Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Senza casa e senza paese- Profughi europei nel secondo dopoguerra di Silvia Salvatici, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Sintesi del libro per esame di storia contemporanea con Bonomo

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 22/06/2018

Caiara
Caiara 🇮🇹

4.7

(56)

28 documenti

1 / 29

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Senza casa e senza paese- Profughi europei nel secondo dopoguerra di Silvia Salvatici e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! INTRODUZIONE 1.IL SECOLO DEI RIFUGIATI L'esilio di uomini e donne, costretti a lasciare la propria terra natia per cercare rifugio altrove, accompagna la storia dell’umanità fin dai tempi lontani. Solo nell’Europa dell’età contemporanea i profughi vengono definiti come tali e diventano un problema di politica internazionale, che i fluisce sul rapporto fra stati. È il 20°secolo a segnare una svolta in tal senso. I percorsi delle migrazioni forzate si moltiplicano, come le persone costrette ad attraversare i confini del proprio paese. L'inizio di ciò è segnato dalle guerre balcaniche (1912/13): il ritirarsi dell'impero ottomano dal continente europeo e il definirsi di un sistema di stati-nazione nella regione dei Balcani implicano lo spostamento indotto con la forza di centinaia di persone. Il fenomeno esplode con il primo conflitto mondiale. Verso la metà degli anni 20 Sul continente europeo sono 9 milioni e mezzo le persone che sono state vittime di trasferimenti forzati. Gli esodi e le espulsioni , insieme alle votazioni segnano poi volto della seconda guerra mondiale , come conseguenza della andamento militare del conflitto. Neppure nel 1945 la conclusione della guerra coincide con la fine delle mie reazioni forzate: basta pensare ai circa 12 milioni di tedeschi che vengono espulsi dalle regioni orientali e costituiscono il soggetto principale di quella distribuzione di gruppi etnici senza precedenti nella sua portata che ha luogo proprio negli anni postbellici. Il secondo conflitto mondiale e l'immediato dopoguerra vedono il più massiccio drammatico movimento di popolazione in fuga sperimentato in Europa e senza dubbio giocano un ruolo fondamentale nel fare del 900 Il Secolo dei rifugiati, denominato come tale già nel 1959 in riferimento alle vicende del vecchio continente. Chi cerca sì lo lontano dei giochi di residenza abituale non solo è senza una casa , ma anche senza un paese, ovvero ha deciso il legame morale legali che stanno alla base del rapporto fra gli individui e lo Stato. 2.DALLA SOCIETÀ DELLE NAZIONII ALL'ANCUR Il corso del 900 gestire la questione dei rifugiati diventa dote si specifici soggetti intergovernativi. Si tratta di organizzazioni chiamate a rispondere alle esigenze immediate, che tentano di promuovere politiche comuni, di stabilire principi condivisi, di definire una normativa volta a tutelare le vie di fuga dei perseguitati. I primi passi vengono mossi sotto il mandato della Società delle Nazioni (Sdn), che istituisce la figura dell’Alto commissario per i rifugiati. L’agenzia intergovernativa incaricata di mantenere la pace nell’Europa post- bellica non stabilisce attraverso una definizione generale chi sono i rifugiati, ma attribuisce tale status a gruppi di persone che si trovano fuori del proprio paese non godono della sua protezione. È la mancanza di tutela di uno stato ad apparire come una preoccupante frattura dell’ordine internazionale. Le risoluzioni della Società delle Nazioni sono pensate come misure provvisorie per un’urgenza momentanea, sulle quali Grava la difficoltà di ottenere la collaborazione dei singoli membri. Nel 1938 i paesi ammessi alla conferenza di Evian, promosso dagli Stati Uniti per discutere della questione dei rifugiati ebrei, istituiscono l'Intergovernmental Committee on Refugees (Igcr), un’organizzazione indipendente chiamata a negoziare sia la fuoriuscita di Uomini e Donne con le autorità tedesche, sia l’aumento delle quote di ingresso con i potenziali paesi di arrivo. L’Iter resta operativo per tutta la durata della guerra, ma poi si mostrerà debole e incapace di avere la meglio sulla mancanza di volontà dei singoli governi di concordare una soluzione condivisa per accogliere le persone in fuga dallo sterminio. Con il secondo dopoguerra i profughi diventano competenza delle Nazioni Unite, attraverso agenzie temporanee. Fino al 1947 se ne occupa la United Nations Relief and Rehabilitation Administration (unrra), incaricata di fornire un sostegno alle popolazioni colpite dalle vicende belliche, poi l’International Refugee Organization (iro) riceve il compito di trovare una soluzione definitiva. La seconda metà degli anni 40 si rivela un periodo di transizione verso la costituzione di un regime internazionale che non ha più carattere provvisorio. Alla vigilia della dissoluzione del terzo Reich gli Anglo-Americani denominano displaced person “tutti i civili che si trovano fuori dai confini del proprio paese per motivi legati alla guerra”. Viene così indotto un neologismo destinato a diventare un nome largamente usato per indicare l’esodo in massa di persone che cerca asilo. Le polemiche nei confronti della denominazione displaced person vengono sollevate in primo luogo da una parte di coloro a cui viene attribuita. Queste persone rivendicano il riconoscimento della propria condizione di perseguitati. La maggior parte di coloro che entra a far parte della nuova categoria dei DPs sono gli ex deportati ai lavori forzati nella Germania di Hitler. Negli anni della guerra per molti di loro la deportazione si era conclusa con la morte all’interno dei campi di concentramento e per gli ebrei era culminata nello sterminio. In questa categoria rientrano poi i civili che nel corso del conflitto avevano abbandonato i luoghi abituali di residenza per sfuggire all’avanzata degli eserciti nemici. La maggioranza dei profughi provenienti dai fronti di combattimento che alla fine del conflitto possono conseguire lo status di DPs è quindi costituita da cittadini dell’Europa orientale, approdati nel cuore del terzo Reich ormai ridotto in macerie. La questione dei profughi appare dunque centrale per la ricostruzione europea, che a sua volta rappresenta un problema mondiale: la stabilizzazione del vecchio continente è considerata indispensabile per scongiurare nuovi conflitti globali. Anche per questo la moltitudine dei displaced è definita la più pericolosa bomba a orologeria lasciata da Hitler. È indispensabile individuare un piano per la risoluzione definitiva del problema. Inizialmente l’unico obiettivo perseguito dagli alleati è il rimpatrio, poi le centinaia di migliaia di persone che non intendono tornare nei loro luoghi di origine impongono il ricorso all’emigrazione massiccia dei profughi verso altri paesi dell’Europa occidentale e soprattutto oltreoceano. Tra il 45 e il 51 le decisioni che riguardano le displaced persons restano di competenza delle autorità Anglo- Americane, le quali mantengono nelle due zone una linea di condotta generale pressoché identica su ogni singolo aspetto del problema, una linea che con la fondazione della repubblica federale tedesca viene ereditata dalla Allied high Commission for Germany. A occuparsi della popolazione profuga non sono soltanto i militari, ma una molteplicità di soggetti diversi. Le agenzie dell’ONU, che su mandato dell’amministrazione alleata assumono la conduzione dei centri collettivi, forniscono assistenza sanitaria, provvedono ai ricongiungimento familiare e infine gestiscono i programmi di emigrazione dei profughi per i quali non si è potuto procedere al rimpatrio. Un ruolo di primo piano viene assunto dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, che svolgono le loro attività sulla base di accordi specifici con le forze di occupazione britanniche e statunitensi, le quali mantengono il proprio potere decisionale su tutte le operazioni. Il rapporto di subordinazione alle autorità militari è più netto per quanto riguarda l’unrra, mentre l’iro è dotato di una maggiore autonomia, soprattutto in virtù dell’incarico specifico che ha ricevuto dall’assemblea generale dell’ONU, ovvero la sistemazione di tutti i profughi che rifiutavano il rimpatrio nei paesi occidentali disposti a riceverli. Prima l’unrra e poi l’iro oppongono al pragmatismo degli alleati un programma di ispirazione umanitaria, affidato agli operatori e alle operatrici che costituiscono il primo corpo professionale indirizzato all’aiuto internazionale. I due diversi approcci convergono su alcuni criteri di fondo, funzionali a mantenere un costante controllo sulla moltitudine dei displaced, incoraggiandone prima il rimpatrio e poi la preparazione per il resettlenent. A partire da questi presupposti si opta per la classificazione della popolazione profuga in base alle nazionalità, per la gestione dei campi come spazi separati dal contesto circostante. Tuttavia le tensioni fra gli organismi dell’ONU e i governi militari contribuiscono a gravare l’amministrazione del displacement di ambiguità, di disuguaglianze tra una località e l’altra. L’unrra e l’iro concordano con le autorità militari sulla necessità di coinvolgere i DPs in attività produttive attraverso le quali possono ripagare l’assistenza ricevuta. Gli alleati irrigidiscono progressivamente le pressioni esercitate sulle displaced persons per ottenere la piena occupazione, fino a ipotizzare misure di costrizione nei confronti di coloro che rifiutano un qualunque tipo di reclutamento. I rappresentanti delle Nazioni Unite, invece, vedono favorevolmente l’utilizzo degli incentivi per spingere i profughi a lavorare e anche il ricorso a provvedimenti punitivi ad hoc per color che non intendono adempiere al loro dovere. Naturalmente sono le autorità militari a stabilire le norme che regolamentano l’attività lavorativa dei profughi, ma l’unrra si propone di mitigare al massimo e in tutti i modi possibili ogni durezza nell’applicazione. L’opera di mitigazione è demandata a coloro che lavorano sul campo e dipende dalle modalità in cui essi la interpretano, dal loro grado di autonomia rispetto alla supervisione dell’esercito. Agli abitanti dei centri collettivi giungono messaggi contrastanti, che possono tradursi in risoluzioni diverse da una regione all’altra, o addirittura da un centro all’altro. I residenti dei centri collettivi designano i propri organi di autogoverno, stampano i loro giornali, realizzano iniziative culturali e ricreative, si occupano dell’istruzione di bambini e ragazzi. Tutto ciò rafforza i legami comunitari stabiliti in base alle appartenenze nazionali o religiose, per cui si chiede di essere riconosciuti non soltanto come displaced, ma anche come polacchi, baltici, ucraini o ebrei: pur tardivamente, questi ultimi riescono ad essere considerati come un gruppo distinto, che ha diritto ad avere i propri campi ed è registrato separatamente. CAPITOLO 1 - CHI SONO I <<DISPLACED>>? L'EREDITÀDELLA GUERRA E LE DISPLACED PERSON Programmando la loro avanzata da ovest a est gli Alleati avevano previsto di poter affrontare l'emergenza rappresentata dai profughi nei territori liberati e in quelli del Terzo Reich. L’occupazione di manodopera straniera nel Reich era iniziata dopo lo scoppio della guerra, prima su base volontaria e poi attraverso razzie. Ai lavori forzati erano riservati ai deportati per ragioni politiche o razziali. virgola dall’altro diventa il contesto privilegiato delle organizzazioni internazionali e di componenti precise degli organismi che amministrano la Germania del dopoguerra. Entrambi governi militari dedicano ai profughi uffici specifici, inoltre stabiliscono ai displaced una sezione della Civil Affairs Division (CAD), che ottine una posizione importante nella gestione del problema. I fatti nella sezione statunitense le