambiano stato facendo sì che l’occupazione di un sito di legame modifichi l’affinità di altri siti di legame prendono il nome di proteine allosteriche. Una proteina allosterica è una proteina che presenta più siti di legame per uno o più ligandi e se l’occupazione di un sito determina il cambiamento dell’affinità negli altri siti, questa proteina è detta proteina allosterica. L’effetto determinato dal cambio di stato dell’affinità di legame si chiama effetto allosterico. Qualsiasi ligando di una proteina allosterica in grado di determinare effetti allosterici è chiamato effettore allosterico. Gli effettori allosterici possono essere:  Omotropici: effettuano un effetto allosterico sul medesimo recettore.  Eterotropici: effettuano un effetto allosterico su ligandi diversi. o Positivi: incrementano l’attività di legame. o Negativi: diminuiscono l’attività di legame. ALLOSTERIA, COOPERATIVITÀ E REGOLAZIONE DELL’EMOGLOBINA L’emoglobina, oltre a legare l’ossigeno presenta siti di legame per altri ligandi che sono lo ione idrogeno, l’anidride carbonica e il 2,3-bifosfoglicerato. Tutti e tre questi ligandi per l’emoglobina sono ligandi che esercitano nei confronti del legame dell’ossigeno un effetto allosterico eterotropico negativo. IDROGENO Tutte le proteine presentano gruppi basici o acidi deboli per cui tutte le proteine sono in grado di legare idrogeno. Questo lo fa anche l’emoglobina. A pH fisiologico (7,4) l’emoglobina risente del valore di pH in una modalità per cui più il pH è basso e più l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno si abbassa. Più la proteina è protonata e più l’affinità per l’ossigeno è bassa. Questo effetto del pH sul legame dell’ossigeno si chiama effetto Bohr. L’aumento della protonazione favorisce la conformazione T. ANIDRIDE CARBONICA Nei tessuti dove il metabolismo è elevato, un’attività metabolica se aerobica promuove la produzione di anidride carbonica che in ambiente acquoso si idrata. La reazione dell’anidride carbonica è rapida perché è presente l’anidrasi carbonica che catalizza l’idratazione dell’anidride carbonica che diventa acido carbonico che è un acido debole che si dissocia in ione bicarbonato e ione idrogeno. L’attività respiratoria cellulare, producendo anidride carbonica determina il rilascio di ioni H+ determinando una riduzione del pH. L’abbassamento di pH favorisce il rilascio di ossigeno da parte dell’emoglobina. Il sangue che irrora i tessuti attivi tende ad acidificarsi e questo favorisce il rilascio di ossigeno da parte dei globuli rossi. Quando si passa alla respirazione anaerobica si produce acido lattico che contribuisce ulteriormente ad abbassare il pH e questo contribuisce a colmare il debito di ossigeno. Quando si iperventila gira la testa perché si favorisce il rilascio di anidride carbonica dal sangue perché viene eliminata dai polmoni molto velocemente. Diminuendo l’anidride carbonica si basifica il sangue, il pH si alza e questo ostacola il rilascio di ossigeno da parte dell’emoglobina e di conseguenza non arriva abbastanza ossigeno al cervello. Anche l’anidride carbonica si lega all’emoglobina e potenzia questo effetto allosterico negativo. Quello che succede è 50 che lo ione bicarbonato tende a legarsi all’emoglobina attraverso un legame covalente reversibile. I gruppi amminici N-terminali tendono a venire carbammati e questo porta a una riduzione di affinità per l’ossigeno. Quando si smette di respirare diventa più forte l’impulso di respirare. La sensazione di riprendere a respirare non dipende dalla mancanza di ossigeno ma dall’innalzamento della concentrazione di anidride carbonica. 2,3-BIFOSFOGLICERATO Il 2,3-bifosfoglicerato è un regolatore dell’emoglobina. Viene introdotto dai globuli rossi. Il 2,3- bifosfoglicerato si lega a un sito di legame. La molecola tetramerica di emoglobina contiene un solo sito di legame per il 2,3-bifosfoglicerato. Non ce n’è uno per subunità ma uno solo localizzato centralmente tra le quattro subunità. È un effettore eterotrofico negativo nei confronti dell’ossigeno. Più alta è la concentrazione di 2,3-bifosfoglicerato e più se ne lega all’emoglobina favorendo lo stato T. Questo perché nella forma R il legame non è disponibile. La variazione della sua concentrazione serve a regolare l'affinità dell'emoglobina in funzione della disponibilità di ossigeno nell’ambiente. La pressione parziale dell’ossigeno dipende da quello della pressione atmosferica. Una condizione che può presentarsi in alta montagna è una condizione di minore pressione parziale di ossigeno. Per aggiustare la propria affinità dell’emoglobina per l’ossigeno interviene il 2,3-bifosfoglicerato che in condizioni di bassa disponibilità d’ossigeno aumenta la sua concentrazione. È necessario ridurre l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno perché la riduzione della pressione parziale ha poco effetto sulla saturazione a livello polmonare. Se il grado di saturazione dell’emoglobina si abbassa, fa in modo che rilasci una quantità adeguata di ossigeno a livello dei tessuti che ne hanno bisogno. VARIANTI ALLELICHE DELL’EMOGLOBINA UMANA Sono note tantissime varianti genetiche: alcune non determinano alcun effetto, altre determinano condizioni patologiche gravi. Una delle più gravi è l’anemia falciforme. Nel caso dell’anemia falciforme si ha il cambiamento di un singolo amminoacido che invece di essere glutammina è valina. L’effetto è la falcizzazione. La sostituzione amminoacidica è causata a livello della superficie dell’emoglobina. Questo non provoca alcun effetto sull’affinità per l’ossigeno. Non si ha alcuna perdita di funzionalità ma si ha una nuova proprietà che si rivela dannosa. L’introduzione della valina fa sì che nelle condizioni di alta concentrazione di emoglobina all’interno dei globuli rossi, la presenza di questo residuo idrofobico sulla superficie tende a portare le molecole di emoglobina ad aggregare tra di loro. Si ha la formazione di un’interazione a livello della valina tra molecole di emoglobina formando lunghe catene molecolari che portano alla formazione di fibrille. Si ha la conformazione di fibrille che provoca la destabilizzazione di un globulo rosso che acquisisce una forma a falce. I globuli rossi alterati si rompono facilmente causando anemia e inoltre tendono ad ostruire i capillari sanguigni causando problemi di trombosi venosa. La diffusione è concentrata in alcuni regioni dell’Africa subsahariana. La diffusione si sovrappone abbastanza bene con quella della malaria. Gli individui eterozigoti per il gene patologico che non manifestano la malattia sono protetti contro l’agente patologico della malaria. 51 MECCANISMO DI REAZIONE ENZIMATICA I meccanismi di reazione enzimatica spesso prevedono più passaggi. Ogni passaggio prevede uno stato di transizione. Si tratta di reazioni complesse costituite da più reazioni complementari. Molti enzimi hanno un gruppo prostetico, per cui al sito attivo contribuisce anche il gruppo prostetico oltre a gruppi funzionali peptidici. CATALISI CHIMICA E CATALISI ENZIMATICA La catalisi enzimatica non prevede nessun tipo di meccanismo fondamentale intrinsecamente diverso da quello che succede dalla catalisi chimica. Gli enzimi sono affinati da milioni di anni di evoluzione e funzionano quindi meglio dei catalizzatori non biologici. I catalizzatori non biologici mettono in atto un'unica strategia di catalisi. Gli enzimi mettono in atto invece molte diverse strategie catalitiche e riescono a farlo molto bene perché i vari gruppi funzionali che partecipano alla catalisi (gruppi catalitici) sono parte della molecola enzimatica e di conseguenza all’interno del sito attivo hanno un’organizzazione tridimensionale ben definita, sono ordinati in maniera ben precisa e quindi sono posizionati in maniera ottimale per massimizzare l’effetto di catalisi. Peculiarità degli enzimi rispetto ai catalizzatori non biologici: - Altissimo potere catalitico: questo rende possibili reazioni che senza catalizzatore non potrebbero avvenire. - Condizioni di reazione più blande: sono in grado di operare in condizioni fisiologiche presenti nella materia vivente. - Elevata specificità: gli enzimi sono molto specifici per ciò che riguarda i substrati su cui agiscono e la reazione catalizzata. Gli enzimi sono in grado di distinguere substrati che differiscono di pochissimo. La reazione catalizzata è molto specifica. Gli enzimi sono anche stereo-selettivi: spesso quando il prodotto è chirale producono solo un determinato enantiomero. - Possono essere regolati: possono essere allosterici, ovvero enzimi in grado di essere attivati o inibiti in seguito al legame con effettori allosterici e questo permette la regolazione allosterica che serve per regolare il metabolismo. Gli enzimi possono essere regolati in vari modi. La regolazione allosterica è un esempio. Possono anche essere regolati attraverso la modificazione covalente che può avvenire attraverso la scissione di determinati gruppi peptidici nell’enzima. Ci sono enzimi che sono attivati in seguito alla rimozione di alcuni residui amminoacidici e ci sono enzimi che sono regolati attraverso la fosforilazione di alcuni gruppi funzionali. MODELLO CHIAVE-SERRATURA E MODELLO DELL’ADATTAMENTO INDOTTO Il sito attivo dell’enzima è complementare ai substrati della reazione, ovvero al forma del sito attivo e la distribuzione delle cariche dei gruppi funzionali è tale per cui nel sito attivo si adatta bene quel particolare substrato perché la molecola di substrato ha una forma tale da adattarsi bene alla forma del sito attivo e stabilire tutti i contatti produttivi al fine del legame con il sito attivo. Una molecola fatta diversamente non si adatta bene e quindi il riconoscimento molecolare tra enzima e substrato assomiglia al modo in cui una chiave si adatta bene a quella particolare serratura e non ad un’altra e quella particolare chiave inserita in quella particolare serratura che può accoglierla molto bene è in grado di far scattare la serratura aprendola. 