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SENECA, EPISTOLA A LUCILIO 57, Traduzioni di Lingua Latina

Testo e traduzione dell'epistola 57 di Seneca

Tipologia: Traduzioni

2017/2018

Caricato il 19/02/2018

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3 documenti

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Scarica SENECA, EPISTOLA A LUCILIO 57 e più Traduzioni in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! LVII. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM [1] Cum a Bais deberem Neapolim repetere, facile credidi tempestatem esse, ne iterum navem experirer; et tantum luti tota via fuit ut possim videri nihilominus navigasse. Totum athletarum fatum mihi illo die perpetiendum fuit: a ceromate nos haphe excepit in crypta Neapolitana. [2] Nihil illo carcere longius, nihil illis facibus obscurius, quae nobis praestant non ut per tenebras videamus, sed ut ipsas. Ceterum etiam si locus haberet lucem, pulvis auferret, in aperto quoque res gravis et molesta: quid illic, ubi in se volutatur et, cum sine ullo spiramento sit inclusus, in ipsos a quibus excitatus est recidit? Duo incommoda inter sc contraria simul pertulimus: eadem via, eodem die et luto et pulvere laboravimus. [3] Aliquid tamen mihi illa obscuritas quod cogitarem dedit: sensi quendam ictum animi et sine metu mutationem quam insolitae rei novitas simul ac foeditas fecerat. Non de me nunc tecum loquor, qui multum ab homine tolerabili, nedum a perfecto absum, sed de illo in quem fortuna ius perdidit: huius quoque ferietur animus, mutabitur color. [4] Quaedam enim, mi Lucili, nulla effugere virtus potest; admonet illam natura mortalitatis suae. Itaque et vultum adducet ad tristia et inhorrescet ad subita et caligabit, si vastam altitudinem in crepidine eius constitutus despexerit: non est hoc timor, sed naturalis affectio inexpugnabilis rationi. [5] Itaque fortes quidam et paratissimi fundere suum sanguinem alienum videre non possunt; quidam ad vulneris novi, quidam ad veteris et purulenti tractationem inspectionemque succidunt ac linquuntur animo; alii gladium facilius recipiunt quam vident. [6] Sensi ergo, ut dicebam, quandam non quidem perturbationem, sed mutationem: rursus ad primum conspectum redditae lucis alacritas rediit incogitata et iniussa. Illud deinde mecum loqui coepi, quam inepte quaedam magis aut minus timeremus, cum omnium idem finis esset. Quid enim interest utrum supra aliquem vigilarium ruat an mons? nihil invenies. Erunt tamen qui hanc ruinam magis timeant, quamvis utraque mortifera aeque sit; adeo non effectu, sed efficientia timor spectat. [7] Nunc me putas de Stoicis dicere, qui existimant animam hominis magno pondere extriti permanere non posse et statim spargi, quia non fuerit illi exitus liber? Ego vero non facio: qui hoc dicunt videntur mihi errare. [8] Quemadmodum flamma non potest opprimi - nam circa id diffugit quo urgetur -, quemadmodum aer verbere atque ictu non laeditur, ne scinditur quidem, sed circa id cui cessit refunditur, sic animus, qui ex tenuissimo constat, deprehendi non potest nec intra corpus effligi, sed beneficio subtilitatis suae per ipsa quibus premitur erumpit. Quomodo fulmini, etiam cum latissime percussit ac fulsit, per exiguum foramen est reditus, sic animo, qui adhuc tenuior est igne, per omne corpus fuga est. [9] Itaque de illo quaerendum est, an possit immortalis esse. Hoc quidem certum habe: si superstes est corpori, opteri illum nullo genere posse, [propter quod non perit] quoniam nulla immortalitas cum exceptione est, nec quicquam noxium aeterno est. Vale. TRADUZIONE Seneca saluta il suo Lucilio. Dovendo ritornare da Baia a Napoli, senza fatica ritenni