maggiori responsabilità, per quanto riguarda i DPs, sono assegnate all’esercito, nella zona britannica ad assumere questo ruolo di rilievo è il governo e il British Army of Rhine mantiene compiti esecutivi. La questione dei displaced non è riconosciuta nella sua specificità soltanto negli organismi chiamati ad occuparsene, anche da una schiera di studiosi che la isano come oggetto di analisi. In alcuni casi essi compiono le proprie analisi su incarico delle Nazioni Unite. I profughi vanno a costruire un capitolo nella compilazione della storia dell'Unrra, sono al centro di un'indagine diretta allo studioso di politica internazionale Jacques Vernant. L’insieme delle ricerche propongono in una sorta di ritratto collettivo del DPs, diventati oggetto di conoscenza scientifica. Questo ritratto li raffigura nel contesto tedescoprotagonisti di un problema, la cui soluzione è importante per la realizzazione di un nuovo equilibrio politico internazionale. Le informazioni di queste ricostruzioni provengono spesso dai documenti messi a disposizione. ETÀ, SESSO E NAZIONALITÀ: LA COMPOSIZIONE DEI DPs Dopo la resa del Terzo Reich nella Germania occidentale attribuirono lo status di displaced tra i 6 e i 7 milioni. Nel luglio del 45, più della metà tornano a casa. A settembre risulta ancora più dimezzata, ma però la diminuzione si arresta e nell’inverno del 1946 i DPs sono poco più di 1 milioni. Ciò che impedisce le operazioni di rimpatrio non era solo un fenomeno temporaneo; Infatti un anno dopo le persone a chiedere l’assistenza dell'Iro sono ancora 800 mila circa. Il RESETTLMENT è un’operazione più complessa e lenta del rimpatrio, tanto che per dimezzare il numero dei DPs in attesa ci vogliono 2 anni. Quando il mandato dell’organizzazione scade, le persone ancora in attesa sono 68 mila. I dati con cui si controlla la presenza delle DPs in Germania occidentale, non possono essere interpretati nella prospettiva di una graduale decrescita dovuta prima rimpatrio e poi al resettlment. Infatti intervengono anche i fattori di mutamento demografico, con il tasso di mortalità è quello di natalità che subiscono un aumento tra i profughi. Ma ha un peso rilevante la lentezza delle procedure per il riconoscimento dei DPs, l’irregolarità dei tempi con cui lo richiedono. Nel rapporto mensile dell'Omgus pubblicato nel ottobre del 1945 il numero dei DPs diminuisce in misura minore rispetto alla quantità dei rimpatri effettuati. NAZIONALITÀ Gli accertamenti sulla nazionalità dei profughi vengono considerati necessari per affrontare la questione drl displacement. Una prima distinzione riguarda la divisione dell’Europa in 2 grandi aree geografiche, l'occidente e l'oriente, con la separazione dei DPs in WESTBOUND e EASTBOUND. Le autorità militari britanniche ipotizzano lo smistamento degli occidentali e degli orientali, i primi si prevede un rimpatrio rapido, per i secondi si suppone un percorso di rientro più lungo. Per i westbound si progettano campi di transito è un supporto logistico per il viaggio, mentre per gli estbound si reputano necessari campi di accoglienza e un controllo sugli spostamenti. In effetti i displaced provenienti da paesi occidentali diventano rapidamente una minoranza. Il ritardo con cui gli ebrei vengono distinti nelle indagini affonda le proprie radici un intreccio fi ambiguità e contraddizioni, che agiscono su tutti i provvedimenti relativi ai displaced, connesse al contesto politico internazionale e hanno un peso Soprattutto sulle scelte britanniche. Il principio della nazionalità pone subito gli alleati di fronte a un dilemma: Si chiedevano se la popolazione ebraica potesse essere considerata separatamente dalle diverse comunità nazionali. Inizialmente si opta per una risposta negativa gli ebrei sono conteggiati insieme agli altri profughi. Gli ebrei dovevano essere trattati in base alla loro nazionalità piuttosto che come una razza o una setta religiosa. Da parte degli americani, si registra una diversa presa di posizione già nell’agosto del 1945, a seguito del rapporto Harrison sulla situazione dei sopravvissuti ai lager nazisti. In questo documento il rappresentante USA dell’ Intergovernamemtal Committee on Refugees a denunciare le misere condizioni di vita dei superstiti della shoah. Queste raccomandazioni vengono accolte dal presidente Truman e conducono alla decisioni delle autorità militari americani di adottare provvedimenti specifici per i DPs ebrei. Ciò nonostante le autorità americane li equiparano ad DPs e riservano loro lo stesso trattamento. Sì introduce un limite ad quem e il riconoscimento dello status displaced viene negato a tutti coloro che hanno fatto il loro ingresso nella zona Usa dopo il 21 aprile 1947. Il flusso dall’Europa orientale le diverse politiche adottate dagli alleati hanno effetti significativi sul profilo complessivo dei profughi ebrei che risiedono nei campi della germania. In primo luogo essi si concentrano larghissima misura nella zona americana, imprimendo un carattere specifico ai displaced presenti in questa regione e contribuendo a renderli assai più numerosi di quelli amministrati dagli inglesi. In realtà il disorientamento generato dall’ incapacità di far concordare un medesimo sottogruppo con stati nazionali diversi, finisce per tramutarsi in un’opportunità per coloro che cercano di sfuggire al rimpatrio, e si dichiarano polacchi anche se i loro luoghi di origine erano esclusi entro le frontiere dell’URSS già prima della guerra. Il rifiuto di essere considerati i sovietici e divenire consegnate rappresentanti dell'orso, è l'espressione estrema di una più generale richiesta da parte di DPs ucraini di essere identificata come un gruppo Nazionale distinto. Quella sollevata non è una mera questione di nomenclatura è proprio per questo alla fine si propone di modificare il sistema vigore limitandosi a specificare dopo l'indicazione della cittadinanza quando si tratta di un DPs ucraino, ma utilizzando il termine generico ukranians per indicare l’insieme di questo gruppo di profughi. Inoltre, si afferma che questo tipo di soluzione viene già praticata sul campo, poiché la negazione di ogni forma di riconoscimento degli ucraini non è di fatto perseguibile. Tra la popolazione Profuga Lo spettro delle appartenenze delle nazionalità risulta Dunque ampio, i militari e le organizzazioni internazionali amministrano polacchi, baltici, ebrei, ucraini, russi, cecoslovacchi, e l’elenco sarebbe più lungo se fosse possibile menzionare tutte le nazioni rappresentate nelle eterogenea categoria degli altri. La suddivisione per nazionalità costituisce senza dubbio uno dei cardini nella rappresentazione quantitativa dei displaced, assai più irregolare e frammentaria è la rivelazione di dati che riguardano sesso ed età dei profughi. L’andamento complessivo è quello di una maggiore presenza maschile, riconducibile ai vari fattori che concorrono all’origine del displacment. In primo luogo le persone condotte dai nazisti a lavori forzati sono in larga misura uomini, e anche tra i sopravvissuti alla Shoah la percentuale maschile maggiore. Dopo l’arrivo dell'IRO, l’analisi della composizione dei DPs diventa più capillare e il sesso viene a costituire una variabile costante nelle indagini. La popolazione Profuga non è soltanto più maschile, ma è anche marcatamente più giovane. La figura del giovane maschio resta per lungo tempo tipica dei displaced, ma con il loro diventare hard core essa perde rappresentatività e cede il passo ad una maggiore presenza di figure anziane. Si tratta di un mutamento significativo, che pone autorità militari e organizzazioni internazionali di fronte alla necessità di pensare a provvedimenti specifici e a rivedere le priorità del proprio lavoro. Per questo nella primavera del 1948 la Croce Rossa britannica conduce un’indagine sulle persone di oltre 60 anni che ancora si trovano nei campi, rilevando informazioni sulle loro condizioni fisiche, le eventuali occupazioni in cui sono impegnati, il loro stato di famiglia, ma anche i desideri con cui guardano al futuro. Ne emerge che tutti vorrebbero emigrare altrove, molti sono in buona salute, Qualcuno lavora all’interno del campo e non pochi vivono da soli. Questa condizione di solitudine sembra essere conseguenza dell’allontanamento dalla propria famiglia a causa della guerra, e poi delle selezioni per i progetti di resettlement. Gli adulti soli costituiscono un altro soggetto di interesse specifico per l’Iro, ma si arriva alla conclusione che nei campi vi è una preponderanza di famiglie, e ciò è una considerazione che sorprende, poiché la deportazione solitamente non ha mantenuto uniti i nuclei familiari e anche la fuga è stata per molti un’esperienza individuale. Questo accade Perché alcuni membri della stessa famiglia si ricongiungono all’interno dei campi, Grazie allo sforzo compiuto in tal senso dalle autorità militari. Infine, all’interno dei campi si formano moltissime nuove coppie e l’elevato numero di matrimoni costituisce un fenomeno di rilievo già nei mesi successivi alla liberazione. Tuttavia negli anni successivi la tendenza si inverte e Nel 1950 il numero delle persone sole risulta nettamente in crescita. Questa variazione é dovuta a un cambiamento di impostazione dei programmi di resettlement, che adesso prevedono più massicciamente l’emigrazione di interi nuclei familiari. Insieme al moltiplicarsi dei matrimoni, uno dei fattori che contribuisce a modificare profilo del displacment nell'immediato dopoguerra è l'esplosione delle nascite. Una spiegazione sbrigativa di ciò è il desiderio di guardare oltre le perdite con il bisogno di riprendere possesso dei propri corpi, ma anche con l’urgenza di restituire una dimensione di normalità alla propria esistenza, soprattutto laddove il susseguirsi dei matrimoni e delle nascite segue l’esperienza indicibile dell’essere sopravvissuti allo sterminio. I dati sulla composizione della popolazione Profuga sono inevitabilmente frammentari e lacunosi, Dunque permettono solo in parte di mettere a fuoco le diverse figure che abitano i campi. Tuttavia essi consentono di osservare che i displaced non rappresentano affatto un soggetto collettivo omogeneo è immutabile, le cui peculiarità sono dovute esclusivamente all'allontanamento dal paese di origine e restano uguali a se stessi. Viceversa, il profilo dei DPs ci appare eterogeneo è mutevole, perché la popolazione Profuga è attraversata da processi di trasformazione riconducibili sia agli usuali eventi demografici, sia alle politiche messe in atto dagli organismi preposti alla sua gestione. CHE COSA SIGNIFICA ESSERE DPs? Essere riconosciuti come displaced person significa avere diritto di risiedere all’interno dei centri collettivi e ricevere tutti i servizi che questa prevede: assegnazione di un alloggio, abiti e cibo, assistenza sanitaria e legale, scuole e corsi di formazione, attività ricreative. Le assegnazioni di questi servizi Dipende dalle condizioni delle strutture, dalla disponibilità di scorte di vestiario e prodotti alimentari, dalla presenza di personale e in particolare di quello dotato delle necessarie qualifiche. Una delle questioni più problematiche è quella delle razioni alimentari, non solo per quanto riguarda le differenze tra la realtà delle provviste e le quantità stabiliti sulla carta, ma anche per la loro variazione nel corso del tempo e per il ruolo che si acquisiscono nel sancire il diverso status displaced. L’alimentazione costituisce un problema centrale per molti di loro, la fame rappresenta una delle violenze inflitte dal nazismo virgola sofferte durante la guerra. L’arrivo degli alleati dovrebbe poter coincidere anche con la liberazione della carenza di cibo, mani lunghi anni del dopoguerra i beni di prima necessità continuano a scarseggiare, il problema è in tutti i paesi europei, ma nella Germania devastata dalle