54 Non tutti gli enzimi agiscono così. Non sempre il sito attivo è preformato prima del legame al substrato. In molti casi il sito attivo non è perfettamente formato prima del legame di uno o più substrati. Questo è il caso dell’esochinasi. È un enzima capace di legare un gruppo fosforico che proviene dall’ATP al glucosio. Questo enzima prevede due domini. NOMENCLATURA DEGLI ENZIMI Esiste un’organizzazione che si chiama IUBMB (International Union of Biochemistry and Molecular Biology) che si occupa dell’attribuire il nome alle diverse biomolecole in modo che l’attribuzione sia uniforme nella comunità scientifica. Si occupa anche, attraverso la commissione che si occupa di enzimi, di attribuire nomi univoci agli enzimi. Ad ogni enzima sono assegnati tre nomi: - Nome sistematico: è il nome più rigoroso e il nome è costruito con una serie di regole e il nome sistematico è costruito con la stessa logica con cui viene attribuito il nome IUPAC ai composti organici. Include il nome dei substrati più un termine che definisce il tipo di reazione che termina sempre con il suffisso -asi. - Nome d’uso: viene scelto un nome d’uso. - Numero di classificazione: ha sempre una struttura EC X.Y.Z.W. questo tipo di nomenclatura si basa esclusivamente sul tipo di reazione catalizzata. Il primo numero rappresenta la classe fondamentale a cui appartiene l’enzima. Le classi fondamentali sono sette: CLASSE DI ENZIMI REAZIONI CATALIZZATE Ossidoriduttasi Reazioni di ossidoriduzione Transferasi Trasferimento di gruppi funzionali Idrolasi Reazioni di idrolisi Liasi Reazioni di eliminazione con formazione di doppi legami Isomerasi Isomerizzazioni Ligasi Formazione di legami accoppiata all’idrolisi di ATP Traslocasi Trasferimento di molecole tra membrane biologiche Le transferasi sono quelle più abbondanti. Subito dopo vengono le ossidoriduttasi. Questo perché il trasferimento di gruppo funzionale da un substrato ad un altro e trasferimento di elettroni da un donatore a un accettore sono in assoluto le reazioni più comuni nel metabolismo. 55 COFATTORI Esistono cofattori enzimatici, ovvero composti di natura diversa rispetto ai polipeptidi che fanno parte della struttura di molti enzimi. Possono essere cofattori inorganici, costituiti da ioni metallici oppure cofattori organici. Questi cofattori sono molto utili nel caso di alcuni enzimi perché mentre i gruppi funzionali presenti nei residui amminoacidi funzionano molto bene per supportare meccanismi di catalisi, sono poco adatti per catalizzare molte delle reazioni metaboliche. Sono poco adatti a catalizzare reazioni di ossidoriduzioni o reazioni di trasferimento di gruppo. Moltissimi enzimi contengono cofattori capaci di contribuire al tipo di catalisi necessario per reazioni di ossidoriduzione e trasferimento di gruppo. Tra i metalli più usati come cofattori inorganici ci sono zinco, nichel magnesio, ferro, rame e altri. I cofattori possono essere legati sia molto stabilmente oppure possono legarsi solo transientemente durante il ciclo catalitico. Il loro legame alla parte peptidica può essere stabile, irreversibile o reversibile. Nel caso dei cofattori organici si parla anche di coenzimi. Nel caso in cui sia legato in maniera transiente non stabilmente più propriamente si parla di co-substrato. Se il co-enzima è legato stabilmente, il termine corretto è quello di gruppo prostetico. Il gruppo prostetico, associato all’aloproteina costituisce all’oloenzima (enzima completo) cataliticamente attivo. Molti coenzimi non possono essere sintetizzati a partire da altri composti se non da loro stretti precursori che sono le vitamine. Le vitamine sono essenziali perché funzionano da precursori indispensabili per la sintesi di coenzimi. MECCANISMI CATALITICI ELEMENTARI OPERANTI NEGLI ENZIMI CATALISI GENERALE ACIDO-BASICA La reazione di tautomerizzazione cheto-enolica è una reazione che avviene spontaneamente ma non è veloce. Prevede la scissione parziale del doppio legame. La reazione è abbastanza lenta perché lo stato di transizione è abbastanza stabile. lo stato di transizione prevede una separazione di carica. Se nella soluzione è presente un acido, è possibile che una molecola nel raggiungere lo stato di transizione abbia la fortuna di avere accanto a sé una molecola di acido. Nel raggiungere lo stato di transizione da parte di una molecola del chetone, questa si trovi ad avere in prossimità una molecola di acido. Questo protone porta una parziale carica positiva e una propensione di essere rilasciato dall’acido come H+ e questa carica positiva stabilizza la carica negativa a livello dell’ossigeno. Di conseguenza, questo stadio di transizione risulta più stabile. Questa è la ragione per cui l’ambiente acido è in grado di stabilizzare lo stato di transizione. Lo stesso si avrebbe con una base, la quale stabilizzerebbe la carica positiva. La ribonucleasi A (enzima digestivo che digerisce l’RNA) sfrutta un meccanismo di catalisi acido- basica. L’attacco nucleofilico dell’ossidrile in posizione 2 è molto favorito quando l’RNA è legato all’enzima nel sito attivo. C’è un’istidina che stabilizza la formazione di una carica positiva a livello 56 CINETICA ENZIMATICA Un enzima è in grado di aumentare la velocità di una ben determinata reazione chimica che coinvolge dei determinati reagenti generando determinati prodotti. Spesso in assenza di enzima quella reazione non avviene. La cinetica enzimatica si occupa di descrivere da che cosa dipende e in che modo la velocità della reazione enzimatica in questione. La cinetica enzimatica avviene con un meccanismo complesso e prevede più stati di transizione. Il modo in cui la velocità dipende dai vari partecipanti della reazione stessa può essere complicato. La cinetica chimica è una branca della chimica diversa dalla termodinamica. La termodinamica non dice nulla sulla velocità con cui avviene il processo perché questo non dipende dalla natura dei reagenti e dei prodotti ma dipende dalle caratteristiche dello stato di transizione che è collocato tra i reagenti e i prodotti. La cinetica chimica si occupa della velocità delle reazioni chimiche e permette di formulare la legge che collega la velocità del processo alle varie sostanze che la influenzano come le concentrazioni dei reagenti. La legge di velocità di una reazione la si esprime normalmente con un’equazione di velocità che esprime la velocità del processo come funzione delle concentrazioni delle varie specie coinvolte. Una reazione chimica può essere elementare o complessa a seconda della natura dell’organismo.  Per reazione elementare si intende un processo irreversibile che coinvolge un solo stato di transizione.  