vero che vi sarebbe stata una tempesta per non sperimentare di nuovo la nave; ma la strada fu tanto piena di fango che nondimeno mi era possibile immaginare di star navigando. Quel giorno dovetti patire per intero il fato degli atleti: dopo l'unguento, ci colse la polvere nella Crypta Napoletana. Nulla è più oscuro di quella prigione, nulla è più oscuro di quelle torce che ci servono non per vedere attraverso le tenebre, ma le tenebre stesse. Del resto, se pure il luogo avesse una fonte di luce, la ruberebbe la polvere, insopportabile e molesta anche all'aperto: che dire di lì dove turbina su sé stessa, ed essendo al chiuso senza alcuna apertura, ricade sugli stessi da cui è sollevata? Abbiamo sopportato allo stesso tempo due inconvenienti tra loro opposti: sulla stessa strada, nello stesso giorno, siamo stati afflitti da fango e polvere. Tuttavia, quell'oscurità mi ha dato qualcosa su cui riflettere: ho avvertito una sorta di colpo all'animo e, pur senza paura, un cambiamento che aveva provocato la bruttura e allo stesso tempo la novità di quell'insolita situazione. Non ti parlo ora di me stesso, che sono molto lontano dall'essere un uomo accettabile, né tantomeno perfetto, ma di colui sul quale la fortuna ha perduto il suo giogo: anche l'animo di costui avrà timore, il suo colore muterà. Infatti, mio Lucilio, a tali cose nessuna virtù può sottrarsi; la natura l'ammonisce della sua mortalità. Dunque tenderà il volto davanti a cose tristi, inorridirà dinanzi gli imprevisti, gli si annebbierà la vista, se anchilosato alla soglia di una voragine guarderà la sua vasta altezza: questa non è paura, ma la naturale affezione della ragione inespugnabile. Perciò certi uomini forti e prontissimi a versare il loro sangue non riescono a vedere quello altrui; alcuni cedono e si perdono d'animo alla vista e alla medicazione di una ferita recente, altri di una vecchia e purulenta; altri ancora ricevono una ferita di spada con meno agitazione che a vederla. Dunque sentii, come dicevo, non un turbamento, ma un'alterazione: poi, alla prima vista della luce ritornata, mi ricolse la vivacità, inaspettata e non ricercata. Infine, cominciai a dire a me stesso quanto scioccamente temiamo certe cose di più, certe di meno, quando la fine di ogni cosa è la medesima. Cosa importa infatti se si rovesci su qualcuno la garitta delle sentinelle o una montagna? Nulla troverai. Tuttavia alcuni temeranno di più questa catastrofe, anche se l'altra è ugualmente mortifera; dunque la paura concerne non l'effetto, ma la causa. Pensi ora che io parli seguendo gli Stoici, che ritengono che l'anima di un uomo schiacciato da un grande peso non possa conservarsi e subito si sparga, poiché non le fu libera la via di fuga? Io davvero non lo faccio: quelli che sostengono ciò mi sembrano sbagliare. Come una fiamma non può essere oppressa – infatti si spande intorno a ciò da cui è pressata –, come l'aria non è lesa da una percossa o un colpo, e nemmeno si scinde, ma si ridiffonde intorno a ciò che è avanzato; così l'anima, che consta della materia più sottile, non può essere catturata o distrutta nel corpo, ma grazie alla sua sottigliezza erompe proprio tramite ciò da cui è compressa. Come per il fulmine, anche quando cade e illumina in un largo spazio, vi è una via di ritorno attraverso un piccolo foro, così per l'anima, che è ancora più sottile del fuoco, vi è una fuga in ogni corpo. Dunque bisogna chiedersi ciò, se possa essere immortale. Considera questo certo: se sopravvive al corpo, non può essere annientata da nulla, di nessun genere, poiché l'immortalità non ha eccezioni, né vi è qualcosa di
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