vicende belliche si manifesta in forma particolarmente acuta. Nella primavera del 1945 le autorità militari sono convinti della necessità di assicurare ai DPs reazioni più sufficienti ai bisogni nutrizionali, da una parte per provvedere in maniera adeguata a uomini, donne e bambini, dall’altra per segnare il distacco con il passato regime. Le ragioni umanitarie e politiche si intrecciano nella decisione sulle calorie utili da destinare ai profughi. Si stabilisce così che gli displaced abbiano diritto a una distribuzione giornaliera di base pari a 2 mila calorie, quantità più elevate spettano ai militari, alle madri durante l’allattamento e agli Ebrei sopravvissuti allo sterminio. La razione garantita dalla DP card è superiore a quella che le autorità locali dovrebbero assegnare ai cittadini tedeschi dietro presentazione della Kennkarte; questa differenza vuole sottolineare il diverso ruolo riconosciuto ai possessori dei 2 documenti rispetto al conflitto appena concluso: vittime gli uni, carnefici gli altri. Ha un gruppo specifico di displaced dovrebbe in teoria spettare un trattamento ancora diverso; con gli accordi di Yalta, Stati Uniti e Gran Bretagna si garantisce ai DPs sovietici migliori condizioni di alloggio, di alimentazione e di assistenza sanitaria; questi accordi suscitano reazioni negative tra le autorità militari che dovrebbero applicarle e lamentano la mancanza di provviste adeguate, Le possibili tensioni con i profughi di altre nazionalità. Non vengono presi provvedimenti, e nei campi l'essere sovietici e polacchi continua a non fare alcuna differenza. Il passare del tempo porta dei cambiamenti per quanto riguarda le razioni alimentari dei DPs. Nel maggio del 1946 la distribuzione giornaliera di base viene portata a 1850 calorie, e pochi mesi più tardi viene discussa l'operazione di un'ulteriore riduzione. Gli elementi che vengono presi in considerazione né valutare l’opportunità o meno di ridurre ancora le reazioni sono diverse. In parte riguardano le difficoltà di provviste, destinate a diventare più acute, quando la Germania e dopoguerra attraversa la sua più grave crisi alimentare. A favore di questa riduzione è la convinzione che esso sia necessario per indurre i profughi a prendere parte ai programmi di occupazioni promossi dalla CCg, Tuttavia un ulteriore ribasso porterebbe le calorie destinati ai DPs al pari di quelle previste per la popolazione locale, annullando la differenza di status. L’accostamento tra profughi e tedeschi viene considerato un elemento temibile. Il fatto che di DPs perseguitati dai tedeschi vedano e loro reazioni portate allo stesso livello di quelle dei loro ex persecutori susciterebbe forti proteste. Il possesso della di DP card continua ad essere un requisito per avere diritto a un miglior trattamento alimentare, ma non è più sufficiente, perché bisogna aver acquisito anche lo status di lavoratori e lavoratrici. Secondo i funzionari dell' organizzazione internazionale, i nuovi parametri non sono idonei ad assicurare buone condizioni di salute ai profughi, perché la quantità di calorie assunte è sempre inferiore a quella ufficialmente prevista, un po’ per la scarsità di alcuni prodotti e un po' per la cattiva qualità del cibo distribuito. I DPS non godono più del favore che gli era stato riservato subito dopo la guerra, mentre i tedeschi hanno conquistato la fiducia delle forze militari, messa alla prova nel rinviare la questione del displacement e delle rifiuto del rimpatrio, sempre più ben disposte verso la popolazione locale. Se gli studiosi si interrogano sulle emergere di una nuova morale, per le autorità militari la violazione delle regole corrisponde invece all'emergenza della criminalità, che nel corso degli anni resta un problema di primo piano nell'agenda dell'amministrazione alleata, perché la questione dei reati commessi dai DPS non riguarda soltanto la salvaguardia dell’ordine e della disciplina all’interno dei campi, ma anche il rapporto con gli abitanti e con le istituzioni locali. Le infrazioni più contestate, come il furto e il mercato nero, avvengono i danni o comunque coinvolgono la popolazione tedesca, che nella denuncia della criminalità trova uno dei suoi tenaci argomenti di polemica contro i displaced. Tuttavia l’identificazione del DPI con il criminale sembra essere dettata dall’ansia tedesca di infrangerle l’immagine di mera vittima. Immagini che viene chiamato a giustificare i maggiori diritti del displaced sulle scarse risorse disponibili e proietta sugli abitanti della Germania delle responsabilità che essi rigettano. Talvolta si esprime preoccupazione per un maggior livello di criminalità tra i profughi, mentre in altre occasioni si afferma esattamente il contrario; a prevalere sembra la sensazione di allarme, rafforzata dalla convinzione che l’ ozio e l’indolenza in cui sprofondano gli abitanti dei campi conducano più facilmente alla pratica dell’illegalità. Le inquietudini dei militari e l’insofferenza dei tedeschi convergono, avvalorando immagini del displaced malfattore; un immagini che finisce per unire antichi e nuovi pregiudizi, come la ripresa del vecchio stereotipo dell’ebreo avaro commerciante, che trova una sorta di continuità nelle polemiche sull’esercizio del mercato nero attribuito ai DPs. CAPITOLO 2- IL POPOLO DEI CAMPI Spostamenti e cambiamenti di status da un lato contraddicono l’immagine di popolazione Profuga passivamente appiattita sulla statica vita dei campi, affetta da una inattività, da uno scarso senso di responsabilità ed ha una ridotta capacità di prendere decisioni. Dall’altro lato si elevano non pochi interrogativi sulla portata effettiva delle politiche degli Alleati, che puntano al contenimento dei DPS entro uno spazio separato, riducendone e controllando nei movimenti. Resistenza di un circuito interno nei campi risultante per esempio dalla combinazione delle proprie competenze con le esigenze degli organismi preposti alla gestione dei profughi o con le occasioni offerte dalle numerose attività che si sviluppano nei centri collettivi. LA COSTELLAZIONE DEI CENTRI COLLETTIVI L’idea di creare un insieme di centri collettivi Destinati alla residenza dei profughi e condivisa dalle autorità militari fin dal principio. Le passate esperienze hanno un peso specifico sulle soluzioni adottate dagli Alleati per provvedere ai DPS. La richiesta luoghi separati e militarmente protetti finisce per richiamare i campi di concentramento del Terzo Reich. Questo parallelismo è molto temuto dai militari, poiché offusca il loro ruolo di liberatori e introduce il sospetto di una continuità con il passato, rispetto al quale si vuole invece enfatizzare la rottura. Sono queste le ragioni che spingono l’esercito britannico nell’aprile del 1945 a ritenere improponibili e l’utilizzo del filo spinato per separare i centri di residenza dei DPS dal territorio circostante. Che tipo di recinzione Sarebbe uno strumento efficace per portare a termine con successo le operazioni e disarmo, ma rappresenta un simbolo troppo potente della vergogna dei campi di concentramento. Ne il filo spinato è immediatamente estratto in tutti i campi profughi, ne viene meno la tendenza a paragonare questi ultimi con i luoghi di detenzione del nazismo: è un raffronto che fanno gli stessi di DPs, lamentando le cattive condizioni all’interno dei centri collettivi. L’idea di una continuità con il passato viene peraltro fatta propria anche dagli studiosi. Il rapporto controverso con il nazismo non esaurisce però la questione dell’eredità che gli alleati ricevono dalle precedenti esperienze interne. I militari stessi guardano con interesse nell’intento di utilizzare le competenze già acquisite per progettare i centri collettivi deputati ad accogliere i profughi con il procedere della avanzata sui territori del Terzo Reich. La scelta di radunare i DPS in aree residenziali separate, non è semplicemente in posta dalla situazione di emergenza, ma corrisponde anche all'intento di mantenere sui rifugiati una vigile sorveglianza. ASSEMBLY CENTERS, OVVERO CASERME, BARACCHE, CASE E FATTORIE Il progetto degli Alleati Trova uno dei tuoi punti di partenza nel tentativo di dare High DPS una vera e propria definizione. La guida che lo Shaef diffonde nel maggio del 1945 allo scopo di aiutare tutti coloro che sono incaricati di provvedere al problema dei DPS in Germania assegna una denominazione ufficiale alle aree di sistemazione istituite per l’assistenza temporanea dei profughi, Assembly Centers. Si sceglie un nome generico, preferibile a campi, che rimanda alla realtà dei campi di concentramento nazista. Una definizione analoga viene contemporaneamente fornita dall’Unrra, l’Assembly Center all’interno di un piccolo glossario con cui si danno nomi specifici anche a tutta una serie di strutture collaterali, che vanno dai Collecting Points ai Transit Points, deputati la raccolta e all’assistenza dei DPS prima e durante il trasferimento nelle sedi a loro assegnate. Restano in superate Le incongruenze tra le definizioni messe a punto ufficialmente, l’uso concreto che ne viene fatto da militari o civili operativi nel settore e l'eterogeneità in realtà dei luoghi di residenza displaced. In molti casi la struttura evocata è quella di una ex caserma delle Forze Armate tedesche, danneggiata dai bombardamenti e riadattata per l’accoglienza dei DPs. La drammaticità dell’emergenza viene meno con l’andar del tempo, Ma il problema resta, nei termini della mancanza di ogni spazio di intimità personale o familiare. Le autorità restano preoccupate soprattutto da una promiscuità che può incidere in maniera indelebile sui costumi di uomini e donne costretti a risiedere a lungo all’interno degli Assembly Centers. Quegli stessi lamentano il fatto di non poter dar seguito alla proprie iniziative personali, soffocate dalla condivisione forzata di tempi e spazi con gli altri abitanti del centri. Strutture come quella della Reinhadt Kaserne rendono inevitabile la condivisione della quotidianità. Tra i luoghi di incontro compaiono quelli dedicati alla pratica dei culti religiosi. Due grandi garage vengono trasformati in chiese, una greco-ortodossa e l'altra greco-cattolica. Altri locali adibiti all’uso pubblico, come la scuola, la mensa, l’ambulatorio e l'ospedale, nelle ex caserme vengono riallestiti nei fabbricati prima destinati a questa stessa funzione. Anche gli spazi esterni sono connotati dalle diverse attività collettive. Le strisce di terreno su cui crescono un po’ di ortaggi e qualche albero da frutto restano angoli restanti nell’economia complessiva del campo. Lo spazio esterno nel quale pulsa la vita comunitaria è il grande cortile interno al quale si collocano gli edifici. In questi cortili ci si riunisce per le questioni importanti, per le celebrazioni di eventi politici o religiosi, per le manifestazioni musicali e sportive, per le dimostrazioni di protesta o per incontrare gente ed essere informati sulle ultime novità. Sono questi cortili che diventano la sede e il simbolo della vita collettiva della popolazione degli Assembly Centers. Oltre a riutilizzare i vecchi edifici militari, gli alleati riadattano per i DPs gli alloggi destinati ai Lavoratori dell’industria durante il Terzo Reich, che vanno dai villaggi operai nei quali hanno risieduto anche i tedeschi, ai campi costruiti per i deportati dell’Europa orientale. Le condizioni di partenza degli Assembly centers Centers organizzati all’interno dei vecchi villaggi per gli operai delle fabbriche tedesche sono migliori. Il percorso di trasformazione dei campi di concentramento in centri permanenti per i DPS riguarda un numero ridotto di casi, ma è senza dubbio più complesso è sofferto. Dal punto di vista della funzionalità, i locali rapidamente riadattati per raccogliere i sopravvissuti ha un errore che non si allontana troppo delle ex caserme, dai