Una reazione complessa è una reazione dove avvengono più passaggi elementari. Il suo meccanismo è dato dalla combinazioni di più di uno passaggi elementari. Si può considerare anche complessa una reazione in unico passaggio che sia reversibile. REAZIONI ELEMENTARI Per le reazioni elementari si può definire il concetto di molecolarità. La molecolarità di una reazione corrisponde al numero di molecole che devono interagire tra loro per generare lo stato di transizione. Le reazioni elementari possono essere unimolecolari o bimolecolari. L’ordine di reazione è il grado algebrico dell’equazione che esprime la legge di velocità per quel processo. Nelle reazioni elementari l’ordine coincide con la molecolarità. Per una reazione elementare è facile definire in termini generali l’equazione di velocità. REAZIONI COMPLESSE Una reazione enzimatica è una reazione complessa che richiede almeno due passaggi. Come reazione complessa ha senso capire qual è l’ordine della reazione. Per catalizzare la reazione l’enzima deve partecipare alla reazione. Le molecole di enzima devono prendere contatto fisico con le molecole dei substrati e ci deve essere un passaggio in cui l’enzima forma un complesso con il substrato o i substrati e a livello di questo complesso può generarsi il prodotto che poi viene rilasciato. E+S↔ES↔E+P 59 Ci vogliono almeno due passaggi. In condizioni in cui altri fattori sono costanti e la concentrazione dell’enzima è molto più piccola della concentrazione del substrato, la velocità della reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione dell’enzima presente nel sistema. La reazione enzimatica è di primo grado rispetto all’enzima. Se in queste condizioni, tenendo fissa la concentrazione dell’enzima, studiamo la velocità di reazione in presenza di diverse concentrazioni di substrato, ci accorgiamo che la dipendenza di velocità di reazione non è semplice ma segue una curva di questo tipo: La velocità di reazione in funzione della concentrazione dell’enzima varia secondo un andamento a saturazione che tende a un valore massimo oltre il quale non va mai. Non c’è una dipendenza lineare. La velocità tende a diventare indipendente dalla concentrazione del substrato. Se la concentrazione del substrato è molto bassa, l’ordine di reazione tende ad essere 1 rispetto al substrato. Se la concentrazione è molto alta, la reazione tende ad essere di ordine 0 rispetto al substrato. Una reazione si dice di ordine 0 se la velocità diventa indipendente dalla concentrazione. La reazione enzimatica è di primo ordine rispetto all’enzima e di ordine variabile rispetto al substrato. L’ordine varia tra 0 e 1 a seconda delle condizioni. VELOCITÀ INIZIALE DI UNA REAZIONE ENZIMATICA Il decorso di una reazione enzimatica è abbastanza complicato da descrivere. Per velocità iniziale (v0) si intende la velocità misurata nei primi istanti dopo l’aggiunta dell’enzima. L’evoluzione del sistema nella prima fase del decorso ha come conseguenza che il processo sta avvenendo prima che si sia accumulata una quantità significativa di prodotto. La velocità iniziale significa la velocità di reazione in assenza di prodotto. Questo ha una conseguenza importante: senza prodotto implica che la reazione inversa non è possibile. MICHAELIS E MENTEN I responsabili di questo studio sono Michaelis e Menten. Hanno cercato di interpretare il decorso delle reazioni enzimatiche. Hanno cercato di interpretarla sulla base del più semplice meccanismo di reazione che è un meccanismo in due passaggi: l’enzima che si combina con il substrato a formare il complesso enzima-substrato. Questo primo passaggio avviene attraverso due passaggi elementari governati da due costanti di velocità. entrambi le costanti di velocità sono elevate rispetto al secondo passaggio. il secondo passaggio è molto più lento. Se il primo passaggio è veloce e il secondo è lento, succede che il primo passaggio si mantiene in condizioni di equilibrio. Il complesso enzima-substrato, durante la reazione, si mantiene sempre in condizioni molto vicine all’equilibrio con l’enzima libero e il substrato libero. Il valore di queste concentrazioni si mantiene durante la reazione a valori non diversi dalla costante di equilibrio dalla reazione stessa. La costante di dissociazione del complesso enzima-substrato a dare enzima libero e substrato libero la si indica con KS. 60 Il secondo passaggio è più lento. Non c’è quindi equilibrio tra complesso enzima-substrato e prodotto. Dato che misuriamo la velocità iniziale, il secondo passaggio è irreversibile perché non c’è prodotto. Se il complesso enzima-substrato è all’equilibrio con il substrato libero, succede che più è alta la concentrazione del substrato, più è alta la concentrazione del complesso enzima-substrato ma al massimo la concentrazione del complesso enzima-substrato può essere pari alla quantità totale di enzima presente nel sistema. Questo spiega l’andamento a saturazione. ASSUNZIONE DELLO STATO STAZIONARIO Michaelis e Menten hanno formulato la relazione tra la velocità iniziale, concentrazione del substrato e concentrazione totale dell’enzima presente nel sistema. In un sistema in cui avviene una reazione enzimatica l’enzima esiste sempre in più forme: libero e complessato. Non è necessario che ci sia equilibrio tra enzima complessato ed enzima libero. È sufficiente che sia una condizione meno restrittiva dell’equilibrio tra forma complessata e forma libera dell’enzima. Questa condizione meno restrittiva è che si stabilisca tra la forma libera e le forme complessate dell’enzima uno stato stazionario. Questa condizione indica che seppur non essendo tra di loro all’equilibrio, la forma libera e le forme complessate dell’enzima si mantengono a valori costanti. Nel caso in cui la concentrazione dell’enzima è molto piccola rispetto alla concentrazione del substrato, queste condizioni di stato stazionario si stabiliscono molto rapidamente e si mantengono piuttosto a lungo durante la reazione. Le molecole di enzima si combinano con le molecole di substrato. La concentrazione di enzima libero diminuisce e aumenta la concentrazione di enzima complessato. In una primissima fase c’è un aggiustamento delle concentrazioni di enzima libero e di enzima complessato. L’enzima libero diminuisce di concentrazione, l’enzima complessato aumenta di concentrazione fino ad arrivare ad un punto in cui le concentrazioni si mantengono relativamente costanti nel tempo. Pur variando lentamente variano molto poco rispetto a quanto variano le concentrazioni del substrato e del prodotto. Le forme libere e complessate dell’enzima variano poco. DERIVAZIONE DELL’EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN Se k2 è molto più piccolo di k-1, allora il primo passaggio avviene in condizioni di equilibrio. Se questa condizione di equilibrio non vale, ovvero se k2 non è molto più piccolo di k-1, allora in queste condizioni, posto che la quantità di enzima sia piccola rispetto alla quantità di substrato, si stabiliscono rapidamente le condizioni di stato stazionario. Se consideriamo la velocità iniziale in condizioni di stato stazionario, allora possiamo calcolare l’espressione che rappresenta la legge di velocità attraverso dei passaggi algebrici. Esiste una sola reazione elementare che porta alla formazione del complesso (k1). Per la scomparsa del complesso enzima-substrato abbiamo due reazioni elementari che concorrono alla sua diminuzione di concentrazione e sono governati dalla k-1 e dalla k2. La velocità complessiva con cui varia la concentrazione del complesso enzima-substrato sarà data dalla velocità con cui si forma meno la velocità dei processi che lo consumano. La velocità di variazione del complesso enzima- substrato è data dalla velocità del complesso che lo forma (processo bimolecolare) meno le velocità dei processi che lo consumano (processi unimolecolari). Si ottiene la seguente equazione: 61 V 0=V max=kcat [ E ]T In questo caso la reazione è di ordine 0 rispetto al substrato. La concentrazione di substrato non compare. CONCENTRAZIONE DI SUBSTRATO MOLTO PICCOLA Quando la concentrazione di substrato è molto più piccola della K M l’equazione di Michaelis-Menten si semplifica: V 0=V max [ S ] KM =kcat [E ]T [S ] KM In queste condizioni V0 è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato. È la situazione in cui la reazione si comporta come se fosse del primo ordine rispetto al substrato. EFFICIENZA CATALITICA kcat KM è una costate del secondo ordine perché moltiplica sia la concentrazione dell’enzima totale che la concentrazione del substrato. È proporzionale sia alla concentrazione del substrato che alla concentrazione dell’enzima totale. Questo rapporto è un indice importante ed è chiamata efficienza catalitica. È un parametro della reazione. Si chiama così perché è una misura di quanto l’enzima è capace di promuovere la reazione stessa e questo perché combina insieme due parametri che caratterizzano la reazione stessa (costante catalitica e KM) nel modo giusto per riassumere in un numero la qualità dell’enzima. La velocità di una reazione enzimatica è tanto più alta quanto più la costante catalitica è alta e quanto più la KM è bassa. kcat KM dice qual è la frequenza con cui nel nostro sistema una molecola di enzima si combina con una molecola di substrato dando luogo a una molecola di prodotto. Questo valore ha un limite massimo che è k1. EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN IN TERMINI DI EFFICIENZA CATALITICA L’equazione di Michaelis-Menten può essere espressa in termini di efficienza catalitica. Se consideriamo solo la concentrazione della forma libera dell’enzima, allora vale questa equazione: v0= kcat KM [E ] [S ] Se consideriamo la concentrazione totale di enzima, allora vale questa equazione: v0= kcat K M [ E ]T [S ] 1+ [S ] KM Il denominatore di questa seconda equazione è un divisore correttivo che tiene conto del fatto che non tutto l’enzima è in forma libera. RELAZIONE DI HALDANE 64 Consideriamo una reazione reversibile e immaginiamo di essere nelle condizioni di equilibrio: se la concentrazione di substrato e la concentrazione del prodotto sono tali da corrispondere alla costante di equilibrio, ovvero il loro rapporto è all’equilibrio e quindi è uguale alla costante di equilibrio di quella reazione, la velocità della reazione è pari a 0. C’è una relazione che è la relazione di Haldane che mette in relazione i parametri cinetici di una reazione enzimatica e la costante di equilibrio della reazione stessa. Se tra S e P si stabilisce un equilibrio dato da un certo valore di costante di equilibrio, allora i parametri cinetici della reazione diretta sono in rapporto con i parametri cinetici della reazione inversa. Il rapporto tra l’efficienza catalitica dei due processi è pari alla costante di equilibrio. Questo vuol dire che i quattro valori non sono indipendenti. Definiti tre valori, il quarto è stabilito dalla differenza di energia libera tra substrato e prodotto. REAZIONI ENZIMATICHE REVERSIBILI E+S↔EX↔E+P Se una reazione enzimatica avviene in presenza di una concentrazione di prodotto tale da dar luogo ad una reazione inversa di velocità significativa, la velocità netta dell’intero processo sarà data dalla differenza tra le velocità della reazione diretta e quella inversa. Si misura la differenza della velocità della reazione diretta se non ci fosse il prodotto meno la velocità della reazione inversa se non ci fosse il substrato. Si misura una velocità netta. vnetta=v0 S −v0 P L’enzima libero si lega al substrato e genera una forma complessata di enzima che volve fino a lasciare il prodotto e contemporaneamente ci saranno altre molecole di prodotto che faranno il contrario. EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN REVERSIBILE v= kcat S Km P [ E ]T [S ]−kcat P K m S [E ]T [ P ] Km S K m P +Km P [S ]+Km S [ P ] v= k cat S K m S [ E ]T [S ]− kcat P Km P [ E ]T [ P ] 1+ [S ] Km S + [P ] Km P Il divisore tiene conto del fatto che non tutto l’enzima è libero, in parte è impegnato per catalizzare la reazione diretta e in parte è impegnato per catalizzare la reazione inversa. Il denominatore serve a quantificare l’effettiva quota di enzima totale che è in forma libera. CINETICA ENZIMATICA REVERSIBILE L’andamento dell’equazione è quello di un’iperbole. La differenza è che non si parte più da 0 ma da valori negativi. 65 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 RELAZIONE TRA V NETTA E [E]T IN UNA REAZIONE ENZIMATICA REVERSIBILE Così come la velocità iniziale è proporzionale alla concentrazione totale di enzima, la velocità netta è direttamente proporzionale alla concentrazione totale di enzima. La velocità è sempre proporzionale alla concentrazione totale di enzima. Questo dal punto di vista biologico e fisiologico è rilevante perché nel metabolismo alcune reazioni metaboliche avvengono in condizioni vicine all’equilibrio. Questo significa che anche in quei processi la velocità è comunque sempre direttamente proporzionale alla concentrazione totale di enzima presente. EQUAZIONE DI LINEWEAVER-BURK (O GRAFICO DEI DOPPI RECIPROCI) Il grafico prevede che invece di esprimere la velocità iniziale in funzione della concentrazione del substrato si esprime il reciproco della velocità iniziale in funzione del reciproco della concentrazione del substrato: 1 v0 = KM V max 1 [S ] + 1 V max Ci sono due intercette: la retta incrocia i due assi in due punti che risultano uguali a 1 V max e −1 KM . 66 Ci deve essere un sito di legame per l’inibitore sulla molecola di enzima diverso dal sito attivo e tale per cui in assenza di substrato questo sito non è accessibile o non ha affinità per l’inibitore, mentre in presenza di substrato acquisisce la capacità di legare l’inibitore. Questo complesso enzima- substrato-inibitore non deve dar luogo a nessuna reazione catalizzata. È abbastanza comune per quegli enzimi che catalizzano reazioni a più substrati con la conseguenza che quello che succede è che l’inibitore si può legare all’enzima se questo lega uno dei substrati ma lo fa perché si lega nel sito di legame di un altro substrato bloccando la possibilità di procedere nel ciclo catalitico. Spesso negli enzimi che catalizzano reazioni a più substrati, spesso il meccanismo prevede che il legame di un primo substrato favorisca il legame al secondo substrato. C’è comunicazione tra i diversi siti di legame ai diversi substrati con la conseguenza che questa modalità di funzionamento possa essere sfruttata da molecole inibitrici che trovano la possibilità di legarsi a determinate forme complessate di enzima e non alla forma libera dove il substrato è legato. INIBIZIONE MISTA Si ha quando entrambe le modalità di inibizione sono possibili. L’inibitore può legarsi sia all’enzima libero che al complesso enzima-substrato e questo si ha quando il sito di legame dell’inibitore è completamente distinto dal sito attivo dell'enzima e quindi l’inibitore trova sempre il modo di legarsi al sito dell’enzima e determinare il blocco di funzionamento dell’enzima. Ci sono quindi due costanti di dissociazione perché non è detto che siano uguali. Il legame del substrato spesso può avere affinità dell’enzima per l’inibitore. L’inibitore misto ha effetto sia sull’efficienza catalitica che su Vmax. Non ci sono rette parallele ma si ha un cambiamento di pendenza sia un cambiamento di intercetta. Anche in questo caso si genera un fascio di rette convergenti in un punto che non sta in corrispondenza dell’asse verticale ma nel quarto quadrante. In un caso particolarissimo il punto di intersezione di tutte le rette corrisponde a un punto sull’asse orizzontale. Significa che l’inibitore non ha alcun effetto sulla KM. Questo particolare tipo di inibizione mista dove l’effetto è solo su Vmax si chiama inibizione non competitiva pura. Questo si ha quando KI e KI’ sono esattamente uguali. ESEMPI DI INIBITORI ENZIMATICI I farmaci peptidomimetici anti-AIDS sono inibitori competitivi della proteasi di HIV: sono analoghi degli intermedi e stati di transizione tetraedrici. Sono stati progettati sulla base della struttura tridimensionale della proteasi. 69 EFFETTO DEL pH SULLE REAZIONI CATALIZZATE DA ENZIMI Tutte le proteine sono molto sensibili al pH del mezzo perché tutte le proteine posseggono gruppi ionizzabili e lo stato di ionizzazione influisce sull’attività biologica della proteina. Non fanno eccezione gli enzimi. Per valori bassi di pH l’enzima non è attivo e lo stesso per valori alti di pH. C’è un valore ottimale di pH dove l’enzima mostra la massima attività catalitica. Il valore del pH ottimale può essere molto diverso da enzima ad enzima ma c’è sempre un andamento a campana. Normalmente il valore di pH ottimale corrisponde al valore di pH nel contesto fisiologico dell’enzima stesso. REAZIONI ENZIMATICHE A PIÙ SUBSTRATI Nella maggior parte delle reazioni enzimatiche i substrati sono più di uno. Ci sono delle convenzioni per trattare le reazioni a più substrati e più prodotti (convenzione di Cleland): - Substrati: A, B, C… nell’ordine in cui si legano all’enzima. - Prodotti: P, Q, R… nell’ordine con cui sono rilasciati. - Forme intermedie dell’enzima: E, F, G… con E che indica la forma libera. - Numero di reagenti e prodotti indicati dai termini: Uni, Bi, Ter, Quad. Le tipiche reazioni a due substrati e due prodotti sono reazioni di trasferimento di gruppo o di elettroni. Esistono due categorie di reazioni Bi Bi:  Reazioni sequenziali  Reazioni ping-pong REAZIONI SEQUENZIALI Il meccanismo più semplice è il meccanismo ordinato. La linea orizzontale rappresenta il procedere della reazione da sinistra verso destra. Le forme di enzima si scrivono sotto la linea orizzontale, reagenti e prodotti si scrivono sopra la linea orizzontale. Si indica con una freccia il legame del substrato con l’enzima e il rilascio del prodotto dal complesso enzimatico. I meccanismi sequenziali si dividono in ordinati e casuali. Questo si riferisce al fatto se esista un ordine o meno di legame dei substrati e rilascio dei prodotti. C’è un trasferimento diretto di ciò che deve essere trasferito da un substrato all’altro. Si chiamano anche reazioni a spostamento singolo. MECCANISMO ORDINATO Nel meccanismo ordinato c’è un ordine preciso con cui i substrati si legano e i prodotti sono rilasciati. L’enzima libero prima si lega al substrato A e si forma un complesso binario tra enzima e substrato A. Solo dopo che si è legato A si può legare B e a questo punto abbiamo un complesso ternario. Si ha il rilascio del primo prodotto e poi del secondo prodotto. 