villaggi operai, ma il peso simbolico che essi suscitano che essi esercitano sui nuovi abitanti è inquietante. Solo in parte sembra poter essere alleggerito da una riorganizzazione complessiva della struttura, che risulta suddivisa in tre aree virgola denominate dai displaced stessi americana, britannica e russa. La divisione riflette la rappresentazione del campo come un paese dentro il paese, caratterizzata anch’esso da un complesso equilibrio tra le sue componenti interne che si randa all'occupazione degli spazi. Gli Assembly Centers assumono anche sembianze diverse da quelle delle caserme e dei campi. Il sequestro di qualunque struttura potenzialmente abitativa da parte delle forze di occupazioni non può che essere sentita dei tedeschi come un’ulteriore ferita. Dopo la guerra, agli occhi degli Alleati questa ferita va inflitta senza situazioni nei casi in cui sia ritenuto opportuno virgola poiché ribadisce la distinzione tra una popolazione locale su cui gravano le colpe della guerra e una popolazione Profuga che di quella guerra è stata solo una vittima. I militari ritengono legittimo il trasferimento dei VPS in abitazioni sottratte ai cittadini locali, ma non vi ritornano regolarmente perché preferiscono i grandi centri collettivi. Anche questo ricorso non sistematico produce un insieme eterogeneo di sistemazioni, distanti dal modello di riferimento delle autorità alleate è nello stesso tempo introducono una significativa varietà rispetto all'abituale raffigurazione dei luoghi di residenza dei profughi. L’allontanamento del tipo di soluzione sostenuta dalle autorità militari può anche spingersi a tal punto da far corrispondere alla definizione di Assembly Center semplicemente una fattoria abitata da qualche decina di persone. Si tratta di sistemazioni rare rispetto alle altre, ma indicative perché rappresentano la negazione di quella concentrazione dei profughi in grandi strutture abitative a cui guardano le politiche di intervento poste in atto nella Germania occupata. L’opera di razionalizzazione drl sistema complessivo dei campi, condotta con l'inizio delle attività dell'Iro, prevede la raccolta e la chiusura di piccoli insegnamenti. Nella zona americana vengono chiusi più di 40 Assembly Centers, e anche una diecina di fattorie. Le attività di riorganizzazione mettono a nudo una varietà di strutture abitate dai displaced che a lungo sono rimaste poco visibili nella documentazione ufficiale. GEOGRAFIE VARIABILI La frammentazione delle strutture contribuisce a rendere difficile la mappatura degli Assembly Centers nel loro insieme. Nei primi tempi non c’è chiarezza intorno alla definizione dei luoghi di residenza dei DPs e nelle rilevazioni si parla sia di Assembly Centers sia di campi. Delle volte hanno significati diversi. Non tutti i centri collettivi vengono affidati la gestione dell’Unrra o dell’Iro, per cui i dati dei militari e quelli delle organizzazioni delle Nazioni Unite finiscono per diventare discordanti. Un primo tentativo di ricostruire il quadro generale viene compiuto dallo Shaef nel maggio del 1945, e porta alla rilevazione di circa 180 strutture deputate alla residenza dei displaced. La loro distribuzione geografica lascia emergere una forte sottostima dei campi presenti nella zona occupata dagli americani. Nel 1947 il gruppo dei centri collettivi diminuisce in misura significativa, segno che l'opera di riorganizzazione con l'inizio delle attività dell’Iro ha portato a una riduzione delle strutture presenti in Germania occidentale: all'inizio del 1948 la nuova agenzia dell'Onu ne gestisce 420 circa. L’organizzazione di questa rete di centri collettivi poggia sull’individuazione di alcuni criteri specifici. Il primo ad affermarsi è quello della nazionalità. Il principio secondo il quale ogni Assembly Center deve corrispondere a una singola comunità nazionale è privilegiato dalle forza alleate che gli assegnano una posizione di primo piano nelle linee giuda per la gestione del displacment. La questione dei profughi viene affrontata, a partire dal fatto che la divisione di colore che provengono da un medesimo paese è considerata una condizione essenziale per favorire il rimpatrio. La suddivisione dei displaced per nazionalità accoglie le istanze dei rappresentanti dei giovani che rivendicano i profughi come<<propri>>. Infine entrano in gioco aspetti legati alla concreta amministrazione di ogni oggetto collettivo: se tutti i suoi abitanti parlano la stessa lingua, la questione del ricorso a interpreti e mediatori diventa più facile. L'organizzazione su base nazionale mostra da subito i suoi limiti. Il mancato riconoscimento delle nazionalità innesca forti tensioni che attraversano i campi, pima mettendone a rischio la disciplina, poi avviando processi più o meno rapidi di separazione. Si assiste a una prolungata rideterminazione dell’universo dei centri collettivi: il criterio di separazione delle comunità nazionali non riesce a concedergli stabilità. La realizzazione di una sorta di omogeneità interna stabilita in base ai luoghi di origine dei residenti non garantisce l'estinguersi Delle tensioni che percorrono gli Assembly Centers, determinate da altre appartenenze, come quelle religiose. Ma gli attriti interni alle comunità nazionali che gli Alleati temono di più sono di altra natura, rimandano a questioni prettamente politiche ed entrano direttamente in collisione con i programmi di gestione del displacement. La fattura più preoccupante è quella tra chi è intenzionato a rimpatriare e coloro che invece si oppongono a questa soluzione. Nel caso dei sovietici si tratta di una spaccatura che alle volte esplode in episodi di accesa conflittualità all’interno dei campi, perché i cittadini dell'Urss riconosciuti come tali possono e devono essere rimandati indietro anche contro la loro volontà. La questione si complica con i profughi polacchi, perché le divergenze rispetto al ritorno riflettono le incertezze dell'immediato dopo guerra, sia pe contrapposizioni politiche che si dispiegano intorno alle diverse ipotesi sul futuro del paese. I britannici guardano con preoccupazione la circolazione di 2 diversi e antitetici messaggi propagandistici: 1 proveniente dal governo provvisorio e proteso ad incoraggiare il ritorno; 2 promosso dai sostenitori del governo in esilio, volto a convincere i profughi polacchi che la soluzione migliore è restare in Germania. La preoccupazione degli inglesi riguardo i possibili scontri i sostenitori di queste due diverse soluzioni, convinto che lo scetticismo di coloro che prestano Maggiore attenzione agli oppositori del rimpatrio possa introdursi chi si è già dichiarato pronto a partire, inducendo Uomini e Donne a rimettere in discussione la loro decisione. Nel luglio del 1945 la PW&DP Division arriva ad ipotizzare l’allontanamento dei polacchi contrari al ritorno, in modo da impedire che il contratto con i cittadini di opinione diversa possa far loro cambiare idea. Anche nella zona americana si adattano provvedimenti simili, ma qui il trasferimento in campi separati è previsto per coloro che scoraggiano e rimpatrio dei propri connazionali. Questo operazioni appaiono subito difficili da mettere in pratica e perdono il senso nel corso del tempo, con lo svolgersi delle partenze verso est e l’aumento di posizioni contrarie al ritorno. Le decisioni prese dagli alleati in merito la divisione dei DPs a partire dalla loro posizione è rispetto al rimpatrio lasciano emergere l’incompatibilità tra la scelta di sistemare i profughi in base all’appartenenza nazionale, è l’esigenza di adattare l’organizzazione degli Assembly Centers i diversi obiettivi che l’amministrazione dei displacement sceglie di privilegiare. Molti displaced dovevano trasferirsi in altri paesi, poiché il loro ritorno a casa giusta va impraticabile, e dato che non sapevano la lingua e non avevano una professione vengono istituiti dei campi appositi per istituire lì che si trasformano in Vocational Training Schools. Si vengono a costituire veri e propri Resettlement Centers, dove i potenziali migranti sono sottoposti a esami medici, oltre a sostenere i colloqui Condotti dagli operatori dell'Iro e dai rappresentanti sia delle autorità militari siam dei governi che si apprestano a ricevere comunità dei persecutees e suscitano scalpore tale da indurre L’Eucom a presentare un nuovo regolamento, che ribadisce la subordinazione delle forze dell’ordine locali all’esercito occupante e riduce le loro possibilità di accesso ai luoghi di residenza dei DPs. L'invalicabilità dei confini dei campi viene così riaffermata, e il sorvegliarli all'esterno sembra diventare l'unica strada facilmente percorribile per chi non ha alcuna autorità all'interno di essi. A quadi 1 anno dall'entrata in vigore del nuovo regolamento, il responsabile Unrra Mainz-Kastel invia un rapporto ai propri superiori, lamentandosi degli appostamenti della polizia. La figura del poliziotto, in piedi davanti al campo, evoca l'immagine di una frontiera e chiamata a separare mondi successivi ma governati da norme differenti. Limiti territoriali dei campi Giocano un ruolo di primo piano anche nel conferire legittimità alle azioni collettive dei profughi, manifestazioni di protesta, che possono avere corso all'interno degli assembli centers, ma non sono autorizzate al di fuori di essi. Le misure prese contro lo sconfinamento delle manifestazioni organizzate dai DPs riflettono l'allarme per i possibili disordini, ma allo stesso tempo rafforzano la costruzione del campo chiamato a contenere la realtà del displacement. Altri motivi di sicurezza e ordine vengono adottati per chiamare l'attenzione sulla necessità di limitare e sorvegliare i trasferimenti da un centro collettivo all’altro. Nei primi mesi uno dei fenomeni considerati più preoccupante quello degli spostamenti massicci e incontrollati. Una volta effettuata la registrazione con i residenti e non specifico campo, i profughi possono ottenere il trasferimento ufficiale altrove soltanto per motivi di lavoro familiari. L'intento di mantenere un equilibrio nella distribuzione dei displaced sul territorio costituisce un ulteriore deterrente per l'autorizzazione dei trasferimenti. È particolarmente difficile riuscire a spostarsi verso l'area nella quale l'accumulo della popolazione Profuga è decisamente elevato. Nel settembre del 1947 l'Iro Ricorda a tutti gli operatori degli Assembly Centers che la zona è ad accesso limitato, Dunque l’arrivo di nuovi profughi per ragioni di lavoro è consentito solo nel caso in cui si tratti di figure professionali non reperibili in loco. D’altra parte il timore della concentrazione dei displaced in una medesima regione ha la meglio anche sulle motivazioni che vengono accolte, come il ricongiungimento familiare. In questo caso la severità con cui si applica la normativa per i trasferimenti da un centro all’altro finisce per imporre ai DPS nuovi separazioni. INTERNO ED ESTERNO: SPAZI COMUNICANTI Uno degli obiettivi che gli Alleati si propongono nell’organizzare le strutture destinate DPS è quello di eliminare ogni presenza tedesca. Le linee guida dello Shaef prevedono che esercito e Unrra debbano assumere soltanto personale proveniente dalla popolazione profuga, ma mettere in pratica ciò non è semplice. La ricerca delle competenze necessarie all’interno dei singoli campi non sempre da buoni risultati Ehilà richiesta di personale specializzato proveniente da altri centri collettivi implica lunghe procedure. Inoltre al personale internazionali operativo negli Assembly Centers le barriere linguistiche e culturali sembrano più facilmente superabile con i tedeschi piuttosto che con i polacchi, i baltici e gli ucraini. Senza dubbio non sono immediatamente reperibili tra i DPS tutti i medici, infermieri, contabile che servono in un certo luogo e in un determinato momento, assumere i tedeschi