70 Alla fine, si rigenera l’enzima libero e il ciclo può ripetersi. Questo avviene in molte reazioni di ossidoriduzione. MECCANISMO CASUALE Non c’è un ordine preciso di legame del substrato all’enzima. Molti enzimi funzionano così. All’enzima libero può legarsi indifferentemente prima A e poi B. Abbiamo quindi una biforcazione del meccanismo catalitico. Il rilascio dei prodotti avviene con un ordine differente. GRAFICI DEI DOPPI RECIPROCI C’è un fascio di rette convergenti in un punto che si colloca nel terzo quadrante. È un fascio di rette convergente in un punto. REAZIONI PING-PONG È messo in atto da molti enzimi. Si ha un’alternanza tra substrati che si legano e prodotti che vengono rilasciati. Non c’è bisogno che tutti i substrati si leghino all’enzima prima di generare i prodotti. Si lega il primo substrato all’enzima, si forma il primo complesso enzima-substrato e a questo punto viene rilasciato il primo prodotto di reazione con l’enzima che si trasforma in una forma chimicamente diversa. Nel caso di una reazione di trasferimento di gruppo, il substrato donatore del gruppo si lega all’enzima e trasferisce il gruppo funzionale all’enzima che lo lega a livello di una sua catena laterale ad esempio risultandone modificato. A questo punto, si lega il secondo substrato e a livello del complesso si ha il trasferimento del gruppo funzionale dall’enzima al secondo substrato con la generazione del secondo prodotto che può essere rilasciato. Si rigenera la forma a riposo dell’enzima. Il trasferimento di gruppo o di elettroni avviene due volte: una prima volta dal primo substrato all’enzima e una seconda volta dall’enzima al secondo substrato. Sono chiamate anche reazioni a spostamento doppio. GRAFICI DEI DOPPI RECIPROCI Le rette sono parallele tra di loro. La dipendenza della velocità dalla concentrazione di un substrato genera una retta che continua a presentare la stessa pendenza al variare della concentrazione dell’altro substrato. 71 residuo amminoacidico del substrato in questione. Ci sarà tempo sufficiente affinché la triade catalitica faccia il suo lavoro e idrolizzi il legame peptidico che si trova collocato di fronte. Se il residuo amminoacidico si trova in corrispondenza della tasca di specificità e non si adatta bene non ci starà bene non ci sarà il tempo di idrolizzare il gruppo peptidico. Nel caso della tripsina la tasca di specificità è costituita da una cavità profonda perché deve accogliere catene laterali molto lunghe. La tasca è anche stretta per accogliere nel migliore dei modi catene laterali sottili. La tasca possiede anche una caratteristica elettrostatica per il fatto di presentare una carica negativa alla base. Questo serve per controbilanciare la carica positiva che si trova all’estremità della catena laterale del residuo del substrato. C’è quindi anche una complementarità elettrica che spiega l’elevata specificità della tripsina. Nl caso della chimotripsina il meccanismo di funzionamento è lo stesso. È presente una tasca di specificità più larga capace di accogliere catene laterali più ingombranti. Non presenta cariche e gruppi polari. Nel caso dell’elastasi la tasca di specificità è non polare e di dimensioni più piccole di quelle ella chimotripsina. Si presta bene ad accogliere residui con catena laterale di piccole dimensioni. Questo spiega le diverse specificità dei tre enzimi. Un’altra caratteristica degli enzimi di questa famiglia è il fatto che sono delle endopeptidasi: per legare bene la catena polipeptidica del substrato devono legarsi all’interno della catena stessa. Idrolizzano preferibilmente gruppi peptidici che si trovano all’interno di una catena polipeptidica. Esistono anche esopeptidasi che agiscono sulle estremità. MECCANISMO CATALITICO L reazione avviene in più passaggi. Nel primo passaggio si ha il legame del substrato. Il substrato si lega al solco che si trova sulla superficie della proteasi, colloca la catena laterale del residuo n-1 nella tasca di specificità. A questo punto il carbonio carbonilico si trova di fronte al gruppo ossidrilico della serina. Il fatto che l’idrogeno del gruppo ossidrilico è impegnato in un legame idrogeno con la catena laterale dell’istidina che a sua volta è impegnato con un altro legame idrogeno con l’aspartato fa sì che l’idrogeno del gruppo ossidrilico abbia una notevole tendenza ad essere rilasciato. Il legame ossigeno-idrogeno dell’ossidrile è stabilizzato da questa interazione che grazie alla basicità del carbossilato e dell’aspartato viene ceduto con una certa facilità all’istidina. Questo rende l’ossigeno particolarmente nucleofilo in maniera tale da favorire l’attacco nucleofilo sul gruppo carbonilico sul substrato. Si forma un intermedio tetraedrico. Il carbonio carbonilico passa da un carbonio a struttura planare a una struttura tetraedrica. Con la formazione del legame carbonio-ossigeno con la serina si rompe il legame peptidico. Alla fine di questo passaggio abbiamo rotto il legame peptidico. La parte sull’altro lato del polipeptide rimane legata covalentemente alla serina. Si ha un intermedio covalente dove l‘enzima è acilato da una metà del substrato. Il primo substrato viene rilasciato dall’enzima e nel sito attivo si colloca una molecola d’acqua che interagisce con l’istidina della triade catalitica. L’istidina della triade catalitica aumenta la nucleofilicità della molecola d’acqua rendendola propensa ad effettuare un attacco nucleofilo sull’estere dell’intermedio acil-enzima. L’enzima ha trasformato il legame peptidico in un legame estere e l’idrolisi effettuata dall’acqua avviene in questa fase della reazione e avviene attraverso l’idrolisi dell’estere acil-enzima. Si forma un altro intermedio tetraedrico simile allo stato di transizione e superato questo stato di transizione il legame estere è stato idrolizzato e abbiamo liberato il secondo prodotto della reazione. Questo compete al ciclo catalitico. 74 Sia nella formazione dell’intermedio acil-enzima che nella sua successiva idrolisi abbiamo il passaggio da una struttura di tipo planare che coinvolge il carbonio in gioco a una disposizione nello spazio di tipo tetraedrico. Tutta la struttura intorno cambia drasticamente la posizione nello spazio. Questo permette di sfruttare questa differenza strutturale tra stato di transizione e stato fondamentale facendo sì che il sito attivo dell’enzima sia più adatto a legare lo stato di transizione rispetto allo stato fondamentale in entrambi i passaggi del meccanismo catalitico. Nello stabilirsi dello stato di transizione la posizione del gruppo carbonilico e la posizione dei gruppi ammidici cambia per effetto del cambiamento di struttura da planare a tetraedrico in modo tale da permettere la formazione di legami idrogeno nello stato di transizione ma non nello stato fondamentale con diversi gruppi che si trovano all’interno del sito attivo. Quando si raggiunge lo stato di transizione l’ossigeno può formare due legami idrogeno con i gruppi ammidici della catena principale dell’enzima. I gruppi ammidici formano legami idrogeno con la glicina e con l’istidina. Questo favorisce molto la catalisi. Il meccanismo catalitico è un esempio di reazione ping-pong. Ci sono esempi di inibitori irreversibili che sono specifici per le diverse proteasi a serina. Un esempio è il diisopropilfosfofluoruro. Subisce la prima metà del ciclo catalitico dell’enzima ma dà luogo a un intermedio che non può subire la seconda metà del ciclo catalitico. Questo composto è specifico per la chimotripsina. 75 ZIMOGENI Il precursore della proteasi è inattivo e viene attivato solo in seguito al rilascio della cellula. L’attivazione avviene per modificazione chimica covalente e avviene attraverso l’idrolisi di alcuni gruppi peptidici della proteasi. L’enzima viene prodotto come proenzima inattivo (o zimogeno). I vari enzimi digestivi pancreatici vengono rilasciati nell’intestino tenue a livello del duodeno. Nel duodeno è presente una peptidasi (enteropeptidasi) che è in grado di agire sul tripsinogeno. Il tripsinogeno nella sua regione N-terminale ha una sequenza caratteristica con quattro residuo di aspartato, un residuo di lisina e uno di isoleucina. Questa regione è una sorta di segnale che viene riconosciuto dall’enetropeptidasi che idrolizza il legame tra la lisina e l’isoleucina. Una volta staccato il peptide N-terminale il tripsinogeno diventa tripsina che è cataliticamente attiva. La tripsina è anch’essa in grado di idrolizzare il gruppo peptidico di altre molecola di tripsinogeno. Per cui una volta che alcune molecole di tripsina si formano la tripsina si auto digerisce velocemente e con un effetto a catena si ha la produzione della tripsina. La tripsina agisce sul chimotripsinogeno scindendo il legame peptidico che viene trasformato in una forma di chimotripsina parzialmente attiva. Quest’ultima forma può scindere altri legami peptidici all’interno della chimotripsina trasformando la forma intermedia nella forma definita attiva che è l’α-chimotripsina. BIOENERGETICA Per bioenergetica si intende la termodinamica applicata agli organismi viventi. PRIMO E SECONDO PRINCIPIO APPLICATI AGLI ORGANISMI VIVENTI Gli esseri viventi rispettano le leggi della termodinamica. La prima legge tratta della conservazione dell’energia. La seconda legge stabilisce che tutte le reazioni spontanee avvengono con un aumento dell’entropia dell’insieme del sistema. Lo sviluppo e il mantenimento di un organismo vivente richiede una dimensione di entropia locale. Gli organismi viventi sono costituiti da materia altamente organizzata a basso contenuto di entropia. la riduzione locale di entropia la si ottiene a spesa dell’energia libera che viene immessa all’interno del sistema attraverso la nutrizione. Quello che un organismo compie per sopravvivere è ottenere energia dall’ambiente e sfruttare reazioni di diversa natura per ottenere l’energia libera necessaria alle sue funzioni vitali. Da un punto di vista termodinamico richiedono una riduzione locale di entropia. La nutrizione degli organismi viventi, oltre a fornire loro l’energia libera necessaria alla sopravvivenza serve anche a fornire la materia di cui sono fatti gli organismi viventi. Durante il processo di sviluppo gli organismi viventi accumulano la materia che costituisce il loro corpo. Una volta raggiunta la vita adulta è sempre necessario un ricambio di materia. 76 dei gruppi fosforici comporta un rilascio di energia che varia tra i -10 e i -62 kJ/mol. L’ATP possiede gruppi fosfoanidridici la cui energia libera di idrolisi si colloca più o meno a -30 kJ/mol. IDROLISI DELL’ATP La scissione dei legami fosforici dell’ATP può avvenire secondo due principali modalità. Le prime due reazioni hanno significato biologico nei trasferimenti di energia, il terzo non è sfruttato nell’accoppiamento tra reazioni. Origine dell’alta energia libera di idrolisi dei composti fosforici: - Maggiore stabilizzazione del fosfato liberato. - Maggiore idratazione dei prodotti di idrolisi. - Venir meno della repulsione elettrostatica tra gruppi fosforici legati. - Rilascio di protoni in soluzione tamponata, prossima alla neutralità. STRUTTURE DI RISONANZA DEL FOSFATO INORGANICO Quando un gruppo fosfato viene staccato da un composto organico che lo contiene, succede che va incontro a una risonanza. Il gruppo fosfato contiene un doppio legame che può essere delocalizzato sull’intera molecola e questo fa sì che l’intera molecola venga stabilizzata. Questa stabilizzazione non è estesa quando il gruppo fosforico è legato alla restante parte della biomolecola. La forma prevalente del fosfato inorganico a pH neutro è quella di ortofosfato (HPO 4 2-), è un ibrido di risonanza tra diverse strutture limite. Gli elettroni del legame π sono delocalizzati. La stabilizzazione per risonanza è meno marcata quando il gruppo fosfato è legato ad altri gruppi. Questa ibridazione per risonanza è molto più marcata quando l’ortofosfato è libero rispetto a quando è esterificato o legato ad una molecola più grande attraverso un legame anidridico. Il prodotto della reazione di defosforilazione può essere stabilizzato per risonanza. Questo fornisce un ulteriore contributo capace di rendere favorevole la reazione di trasferimento del gruppo fosforico. IL POTENZIALE DI TRASFERIMENTO DEL FOSFATO Il trasferimento di energia operato nel metabolismo nella maggior parte dei casi avviene attraverso il trasferimento di un gruppo fosforico da una molecola all’altra. La molecola può essere anche l’acqua e in questo caso si ha una reazione di idrolisi. Una reazione di fosforilazione è una reazione di trasferimento di un gruppo fosforico. Gli enzimi che catalizzano queste reazioni sono delle transferasi. La tendenza del gruppo fosfato ad essere trasferito da un donatore ad un accettore viene misurata nei termini di potenziale di trasferimento del gruppo fosfato da parte di quella molecola. Il determinare il potenziale di trasferimento del gruppo fosfato di diverse molecole fosforilate è utile perché ci dà una misura della loro propensione di trasferire il gruppo fosforico. Nel caso del potenziale di trasferimento del gruppo fosfato, la misura viene fatta considerando la 79 propensione a trasferire il gruppo fosfato all’acqua. L’acqua è presa come riferimento dei possibili accettori del gruppo fosfato. Questo potenziale viene definito come il valore del ΔG in condizioni standard a pH della reazione di idrolisi cambiato di segno per avere un valore positivo. Il potenziale di trasferimento del fosfato ci permette di stabilire se un composto fosforico è capace o meno di trasferire il suo gruppo fosforico a un accettore. Il fosfoenolpiruvato è in grado di fosforilare l’ADP a dare ATP producendo piruvato. In condizioni standard il ΔG è fortemente negativo. L’idrolisi del glucosio-6-fosfato comporta una variazione di energia libera di -14 kJ/mol. Non è in grado di fosforilare l’ADP. L’ADP è in grado di fosforilare il glucosio. Le transferasi che coinvolgono l’ATP sono chiamate chinasi. Dato che le reazioni di trasferimento di energia sono prevalenti nel metabolismo, di chinasi ce ne sono tantissime. Esistono composti fosforici che possono trasferire il proprio gruppo fosfato all’ADP convertendolo in ATP. MODALITÀ FISIOLOGICHE DI IDROLISI DELL’ATP Le specie fosforilate dell’adenosina che svolgono una funzione di veicolo dell’energia metabolica sono tre: ATP, ADP e AMP. Esiste in tutte le cellule un enzima che si chiama adenilato chinasi che mantiene in equilibrio ATP, ADP e AMP. Nella reazione metabolica in cui l’ATP viene convertita in AMP, il pirofosfato, intermedio di reazione che viene generato per effetto della pirofosfatasi, viene idrolizzato in una reazione irreversibile. Il processo che trasforma ATP in AMP fornisce una quantità di energia libera paria a 62 kJ/mol. In condizioni fisiologiche il ΔG di idrolisi dell’ATP può essere molto diverso dal suo ΔG’°. Questo è dovuto da: - Temperatura diversa da 25°C - pH diverso da 7 - Presenza di Mg++ - Concentrazioni di ATP, ADP, Pi diverse da quelle standard ALTRI NUCLEOSIDI TRIFOSFATI In alcune reazioni metaboliche sono utilizzati altri nucleotidi come la guanosina trifosfato (GTP) e l’uridina trifosfato (UTP). Tutti i nucleotidi sono in equilibrio tra di loro perché esiste una nucleoside difosfato chinasi che è aspecifica e funziona bene con tutti i nucleosidi difosfato. ATP+NDP↔ADP+NTP Esistono anche una serie di altri enzimi che catalizzano la stessa reazione a livello degli altri nucleosidi monofosfato. A differenza della nucleoside difosfato chinasi che è non specifica e vale per tutti i vari nucleosidi difosfato, di nucleoside difosfato chinasi ne esiste una per ogni nucleoside monofosfato. Ce ne sono quattro diverse ciascuna specifica per ciascuno dei quattro nucleosidi monofosfato. CARICA ENERGETICA DEGLI ADENILATI È possibile valutare il grado di fosforilazione degli adenilati (quanta energia possiedono) sulla base della carica energetica degli adenilati che ci dice qual è il grado di fosforilazione degli adenilati 80 presenti in una cellula. Il contenuto di ogni tipo di cellula in termini di quantità complessiva dei vari nucleotidi adenosinici è fisso (somma di ATP, ADP e AMP). Cambia il grado di fosforilazione (quanto fosfato è contenuto). questo livello energetico nella cellula è misurato come carica energetica degli adenilati (carica energetica cellulare) ed è data da: carica energetica= [ ATP ]+ 1 2 [ ADP ] [ ATP ]+ [ ADP ]+[ AMP ] Il valore della carica energetica va da 0 a 1. ELETTROCHIMICA Nel caso del metabolismo delle cellule aerobiche che utilizzano ossigeno come ossidante, le reazioni di ossidoriduzioni sono importantissime e coinvolgono la maggior parte delle reazioni del metabolismo energetico. Esistono dei trasportatori biologici di elettroni. Sono dei substrati che intervengono nella maggior parte delle reazioni di ossidoriduzione che avvengono negli organismi viventi. La misura delle spontaneità della propensione ad avvenire di una reazione di ossidoriduzione può essere espressa in termini di ΔE0, ovvero la forza elettromotrice. La forza elettromotrice può essere calcolata con la differenza dei potenziali standard di ossidoriduzione delle due coppie redox coinvolte. ∆ E ' 0=E' 0 (accettore )−E' 0(donatore) Più il valore è positivo è più la reazione è spontanea. RELAZIONE TRA ΔE E ΔG ∆G=−nF ∆ E ∆G' =−nF∆ E ' ∆G' °=−nF ∆ E '0 - n: moli di elettroni scambiati per quantità molare di reagente o prodotto - F: costante di Faraday = 96,485 J/ (V mol) TRASPORTATORI BIOLOGICI DI ELETTRONI I più diffusi sono due: NAD+/NADH e NADP+/NADPH. La forma con il + è la forma ossidata; la specie con l’H è la forma ridotta. Sono dei dinucleotidi: formati da due unità nucleotidiche legate tra di loro. C’è un gruppo pirofosfato che unisce un nucleotide all’altro. NAD significa nicotinammide adenina dinucleotide, NADP significa nicotinammide adenina dinucleotide fosfato. Il NAD è un dinucleotide che contiene adenina e nicotinammide che è una base azotata particolare che ha la funzione di trasportare elettroni. Viene utilizzata questa base azotata perché ha un potenziale redox che si presta bene alle funzioni che deve svolgere. Va incontro a una reazione di ossidoriduzione a due elettroni. Sono quindi trasportatori bielettronici obbligatori. La reazione di riduzione è accompagnata dall’aggiunta di un protone al carbonio. Il NADP differisce dal NAD perché possiede un gruppo fosfato esterificato in posizione 2. In questo modo si possono mantenere due pool distinti