risulta più facile. Il trauma degli ebrei passa in secondo ordine di fronte alle soluzioni amministrative scelte dall’Unrra e dall'Iro: inizialmente si registrano episodi di resistenze scontri anche violenti, ma con il tempo persecutees finiscono per abituarsi, senza liberarsi di una differenza verso infermieri e dottori tedeschi. Il ricorso al personale locale non è dettata dall’emergenza del primo periodo, ma continua nel tempo nonostante le pressioni esercitate per spingere al lavoro gli abitanti dei campi e i programmi di formazione che vengono destinati loro. L’Iro richiede che almeno lo staff medico possa alloggiare nei centri dedicati alla sezione di Uomini e Donne desiderose di emigrare, in modo che le operazioni non subiscano rallentamenti dovuti alla carenza di personale. Le autorità militari mostrano resistenza, Tuttavia Nel giugno del 1948 la Ccg stabilisce che i campi possono ospitare le infermiere tedesche e che l’ospitalità possa essere estesa anche ai medici e alle loro famiglie, mentre tutti i dipendenti con altri qualifiche devono abitare altrove. L’impiego e la sistemazione nei campi dei dipendenti dei rischi risulta imbarazzante per gli organismi che amministrano i displacement. Non è un caso che i riferimenti al personale tedesco si hanno decisamente rari e accompagnati da un tono giustificatorio. Peraltro si è consapevoli del fatto che sul lungo periodo l'assunzione di tedeschi dipende dall'inclinazione a renderli lavorativi più affidabili rispetto ai displaced. A entrare in gioco è poi la pressione esercitata dalla popolazione locale, per la quale la vita che si svolge all’interno degli Assembly Centers costituisce una risorsa, di cui si cerca di beneficiare non solo Ottenendo un lavoro alle dipendenze degli alleati e delle Agenzie internazionali, ma anche attraverso la pratica di commerci e attività in lecite. Nel primo caso è l’ingresso ai campi e è autorizzato, passa per la porta principale e avviene alla luce del sole, nel secondo è clandestino, passa per vie secondarie e avviene nelle ore notturne. Accedono al campo irregolarmente le donne tedesche che si prostituiscono agli abitanti dei centri collettivi. Si tratta di un fenomeno diffuso, difficile da combattere e premonitore di temibili conseguenze dal punto di vista sanitario. Non resta che ribadire l' invalicabilità dei Confini dei campi, attraverso provvedimenti punitivi ai quali si attribuisce una funzione deterrente. L’arresto suggerito per le donne intende condannare tanto l’ingresso clandestino quanto la prostituzione in sé, mentre il divieto di ricevere sigarette vuole privare i DPS della merce di scambio che si utilizzano virgola con le quali pagano anche le prestazioni sessuali delle Giovani tedesche. Nel corso del tempo La paura per il possibile propagarsi delle malattie veneree si riduce notevolmente, Ma gli sconfinamenti illeciti delle donne locali non sembrano venire meno. La prostituzione delle donne tedesche è solo uno degli aspetti che mostrano come la realtà degli Assembly Centers non sia separabile dal contesto sociale ed economico nel quale essi si trovano. La questione del mercato nero torna frequentemente nei documenti dei militari britannici e americani, che denunciano il coinvolgimento dei DPS in questa attività in lecita. Le comunità dei profughi accusano i militari di ingigantire il problema, di dare credito alla campagna di criminalizzazione è mossa dai tedeschi nei loro confronti, di esercitare una pressione eccessiva su gli abitanti dei centri collettivi. Le autorità militari ritengono che i funzionari dell’Unrra siano complici dei DPS nei traffici che riguardano maggiori quantitativi di prodotti e si diffondono sul territorio. I responsabili dell'Agenzia delle Nazioni Unite ribattono che alcuni casi di singoli individui corrotti non consentono di colpevolizzare l’intero organismo. Intorno alla questione si scatenano accuse e meccanismi di difesa di cui è difficile valutare la fondatezza, Ma che rimandano alle inquietudini suscitate dal potenziale coinvolgimento dei profughi in attività illecite. Emerge la consapevolezza che le responsabilità dei DPS nei commerci illegali costituisce un falso problema, tutta la questione andrebbe riconsiderata nel più complessivo contesto dell’economia tedesca del dopoguerra. Ci sono considerazioni che muovono grosse quantità di merci, coprono distanze più ampie e coinvolgono reti stese di persone. Ma ci sono anche una miriade di piccoli traffici intrattenuti da gli abitanti dei campi con la popolazione di paese città immediatamente circostanti. Sono attività di scambio che hanno luogo diffusamente e si protraggono a lungo, producendo quel consueto mercato nero che viene frequentemente menzionato nei rapporti e si legge sulle diverse disponibilità di beni materiali dall’una e dall’altra parte dei Confini dei campi. A entrare e uscire illegalmente dagli Assembly Centers Oltre alle donne tedesche e i prodotti il mercato nero sono anche i loro stessi abitanti. Si è consapevoli del fatto che le partenze e ritorni non approvati ufficialmente sono tanto diffusi almeno quanto sono ostacolati. La loro temporanea riconquista della Libertà di movimento corrisponde a una grave violazione delle regole degli Assembly Centers e costituisce la premessa per lo scivolamento verso la pratica di attività illegali. A partire da questi presupposti la PW&DP Division britannica e mette nel marzo del 1948 un ordinanza ad hoc, tutti coloro che hanno lasciato i propri luoghi di residenza senza essere autorizzati verranno espulsi dopo 7 giorni dalla loro partenza e saranno riammessi soltanto nel caso in cui si tratti di hardship cases. Misure analoghe vengono estese a tutta la Germania occidentale dalla Allied High Commission. Il problema degli allontanamenti temporali resta all'ordine del giorno fino alla fine del sistema degli Assembly Centers. Se da un lato ci sono coloro che lasciano i campi senza essere autorizzati, dall’altro ci sono quelli che altrettanto clandestinamente Vi si trasferiscono. Anche il problema dei residenti illegali costituisce una sfida di lungo periodo alla gestione dei centri collettivi. Inizialmente è connesso alla situazione caotica con cui procedono le operazioni di registrazione. Allo stabilizzarsi delle compagnie degli Assembly Centers la questione degli abitanti clandestini perde di peso in quanto fenomeno diffuso, ma acquisisce più dimensioni in alcuni contesti specifici, come i centri nei quali abitano i displaced ebrei. Di fronte alle titubanze Alleati I sopravvissuti alla Shoah già residenti nei campi accolgono clandestinamente Uomini e Donne sfuggiti dall’antisemitismo esploso nei paesi dell’est, facendo pressione perché sia loro conferito lo status di DPs. Questa violazione è denunciata dai militari. Si ritiene che le residenze non autorizzate raggiungono proporzioni elevate da aggravare il sovraffollamento degli Assembly Centers, quanto gli insufficienza delle calorie pro capite lamentata da più parti. Gli ebrei che accolgono i nuovi arrivati dividono lo spazio in cui vivono virgola anche le proprie razioni alimentari. Quando americani e britannici riconoscono ufficialmente come displaced anche Coloro che sono approdati sul territorio tedesco dopo la fine della guerra, il numero degli irregolari si riduce notevolmente. Il fenomeno non scompare completamente e i funzionari dell'Iro continuano a imbattersi in e gli abitanti illegali degli Assembly Centers, mentre procedono al loro smantellamento e intensificano i programmi di resettlement. UNA MOLTEPLICITÀ DI SOGGETTI E DI RELAZIONI I rappresentati dell’esercito non sono gli unici ad occuparsi dei centri collettivi. I membri della sezione britannica della Croce Rossa e quelli di una delle più grandi associazioni cristiane, nota a livello internazionale, frequentano questo Assembly Center, con l’incarico di distribuire generi alimentari e vestiario, organizzare le scuole, promuovere attività ricreative. Ad accrescere le presenze esterne entro i confini del campo contribuiscono alcuni ufficiali russi che se ne vanno in giro alla ricerca di cittadini sovietici, suscitando un turbamento, sebbene si sappia che nessun polacco sarà costretto a rimpatriare contro la propria volontà. Civili e militari, Uomini e Donne di diversa nazionalità, tutori dell’ordine, dispensatori di assistenza o rappresentanti dei governi europei incaricati di far valere i diritti dei paesi di origine è sul destino dei DPs, sono tutte figure che esprimono l’attenzione della comunità internazionale verso la questione del displacement. PRESENZE SOLIDALI: LA RETE DEGLI AIUTI INTERNAZIONALI Alla fine della guerra non sono soltanto gli Alleati e le nazioni unite ad assumere la questione del displacement come una grave emergenza Umanitaria, anche centinaia di organizzazioni che lavorano a doversi titolo nell’ambito dell’assistenza sono pronte a far partire i propri Volontari della Germania. Le voluntary agencies mettono a disposizione competenze, mezzi, Uomini e Donne per lavorare all’interno dei campi si possono dividere in tre categorie: 1. Le associazioni confessionali, che si interessano più specificamente ai DPS di una specifica religione 2. Le grandi organizzazioni internazionali non confessionali, prima fra tutte la croce rossa, nelle sue diverse sezioni. 3. Numerose associazioni private, che sono espressione di singoli gruppi nazionali e si sono sviluppate a livello locale. Le autorità militari Sono consapevoli del fatto che l’insieme differente delle organizzazioni desiderose di intervenire costituisce una risorsa difficile da ignorare, ma valutano gli effetti collaterali in una simile scelta, che implica l’introduzione all’interno dei campi di soggetti considerati estranei al sistema complessivo di amministrazione del displacement. Lo Shaef prevede che il coinvolgimento di ogni voluntary agency venga sottomesso sia al rilascio di una specifica autorizzazione da parte dell'esercito, sia alla stipulazione di un accordo con l’Unrra. Il percorso di riconoscimento delle associazioni è spesso lungo e complicato, né tale riconoscimento viene ottenuto da tutti coloro che lo richiedono. Oltre a respingere numerose richieste di riconoscimento e a proibire le attività delle organizzazioni che hanno prima ricevuto il consenso ufficiale, il sistema di controllo adottato dagli Alleati comporta notevoli ritardi nell’avvio dei lavori da parte delle voluntary agencies che pure vengono autorizzate e la cui presenza è richiesta a gran voce dagli abitanti dei campi. Questa vergognosa situazione viene attribuita al inefficiente coordinamento dell'Unrra, ma anche all'atteggiamento delle autorità militari, che hanno opposto Resistenza all'ingresso dei rappresentanti dei voluntary agencies. Gradualmente e passando attraverso il percorso di selezione eseguito dai governi militari, un certo numero di organizzazioni Acquisiscono una posizione stabile nella rete dei centri collettivi. Gli incarichi assegnati a questi collaboratori esterni sono di diverso tipo, nei primi tempi consistono nella distribuzione di alimenti, capi di abbigliamento, sigarette, prodotti che vanno a integrare le reazioni di cui provvede l’esercito. In ogni caso con il tempo i compiti delle voluntary agencies si moltiplicano e si diversificano, fino a includere attività di intrattenimento, servizi di consulenza legale e psicosociale, la collaborazione alle operazioni di tracing e di rimpatrio, lo svolgimento di corsi di formazione professionale e la partecipazione ai programmi di resettlement. Le organizzazioni continuano non di rado a lamentare le difficoltà riscontrate nell’accesso ai campi. Le polemiche indirizzo delle autorità militari fanno riferimento all'ostinazione con cui vengono controllati i documenti presentati dagli operatori, all’indifferenza con cui essi vengono lasciati sulla soglia degli Assembly Centers per qualunque impedimento burocratico. Le numerose presenze esterne nei luoghi di residenza dei DPs costituiscono una realtà irreversibile, ma sulla quale le autorità militari continuano a voler mantenere il controllo, dettato dalla consapevolezza che non si tratta di presenze neutre. Le voluntary agencies consentono di stabilire tra i centri collettivi e lo scenario internazionale un Legami che non è immediato da l’esercito alleato o dalle agenzie delle Nazioni unite, e acquisisce un significato specifico Proprio perché le associazioni coinvolte sono espressione della comunità Nazionale O religiosa a cui appartengono gli stessi DPs. PRESENZE INGOMBRANTI: I RAPPRESENTATI DEI PAESI DI ORIGINE Lo Shaef prevede dall’inizio che i governi appartenenti allo schieramento antinazista possono incaricare un ufficiale di collegamento di seguire le questioni relative ai propri connazionali dispersi dalla guerra, e di occuparsi in particolare del loro rimpatrio, considerato In questa prima fase è la strada maestra verso la definitiva risoluzione del problema dei profughi. I Liaison Officers for Displaced Persons Control sono accreditati dai rispettivi governi, Ma la loro nomina deve essere accettata dallo Shaef. Inoltre devono sottostare alla direzione delle autorità militari locali alle quali sono assegnati. L’intento Sembra quello di dare la possibilità ai paesi di provenienza dei DPS di portare la propria presenza nei campi della Germania occidentale, allo scopo di facilitare le operazioni di ritorno e mantenendo uno stretto controllo sul loro mandato già nella prima fase di allestimento dei campi, fin da subito emerge la consapevolezza che la permanenza dei profughi entro i loro confini non sarà un fenomeno solo temporaneo. In settembre la PW&DP Division britannica metta all'ordine del giorno la predisposizione di adeguate opportunità educative per i dps, in particolare le scuole all'interno degli Assembly Centers, il materiale didattico, la possibilità di frequentare le università tedesche. Data l’instabilità dell’organizzazione dei campi a soli sei mesi dalla fine della guerra, il dato in sé non è particolarmente allarmante, Ma resta aperta la questione della quantità dei percorsi scolastici offerte ai profughi. La predisposizione di adeguate opportunità educative per i DPS prevista dalle autorità militari costituisce un programma di difficile attuazione, per il quale occorrono non soltanto penne e quaderni ma anche i libri di testo stampati nelle molteplici lingue parlate nei campi, insegnanti qualificati per i diversi livelli di formazione e un progetto educativo capace di dare senso e coerenza e le attività dei bambini displaced. Rispondere almeno in parte a queste esigenze risulta più facile dando Spazio sia all'iniziativa delle voluntary agencies operative sul territorio, sia all’autorganizzazione dei DPs, entrambe accolte o addirittura incoraggiati Dai responsabili dei campi. Altrove gli insegnamenti fanno solitamente parte della popolazione profuga, e svolgono il loro incarico in scuola allestite nella quasi totalità degli Assembly Centers Per iniziativa degli organi rappresentativi dei residenti. La diffusa tendenza dei DPS a impossessarsi dei locali e/o dei materiali necessari e a mettere su una scuola per conto proprio desta perplessità e malumori tra i militari, soprattutto quando trova il sostegno dei responsabili dell'Unrra che sistemano il DPF nelle classi senza aver chiesto prima l’autorizzazione del distaccamento locale all’esercito. Tuttavia i governi militari non si impegnano nel dare indicazioni organiche rispetto all’istruzione dei dps. Inusuale tentativo di dare una linea comune e programmi svolti nelle classi sembrano obbedire all’immediatezza di esigenze specifiche piuttosto che ha la definizione di un percorso educativo, e finiscono per avere una scarsa efficacia, come nel caso del insegnamento obbligatorio della lingua tedesca, introdotto dalla Ccg nell’aprile del 1947. Con questo provvedimento i britannici intendono favorire l’impiego dei displaced nell’economia locale. Le disposizioni della Ccg rimangono non applicate: l'unica lingua insegnata nei campi resta l'inglese, che nel presente può tornare utile per interagire con gli organi amministrativi e nel futuro può consentire migliori opportunità di resettlement. L'autonomia dei displaced in materia di istruzione sottrae agli alleati una parte del controllo sugli Assembly Centers, ma offre lavoro la via più semplice per maturare rapidamente un’alta percentuale di scolari, quindi si finisce per riconoscere i sistemi educativi autogestiti delle singole comunità, che nel corso del tempo si consolidano e non vengono messi in discussione neppure con il passaggio di consegne dall'Unrra all’Iro. Programmi poco organici, percorsi di studio biscontini, ma essere professori non di rado improvvisati non sono solo le emergenze temporanei con cui ci si confronta nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra. La priorità conferita dai DPS all’istruzione come terreno sul quale coltivare e rafforzare la propria identità nazionale finiscono Dunque per tradursi in una formazione debole e lacunosa, che aggiunge un ulteriore fardello sull’ infanzia trascorsa nei campi profughi. L'unico grado di istruzione che i governi militari non affidano alle forze disponibili all'interno dei centri collettivi a quello universitario. La soluzione adottata dagli alleati costituisce una delle poche eccezioni ufficiali alla politica di isolamento dei campi. Si stabilisce che gli studenti presenti tra la popolazione Profuga possano frequentare le facoltà tedesche, viene imposto di riservare loro una percentuale dei posti disponibili. L'anno successivo i posti riservati vengono ridotti al 2% e dunque molte delle iscrizioni devono essere respinte anche se già approvate dall’autorità militari. Il rilascio dell'autorizzazione alleata per l'iscrizione degli Studi universitari non dipende solo dalla necessità di garantire il rispetto delle quote, soprattutto nei primi anni risponde anche l'intento di non trasformare il compimento degli studi in un impedimento per il rimpatrio. Il cambiamento degli studenti verso le strutture tedesche consente di stabilire la fluenza all'università, ma anche di monitorare gli effetti che i percorsi di alta formazione potrebbero avere sull'amministrazione complessiva del displacement. Forse è per questo che le proposte presentate dalle diverse comunità nazionali per costruire dei percorsi universitari autonomi vengono respinte. Le motivazioni adottate per giustificare questo provvedimento riguardo il contenimento dei costi, ma anche il timore che la Bio i programmi di studio di lungo periodo all'interno dei campi possa costituire una minaccia per gli ultimi tentativi di rimpatrio e per l’avvio del resettlement. I limiti imposti dalla autonoma organizzazione dei profughi sono connessi ai timori e ai progetti che riguardano il loro domani. CAPITOLO 3- TORNARE IN PATRIA, RISTABILIRE L'ORDINE Le trasformazioni della cartina politica europea compromettono significativamente il progetto di ricondurre i profughi entro i confini dei loro paesi di origine e di estinguere così il displacement. Il problema si pone in primo luogo in conseguenza all'esposizione dell'Unrra verso ovest. Gli estoni, lettonie i lituani hanno visto i propri territori nazionali diventare repubbliche della federazione sovietica. Adesso cadono sotto la giurisdizione del governo di Mosca. Per tutte queste persone tornare indietro significherebbe ritrovare dei luoghi familiari, ma anche diventare cittadini di uno Stato straniero fino a pochi anni prima, Verso il quale non nutrono alcun sentimento di appartenenza, ma piuttosto un ostilità che affonda le proprie radici tanto nelle recenti vicende belliche quanto in un passato di lotte di confine. Si aggiunge poi la questione dei nuovi assetti politici che vengono a definirsi nei paesi dell'Europa orientale. Il caso della Polonia è il più significativo, perché una componente cospicua della popolazione dei campi proviene proprio da qui e guarda con preoccupazione alle vicende che seguono la sconfitta degli occupanti tedeschi per mano dell’armata rossa. Una sequenza di eventi che rafforza il rifiuto delle rimpatrio da parte dei displaced ostili al comunismo e all’egemonia di Mosca. Al piccolo ma deciso gruppo Jugoslavia che rifiuta il ritorno è chiaro il nuovo ordinamento assunto dal proprio paese che segue la vittoria militare riportata da Tito contro gli occupanti. Composto da individui che si proclamano Fedeli alla monarchia caduta con l'invasione nazifascista, questo gruppo ddps resta sordo alle pressioni della Repubblica federale di jugoslavia, la quale promette una parziale garanzia e minaccia la revoca della cittadinanza per tutti coloro che non accetteranno la proposta. Tra gli abitanti degli Assembly Centers ci sono infine migliaia di ucraini, calmucchi e altri cittadini sovietici che per imprecisate ragioni personali non vogliono essere rimpatriati. L’Unrra rileva tra i DPS una diffusa preoccupazione per l’insicurezza personale ed economica all’interno del proprio Paese accompagnata dalle ipotesi di un possibile futuro migliore altrove. Tuttavia restano di natura politica le motivazioni contro il rimpatrio provate dai profughi chiamati a giustificare la propria scelta, che fanno riferimento alla versione per il comunismo, alla paura di perdere la propria libertà, il timore per il dominio sovietico. Il nuovo ordine dell’Europa occidentale risiedono ragioni per cui il ritorno dei profughi risulta ben presto problematico. I flussi diretti a ovest, viceversa, procedono rapidamente e senza intoppi di grande rilievo. Ciò non significa che tutti i tipi esserci dentali aderiscono spontaneamente ai programmi di rientro: tra di loro possono esserci ex con laboratori di nazismo che non considerano certo essere rimandati a casa, Ma si tratta di casi isolati. UOMINI E DONNE IN MOVIMENTO Importanza del grande gruppo di persone che si muove lungo traiettorie differenti viene descritta in termini entusiastici nei rapporti militari, che sottolineano i risultati positivi del programma di ritorno a dispetto della scarsa disponibilità di mezzi di trasporto, dalla mancanza di carburante, dalle pessime condizioni in cui versano strade e ferrovie. Il Realtime nelle esaltazioni di successi e alla pressione esercitata sui responsabili degli Assembly Centers ti accompagna l’inquietante consapevolezza che la macchina del rimpatrio è nel suo insieme fragile, Non può essere sottoposta a eccessive pressioni e consente programmazioni solo di breve periodo. La rigidità della cattiva stagione è temuta tanto per la gestione degli Assembly Centers quanto per l'organizzazione dei trasferimenti verso est, e i viaggi intrapresi dopo il mese di novembre documentano la previsione di linee interrotte, di temperature insopportabili nei vagoni senza riscaldamento, di cibo e acqua congelati, che provocano il decesso di neonati e anziani. Nell’autunno del 1945 le autorità militari si rendono conto che il problema della prosecuzione del ritorno ai paesi di origine non è semplicemente stagionale. Già nei mesi precedenti i rapporti proveniente delle diverse province facevano riferimento all’esistenza di un peso morto costituito da DPs che non intendevano rientrare in patria. Nel corso dell’inverno tra il 1945 e il 1946 cresce la preoccupazione per il peso morto che acquisisce contorni più definiti e appare di un’entità superiore alle prime previsioni. Tanto da Londra quanto da Washington le indicazioni rivolte ai governi militari riaffermano l’opportunità di mantenere rimpatrio come primo obiettivo è di utilizzare tutti gli strumenti possibili in tal senso, Anche in considerazione del prossimo inizio delle attività dell’International Refugees Organization: : il nuovo