di coppie 81 carbonilico. La capacità dei gruppi carbonilici di stabilizzare le cariche negative è strategica nella rottura eterolitica dei legami carbonio-carbonio. Dato che lo stato di transizione di una reazione diretta o inversa è il medesimo è strategico anche nella formazione di legami carbonio-carbonio. Questo spiega la particolare attività dei composti che contengono gruppi carbonilici che possono andare incontro a reazioni come la condensazione aldolica. Il gruppo carbonilico è strategico nello stabilizzare la carica negativa coinvolta nel meccanismo di reazione. Un altro tipo di reazione dove il gruppo carbonilico svolge questa funzione di stabilizzazione degli intermedi è la decarbossilazione dei β-cheto acidi. I gruppi carbonilici sono importanti anche perché rendono più facili reazioni di sostituzione nucleofila. Si prestano bene a reazioni di sostituzione nucleofila perché anche in questo caso l’elettrofilicità del carbonio carbonilico facilita l’attacco nucleofila da parte di un nucleofilo a livello del carbonio. Anche il doppio legame carbonio-carbonio si presta per reazioni di idratazione e disidratazione. Molte reazioni metaboliche sono reazioni di ossidoriduzione. Ciò che cambia di stato di ossidazione è il carbonio. Il carbonio è molto versatile dal punto di vista del cambio di stato di ossidazione. Può assumere un numero di ossidazione che va da -4 a +4. Questo permette di valutare in maniera facile lo stato di ossidazione di un metabolita. REAZIONI DI OSSIDORIDUZIONE Un esempio è la conversione tra acido lattico e acido piruvico. Il carbonio cambia lo stato di ossidazione. Le più comuni ossidazioni biologiche comportano un aumento dei legami che gli atomi di carbonio formano con quelli di ossigeno. VIE METABOLICHE Il metabolismo è una rete multidimensionale di reazioni in cui reagenti e prodotti di un passaggio sono anche reagenti e prodotti di altri passaggi. Questa viene scomposta in vie metaboliche lineari o cicliche. I percorsi sono chiamati vie metaboliche e sono costituite da reazioni successive. Ogni passaggio di una via metabolica è catalizzato da un enzima che catalizza quella specifica reazione che può avvenire soltanto se l’enzima è presente e funziona. I reagenti, gli intermedi e i 84 prodotti di una via metabolica sono chiamati metaboliti. Alcune vie metaboliche sono cicliche: uno dei prodotti è anche uno dei reagenti della via metabolica. - I punti rappresentano i metaboliti - Le linee che li uniscono rappresentano i singoli passaggi metabolici Tra il reagente di partenza e il prodotto finale si osserva la presenza di molti metaboliti intermedi. Ciascun singolo passaggio è una reazione molto semplice che comporta una piccola trasformazione del metabolita. Le vie metaboliche sono formate da numerosi passaggi, ciascuno catalizzato da un enzima. I metaboliti sono molto stabili. Questo perché le trasformazioni che li possono riguardare richiedono grosse energie libere di attivazione. L’energia libera di attivazione per raggiungere il prodotto è molto alta e di conseguenza ci vuole un buon catalizzatore per rendere la reazione veloce. Questo fa sì che soltanto le reazioni per cui è presente un enzima capace di catalizzarla possono avvenire. Questo fa sì che il metabolismo sia molto ben definito per quanto riguarda ciò che può avvenire. Gli enzimi determinano anche il meccanismo con cui avviene la reazione e questo permette l’accoppiamento tra reazioni diverse. Alcuni enzimi possono essere regolati da effettori e questo permette la regolazione del metabolismo. Il catabolismo produce ATP e in maniera complementare l’anabolismo ha bisogno di ATP. Il catabolismo è un metabolismo di tipo ossidativo e riduce NAD+ generando NADH. L’anabolismo è riduttivo e ha bisogno di NADPH ossidandolo a NADP+. CATBOLISMO CONVERGENTE-ANABOLISMO DIVERGENTE Le vie cataboliche sono convergenti, quelle anaboliche sono divergenti. La degradazione di tantissimi composti diversi porta a un intermedio comune a tutte le vie metaboliche che è il gruppo acetile dell’acetil-CoA. L’acetile rappresenta il materiale di partenza nell’anabolismo per sintetizzare un’ampia serie di composti. 85 CATABOLISMO Diversi carboidrati vengono convertiti in glucosio. Nel catabolismo viene degradato attraverso la glicolisi a dare piruvato. Un altro gruppo importante di composti che vengono degradati nel catabolismo sono i lipidi in acetil-CoA, il quale viene degradato attraverso il ciclo di Krebs per dare anidride carbonica. Gli ossidanti sono il NAD e il FAD che vengono ridotti. Le forme ridotte sono riossidate nella fosforilazione ossidativa utilizzando l’ossigeno come ossidante per dare acqua. L’ossidazione da parte dell’ossigeno dei trasportatori di elettroni ridotti comporta una grossa variazione di energia libera. Esiste un apparato che converte buona parte dell’energia libera in ATP. La maggior parte dell’ATP generata dal catabolismo deriva da questo processo di fosforilazione ossidativa. Le cellule eucariotiche sono cellule altamente compartimentate: citosol, organelli, nucleo e membrane biologiche di natura lipidica che li separano. Le reazioni metaboliche sono ben localizzate all’interno di alcuni compartimenti. Alcune vie metaboliche sono comuni a tutte le cellule, altre avvengono solo in alcune cellule. Negli organismi complessi esistono organi diversi e alcune vie metaboliche hanno sede solo in alcuno organi (es. fegato per la sintesi di glucosio). VIE METABOLICHE Le vie metaboliche sono costituite da una serie di passaggi. Ciascun passaggio è catalizzato da un enzima e comporta un piccolo cambiamento nella struttura. Nel caso di una via metabolica lineare tutti gli intermedi si mantengono in condizioni di stato stazionario: la loro concentrazione si mantiene costante nel tempo. STATO STAZIONARIO Gli organismi si mantengono in condizioni di stato stazionario. Stato stazionario significa che nonostante l’organismo non sia in equilibrio con l’ambiente le concentrazioni dei metaboliti si mantengono cosanti nel tempo. Questo perché la velocità con cui si formano è uguale alla velocità con cui si consumano. TIPI DI PASSAGGIO I passaggi delle vie metaboliche sono di due tipi: - Passaggi dove i reagenti e i prodotti si mantengono in condizioni vicine all’equilibrio: la reazione diretta e inversa procedono con velocità molto simili. Il ΔG è molto vicino a 0. - Passaggi dove i reagenti e i prodotti si mantengono in condizioni lontane all’equilibrio: la velocità diretta è molto più alta della velocità inversa. La reazione è quindi molto irreversibile. Il ΔG è molto negativo. I passaggi sono dette tappe di comando. Sono passaggi il cui flusso è obbligato ad avvenire in quella direzione. Le tappe di comando sono quei passaggi che fanno sì che la via metabolica debba procedere in quella direzione. Sono importanti perché costringono la via metabolica a procedere nella direzione voluta. Nelle vie metaboliche uno dei primi di passaggi è una tappa di comando. In questo modo si fa sì che il metabolita che entra in quella via metabolica sia costretto a procedere fino alla fine. Rendono la via metabolica irreversibile. 86 CICLIZZAZIONE DEI MONOSACCARIDI All’interno di una stessa molecola abbiamo il gruppo carbonilico e ossidrilico. I monosaccaridi esistono in maniera prevalente nella forma ciclica che deriva dalla reazione di un gruppo ossidrilico che si addiziona al gruppo carbonilico. La forma prevalente del glucosio non è a struttura aperta ma chiusa. Gli anelli più stabili sono a 5 e a 6 atomi. Gli anelli a 6 atomi vengono detti anelli piranosici, quelli a 5 atomi furanosici. PROIEZIONI DI HAWORTH Le strutture ad anello possono essere rappresentate secondo la rappresentazione di Fischer o con la proiezione di Haworth in cui si rappresenta la molecola in forma ciclica come si fosse in prospettiva. C’è una relazione tra proiezione di Fischer e proiezione di Haworth e la regola è che ciò che sta a destra nella proiezione di Fischer, nella proiezione di Haworth è indicato sotto la molecola. 89 ANOMERI Per effetto della ciclizzazione, anche il carbonio carbonilico, detto carbonio anomerico, diventa chirale, ammettendo due possibili configurazioni. i due stereoisomeri che differiscono per la configurazione del carbonio anomerico sono detti anomeri. Per ogni monosaccaride la ciclizzazione comporta la possibilità di formare due tipi di anomeri: - Anomero α: nella proiezione di Haworth ha il gruppo ossidirilico sotto il piano dell’anello. L’OH si trova a destra. - Anomero β: nella proiezione di Haworth ha il gruppo ossidirilico sopra il piano dell’anello. L’OH si trova a sinistra. Il carbonio che nella forma ciclica diventa chirale viene chiamato carbonio anomerico. Il carbonio anomerico si può individuare nella forma ciclica perché è l’unico atomo di carbonio ad essere legato a due atomi di ossigeno. DERIVATI DEI MONOSACCARIDI Negli organismi viventi esistono molti derivati dei carboidrati: 90  Esteri fosforici di zuccheri: presentano dei gruppi fosfato legati ai gruppi ossidrilici. Il gruppo fosfato è legate mediante un legame fosfoestere allo zucchero attraverso il gruppo ossidrilico dello zucchero stesso.  