organismo avrà un budget molto limitato ed è bene diminuire il più possibile il totale dei suoi futuri beneficiari. L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha stabilito che L’Iro ti occupi non soltanto della cura e delle rimpatrio della popolazione dei campi, ma anche del loro resettlement. L’Unione Sovietica respinge l’idea del trasferimento dei profughi in un paese diverso da quello di provenienza e ha deciso di non sostenere la nuova organizzazione. In questo lungo arco di tempo l’opzione del ritorno a casa continua ad essere diffusamente propagandata nei campi e le autorità militari colgono ogni occasione possibile per ricorrere a questa soluzione, ma il ritorno volontario ha cessato di essere una scelta di massa e riguarda specifici casi individuali. Il rimpatrio E ormai la scelta di coloro che non hanno alcuna probabilità di diventare cittadini britannici, americani o australiani, Ma vogliono comunque Fuggire dalle stranita andiamo un paese in cui è stata la guerra a condurli. Gli stessi operatori dell’Iro nell'appoggiare la scelta del rientro si rivolgono principalmente a vecchi, invalidi e donne sole con bambini, sottolineando con forza che questa è per loro la soluzione migliore. I flussi di rientro hanno un andamento che varia in rapporto alle singole nazionalità, ma non esprimono la semplice accoglienza dalla diversa scelta di ciascuna di esse. Viceversa, dietro la sintesi in cifre fornita dai militari americani si nascondono i viaggi di ritorno imposti con la forza e l’adozione di politiche di persuasione che hanno esiti incerti, ma proiettano diverse ombre sulla libertà di scelta di cui effettivamente i profughi dispongono. PERSUADERE AL RITORNO: IL BASTONE E LA CAROTA Tra i responsabili dell’amministrazione del displacement È diffusa l’opinione che il trattamento riservato ai profughi incida sulla loro decisione di rimpatriare oppure no. Nel momento in cui il rifiuto del ritorno comincia ad apparire come un fenomeno di Massa, e la sistemazione nei campi Si preannuncia di lungo periodo, questa convinzione finisce per diventare il presupposto da cui muovono specifiche strategie. Il primo piano per spingere i DPS al ritorno Modificando le loro condizioni di vita in Germania viene discusso già all’inizio del 1946, e si propone la chiusura degli Assembly Centers. Viene ritenuto troppo rischioso: potrebbe avere effetti destabilizzanti sulla società tedesca e screditare l’operato dei governi militari presso l’opinione pubblica internazionale. Lo status degli DPs resta invariato e i campi non vengono smantellati, ma si è rafforzata la Persuasione esista un nesso fra i servizi garantiti ai popoli e la loro scarsa propensione al rimpatrio. L’urgenza delle rimpatrio diventa una delle giustificazioni portate a sostegno sia della progressiva riduzione delle reazioni alimentari sia dei programmi di lavoro e della necessità di imporre ai DPs l’obbligo di parteciparvi. Si aggiunge e l’imposizione di continui spostamenti da un campo all’altro, che accentua non il senso di precarietà dei profughi e il disagio, costringendoli a cambiare residenza che mi ha 10 volte in due anni. L’idea di esercitare sui DPs una pressione in diretta, facendo diventare la loro permanenza in Germania che in USA da spingerli a desiderare il ritorno in patria, diventa motivo di conflitto fra l'Unrra e i militari, che accusano l'agenzia di aver reso la quotidianità dei campi troppo confortevole e chiedono una revisione del trattamento riservato ai displaced. Insiemi di questi provvedimenti consuma non la libertà di scelta degli abitanti dei centri collettivi, incazzati tanto dalle continue difficoltà, quanto Dalla trasformazione in un privilegio dell’assistenza inizialmente riconosciuta loro con un diritto. Si avvalora le immagini di DPs viziati, destinati a pesare sulle spalle delle società occidentali. Si cerca di rendere la permanenza negli Assembly Centers più spiacevole per far diventare la partenza più conveniente. È questo il senso della Operazione Carota, proposta dall'Unrra alle autorità militari allo scopo di incrementare il rimpatrio dei polacchi. Questo piano prevede l'assegnazione di un pacco alimentare corrispondente a 60 giorni di razioni a tutti coloro che decidono di fare rientro a casa. Per sfruttare al meglio il programma, si stabilisce che Le provviste offerte a ogni singola persona verso le frontiere polacche siano esposte all’interno dei campi, in modo tale che i potenziali beneficiari possono avere un'idea concreta della loro consistenza. L'Operazione Carota viene ampiamente pubblicizzata. Suscita Tuttavia molte perplessità, tra le autorità militari britanniche che denunciano un eccessiva sproporzione tra i costi e benefici di una simile iniziativa. L’andamento discendente dei rimpatri Non ha registrato alcuna variazione di rilievo e nel dicembre del 1946 iniziativa viene sospesa. L'Iro adotta questo provvedimento solo Nel giugno del 1948. Il piano si rivolge ai polacchi, i sovietici e agli jugoslavi, offrendo però soltanto 20 giorni di approvvigionamenti supplementari. L’eredità Più significativa dell’operazione carota sembra risiedere nel sistematico il corso a iniziative di tipo propagandistico che si ritieni possano efficacemente affiancare il bastone ma hanno un costo decisamente inferiore rispetto all’assegnazione di razioni integrative. La propaganda poteva sperare di insinuarsi nello smaltimento iniziale, ma progressivamente perde efficacia agli occhi dei suoi stessi promotori. Tra i displaced i più Fermi oppositori del rimpatrio si mobilitano per dimostrare loro che è meglio resistere. Le autorità militari fanno fatica a combattere questa mobilitazione sotterranea, che si esprime attraverso lingue comprensibili solo con l’ausilio dei traduttori. Le attività contro il ritorno coinvolgono gruppi formali e informali di displaced, ma appaiono particolarmente efficaci dove trovano il sostegno degli organi rappresentativi dei campi. Il camp leaders non solo possono farsi portatori di posizioni contrarie al rientro, il ruolo che svolgono all’interno dei centri collettivi consente loro anche di estrapolare la partenza di chi ha deciso di tornare a casa, impedendogli di mettersi a contatto con i militari o con i responsabili delle Agenzie delle Nazioni unite. La promozione del rimpatrio si muove su fronti diversi, Ma le statistiche sembrano mettere al mondo un sostanziale fallimento delle diverse strategie. Le pressioni volte a indirizzare DPS verso il rimpatrio segnano tutta l'esperienza delle displacement, perché influiscono sulle modalità di gestione dei centri, influenzano la percezione collettiva della popolazione Profuga e sono al centro delle tensioni tra i diversi soggetti istituzionali chiamati in causa: le forze d’occupazione, i rappresentanti dei paesi dell'est, le Nazioni Unite. I governi militari accusano l'Unrra di garantire ai suoi beneficiari una vita troppo confortevole, mentre l'Unrra accisa i rappresentanti dell'esercito operativi sul territorio di non mettere in pratica le direttive sul rimpatrio. Gli Alleati non possono fare a meno rileva l’incidenza di disturbi psicologici che si manifestano attraverso disfunzioni di natura diversa: sembrano essere molto diffusi il ritardo mentale, l’insufficienza motoria, la dislessia e la balbuzie. Altrettanto frequenti vengono considerati i comportamenti che indicano una vera e propria corruzione morale, come la tendenza al furto, la pratica di traffici illeciti e l’abitudine a mentire. Il primo passo verso la guarigione Dai disturbi psicologici e la correzione dei comportamenti scorretti viene individuato nel ricovero dei minori non accompagnati nelle speciali case di accoglienza aperte appositamente proprio dall'Unrra. In queste strutture i bambini dovrebbero trovare Cure adeguate e compiere un percorso di rieducazione che li prepari alla soluzione definitiva della loro condizione di malessere, ovvero il rimpatrio. La programmazione delle partenze verso i paesi di origine incontra continui a ostacoli, perché risulta sminuita dal incerta determinazione della nazionalità di bambini e bambine, mette a confronto I differenti significati assegnati alla tutela dell’infanzia nei progetti di ricostruzione post bellica. Le difficoltà esplodono in una miriade di singoli casi, sui quali si confrontano e soprattutto si scontrano le diverse parti chiamate in causa portatrici di logiche e priorità differenti. Gli operatori dell'Unrra sentono che non stanno soltanto salvando dei bambini, ma soprattutto svolgendo una parte del proprio meraviglioso lavoro: la riabilitazione dell’Europa. Dall’altro lato ci sono le autorità militari, che fanno appello alla necessità di tutelare i minori, ma chiamano in causa l’esigenza di garantire loro la continuità della sistemazione familiare. La tensione tra le differenti logiche in cui si muovono le agenzie delle Nazioni Unite e le autorità militari si misura di volta in volta con fattori diversi, come l’accertamento della nazionalità dei bambini, la ricostruzione delle ragioni che hanno portato al loro allontanamento dai genitori naturali, i giudizi sulle famiglie affidatarie, l’esigenza meno di un padre o una madre che li aspettano nei paesi di origine. Le soluzioni adottate dipendono dalla combinazione di tali fattori, mentre faticano a emergere una procedura è una politica condivise. Lungo questo procedere incerto si definisce l'esperienza dell'infanzia e dell'adolescenza displaced nel secondo dopoguerra. CAPITOLO 4- IL LAVORO, UNA CARTA D'IMBARCO Gravi malattie, gravidanze, figli legittimi sono abitualmente indicati come motivi di esclusione dai Paesi che offrono ai displaced la possibilità di costruirsi un futuro entro i propri confini a partire dalla loro capacità di lavoro. La centralità assegnata a quest'ultime nei progetti di resettlement non corrisponde soltanto alle specifiche necessità di manodopera delle società di accoglienza, costituisce anche Il principio intorno al quale ruota il programma di riabilitazione dei DPs promosso dagli alleati e dalle agenzie delle Nazioni unite. La vera è una malattia o denunciare uno stato familiare anomalo Non significa soltanto apparire improduttivi ai potenziali paesi d'immigrazione, ma anche rimanere ai margini del percorso di riabilitazione è centrato sul lavoro e proposto dai soggetti istituzionali chiamate a risolvere la questione dei DPs. IL LAVORO TRA DIRITTO E DOVERE Nella guida che lo Shaef diffonde i provvedimenti relativi al lavoro vengono esposti tra le linee di azione a cui si riconosce uno specifico rilievo nell’amministrazione dei campi. L’Impiego di qualunque occupazione retribuita nell’attesa di essere rimpatriati ieri identificato come un diritto. Il riconoscimento Vitale diritto contribuisce a sancire il loro diverso status Rispetto alla popolazione locale. Da un lato è un diritto che spetta alle vittime di nazismo, dall’altro un dovere che se devono compiere per collaborare allo sforzo compiuto degli alleati per fronteggiare l’emergenza postbellica. Il duplice profilo costruisce il fondamento di tutte le politiche sul lavoro successivamente adottate dagli alleati. CONVENIENZA ECONOMICA E RIGENERAZIONE MORALE Al reclutamento dei DPs si ricorre fin dall’inizio alle organizzazioni dei centri collettivi alla assunzioni di autisti, guardie, interpreti scelti tra le file dei profughi viene considerata il primo passo per coinvolgere nella gestione dei campi i loro stessi abitanti, ma anche la giusta esecuzione del diritto formale dei displaced a ottenere una occupazione retribuita. I vantaggi del massiccio impiego dei DPs Come forza-lavoro vengono valutati in primo luogo sotto il profilo economico. L'utilizzo dei displaced per svolgere compiti esecutivi al servizio dell’esercito può consentire alle forze di occupazione di contenere il proprio personale, riducendo così i costi della missione in Germania. Nel corso degli anni il vantaggio finanziario offerto dall’impiego dei DPs comincia a essere messo in discussione, A fronte dei cambiamenti che investono il contesto economico e politico in cui si colloca non solo la gestione del displacement, ma l’intera missione alleata in Germania. L’investimento nella ripresa dell’economia tedesca insieme al nuovo progetto per il futuro del paese mettono a nudo i limiti, in termini finanziari, del ricorso alle prestazioni dei profughi. Nelle decisioni degli alleati la Convenienza economica e l'opportunità politica Giocano un ruolo variabile nel corso degli anni, mentre destra centrale il significato morale attribuito alla piena occupazione dei displaced. INCENTIVI E OBBLIGHI Lo scarso rendimento dei gruppi di lavoro Dipende anche dal fatto che i profughi trovano assai poco conveniente prendervi parte. La consapevolezza di quanto siano necessari i prodotti formalmente di finiti superflui spinge le autorità militari e le agenzie delle Nazioni Unite a promettere migliori accessori a chi lavora, Con l’obbligo di accrescere il numero degli occupati. Perché questa strategia funzioni Bisogna però essere in grado di tradurre in realtà una simile promessa. I lavoratori si promettono più indumenti e più carbone per le stufe, una maggioranza dello spazio pro capite nei dormitori e soprattutto razioni alimentari accresciute. Secondo i funzionari dell'Iro si tratta di una strategia che è nei fatti si rivela poco efficace, perché i DPs sono in grado di aggirarla; quando nel 1947 Subentrano agli operatori dell'Unrra denunciano forti irregolarità nell'attribuzione dei paesi più sostanziosi, ricevuti anche da coloro che non hanno un'occupazione. Negli Assembly Centers più grande è difficile condurre controlli rigorosi E allora basta conoscere le persone giuste per finire nella lista delle razioni per i lavoratori. La questione della retribuzione in denaro risulta fin da subito problematica. L’ammontare di Marchi che corrisponde alla paga giornaliera è poco spendibile. Non sono migliori le sorti di chi decide di mantenere da parte i propri guadagni per usufruirne una volta lasciata la Germania: la moneta locale è così valutata che al momento del cambio i risparmi dei profughi-lavoratori si traducono in pochi spiccioli. La questione dei compensi in denaro non appare problematica soltanto sul fronte di chi li riceve, ma anche di chi li concede. Le disponibilità finanziarie dei giovani militari non sono sufficienti a garantire la crescita illimitata dei libri paga, Dunque viene fissato il tetto massimo dei salari che è possibile liquidare per i servizi compiuti dai DPs all’interno dei singoli centri collettivi. Nel imporre regole specifiche per la gestione dei centri collettivi non si esclude affatto che il personale reclutato complessivamente super quota pagabile in denaro. Il problema del pagamento in denaro viene nuovamente sollevato proprio alla nuova organizzazione internazionale, che con l’avvio delle attività intende rilanciare l'occupazione dei DPs, ritenuta un presupposto inevitabile per la loro preparazione al resettlment. L'Eucom concede l'aumento una tantum del numero degli stipendi. Per questo il governo militare americano decide di dedurre dalla paga di ciascun displaced impiegato all'interno all'esterno dei campi non soltanto il costo del Bitto che gli viene somministrato ma anche quello dell'alloggio e dell'assistenza. Questo provvedimento suscita tra i DPs un malcontento. Le proteste sono indotte dalla sottrazione delle spese per alloggio e assistenza, ma finiscono per assumere le sembianze di critiche più complessive alle condizioni di lavoro riservate ai DPs o addirittura l’intera gestione dei campi. La risposta non lascia margini di contrattazione. In primo luogo si fa presente che l'unica alternativa alla detrazione delle spese di alloggio e assistenza sarebbero il licenziamento di una larga parte del personale, soluzioni che andrebbe a discapito dell'amministrazione degli Assembly Centers e avrebbe effetti negativi per i loro residenti. UOMINI E DONNE AL LAVORO Le centinaia di migliaia di displaced che risultano occupati non solo vengono ricompensati in modalità molto diverse, ma hanno anche datori di lavoro differenti, in base ai quali cambiano le condizioni in cui ciascuno presta la propria opera. I posti più ambiti sono quelli alle dirette dipendenze delle squadre prima dell’Unrra e poi dell’Iro. Si tratta di mansioni ritenute qualificate e qualificanti, in parte svolte in ufficio e attraverso le quali è possibile formare una rete di relazioni utile tanto nella conduzione della vita quotidiana all’interno dei centri collettivi, quanto nel predisporre l’emigrazione. Le ragioni per cui la massima ambizione degli abitanti degli Assembly Centers è lavorare fianco a fianco con il personale internazionale. Dalle agenzie delle Nazioni Unite dipendono generalmente anche gli insegnanti, i medici e i contabili, i magazzinieri e gli inservienti che prestano il loro servizio all’interno dei campi. Hanno un inquadramento molto diverso a seconda dell’ampiezza della struttura: chi svolge mansioni più elevate viene conteggiato come dipendente di classe II indossa le uniformi come chi appartiene alla classe I, ovvero al personale internazionale. Dall’Unrra e dall'Iro dipendono anche tutti coloro che prendono parte ai corsi di formazione professionale, è in virtù di questo si vedono riconosciuto lo status di lavoratori a cui spettano razioni maggiorate ma non una retribuzione in denaro. Naturalmente si tratta di uno status soltanto temporaneo. I funzionari dell'Iro individuano nell' addestramento al lavoro un presupposto essenziale per la maggiore di uscita dei programmi di resettlement. Nell’insieme in DPS che lavorano sotto la supervisione delle Agenzie delle Nazioni Unite costituiscono il gruppo di maggioranza per tutti coloro che hanno un impiego. Alcuni grandi programmi di lavoro vengono disattivati direttamente dalla Ccg. Tutte occupazioni che richiedono grande fatica, sono svolte in condizioni di estremo disagio per la scarsità di indumenti e attrezzature adeguate e impongono ai DPS di allontanarsi dalla propria struttura di residenza. Indipendentemente dalla zona in cui ci si trova, lavorare alle dipendenze dell’esercito in qualità di interpreti, meccanici o poliziotti addetti alla sicurezza dei campi è senz’altro più conveniente che tagliare i boschi o sgombrare macerie. Infatti quella percentuale ristretta di DPS che sono riusciti a ottenere mansioni più comode cercano di tenersele strette e considerano il licenziamento una sciagura. L’assunzione nell'ambito dell'economia tedesca, qualunque tipo di occupazione riguardi, è assai impopolare tra gli abitanti dei campi. Sulla maggioranza di loro pesa il ricordo del Lavoro coatto Agli ordini dei nazisti è la sottomissione a un qualunque tedesco viene considerata non solo una revocazione delle sofferenze del passato, ma anche un'offesa alla propria identità di vittime. Neppure la popolazione locale accoglie di buon grado l'ipotesi di assumere i displaced, considerati ingiustamente privilegiati dalle forze di occupazione e accusati di impossessarsi delle risorse troppo scarse del paese. Negli anni successivi gli operai delle dipendenze dei tedeschi continuano a rimanere una minoranza rispetto al numero complessivo dei profughi-lavoratori. Per gli uomini e le donne che tra il 1945 e il 1951 e risiedono negli Assembly Centers amministrati dai militari e dalle agenzie internazionali il lavoro si traduce in esperienze tra loro molto diverse. Naturalmente nel corso degli anni trascorsi nei campi si può passare da un tipo di attività all’altra e in certi casi addirittura compiere un percorso in ascesa, guadagnandosi di volta in volta posizioni migliori. Le donne non sono affatto escluse dal lavoro; Mentre Nelle società occidentali del dopoguerra torna a imporsi il modello della domesticità femminile, nei campi le mogli e le madri sono spinte con decisioni verso il lavoro extra domestico. Identità di displaced fa aggio a quella di genere, l’urgenza del percorso di riabilitazione ha la meglio rispetto all'ideale consacrazione delle donne alla sola sfera privata. Tuttavia ai profughi e alle profughe non sono assegnati compiti uguali e la distinzione tra uni e le altre segue In primo luogo il confine dei campi. Per Le occupazioni esterne viene privilegiata la popolazione maschile, mentre quella femminile è destinata alle mansioni da svolgersi all’interno dei centri collettivi. Questa divisione nell’assegnazione dei compiti che implicano un allontanamento dalla sede di residenza è senza dubbio dettata dall'intento di preservare un ruolo svolto dalle mogli e dalle madri nell'ambito dei loro nuclei domestici. All’interno delle strutture di residenza le profughe che non hanno competenze specifiche lavorano nelle cucine, nelle lavanderie, negli asili e nelle squadra addetta alle pulizie, cioè svolgono quelle stesse attività di cura che sono abituate nella sfera familiare. Le sorti delle profughe che hanno competenze particolari, o riescono ad acquisirle nel corso del tempo, possono essere assai diverse da quelle di coloro che vengono elencate nella lunga schiera della manodopera Priva di ogni qualifica. Si possono mettere a disposizione abilità specifiche come i compiti di segreteria virgola di interpretariato, di insegnamento o più In generale di gestione delle strutture. L'assunzione di donne nei compiti di amministrazione degli Assembly Centers è visto di buon’occhio dalle autorità militari non solo in relazione alle quantità individuali che ognuna può mettere a frutto, ma anche per liberare forza lavoro maschile. Nell’ottica delle Agenzie delle Nazioni unite, Il dirottamento di una quota crescente di manodopera maschile verso l’esterno corrisponde a un impoverimento del bacino di risorse umane a cui attingere per la gestione dei campi. Le proteste dell’Unrra mettono a nudo L’intreccio di contraddizioni in cui si muove l’esperienza delle profughe-lavoratrici. E all’interno di questo contesto complesso che anche le donne maturano la loro esperienza di lavoro, aspettando di poterla trasformare nella carta d’imbarco per un nuovo paese. VERSO UNA NUOVA PATRIA Tra il luglio del 1947 e il dicembre del 1951 più di 700 mila profughi lasciano la Germania occidentale, diretti in luoghi diversi da quelli di origine. Le partenze sono iniziate prima della costruzione della nuova agenzia delle Nazioni unite. Le località verso le quali si dirigono i treni, le navi e gli aerei che trasportano i DPS a cui provvede l'Iro ammontano in totale a più di 40. Inizialmente gli abitanti degli Assembly Centers restano entro i confini europei e si stabiliscono in Gran Bretagna, Belgio, Francia. Dal 1948 le mete più frequentate Si collocano invece al di fuori del vecchio continente. L’ultima partenza non corrisponde però lo svuotamento completo dei campi della Germania occidentale. Tutti coloro che negli ultimi tempi hanno preferito abbandonare i centri collettivi per entrare volontariamente nell’economia tedesca. Nessun paese è favorevole a rilasciare un visto di ingresso ai malati, agli anziani, alle madri sole o alle famiglie troppo numerose. In questo senso un’eccezione Sì rileva per il massiccio trasferimento di Uomini e Donne in Israele, che non seguo ha fatto i criteri condivisi dei programmi di resettlement e si muove lungo il complesso percorso di fondazione del nuovo stato. PROGETTI MIGRATORI: LA PROSPETTIVA DEI PAESI DI ACCOGLIENZA I primi displaced si muovono nella tarda estate del 1945 e hanno in tasca un contratto di occupazione per le miniere del Belgio. Altri partono in direzione della Francia. In questo primo periodo le operazioni di reclutamento condotte tra la popolazione dei centri collettivi rispondono esclusivamente a quel bisogno di