Acidi aldonici: sono derivati di aldosi dove il gruppo aldeidico è ossidato a gruppo carbossilico. Hanno un nome che finisce con -onico. Possono generare una forma ciclica caratterizzata da un legame estere intramolecolare che prende il nome di lattone.  Acidi uronici  Alditoli  Deossizuccheri: zuccheri che mancano di uno o più atomi di ossigeno. Un esempio è il deossiribosio.  Amminozuccheri  Glicosidi: così come un emiacetale può reagire con un ulteriore alcol a dare un emiacetale e così come un emichetale può reagire con un ulteriore alcol a dare un chetale, analogamente lo stesso può avvenire con gli zuccheri in forma ciclica che possono reagire con un composto che contiene un gruppo ossidrilico per dar luogo a un glicoside. Emi significa metà. I glicosidi che sono derivati di alcol sono chiamati O-glicosidi dove O sta per ossigeno perché legato al carbonio anomerico c’è un ossigeno. Esistono anche N-glicosidi dove legato al carbonio anomerico c’è un atomo di azoto. Un esempio sono i nucleotidi. Per rendere solubili che altrimenti non lo sarebbero è comune coniugare il composto organico poco solubile con una componente carboidrati soprattutto nel mondo vegetale. La componente non carboidratica si chiama aglicone. Il legame che c’è tra l’aglicone e il carbonio anomerico si chiama legame glicosidico. DISACCARIDI Sono carboidrati molto diffusi. Si parla di zuccheri semplici per indicare quei carboidrati a basso peso molecolare costituiti o da monosaccaridi o da disaccaridi o trisaccaridi. Alcuni disaccaridi comuni sono: saccarosio, lattosio, maltosio. Esiste un codice a tre lettere per i residui monosaccaridici. I carboidrati sono indicati anche come riducenti o non riducenti a seconda se la sostanza abbia o meno un carbonio anomerico libero e quindi non impegnato in un legame glicosidico. Lattosio e maltosio sono zuccheri riducenti, il saccarosio no. POLISACCARIDI I polisaccaridi sono polimeri di carboidrati dove le unità monomeriche sono unite covalentemente da legami glicosidici. In natura esistono sia a catena lineare che catena ramificata. Le catene polisaccaridiche hanno una polarità nel senso che i legami glicosidici sono tutti in una direzione definita. In un tratto lineare di catena polisaccaridica c’è un’estremità riducente e un’estremità non riducente. L’estremità riducente è quella dove c’è un residuo di carbonio anomerico libero, quella non riducente è formata da un residuo monosaccaridico con il carbonio anomerico impegnato in un legame glicosidico. La 91 viene fatto nella fosforilazione ossidativa. La riossidazione del NADH a NAD+ è un processo molto favorevole e viene sintetizzata ATP. Gli organismi anaerobi non hanno questa possibilità e non possono usare l’ossigeno molecolare. Hanno bisogno di riossidare il NADH e lo fanno riducendo il piruvato a lattato. ORGANIZZAZIONE DELLA GLICOLISI È costituita da due fasi ciascuna di 5 reazioni: I. Fase di investimento energetico: si ha il consumo di 2 moli di ATP. II. Fase di produzione di energia: si ha la produzione di 4 moli di ATP. Si ha anche il passaggio di ossidoriduzione che è il passaggio che impiega il NAD per essere ridotto a NADH. FASE 1 Il prodotto finale è la gliceraldeide-3-fosfato che è uno zucchero a tre atomi di carbonio fosforilato. Quello che avviene in questi passaggi è che lo zucchero viene fosforilato dall’ATP e poi spezzato in due. Per fare questa cosa ci voglio cinque passaggi catalizzato ciascuno da un enzima. Viene chiamata anche fase preparatoria perché la gliceraldeide-3-fosfato è il materiale di partenza per la fase di produzione dell’energia. Dopo le due fosforilazioni si ottiene uno zucchero che presenta due gruppi fosforici che sono esterificati alle due estremità della molecola. Questo fa sì che spezzandola in due metà si ottengono due metaboliti fosforilati. FASE 2 La gliceraldeide-3- fosfato cessa di essere uno zucchero e diventa un acido organico. La gliceraldeide- 3-fosfato viene ossidata e si prosegue con una serie di altri passaggi fino ad arrivare al prodotto finale che è il piruvato. È un acido carbossilico a tre atomi di carbonio con un gruppo carbonilico in posizione α rispetto al gruppo carbossilico. Il reagente di partenza (glucosio) e il prodotto finale (piruvato) sono gli unici metaboliti a non essere fosforilati. Tutti gli intermedi sono fosforilati. 94 UTILIZZO DI ATP I trasferimenti di energia metabolica sono in gran parte effettuati nel metabolismo sottoforma di trasferimenti di gruppi fosfato. Nel trasferimento di un gruppo fosfato entra in gioco una variazione di energia per la natura dei legami fosfoestere e fosfoanidride. Effettuando queste due fosforilazioni dello zucchero a 6 atomi di carbonio nella prima fase si ottengono due passaggi con un equilibrio fortemente spostato verso destra. Questi due passaggi sono mantenuti in condizioni lontane dall’equilibrio che creano due passaggi irreversibili che offrono due punti di regolazione della via metabolica. Il fatto che gli intermedi siano fosforilati confina anche gli intermedi all’interno del citosol. Questo perché gli zuccheri modificati da gruppi fosfato non possono passare attraverso membrane biologiche. Non appena uno zucchero entra in una cellula viene fosforilato e così non può più uscire. I gruppi fosfato sono anche degli ottimi gruppi funzionali che possono stabilire interazioni con gli enzimi che agiscono sui vari metaboliti fosforilati. Questa è una delle ragioni per cui le reazioni enzimatiche dei metaboliti fosforilati sono molto specifiche. Questo perché c’è un elevato numero di contatti tra enzima e stato di transizione della reazione catalizzata. PRIMA FASE REAZIONE 1: PRIMO INVESTIMENTO DI ATP Nel citoplasma di tutte le cellule c’è un enzima che è l’esochinasi ed è un enzima che catalizza la trasformazione di zuccheri esosi a sei atomi di carbonio. La fosforilazione del glucosio avviene a livello del gruppo ossidrilico che si trova legato al carbonio 6. Il prodotto è il glucosio-6-fosfato. Gli enzimi che catalizzano reazioni transferasiche che coinvolgono l’ATP come donatore di gruppi fosfato sono chiamate chinasi. L’enzima è l’esochinasi. L’ATP e l’ADP nei sistemi biologici sono sempre complessati con il magnesio. La reazione avviene in condizioni lontane dall’equilibrio. È quindi una tappa di comando. In condizioni standard l’energia libera è fortemente negativa. L’esochinasi è una transferasi (classe 2). L’enzima ha una specificità abbastanza allargata e agisce anche su altri zuccheri a sei atomi di carbonio. L’esochinasi è un enzima che ha un meccanismo basato sull’adattamento indotto: cambia conformazione quando lega il glucosio. L’enzima lega ATP, poi lega glucosio e una volta che ha legato il glucosio la struttura si chiude su se stessa, si costituisce 95 il sito attivo e avviene il trasferimento del gruppo fosfato. Questo perché il trasferimento del fosfato può avvenire solo quando l’enzima ha adottato la conformazione chiusa avvenga escludendo l’acqua dal sito attivo. In questo modo si evita che l’acqua possa interferire nel processo ricevendo lei il gruppo fosfato che proviene dall’ATP. REAZIONE 2: ISOMERIZZAZIONE DELLO ZUCCHERO-FOSFATO Il glucosio-6-fosfato viene isomerizzato a fruttosio-6-fosfato. Il carbonio anomerico cessa di essere il carbonio 1 e diventa il carbonio 2. Viene trasferito il gruppo carbonilico dalla posizione 1 alla posizione 2. Il carbonio carbonilico viene spostato in posizione 2 perché in questo modo l’avere il gruppo povero di elettroni in quella posizione fa sì che questo faciliti la rottura del legame. Bisogna quindi stabilizzare la carica negativa che si accumula nello stato di transizione. Prima di rompere il legame bisogna fosforilare il carbonio 1. L’enzima che catalizza l’isomerizzazione è un’isomerasi (fosfoesosoisomerasi) che isomerizza esosi fosfati. La classe delle isomerasi è la classe 5. Questa reazione mantiene prodotti e reagenti in condizioni vicine all’equilibrio. È una reazione che avviene in condizioni di equilibrio. REAZIONE 3: SECONDO INVESTIMENTO DI FOSFATO Anche il secondo passaggio è fosforilato da un enzima che appartiene alla classe delle transferasi (classe 2). Anche questo enzima è una chinasi perché usa l’ATP per fosforilare il fruttosio-6-fosfato. Questa reazione avviene in condizioni lontane da quelle di equilibrio ed è molto favorevole. Questa tappa di comando è anche il principale punto di controllo della glicolisi. La fosfofruttochinasi è un enzima allosterico che è attivato o inibito da vari fattori allosterici e questo permette di regolare l’attività dell’enzima. Lo zucchero fosforilato è il fruttosio-1,6-bifosfato. Si dice bifosfato e non difosfato perché i gruppi fosforici sono legati in punti diversi nella molecola. 96